Strenna-it|Strenna 2014: Da mihi animas, cetera tolle

STRENNA 2014

«Da mihi animas, cetera tolle»

Attingiamo all’esperienza spirituale di Don Bosco,

per camminare nella santità

secondo la nostra specifica vocazione

«La gloria di Dio e la salvezza delle anime»

Carissimi fratelli e sorelle della Famiglia Salesiana,

stiamo concludendo il triennio di preparazione al Bicentenario della Nascita di Don Bosco. Dopo aver dedicato il primo anno a conoscere la sua figura storica e il secondo anno a rilevare i suoi tratti fisionomici come educatore e ad attualizzare la sua prassi educativa, in questo terzo e ultimo anno intendiamo andare alla sorgente del suo carisma, attingendo alla sua spiritualità.

La spiritualità cristiana ha come centro la carità, ossia la vita stessa di Dio, che nella sua realtà più profonda è Agape, Carità, Amore. La spiritualità salesiana non è diversa dalla spiritualità cristiana; anch’essa è centrata nella carità; in questo caso si tratta della carità pastorale, ossia quella carità che ci spinge a cercare “la gloria di Dio e la salvezza delle anime”. Caritas Christi urget nos.

Come tutti i grandi santi fondatori, Don Bosco ha vissuto la vita cristiana con un’ardente carità e ha contemplato il Signore Gesù da una prospettiva particolare, quella del carisma che Dio gli ha affidato, ossia la missione giovanile. La “carità salesiana” è carità pastorale, perché cerca la salvezza delle anime, ed è carità educativa, perché trova nell’educazione la risorsa che permette di aiutare i giovani a sviluppare tutte le loro energie di bene; in questo modo i giovani possono crescere come onesti cittadini, buoni cristiani e futuri abitanti del cielo.

Vi invito, dunque, cari membri della Famiglia Salesiana, ad attingere alle sorgenti della spiritualità di Don Bosco, ossia alla sua carità educativa e pastorale. Essa ha il suo modello in Cristo Buon Pastore; essa trova la sua preghiera e il suo programma di vita nel motto di Don Bosco Da mihi animas, cetera tolle. Seguendo questo cammino di approfondimento, potremo scoprire un “Don Bosco mistico”, la cui esperienza spirituale sta a fondamento del nostro modo di vivere oggi la spiritualità salesiana, nella diversità delle vocazioni che a lui si ispirano; e potremo noi stessi fare una forte esperienza spirituale salesiana.

Conoscere la vita di Don Bosco e la sua pedagogia non significa ancora comprendere il segreto più profondo e la ragione ultima della sua sorprendente attualità. La conoscenza degli aspetti della vita di Don Bosco, delle sue attività e anche del suo metodo educativo non basta. Alla base di tutto, quale sorgente della fecondità della sua azione e della sua attualità, c’è qualcosa che spesso sfugge anche a noi, suoi figli e figlie: la profonda vita interiore, ciò che si potrebbe chiamare la sua “familiarità” con Dio. Chissà che non sia proprio questo il meglio che di lui abbiamo per poterlo amare, invocare, imitare, seguire, al fine di incontrare il Signore Gesù e farlo incontrare ai giovani.

Oggi si potrebbe tracciare il profilo spirituale di Don Bosco, partendo dalle impressioni espresse dai suoi primi collaboratori. Si potrebbe passare poi al libro scritto da Don Eugenio Ceria, «Don Bosco con Dio», che fu il primo tentativo di sintesi a livello divulgativo della sua spiritualità. Si potrebbero confrontare quindi le varie riletture dell’esperienza spirituale di Don Bosco fatte dai suoi Successori, per giungere infine a quelle ricerche che segnarono una svolta nello studio del modo di vivere la fede e la religione da parte di Don Bosco stesso.

Questi ultimi studi risultano più fedelmente aderenti alle fonti; essi sono aperti alla considerazione delle varie visioni e delle diverse figure spirituali che hanno influito su Don Bosco o che con lui hanno avuto contatti: San Francesco di Sales, Sant’Ignazio, Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, San Vincenzo de’ Paoli, San Filippo Neri, …; essi sono però pure disposti a riconoscere che la sua è stata comunque un’esperienza spirituale originale e geniale. Sarebbe interessante a questo punto avere un nuovo profilo spirituale di Don Bosco, ossia una nuova agiografia, così come oggi la teologia spirituale la intende.

Il Don Bosco “uomo spirituale” ha affascinato e interessato Walter Nigg, pastore luterano e professore di Storia della Chiesa all’Università di Zurigo; egli si è concentrato sulla sua fisionomia spirituale e così ha scritto: «Presentare la sua figura sorvolando sul fatto che ci troviamo di fronte ad un santo sarebbe come presentare una mezza verità. La categoria del santo deve avere la precedenza rispetto a quella di educatore. Qualsiasi altra graduatoria falserebbe la gerarchia dei valori. D’altra parte, il santo è l’uomo nel quale il naturale sconfina nel soprannaturale, e il soprannaturale è presente in Don Bosco in misura notevole […] Per noi non ci sono dubbi: il vero santo dell’Italia moderna è Don Bosco».[1]

Negli stessi anni ottanta del secolo scorso l’opinione era condivisa dal teologo P. Dominique Chenu O.P.; alla domanda di un giornalista che gli chiedeva di indicargli alcuni santi portatori di un messaggio di attualità per i nuovi tempi, rispondeva: «Mi piace ricordare, anzitutto, colui che ha precorso il Concilio di un secolo, Don Bosco. Egli è già, profeticamente, un modello di santità per la sua opera, che è rottura con un modo di pensare e di credere dei suoi contemporanei».

In ogni stagione e contesto culturale si tratta di rispondere a queste domande:

-  Che cosa ha ricevuto Don Bosco dall’ambiente in cui è vissuto?

-  In che misura è debitore al contesto, alla famiglia, alla Chiesa dell’epoca?

-  Come ha reagito e cosa ha dato al suo tempo e al suo ambiente?

-  Come ha influito sui tempi successivi?

-  Come lo hanno visto i suoi contemporanei: salesiani, popolo, Chiesa, laici?

-  Come lo hanno compreso le successive generazioni?

-  Quali aspetti della sua santità oggi appaiono a noi più interessanti?

-  Come tradurre oggi il modo in cui Don Bosco ha interpretato il Vangelo?

Queste sono le domande a cui dovrebbe rispondere una nuova agiografia di Don Bosco. Non si tratta di pervenire alla identificazione di un profilo di Don Bosco definitivo e sempre valido, ma di evidenziarne uno adeguato alla nostra epoca. È evidente che di ogni santo si sottolineano gli aspetti che interessano per la loro attualità e si trascurano quelli che non si ritengono necessari nel proprio momento storico o si stimano irrilevanti per caratterizzarne la figura.

I Santi infatti sono una risposta al bisogno spirituale di una generazione, l’illustrazione eminente di ciò che i cristiani di un’epoca intendono per santità. Evidentemente l’auspicata imitazione di un santo non può che essere “proporzionale” al riferimento assoluto che è Gesù di Nazareth; infatti ogni cristiano, nella concretezza della sua situazione, è chiamato a incarnare a modo proprio l’universale figura di Gesù, senza ovviamente esaurirla. I Santi offrono un cammino concreto e valido verso questa identificazione con il Signore Gesù.

Nel commento alla Strenna che propongo alla Famiglia Salesiana, questi saranno i tre contenuti fondamentali che svilupperò: elementi della spiritualità di Don Bosco; la carità pastorale come centro e sintesi della spiritualità salesiana; la spiritualità salesiana per tutte le vocazioni Al termine di essi offrirò alcuni impegni concreti che qui già anticipo nella loro completezza.

1. Elementi della spiritualità di Don Bosco

Pervenire ad una precisa identificazione della spiritualità di Don Bosco non è una impresa facile; non per nulla è forse l’aspetto della sua figura meno approfondito. Don Bosco è un uomo tutto teso al lavoro apostolico; non ci concede descrizioni delle sue evoluzioni interiori, né ci lascia riflessioni particolari sulla sua esperienza spirituale. Non scrive diari spirituali e non offre interpretazioni dei suoi moti interiori; preferisce trasmettere uno spirito descrivendo le vicende della sua vita, oppure attraverso le biografie dei suoi giovani. Non basta certo dire che la sua è la spiritualità apostolica di chi svolge una pastorale attiva, una pastorale di mediazione fra una spiritualità dotta e una spiritualità popolare; occorre individuare il nucleo della sua esperienza spirituale.

Ora si pone un problema serio: come indagare la spiritualità di Don Bosco, data l'estrema scarsità di fonti della sua vita interiore? Lasciamo ai teologi spirituali di approfondire questa tematica metodologica e cerchiamo di individuare alcuni elementi fondamentali e caratteristici della sua esperienza spirituale.

La spiritualità è un modo caratteristico di sentire la santità cristiana e di tendere ad essa; è un modo particolare di ordinare la propria vita all’acquisto della perfezione cristiana e alla partecipazione di uno speciale carisma. In altri termini, è il vissuto cristiano, un’azione congiunta con Dio che presuppone la fede.

La spiritualità salesiana consiste di vari elementi: è uno stile di vita, preghiera, lavoro, rapporti interpersonali; una forma di vita comunitaria; una missione educativa pastorale sulla base di un patrimonio pedagogico; una metodologia formativa; un insieme di valori e atteggiamenti caratteristici; una peculiare attenzione alla Chiesa e alla società attraverso settori specifici di impegno; un'eredità storica di documentazione e scritti; un linguaggio caratteristico; una serie tipica di strutture e opere; un calendario con feste e ricorrenze proprie ...

