6_dovediocivuole_ita


6_dovediocivuole_ita

1 Pages 1-10

▲back to top

1.1 Page 1

▲back to top
FLASH
Animazione Pastorale Giovanile Salesiana
Numero 6. Luglio 2023
Dove Dio ci vuole
Accompagnare i primi
sogni vocazionali
Don Miguel Ángel García Morcuende
Consigliere Generale Pastorale Giovanile
SETTORE PASTORALE GIOVANILE
Salesiani di don Bosco SEDE CENTRALE SALESIANA

1.2 Page 2

▲back to top
Dove Dio ci vuole
Accompagnare i primi sogni vocazionali
Don Miguel Ángel García Morcuende
Consigliere Generale Pastorale Giovanile
1 Una chiamata vocazionale
sotto forma di sogno
[a] Nessun sogno è banale. I sogni sono impor-
tanti e hanno sempre caratterizzato una par-
te della vita umana. Nell’antichità si crede-
va che i sogni permettessero di comunicare
con il soprannaturale. Oggi la scienza dice che
manifestano le profondità della personalità.
Non c’è molta distanza tra le due idee: Dio è
davvero all’opera nelle profondità dell’esse-
re umano. Gli israeliti credevano che i sogni
rivelassero messaggi, profezie e visioni divi-
ne; chi era in grado di interpretarli godeva di
grande prestigio.
Oggi parliamo anche di sogni a occhi aper-
ti, quei sogni che coltiviamo senza necessaria-
mente dormire e che potrebbero caratteriz-
zare il nostro futuro. Ma ci siamo chiesti qual-
che volta che cosa significhi sognare? Non è
forse vero che tutti abbiamo sognato ad
occhi aperti, smuovendo così i nostri cuori
e il nostro futuro?
L’evocazione del sogno dei nove anni da par-
te di Don Bosco si trova nelle Memorie dell’Ora-
torio, uno dei suoi scritti più personali. Il mano-
scritto di quest’opera fu redatto nel periodo
1873-1875 e completato negli anni 1877-1879.
Si tratta, tra l’altro, di un’ispirazione per com-
prendere quella prima chiamata soprannaturale
avvertita da un giovane. Nelle sue stesse parole:
“Quando, nel 1858, andai a Roma per trat-
tar col Papa della Congregazione Salesiana,
egli si fece minutamente raccontare tutte le
cose che avessero anche solo apparenza di
soprannaturali. Raccontai allora per la pri-
ma volta il sogno fatto in età di nove in dieci
anni. Il Papa mi comandò di scriverlo nel suo
senso letterale, minuto e lasciarlo per inco-
raggiamento ai figli della Congregazione.”
sdb.org Via Marsala 42 - 00185 Roma • Centralino: (+39) 06 656 121 • Email: pastorale@sdb.org

1.3 Page 3

▲back to top
Don Miguel Ángel García Morcuende Dove Dio ci vuole
3
Fortunatamente, guardare all’esperienza del-
la nascita della vocazione di Don Bosco può
aiutarci a comprendere meglio questa chiama-
ta che “rimase profondamente impressa nel-
la mente per tutta la vita”. Quante esperienze,
sotto forma di sogno o reali, sono rimaste pro-
fondamente impresse nella nostra biografia?
Il racconto di Don Bosco assume la forma di
un insegnamento pedagogico. In altre parole,
se fotografiamo questo momento, il sogno con-
tiene, al suo centro, un potenziale sufficiente per
capire un po’ meglio il modo di accompagnare i
giovani nel loro cammino vocazionale.
[b] La prima cosa che salta all’occhio è che il
sogno è un “genere letterario” che ci permet-
te di trasformare qualcosa di ordinario, che
sia accaduto o meno, in qualcosa di assolu-
tamente straordinario, agli occhi e alle orec-
chie di coloro che lo ascoltano. Nel racconto
autobiografico della chiamata vocazionale di
Don Bosco appaiono semplici espressioni di un
ragazzo che vuole studiare, diventare sacerdo-
te, che vuole stare con i suoi amici, aiutarli, fare
loro del bene e insegnare loro il catechismo. L’e-
pisodio gli indica: il campo di lavoro (animali
selvaggi, simbolo di giovani abbandonati e in
pericolo); il metodo educativo (non con le per-
cosse, ma con la mansuetudine e la carità); le
qualità dell’educatore (umile, forte e robusto),
la Maestra e il suo aiuto (la Vergine, sua madre)
e i frutti (agnelli mansueti e felici).
Molti giovani non sanno che Dio ha un sogno
per ognuno di loro, un progetto su misura. Die-
tro il sogno di Dio c’è sempre un’enorme gio-
ia. Il segreto della tanto desiderata felicità è
proprio l’incontro e la corrispondenza di due
sogni: il nostro e quello di Dio.
Da qui il significato dei sogni nel mondo dei
giovani: in essi risiede la loro felicità. Ecco per-
ché è importante accompagnare queste prime
chiamate che aprono la strada a un progetto
di vita e alla sua realizzazione. La conclusione
è chiara: smettere di sognare porta a un defi-
cit vocazionale.
2 La vocazione è un gioco di
grazia e libertà
Siamo e viviamo con le decisioni e i
cambiamenti
[a] Ci sono molti modi di vivere la propria esi-
stenza, ma solo alcuni di essi rendono grande
una persona e lasciano un senso di realizza-
zione. Hanno a che fare con le scelte e i cam-
biamenti che facciamo e che guidano la nostra
vita e le nostre azioni. Non sono le nostre qua-
lità a definirci, ma le nostre scelte.
Dato che “il tempo è superiore allo spazio”
(Evangelii Gaudium, 222), dobbiamo avviare e
accompagnare processi di animazione voca-
zionale, non imporre percorsi. E questi sono
processi di persone sempre uniche e libere.
In questa avventura di scoperta della propria
vocazione non servono emozioni forti, ma umi-
li certezze che aiutino a prendere decisioni sen-
sate e coerenti. L’importanza di questo dato è
rafforzata dal fatto che nel decidere (spesso si
tratta di piccole decisioni) facciamo delle scelte
e cresciamo perché orientiamo la nostra vita,
le diamo una direzione.
Il frutto dell’accompagnamento non è deci-
dere tra il “sì” e il “no”. Alla fine, le risposte per-
sonali devono essere orientate verso un “sì” a
qualcosa. Cercare con autenticità la volontà di
Dio su di me deve portarmi ad assumere un
sì, una risposta positiva a un progetto di vita.
[b] “Sentire una vocazione” verso qualcosa
e sceglierla significa percepirsi come invitati
da una realtà di valore che dà senso alla pro-
pria vita. Indubbiamente, nella vita, scegliere,
sognare, decidere, sono cose che implicano l’as-
sunzione di responsabilità per le conseguenze
di quella scelta. Tutto ciò produce ansia, disa-
gio e persino paura, soprattutto quando sono
in gioco questioni fondamentali come quale
università scegliere, quale mondo del lavoro
esplorare, quale stato di vita assumere.
sdb.org Via Marsala 42 - 00185 Roma • Centralino: (+39) 06 656 121 • Email: pastorale@sdb.org

