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FLASH
Animazione Pastorale Giovanile Salesiana
Numero 4. Settembre 2023
Il salesiano educatore pastore
nella Comunità Educativa
Pastorale:
Opportunità e approcci attuali
Don Miguel Ángel García Morcuende
Consigliere Generale Pastorale Giovanile
SETTORE PASTORALE GIOVANILE
Salesiani di don Bosco SEDE CENTRALE SALESIANA

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Il salesiano educatore pastore nella
Comunità Educativa Pastorale:
Opportunità e approcci attuali
Don Miguel Ángel García Morcuende
Consigliere Generale Pastorale Giovanile
1 La metafora del cerchio
sostituisce definitivamente la piramide
[a] Nel magistero della nostra Congregazio-
ne è ben radicata la convinzione del coinvol-
gimento corresponsabile dei laici e dei giova-
ni nella realizzazione della missione salesiana.
Oggi viviamo in un’epoca fortunata in cui sia-
mo passati dalla curiosità e dalla benevo-
lenza verso i laici al valore della correspon-
sabilità. Tre fattori in particolare sono all’ori-
gine di questo rinnovamento:
–– L’ecclesiologia di comunione e la riscoperta
del ruolo dei laici. Non possiamo negare il
grande cambiamento che la consapevolez-
za della “vocazione universale alla santità”
ha portato nella Chiesa.
La comprensione della “specialità” della vita
religiosa all’interno dell’unica vocazione bat-
tesimale è guidata dalla metafora del cerchio,
che deve sostituire definitivamente quella del-
la piramide. Tra le varie vocazioni, non si trat-
ta di stabilire quale sia la più perfetta in rap-
porto a Cristo, ma quale particolare manife-
stazione di Lui ciascuna di esse realizza per il
ministero sacramentale della Chiesa. Se Cri-
sto è per ogni cristiano la perla di grande valo-
re da ammirare e mostrare al mondo, non è
necessario collocarlo al vertice di una pira-
mide, una posizione da cui si gode di un pri-
vilegio sugli altri che ne sono esclusi. La per-
la di grande valore, che è Cristo, deve inve-
ce essere immaginata come posta al centro
del popolo di Dio, in modo che ogni persona
(salesiano o laico) possa parteciparvi secon-
do la posizione specifica datagli della propria
vocazione di vita.
–– La nuova comprensione dei carismi all’inter-
no della comunità ecclesiale. Il carisma è un
dono alla Chiesa; la Congregazione che lo
incarna ne è responsabile ma non ne è pro-
prietaria, per cui si riconosce che anche i
laici possono farlo proprio secondo il loro
stato di vita. Gradualmente, si è acquisito il
concetto di “famiglia” spirituale o carisma-
tica, basato sul riconoscimento che il cari-
sma del Fondatore è incarnato anche in altri
modi di vivere la vita cristiana.
–– Il continuo rinnovamento del nostro carisma
salesiano, che consiste nel tornare alle origi-
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Don Miguel Ángel García Morcuende Il salesiano educatore pastore nella Comunità Educativa Pastorale
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ni: Don Bosco, infatti, ha sempre coinvol-
to nella sua missione giovanile e popolare
molti laici, che facevano parte del suo pro-
getto apostolico: da mamma Margherita agli
imprenditori, passando ai i giovani, alle bra-
ve persone del popolo, ai teologi, ai nobili
e persino ai politici dell’epoca. Storicamen-
te, siamo nati e cresciuti in comunione con
i laici, e loro con noi.
[b] Tuttavia, c’è chi vive con sospetto questa
apertura ai laici perché, secondo loro, potrebbe
mettere in discussione l’identità degli SDB. La
corresponsabilità dei laici, secondo alcuni, dan-
neggia il ruolo dei religiosi nell’Opera salesia-
na. Pertanto, questa esperienza di correspon-
sabilità e di comunione quotidiana è percepita
più come un problema pratico che come una
realtà evidente, più come un’imposizione che
come un’opportunità.