Nel quadro generale di riferimento della storia della spiritualità del secolo XIX, esplicitiamo alcuni elementi che ci sembrano particolarmente rilevanti per descrivere l’esperienza spirituale di Don Bosco; sono il suo punto di partenza, la sua radice profonda, i suoi strumenti, il suo punto di arrivo.

1.1. Punto di partenza: la gloria di Dio e la salvezza delle anime

La gloria di Dio e la salvezza delle anime furono la passione di Don Bosco. Promuovere la gloria di Dio e la salvezza delle anime equivale a conformare la propria volontà a quella di Dio, che appunto vuole tanto la piena manifestazione del bene che è Egli stesso, ossia la sua gloria, quanto l’autentica realizzazione del bene dell’uomo, che è la salvezza della sua anima.

In un raro frammento della sua “storia dell’anima”, Don Bosco confesserà (1854) il suo segreto circa le finalità della sua azione: «Quando mi sono dato a questa parte di sacro ministero intesi consacrare ogni mia fatica alla maggior gloria di Dio e a vantaggio delle anime, intesi di adoperarmi per fare buoni cittadini in questa terra, perché fossero poi un giorno degni abitatori del cielo. Dio mi aiuti di poter continuare fino all’ultimo respiro di mia vita. Così sia».[2]

Nello stesso testo, poco righe prima, aveva scritto:

«Ut filios Dei, qui erant dispersi, congregaret in unum. Joan. c. 11 v. 52. Le parole del santo Vangelo che ci fanno conoscere essere il divin Salvatore venuto dal cielo in terra per radunare insieme tutti i figliuoli di Dio, dispersi nelle varie parti della terra, parmi che si possano letteralmente applicare alla gioventù de’ nostri giorni. Questa porzione la più delicata e la più preziosa dell’umana Società, su cui si fondano le speranze di un felice avvenire, non è per se stessa di indole perversa […] La difficoltà consiste nel trovar modo di radunarli, loro poter parlare, moralizzarli. Questa fu la missione del figliolo di Dio, questo può solamente fare la santa sua religione».[3]

Alla base della scelta di fare l’Oratorio c’è la volontà salvifica di Dio, espressa nell’incarnazione del Figlio, mandato per raccogliere in unità attorno a sé gli uomini dispersi nei meandri dell’errore e su false strade di salvezza. La Chiesa è chiamata a rispondere nel tempo a tale divina missione di salvezza. L’Oratorio si inserisce dunque nell’economia della salvezza; è una risposta umana a una vocazione divina e non un’opera fondata sulla buona volontà di una persona.

A conferma di questo, leggiamo in una cronaca del 16 gennaio 1861: «Interrogato del suo parere intorno al sistema dell’efficacia della grazia rispose: io studiai molto queste questioni; ma il mio sistema è quello che ridonda alla maggior gloria di Dio. Che mi importa di aver un sistema stretto e che poi mandi un’anima all’inferno o che abbia un sistema largo purché mandi anime in Paradiso?»[4]

Analoga l’esternazione del 16 febbraio 1876 sul suo modo di procedere nelle sue iniziative: «Noi andiamo avanti sempre sul sicuro; prima d’intraprendere le cose ci accertiamo che è volontà di Dio che le cose si facciano. Noi cominciamo sempre le nostre cose colla certezza che è Dio che le vuole. Avuta questa certezza, noi andiamo avanti. Parrà che mille difficoltà s’incontrino per via; non importa, Dio lo vuole e noi stiamo intrepidi in faccia a qualunque difficoltà».[5]

Identiche alle finalità dell’Oratorio sono quelle dell’«Opera degli Oratori», vale a dire della Società Salesiana, dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, dei Cooperatori salesiani, dell’Associazione dei Devoti di Maria Ausiliatrice; tutti sono animati, motivati e sorretti dallo stesso scopo. Bastino poche citazioni riguardanti i Salesiani, fra le moltissime che si potrebbero addurre.

Nell’introduzione alla prima redazione delle Costituzioni, Don Bosco affermava che i primi collaboratori ecclesiastici si erano associati con la «promessa di non occuparsi se non in quelle cose che il loro superiore giudicasse di maggior gloria di Dio e a vantaggio dell’anima propria”».[6] Si ripeteva nel successivo capitolo sul fine della Società: i Salesiani «si stringono a formare un cuor solo e un’anima sola per amare e servire Iddio».[7]

Inoltre, l’11 giugno 1860 nella supplica inviata all’Arcivescovo di Torino per l’approvazione delle Costituzioni si leggeva: «noi sottoscritti unicamente mossi dal desiderio di assicurarci la nostra eterna salute ci siamo uniti a far vita comune a fine di poter con maggior comodità attendere a quelle cose che riguardano la gloria di Dio e la salute delle anime».[8] Il 12 gennaio 1880 poi scriveva al Card. Ferrieri che l’obiettivo dell’opera salesiana era sempre il medesimo: «Credo di poter assicurare a Eminenza Vostra che i Salesiani non hanno altro fine che di lavorare alla maggior gloria di Dio, a vantaggio di Santa Chiesa, dilatare il Vangelo di Gesù Cristo fra gli Indi Pampas e nella Patagonia».[9]

Del resto Don Bosco aveva già evidenziato la stessa finalità della nascente Società di San Francesco di Sales, scrivendo il 9 giugno 1867 ai Salesiani nella sua circolare che precedette di due anni l’approvazione della stessa Congregazione: «Primo oggetto della nostra Società è la santificazione dei suoi membri […] Ognuno deve entrare in società guidato dal solo desiderio di servire Dio con maggior perfezione, e di fare del bene a se stesso, s’intende fare a se stesso il vero bene è il bene spirituale ed eterno».[10]

1.2. Radice profonda: unione con Dio

L’unum necessarium è la radice profonda della sua vita interiore, del suo dialogo con Dio, della sua operosità di apostolo. Non ci sono dubbi che in Don Bosco la santità rifulge nelle sue opere, ma è certamente vero che le opere sono solo un’espressione della sua fede. Non sono le opere realizzate che fanno di Don Bosco un santo, come ci ricorda San Paolo: «Se anche parlassi le lingue degli uomini … ma non ho la carità, nulla mi serve» (1 Cor 13); ma è una fede ravvivata dalla carità operativa (cf. Gal 5,6b) che lo fa santo: dai frutti conoscerete le sue opere (cf. Mt 7,16.20).

Alla unione con Dio, reale e non solo psicologica, sono invitati tutti i cristiani. Unione con Dioè vivere la propria vita in Dio e alla sua presenza; è vita divina che è in noi per partecipazione; è esercizio della fede, speranza e carità, cui seguono necessariamente le virtù infuse, le virtù morali, ecc. Don Bosco dà vigore evangelico al proprio vissuto, fa della trasmissione della fede in Dio la ragione della propria vita, secondo la logica delle virtù teologali: con una fede che diventa segno affascinante per i giovani, con una speranza che diventa parola luminosa per loro, con una carità che diventa gesto di amore verso gli ultimi.

Don Bosco è sempre stato fedele alla sua missione di carità effettiva: là dove un misticismo disincarnato avrebbe rischiato di tagliare i ponti con la realtà, la fede lo ha obbligato a restare in trincea per atto di estrema fedeltà all'uomo bisognoso; là dove poteva subentrare stanchezza e rassegnazione, lo sorresse la speranza; là dove non sembrava esserci rimedio, lo spinse ad agire la via indicata da Paolo:«Caritas Christi urget nos» (1 Cor 5,14). La carità vissuta da Don Bosco non si arrestava di fronte alle difficoltà:«Mi sono fatto tutto per tutti per salvare ad ogni costo qualcuno» (1 Cor 9,22). Non le sconfitte erano da temere in campo educativo, ma l’inerzia e il disimpegno.

Vivere la fede: significa abbandonarsi con gioia fiduciosamente a Dio rivelatosi in Gesù, così da essere capaci di vivere tutte le situazioni in modo salvifico: cioè accogliere tutte le circostanze della storia, in modo da consentire a Dio di manifestarci la sua azione salvifica. Nessuna situazione corrisponde in modo adeguato al volere di Dio, ma l'uomo può vivere ogni situazione in modo da compiervi sempre la volontà di Dio.

Vivere la speranza: significa attendere Dio ogni giornoper essere capaci di accogliere il suo dono futuro; significa attendere ogni giorno Dio che viene attraverso doni creati: ogni giorno ha il suo dono. Così in tutte le situazioni, anche di fallimento: «niente ci potrà separare dall'amore di Cristo» (Rm 8,39).

Vivere la carità: significa rendere il presente spazio dell’amore di Dio. Per essere capaci di atteggiamento oblativo, è necessario un esercizio continuo; si richiede un ambiente che stimoli: la missione salesiana lo è senza dubbio.

Tutto ciò è stato vissuto da Don Bosco in spirito di autentica pietà. Egli non ha lasciato formule di pietà, neppure una sua devozione particolare. La sua concezione è realista e pratica. Solo le preghiere del buon cristiano, facili, semplici, ma fatte con perseveranza. Ciò che a Don Bosco premeva era che i Salesiani consacrassero tutta la loro vita alla salvezza delle anime e santificassero il loro lavoro offrendolo a Dio; la preghiera doveva intervenire come elevazione dell'anima a Dio, come petizione e come alimento, in altre parole, le “pratiche di pietà” avevano una sorta di funzione ascetica. I risultati di questo esercizio nella vita di Don Bosco sono sotto gli occhi di tutti.