1.4 Page 4

▲back to top
4
FLASH • Luglio 2024 SETTORE PASTORALE GIOVANILE Salesiani di Don Bosco Sede Centrale Salesiana
Tra le espressioni più ripetute nei testi biblici
c’è senza dubbio “non temere” (circa 41 volte
nell’Antico Testamento e 27 nel Nuovo Testa-
mento). Pronunciata prevalentemente da Dio
o da uno dei suoi messaggeri, essa introduce,
nella maggior parte dei casi, una chiamata voca-
zionale. Vale a dire, un invito alla realizzazione
di un progetto di vita che coinvolge totalmente
la persona che lo riceve. L’aspetto interessante
è che un senso di smarrimento invade spes-
so il destinatario del messaggio.
La paura a volte si trasforma in resistenza
ad affrontare i propri sogni per timore di fal-
lire, di non essere all’altezza, del giudizio degli
altri, di tradire le aspettative che hanno riposto
in noi. In altre parole, è la vertigine di conciliare i
desideri per il futuro e l’incertezza del presente.
Geremia implora: “Ahimè, Signore Dio! Ecco,
io non so parlare, perché sono giovane” (Ger
1,6); Isaia reagisce allo stesso modo: “Ohimè!
Io sono perduto, perché un uomo dalle labbra
impure io sono e in mezzo a un popolo dalle
labbra impure io abito; eppure i miei occhi han-
no visto il re, il Signore degli eserciti” (Is 6,5), e
molti altri. Tutti misurano l’enorme sproporzio-
ne che esiste tra ciò che Dio chiede e la realtà in
cui la persona si trova, e questo la fa tremare.
Gesù ci invita ripetutamente a non avere
paura, a non lasciarci paralizzare dalla verti-
gine delle decisioni, perché agli occhi di Dio
valiamo molto e come Padre si preoccupa e
si prende cura di noi.
[c] In altre parole, la grandezza del progetto
di Dio sui giovani li fa sentire inadeguati e mai
preparati ad affrontarlo. «Avevo solo nove anni
- scriveva don Bosco - chi mi stava chiedendo
di fare una cosa impossibile?». Il santo torine-
se arrivò poco a poco a comprendere il sogno
del 1825. Solo nel 1846 don Cafasso gli con-
sigliò di dare credito ai suoi sogni come parte
di un disegno divino a beneficio delle anime.
Come in questo caso, anche noi dovremmo
accompagnare i giovani affinché non dubiti-
no dell’efficacia della promessa del Signo-
re che permette loro di “puntare in alto”.
La forza della gioventù è questa: possede-
re la capacità di sognare così in grande da resi-
stere anche alle delusioni più forti. È la forza di
un’età fatta per sognare le grandi cose per cui
si è venuti al mondo, senza curarsi di ciò che
diranno gli altri, della paura di rischiare o della
tentazione di cedere agli altri.
Quante volte, come alla fine della narrazio-
ne del sogno di Don Bosco dei 9 anni, ci sono
state offerte diverse interpretazioni di ciò che
sogniamo? Nel caso di Don Bosco, i suoi fami-
liari hanno letto il suo sogno a partire da pro-
spettive diverse: dal disfattismo (il fratello Giu-
seppe), dallo scetticismo della nonna (chissà se
era un desiderio di bambino, un piccolo slan-
cio di generosità) o, infine, dalla speranza (la
madre, “forse diventerai sacerdote”).
Come Mamma Margherita, Papa France-
sco afferma che “un giovane non può esse-
re scoraggiato, la sua caratteristica è sogna-
re grandi cose, cercare orizzonti ampi, osare
di più, avere voglia di conquistare il mon-
do, saper accettare proposte impegnative e
voler dare il meglio di sé per costruire qual-
cosa di migliore” (Christus Vivit, 15).
Nel sogno di Dio ci siamo tutti
[a] Dio ci chiama per nome perché ci ama.
I discepoli vengono chiamati uno ad uno per
nome, segno distintivo della loro unicità. In
questa chiamata sperimentano una relazione
profonda e intima con Lui, si sentono amati;
ed è proprio in funzione di questo amore, nato
da una relazione così speciale, che i discepoli
prendono la decisione di seguire Gesù. Lo fan-
no con radicalità, attraverso il coinvolgimen-
to di tutta la persona, senza secondi fini, dan-
do una svolta alla propria vita. Questa irrever-
sibilità della risposta alla chiamata di Gesù dà
inizio al progetto di Dio e alla missione a cui
ciascuno è chiamato a partecipare.
sdb.org Via Marsala 42 - 00185 Roma • Centralino: (+39) 06 656 121 • Email: pastorale@sdb.org