La mancanza di una precisa identificazio-
ne del laicato porta a sminuirlo e a svalutar-
lo, svuotandolo di concretezza vocazionale e
quindi rendendolo carismaticamente irrilevan-
te. La realtà ci dice che, in alcuni casi, la com-
prensione della vocazione e della spiritualità
laicale è sostanzialmente indefinita (un laico
non è né sacerdote né consacrato).
In relazione a ciò, si pone nella pratica una
seconda questione: a volte le indicazioni della
Congregazione non sono state attuate in tut-
te le Ispettorie, in particolare quegli orienta-
menti operativi contenuti nel Quadro di Rife-
rimento per la Pastorale Giovanile: il coinvol-
gimento di tutta la CEP nell’elaborazione dei
PEPS ispettoriali e locali, nella costituzione del
Consiglio dell’Opera/CEP, ecc.
2 Il ruolo del salesiano
nella vita della Comunità Educativo-Pastorale
Il salesiano è presentato generalmente come
una persona generosa e abnegata, ma le esi-
genze dei tempi e dei luoghi di oggi richiedo-
no e favoriscono compiti e ministeri partico-
lari. Inoltre, è necessario adattarsi alle mutate
condizioni e scoprire come bilanciare le esi-
genze e le sfide dell’essere educatore-pasto-
re nel mondo di oggi. L’attuale situazione sto-
rica, legata alla corresponsabilità della missio-
ne con i laici, ci chiede di interrogarci:
Come si può restituire all’SDB il suo con-
tributo più appropriato e necessario alla
comunità? Quale ruolo predominante gli è
richiesto oggi? Quale modello di SDB favo-
rirebbe una presenza significativa ed effi-
cace? Quale contributo può e vuole dare
oggi all’Opera salesiana? Come vorremmo
che fosse visto il SDB di domani?
2.1. Prima discepoli, poi apostoli.
[a] La vita del SDB può essere compresa solo a
partire dall’esperienza dell’aver “trovato il teso-
ro” (Mt 13,44). Solo così,ogni progetto di evan-
gelizzazione può essere sviluppato a partire
dall’esperienza personale di fede. Senza questa
convinzione iniziale, è difficile raggiungere gli
obiettivi educativi e pastorali. Se il SDB “diven-
ta trasparenza” di Gesù, possiamo affermare
che la sua esperienza spirituale sarà espansi-
va: egli comunica ciò che ha visto e sentito.
Solo così la comunione tra vocazioni diverse
ma complementari sarà arricchente: i laici ricor-
dano a ogni salesiano la concretezza dell’amo-
re, stimolandolo a dare il meglio di sé, e il valo-
re della fraternità reciproca; i salesiani aiutano
i laici a cogliere la ricchezza di una vita total-
mente dedicata a Dio e al servizio dei fratelli
in modo comunitario.
Al centro del compito educativo ed evange-
lizzatore c’è la persona del salesiano nella par-
te più autentica di sé, le proprie convinzioni e
la propria esperienza di Dio, alimentata da una
vita interiore, da una sincera fraternità e da un
generoso apostolato tra i giovani.
Papa Francesco, citando un sacerdote del
suo paese natale, padre Lucio Gera, ricorda le
sue parole: “Sempre, ma soprattutto nelle pro-
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ve, dobbiamo tornare a quei momenti lumi-
nosi in cui abbiamo sperimentato la chiama-
ta del Signore a consacrare tutta la nostra vita
al suo servizio. È quella che mi piace chiamare
‘la memoria deuteronomica della vocazione’
che ci permette di tornare a quel punto incan-
descente in cui la grazia di Dio mi ha tocca-
to all’inizio del cammino e con quella scintilla
riaccendere il fuoco per oggi, per ogni giorno
e portare calore e luce ai miei fratelli e sorelle.
Con questa scintilla si accende una gioia umile,
una gioia che non offende il dolore e la dispe-
razione, una gioia buona e serena” (Lettera del
Santo Padre Francesco ai sacerdoti in occasio-
ne del 160° anniversario della morte del Santo
Curato d’Ars, 4 agosto, 04.08.2019).
