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FLASH
Animazione Pastorale Giovanile Salesiana
Numero 5. Dicembre 2023
Primo annuncio
e la pastorale giovanile
salesiana
Don Miguel Ángel García Morcuende
Consigliere Generale Pastorale Giovanile
SETTORE PASTORALE GIOVANILE
Salesiani di don Bosco SEDE CENTRALE SALESIANA

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Primo annuncio
e la pastorale giovanile salesiana
Don Miguel Ángel García Morcuende
Consigliere Generale Pastorale Giovanile
1 Alcuni sforzi sembrano
finire nel nulla
Da qualche anno, stiamo assistendo a un pro-
cesso accelerato di profondo cambiamen-
to sociale. Molti aspetti strutturali di alcune
società stanno subendo una vera e propria rivo-
luzione. I modelli di socializzazione, i ruoli, la
gerarchia dei valori dominanti, le formule di
interazione, le aspettative dei giovani, le strut-
ture familiari, ecc. stanno tutti subendo un
processo di evoluzione. All’epicentro di que-
sti cambiamenti, a volte subendoli e più spes-
so rappresentandoli, ci sono i giovani.
In tutto ciò che riguarda la vita di fede, spe-
rimentiamo molti sentimenti contrastanti.
Alcuni dei nostri sforzi educativo-pasto-
rali sembrano essere infruttuosi, e i giova-
ni non sempre rispondono alle iniziative
pastorali. È vero che l’esperienza cristiana di
base - le vie dell’amore e della salvezza trac-
ciate da Dio - rimane la stessa, ma il paesag-
gio in cui si esprime è cambiato radicalmente.
Il nostro sguardo adulto non è uno sguar-
do indifferente, ma uno sguardo in cui a vol-
te prevale l’incertezza: “Cosa possiamo fare
di più?”. La visione della difficoltà di ‘non rag-
giungere tutti’ può facilmente portare a una
visione degli adolescenti/giovani come sog-
getti problematici. In alcune occasioni, questa
visione può essere irritante, in quanto ci trovia-
mo di fronte a gruppi target che non rispon-
dono alle nostre proposte.
Il punto chiave è ripensare la nostra Pasto-
rale Giovanile Salesiana per recuperare il
significato originario, il punto di partenza
e la meta dei nuovi cammini di fede. A tal
fine, le parole che iniziano con prefissi come
“re”, “con”, “in” o “inter” sono un segno di vita-
lità, movimento e adattamento. Parole come
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Don Miguel Ángel García Morcuende Primo annuncio e la pastorale giovanile salesiana
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riconversione, riorganizzazione, ridimensio-
namento o rivitalizzazione compaiono nel-
le riflessioni pastorali degli Istituti religiosi e
delle Società di Vita Apostolica, così come di
movimenti e le associazioni laicali.
2 Le domande
che ci portiamo dentro
[a] Sulla base di questa lettura, ci chiediamo:
come possiamo pianificare e realizzare proces-
si e iniziative educativo-pastorali per proporre
il messaggio centrale del Vangelo ai giova-
ni che non conoscono Gesù Cristo, a quelli
che, avendolo conosciuto, si sono allonta-
nati da Lui e a quelli che pensano di cono-
scerlo già a sufficienza e vivono una fede
abitudinaria?
Queste sono le domande che tutti noi ci
poniamo quando pensiamo ai giovani della
nostra casa salesiana: come risvegliare l’inte-
resse per Gesù Cristo in coloro che frequenta-
no i nostri spazi educativi formali e informali?
Come accompagnare tante centinaia di loro
affinché possano fare un passo verso un pri-
mo impegno con Lui? Come possiamo inco-
raggiare un “primo atto di fede”, una “prima
conversione” su cui l’essere cristiano può cre-
scere? Stiamo parlando del primo annuncio.
Ma in che senso questo annuncio è il
primo?1 In senso qualitativo, “è l’annun-
cio principale, quello che si deve sem-
pre tornare ad ascoltare in modi diversi
e che si deve sempre tornare ad annun-
1 L’espressione “primo annuncio” è piuttosto recente.
È stata utilizzata per la prima volta solo nel 1979 con la
Catechesi tradendae (nn. 18-20). A partire dagli anni ‘60 e
per tutti gli anni ‘70 e ‘80 l’espressione più usata è stata
evangelizzazione, in sostituzione della precedente predi-
cazione missionaria o pre-evangelizzazione. Viene anche
chiamata precatechesi, precatecumenato, catechesi kerig-
matica, kerigma o annuncio kerigmatico, o anche prima
evangelizzazione.
ciare durante la catechesi in una forma
o nell’altra” (Evangelii Gaudium 164).