1.5 Page 5

▲back to top
Don Miguel Ángel García Morcuende Dove Dio ci vuole
5
Ogni giovane, inoltre, è prezioso non solo
perché Dio lo ama, ma anche perché lo ha cre-
ato: per ognuno c’è un progetto. La vocazione è
intesa, in una lettura di fede, come il processo
di scelta personale che porta a una scelta. Nel
caso di San Giovanni Bosco, il sogno dell’età di
9 anni lo ha accompagnato per tutta la vita, lo
ha motivato, lo ha costretto a pensare e ad agi-
re. Dal punto di vista della fede, questo proces-
so è un atto di fede in cui “scegliere” è “essere
scelti” da Dio, associati ad altri e protetti nella
fedeltà di colui che, con la sua grazia, ha anti-
cipato la nostra risposta.
Tutte le scelte di vita, di qualsiasi tipo e a
qualsiasi età, sono una risposta a una voca-
zione, un dono immeritato, non un’altra
fatica. Obbedisce alla felicità. La vocazione è
una scelta (di Dio) per la nostra felicità, una
risposta da parte nostra per sentirci amati.
E l’amore è ossigeno, dà vita, genera e rige-
nera vita. Raddoppia la vita: è possibile per
tutti vivere una vita migliore.
Sì, la vita di ognuno ha un significato mera-
viglioso, ma bisogna anche dire che la vita che
Dio ha sognato per noi non corrisponde a una
vita di prestigio o di protagonismo sociale. Solo
un sognatore come Don Bosco poteva ispira-
re altri a lasciare tutto per dedicare la propria
vita, senza riconoscimenti o gloria, al servizio
dei giovani più poveri.
[b] Ecco perché spesso abbiamo bisogno
di ricaricare la nostra forza e il nostro corag-
gio. Questi derivano dalla perseveranza nei
momenti difficili della realizzazione dei
nostri sogni: il dolore è lo scalpello che fa usci-
re l’opera d’arte dal legno. I diamanti si formano
nelle viscere della terra, sottoposti a pressioni
e temperature inimmaginabili. Questo significa
che non dobbiamo scartare nulla delle nostre
esperienze, perché c’è una grazia in ogni cosa,
anche in ciò che non abbiamo ancora com-
preso e, di conseguenza, di cui non abbiamo
ancora beneficato.
I sogni di Dio non si realizzano automatica-
mente come per “magia”. Il vero segreto per rea-
lizzare i sogni è il desiderio appassionato. Rag-
giungiamo davvero i nostri obiettivi non quando
evitiamo le difficoltà, ma quando impariamo ad
affrontarle senza scorciatoie. Fiducia, pazienza,
moderazione, tenacia, capacità di cambiamen-
to… sono tutti ingredienti per poter collaborare
alla realizzazione del grande sogno che Dio ha
per ciascuno di noi. In definitiva: sarebbe ovvia-
mente da ciechi non comprendere che la voca-
zione non la può scoprire nessuno dall’esterno.
La dinamica dell’incontro con il Signore è pro-
prio questa: cercare, seguire, abitare. Questi
sono anche gli atteggiamenti essenziali per
conoscere e vivere l’amore. L’amore si cerca
con desiderio; bisogna seguirlo per strade, a
volte faticose e piene di contraddizioni, ma se
lo si segue, alla fine si arriva a conoscerlo e in
esso si rimane, si abita.
3 Servire il giovane nel luogo in
cui si lascia incontrare da Dio
La Congregazione Salesiana è una famiglia
ecclesiale giovane, in età vocazionale. Sareb-
be un grave errore tacere o svalutare la propo-
sta vocazionale; crediamo che Dio continui a
chiamare! La vocazione è una questione che
riguarda ogni persona e ogni cristiano. È un
termine con un’unica radice e ampi orizzonti.
La vocazione dà una direzione alla vita, facili-
ta il vivere l’alterità, non ha un senso restritti-
vo, riferito solo a chi segue il Signore sulla via
della consacrazione. La domanda è: qual è il
mio contributo nel mondo?
Il nostro carisma salesiano contiene nelle
sue profondità un potenziale sufficiente per
generare un’ampia proposta vocazionale alle
nuove generazioni. Questo è allo stesso tempo
un dono e una sfida. Ovviamente, implica che
la qualità dell’accompagnamento e, come altra
faccia della medaglia, il discernimento vocazio-
nale siano trattati con attenzione: l’accompa-
sdb.org Via Marsala 42 - 00185 Roma • Centralino: (+39) 06 656 121 • Email: pastorale@sdb.org