Ascoltiamo due testimonianze. Ecco quanto un ex allievo, di quarantacinque anni, militare e insegnante nell’esercito, da Firenze scrive a Don Bosco a Torino:

«Amato mio Don Bosco, sembra che abbia ragione lagnarsi di me, sì, ma creda pure che sempre lo amai, lo amerò: io in lei trovo ogni conforto e ammiro le sue gesta da lontano; né parlai, né permisi sentire di lei parlare male; sempre lo difesi. Vedo in lei che volgerebbe l'anima mia ad ogni verso; restai confuso, estatico, elettrizzato nei suoi ragionamenti; furono forti e sentiti: mise in me uno sconcerto e mi rese a tal punto da restare abbagliato nel vedere che sempre mi ama svisceratamente, sì, o caro Don Bosco. Credo la comunione dei Santi […]. Nessuno più di lei sa e conosce il cuore mio e potrà decidere. Conchiudo perciò, mi consigli, mi ami, mi perdoni e mi raccomandi a Dio, a Gesù, a Maria SS.ma... Le mando un bacio di cuore e le fo professione di fede che le voglio bene...»[11]

La seconda testimonianza è una assai commovente pagina del santo Don Orione ai suoi chierici nel 1934, l’anno della canonizzazione di Don Bosco:

«Ora vi dirò la ragione, il motivo, la causa per cui Don Bosco si è fatto santo. Don Bosco si è fatto santo perché nutrì la sua vita di Dio, perché nutrì la vita nostra di Dio. Alla sua scuola imparai che quel santo non ci riempiva la testa di sciocchezze, o di altro, ma ci nutriva di Dio, e nutriva se stesso di Dio, dello spirito di Dio. Come la madre nutre se stessa per poi nutrire il proprio figliuolo, così Don Bosco nutrì se stesso di Dio, per nutrire di Dio anche noi. Per questo, quelli che conobbero il Santo, e che ebbero la grazia insigne di crescere vicino a lui, di sentire la sua parola, di avvicinarlo, di vivere in qualche modo la vita del santo, riportarono da quel contatto qualche cosa che non è terreno, che non è umano; qualche cosa che nutriva la sua vita di santo. Ed egli poi tutto volgeva al cielo, tutto volgeva a Dio, e da tutto traeva motivo per elevare i nostri animi verso il cielo, per indirizzare i nostri passi verso il cielo».

1.3. Strumenti: valori invisibili tradotti in opere visibili

Al centro della spiritualità di Don Bosco c’è solo Dio da conoscere, amare e servire in ordine alla propria salvezza, mediante la realizzazione di una concreta vocazione personale: la dedizione religiosa ed apostolica - benefica, educativa, pastorale - ai giovani, soprattutto poveri ed abbandonati, in funzione della loro salvezza integrale, sul modello di Cristo Salvatore e alla scuola di Maria SS, Madre e Maestra. Non per nulla il sostantivo più frequente ad es. in un suo volume di lettere è “Dio” e il verbo più ricorrente, dopo “fare”, è “pregare”.[12]

In Don Bosco si ha una spiritualità attiva; egli tende all'azione, all’operosità sotto lo stimolo dell'urgenza e della coscienza di una missione celeste. La scelta dell'operosità dà al distacco un'accezione particolare, in vista dell'azione apostolica. Se in S. Alfonso il distacco è soprattutto interno all'uomo, in Don Bosco acquista più senso nell’operosità: il distacco aiuta a impegnarsi nelle opere che Dio assegna da compiere.

In Don Bosco si scopre il senso della relatività delle cose e contemporaneamente della loro necessaria utilizzazione per lo scopo che gli sta a cuore. Egli preferisce non attaccarsi rigidamente a certi schemi; meglio dunque una lettura più pratica, pastorale, spirituale, che teologico-speculativa. In lui c’è originale specificità: la salvezza è da ottenere con i metodi dell'amorevolezza, della mitezza, allegria, umiltà, pietà eucaristica e mariana, della carità verso Dio e gli uomini.

Il rapporto fra amore di Dio e amore fraterno è identico sia per il cristiano che per il religioso. Si tratta di vivere una consacrazione a Dio e alla sua maggior gloria in una dedizione totale nell’operare il bene per l’anima propria e altrui, come pura oblazione senza niente tenere per sé, fatta in comunione con i fratelli, nella carità dell’obbedienza e della solidarietà comunitaria.

Don Bosco, a titolo di umana sensibilità e di sacerdotale partecipazione, ha saputo inserirsi realisticamente nella società, dando testimonianza di fede, esortando senza rispetto umano, intervenendo in modo diretto, anche là dove pareva compromettere agli occhi di alcuni la dignità sacerdotale. Ha vissuto i valori forti della sua vocazione ma ha anche saputo tradurli in fatti sociali, in gesti concreti, senza ripiegamento nello spirituale, nell’ecclesiale, nel liturgico, inteso come spazio esente dai problemi del mondo e della vita.

In Don Bosco lo Spirito si è fatto vita. Non è fuggito in avanti, ma neppure è rimasto attardato. Forte della sua vocazione, non ha vissuto il quotidiano come assenza di orizzonti; come nicchia protettiva; come rifiuto del confronto aperto con una realtà più ampia e diversificata; come mondo ristretto di pochi bisogni da soddisfare; come luogo di ripetizione quasi meccanica di atteggiamenti tradizionali; come rifiuto delle tensioni, del sacrificio esigente, del rischio, della rinuncia al successo immediato, della lotta.

È interessante al riguardo una citazione di 120 anni fa, che, se non fosse per alcuni termini, potrebbe essere scambiata per contemporanea. Si tratta di una testimonianza “esterna” a Don Bosco; essa ci offre la lettura che altri, forse anche ispirati dai Salesiani, facevano della sua opera. Si tratta del Card. Vicario di Roma, Lucido Maria Parocchi, che nel 1884 scriveva:

«Quale lo specifico della società salesiana? Intendo di parlarvi di ciò che distingue la vostra Congregazione, ciò che forma il vostro carattere; così come i francescani si distinguono per la povertà; i domenicani per la difesa della fede; i gesuiti per la cultura. Essa ha in sé qualche cosa che si apparenta a quella dei francescani, dei domenicani e dei gesuiti, ma se ne distingue per l’oggetto e le modalità… Che cosa dunque di speciale vi sarà nella Congregazione Salesiana? Quale sarà il suo carattere, la sua fisionomia? Se ne ho ben compreso, se ne ho ben afferrato il concetto, il suo carattere specifico, la sua fisionomia, la sua nota essenziale, è la carità esercitata secondo le esigenze del secolo: nos credidimus caritati: Deus caritas est. Il secolo presente soltanto colle opere di carità può essere adescato e tratto al bene. Il mondo ora null’altro vuole e conosce, fuorché le cose materiali; nulla vuol sapere delle cose spirituali. Ignora le bellezze della fede, disconosce le grandezze della religione, ripudia la speranza della vita avvenire, rinnega lo stesso Dio. Questo secolo comprende della Carità soltanto il mezzo e non il fine e il principio. Sa fare l’analisi di questa virtù, ma non sa comporre la sintesi. Animalis homo non percipit quae sunt spiritus Dei: così S. Paolo. Dire agli uomini di questo secolo: «Bisogna salvare le anime che si perdono, è necessario istruire coloro che ignorano i principi della religione, è d’uopo far elemosina per amor di quel Dio, che un giorno premierà i generosi» gli uomini di questo secolo non capiscono. Bisogna dunque adattarsi al secolo, il quale vola, vola. Ai pagani Dio si fa conoscere per mezzo della legge naturale; si fa conoscere agli Ebrei col mezzo della Bibbia, ai Greci scismatici per mezzo delle grandi tradizioni dei padri; ai protestanti per mezzo del Vangelo: al presente secolo colla carità. Dite a questo secolo: vi tolgo i giovani dalle vie perché non siano colti sotto i tramvai, perché non cadano in un pozzo; li ritiro in un ospizio perché non logorino la loro fresca età in vizi e nei bagordi; li raduno nelle scuole per educarli, perché non diventino il flagello della società, non cadano in una prigione; li chiamo a me e li vigilo perché non si cavino gli occhi gli uni gli altri, e allora gli uomini di questo secolo capiscono e incominciano a credere».[13]

A proposito delle nostre opere, dobbiamo tener presente che se i laici apprezzano i nostri servizi sociali spesso lo fanno per la rapidità e incisività del nostro intervento, per l'aspetto utilitaristico del servizio, quasi secolarizzando il religioso addetto, di cui vedono solo la filantropia, e non la carità e l'ispirazione evangelica. Talvolta le nostre opere sono considerate alla stregua di imprese lucrative o magari solo di prestigio nel venir meno dello Stato sociale. Anche gli stessi credenti sovente dubitano del valore religioso delle nostre opere, anche quando le aiutano e se ne servono; ne lasciano la responsabilità ai gestori e non si ispirano all'esperienza religiosa della Congregazione. Troppi volontari hanno scarsa fiducia nella pertinenza e duttilità delle nostre opere. C’è di che riflettere. E tanto!

1.4. Punto di arrivo: la santità

Don Bosco si colloca nel filone dell’umanesimo devoto di S. Francesco di Sales, che propone a tutte le categorie di persone il cammino di santità. La caratteristica sottolineata in Don Bosco è però una santità comune per tutti, ognuno secondo il proprio stato. Non distingue gradi di santità, rifiuta analisi di questo tipo. Usa schemi scolastici presi dalla spiritualità cattolica del tempo. La sua è una teologia cristocentrica ed eucaristica, mariana, alimentata dall’esercizio di alcune virtù, specialmente l’obbedienza. La santità non esclude la gioia, l'allegria; chiede non penitenze, ma impegno, derivante da una vita di grazia, nel compimento dei propri doveri.