È importante ricordare che le nostre case
sono piene di giovani non convertiti (com-
presi i “battezzati e non evangelizzati”), ma
benedetti dalla bontà della presenza di Dio,
che desidera la salvezza di tutti. Per i Salesia-
ni, il giovane è sempre un segno di speranza,
non principalmente perché biologicamente
ha tutta la vita davanti a sé, ma perché ognu-
no dovrebbe avere l’opportunità di esplorare
la fede ovunque si trovi. Siamo convinti che
l’incontro vitale con il Signore non sia solo l’”i-
nizio”, ma anche il “centro” e il “cuore” della
nostra PGS.
[b] Forse dovremmo ripensare alla pre-
senza del primo annuncio come elemento
essenziale dell’evangelizzazione, e questo
ci costringerebbe a rivedere il suo rapporto
reciproco con gli altri elementi che compon-
gono il processo complessivo di evangeliz-
zazione dei giovani. Ci aiuterebbe a prendere
coscienza della specificità di ciascuno di essi
e dell’interazione tra tutti.
Evangelii Nuntiandi (1975), uno dei primi
documenti del Magistero a parlare della neces-
sità di promuovere il primo annuncio, esprime
al n. 24 una serie di questi elementi di evange-
lizzazione, che sono sempre complessi. Una
recente rilettura parla di:
–– Impegno al servizio dell’umanità per tra-
sformare mentalità, ambienti, culture e
strutture.
–– La testimonianza con le azioni (così neces-
saria per la credibilità delle parole) e la testi-
monianza con parole esplicite, cioè il primo
annuncio e tutti i tipi di messaggi che seguo-
no la tradizione orale.
–– L’itinerario di iniziazione cristiana dei bam-
bini, dei giovani e degli adulti che integra:
la preghiera personale, a partire dalla Paro-
la di Dio; l’adattamento dei catecumenati
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e/o degli itinerari educativi o della cateche-
si; l’esperienza della comunità attraverso la
celebrazione e la preghiera nelle sue diver-
se forme; la formazione e i ministeri e/o i
servizi; le esigenze concrete della sequela di
Gesù Cristo (cambiamento di vita in termi-
ni di atteggiamenti, sentimenti e abitudini).
–– La personalizzazione dell’esperienza attra-
verso l’apertura del cuore del giovane a Gesù
Cristo, ossia la fede iniziale e la conversio-
ne. Un’apertura che non può essere forzata
o presupposta perché si tratta di una deci-
sione esistenziale che a volte inizia con la
semplice curiosità, l’interesse, e porta alla
prima adesione di fede.
–– La ricezione dei sacramenti dell’iniziazione
(Battesimo, Cresima ed Eucaristia) e tutte
le varie iniziative pastorali previste alla luce
della spiritualità dei processi (Progetto Edu-
cativo-Pastorale).
[c] Questo elenco chiarisce fin dall’inizio
che ci sono elementi specifici che ci parlano
dell’iniziazione cristiana alla fede (la testi-
monianza e il primo annuncio) ed elementi
specifici che alimentano e formano la fede
in modo duraturo (la catechesi e gli itinerari
di educazione alla fede, la celebrazione, ecc.
Questi due elementi, sebbene strettamente
correlati, non sono la stessa cosa.
In altre parole, la PGS deve prestare atten-
zione alla complementarità e all’intima rela-
zione tra tutte queste azioni pastorali. Que-
sto insieme articolato di elementi (cioè, la
pastorale organica) non può essere disgiun-
to se si vuole che l’evangelizzazione porti mol-
teplici frutti. Infatti, nella PGS, nessun ambi-
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to è completamente autonomo, nessuno può
essere compreso in modo isolato, ma ognuno
ha il suo tempo. C’è una differenza tra pian-
tare e nutrire fede: due momenti distinti che
richiedono spazi e metodi diversi.