1.6 Page 6

▲back to top
6
FLASH • Luglio 2024 SETTORE PASTORALE GIOVANILE Salesiani di Don Bosco Sede Centrale Salesiana
gnamento vocazionale deve essere davvero
un orientamento affinché la persona scopra e
si renda conto dell’autenticità della chiamata.
Nell’animazione vocazionale e nel servi-
zio di accompagnamento non si esclude a
nessuno. Ogni battezzato è stato chiamato
dal Signore a donare la propria vita in modi
diversi. Ma la scelta di una vocazione con-
sacrata richiede una buona dose di discer-
nimento e maturità delle motivazioni. È
un progetto di vita che non ha come obiet-
tivo solo il benessere temporale, né la sod-
disfazione di fare qualcosa di utile, e nem-
meno il desiderio di avere la coscienza puli-
ta. Si accompagnano credenti totalmente
dedicati al servizio del Vangelo, che ricevo-
no una chiamata dal Signore, dedicandosi
“a tempo pieno” alla missione della Chiesa,
che hanno ricevuto da Cristo.
Per questo motivo, i sogni vocazionali por-
tano con sé una promessa e una missione, ma
necessitano anche di un percorso di interpre-
tazione, purificazione e chiarificazione.
Da dove cominciare? Quali sono i criteri per
accompagnare un giovane che sente una chia-
mata vocazionale? Qual è l’itinerario del viag-
gio? È compito dei piloti individuare le coor-
dinate sulle quali si vola e verso cui dirigersi. Il
terreno che abbiamo sorvolato nell’accompa-
gnamento vocazionale iniziale è già noto, ma
va ripensato nel tempo e nello spazio di oggi.
Inquadriamo questa pedagogia vocaziona-
le a partire da tre coordinate che potrebbero
essere tracciate, come un piano cartesiano, per
interpretare verso che direzione ci dobbiamo
muovere. Possiamo dire che l’accompagnamen-
to dei chiamati è inteso come un itinerario che
fa perno su un CONTESTO (la corrisponden-
za alla grazia), un ACCOMPAGNANTE (l’ascolto
di Dio che chiama in modo mediato) e un’A-
ZIONE (il discernimento). Ogni sogno vocazio-
nale si intreccia e si costruisce a poco a poco
attorno a questi tre elementi.
Una relazione incentrata in un contesto: il
proprio processo vocazionale
[a] È raro che qualcuno abbia una vita spiritua-
le ben strutturata all’inizio del suo cammino
vocazionale. Normalmente il giovane ha diverse
motivazioni valide: il servizio agli altri, soprat-
tutto ai più poveri; l’impegno per i giovani; il
gusto per la liturgia; l’esempio da imitare di
un sacerdote o di una comunità; alcune espe-
rienze significative che mettono in moto tutte
le forze interiori (un ritiro spirituale, una cele-
brazione gioiosa, un incontro giovanile, ecc.).
Questa mescolanza di motivazioni è norma-
le all’inizio... ma deve essere accompagnata
da un’esperienza minima di fede, da un’at-
trazione spirituale di fondo, da una “inclina-
zione del cuore” (Christus Vivit, 294) che si
avverte anche se non si può definire o spie-
gare pienamente.
La domanda centrale da porsi è: tra que-
ste diverse motivazioni, c’è qualche segno
che ha a che vedere con Dio? C’è qualche
esperienza, qualche inquietudine spiritua-
le interiore, un desiderio o un’intuizione di
Dio? Nell’espressione delle motivazioni,
la vita teologale appare con semplicità o
è qualcosa di fittizio?
Per dirla con le parole di Don Bosco: “Ognu-
no può scegliere quello che gli sta più a cuore,
più adatto alle sue forze fisiche e morali, pren-
dendo consiglio da persona pia, dotta e pru-
dente”. Però, “devono tutte partire da un pun-
to e tendere al medesimo centro che è Dio”
(G. Bosco, Lettera 17 giugno 1879, in Episto-
lario III, p. 476).
Questo nucleo già presente nella persona-
lità di un giovane può essere coltivato, purifi-
cato e liberato, ma non può essere “scoperto”
in un secondo momento.
[b] L’accompagnamento dei primi sogni è
una relazione centrata sul “processo vocazio-
nale storico” che il giovane attraversa fino alla
presa di una decisione. Questo processo inin-
sdb.org Via Marsala 42 - 00185 Roma • Centralino: (+39) 06 656 121 • Email: pastorale@sdb.org