Al classico termine di “devozione” per indicare la stato di carità che ci fa agire prontamente e diligentemente per Dio, Don Bosco preferisce quello di santità, quella di chi vive in stato di grazia abituale perché è riuscito, con l’impegno personale e con l’aiuto dello Spirito, ad evitare il peccato nelle forme più comuni dei giovani: cattivi compagni, discorsi cattivi, impurità, scandalo, furto, intemperanza, superbia, rispetto umano, mancanza ai doveri religiosi…

Dopo San Francesco di Sales e prima del Concilio Vaticano II, Don Bosco ci insegna che la santità è possibile per tutti, che a tutti è data la grazia sufficiente per raggiungerla, che la sanità dipende molto dalla cooperazione dell’uomo con la grazia. Certo che la santità è resa difficile, ma non impossibile, da vari ostacoli: imperfezioni, difetti, passioni, demonio, peccato. La santità non è impossibile, dati i molti mezzi a nostra disposizione: virtù teologali, doni dello Spirito Santo, virtù morali infuse e acquisite, impegno ascetico…

La nostra spiritualità corre il rischio di vanificarsi, perché i tempi sono cambiati e perché talvolta noi la viviamo superficialmente. Per attualizzarla dobbiamo ripartire da Don Bosco, dalla sua esperienza spirituale e dal suo sistema preventivo. I chierici del tempo di Don Bosco vedevano ciò che non andava e non volevano essere religiosi, ma erano incantati da lui. I giovani hanno bisogno di “testimoni”, come scrisse Paolo VI. Ci vogliono uomini spirituali, uomini di fede, sensibili alle cose di Dio e pronti all’obbedienza religiosa nella ricerca del meglio. Non è la novità che ci rende liberi, ma la verità; la verità non può essere moda, superficialità, improvvisazione: veritas liberavit vos.

2. Centro e sintesi della spiritualità salesiana: la carità pastorale

In precedenza abbiamo visto che “tipo” di persona spirituale fosse Don Bosco: profondamente uomo e totalmente aperto a Dio; in armonia tra queste due dimensioni egli ha vissuto un progetto di vita assunto con decisione: il servizio ai giovani. Lo rileva Don Rua: «Non diede passo, non pronunciò parola, non mise mano ad impresa alcuna che non avesse di mira la salvezza della gioventù».[14] Se si esamina il suo progetto per i giovani, si vede che ha un “cuore”, un elemento che gli dà senso, originalità: «Realmente non ebbe a cuore altro che le anime».[15]

C’è quindi una spiegazione ulteriore e concreta dell’unità della sua vita: con la sua dedizione ai giovani, Don Bosco voleva comunicare loro l’esperienza di Dio. La sua era non solo generosità o filantropia, ma carità pastorale. Questa viene detta «centro e sintesi» dello spirito salesiano.[16]

Centro e sintesi è un’affermazione azzeccata e impegnativa. È più facile enumerare vari tratti, anche fondamentali, della nostra spiritualità, senza impegnarsi a stabilire tra di essi un rapporto o una gerarchia, che selezionarne uno come principale. In questo caso bisogna entrare nell’anima di Don Bosco o del salesiano e scoprire quello che spiega il suo stile.

Per capire che cosa include la carità pastorale facciamo tre passi: riflettiamo prima sulla carità, poi sulla specificazione pastorale, e infine sulla caratterizzazione salesiana della carità pastorale.

2.1. Carità

Un’espressione di San Francesco di Sales dice: «La persona è la perfezione dell’universo; l’amore è la perfezione della persona; la carità è la perfezione dell'amore».[17] Si tratta di una visione universale che colloca in scala ascendente quattro modi di esistere: l’essere, l’essere persona, l’amore come forma superiore a ogni altra forma della persona, la carità come espressione massima dell’amore.

L’amore rappresenta il punto massimo di arrivo della maturazione di qualsiasi persona, cristiana o no. L’impegno educativo si propone di portare la persona ad essere capace di donarsi, ad un amore di benevolenza.

Gli psicologi, e non solo Gesù Cristo, dicono che la personalità completa e felice è capace di generosità e disinteresse e giunge a vivere un amore che non sia soltanto concupiscenza, cioè per la propria soddisfazione di essere amato. Diverse forme di nevrosi o di perturbazione della personalità derivano dall’essere centrati su di sé e le relative terapie tendono tutte ad aprire e decentrare verso gli altri.

La carità è poi la proposta principale in ogni spiritualità: è non solo il primo e principale comandamento, e dunque il programma principale per il cammino spirituale, ma anche la fonte di energia per progredire. C’è su di essa un’abbondante riflessione soprattutto in San Paolo (2 Cor 12, 13-14) e in San Giovanni (1 Gv 4,7-21). Prendiamo solo alcuni nuclei.

L’accendersi della carità in noi è un mistero e una grazia; non proviene da iniziativa umana ma è partecipazione alla vita divina ed effetto della presenza dello Spirito. Non potremmo amare Dio se Lui non ci avesse amati per primo, facendocelo sentire e dandoci il gusto e l’intelligenza per corrispondervi. Non potremmo nemmeno amare il prossimo e vedere in esso l’immagine di Dio, se non avessimo l’esperienza personale dell’amore di Dio.

«L’amore che Dio ha per noi si è diffuso nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5,5). D’altra parte, anche l’amore umano non ha spiegazione razionale, e per questo si dice che è cieco. Nessuno riesce a determinare con esattezza perché una persona si innamori di un’altra.

Per la sua natura di essere partecipazione alla vita divina e comunione misteriosa con Dio, la carità crea in noi la capacità di scoprire e percepire Dio: la religione senza la carità allontana da Dio. L’amore autentico, anche solo umano, porta coloro che sono lontani verso la fede e l’ambiente religioso. La parabola del buon samaritano mette a fuoco il rapporto religione-carità a vantaggio di quest’ultima.

San Giovanni riassumerà questo nella sua prima lettera, scrivendo: «Carissimi, amiamoci gli uni gli altri perché l’amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio. Chi non ama non ha conosciuto Dio perché Dio è amore» (1 Gv 4,7-8). In san Giovanni il verbo conoscere significa fare esperienza, piuttosto che avere nozioni esatte: chi ama fa esperienza di Dio.

Poiché la carità è il dono che ci permette di conoscere Dio per esperienza, essa ci abilita pure a goderlo nella visione definitiva: «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente» (1 Cor 13,12).

Perciò la carità non è solo una virtù particolare, ma la forma e la sostanza di tutte le virtù e di ciò che costituisce e costruisce la persona: «Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli... e se avessi il dono della profezia... e se distribuissi tutte le mie sostanze ai poveri... e se possedessi la pienezza della fede sì da trasportare le montagne... ma non avessi carità, niente mi giova» (1 Cor 13,1-3).

Per questo la carità e i suoi frutti sono realtà che perdurano, resistono al tempo: «La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà, la scienza svanirà. Quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà» (1 Cor 13,8-10). Ciò si applica non solo alla vita, ma alla nostra storia. Quello che si edifica sull’amore rimane e costruisce la nostra persona, la nostra comunità, la nostra società; mentre ciò che si fonda e si costruisce sull’odio e sull’egoismo si consuma.

Perciò la carità è il più grande e la radice di tutti i carismi, attraverso cui si costruisce e opera la Chiesa. Proprio dopo aver spiegato la finalità e l’impiego dei diversi carismi, San Paolo introduce il discorso della carità con queste parole: «Aspirate ai carismi più grandi e io vi mostrerò la via migliore» (1 Cor 12,31).

È il carisma principale, anche quando si esprime in gesti quotidiani e non ha nulla di straordinario o vistoso: «è paziente, è benigna la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia, ma si compiace nella verità. Tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1 Cor 13,4-6).

Per Don Bosco e Madre Mazzarello, come per tutti i santi, la carità è centrale. È l’insistenza principale della loro vita. Conviene saperlo e dirlo. Ogni tanto infatti qualche membro della Famiglia Salesiana ne fa esperienza, scopre l’importanza della carità in un movimento ecclesiale, dopo aver vissuto molti anni nella spiritualità del nostro carisma salesiano. Sembra che prima non ne abbia sentito parlare con efficacia e non abbia potuto vivere ciò con intensità.

Nel sogno dei diamanti – che è una parabola dello spirito salesiano – la carità è collocata davanti e proprio sul cuore del personaggio: «Tre di quei diamanti erano sul petto... su quello che si trovava sul cuore era scritto: carità».[18] In questo sogno ciò che è collocato davanti è la parte fondamentale del nostro spirito.

Inoltre, la carità viene raccomandata dai nostri fondatori in forme molteplici: come base della vita di comunità, principio pedagogico, fonte della pietà, condizione dell’equilibrio e della felicità personale, pratica di virtù specifiche, quali l’amicizia, la buona educazione, la rinuncia a propri interessi.

Imparare ad amare, è la finalità della vita consacrata, che altro non è che “un cammino che parte dall’amore e conduce all'amore”.[19]  L’insieme di pratiche e discipline, di norme e insegnamenti spirituali vuole ottenere una sola cosa: renderci capaci di accogliere gli altri e metterci a loro servizio con generosità.

2.2. Carità pastorale

La carità ha molte manifestazioni: l’amore materno, l’amore coniugale, la beneficenza, la compassione, la misericordia, l’amore ai nemici, il perdono. Nella storia della santità tali manifestazioni coprono tutti gli ambiti della vita umana. Noi, Salesiani (SDB) e Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA), come in genere tutti i gruppi della Famiglia Salesiana, parliamo di una carità pastorale.