[b] Il modello di Gesù Buon Pastore è quel-
lo che aiuta gli SDB a vivere in modo integra-
to, con una forte capacità di relazionarsi con
se stessi, con gli altri e con Dio. Ci situa in pro-
fondità per cercare le ragioni e le radici di ciò
che viviamo. È quindi urgente promuovere
un ritorno al “primo amore”. La paternità di
Don Bosco è l’espressione concreta di questo
modello che ci spinge a essere segni e porta-
tori della presenza paterna di Dio nella CEP e,
in particolare, tra i giovani.
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L’”amore pedagogico”, la “bontà eretta a
sistema”, la “dolcezza di San Francesco di
Sales”, la “pedagogia del cuore” si riferiscono
al Sistema Preventivo, in particolare a quella
costellazione di atteggiamenti e indicazioni
pratiche che sono legate all’amorevolezza,
che va oltre il gesto di simpatia. Essa è sem-
pre alla base della carità pastorale che cer-
ca la salvezza dei giovani, manifestandosi
attraverso un affetto riconoscibile e tempe-
rato dalla ragione. E questo vale soprattutto
per i giovani, ma anche per i laici.
Implica soprattutto un “cuore” pastorale: la
volontà, l’impulso, il desiderio di lavorare, di
trovare piacere nelle imprese pastorali, di esse-
re disponibili, di donarsi con cuore gioioso, di
sentirsi attratti dai più bisognosi, di considera-
re ogni sforzo proporzionato, di superare facil-
mente le piccole frustrazioni, di non arrender-
si, di affrontare i rischi e le difficoltà come se
fossero poca cosa, di iniziare nuovi processi
con entusiasmo e creatività (cfr. Evangelii Gau-
dium, n. 223).
[c] Vivere la carità pastorale significa lottare
contro i “nemici” interni. C’è sempre qualcosa
da migliorare, da eliminare, e questo porta a
una perdita di passione per la missione, inti-
mamente legata alla paura del cambiamento,
alla difficoltà di adattarsi a nuovi linguaggi e
alla mancanza di coraggio di rischiare (di uscire
dalla zona di comfort). Tutto questo è la mani-
festazione del “raffreddamento carismatico”
che taglia le ali alla profezia e, di conseguen-
za, dà luogo al ritiro pastorale.
A volte si verifica una crisi di identità in alcu-
ni fratelli quando non hanno più una posizione
specifica di responsabilità all’interno dell’Ope-
ra (a causa dell’invecchiamento fisico e/o men-
tale o di una malattia). Nella CEP non è sem-
pre facile per i salesiani anziani farsi coinvolge-
re e partecipare, dimenticando purtroppo che
questi fratelli arricchiscono le nostre case con
la loro esperienza, la loro preghiera e l’offerta
della propria vita.
Tuttavia, siamo convinti che in ogni situa-
zione esprimiamo il nostro “essere” consacra-
to nel nostro “stare” tra i giovani (“sacramento
della presenza”), dando la priorità ai più pove-
ri. In altre parole, il SDB, con le sue debolezze
e nonostante esse, deve piantare i suoi pie-
di e il suo cuore nel profondo della condizio-
ne giovanile, soprattutto dove c’è più bisogno
e abbandono. Per questo motivo, ognuno di
noi, nel rivedere il proprio progetto personale,
deve interrogarsi sulla personale sensibilità ai
drammi e alle urgenze della società, in partico-
lare alla realtà dei bambini e dei giovani che più
soffrono dell’ingiustizia e delle sue conseguenze.
Nelle parole di Papa Francesco: “testimonia-
re che Gesù ci basta e che il tesoro di cui voglia-
mo circondarci è costituito piuttosto da coloro
che, nella loro povertà, ce lo ricordano e lo rap-
presentano: non poveri astratti, dati e catego-
rie sociali, ma persone concrete, la cui dignità
ci è affidata come genitori. Genitori di perso-
ne concrete; cioè paternità, capacità di vedere,
concretezza, capacità di accarezzare, capacità
di piangere” (Discorso ai Vescovi partecipan-
ti nel corso di formazione organizzato dalla
Congregazione dei Vescovi e la Congregazio-
ne delle Chiese orientali, 12 settembre 2019).