1.7 Page 7

▲back to top
Don Miguel Ángel García Morcuende Dove Dio ci vuole
7
terrotto porta lucidità e forza motivazionale al
giovane; ma la cosa più importante è che egli
verosimilmente già ha un’esperienza di Dio
che gli ha permesso di percepire in qualche
modo la sua chiamata (non che sia già chia-
ra; ma, con le sue difficoltà e i suoi dubbi, ha
preso la prima decisione di lasciarsi aiutare).
L’esperienza vocazionale inizia con il fenome-
no che possiamo chiamare “stupore”. Si tratta,
quindi, di un processo in cui all’inizio c’è per-
plessità, qualcosa di singolare che accade nella
persona, qualcosa che viene dall’esterno, non
come risultato di un’iniziativa personale. Isa-
ia sperimenta un profondo senso di pienez-
za (Is 6,1-5): lo strascico della veste riempie il
tempio, il fumo copre tutto, la gloria riempie la
terra, l’uomo ne è sopraffatto! Non sa nemme-
no come interpretarla. Il giovane si presenta
con esperienze o risonanze interiori (“luci”
e “mozioni”, di cui parla la tradizione cristiana)
che devono essere decifrate per riconoscere
la voce del Signore e distinguerla da altre voci
dissonanti.
La presenza irresistibile di Dio non è coerciti-
va, ma dell’ordine del fascino e dell’attrazione:
“Non vado a Dio trascinato, ma attirato” (cf. Gv
6,44) dal suo amore. Anche in modo incipien-
te, deve essere percepibile che è il Dio di Gesù -
incarnato e impegnato - ad attrarre e non i tan-
ti altri “guadagni” che si possono immaginare
seguendo il Signore su questa strada.
Per questo, uno dei compiti importanti
dell’accompagnamento oggi è servire la per-
sona nel luogo in cui si lascia incontrare da
Dio. È Lui che conosce ogni persona per nome,
che agisce in ognuno di noi in modo unico e
irripetibile.
Qualcuno di importante pronuncia o addirittu-
ra grida a gran voce il nostro nome. In ogni caso,
è innegabile che tutti siamo chiamati, è vero,
ma non tutti siamo chiamati allo stesso modo.
sdb.org Via Marsala 42 - 00185 Roma • Centralino: (+39) 06 656 121 • Email: pastorale@sdb.org

1.8 Page 8

▲back to top
8
FLASH • Luglio 2024 SETTORE PASTORALE GIOVANILE Salesiani di Don Bosco Sede Centrale Salesiana
[c] Per diventarne consapevoli, ci troviamo
dinanzi la necessità di lavorare sulla vita inte-
riore in cui abita Dio. Non è un compito facile.
Per questo, educare all’interiorità, allo sguardo
contemplativo sulla vita e insegnare una lettura
credente della realtà per scoprire la voce, il vol-
to e la traccia di Dio nella storia e nella nostra
storia, costituiscono sfide inevitabili.
Questo “sentimento interiore” iniziale è già un
segno di chiamata. Il Signore fa grandi cose con
mezzi semplici. Poi, bisognerà distinguere se
esiste una dinamica di autenticità vocazionale.
Da un lato, la consapevolezza della chiamata;
dall’altro, la presenza di motivazioni vocazio-
nali. Quell’insieme di forze psichiche che spin-
gono ad agire in coerenza con la chiamata e a
mantenere una decisione: “cosa voglio e per-
ché lo voglio”. Le motivazioni valide e auten-
tiche, insieme alla consapevolezza della chia-
mata, spingono il giovane ad abbracciare la
vocazione in modo responsabile, dinamico e
in costante miglioramento.
La maturità vocazionale si decide, in
definitiva, per un atto di fede. È comun-
que importante ricordarlo. Solo a partire da
qui si mantengono uniti alcuni estremi oppo-
sti: la certezza di essere chiamato e la con-
sapevolezza della propria inadeguatezza; la
sensazione di perdere la vita e di trovarla in
un modo inimmaginabile; la grandezza del-
le proprie aspirazioni e il peso dei propri limi-
ti e delle proprie miserie; la grazia di Dio e la
natura umana; Dio che chiama e colui che è
chiamato che risponde.
Il realismo dei nostri primi sogni vocazio-
nali può manifestarsi in questa incertezza,
ma un sogno fuori dal comune richiede
una fede fuori dal comune.
Una mediazione rispettosa che privilegia
l’”incontro personale”
[a] Una relazione di accompagnamento pri-
vilegia l’”incontro personale”, uno strumento
a cui bisogna prestare una profonda attenzio-
ne. Il nostro obiettivo non deve essere solo
quello di conoscere la persona spirituale, ma
anche di integrare e unificare la sua storia per-
sonale. Questo aspetto non è sempre ogget-
to di attenzione esplicita, ma risulta di enor-
me importanza per comprendere il significato
dell’accompagnamento vocazionale.
La prima sensibilità o attenzione alla per-
sona è ascoltarla. Ella si dona a noi con le
sue parole. Il segno di questo ascolto è il tem-
po che dedico al giovane. Non è una questio-
ne di quantità, ma che “l’altro senta che il mio
tempo è suo” (Christus Vivit, 292). Deve sen-
tire che lo ascolto incondizionatamente, sen-
za offendermi, senza scandalizzarmi, senza
irritarmi, senza stancarmi.
Questo ascolto è quello che esercita il Signo-
re quando cammina con i discepoli di Emmaus
e li accompagna per un po’ di tempo su una
strada che andava nella direzione opposta a
quella corretta (cfr. Lc 24, 13-35). Piano si arriva
lontano: l’accompagnamento deve essere per-
sonalizzato e graduale, adattato alla situazione
e al ritmo del giovane.
Il nemico del cammino vocazionale iniziale
è ignorare la profondità del cuore. Siamo tutti
maestri dell’inganno, delle “trappole dello spi-
rito maligno” (Christus Vivit, 293): compulsioni,
ossessioni, reazioni sproporzionate, ferite e cre-
pe. Tutte queste cose, se non vengono elabo-
rate nel dialogo personale, diventano, a poco a
poco, crateri che ci impediscono di andare avan-
ti perché divorano tutti i nostri sforzi.
Dobbiamo aiutare a cogliere le oscillazioni
del “sismografo interiore” del giovane nel cam-
po della maturità umana che, come sappiamo,
attiva o ostacola l’azione della grazia. La pre-
occupazione della Madonna per la formazio-
ne umana di Giovannino - “Renditi umile, for-
te e robusto” - è ben radicata nell’accompa-
gnamento vocazionale fin dai primi passi del
suo cammino vocazionale.
sdb.org Via Marsala 42 - 00185 Roma • Centralino: (+39) 06 656 121 • Email: pastorale@sdb.org