Questa espressione appare molte volte nelle Costituzioni o Statuti dei vari gruppi, documenti e discorsi. Che cosa significhi carità pastorale lo dice bene il Concilio Vaticano II quando, riferendosi a coloro che si prendono cura di educare alla fede, dice: «Viene data loro la grazia sacramentale, affinché con la preghiera, il sacrificio e la predicazione ... esercitino un perfetto ministero di carità pastorale: non temano dunque di donare la vita per le loro pecore e, facendosi modello del gregge, promuovano la Chiesa anche con l’esempio verso una più grande santità».[20]

La parola pastorale sta ad indicare una forma specifica di carità; essa richiama subito alla mente la figura di Gesù Buon Pastore.[21] Non soltanto però le modalità del suo operare: bontà, ricerca di chi si è perso, dialogo, perdono; ma anche e soprattutto la sostanza del suo ministero: rivelare Dio a ciascun uomo e a ciascuna donna. È più che evidente la differenza con altre forme di carità che rivolgono attenzione preferenziale a particolari bisogni delle persone: salute, cibo, lavoro.

L’elemento tipico della carità pastorale è l’annuncio del Vangelo, l’educazione alla fede, la formazione della comunità cristiana, la lievitazione evangelica dell’ambiente. Essa chiede dunque disponibilità piena e donazione per la salvezza dell’uomo, come viene prospettata da Gesù: di tutti gli uomini, di ogni uomo, anche di uno solo. Don Bosco, e dietro di lui la nostra Famiglia Salesiana, esprimono questa carità con una frase: Da mihi animas, cetera tolle.

I grandi Istituti e le grandi correnti di spiritualità hanno condensato il cuore del proprio carisma in una breve frase. «Per la maggiore gloria di Dio» dicono i gesuiti; «Pace e bene» è il saluto dei francescani; «Prega e lavora» è il programma dei benedettini; «Contemplare e consegnare agli altri le cose contemplate» è la norma dei domenicani. I testimoni della prima ora e la riflessione successiva della Congregazione hanno portato alla convinzione che l’espressione che riassume la spiritualità salesiana è proprio il Da mihi animas, cetera tolle.

Certo l’espressione ricorre con frequenza sulle labbra di Don Bosco e ha influito sulla sua fisionomia spirituale. È la massima che impressionò Domenico Savio nell’ufficio di Don Bosco ancora giovane sacerdote (34 anni) e lo mosse a un commento rimasto famoso: «Ho capito che qui non si fa negozio di denaro, ma di anime. Ho capito: spero che l’anima mia farà anche parte di questo commercio».[22] Per questo ragazzo fu chiaro dunque che Don Bosco non gli offriva solo istruzione e casa, ma soprattutto un’opportunità di crescita spirituale.

L’espressione è stata raccolta nella Liturgia: «Suscita anche in noi la stessa carità apostolica che ci spinga a cercare le anime per servire te, unico e sommo bene»[23]. Era giusto che così fosse, dato che Don Bosco aveva avuto presente questa intenzione nella fondazione delle sue istituzioni: «Il fine di questa Società, se lo si considera nei suoi membri, non è altro che un invito a unirsi spinti dal detto di Sant’Agostino: divinorum divinissimum est in lucrum animarum operare».[24]

2.3. Carità pastorale salesiana

Nella storia salesiana leggiamo: «La sera del 26 gennaio 1854, ci siamo radunati nella camera di Don Bosco e ci venne proposto di fare con l’aiuto del Signore e di San Francesco di Sales una prova di esercizio pratico di carità... D’allora è stato dato il nome di salesiani a coloro che si proposero o si proporranno questo esercizio».[25]

Dopo Don Bosco, i singoli Rettori Maggiori, da testimoni autorevoli, hanno riaffermato la stessa convinzione. È interessante il fatto che tutti si siano premurati di ribadirlo con una convergenza che non lascia spazio al dubbio.

Don Michele Rua ha potuto affermare ai processi per la beatificazione e canonizzazione di Don Bosco: «Lasciò che altri accumulassero beni ... e corressero dietro gli onori; Don Bosco realmente non ebbe a cuore altro che le anime: disse col fatto, non solo con la parola: Da mihi animas, cetera tolle».

Don Paolo Albera, che ebbe una lunga consuetudine di vita e familiarità con Don Bosco, attesta: «Il concetto animatore di tutta la sua vita era di lavorare per le anime fino alla totale immolazione di se stesso... Salvare le anime... fu, si può dire, l’unica ragione del suo esistere».[26]

Più incisivamente, anche perché mette a fuoco le motivazioni profonde dell’agire di Don Bosco, Don Filippo Rinaldi vede nel motto Da mihi animas «il segreto del suo amore, la forza, l’ardore della sua carità».

Riguardo alla consapevolezza attuale, dopo il ripensamento della vita salesiana alla luce del Concilio, così si esprime il Rettor Maggiore Don Egidio Viganò: «La mia convinzione è che non c’è nessuna espressione sintetica che qualifichi meglio lo spirito salesiano di questa scelta dallo stesso Don Bosco: Da mihi animas, cetera tolle. Essa sta ad indicare un’ardente unione con Dio che ci fa penetrare il mistero della sua vita trinitaria manifestata storicamente nelle missioni del Figlio e dello Spirito quale Amore infinito ad hominum salutem intentus».[27]

Da dove viene e che significato preciso può avere oggi questa espressione o motto? Dico oggi, quando la parola anima non esprime e non evoca quello che richiamava in epoche precedenti.

Questo motto di Don Bosco si trova nella Genesi, al capitolo 14,21. Quattro re alleati fanno guerra ad altri cinque, tra i quali c’è quello di Sodoma. Durante il saccheggio della città cade prigioniero anche Lot, nipote di Abramo, con la sua famiglia. Abramo viene avvisato. Parte con la sua tribù, dopo aver armato gli uomini. Sconfigge i predatori, ricupera il bottino e riscatta le persone. Allora il re di Sodoma, grato, gli dice: «Dammi le persone, il resto è per te». La presenza di Melchisedek, sacerdote di cui non si conosce l’origine, dà un particolare senso religioso e messianico al brano, soprattutto per la benedizione che pronuncia su Abramo. Dunque una situazione tutt’altro che “spirituale”. Nella richiesta del re c’è però la netta distinzione tra le “persone” e il “resto”, le cose.

Don Bosco dà all’espressione una interpretazione personale entro la visione religioso-culturale del secolo scorso. Anima indica la dimensione spirituale dell’uomo, centro della sua libertà e ragione della sua dignità, spazio della sua apertura a Dio. L’espressione di Gen. 14,21 in Don Bosco assume caratteristiche proprie, dal momento che del testo biblico fa una lettura accomodatizia, allegorica, giaculatoria, eucologica: animas sono gli uomini del suo tempo, sono i ragazzi concreti con cui ha da fare; cetera tolle significa il distacco dalle cose e creature, un distacco che in lui non è traducibile nel senso di annientamento di sé, di annientamento in Dio, come ad esempio nei teologi contemplativi o mistici; in lui il distacco è uno stato d'animo necessario per la più assoluta libertà e disponibilità alle esigenze dell'apostolato stesso.

L’intreccio dei due significati, quello biblico e quello dato da Don Bosco, avvicinato alla nostra cultura indica scelte molto concrete.

In primo luogo, la carità pastorale prende in considerazione la persona e si rivolge a tutta la persona; prima e soprattutto interessa la persona per sviluppare le sue risorse. Dare “cose” viene dopo; il fare un servizio è in funzione della crescita della coscienza e del senso della propria dignità.

Inoltre la carità che guarda soprattutto alla persona è guidata da una “visione” di essa. La persona non vive di solo pane; ha bisogni immediati, ma anche aspirazioni infinite. Desidera beni materiali, ma anche valori spirituali. Secondo l’espressione di Agostino «è fatta per Dio, assetata di lui». Perciò la salvezza che la carità pastorale cerca e offre è quella piena e definitiva. Tutto il resto viene ordinato ad essa: la beneficenza all’educazione; questa all’iniziazione religiosa; l’iniziazione religiosa alla vita di grazia e alla comunione con Dio.

In altre parole, si può dire che nella nostra educazione o promozione diamo il primato alla dimensione religiosa. Non per proselitismo, ma perché siamo convinti che essa costituisce la sorgente più profonda della crescita della persona. In un tempo di secolarismo, quest’orientamento non è di facile realizzazione.

La massima da mihi animas contiene anche un’indicazione di metodo: nella formazione o rigenerazione della persona bisogna far forza e ravvivare le sue energie spirituali, la sua coscienza morale, la sua apertura a Dio, il pensiero del suo destino eterno. La pedagogia di Don Bosco è una pedagogia dell’anima, del soprannaturale. Quando si arriva a toccare questo punto comincia il vero lavoro di educazione. L’altro è propedeutico o preparatorio.

Don Bosco lo afferma con chiarezza nella biografia di Michele Magone. Questi passa dalla strada all’Oratorio. Si sente contento ed è, umanamente parlando, un bravo ragazzo: è spontaneo e sincero, gioca, studia, fa amicizie. Gli manca una cosa: capire la vita di grazia, il rapporto con Dio, e intraprenderla. È religiosamente ignorante o svagato. Ha una crisi di pianto quando si paragona con i compagni e nota che gli manca questo. Allora Don Bosco parla con lui. Da quel momento comincia il cammino educativo descritto nella biografia: dalla consapevolezza e assunzione della propria dimensione religioso-cristiana.

C’è dunque una ascesi per chi è mosso dalla carità pastorale: Cetera tolle, «Lascia tutto il resto». Si deve rinunciare a molte cose per salvare la realtà principale; si possono affidare ad altri e anche tralasciare molte attività, pur di avere tempo e disponibilità per aprire i giovani a Dio. E ciò non solo nella vita personale, ma anche nei programmi e nelle opere apostoliche.

