"Conoscendo e imitando Don Bosco, facciamo dei giovani la missione della nostra vita"
«Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore» (Gv 10,11)
Commento alla Strenna 2012
«Io
sono il buon pastore.
Il
buon pastore offre la vita per le pecore»
(Gv 10,11)
Carissimi
Confratelli
Figlie di Maria Ausiliatrice
Membri tutti della
Famiglia Salesiana
Giovani
Abbiamo da poco iniziato il triennio di preparazione al Bicentenario della nascita di Don Bosco. Questo primo anno ci offre l’opportunità di avvicinarci di più a lui per conoscerlo da vicino e meglio. Se non conosciamo Don Bosco e non lo studiamo, non possiamo comprendere il suo cammino spirituale e le sue scelte pastorali; non possiamo amarlo, imitarlo ed invocarlo; in particolare, ci sarà difficile inculturare oggi il suo carisma nei vari contesti e nelle differenti situazioni. Solo rafforzando la nostra identità carismatica, potremo offrire alla Chiesa e alla società un servizio ai giovani significativo e ricco di frutti. La nostra identità trova il suo riferimento immediato nel volto di Don Bosco; in lui l’identità diventa credibile e visibile. Per questo il primo passo che siamo invitati a fare nel triennio di preparazione è proprio la conoscenza della storia di Don Bosco.
1. Conoscenza di Don Bosco e impegno per i giovani
Siamo
invitati a studiare Don Bosco e, attraverso le vicende della sua
vita, a conoscerlo come educatore e pastore, fondatore, guida e
legislatore. Si tratta di una conoscenza che conduce all’amore,
all’imitazione e all’invocazione.
Per noi membri della
Famiglia Salesiana, la sua figura deve essere ciò che San Francesco
d’Assisi è stato e continua ad essere per i Francescani o
Sant’Ignazio di Loyola per i Gesuiti, vale a dire il fondatore, il
maestro di spirito, il modello di educazione ed evangelizzazione,
soprattutto l’iniziatore di un Movimento di risonanza mondiale,
capace di proporre all’attenzione della Chiesa e della società,
con una formidabile forza d’urto, i bisogni dei giovani, la loro
condizione, il loro futuro. Ma come fare questo senza rivolgerci alla
storia, che non è la custode di un passato ormai perduto, bensì di
una memoria vivente che è dentro di noi e ci interpella in funzione
di attualità?
L’approccio a Don Bosco, fatto con i metodi
propri della ricerca storica, ci porta a comprendere meglio e
misurare la sua grandezza umana e cristiana, la sua genialità
operativa, le sue doti educative, la sua spiritualità, la sua opera,
comprensibili solo se profondamente radicate nella storia della
società in cui visse. Nello stesso tempo, anche con una più
approfondita conoscenza della sua vicenda storica, rimaniamo sempre
consapevoli dell’intervento provvidenziale di Dio nella sua vita.
In questo studio storico non c’è nessun rifiuto aprioristico delle
rispettabilissime immagini di Don Bosco che generazioni di Salesiani,
Figlie di Maria Ausiliatrice, Salesiani Cooperatori e membri della
Famiglia Salesiana hanno avuto, cioè del Don Bosco che essi hanno
conosciuto e amato; ma c’è e ci dev’essere anche la
presentazione e la reinterpretazione di un’immagine di Don Bosco
che sia attuale, parli al mondo di oggi, utilizzi un linguaggio
rinnovato.
L’immagine di Don Bosco e della sua azione va
ricostruita seriamente, a partire dal nostro orizzonte culturale:
dalla complessità della vita di oggi, dalla globalizzazione, dalla
cultura postmoderna, dalle difficoltà della pastorale, dalla
diminuzione delle vocazioni, dalla “messa in questione” della
vita consacrata. I cambiamenti radicali o epocali, come li chiamava
il mio predecessore Don Egidio Viganò, ci costringono a rivedere
tale immagine e a ripensarla sotto altra luce, per una fedeltà che
non sia ripetizione di formule e ossequio formale alla tradizione.
L’importanza storica di Don Bosco è da rintracciare, oltre che
nelle «opere» e in alcuni suoi elementi pedagogici relativamente
originali, soprattutto nella sua percezione, concreta e affettiva,
della portata universale, teologica e sociale del problema
della gioventù «abbandonata»,
e nella sua grande capacità di comunicarla a larghe schiere di
collaboratori, di benefattori e di ammiratori.
Essere fedeli a
Don Bosco significa conoscerlo nella sua storia e nella storia del
suo tempo, fare nostre le sue ispirazioni, assumere le sue
motivazioni e scelte. Essere fedeli a Don Bosco e alla sua missione
significa coltivare in noi un amore costante e forte verso i giovani,
specialmente i più poveri. Tale amore ci porta a rispondere ai loro
bisogni più urgenti e profondi. Come Don Bosco ci sentiamo toccati
dalle loro situazioni di difficoltà: la povertà, il lavoro
minorile, lo sfruttamento sessuale, la mancanza di educazione e di
formazione professionale, l’inserimento nel mondo del lavoro, la
poca fiducia in se stessi, la paura davanti al futuro, lo smarrimento
del senso della vita.
Con affetto profondo e amore
disinteressato cerchiamo di essere presenti in mezzo a loro con
discrezione ed autorevolezza, offrendo proposte valide per il loro
cammino, le loro scelte di vita e la loro felicità presente e
futura. In tutto ciò ci rendiamo loro compagni di cammino e guide
competenti. In particolare, cerchiamo di comprendere il loro nuovo
modo di essere; molti di loro sono dei “digital natives” che
attraverso le nuove tecnologie cercano esperienze di mobilitazione
sociale, possibilità di sviluppo intellettuale, risorse di progresso
economico, comunicazione istantanea, opportunità di protagonismo.