2.2. Mettersi dalla parte dei giovani
lavorando per una pastorale organica
La cultura dei giovani è un luogo abitato da
Dio e ha bisogno di SDB che sappiano entrar-
vi, conoscerne a fondo le dinamiche e riscri-
vere il Vangelo in modo nuovo e diverso, per
renderlo accessibile e valido per loro. La prima
responsabilità di un educatore/evangelizzato-
re è quella di definire la realtà con uno sguar-
do mirato, sostenuto e profondo.
Questa realtà ci dice che bisogna supera-
re la frammentazione pastorale, abbattendo le
“dogane” e i “regni” che si possono creare all’in-
terno delle Opere. Occorre quindi optare per
una pastorale organica che superi l’approccio
pastorale frammentario o disarticolato di tan-
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te attività, senza coordinamento tra loro, con-
vergendo l’una con l’altra, a favore dei giova-
ni e con i giovani.
Il termine “organico” esprime la coerenza
dell’articolazione come organismo vivente in
cui tutti i suoi membri agiscono in stretta rela-
zione in funzione del progetto comune, cre-
dendo nella spiritualità dei processi. Per que-
sto motivo, è essenziale che il salesiano svilup-
pi uno stile di lavoro in équipe, coerente con
un modello in cui si persegua il pieno poten-
ziale delle persone. Questa cultura collaborati-
va richiede di considerare le diverse sensibilità
presenti nella CEP, unificando i criteri persegui-
mento comune del servizio ai giovani, evitan-
do l’arbitrio e il personalismo, e sostenendo la
leadership necessaria in base alle competen-
ze di ciascun membro dell’équipe e alle esi-
genze dei giovani.
Inoltre, significa sostenere una leadership
pastorale, cioè una leadership non autorita-
ria, verticale e verticistica, ma che valorizza
il dialogo, che general e promuove una lea-
dership specifica, facilitando spazi di auto-
nomia decisionale e motivando l’iniziativa e
la creatività secondo il carisma di ciascuno.
2.3. Ricreare l’esperienza pastorale ci porta
a recuperare il soggetto comunitario.
La CEP fa crescere e accompagna i giovani. Ogni
giovane ha bisogno di una comunità come un
grembo materno in cui iniziare e approfondire
la propria vita e la propria fede. La strada che la
Chiesa ha individuato è quella della sinodalità,
che esprime e sottolinea la chiamata a cam-
minare insieme, a formare comunità correspon-
sabili, a imparare l’arte del discernimento. Que-
sto compito si concretizza nell’essere segno,
nel testimoniare e significare con la propria
vita la proposta del Regno; nell’andare a cer-
care i giovani, come strumento dell’iniziati-
va di Dio; nell’accogliere la realtà dei giovani,
i loro bisogni e le loro ricerche; nell’interroga-
re e proporre, nell’offrire esperienze e spazi in
cui i giovani possano incontrare Gesù; nell’ac-
compagnare il processo di apertura e di cre-
scita nella fede. Questo è ciò in cui ogni SDB
e ogni comunità deve credere.
Per questo non dobbiamo temere il progres-
sivo trasferimento di responsabilità ai laici negli
ambiti della missione, che oggi sono molto più
orizzontale e meno centralizzata nella comuni-
tà religiosa. Ciò indica che anche la vita stessa
della comunità (intergenerazionale, intercultu-
rale, con pochi membri...), che vive nel nucleo
animatore dell’Opera, ha bisogno di essere ridi-
segnata anche nella sua composizione, nell’or-
dine e nel volume di lavoro, nonché nei suoi
aspetti umani e relazionali con la CEP nel suo
complesso.
A questo proposito, si sottolinea ancora
una volta l’importanza dei due ambiti con-
creti in cui esprimiamo insieme il nostro cari-
sma come comunità: la vita fraterna con i
laici e con i giovani:
[a] Forme sempre più adeguate di vita fra-
terna con i giovani: nonostante la varietà del-
la missione, della composizione e della sto-
ria, in molte comunità c’è una buona qualità di
vita fraterna condivisa con i giovani. È cresciu-
ta la presenza e l’importanza di avere momenti
stabili o almeno frequenti di condivisione del-
la vita quotidiana con loro, siano essi destina-
tari diretti della missione o giovani animato-
ri-collaboratori.