È possibile generare la prima fede in Gesù
Cristo in un giovane attraverso una catechesi
sulla teologia delle virtù, o attraverso la solenne
Veglia Pasquale, senza un’iniziazione al Miste-
ro Pasquale del Signore? Difficile. Ciò che non
è rilevante come proposta pastorale per l’i-
niziazione può non essere utile (come lo è),
può persino essere controproducente in quel
momento.
Cosa accadrebbe, allora, se pensassimo
a un’azione educativo-pastorale specifi-
ca e determinata, volta proprio a creare
reali possibilità di incontro con Cristo e a
promuovere una conversione operosa?
Questa mediazione pratica è ciò che inten-
diamo quando parliamo di primo annuncio.
[d] La pratica salesiana si basa su un princi-
pio molto importante dell’evangelizzazione:
il principio dell’integralità. Poiché la natura
processuale o graduale della maturità umana
e cristiana è governata dal principio della cre-
scita-maturità di tutte le dimensioni della per-
sona, l’attuazione di ciascuno degli elemen-
ti dell’evangelizzazione deve avere la stessa
dinamica. È un errore ridurre la pastorale giova-
nile a uno solo di questi elementi e promuovere
solo un aspetto, ad esempio: in una parrocchia
c’è la convinzione che la catechesi offerta sia
“evangelizzante”, ma in realtà si tratta di una
catechesi di memorizzazione senza l’aspet-
to celebrativo e senza alcun impegno diverso
dalla vita dei locali parrocchiali. Oppure quan-
do il cammino di iniziazione alla fede viene
ridotto a un cammino sacramentale (ricezione
del Battesimo, della Cresima e dell’Eucaristia).
D’altra parte, il primo annuncio, sebbene
necessario, non può sostituire l’intera pro-
posta della PGS. Ci sono altre aree di interes-
se che riguardano altre dimensioni dell’azione
pedagogico-pastorale salesiana (aspetti che
hanno a che fare con la formazione di perso-
ne sane, equilibrate e attente; la formazione
ad atteggiamenti e strutture stabili che per-
mettano di agire come persone libere e criti-
che; l’esperienza comunitaria-associativa come
“iniziazione” concreta all’impegno comunita-
rio, civile ed ecclesiale; l’accompagnamento di
ogni giovane nella ricerca concreta della pro-
pria vocazione, etc.). La PGS contribuisce alla
formazione graduale dell’identità e della per-
sonalità di un giovane, dalla sua prima espe-
rienza di Dio all’inserimento in una comuni-
tà cristiana adulta.
3 Preconcetti, forse molto
apprezzati, ma che ora si
rivelano inefficaci
Non sarebbe sbagliato ricordare una certa resi-
stenza al primo annuncio, la tappa che la Chie-
sa propone per risvegliare la fede e la prima
conversione:
[a] Da un lato, alcuni sostengono che pro-
porre l’adesione alla persona di Gesù Cristo
“è quello che abbiamo fatto per tutta la vita”.
“La maggior parte di noi ha fatto catechesi e
parlato di Gesù Cristo come una cosa ovvia”.
In realtà, si tratta di “insegnare le verità del-
la fede” senza aprire uno spazio di fraterni-
tà, accoglienza reciproca e ospitalità dei gio-
vani. Inoltre, il primo annuncio non può esse-
re ridotto a una catechesi sistematica. E se ci
pensiamo, a volte possiamo cadere nell’iner-
zia pastorale, nel ripetere le consuete strate-
gie (perché le vecchie cose funzionavano). In
verità, quando la complessità pastorale non
è digeribile, per qualsiasi motivo, la reazione
più normale è quella di ridurre, semplificare.
[b] Allo stesso modo, si dice che solo ed
esclusivamente processi pastorali lunghi e
riflessivi possono articolare e sviluppare una
fede più matura, critica e impegnata.
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[c] Infine, altri affermano che la cura pasto-
rale dovrebbe soprattutto cercare di garanti-
re che “nessuno sia disturbato”. Viviamo in
un ambiente policromo e le nostre case sono
aperte e inclusive. “Dobbiamo stare attenti a
non imporre la nostra fede. Ammorbidiamo
la proposta pastorale, proponiamo il minimo
indispensabile”. In ogni caso, “lasciamo che lo
facciano coloro che hanno il carisma del pri-
mo annuncio”.
