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FLASH • Luglio 2024 SETTORE PASTORALE GIOVANILE Salesiani di Don Bosco • Sede Centrale Salesiana
Tra le espressioni più ripetute nei testi biblici
c’è senza dubbio “non temere” (circa 41 volte
nell’Antico Testamento e 27 nel Nuovo Testa-
mento). Pronunciata prevalentemente da Dio
o da uno dei suoi messaggeri, essa introduce,
nella maggior parte dei casi, una chiamata voca-
zionale. Vale a dire, un invito alla realizzazione
di un progetto di vita che coinvolge totalmente
la persona che lo riceve. L’aspetto interessante
è che un senso di smarrimento invade spes-
so il destinatario del messaggio.
La paura a volte si trasforma in resistenza
ad affrontare i propri sogni per timore di fal-
lire, di non essere all’altezza, del giudizio degli
altri, di tradire le aspettative che hanno riposto
in noi. In altre parole, è la vertigine di conciliare i
desideri per il futuro e l’incertezza del presente.
Geremia implora: “Ahimè, Signore Dio! Ecco,
io non so parlare, perché sono giovane” (Ger
1,6); Isaia reagisce allo stesso modo: “Ohimè!
Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra
impure io sono e in mezzo a un popolo dalle
labbra impure io abito; eppure i miei occhi han-
no visto il re, il Signore degli eserciti” (Is 6,5), e
molti altri. Tutti misurano l’enorme sproporzio-
ne che esiste tra ciò che Dio chiede e la realtà in
cui la persona si trova, e questo la fa tremare.
Gesù ci invita ripetutamente a non avere
paura, a non lasciarci paralizzare dalla verti-
gine delle decisioni, perché agli occhi di Dio
valiamo molto e come Padre si preoccupa e
si prende cura di noi.
[c] In altre parole, la grandezza del progetto
di Dio sui giovani li fa sentire inadeguati e mai
preparati ad affrontarlo. «Avevo solo nove anni
- scriveva don Bosco - chi mi stava chiedendo
di fare una cosa impossibile?». Il santo torine-
se arrivò poco a poco a comprendere il sogno
del 1825. Solo nel 1846 don Cafasso gli con-
sigliò di dare credito ai suoi sogni come parte
di un disegno divino a beneficio delle anime.
Come in questo caso, anche noi dovremmo
accompagnare i giovani affinché non dubiti-
no dell’efficacia della promessa del Signo-
re che permette loro di “puntare in alto”.
La forza della gioventù è questa: possede-
re la capacità di sognare così in grande da resi-
stere anche alle delusioni più forti. È la forza di
un’età fatta per sognare le grandi cose per cui
si è venuti al mondo, senza curarsi di ciò che
diranno gli altri, della paura di rischiare o della
tentazione di cedere agli altri.
Quante volte, come alla fine della narrazio-
ne del sogno di Don Bosco dei 9 anni, ci sono
state offerte diverse interpretazioni di ciò che
sogniamo? Nel caso di Don Bosco, i suoi fami-
liari hanno letto il suo sogno a partire da pro-
spettive diverse: dal disfattismo (il fratello Giu-
seppe), dallo scetticismo della nonna (chissà se
era un desiderio di bambino, un piccolo slan-
cio di generosità) o, infine, dalla speranza (la
madre, “forse diventerai sacerdote”).
Come Mamma Margherita, Papa France-
sco afferma che “un giovane non può esse-
re scoraggiato, la sua caratteristica è sogna-
re grandi cose, cercare orizzonti ampi, osare
di più, avere voglia di conquistare il mon-
do, saper accettare proposte impegnative e
voler dare il meglio di sé per costruire qual-
cosa di migliore” (Christus Vivit, 15).
Nel sogno di Dio ci siamo tutti
[a] Dio ci chiama per nome perché ci ama.
I discepoli vengono chiamati uno ad uno per
nome, segno distintivo della loro unicità. In
questa chiamata sperimentano una relazione
profonda e intima con Lui, si sentono amati;
ed è proprio in funzione di questo amore, nato
da una relazione così speciale, che i discepoli
prendono la decisione di seguire Gesù. Lo fan-
no con radicalità, attraverso il coinvolgimen-
to di tutta la persona, senza secondi fini, dan-
do una svolta alla propria vita. Questa irrever-
sibilità della risposta alla chiamata di Gesù dà
inizio al progetto di Dio e alla missione a cui
ciascuno è chiamato a partecipare.
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