«Chi percorre la vita di Don Bosco, seguendo i suoi schemi mentali e battendo le piste del suo pensiero, trova una matrice: la salvezza nella Chiesa cattolica, unica depositaria dei mezzi salvifici. Egli avverte come il richiamo della gioventù sbandata, povera e abbandonata susciti in lui l’urgenza educativa di promuovere l’inserimento di questi giovani nel mondo e nella Chiesa mediante metodi di dolcezza e carità; ma con una tensione che ha la sua origine nel desiderio della salvezza eterna del giovane».[28]

2.4. Sintesi del percorso fatto

Come sintesi riprendiamo le idee fondamentali della nostra riflessione.

La nostra è una spiritualità apostolica: si esprime e cresce nel lavoro pastorale.

L’apostolato diventa un’autentica esperienza spirituale, e non consumo di energie, stress e logoramento, se ha come anima la carità; essa dà facilità, fiducia, gioia nel lavoro pastorale.

La carità realizza l’unità nella nostra vita personale; compone le tensioni che sorgono tra azione e preghiera, tra vita comunitaria e impegno apostolico, tra educazione ed evangelizzazione, tra professionalità e apostolato.

Tutto l’impegno della nostra vita spirituale consiste nel ravvivare la carità pastorale, purificarla, intensificarla: ama et fac quod vis.

3. Spiritualità salesiana per tutte le vocazioni

Se è vero che la spiritualità cristiana ha elementi comuni e validi per tutte le vocazioni, è pur vero che essa è vissuta con differenze peculiari e specifiche a secondo del proprio stato di vita: il ministero presbiterale, la vita consacrata, i fedeli laici, la famiglia, i giovani, gli anziani, … hanno un loro modo tipico di vivere l’esperienza spirituale. Lo stesso vale per la spiritualità salesiana.

3.1. Spiritualità comune per tutti i gruppi della Famiglia Salesiana

Vi sono elementi di spiritualità comuni per tutti i gruppi della Famiglia Salesiana; essi si ispirano tutti a Don Bosco, che è il fondatore dei Salesiani, Figlie di Maria Ausiliatrice insieme a Madre Mazzarello, Salesiani Cooperatori e Associazione di Maria Ausiliatrice; per gli altri gruppi essi si riferiscono ai fondatori propri. Tali elementi sono enucleati nella “Carta di identità della Famiglia Salesiana”, che è da conoscere e approfondire, perché costituisce il riferimento per la nostra spiritualità di comunione e per la nostra formazione alla comunione.

I tratti caratteristici e riconosciuti da tutti i suoi gruppi sono presenti soprattutto nella parte terza della “Carta di identità”. Essi riguardano la nostra vita di relazione trinitaria, il riferimento a Don Bosco, la comunione per la missione, la spiritualità del quotidiano, la contemplazione operante sull’esempio di Don Bosco, la carità apostolica dinamica, la grazia di unità, la predilezione per i giovani e il ceto popolare, l’amorevolezza, l’ottimismo e la gioia, il lavoro e la temperanza, l’iniziativa e la duttilità, lo spirito di preghiera, l’affidamento a Maria Ausiliatrice.

Non dimentichiamo che il Sistema Preventivo è una espressione e traduzione concreta di questa spiritualità comune. Esso ci ricollega all’anima, agli atteggiamenti e alle scelte evangeliche di Don Bosco. La «genialità» del suo spirito è legata alla attuazione del Sistema Preventivo. Un sistema riuscito, che è modello e ispirazione per quanti oggi sono impegnati nell’educazione nei diversi continenti, in contesti multiculturali e pluri-religiosi. Un modello che chiede a tutti una continua riflessione per favorire sempre di più la centralità dei giovani come destinatari e protagonisti della missione salesiana.

3.2. Spiritualità propria di ogni gruppo della Famiglia Salesiana

D’altra parte, ogni gruppo della Famiglia Salesiana ha elementi spirituali propri. Legittimamente, per la loro origine e per il loro sviluppo, i vari gruppi hanno una storia caratteristica e aspetti della spiritualità comune che essi hanno evidenziato in modo particolare od altri che sono originali. Tali elementi sono la differenza specifica di ogni gruppo; essi sono da conoscere e costituiscono una ricchezza per tutta la Famiglia stessa.

La varietà è un dono dello Spirito, che non ama l’uniformità e l’omologazione; le differenze e le specificità però non devono diventare pretesto per divisioni o contrapposizioni, ma devono arricchire tutti e convergere verso l’unità, appunto la comunione da accogliere come dono e da realizzare come impegno. Tali elementi propri sono presenti e specificati soprattutto nelle Regole di vita, ma anche nelle tradizioni, dei vari gruppi.

3.3. Spiritualità giovanile salesiana

Nel tempo si è sviluppata pure una spiritualità giovanile salesiana. Pensiamo, oltre alle tre biografie dei giovani Michele Magone, Domenico Savio e Francesco Besucco, scritte da Don Bosco, alle pagine che egli indirizza attraverso il «Giovane provveduto» ai giovani stessi, alle “Compagnie” volute da Don Bosco come momento di protagonismo spirituale e apostolico dei giovani stessi, ecc.

Sarebbe interessante conoscere gli sviluppi della spiritualità giovanile salesiana nella nostra storia e tradizione, fino ad arrivare ai nostri giorni, quando è stata fatta una sua formulazione autorevole ed è stata diffusa tra i giovani anche attraverso il Movimento Giovanile Salesiano. La spiritualità è la base del Movimento Giovanile Salesiano, che cresce con l’impegno dei giovani stessi e che richiederebbe l’apporto di animazione da parte dei vari gruppi della Famiglia Salesiana. Il Movimento Giovanile Salesiano è infatti una opportunità, un dono e un impegno per tutti i gruppi della nostra Famiglia.

La spiritualità giovanile salesiana è una spiritualità adeguata ai giovani; è vissuta con e per i giovani, pensata e realizzata all'interno dell'esperienza del giovane. Essa cerca di generare un’immagine di giovane cristiano proponibile oggi a chi è inserito nel nostro tempo e vive la condizione giovanile odierna; si rivolge a tutti i giovani perché è fatta su misura dei “più poveri”, ma allo stesso tempo è capace di indicare mete a quelli che progrediscono di più; vuole anche fare del giovane il protagonista di proposte per i suoi coetanei e per l’ambiente.

Una spiritualità della vita quotidiana come luogo dell'incontro con Dio

La spiritualità giovanile salesianaconsidera la vita quotidiana come luogo di incontro con Dio. Alla base di questa valutazione positiva del quotidiano e della vita c’è la fede e la comprensione dell’Incarnazione. Una tale spiritualità si lascia guidare dal mistero di Dio che con la sua Incarnazione, Morte e Risurrezione afferma la sua presenza, in tutta la realtà umana, come presenza di salvezza.

Il quotidiano del giovane è fatto di dovere, socialità, gioco, tensione di crescita, vita di famiglia, sviluppo delle proprie capacità, prospettive di futuro, richieste di intervento, aspirazioni. È questa realtà che va assunta, approfondita e vissuta alla luce di Dio. Secondo Don Bosco per farsi santo basta fare bene ciò che si deve fare. Egli considera la fedeltà al dovere nella sua quotidianità come criterio di verifica della virtù e come segno di maturità spirituale.

Perché la vita quotidiana possa essere vissuta come spiritualità, è necessaria la grazia di unità che aiuta ad armonizzare le diverse dimensioni della vita attorno a un cuore abitato dallo Spirito santo. Essa rende possibile la conversione e la purificazione; per mezzo della forza del sacramento della Riconciliazione essa fa sì che il giovane mantenga il cuore libero, aperto a Dio e donato ai fratelli.

Tra gli atteggiamenti ed esperienzedel quotidiano da vivere con profondità nello Spirito possono essere considerati: la vita della propria famiglia; l’amore al proprio lavoro o studio, la crescita culturale e l'esperienza scolastica; la necessità di coniugare le «esperienze forti» con i «cammini ordinari della vita»; la visione positiva e riflessiva di fronte al proprio tempo; l'accoglienza responsabile della propria vita e del proprio cammino spirituale di crescita nello sforzo di ogni giorno; la capacità di orientare la propria vita secondo un progetto vocazionale.

Una spiritualità pasquale della gioia e dell’ottimismo

La verità decisiva della fede cristiana è che il Signore è veramente risorto! Perciò la vita definitiva con Dio è la nostra meta ultima ed è anche la nostra meta già fin d’ora perché si è fatta realtà nel corpo di Gesù Cristo. La spiritualità giovanile salesiana è pasquale e si lascia pervadere da questo significato escatologico.

La tendenza più radicata nel cuore del giovane è il desiderio e la ricerca della felicità. La gioia è l’espressione più nobile della felicità e, insieme alla festa e alla speranza, è caratteristica della spiritualità salesiana. La fede cristiana è un annuncio di felicità radicale, promessa e conferimento di «vita eterna». Queste realtà però non sono una conquista, bensì un dono che ci manifesta che Dio è la fonte della vera allegria e della speranza. Senza escludere il suo valore pedagogico, l’allegria ha anzitutto un valore teologico; Don Bosco vede in essa un’imprescindibile manifestazione della vita di grazia.

Don Bosco ha inteso e ha fatto capire ai suoi giovani che impegno e gioia vanno insieme, che la santità e l’allegria sono un binomio inseparabile. Don Bosco è il santo dell’allegria da vivere. I suoi giovani appresero così bene la lezione di vita che affermavano, con linguaggio tipicamente oratoriano, che «la santità consiste nello stare molto allegri». La spiritualità giovanile salesiana propone un cammino di santità semplice, allegra e serena.