Ma questa prima chiamata vocazionale cri-
stiana (cioè, il primo annuncio) può essere sin-
ceramente scartata?
4 Una pedagogia per ricostruire
il legame affettivo con Gesù
Se vogliamo realizzare un’evangelizzazio-
ne efficace, esperienziale e radicata nella
persona del giovane, dobbiamo capire che il
primo annuncio non è solo una tappa di un
percorso di accompagnamento, ma il “valo-
re fondamentale” (Gesù Cristo) che deve
essere presente in tutti i processi di evan-
gelizzazione: nella PGS come spina dor-
sale e nei nostri progetti come motiva-
zione principale.
Se l’imperativo di essere evangelizzatori è
per tutti, il primo annuncio in quanto tale non
è un carisma di pochi. Considerarlo un’attivi-
tà opzionale è quindi un atteggiamento con-
trario alla natura stessa dell’azione missiona-
ria ed evangelizzatrice. Il primo annuncio è
l’elemento centrale e, per definizione, può e
deve essere fatto da ogni battezzato; è un obbli-
go per tutti noi.
Ma è anche un’opzione proattiva, rispetto-
sa e interrogativa che deve permeare anche
la nostra PGS. Quali sono dunque le condi-
zioni generali che possono servire a que-
sto scopo, ossia la conversione e un atto di
fede o di adesione a Gesù? In linea di princi-
pio, ne sosteniamo due:
4.1. Se vogliamo riconnetterci in modo attra-
ente e credibile con i giovani di oggi, abbia-
mo bisogno di un’ampia gamma di propo-
ste diversificate per entrare in contatto con
coloro che partecipano solo fugacemente alla
vita della Chiesa (in molti casi riducendosi alla
mera frequentazione) e con quei non credenti
che non frequentano abitualmente gli ambien-
ti ecclesiali. Questo apre un immenso campo
di possibilità per l’azione educativo-pastorale.
Il primo annuncio, come azione pastora-
le, ha una pedagogia specifica e necessita di
un arco di tempo in cui ogni fase coinvolge le
altre; separate perdono vigore e solo insieme si
sostengono a vicenda e sostengono la missio-
ne evangelizzatrice. Ognuna di esse può essere
caratterizzata da un verbo da “persona a per-
sona”: risvegliare, testimoniare e presentare.
I. Il concetto di evangelizzazione, che è stret-
tamente legato all’umanizzazione, è stato for-
temente enfatizzato nell’Evangelii Nuntiandi.
In questa linea, il PRIMO TEMPO e il PUNTO
DI INIZIO è creare reali possibilità di contat-
to con quelle esperienze autenticamente
umane che sono le più intime della perso-
na. La proposta cristiana deve essere collega-
ta alle questioni centrali della vita dei giova-
ni e, come punto di contatto percepibile per
loro, li apre ad altre possibilità. La prima area
di annuncio è quella delle relazioni interperso-
nali, umane. Senza di esse, il tempo che segue
non avrebbe continuità.
In questo senso, il primo dialogo del pri-
mo annuncio consiste nel connettersi con le
domande, i desideri, i limiti e le possibilità del
giovane. Si tratta di partire dalla propria ricerca
- o da richieste antropologiche particolarmen-
te aperte o pronte per qualcosa di più. Que-
sto punto di contatto viene denominato in
vari modi: in francese, “pierres d’attente” (pie-
tre d’attesa), riferendosi alle pietre di un edifi-
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Don Miguel Ángel García Morcuende Primo annuncio e la pastorale giovanile salesiana
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cio che vengono lasciate all’esterno sulle pare-
ti laterali, in modo da poterle unire all’edificio
che seguirà; in inglese, “stepping stones” (pie-
tre di passaggio), riferendosi alle grandi pietre
collocate in un ruscello per permettere di attra-
versarlo senza inzupparsi; nei teologi dei primi
secoli (il periodo patristico), il “semina verbi”,
che si trova in tutte le culture e tra tutti i popoli.