Anche in questo campo vogliamo condividere la loro vita ed i loro
interessi; animati dallo spirito creativo di Don Bosco, noi educatori
ci facciamo vicini come “digital immigrates”, aiutandoli a
superare il gap generazionale con i loro genitori e il mondo degli
adulti.
Ci prendiamo cura di loro durante tutto il loro cammino
di crescita e maturazione, dedicando loro il nostro tempo e le nostre
energie e stando con loro, nei momenti che vanno dalla fanciullezza
alla giovinezza.
Ci prendiamo cura di loro, quando difficili
situazioni, come la guerra, la fame, la mancanza di prospettive, li
portano all’abbandono della propria casa e famiglia ed essi si
trovano soli ad affrontare la vita.
Ci prendiamo cura di loro,
quando dopo lo studio e la qualificazione, sono ansiosamente alla
ricerca di una prima occupazione di lavoro e si impegnano a inserirsi
nella società, talvolta senza speranza e prospettive di riuscita.
Ci
prendiamo cura di loro, quando stanno costruendo il mondo dei loro
affetti, la loro famiglia, soprattutto accompagnando il loro cammino
di fidanzamento, i primi anni del loro matrimonio, la nascita dei
figli (cf. GC26, 98.99.104).
Ci sta particolarmente a cuore
colmare il vuoto più profondo della loro vita, aiutandoli nella
ricerca di senso e soprattutto offrendo un percorso di crescita nella
conoscenza e nell’amicizia con il Signore Gesù, nell’esperienza
di una Chiesa viva, nell’impegno concreto per vivere la loro vita
come una vocazione.
Ecco, dunque, il programma spirituale e
pastorale per l’anno 2012:
Conoscendo
e imitando Don Bosco,
facciamo
dei giovani la missione della nostra vita
Già
numerosi gruppi della Famiglia Salesiana si trovano in sintonia con
questo impegno, che ci arricchirà tutti nel volgere lo sguardo
insieme al nostro caro Padre Don Bosco. Camminiamo perciò sempre di
più insieme come Famiglia.
2. Alla riscoperta della storia di Don Bosco
Don
Bosco continua ad interessare tanta gente in molti paesi, ad oltre un
secolo dalla sua morte. Lo si ritiene una figura significativa, anche
al di fuori dell’ambiente salesiano. Nonostante siano ormai
necessariamente cadute le amplificazioni che hanno circondato la sua
figura per molti decenni e che hanno colpito l’immaginario
collettivo, Don Bosco rimane tuttora un personaggio di notevole
levatura e di alto gradimento. Una lunga sequenza di papi e
cardinali, vescovi e sacerdoti, studiosi cattolici e non cattolici,
politici di diverso orientamento, in Italia, in Europa e nel mondo,
lo ha riconosciuto e lo riconosce come portatore di un messaggio
moderno, profetico, storicamente condizionato ma aperto a molte
proiezioni attuali, virtualmente disponibile ai più vasti spazi e
tempi.
Il centenario della sua morte, il 150° anniversario
della fondazione della Congregazione salesiana, ora la preparazione
al Bicentenario della sua nascita, e altre particolari occasioni,
hanno favorito una fervida produzione libraria e giornalistica.
Accanto a studi e ricerche di alto livello scientifico, ne sono
apparsi anche altri più modesti, che hanno prestato il fianco a
riserve interpretative, a motivo di infondate premesse critiche di
alcuni e di insufficienti analisi storiche da parte di altri.
Quella
di Don Bosco è infatti una figura a tutto tondo, non riconducibile a
semplici formule o a titoli giornalistici; è una personalità
complessa, fatta di realtà ad un tempo ordinarie ed eccezionali, di
progetti concreti, ideali e ipotetici, di uno stile quotidiano di
vita e azione, e insieme di particolari rapporti con il
soprannaturale. Tale figura non può essere adeguatamente compresa se
non nella sua poliedricità e pluridimensionalità; in caso
contrario, la presentazione di uno o di alcuni aspetti, magari
scambiati coscientemente o inconsapevolmente per un profilo completo,
rischia di falsarne la fisionomia.
Si può talvolta restare
perplessi di fronte a opere, in cui l’apologetica e la descrizione
oleografica di Don Bosco hanno eccessivo spazio, in cui l’esaltazione
della sua figura prende il sopravvento a danno della verità del
personaggio, magari circoscritto in stereotipi cui Don Bosco non è
quasi mai riconducibile. Ciò vale particolarmente in questo momento
storico, in cui si stanno moltiplicando le vite dei santi scritte con
nuova criteriologia; un nuovo tipo di agiografia ha infatti preso
attualmente vigore, basandosi su interpretazioni storiche fondate e
su una rinnovata lettura teologica dell’esperienza spirituale dei
Santi. Auspico per questo la preparazione di una moderna “agiografia”
di Don Bosco; mentre si deve fondare sui recenti studi storici, essa
è chiamata a suscitare l’amore per lui, l’imitazione della sua
vita, il desiderio di compiere il suo stesso cammino spirituale; lo
stesso auspicio vale per una nuova agiografia rivolta ai giovani.
3. Motivazioni per lo studio della storia di Don Bosco
Sono
indubbiamente numerosi i motivi che ci inducono a studiare Don Bosco.