1.9 Page 9

▲back to top
Don Miguel Ángel García Morcuende Dove Dio ci vuole
9
Si può dire che in tutti i sogni vocazio-
nali autentici ci sono alcune componenti
basiche come la gratitudine, l’apertura alla
trascendenza, la domanda sul senso della
vita, la disponibilità, la fiducia in se stessi e
negli altri, lo stupore di fronte alla bellezza
e l’altruismo.
Queste componenti sono certamente la base
di qualsiasi approccio vocazionale. E, insieme
ad esse, quegli elementi che favoriscono la
conoscenza e l’apprezzamento della chiama-
ta personale di Dio, delle forme di vita cristia-
na, nonché le capacità di arrivare a scegliere
una di queste forme, nella libertà.
In questo senso, è necessario lavorare mol-
to per raggiungere una certa stabilità personale
senza dipendenze. L’identità è sempre un pro-
cesso ambivalente che comporta molte ten-
sioni, però è necessario poter gestire il pro-
prio rapporto con la famiglia, con il denaro o
con il potere. Un minimo di autonomia fisica,
emotiva, mentale e sociale, che permetta al
giovane di prendere decisioni concrete, scelte
consapevoli e libere. Dobbiamo accompagna-
re questi processi e aiutare il giovane a verba-
lizzare le inevitabili tensioni, domande e con-
flitti in questo campo.
[b] A questo proposito, le relazioni struttu-
rano l’itinerario vocazionale, non solo come
percorso di maturazione della propria identi-
tà umana, ma anche della propria identità di
fede (il credente, il discepolo). Nel processo di
maturazione vocazionale di Don Bosco, alcu-
ne relazioni hanno avuto un ruolo decisivo:
–  non si può comprendere la sua vita interio-
re senza la presenza provvidenziale e cen-
trale di Mamma Margherita, sua madre, che
con semplicità e determinazione ha sapu-
to accompagnare la sua crescita persona-
le e religiosa;
–  la sua esperienza con Don Calosso, l’”a-
mico fedele dell’anima” (dice nelle Memo-
rie dell’Oratorio), gli offrì l’opportunità non
solo di riequilibrare la tesa situazione fami-
liare, ma gli permise anche di incontrare
un degno sacerdote con il quale instaurò
un rapporto personale che lo segnò posi-
tivamente;
–  il ruolo degli amici nella vita dell’adolescen-
te e del giovane Don Bosco è stato assun-
to e integrato nel suo processo formativo;
–  durante la sua esperienza formativa al Con-
vitto (residenza per sacerdoti), Don Bosco
scoprì sacerdoti devoti che si distingueva-
no per la scienza e la devozione apostoli-
ca. Tra questi spiccava don Cafasso, il suo
primo direttore spirituale. Questo saggio
sacerdote accompagnò la sua formazione,
lo consigliò nei momenti di discernimen-
to, fu il suo confessore e gli propose una
serie di esperienze pastorali che arricchi-
rono la sua vita;
–  in definitiva, l’intera rete familiare di Valdoc-
co consisteva nello stabilire relazioni attra-
verso le quali costruì il suo essere sacerdo-
te e il suo essere educatore.
[c] Si può dire poi che il seminario per Don
Bosco non era un mondo chiuso, dato che i
punti di riferimento esterni, come la situazio-
ne della gioventù bisognosa in una società feri-
ta, giocarono un ruolo sempre più attivo nella
scoperta della sua vocazione. Il contatto con
i giovani fu un momento di lucidità e di gra-
zia. Su questa esperienza, possiamo dire che
i giovani lo hanno aiutato a discernere la con-
sistenza e la pertinenza del proprio progetto
vocazionale.
In conclusione, l’amore per la missione
salesiana tra i giovani e la capacità di ama-
re e donarsi è un criterio vocazionale visi-
bile: l’impegno gratuito verso gli altri, soprat-
tutto i più poveri e abbandonati, il servizio
spontaneo al di là del proprio benessere o
l’interesse per il mondo giovanile.
sdb.org Via Marsala 42 - 00185 Roma • Centralino: (+39) 06 656 121 • Email: pastorale@sdb.org