Infatti, oggi sono fondamentali le piccole
storie, ovvero comunità intrise di vita e calore
affettivo, spazi di riferimento che ci sono vicini
quotidianamente, con proposte ed esperien-
ze di vita, fede e fraternità (profonde, vere,
durature).
Accanto ai momenti più strutturati di condi-
visione della vita, notiamo una costante atten-
zione all’accoglienza di tutti i giovani che quoti-
dianamente attraversano le nostre opere. Il sale-
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Don Miguel Ángel García Morcuende Il salesiano educatore pastore nella Comunità Educativa Pastorale
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siano è tenuto a essere là dove i giovani sono
(presenza), accompagnando e favorendo la loro
crescita, a partire da chi sta peggio (servizio),
instaurando una comunicazione interperso-
nale in cui i giovani si lasciano accompagnare
e interpellare da chi li accoglie e li ascolta (dia-
logo), condividendo più ciò che siamo e fac-
ciamo che ciò che diciamo (testimonianza) e
annunciando esplicitamente Gesù Cristo, faci-
litando l’emergere della fede nella vita dei gio-
vani (primo annuncio).
Nelle case è cresciuto anche il coinvolgimen-
to dei giovani nell’azione educativo-pastorale. In
molti luoghi, gli SDB hanno coinvolto i giovani
nella riflessione, nella progettazione e nell’ani-
mazione delle attività. Questa è la forma più
feconda di “formazione in missione” e permet-
te loro di maturare in un orizzonte di vita che
ha il sapore del discepolato e della carità pasto-
rale, oltre che nel cammino del discernimen-
to vocazionale.
[b] Forme sempre più adeguate di vita fra-
terna con i laici: stanno nascendo sempre più
esperienze di vita fraterna e di convivenza, in
particolare in momenti specifici della CEP (feste
salesiane, ritiri, eventi locali, ecc.).
Diventa necessario per l’SDB esercitare tut-
te le “micro-competenze” e le abilità necessarie
per stabilire relazioni umane positive: fiducia e
affidabilità, capacità di comunicazione, umil-
tà, prossimità, ascolto empatico, dialogo asser-
tivo, gestione dei conflitti manifesti e laten-
ti, pratica della condivisione dei sentimenti,
ecc. Il salesiano è chiamato a riconoscere, rin-
graziare, lodare e premiare i risultati raggiunti,
accompagnare le difficoltà, incoraggiare nuovi
apprendimenti. Non si tratta solo di “collabo-
razione” nell’azione educativo-pastorale, ma
di “comunione” di vita, di relazioni fraterne, di
affetto dichiarato, di responsabilità condivisa.
E tutto questo implica uno sforzo, soprattutto
nelle istituzioni educative, per saper armoniz-
zare l’”informalità” della vita fraterna e la “for-
malità” del rapporto di lavoro.
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2.4. Supporti istituzionali per il
discernimento dell’universo
educativo-pastorale della casa
Per dare concretezza alla complementarietà
e all’efficacia di ciascuno degli attori coinvolti
nell’azione educativo-pastorale, occorre pre-
stare particolare attenzione al Consiglio della
CEP/Opera e, dove esistono, alle varie équipe,
gruppi o consigli, affinché non siano solo luo-
ghi organizzativi in cui si armonizzano tempi
e spazi. È promettente poter disporre di spa-
zi collegiali in cui discernere le opportunità
di vita fraterna per salesiani, giovani e laici.
Uno degli obiettivi del Consiglio CEP/Opera
è la progettazione e la programmazione con-
divisa tra salesiani e laici. Un esercizio che va
oltre le personalità pastorali, le improvvisazio-
ni e le intuizioni gratuite. Una gestione effica-
ce e obbediente ai PEPS locali mira non solo
a definire l’organigramma e il mansionario di
ciascuno, ma anche a promuovere il rinnova-
mento della prassi pastorale in ogni contesto,
a formulare i criteri ispiratori delle varie azioni
educativo-pastorali, a dinamizzare l’operativi-
tà delle strutture organizzative e a coordinare
l’apporto differenziato di ogni singolo mem-
bro della CEP nei vari ambiti dell’azione pasto-
rale nel suo complesso.