Dobbiamo conoscerlo come nostro Fondatore, perché lo richiede la
nostra fedeltà alla istituzione cui apparteniamo. Dobbiamo
conoscerlo come Legislatore, in quanto siamo tenuti ad osservare le
Costituzioni e i Regolamenti che egli direttamente o i suoi
successori ci hanno dato. Dobbiamo conoscerlo come Educatore,
affinché possiamo vivere il Sistema Preventivo, preziosissimo
patrimonio che egli ci ha lasciato. Dobbiamo conoscerlo in
particolare come Maestro di vita spirituale, per il fatto che alla
sua spiritualità attingiamo come suoi figli e discepoli; egli
infatti ci ha offerto una chiave di lettura del vangelo; la sua vita
è per noi un criterio per realizzare con caratteristiche peculiari
la sequela del Signore Gesù; al riguardo ho scritto una lettera ai
confratelli salesiani nel gennaio 2004 “Contemplare
Cristo con lo sguardo di Don Bosco”
(ACG n. 384).
Oggi sta crescendo in noi la consapevolezza del
rischio che stiamo correndo, se non irrobustiamo i legami che ci
tengono uniti a Don Bosco. La conoscenza storica, fondata ed
affettiva, aiuta a mantenere vivi questi legami; la formazione
iniziale e permanente deve favorire gli studi salesiani. È trascorso
ormai più di un secolo dalla morte di Don Bosco; sono decedute tutte
le generazioni che direttamente o indirettamente sono venute a
contatto con lui e con chi lo aveva conosciuto di persona. Aumentando
la distanza cronologica, geografica e culturale da lui, vengono a
mancare sempre più quel clima affettivo e quella vicinanza anche
psicologica, che ci rendevano spontaneo e familiare Don Bosco e il
suo spirito, anche alla semplice visione del suo ritratto. Ciò che è
stato tramandato può andare smarrito; il legame vivo con Don Bosco
può venire spezzato. Una volta venuto meno il riferimento al nostro
Padre comune, al suo spirito, alla sua prassi, ai suoi criteri
ispiratori, come Famiglia Salesiana non avremmo più diritto di
cittadinanza nella Chiesa e nella Società, privi come saremmo delle
nostre radici e della nostra identità.
Inoltre, tener viva la
memoria della propria storia è garanzia di avere una solida cultura;
senza radici non c’è futuro. Perciò l’organizzazione della
memoria storica e la possibilità della sua fruizione hanno una
notevole importanza, come richiamo alle comuni radici che sollecitano
a ripensare i problemi del nostro presente con una più matura
consapevolezza del nostro passato. Ciò è garanzia, pur con le
storiche trasformazioni e gli inevitabili mutamenti, che la nostra
Famiglia continuerà ad essere portatrice del carisma delle origini
ed a farsi vigile e creativa custode di una tradizione feconda.
Ovviamente la coscienza del passato non deve diventare
condizionamento. Occorre saper discernere criticamente l’essenziale
significato storico dalle ridondanze gratuite e dalle infondate
interpretazioni soggettive; in questo modo si eviterà di attribuire
storicità carismatica a ricostruzioni che hanno poco a che vedere
con la “vera storia”. Una simile forma di fare storia è
utilizzata talvolta per evitare il problema serio della ricostruzione
del contesto storico. Anche nella interpretazione della storia di Don
Bosco è necessario un sano discernimento. Sarà sempre valido anche
per noi il monito di Papa Leone XIII: lo storico non deve mai dire
nulla di falso, né tacere nulla di vero. Se un santo ha qualche
punto debole, bisogna lealmente riconoscerlo. I rilievi delle
imperfezioni dei Santi hanno il triplice vantaggio di rispettare
l’esattezza storica, di sottolineare l’assoluto di Dio e di
incoraggiare noi poveri vasi di creta, di mostrarci che anche
nell’eroe per Cristo il sangue non era acqua.
La necessità e l'urgenza di una conoscenza profonda e sistematica di Don Bosco sono state sottolineate in questi ultimi decenni da documenti ufficiali e da interventi autorevolissimi dei miei due predecessori. Io stesso nella lettera della fine del 2003 (ACG n. 383, p. 14-17) mi esprimevo in questi termini:
«Don
Bosco riuscì ad essere giovane e quindi ad essere in sintonia con il
futuro a forza di stare in mezzo ai giovani. … Nell’esperienza di
Valdocco è chiaro che c’è stata una maturazione della missione e
quindi un passaggio dalla gioia di “stare con Don Bosco” allo
“stare con Don Bosco per i giovani”, dallo “stare con Don Bosco
per i giovani in forma stabile” allo “stare con Don Bosco per i
giovani in forma stabile con voti”. Lo stare con Don Bosco non
esclude “a priori” l’attenzione ai suoi tempi, che lo
modellarono o condizionarono, però richiede di vivere con il suo
impegno le sue scelte, la sua dedizione, il suo spirito di
intraprendenza e di avanguardia. […] Tutto ciò fa di Don Bosco un
uomo affascinante, e nel nostro caso un padre da amare, un modello da
imitare, ma anche un santo da invocare… Ci rendiamo conto che più
aumenta la distanza dal Fondatore, più reale è il rischio di
parlare di Don Bosco in base a “luoghi comuni”, ad aneddoti,
senza una vera conoscenza del nostro carisma. Da qui l’urgenza di
conoscerlo attraverso la lettura e lo studio; di amarlo
affettivamente ed effettivamente come padre e maestro per la sua
eredità spirituale; d’imitarlo cercando di configurarci a lui,
facendo della Regola di vita il nostro progetto personale. Questo è
il senso del ritorno a Don Bosco, a cui ho invitato me e tutta la
Congregazione sin dalla mia prima “buona notte”, attraverso lo
studio e l’amore che cercano di comprendere, per illuminare la
nostra vita e le sfide attuali. Insieme al vangelo, Don Bosco è il
nostro criterio di discernimento e la nostra meta di
identificazione»”.