1.10 Page 10

▲back to top
10
FLASH • Luglio 2024 SETTORE PASTORALE GIOVANILE Salesiani di Don Bosco Sede Centrale Salesiana
La sensibilizzazione vocazionale richiede oggi
che i giovani vivano “esperienze di rottura” che
li mettano in contatto con l’esclusione e la vulne-
rabilità. Non si tratta di proposte singole e sle-
gate tra loro. Sono occasioni d’oro per riorien-
tare la vita nella prospettiva della fede e nella
chiave della generosità evangelica. Il mondo
della povertà e del dolore diventa un efficace
“altoparlante” che funge da sveglia vocazio-
nale. Infatti, è diventato un centro nevralgico
per la scoperta della propria vocazione: il con-
tatto con questi mondi favorisce il risveglio di
tale sensibilità e la comprensione della vita in
termini di gratitudine e servizio.
[d] In questo contesto, per conoscere, veri-
ficare e accompagnare l’idoneità di un giova-
ne che accompagniamo, è necessario accer-
tare la sua disponibilità ad apprendere. Ciò
significa una valutazione realistica delle proprie
capacità e possibilità, ma anche una disponibi-
lità aperta al cambiamento. Una delle doman-
de più importanti è: vuole crescere, è dispo-
sto a impegnarsi in un processo che implica
lasciarsi mettere alla prova? Passività, mancan-
za di trasparenza e una struttura di personalità
marcatamente difensiva non sono gli atteggia-
menti migliori. Segnali positivi, invece, sono la
flessibilità, la creatività e l’apertura alla novità,
la disponibilità al dialogo e la riflessione sulle
esperienze vissute.
Non è irragionevole pensare che i narcisisti
- coloro che tendono a ripiegarsi su se stessi,
a preoccuparsi eccessivamente di sé e a usare
gli altri per i propri fini - non siano in grado di
dare una risposta vocazionale gratuita e disin-
teressata. È estremamente pericoloso muover-
si nella logica dell’egocentrismo, quel disposi-
tivo che porta la persona a essere governata
dal calcolo degli interessi e ha come fine cer-
care unicamente il massimo beneficio per sé.
L’ego non è solo il punto di partenza ma spes-
so anche il punto di arrivo, il metro con cui si
misurano tutte le altre realtà.
Un’azione finalizzata al “discernimento
vocazionale”
Il discernimento può essere definito come
quell’esercizio che ci permette di trovare un
senso agli eventi disparati e frammentati della
nostra esistenza. Ci troviamo costantemente
di fronte a situazioni, eventi, relazioni e per-
cepiamo che manca qualcosa; non riusciamo
a capire esattamente, non troviamo risposte,
non abbiamo chiarezza. È proprio questa man-
canza che genera e mette in moto il discer-
nimento.
Il punto di partenza è quindi la consape-
volezza di una mancanza di senso. Questa
mancanza può essere letta in termini posi-
tivi come un desiderio. Intraprendiamo un
percorso di discernimento perché deside-
riamo trovare una risposta che non abbia-
mo. Chi pretende di avere tutto chiaro o di
controllare tutto non lascerà mai spazio al
desiderio e non intraprenderà mai un per-
corso di discernimento.
[a] Inoltre, questo argomento rientra in una
realtà più concreta: il discernimento richie-
de tempo, autenticità e pazienza. Capiamo
allora perché il discernimento non è di moda.
La gente, di cui i giovani fanno parte, preferi-
sce affidarsi alla spontaneità, ma la sponta-
neità non è mai autenticità. Siamo autentici
quando riconosciamo i venti che soffiano sul-
la nostra barca e decidiamo come usarli per
andare dove abbiamo scelto di andare. Se inve-
ce ci lasciamo spingere dai venti, senza rico-
noscerli né utilizzarli, finiremo su spiagge che
non abbiamo scelto o addirittura ci schiante-
remo sugli scogli.
Vale la pena ricordare che, come ci insegna
la parabola del grano e della zizzania (cfr. Mt
13, 24-30), all’inizio le due piante si assomiglia-
no; bisogna aspettare per vedere cosa toglie
la vita e cosa la dà. Per noi vale lo stesso: dob-
biamo guardare dentro di noi e prendere gra-
sdb.org Via Marsala 42 - 00185 Roma • Centralino: (+39) 06 656 121 • Email: pastorale@sdb.org

2 Pages 11-20

▲back to top

2.1 Page 11

▲back to top
Don Miguel Ángel García Morcuende Dove Dio ci vuole
11
dualmente coscienza di ciò che viene da Dio
e delle “erbacce” che non vengono da Lui. Ma,
a un certo punto, ci sarà abbastanza chiarezza
per poter decidere e in quel momento abbia-
mo la responsabilità di farlo.
[b] Non possiamo comprendere il sogno
di Dio per ciascuno di noi senza entrare in
dialogo con Lui. Spesso, per trovare chi sia-
mo, preferiamo rifugiarci in luoghi sconosciu-
ti e lontani.
Se Dio è «intimior intimo meo» (Agosti-
no), chi vive nella superficialità non è uma-
namente preparato ad accogliere il dono
gratuito della sua chiamata. L’attivismo,
l’abuso di stimoli che mortificano la capaci-
tà di silenzio e di raccoglimento sono alcu-
ni degli atteggiamenti e dei comportamenti
odierni che rallentano o ritardano l’ingres-
so in quella profondità, dove Dio si scopre
come il Tu che ci rivolge una chiamata.
In ogni processo vocazionale abbiamo l’obbli-
go di offrire spazi in cui i giovani possano fare
l’esperienza del silenzio e dell’incontro con Gesù
Cristo. Elia (1 Re 19,9-14), nella sua vita piena di
zelo per il Signore, era come un vento poten-
te e un fuoco divorante. La sua parola era una
spada affilata. Percorse tutta la terra in cui vive-
va, tuonando e minacciando. Aveva realizza-
to molte cose. Aveva distrutto gli altari degli
idoli; aveva riportato il popolo ebraico a una
autentica esperienza religiosa; non si era fer-
mato nemmeno davanti ai potenti. Cerca Dio
per essere riconosciuto da Lui. E Dio lo rinne-
ga. Gli dice: tu sei un fuoco, un terremoto, un
vento potente. Ricorda: io non sono lì. Sono
le tue azioni, non le mie. Dio aggiunge al suo
profeta: io sono in una brezza leggera, di cui
tu non ti accorgi nemmeno.
Sogni, progetti, imprese, programmi e avven-
ture... sono cose belle, importanti e preziose.
Rappresentano un pezzo di noi stessi, ma è
solo quando torniamo, con coraggio, alla veri-
tà di noi stessi che sperimentiamo la presen-
za di Dio.
[c] Per questo sarebbe ingenuo pensare
che tutta la preghiera sia preghiera cristia-
na. La preghiera è una manifestazione della
vita teologale; non è semplicemente prepara-
re un ambiente con immagini, accendere can-
dele, ascoltare musica e concentrarsi, o cose
simili. Tutto ciò è in qualche modo indispen-
sabile, ma non è la sostanza della preghiera. La
preghiera è un atteggiamento di spoliazione,
di lasciare che Dio sia il centro della mia vita.
Come si è detto, è importante il dialogo con
il Signore per imparare a conoscere i suoi tem-
pi, non sprecare le ispirazioni al bene, o maga-
sdb.org Via Marsala 42 - 00185 Roma • Centralino: (+39) 06 656 121 • Email: pastorale@sdb.org