Quest’area dell’esperienza umana, ben gui-
data, sviluppa la capacità di porre domande
sull’universo interiore; stimola l’auto motiva-
zione e la domanda sul senso della vita; apre
a un ‘oltre’ se stessi; permette di prendere le
distanze dalle cose per guardarle in profondi-
tà; aiuta a vivere secondo la logica del dono e
della carità; consente di percepire i valori spiri-
tuali presenti nella cultura in generale. E que-
sta apertura trascendente diventerà sempre
più efficace nella misura in cui inizierà a vede-
re Dio all’orizzonte.
Questo punto di partenza può essere
sostenuto grazie a diverse proposte con-
crete della nostra PGS: l’accompagnamen-
to dell’ambiente; la potente dinamica soli-
dale della pastorale che porta i nostri giova-
ni fuori dalla loro zona di comfort; il lavoro
intorno a valori carismatici/salesiani come
la familiarità, la fiducia, il realismo o l’otti-
mismo; l’offerta continua di formazione,
di proposte, di iniziative e di esperienze di
vita profonde, vere e durature (ad esem-
pio il buongiorno/pomeriggio salesiano).
Ha più a che fare con azioni comunicative
a breve termine come il dialogo, gli incontri
casuali, il cortile salesiano, la testimonian-
za che emerge in una conversazione, ecc.
Stiamo parlando di un Vangelo in costruzio-
ne, che deve abbracciare la carne della storia
e quella dei nostri giovani. E per questo cerca
di riscoprire il quotidiano (il valore del picco-
lo e la cultura del “dettaglio”), la presenza in
mezzo ai giovani e la vicinanza e l’attenzione
personale (“conversazione più che lezione”).
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È un accompagnamento affettivo ed effica-
ce. Per questo motivo, dobbiamo avere una
profonda comprensione dei misteri della vita
dei giovani!
II. Dopo il radicamento nella persona c’è un
SECONDO TEMPO: la testimonianza della pro-
pria esperienza cristiana. Si tratta di far ascol-
tare e vedere al giovane, se lo desidera, la testi-
monianza diretta, se suscita il suo interesse.
Parlare dalla propria esperienza: “Voglio con-
dividere con te ciò che mi è stato dato, ciò che
mi dà senso e mi rende felice”. Non si tratta di
“raccontare la mia vita”, ma di ciò che la pre-
senza di Gesù mi insegna, ciò che Lui ha por-
tato nella mia vita.
È la logica di chi presenta un amico a un ami-
co. Non veniamo a portare qualcosa di estra-
neo che sembra anomalo, ma che fa parte
della storia delle persone che lo raccontano.
Stiamo parlando di ciò che è nel cuore del-
la persona, ciò che è più personale, intimo e
autentico, ciò che è più personale e allo stes-
so tempo più prezioso. Risponde, in breve, al
carattere uditivo dell’origine della trasmissio-
ne della fede, che è stata la pratica pionieri-
stica della Chiesa: stiamo parlando di qualco-
sa che viene annunciato, che viene proclama-
to. La fede deriva, secondo la classica frase di
Paolo, dall’”ascolto dell’annuncio” (Rm 10,17).
Non si evangelizza dando una testimonianza
d’amore senza parole, senza una proposta e
un invito concreti.
Questa seconda fase inizia con azioni
aperte di PGS cristiana, a volte non lega-
te a processi lunghi. Iniziano e finiscono
in momenti definiti, ma la chiave è l’invito
basato sulla testimonianza: Celebrazioni
pasquali con i giovani; incontri, campagne
e tavole rotonde di riflessione, condivisio-
ne e preghiera; l’esperienza di Taizé; azio-
ni di solidarietà, soprattutto nei settori più
poveri e bisognosi; gruppi di formazione e
tutoraggio nelle scuole. È, in altre parole,
la messa in pratica del principio mistagogi-
co. Si vive un’esperienza e questa diventa
la base per la riflessione, l’apprendimento
o addirittura una nuova direzione di vita.
Dobbiamo condividere la nostra esperienza
di vita, snellire il linguaggio, parlare ai giovani
della nostra fede e di ciò che significa per noi.
Siamo invitati non solo a “parlare” di Cristo e
a parlarne bene, ma a renderlo presente nel-
la nostra vita. Credo che abbiamo perso l’a-
bitudine e dimenticato di parlare con natura-
lezza di ciò che è essenziale nella nostra vita.