Il
mio auspicio non è troppo lontano dalle riflessioni di don Francesco
Bodrato, primo Ispettore in Argentina, il quale il 5 marzo 1877
scriveva in una lettera ai suoi novizi:
«Chi
è D. Bosco? Che ve lo dica io? Sì ve lo dico proprio davvero, come
l’ho appreso e sentito dire da altri. D. Bosco è il nostro
amatissimo e tenerissimo padre. Questo lo diciamo tutti noi che siamo
suoi figli. D. Bosco è uomo provvidenziale o l’uomo della
provvidenza dei tempi. Questo lo dicono i veri dotti. D. Bosco è
l’uomo della filantropia. Questo lo dicono i filosofi. Ed io dico,
dopo aver ammesso s’intende tutto ciò che dicono i suddetti, che
D. Bosco è veramente quell’amico che la Santa Scrittura qualifica
un gran tesoro. Ebbene noi l’abbiamo trovato questo vero amico e
questo grande tesoro. Maria SS ci ha dato il lume per poterlo
conoscere e il Signore ci permette di possederlo. Dunque guai a chi
lo perde. Se sapeste miei cari fratelli quante persone vi sono che
invidiano la nostra sorte […] E se conveniste con me a credere D.
Bosco il vero amico della Santa Scrittura, allora dovete guardare di
possederlo sempre e curare di copiarlo in voi stessi». (F.
Bodrato, Epistolario,
a cura di B. Casali, Roma LAS 1995, pp. 131-132).
Non per nulla
il proemio e gli articoli 21, 97, 196 delle Costituzioni attuali
della Congregazione Salesiana ci presentano Don Bosco “guida” e
“modello”, e le Costituzioni stesse sono definite "testamento
vivo". Espressioni analoghe si trovano anche nella regola di
vita degli altri gruppi della Famiglia Salesiana. Per tutti noi, che
guardiamo a Don Bosco come nostro riferimento, egli continua ad
essere – come già accennavo – il fondatore, il maestro di
spirito, il modello di educazione, l’iniziatore di un Movimento di
risonanza mondiale capace di offrire alla Chiesa e alla società, con
una formidabile forza, l’attenzione ai bisogni dei giovani, alla
loro realtà, al loro futuro. Non possiamo non domandarci se oggi la
nostra Famiglia costituisce ancora una tale forza; se abbiamo ancora
quel coraggio e quella fantasia che furono di Don Bosco; se all’alba
del terzo millennio siamo ancora capaci di assumere le sue posizioni
profetiche in difesa dei diritti dell'uomo e di quelli di
Dio.
Indicate la necessità e l’urgenza della conoscenza e
dello studio di Don Bosco per la Famiglia Salesiana, per i singoli
gruppi, comunità, associazioni e persone, il cammino è ancora da
effettuare; il cammino indicato non è ancora il cammino percorso. A
ognuno tocca individuare passi, modalità, risorse, tappe e
opportunità perché questo impegno venga realizzato nel corso di
quest’anno. Non possiamo giungere alla celebrazione del
Bicentenario senza conoscere maggiormente Don Bosco.
4. Funzione attualizzante della storia
Per
raggiungere tali obiettivi non basta che la grandezza di Don Bosco
sia presente nella coscienza di ognuno di noi. Condizione
indispensabile è di conoscerlo bene, al di là della simpaticissima
aneddotica che avvolge il nostro caro Padre e della stessa
letteratura edificante, su cui intere generazioni si sono formate.
Non si tratta di andare alla ricerca di facili ricette per affrontare
come Famiglia la “crisi” attuale della Chiesa e della società,
ma di conoscerlo profondamente, in modo che possa essere
“attualizzato” all’alba di questo terzo millennio, nella
temperie culturale in cui viviamo, nei vari paesi in cui operiamo. È
necessaria una conoscenza di Don Bosco che viva della continua
tensione tra il nostro interrogarsi sul presente e la ricerca di
risposte che provengono dal passato; solo così potremo inculturare
ancora oggi il carisma salesiano.
Si deve prestare attenzione al
fatto che nel momento delle “svolte della storia” un Movimento
carismatico può crescere e svilupparsi solo a condizione che il
carisma fondazionale sia “reinterpretato vitalmente” e non
rimanga un “fossile prezioso”. I Fondatori hanno fatto esperienza
dello Spirito Santo in un preciso contesto storico; per questo è
necessario determinare gli elementi di contingenza della loro
esperienza, in quanto la risposta ad una situazione storica
assolutamente determinata ha valore fino a quando dura quella
contingenza. In altre parole, le “domande” della comunità
ecclesiale odierna e quelle dell’attuale contesto socio-culturale
non possono essere considerate come qualcosa di “estraneo” alla
nostra ricerca storica; essa deve determinare ciò che è transitorio
e ciò che è permanente nel carisma, ciò che deve essere lasciato e
ciò che deve essere assunto, ciò che è distante dal nostro
contesto e ciò che gli è affine.
Non è possibile fare questa
attualizzazione senza rivolgersi alla storia, che – come già ho
detto – non è la custode di un passato ormai perduto, bensì di
una memoria che vive in noi, ossia in funzione di attualità. Un
aggiornamento fatto ignorando i progressi della scienza storica, è
un’operazione falsamente utile. Allo stesso modo non portano a
grandi risultati, né storici né attualizzanti, le ricerche e le
letture condotte in modo dilettantistico, senza chiare ipotesi,
adeguati metodi e solidi strumenti di lavoro, al di fuori di un
pensiero storiografico vivo ed attuale. La storiografia comporta una
continua revisione critica di giudizi affermati, una revisione
necessaria in quanto dobbiamo riconoscere che il passato non può
essere eretto come una specie di monumento soltanto da contemplare,
proprio perché fondamentalmente legato alla persona di colui che
desidera conoscerlo.