Tutto ciò può richiedere anche nuove armo-
nizzazioni tra gli organi collegiali: nel Consiglio
della CEP/Opera (che anima e orienta tutta l’a-
zione salesiana attraverso la riflessione, il dia-
logo, la programmazione e la revisione dell’a-
zione educativo-pastorale) si elaborano e matu-
rano le decisioni (fase consultiva); nel Consiglio
della Casa (fase deliberativa) si prendono le deci-
sioni, si riflette e si decide in collaborazione con
il direttore nell’esercizio della sua funzione di
primo responsabile della CEP. Nelle Opere affi-
date ai laici, la prima fase è già deliberativa. In
altre parole, si tratta di un processo di costru-
zione del consenso: le decisioni sono il risul-
tato dell’interazione, dal basso e dall’interno.
Tutto questo cambiamento comporta una
certa dose di perdita e di ansia. Perdita per-
ché questa nuova articolazione implica “disap-
prendere” credenze e pratiche profondamen-
te accettate e vissute. D’altra parte, ansia per-
ché, nel passaggio da un modello in cui solo i
salesiani avevano “voce e voto” a un modello
diversificato, può produrre nervosismo e insi-
curezza almeno temporanea. Alcuni salesiani
si trovano di fronte a cambiamenti che richie-
dono di mettere in discussione o di sfidare cre-
denze e pratiche da tempo consolidate.
2.5. Maggiore razionalizzazione degli
operatori pastorali a tutti i livelli.
Attraverso il POI, il PEPS o altri progetti,
ogni CEP cerca di mettere al servizio dei gio-
vani tutta l’immaginazione creativa e la lun-
gimiranza di cui è capace, Ma la program-
mazione intende anche introdurre nell’e-
sercizio della responsabilità pastorale una
maggiore razionalizzazione del lavoro a tut-
ti i livelli, affinché l’azione educativo-pasto-
rale sia adeguata ed efficace e non lascia-
ta all’intuizione del momento o alla libera
scelta e alle preferenze di pochi.
Ciò che, in ultima analisi, deve muovere ogni
programmazione o concretizzazione locale e/o
provinciale deve essere lo sforzo di individuare
e approfondire l’ottimizzazione delle risorse uma-
ne affinché, nel miglior modo possibile, salesia-
ni e laici possano agire con la massima effica-
cia, incidendo positivamente sull’educazione
e sull’evangelizzazione dei giovani. Per questo
motivo, dobbiamo essere attenti a due fattori:
[a] Non nascondiamo che la continua rota-
zione del personale e dei confratelli in prima
linea nei compiti educativi-pastorali (diretto-
ri, coordinatori, educatori, ecc.) mette a dura
prova la continuità dei processi educativi-pa-
storali. Contribuisce anche alla frammentazio-
ne, soprattutto quando c’è poca obbedienza
alla programmazione o i processi esistenti di
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corresponsabilità comunitaria non vengono
rispettati. A volte si ha l’impressione che ci sia-
no posizioni o incarichi transitori, di passag-
gio, in cui nuovi responsabili vengono conti-
nuamente licenziati e ammessi.
[b] In secondo luogo, è necessario un certo
equilibrio tra la vita comunitaria fraterna e la mis-
sione. Le nostre opere sono sempre più com-
plesse e questa difficoltà può minare la vita
comunitaria. Infatti, il divorzio tra vita frater-
na e missione è particolarmente presente in
quelle case dove la mole di attività rischia di
‘fagocitare’ tutto. Non dimentichiamo le paro-
le di P. H. Kolvenbach (Superiore Generale del-
la Compagnia di Gesù) ai gesuiti: “è abbastanza
contraddittorio che la missione che il Signore
ci ha affidato esaurisca tanti nostri compagni”
(Discorso alla Conferenza dei Provinciali euro-
pei, Manresa, 29 ottobre 1995).