Abbiamo introiettato paure che ci paralizza-
no. E se non sappiamo parlare di fede tra di
noi, come credenti, qualsiasi discorso ai non
credenti suonerà artificiale. In questo senso, la
domanda che segna la nostra capacità o inca-
pacità di evangelizzare è: Ho parlato di recen-
te con un giovane della mia relazione con Cri-
sto o con Dio?
In altre parole, l’annuncio è avvolto nella
testimonianza e nella parola. Certo, prefe-
riamo adagiarci su discorsi e proposte troppo
dottrinali, morali o spirituali, sviluppando un
“insegnamento lineare” di tipo catechetico. In
realtà, nella pratica reale del primo annuncio,
il testimone veramente affidabile può contare
solo sulle sue convinzioni vitali (non solo sulle
certezze intellettuali), sulla trasmissione di una
vita vissuta con senso e, sì, sulla forza della Paro-
la. Oggi, quindi, l’annuncio deve essere anche
una provocazione per l’Apostolo: “chiunque
voglia predicare, prima dev’essere disposto
a lasciarsi commuovere dalla Parola e a farla
diventare carne nella sua esistenza concreta.”
(Evangelii Gaudium 150).
“Il primo obiettivo non è tanto far sì che gli
altri credano “come noi”, ma far sì che cre-
dano che noi crediamo veramente in qualco-
sa, in Qualcuno che rende possibile la nostra
gioia di vivere e il piacere di entrare in con-
tatto con coloro che cercano questa gioia e
questo piacere” (Pareydt, Luc, Testimoni per
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il nostro tempo. Cristiani attraenti). L’incon-
tro con Gesù per l’evangelizzatore non è
solo la spiegazione della prima decisione,
ma anche il motivo della fedeltà.
III. Il TERZO PASSO consiste nel presentare
il Cristo vivo e presente. Non si tratta di tra-
smettere un ricordo o una notizia su qualcuno
che, ci viene detto, sia esistito in illo tempore e
sia apparso a certe persone, ma Gesù, Signo-
re e Salvatore. La sua presenza non può fini-
re per essere solo un ologramma tridimensio-
nale, ma una presenza reale. Interroga e met-
te in moto: “E voi cosa dite di lui?”. (Gv 9,17).
“Ma voi chi dite che io sia?” (Mc 8,29).
In questa terza fase, si tratta di aiutare il gio-
vane a vedere che l’umanità di Cristo è simi-
le alla sua umanità, ma con la differenza che
è portatrice di una nuova vita, la vita divina, e
di invitarlo ad entrare in comunione con essa,
affinché lo raggiunga, lo riempia e lo renda par-
tecipe della vita di Dio. Grazie a lui, si realizza
il suo desiderio più radicale di assoluto, in una
parola, della felicità più autentica.
Nei racconti del Vangelo si fa riferimento ai
personaggi che si avvicinano a Gesù e ricevono
da Lui la guarigione fisica e il perdono dei loro
peccati: il cieco di Gerico, il capo della sinago-
ga di Cafarnao, il centurione romano, l’emor-
roissa, i lebbrosi … Nessuno di loro aveva una
chiara consapevolezza dell’identità divina di
Gesù, tanto meno del Dio trinitario, eppure sen-
tivano la preoccupazione di essere interpellati
da qualcuno, Gesù, e si aprirono a Lui.
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Anche oggi alcuni dei nostri giovani che non
hanno una chiara identità di Gesù si aprono a
Lui e Lo ascoltano con attenzione, premura e
sincero interesse. Non è necessario, quindi,
avere una proposta teologica ben articolata
per un primo impegno con Gesù.
Nella pratica della PGS, questo annun-
cio avviene soprattutto in presenza di una
Comunità Educativo-Pastorale che offre
spazi reali per l’accompagnamento perso-
nale, per avvicinarsi e vivere la fede (ritiri
per giovani, incontri vocazionali, “Campo-
Bosco”, Giornata Mondiale della Gioventù,
Scuole di preghiera, Volontariato missio-
nario). Una CEP che si lasci interpellare dal
Vangelo e che accolga i giovani iniziati per
rafforzarli e sostenerli nella fede, una comu-
nità in cui possano celebrare, annunciare,
vivere e condividere la fede.