Non si deve sottovalutare il fatto che la
storia di Don Bosco non è solo “nostra”, ma è storia della
Chiesa e storia dell’umanità. Pertanto essa non dovrebbe essere
assente dalla storiografia ecclesiastica e civile dei singoli paesi,
tanto più che quella salesiana è una storia fatta di interazioni
dinamiche, di legami di dipendenza e collaborazione e talvolta di
scontri con il mondo sociale, politico, economico, ecclesiale e
religioso, educativo e culturale. Ora non si può pretendere che “gli
altri” tengano in considerazione la nostra “storia”, la nostra
“pedagogia”, la nostra “spiritualità”, se noi non offriamo
loro moderni strumenti di conoscenza. Il dialogo con gli altri può
avvenire solo se abbiamo lo stesso codice linguistico, gli stessi
strumenti concettuali, le medesime competenze e professionalità; in
caso contrario saremo al margine della società, lontani dal
dibattito culturale, assenti dai luoghi in cui si orientano le
soluzioni dei problemi del momento. L’esclusione dal dibattito
culturale in corso in ogni paese determinerebbe anche
l'insignificanza storica dei Salesiani, la loro emarginazione
sociale, l’assenza della nostra offerta di educazione. Per questo
auspico un rinnovato impegno nella preparazione di persone
qualificate per lo studio e la ricerca nel campo della storia
salesiana.
La letteratura salesiana, l’editoria salesiana, la
predicazione salesiana, le circolari dei responsabili ai vari
livelli, le comunicazioni interne alla Famiglia Salesiana devono
essere all’altezza della situazione. La tradizionale popolarità
della letteratura salesiana, la stessa divulgazione non devono
significare superficialità di contenuto, disinformazione,
ripetizione di un passato inattendibile. Chi ha il dono o il dovere o
l’opportunità di parlare, di scrivere, di formare, di educare gli
altri, è tenuto ad un costante aggiornamento sull’oggetto dei suoi
discorsi e dei suoi scritti. Gli strumenti di lavoro della
comunicazione popolare devono essere di qualità e della massima
attendibilità possibile.
Lo studio di Don Bosco è la
condizione per poter comunicarne il carisma e proporne l’attualità.
Senza conoscenza non può nascere amore, imitazione e invocazione;
solo l’amore poi spinge alla conoscenza. Si tratta quindi di una
conoscenza che nasce dall’amore e conduce all’amore: una
conoscenza affettiva.
5. Oltre cento anni di storiografia “al servizio del carisma”
La
produzione storiografica salesiana in oltre 150 anni di vita ha
percorso un notevole cammino, passando dai primi modesti profili
biografici di Don Bosco degli anni settanta del secolo XIX, alle
biografie encomiastiche, ispirate ad una lettura teologica,
aneddotica e taumaturgica della sua vita e della sua opera, che dagli
anni ottanta del XIX fino al secolo XX inoltrato hanno avuto una
grande diffusione. I momenti solenni della beatificazione e della
canonizzazione di Don Bosco furono ovviamente all’origine di una
serie di scritti e opuscoli a carattere spirituale ed edificante.
Analogamente per l’ambito pedagogico si potrebbe dire della ricca
serie di scritti e di dibattiti su Don Bosco educatore, a seguito
dell’introduzione del Metodo preventivo di Don Bosco nei programmi
scolastici degli Istituti Magistrali in Italia.
Nell’immediato
dopoguerra e negli anni cinquanta del secolo scorso le nuove
generazioni salesiane incominciarono ad esprimere un senso di
inquietudine sulla letteratura agiografica del passato. Sorgeva
l’esigenza di un’agiografia del Fondatore che non mirasse
soltanto all’edificazione e all’apologia, quanto alla verità
della figura in tutti i suoi molteplici aspetti: un’agiografia cioè
che si ponesse all’interno della storia e come tale ne assumesse
tutti i compiti, i doveri, gli indirizzi. Si imponeva in qualche modo
la necessità di uscire da un cerchio ormai consolidato, per
promuovere una rivisitazione della storia di Don Bosco
filologicamente avvertita e vagliata nelle fonti, storicamente
condotta secondo metodi aggiornati. Si doveva procedere oltre
l’ottica propria dei primi Salesiani, che indubbiamente era quella
provvidenzialistica, teologica, taumaturgica, nella quale tendevano a
scomparire la realtà dell’ambiente e le forze operanti del
tempo.
Simili prospettive di studio e di approfondimento della
figura di Don Bosco, che già da tempo si annunciavano, ricevettero
una forte spinta dall’invito del Concilio Vaticano II a ritornare
alle genuine realtà umane e spirituali delle origini e del
Fondatore, in vista del necessario rinnovamento della vita consacrata
(Cf. Perfectae
Caritatis, Ecclesiae Sanctae).
Questo esigeva come condizione indispensabile la conoscenza del dato
storico. Senza un solido riferimento alle radici, l’aggiornamento
rischiava infatti di diventare invenzione arbitraria e incerta. E
così nel nuovo clima culturale degli anni settanta, attraverso
presupposti, indirizzi, metodi, strumenti di indagine attuali,
condivisi dalla ricerca storiografica più seria, si approfondì la
conoscenza del patrimonio ereditario di Don Bosco, ricco di eventi e
di orientamenti, di significati e di virtualità. Si individuò il
significato storico del messaggio, si definirono gli inevitabili
limiti personali, culturali, istituzionali, che, quasi
paradossalmente, prefiguravano e prefigurano tuttora le condizioni di
vitalità nel presente e nel futuro.
6. Verso una lettura ermeneutica della storia salesiana
Come
prima esigenza del rinnovamento il Concilio Vaticano II ha dunque
chiesto di ritornare alle fonti. La Congregazione ha al riguardo
pubblicato decine di volumi delle “Opere Edite” ed inedite di Don
Bosco; il Centro Studi Don Bosco dell’UPS e l’Istituto Storico
Salesiano se ne sono fatti carico. Grazie al loro lavoro, migliaia di
pagine di scritti di Don Bosco sono a nostra disposizione, in
edizioni scientificamente curate e revisionate, in modo da permettere
la necessaria analisi
filologica.