La valorizzazione della gioia come fatto spirituale, fonte d’impegno e sua conseguenza, chiede di favorire nei giovani alcuni atteggiamenti ed esperienze: un intenso ambiente di partecipazione; relazioni sinceramente amichevoli e fraterne, con l’esperienza gioiosa dell'affetto alle persone; le feste giovanili di libera espressione e gli incontri tra gruppi; l’ammirazione e il gusto per le gioie che il Creatore ha messo sul nostro cammino: la natura, il silenzio, le realizzazioni compiute assieme; la gioia esigente del sacrificio e della solidarietà; la grazia di poter vivere la sofferenza sotto il segno e la consolazione della Croce di Cristo.

Una spiritualità dell'amicizia e relazione personale con il Signore Gesù

La spiritualità giovanile salesiana vuole portare il giovane all’incontro con Gesù Cristo e rendere fattibile una relazione di amicizia e di fiducia con Lui, generando un vincolo vitale e un’adesione fedele. Molti giovani nutrono un sincero desiderio di conoscere Gesù e provano a rispondere alle domande sul senso della propria vita, alle quali però solo Dio sa dare una vera risposta.

Amico, Maestro e Salvatore sono le espressioni che descrivono la centralità della persona di Gesù nella vita spirituale dei giovani. È interessante ricordare che Gesù è presentato da Don Bosco come amico dei giovani: «I giovani sono la delizia di Gesù» egli diceva; come maestro di vita e di sapienza; come modello di ogni cristiano; come redentore che consegna tutta la sua vita nell'amore fino alla morte per la salvezza; come presente nei piccoli e nei poveri.

Per un cammino di conformità a Cristo vi sono alcuni atteggiamenti ed esperienze da sviluppare: la partecipazione di fede nella comunità che vive della memoria e della presenza del Signore e lo celebra nei sacramenti dell’iniziazione cristiana; la pedagogia della santità, che Don Bosco ha mostrato nella riconciliazione con Dio e con i fratelli attraverso il sacramento della Penitenza; l’apprendimento della preghiera personale e comunitaria, momenti privilegiati per crescere nell’amore e nella relazione personale con Gesù Cristo; l’approfondimento sistematico della fede, illuminata dalla lettura e la meditazione della Parola di Dio.

Una spiritualità di comunione ecclesiale

L’esperienza e l’intelligenza adeguata della Chiesa è uno dei punti di discernimento della spiritualità cristiana. La Chiesa è comunione spirituale e comunità che si fa visibile attraverso gesti e convergenze anche operative; è servizio agli uomini, dai quali non si stacca come una “setta” che considera buone soltanto le opere che portano il segno della propria appartenenza; è il luogo scelto e offerto da Cristo per poterlo incontrare. Egli ha consegnato alla Chiesa la Parola, il Battesimo, il Suo Corpo e il Suo Sangue, la grazia del perdono dei peccati e gli altri Sacramenti, l’esperienza di comunione e la forza dello Spirito, che muovono alla carità verso i fratelli. La Famiglia di Don Bosco ha tra i tesori di casa una ricca tradizione di fedeltà filiale al Successore di Pietro, e di comunione e collaborazione con le Chiese locali.

Proprio perché ecclesiale, la spiritualità giovanile salesiana è una spiritualità mariana. Maria fu chiamata da Dio Padre ad essere, per grazia dello Spirito, madre del Verbo per poi donarlo al mondo. La Chiesa guarda a Maria come esempio di fede; Don Bosco lo fece e siamo chiamati a farlo anche noi in comunione con la Chiesa. Maria è vista come Madre di Dio e Madre nostra; come l'Immacolata, piena di grazia, totalmente disponibile a Dio, e modello di santità di vita vissuta con coerenza e totalità; come l'Ausiliatrice, aiuto dei cristiani nella grande battaglia della fede e della costruzione del Regno di Dio. Colei che protegge e guida la Chiesa. Perciò Don Bosco la considera “la Madonna dei tempi difficili”, sostegno e appoggio della fede e della Chiesa. In Maria Ausiliatrice abbiamo un modello e una guida per la nostra azione educativa ed apostolica.

Gli atteggiamenti e le esperienze da creare sono dunque: l’ambiente concreto della casa salesiana come luogo in cui sì sperimenta un'immagine di Chiesa fresca, simpatica, attiva, capace di rispondere alle attese dei giovani; i gruppi e soprattutto la comunità educativa, che unisce giovani ed educatori in un ambiente di famiglia attorno ad un progetto di educazione integrale; la partecipazione alla Chiesa locale, dove si ricollegano tutti gli sforzi di fedeltà dei cristiani in una comunione visibile e in un servizio percettibile in un territorio concreto; la stima e fiducia verso la Chiesa universale, percepita e vissuta nel rapporto di amore verso il Papa; l’amore, l’ammirazione, il culto e l’imitazione di Maria Immacolata e Ausiliatrice; la conoscenza dei Santi e le personalità significative del pensiero e delle realizzazioni cristiane nei di­versi campi.

Una spiritualità del servizio responsabile

La vita assunta come incontro con Dio, il cammino d’identificazione con Cristo, la Chiesa percepita come comunione e servizio dove ciascuno ha un posto e dove c'è bisogno dei doni di tutti, fanno emergere e maturare una convinzione che la vita si porta dentro una vocazione di servizio. Don Bosco richiedeva ai suoi giovani di diventare dei «buoni cristiani e onesti cittadini».

Don Bosco, giovane e apostolo, ha percepito e vissuto la propria esistenza come vocazione a partire dal sogno dei nove anni. Egli risponde con cuore generoso a un invito: mettersi tra i giovani per salvarli. Don Bosco invitava i suoi giovani ad un «esercizio pratico di amore al prossimo». La spiritualità giovanile salesiana è una spiritualità apostolica perché parte dalla convinzione che siamo chiamati a collaborare con Dio nella sua missione, rispondendo con dedizione, fedeltà, fiducia e disponibilità totale. Ai giovani vengono quindi proposte le vocazioni apostoliche e le vocazioni di speciale consacrazione.

Il servizio responsabile comporta alcuni atteggiamenti ed esperienze da favorire: aprire alla realtà e al contatto umano; promuovere la dignità della persona e i suoi diritti, in tutti i contesti; vivere con generosità nella famiglia e prepararsi a formarla su basi di reciproca donazione; favorire la solidarietà, specie verso i più poveri; sviluppare il proprio lavoro con onestà e competenza professionale; promuovere la giustizia, la pace e il bene comune nella politica; rispettare la creazione; favorire la cultura; individuare il progetto di Dio sulla propria vita; maturare gradualmente scelte progressive e coerenti, come servizio alla Chiesa e agli uomini.; testimoniare la propria fede e concretizzarla in qualche ambito, come l’animazione educativa, pastorale e culturale, il volontariato e l’impegno missionario; conoscere ed essere aperti alle vocazioni di speciale consacrazione.

3.4. Spiritualità laicale e familiare salesiana

I gruppi della Famiglia Salesiana coinvolgono numerosi laici nella loro missione. Siamo consapevoli che non vi può essere un coinvolgimento pieno, se non c’è anche una condivisione dello stesso spirito. Comunicare la spiritualità salesiana ai laici corresponsabili con noi dell’azione educativa pastorale diventa un impegno fondamentale. I Salesiani, in riferimento anche ad altri gruppi della Famiglia Salesiana, hanno fatto un lavoro esplicito di formulazione di una spiritualità laicale salesiana nel Capitolo generale XXIV.[29] Certamente i gruppi laicali della Famiglia Salesiana, specialmente i Salesiani Cooperatori, gli Exallievi e le Exallieve, costituiscono una fonte di ispirazione per tale spiritualità.

Essendo poi diventati maggiormente consapevoli che non vi può essere pastorale giovanile senza pastorale familiare, ci stiamo interrogando su quale spiritualità familiare salesiana elaborare e proporre. Ci sono esperienze di famiglie che si ispirano a Don Bosco. Qui il cammino è ancora agli inizi, ma è una strada che ci aiuta a sviluppare la nostra missione popolare, oltre che giovanile. Occorre promuovere la pastorale familiare e quindi condividere esperienze spirituali con le famiglie, con le coppie, con la preparazione dei giovani alla famiglia.

4. Impegni per la Famiglia Salesiana

4.1. Impegniamoci ad approfondire quale è stata l’esperienza spirituale di Don Bosco, il suo profilo spirituale, per scoprire il “Don Bosco mistico”; potremo così imitarlo, vivendo un’esperienza spirituale con identità carismatica. Senza appropriarci della esperienza spirituale vissuta da Don Bosco, non potremo essere consapevoli della nostra identità spirituale salesiana; solo così saremo discepoli e apostoli del Signore Gesù, avendo Don Bosco come modello e maestro di vita spirituale. La spiritualità salesiana, reinterpretata e arricchita con l’esperienza spirituale della Chiesa del dopo Concilio e con la riflessione della teologia spirituale di oggi, ci propone un cammino spirituale che conduce alla santità. Riconosciamo che la spiritualità salesiana è una vera e completa spiritualità: essa ha attinto alla storia della spiritualità cristiana, soprattutto a San Francesco di Sales, ha la sua sorgente nella peculiarità e originalità dell’esperienza di Don Bosco, si è arricchita con l’esperienza ecclesiale ed è giunta alla rilettura e alla sintesi matura di oggi.