In questo senso, essendo le due facce di una
stessa medaglia, è importante ridefinire il carico
di lavoro e di responsabilità del salesiano, spesso
sovradimensionati. In alcuni salesiani, la fun-
zione manageriale è vissuta a scapito dell’ani-
mazione pastorale e delle relazioni umane con
il personale. Il leader di successo deve saper
coniugare funzione e attitudine. La complessi-
tà della gestione delle nostre opere (dal punto
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di vista gestionale, amministrativo, carismatico
e pastorale) richiede di trovare il giusto equili-
brio per una vita umanamente sana, evangeli-
camente impegnata e pastoralmente efficace.
D’altra parte, essere attenti alla cultura dell’au-
torealizzazione del salesiano, che genera iden-
tificazione con il ruolo, riduce la disponibilità
alla missione.
Il progetto comunitario, essendo uno stru-
mento abbastanza diffuso, a volte si riduce tal-
volta a un mero calendario di impegni e attività
e non mette in moto le dinamiche di crescita
necessarie al benessere della comunità. In pra-
tica, manca un sano equilibrio tra le esigenze
della vita apostolica e le condizioni necessarie
per il benessere della vita comunitaria. D’altra
parte, dovrebbe essere integrato con gli altri
due progetti: quello personale e quello della
presenza salesiana (PEPS locale).
2.6. L a pastorale integrata richiede momenti
di intensa formazione congiunta
Sentiamo il bisogno crescente di una forma-
zione condivisa che si inserisca nella vita edu-
cativa e pastorale dell’Opera. La formazione è
cura e tempo costante, come il lavoro dell’agri-
coltore o dell’artigiano; è coltivare per radica-
re, per far crescere; non è solo un’azione intel-
lettuale. Ogni persona nel corso della sua vita
è infatti, allo stesso tempo, formatore e for-
mando, educatore ed educando.
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Don Miguel Ángel García Morcuende Il salesiano educatore pastore nella Comunità Educativa Pastorale
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D’altra parte, l’aggiornamento dei confratel-
li è molto limitato, il più delle volte facoltati-
vo, poco incisivo e poco attraente per la vita
ministeriale, spesso lasciato alla libera inizia-
tiva dei singoli. Non essere formati è un pec-
cato tollerato, spesso addirittura giustificato
dal numero di impegni che i salesiani hanno
per le mani. Resta vero, però, che la forma-
zione permanente non può essere concepita
come un “fai da te”, una sorta di autogestio-
ne, ma richiede impulsi organizzati e propo-
ste ben strutturate.
Vediamo un’urgente e indispensabile neces-
sità di formazione dei ruoli di responsabilità,
sia salesiani che laici, nelle nostre opere sale-
siane: abbiamo bisogno di persone carisma-
ticamente e vocazionalmente individuate. In
molti casi, sarà opportuno ripensare gli itine-
rari formativi, affinché i percorsi pensati per
tutti i membri della missione salesiana siano
seri e profondi come quelli previsti per i can-
didati alla vita religiosa.
La formazione educativo-pastorale non si
colloca al di fuori, al di sopra o al di sotto del-
le altre dimensioni (umane o spirituali), ma si
pone al loro specifico scopo. Per formazio-
ne educativo-pastorale, infatti, non inten-
diamo la capacità di apprendere tecniche o
metodologie, di familiarizzare con la pras-
si di esperienze sempre nuove, ma soprat-
tutto di educarsi a un modo di essere che
orienti l’intera persona allo stile del pasto-
re. Essere pastori, infatti, implica un’uma-
nità adulta, una freschezza spirituale, una
paternità nell’amore.
D’altra parte, persistono notevoli difficoltà,
dovute alla mancanza di confratelli formati in
vari campi che interessano la vita e la missio-
ne salesiana (ad esempio, nel campo della for-
mazione professionale). In molti casi, si trat-
ta di superare concetti e pratiche obsolete,
ripetizioni di routine, neutralizzando disper-
sioni o improvvisazioni causate dall’inerzia o
dall’urgenza dei problemi che spesso afflig-
gono il compito della vita quotidiana.