Come si può infatti comprendere la famosa “lettera da Roma”, che
don Lemoyne redasse a nome di Don Bosco, se non si conosce a fondo la
difficile situazione disciplinare che si viveva a Valdocco e che in
quegli stessi anni produceva la “circolare sui castighi”? Il
valore di una lettera autografa di Don Bosco, sofferta, intrisa di
correzioni, aggiunte e postille, è forse lo stesso di quello che ha
una circolare, magari scritta da un suo collaboratore e da Don Bosco
semplicemente firmata? Quale significato dare ai contratti di lavoro
sottoscritti da Don Bosco, se li mettiamo in relazione con quelli
precedenti o coevi redatti da altri a Torino?
All’analisi
filologica deve seguire l’analisi
storico-critica,
che tiene in considerazione sia il contenuto esplicito delle fonti,
sia quanto esse lette superficialmente non dicono, ma sottintendono.
Nessun testo, e tanto meno quelli di Don Bosco, personaggio
“incarnato” nella storia, si spiega senza il rapporto con il
tempo in cui fu scritto, all’interno di un certo contesto, in
relazione a determinate persone, con specifiche finalità. Come ho
detto, gli scritti di Don Bosco e su Don Bosco contengono
l’interpretazione del vangelo sotto l’influsso dell’epoca, le
sue idee, strutture mentali, prospettive, linguaggio, valori.
Le
due precedenti operazioni portano alla terza e più importante:
l’analisi
vitale e attualizzante,
capace di riesprimere, ripensare, riattualizzare il contenuto delle
fonti. Al riguardo è necessario adottare alcuni criteri ermeneutici,
senza i quali l’interpretazione delle espressioni di Don Bosco,
delle sue posizioni teoriche e pratiche, dei concreti modi di vivere
il rapporto con Dio e con la società, potrebbe addirittura rivelarsi
controproducente. La semplice ripetizione di frasi di Don Bosco
potrebbe addirittura farci tradire l’identità salesiana. Si tratta
infatti di testi e testimonianze proprie di una “cultura” ormai
tramontata, di una tradizione e di una teologia che certo non è più
la nostra e pertanto non immediatamente percepibili da noi.
La
Congregazione Salesiana ha fatto negli anni ’70 e ’80 del secolo
scorso un grande sforzo di rinnovamento, di cui un frutto maturo sono
le Costituzioni rinnovate. I Salesiani hanno elaborato una
riflessione storico-spirituale, che è già in se stessa
un'ermeneutica delle fonti salesiane e contemporaneamente dei "segni
del tempo". Se scorriamo l'indice analitico di queste
Costituzioni troviamo una bella sorpresa: il nome di Don Bosco
compare direttamente una quarantina di volte. Nei primi diciassette
articoli è presente ben 13 volte; ma anche dove non ne è
esplicitato il nome, il riferimento al suo pensiero, alla sua prassi,
ai suoi scritti è costante. E pensare che nel secolo XIX la Santa
Sede obbligava a non fare menzione nelle Costituzioni al nome e agli
scritti del Fondatore! Ciò vale anche per altre Costituzioni,
Regolamenti e Progetti di vita di altri gruppi della Famiglia
Salesiana.
A quarant’anni dal Concilio si deve necessariamente
prendere atto che la ricerca storica sulla vicenda umana e spirituale
di Don Bosco ha fatto notevoli passi in avanti, grazie a studi che
hanno adottato i mutati quadri di riferimento, hanno tenuto in debito
conto nuovi metodi di indagine e moderne categorie valutative, hanno
fatto ricorso a nuove prospettive, a partire dall’analisi di
documenti inediti o a nuove interpretazioni di documenti già noti.
La nuova agiografia critica ha ottenuto per lo meno due effetti
positivi: anzitutto di mostrarci il volto genuino di Don Bosco e la
vera grandezza del nostro Padre; in secondo luogo di tenere conto di
Don Bosco nella storia civile.
Fino a qualche decennio fa
infatti la storiografia laica sentiva una sorta di allergia a Don
Bosco e non gli dedicava spazio, forse per certi toni sdolcinati, per
un sensazionalismo miracolistico, per le sacre iettature, che
riempivano biografie edificanti e indulgenti al meraviglioso. Oggi al
contrario Don Bosco viene preso sul serio. Ovviamente la figura che
viene presentata in questi casi non può non risentire dei criteri
storiografici dei vari autori, della loro mentalità, dei loro
presupposti ideologici, delle loro finalità, della disponibilità
quantitativa e qualitativa delle fonti, del metodo di interrogazione
di esse, dei loro diversi livelli di lettura, del contesto culturale
sottostante.
Tutto ciò corrisponde alla nuova sensibilità
presente nella nostra Famiglia, che ha un maggior amore alla propria
vocazione e missione. Come già ho accennato, lo studio di Don Bosco,
fatto con metodi propri della ricerca storica, ci ha portati a meglio
misurare la sua grandezza, la sua genialità operativa, le sue doti
di educatore, la sua spiritualità, la sua opera. Non rifiutiamo
aprioristicamente quanto di valido abbiamo ricevuto sull’immagine
di Don Bosco, trasmessaci da generazioni di Salesiani e di membri
della Famiglia Salesiana. Oggi abbiamo bisogno di un ripensamento, di
una ulteriore riflessione, che ci presenti un’immagine di Don
Bosco che sia attuale, che parli al mondo di oggi, in un linguaggio
rinnovato. La validità dell’immagine offerta si gioca difatti sul
grado di accettabilità e di condivisione.