4.2. Se il primo annuncio non è una presen-
tazione completa e dettagliata del contenu-
to della fede cristiana, ma, come appare negli
scritti del Nuovo Testamento, ha un carattere
narrativo per fare appello alla profondità del
giovane, occorre prestare attenzione al lin-
guaggio che utilizziamo in senso antropolo-
gico e culturale. Il linguaggio narrativo, poeti-
co e persino metaforico crea un incontro con i
movimenti interiori del desiderio umano, crea
spazio per l’immaginazione. Pertanto, anche
se l’evangelizzazione non è una questione di
strategie di comunicazione, ma di spirituali-
tà, è comunque importante.
Per questo motivo, dobbiamo andare oltre
le metodologie argomentative e discorsive.
Questo passaggio da esperienza, narrazione,
domande, notizie... cattura l’immaginazione dei
giovani ascoltatori. E questa proposta non è
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nuova, perché lo stesso linguaggio della fede è
sempre stato simbolico: la luce, la tunica bian-
ca, il cero pasquale, i colori liturgici, ecc.
Il grado di coinvolgimento personale offer-
to da un approccio narrativo è maggiore, per-
ché non cerca di convincere ma di coinvolgere
l’ascoltatore; offre anche un accesso più facile
a concetti astratti e complessi; contiene emo-
zioni e quindi favorisce la memorizzazione
della storia a livello cognitivo; crea un nuovo
mondo nella mente dell’ascoltatore, una sto-
ria può generare altre storie. In breve, si tratta
di passare dalla pastorale delle idee alla pasto-
rale della narrazione.
5 Educare la risposta della fede:
Progressi e battute d’arresto
In realtà, seguire Cristo è sempre una deci-
sione personale, mai “automatica” o “eredita-
ta” o ricevuta, come forse siamo stati abituati.
Oggi, una fede viva di base non può esse-
re data per scontata, né si può presupporre
una ferma convinzione cristiana da parte di chi
la riceve. Le abitudini mentali, l’uso linguisti-
co, le pratiche devozionali, molti concetti ed
espressioni di fede sono cambiati.
Spesso incontriamo giovani che non com-
prendono l’importanza della fede nel loro cam-
mino personale verso l’età adulta. Questa è una
sfida ma anche un’opportunità per allonta-
narci dal cristianesimo “obbligatorio”. Si apre
la possibilità di un annuncio nel segno della
grazia, della sorpresa, della libera scoperta del
tesoro della fede e della speranza.
Ecco perché parliamo del primo annuncio
come di un nuovo nome per il kerygma pro-
clamato da Pietro e Paolo, come è registra-
to nei testi del Nuovo Testamento. Ma non si
tratta solo di un’esplicita proclamazione ora-
le di questo kerigma, di poche parole o for-
mule precise, bensì di un ministero dinami-
co, in crescita, sotto l’azione e la guida del-
lo Spirito; un accompagnamento alla libertà
e alla responsabilità della persona. Ecco per-
ché ogni momento e ogni passo progredi-
sce a spirale, con colpi di scena e svolte, e
non in linea retta. La vita cristiana ha una com-
ponente di avventura che deve essere libera-
ta nel cuore del credente.
È un’avventura basata sull’imposizione del-
la chiamata di Cristo, che si svolge secondo le
intuizioni, le speranze e i talenti di ogni giova-
ne, e che richiede molte mediazioni e molta
pazienza, perché deve vivere costantemente
in un deserto che ha il sapore di una terra pro-
messa. Le esperienze sono sempre più pro-
fonde: comprendono progressi e battute d’ar-
resto in uno spirito di costante conversione:
“Il cristiano non nasce, si fa”. Questa formula
di Tertulliano trova la sua piena attualità oggi.
L’annuncio non deve essere sottoposto
alla pressione di presentare “risultati” (cifre,
numero di persone), né deve essere caratteriz-
zato dalla necessità di un sì o un no immediato.
Al contrario, deve essere improntata alla sen-
sibilità per i tempi di ogni persona, per i pos-
sibili percorsi che non coincidono con i pro-
pri, e persino per gli errori. Il tempo che può
richiedere non è determinabile, non può esse-
re limitato o rigorosamente standardizzato,
perché si tratta di persone, ognuna con una
storia e un essere particolari.