2.7. Incontro, ascolto e discernimento:
parole chiave per ripensare la densità
carismatica delle opere salesiane.
“Incontrare”, “ascoltare” e “discernere insie-
me”: questi verbi ci invitano a chiedere cosa il
Signore vuole da noi. È l’ordine coerente di un
unico processo di ascolto della volontà di Dio.
Azioni che mettono in discussione l’adattabili-
tà dei salesiani alle mutate condizioni ambien-
tali ed educative che si presentano in modo
inedito rispetto al recente passato.
D’altra parte, con il ritmo frenetico della
vita dei confratelli e il numero di questioni da
affrontare ogni giorno, impegnarsi nella rifles-
sione diventa quasi un lusso. Spesso si svilup-
pa una sindrome da “pronto soccorso” e si vive
solo per le emergenze. Tuttavia, la storia non
si ferma, anche se alcuni hanno deciso di get-
tare l’ancora.
Tutto ciò richiede un cammino di discerni-
mento che deve portare a un adeguato rin-
novamento dei nostri processi, procedure e
modi di agire e di situarci nella missione, dei
nostri stili di vita, della nostra capacità di com-
prendere il mondo in cui viviamo, insomma di
curare tutto ciò che ci aiuta a crescere e a esse-
re più fedeli al carisma. Discernere è decide-
re con un orizzonte, guardando oltre se stes-
si, il proprio benessere, la propria comodità, i
propri affetti.
Discernimento significa, da un lato met-
tere in “crisi”, “testare” il nostro pen- siero
e la nostra missione educativo-pastorale,
dando continuità a ciò che facciamo bene e
rimuovendo ciò che non è più utile e, quin-
di, irriconoscibile per i giovani di oggi; dall’al
tro, “mettere in discussione” (sottoporre a
giudizio) il nostro modo di stare nelle Ope-
re, perché la routine e l’inerzia sono spes-
so fuorvianti.
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12 FLASH • Settembre 2023
SETTORE PASTORALE GIOVANILE Salesiani di Don Bosco Sede Centrale Salesiana
In breve, è tempo di passare dall’analisi alla
sintesi delle possibili soluzioni:
–– Considerare la possibilità di nuovi modelli di
vita fraterna, condivisi con i giovani.
–– Promuovere il fatto che più opere che lavo-
rando in modo sinergico e integrato posso-
no riferirsi a un’unica comunità salesiana. Tra
le ragioni essenziali c’è la necessità di salva-
guardare soprattutto il criterio comunita-
rio, cioè il desiderio di poter avere comunità
significative e sostenibili, oggi troppo grava-
te da carichi di lavoro non sempre equilibra-
ti e da una vita apostolica che fatica a con-
nettersi con la vita comunitaria.
–– Stimolare un profondo discernimento del-
le Opere, perché siano espressione fedele e
creativa del carisma, privilegiando le opere
(settori, corsi, attività) che sono l’espressio-
ne più diretta della carità pastorale con i gio-
vani. Sarà quindi necessario chiuderne gra-
dualmente alcune, innovarne altre e/o aprir-
ne di nuove.
–– Considerare la gestione laica delle opere. Que-
sta formula prevede già una verifica appro-
fondita, ma come Congregazione abbiamo
offerto uno strumento di riflessione per
ripensare questo modello gestionale di affi-
damento ai laici e per definire meglio i com-
piti e le mansioni. Allo stesso tempo, è fon-
damentale garantire il legame e la responsa-
bilità dell’ispettoria attraverso uno o più SDB
che abbiano la funzione di accompagnamen-
to, per assicurare la continuità carismatica.
•••
Grazie al carisma salesiano, che coniuga spi-
ri- tualità e servizio educativo-pastorale, l’SDB
vive tra la gente, dedicandosi alla relazione con
Dio e al servizio dei giovani. È una vita che si
apre a una testimonianza di armonia e sere-
nità, che diventa anche un percorso profeti-
co nei diversi contesti in cui siamo incarnati.
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