7. Quale immagine di Don Bosco oggi
Di
fronte a tale letteratura salesiana necessariamente in evoluzione è
evidente che anche oggi abbiamo bisogno di rispondere ad una serie di
domande.
Chi è stato Don Bosco? Che cosa ha detto, fatto e
scritto? Con quale modalità di vita e azione è riuscito ad ampliare
le sue opere di bene? Quale relazione esiste fra il suo pensiero e la
sua azione? Quali sono stati l’origine delle sue idee, il loro
sviluppo e la loro novità? Quale è stata la coscienza che ebbe di
sé e del proprio messaggio all’inizio della sua opera e quale la
percezione che ebbe gradualmente lungo l’arco della sua vita? Quale
percezione di lui, della sua opera e del suo messaggio hanno avuto i
suoi primi collaboratori laici ed ecclesiastici, i primi salesiani,
le FMA, i Cooperatori, gli alunni e gli ex alunni? Quali le
comprensioni e le valutazioni che hanno avuto i suoi contemporanei:
papa, vescovi, sacerdoti, religiosi, autorità politiche e civili,
detentori del potere economico e finanziario, credenti o non
credenti, le folle?
Quale è stata l’immagine di Don Bosco
costruita e tramandata dalla “tradizione storica”, dai cronisti e
dai biografi contemporanei, dalle testimonianze dei processi, dalle
commemorazioni e apoteosi negli anniversari e in date significative
(1915, 1929, 1934, 1988, 2009)? Quali sono state le interpretazioni
della sua “missione” storica? È stata essa una risposta
provvidenziale ai bisogni di una Chiesa perseguitata? Una risposta
cattolica alle richieste dei tempi? Una soluzione del “problema dei
giovani poveri ed abbandonati”, del problema sociale, della
cooperazione tra le “classi”? Una promozione delle masse
popolari, nel rispetto dell’ordine vigente? Un’azione missionaria
e civilizzatrice?
Cosa caratterizza Don Bosco? È stato
l’inventore di una “pedagogia” idonea ad avvicinare i giovani
“pericolanti e pericolosi”? Maestro di spiritualità per i
giovani a rischio, per le classi inferiori, per i popoli in via di
sviluppo? Santo della gioia, dei valori umani, dell’incontro con
tutti senza discriminazione? O forse tutto ciò e altro ancora
assieme?
Oggi va ricostruita tale immagine di Don Bosco; occorre
vederlo sotto altra luce per una fedeltà che non sia ripetizione,
ossequio alla formule o dissociazione. Non basta limitarsi a qualche
lettera di animazione o a qualche saggio di studioso; occorre
approfondire la salesianità tutti insieme per giungere ad una
visione comune colta, professionale, profonda, che sappia valorizzare
il patrimonio storico, pedagogico, spirituale ereditato da Don Bosco,
che conosca a fondo la realtà giovanile, che abbia chiaro il profilo
del cristiano nella società di oggi e di domani con i correlativi
impegni “secondo i bisogni dei tempi”. Si tratta, in altri
termini, di rivedere istituzioni e strutture di aggregazione e di
educazione, di rileggere il Sistema Preventivo in chiave di
attualità, di presentare al mondo e alla Chiesa uno stile
particolare di educatore salesiano.
Oggi più che di crisi di
identità si tratta forse di crisi di credibilità. Sembra di essere
sotto la tirannia dello statu
quo,
a livello di resistenze inconsce più che intenzionali. Pur convinti
della verità dei valori teologici di cui la nostra vita cristiana e
consacrata è impregnata, vediamo la difficoltà di giungere al cuore
dei nostri destinatari per i quali dovremmo essere segni di speranza;
siamo scossi dall'irrilevanza della fede nella costruzione della loro
vita; constatiamo una scarsa sintonia col loro mondo, la lontananza,
per non dire l'estraneità, dai loro progetti umani; percepiamo che i
nostri segni, gesti, linguaggi non sembrano incidere nella loro
vita.
Forse c'è scarsa chiarezza del ruolo nella missione cui
ci si dedica; alcuni forse non sono convinti dell'utilità della
nostra missione; forse non trovano il lavoro adeguato alle loro
aspirazioni, perché non sappiamo rinnovare; forse si sentono
imprigionati dalle emergenze fattesi sempre più incalzanti; forse
c'è disistima maggiormente ad
intra
che ad
extra.
La storia ci potrà soccorrere nell’azione di attualizzazione del
carisma; mi limito ad evidenziare alcuni aspetti, soffermandomi in
particolare sul primo.
7.1.
Evoluzione
delle opere e dei destinatari.
Per Don Bosco l’apertura di nuove opere è determinata dalle
esigenze della situazione. La povertà culturale dei giovani provoca
a Valdocco l’apertura di una scuola elementare domenicale, poi
serale, poi diurna, soprattutto per chi non può frequentare quella
pubblica; poi altre scuole, laboratori vari, e via di questo passo
verso la complessa “casa annessa” all’Oratorio di S. Francesco
di Sales. Questa prima opera, da semplice luogo di ritrovo nei giorni
di festa per il catechismo e per i giochi, diventa luogo di
formazione globale; per un certo numero di giovani privi di mezzi di
sussistenza diventa una casa, un luogo di residenza. Al cortile e
alla chiesa, in cui si sviluppava un programma con la possibilità
dei sacramenti, di istruzione religiosa elementare, di svago, di
interessi, di festività religiose e civili, di doni, si sono
aggiunte altre strutture per offrire l’apprendimento di un
mestiere, evitando di frequentare fabbriche di città troppo sovente
immorali e pericolose per giovani già gravati di un passato
difficile. E poi in seguito si sono fondate altre case salesiane,
altri collegi - convitti, altri piccoli seminari affidati alla ormai
nata Società salesiana.