6 La porta dell’esperienza
cristiana e della risposta
vocazionale
[a] I tre momenti sopra menzionati sono inter-
connessi. Quando si compie un progresso
nell’accoglienza positiva del primo annuncio
da parte del giovane, siamo alle porte dell’e-
sperienza cristiana. Successivamente, si apre
un’azione più catechetica-iniziatica che per-
mette al giovane di optare per il Vangelo e
di completare o ristrutturare la sua iniziazio-
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FLASH • Dicembre 2023
SETTORE PASTORALE GIOVANILE Salesiani di Don Bosco Sede Centrale Salesiana
ne. Pertanto, non è possibile “crescere” sen-
za prima essere “nati”; tanto meno sarà pos-
sibile diventare adulti e maturare senza le fasi
precedenti.
La prima fede non è tutta la fede, e questo è
vero. Pertanto, il primo annuncio è uno “stadio
iniziale ed ancora incompleto” (Evangelii Nun-
tiandi 51), ma é chiaramente un invito perso-
nale a compiere un atto di avvicinamento, di
fiducia e di adesione esistenziale a Gesù Cri-
sto. Il primo annuncio è un atto di fiducia nel-
la persona di Gesù Cristo, un passo essenziale
nella ricerca della propria vocazione.
Germinalmente, l’accoglienza di Gesù nel
cuore del giovane è l’embrione di un cambia-
mento di vita che porterà alla fede concreta:
il cammino di educazione alla fede si basa su
questa esperienza di accoglienza viva del pri-
mo annuncio, i sacramenti la presuppongo-
no e la alimentano, la testimonianza e l’impe-
gno per il Regno ne sono la conseguenza e la
manifestazione esterna. Il progetto di vita è
la sua vocazione.
Se vogliamo evitare una catechesi effimera
che non mette radici in coloro che la ricevo-
no (i catecumeni), dobbiamo fare attenzione
che l’iniziazione abbia un luogo dove possa
radicarsi. Un “annuncio” che precede l’”ini-
ziazione cristiana”, in modo che a quest’ul-
tima non manchi un terreno in cui mettere
radici e da cui possa crescere e portare frut-
to. L’iniziazione cristiana, in altre parole, è il
campo d’azione e la conseguenza del primo
annuncio. In altre parole, sul “vieni e vedi” (il
primo annuncio) poggia l’intero edificio del-
la vita cristiana: “guarda e resta” (la comuni-
tà cristiana).
[b] La comprensione e la pratica di questo
primo annuncio è quindi, in un certo senso,
un rinnovamento della PGS. La nostra PGS
è, alla sua radice, una pratica di fiducia in una
persona: Gesù Cristo, accettato come Salvato-
re dell’umanità e della mia vita. Tutto il resto -
assolutamente necessario e costitutivo dell’e-
vangelizzazione - sarà una conseguenza che
verrà vissuta, sempre dal punto di vista della
persona del giovane, nel suo rapporto di ami-
cizia con Gesù Cristo.
La salvezza offerta da Dio Padre attraver-
so Suo Figlio Gesù Cristo è il ripristino del
nostro legame affettivo ed esistenziale con
Lui. Gesù Cristo ci offre il suo amore persona-
le. Ogni possibile modello di primo annuncio è
una proposta d’amore, un’offerta della prima
restaurazione del legame affettivo di Dio con
ogni essere umano. L’accettazione di questo
legame può essere solo una risposta libera e
personale di ogni persona.
Né la nostra testimonianza con i fatti, che
è necessaria ma non sufficiente, può accen-
dere la fede cristiana, perché ha bisogno del-
la parola che si riferisce a Gesù Cristo; né il
potere dei sacramenti può da solo accende-
re la fede se ognuno che partecipa alla litur-
gia non ha aperto liberamente, consapevol-
mente e permanentemente il suo cuore, la
sua intimità, a Gesù Cristo.
•••
Conclusione:
Interrompere il tempo per
portare alla luce il nuovo
Per concludere, e parafrasando le parole
del primo uomo a mettere piede sulla luna,
potremmo anche dire: il primo annuncio è un
piccolo passo per il testimone che lo suggeri-
sce ad un amico nel suo ambiente quotidia-
no, ma è un passo immenso con conseguenze
incalcolabili per un PGS che mette se stessa e
tutte le sue energie al servizio di tutti i giovani.
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