4.2. Viviamo il centro e la sintesi della spiritualità salesiana, che è la carità pastorale. Essa è stata vissuta da Don Bosco come ricerca della «gloria di Dio e salvezza delle anime» e si è fatta per lui preghiera e programma di vita nel da mihi animas, cetera tolle. È una carità che ha bisogno di alimentarsi con la preghiera e fondarsi su di essa, guardando al Cuore di Cristo, imitando il Buon Pastore, meditando la Sacra Scrittura, vivendo l’Eucaristia, dando spazio alla preghiera personale, assumendo la mentalità del servizio ai giovani. È una carità che si traduce e si rende visibile in gesti concreti di vicinanza, affetto, lavoro, dedizione. Assumiamo il Sistema Preventivo come esperienza spirituale e non solo come proposta di evangelizzazione e metodologia pedagogica; esso trova la sua sorgente nella carità di Dio che «previene ogni creatura con la sua Provvidenza, l’accompagna con la sua presenza e la salva donando la vita»[30]; esso ci dispone ad accogliere Dio nei giovani e ci chiama a servirlo in loro, riconoscendone la dignità, rinnovando la fiducia nelle loro risorse di bene ed educandoli alla pienezza di vita.

4.3. Comunichiamo la proposta della spiritualità salesiana, secondo la diversità delle vocazioni, specialmente ai giovani, ai laici coinvolti nella missione di Don Bosco, alle famiglie. La spiritualità salesiana ha bisogno di essere vissuta secondo la vocazione che ognuno ha ricevuta da Dio. Riconosciamo i tratti spirituali comuni dei vari gruppi della Famiglia Salesiana, indicati nella “Carta di identità”; facciamo conoscere i testimoni della santità salesiana; invochiamo l’intercessione dei nostri Beati, Venerabili e Servi di Dio e chiediamo la grazia della loro canonizzazione. Offriamo ai giovani che accompagniamo la spiritualità giovanile salesiana. Proponiamo la spiritualità salesiana ai laici impegnati a condividere la missione di Don Bosco. Con attenzione alla pastorale familiare, indichiamo alle famiglie una spiritualità adatta alla loro condizione. Infine, invitiamo a fare esperienza spirituale anche giovani, laici e famiglie delle nostre comunità educative pastorali o dei nostri gruppi e associazioni che appartengono ad altre religioni o che si trovano in situazione di indifferenza di fronte a Dio; anche per loro è possibile l’esperienza spirituale come spazio per l’interiorità, il silenzio, il dialogo con la propria coscienza, l’apertura al trascendente.

4.4. Leggiamo alcuni testi di Don Bosco, che possiamo considerare come fonti della spiritualità salesiana. Innanzitutto vi invito a rileggere e attualizzare il “sogno dei dieci diamanti”; esso ci propone il volto spirituale di ognuno di noi che ci ispiriamo a Don Bosco. Vi propongo poi una raccolta di scritti spirituali di Don Bosco, in cui egli appare come un vero maestro di vita spirituale.[31] Potremo così attingere a pagine meno note, ma che ci parlano con immediatezza del vissuto spirituale salesiano.

5. Conclusione

Questa volta concludo il commento alla Strenna non con una fiaba, ma con la testimonianza e il messaggio che ci ha lasciato Don Pasquale Liberatore, per anni Postulatore per la Cause dei nostri Santi e santo lui stesso, in un suo poemetto intitolato «I Santi».

Si tratta di un piccolo e personale “credo”, che raccoglie tutto ciò che è la spiritualità salesiana, che si può vedere concretizzata nella sua autenticità e validità nei ricchissimi e diversissimi frutti di santità della Famiglia Salesiana, a incominciare dal nostro amato fondatore e padre Don Bosco. Abbiamo trovato questo poema nel suo ufficio il giorno della sua Pasqua. In esso egli fa l’elogio dei Santi e utilizza una varietà di immagini, di cui noi scopriamo con piacere la bellezza. Leggendo tale poemetto possiamo toccare con mano la spiccata e fine sensibilità umana e spirituale dei nostri Santi e sentire il loro anelito di pienezza di vita, amore e felicità in Dio; notiamo la loro forza interiore e la loro esperienza spirituale, che noi stessi siamo chiamati a vivere ed a saperla proporre in forma appassionata e convincente agli altri, specialmente ai giovani.

La mia prima lettera da Rettore Maggiore era intitolata «Salesiani, siate santi!», una lettera che consideravo programmatica per il mio Rettorato. E sono felice che il mio ultimo scritto da successore di Don Bosco sia un invito accorato ad abbeverarci alla sua spiritualità. Qui si trova tutto ciò che io vorrei vivere e proporre a tutti voi, carissimi membri della Famiglia Salesiana e giovani.

I SANTI

«Essi saranno come stelle nel cielo: splenderanno come il firmamento»

Visibili a migliaia

come le stelle ad occhio nudo, ma incomparabilmente più numerosi

al telescopio che raggiunge anche quelli senza aureola.

Vulcani incandescenti,

quasi fessure

sul mistero del Fuoco Trinitario.

Avventurosi romanzi

scritti dallo Spirito Santo

dove la sorpresa è norma.

Esistenze dal genere letterario il più vario

ma sempre affascinante:

dallo stile di un dramma al sapore di una fiaba.

Classici della sintassi delle Beatitudini,

sempre convincenti

grazie alla loro gaudiosa esistenza.

Cosmonauti dello spazio,

cui si devono le più ardite scoperte

possibili solo a chi tanto si distanzia dalla terra.

Giganti così diversi da noi

come sempre lo è il genio,

eppur concittadini della nostra stessa stoffa.

Soggetti ad errori ed insuccessi

ma uomini d'eccezione sempre:

non vanno banalizzati con la scusa di sentirli compagni di viaggio.

Segni dell'assoluta gratuità di Dio

che arricchisce ed eleva

secondo i misteriosi criteri della Sua liberalità.

Hanno come loro residenza una pace inalterabile

al di sopra degli umani comuni conflitti,

eppur sempre insoddisfatti perché non cessano di tendere al più.

In orbita attorno all'essenziale

essi,

i profeti dell'assoluto.

Grandi artisti

nella fucina del Bello

davanti a cui va in estasi il cuore umano.

Uomini e donne riuscite,

testimoni della segreta armonia

tra natura e grazia.

Folli di Dio,

innamorati a tal punto

da editare un vocabolario sconcertante.

I più lontani, per istinto, da ogni genere di colpa

e i più vicini, sempre,

ad ogni categoria di colpevoli.

Platee su cui il divino dà spettacolo

e umili spettatori essi stessi,

grazie ad una spietata conoscenza del loro nulla.

Impegnati in un continuo nascondersi

e pur inevitabilmente luminosi

come città collocate sopra il monte.

Portatori di messaggi eterni

al di là del tempo,

del progresso, delle culture, delle razze.

Parole di fuoco

che il Signore pronunzia per scuotere la nostra indolenza,

bacchettate che il Maestro Divino dà sul banco, per svegliare noi alunni distratti.

Miracoli viventi

davanti ai quali non si ha bisogno di esperti

per accettare la straordinarietà del Vangelo vissuto sine glossa.

Eroicamente distaccati dall'umano

essi, specialisti al superlativo

delle sfumature umane.

Veri maestri di psicologia

che per via dell'amore

raggiungono le pieghe più recondite del cuore umano.

Capaci di far vibrare le nostre radici migliori,

e toccando le corde di risonanza antica

infondono nostalgia di futuro.

Come le stelle del cielo:

così diverse tra loro

e in fondo, accese da un medesimo fuoco.

Don Pascual Chávez V., SDB

Rettor Maggiore

Shape1

[1] W. NIGG, Don Bosco. Un santo per il nostro tempo, Torino, LDC, 1980, 75.103.

[2] Cfr. G. Bosco, Piano di regolamento per l’Oratorio maschile di S. Francesco di Sales in Torino nella regione Valdocco. Introduzione, in P. Braido (ed.), Don Bosco Educatore. Scritti e Testimonianze. Roma, LAS 1997, 111.

[3] Ivi, 108-109.

[4] D. Ruffino, Cronache dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, n. 2, 1861, 8-9.42.

[5] G. Barberis, Cronichetta, quad 4, 52.

[6] Bosco Giovanni, Costituzioni  della società di S. Francesco di Sales [1858] – 1875. Testi critici, a cura di Francesco Motto, Roma LAS 1982, 70-71.

[7] Ivi, 82.

[8] Epistolario, ed. Motto, vol. I, 406.

[9] Epistolario, ed. Ceria, vol. III, 544.

[10] Epistolario, ed. Motto, II, 386.

[11] F. Motto, Ricordi e riflessi di una educazione ricevuta in Ricerche Storiche Salesiane 11 (1987), 365.

[12] F. Motto, Verso una storia di Don Bosco più documentata e più sicura, in Ricerche Storiche Salesiane 41 (2002), 250-251.

[13] BS 8 (1884) n. 6, 89-90.

[14] Costituzioni SDB 21

[15] Ivi.

[16] Cf. Costituzioni SDB 10; Costituzioni FMA 80

[17] Cf. San Francesco di Sales, Trattato dell'amore di Dio, Vol II, libro X, c. 1

[18] MB XV, 183 (Tutto il famoso "Sogno")

[19] Cf. Costituzioni SDB 196

[20] LG 41

[21] Cfr. Gv 10

[22] G. Bosco, Vita di San Domenico Savio, SEI, Torino, 1963, capo VIII, 34.

[23] Cf. Orazione per la Liturgia nella Solennità di San Giovanni Bosco

[24] MB VII, 622.

[25] MB V, 9.

[26] P. Brocardo, Don Bosco profondamente uomo - profondamente santo, LAS, Roma 1985, 84.

[27] Ivi, 85.

[28] P. Stella, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica, vol. II, Zurigo, PAS Verlag, Zurigo, 13.

[29] CG24, Salesiani e laici: comunione e condivisione nello spirito e nella missione di Don Bosco, Roma 1996, nn. 89-100.

[30] Costituzioni SDB 20

[31] San Giovanni Bosco. Insegnamenti di vita spirituale. Un’antologia. A cura di A. Giraudo, LAS – Roma 2013