2.2 Page 12

▲back to top
12
FLASH • Luglio 2024 SETTORE PASTORALE GIOVANILE Salesiani di Don Bosco Sede Centrale Salesiana
ri non lasciar cadere il suo invito a crescere. In
questo senso, quanto è importante raggiunge-
re una familiarità abituale con la Parola viva del
Vangelo. La fame di Dio non è una questione
di cultura biblica. Si tratta di vedere la propria
vita dal punto di vista di Dio. La Parola di Dio è
sempre la fonte di ogni crescita vocazionale.
La lettura vocazionale della Parola di Dio è
fondamentale. Si tratta di avviare i nostri gio-
vani a un›esperienza quotidiana e continua di
preghiera personale e di gruppo con la Paro-
la. Dovrà essere necessariamente un›attività
accompagnata e guidata, soprattutto all›inizio.
L’incontro con la Parola completa l’evangeliz-
zazione del cuore. Per questo, non basta puri-
ficare la mia interiorità, ma è necessario “ripo-
polarla” con la vita e i valori del Vangelo. A cosa
mi serve aver letto libri di storia dell’arte se non
sono mai stato in un museo, se non so ascol-
tare e apprezzare un brano musicale?
4 “Questo è il tuo campo, qui è
dove dovrai lavorare”
Il sogno dei 9 anni invita Don Bosco a una voca-
zione vissuta con passione, senza lesinare sfor-
zi e senza calcoli; l’attaccamento e la dedizio-
ne dell’educatore-pastore al suo popolo non si
misura con risposte rapide (“non con le per-
cosse”), ma è legato all’affetto con cui ci si
lega alle persone (“ma con la mansuetudine”).
I giovani sono sognatori entusiasti. Difatti,
sono i sognatori per eccellenza. E noi abbia-
mo il dovere di risvegliare in loro questa capa-
cità. Per farlo, sognare oggi un futuro positi-
vo richiede una buona dose di speranza lucida
ed efficace, ingredienti sempre più difficili da
trovare nel nostro ambiente. In altre parole, i
sogni devono trasformarsi in progetti, perché
se rimangono solo sogni, deludono.
Essere chiamato è la premessa per essere
inviato e conduce lì irrimediabilmente. Tra
i vari casi, ci soffermiamo sulla storia di Gio-
na, raccontata nel suo breve libretto di quattro
capitoli. Una storia avvincente e piena di sor-
prese (la tempesta, il pesce che mangia Giona,
il ricino che si secca). È un romanzo didattico,
un racconto parabolico, ma anche un’icona: sia-
mo chiamati a rileggere la nostra vita alla luce
di questa parabola particolarmente provocato-
ria nei primi momenti del sogno vocazionale.
Giona è un uomo disorientato, smarrito e pie-
no di paure. Dio gli mostra i suoi errori di pro-
spettiva; soprattutto quando pensa a se stes-
so e non agli altri, senza estendere lo sguar-
do alla grande città. Solo nell’orizzonte della
cura dei lontani la propria vocazione acquista
senso e valore; solo nell’orizzonte della voca-
zione umana la propria vocazione acquisisce
senso e valore.
I nostri giovani sono lì, alla porta del-
la città di Ninive, per entrare con passio-
ne e solidarietà, compagni della vocazione
di tutti gli uomini, o per rimanere in attesa
di chissà cosa.
L’atteggiamento di “uscita” deve essere
inteso come un’inquietudine che lo Spirito
Santo pone in coloro che sono stati chiama-
ti a lasciarsi alle spalle le proprie sicurezze.
È la chiamata a scrollarsi di dosso la polvere
che si è attaccata ai piedi e che non fa parte
dell’essenza della missione a cui siamo chia-
mati. Guardare la bellezza del cielo senza per-
dere di vista la terra.
sdb.org Via Marsala 42 - 00185 Roma • Centralino: (+39) 06 656 121 • Email: pastorale@sdb.org