Al primo oratorio confluiscono sia
ex-corrigendi che giovani immigrati e in genere giovani senza forti
legami con le rispettive parrocchie. Ad un gradino più alto, sono
poi accolti nell'oratorio e nell'ospizio studenti e artigiani lontani
dalla "patria", che vanno in città per apprendere un
mestiere o compiere studi che li abilitino a un impiego. A un certo
numero di giovani appartenenti a questa categoria o in particolari
difficoltà oppure con qualche maggior disponibilità economica viene
aperta la possibilità di apprendere il mestiere in laboratori
organizzati o di compiere gli studi in scuole poste in collegi.
Questa popolazione rientra normalmente nelle due diverse categorie
sociali: la "classe povera" e il "ceto medio".
Esigenze particolari favoriscono pure l'istituzione di scuole
elementari, tecniche, umanistiche, professionali, agricole,
esternati, collegi anche per il ceto medio-alto, dove si tratta di
contrastare analoghe iniziative laicali o protestanti o di assicurare
un'educazione integralmente cattolica secondo il sistema
preventivo.
La preferenza per i più poveri è da Don Bosco
ritenuta compatibile con la massiccia destinazione di scuole e
collegi alla "classe media". Egli non si rifiuta per
qualsiasi genere di persone, ma preferisce occuparsi del ceto medio e
della classe povera, perché maggiormente bisognosi di soccorso e di
assistenza. Comunque, il meccanismo delle "rette" da pagare
non consentì grandi aperture verso i veri poveri o medio poveri, se
non per limitati gruppi di ragazzi sostenuti dalla beneficenza
pubblica o privata. Una categoria poi a sé è costituita da quei
giovani tra i più poveri e pericolanti che si trovano nei luoghi di
missione, mancanti della luce della fede. Naturalmente l'azione
missionaria non si ferma ai giovani, ma tenta di coinvolgere tutto il
mondo che li circonda; né si limita all'azione strettamente
pastorale, ma si interessa a tutti gli aspetti della vita civile,
culturale, sociale, secondo quanto Don Bosco stesso dice in una sua
lettera del 1 novembre 1886: portare "la religione e la civiltà
tra quei popoli e nazioni che l'una e l'altra tuttora ignorano”.
Vengono pure privilegiati senza distinzione di classi i giovani che
manifestano propensione per lo stato ecclesiastico o religioso: è il
dono più prezioso che si può fare alla Chiesa e alla stessa società
civile.
Infine si devono constatare le larghe zone
dell'emarginazione di "giovani poveri e abbandonati" in
situazioni particolarmente gravi, talora tragiche, che rimangono
estranee alla attività di Don Bosco: la fascia emergente dei giovani
sempre più impegnati nell'industria nascente da assistere,
proteggere, formare socialmente e sindacalmente; il mondo della
delinquenza giovanile vera e propria esistente a Torino; le opere per
il recupero dei minori delinquenti o prossimi alla delinquenza, con
alcune delle quali peraltro è entrato in trattative più o meno
chiare; l'immenso continente della povertà e della miseria non solo
nelle città, ma anche, e spesso ancor più, nelle campagne; il vasto
pianeta dell'analfabetismo e dell'elevazione artigiana e
professionale; il mondo della disoccupazione e della emigrazione; ed
ancora il mondo dell'handicap mentale e fisico.
Ora tale pagina
di storia ci obbliga a riflettere in prospettiva
attualizzante.
Chi sono oggi i nostri destinatari privilegiati? Quali le opere
adeguate ai loro bisogni? La scomparsa nelle Costituzioni salesiane
rinnovate dell’elenco delle opere salesiane tipiche, che vedevano
al primo posto gli oratori, non ha per caso contribuito alla
riduzione del numero dei nostri classici oratori, sostituiti magari
dalle scuole superiori e universitarie?
7.2.
Gioventù
abbandonata.
Come ho detto all’inizio, l’importanza storica di Don Bosco è da
rintracciarsi, oltre che nelle opere e in certi elementi metodologici
relativamente originali, nella percezione intellettuale ed emotiva
della portata universale, teologica e sociale, del problema della
«gioventù abbandonata», e nella grande capacità di comunicare
tale percezione a larghe schiere di collaboratori, di benefattori e
di ammiratori.
Domandiamoci allora: siamo oggi i suoi fedeli
discepoli? Viviamo ancora la tensione che Don Bosco ha avuto fra
ideale e realizzazione, fra intuizione e concretizzazione nel tessuto
sociale in cui si trovava ad operare?
7.3.
Risposta
alle necessità dei giovani.
Considerato che le iniziative assistenziali ed educative di Don Bosco
in favore dei giovani si susseguono sul piano pratico con una certa
"occasionalità", va pure detto che le sue "risposte"
ai problemi non sono date in base a un "programma" organico
e messe in atto in base a una visione previa e complessiva del quadro
sociale e religioso dell'800. All’imbattersi in problemi
particolari, egli dà risposte altrettanto immediate e localizzate,
finché gradualmente le varie condizioni giovanili lo portano a
proporsi complessivamente "il problema dei giovani" in
tutto il mondo. Nella vita eroica di Don Bosco non risultano piani
preventivi e strategie di azione a lunga scadenza, approntati a
tavolino – cose tutte che oggi riteniamo giustamente indispensabili
– ma emergono soluzioni efficaci a problemi immediati, talora
imprevisti.
Che significa tutto ciò oggi per noi che viviamo in
un “villaggio globale”, dove tutto è conosciuto in tempo reale,
dove è a nostra disposizione una nutrita sequenza di scienze
specializzate? Come passare da una politica di emergenza, ad una
politica di programmazione? Sulla base di quali precisi criteri
possiamo guidare le scelte operative all’interno delle pieghe della
storia, non restandone fuori? Come evitare il duplice rischio di
perdere unità e identità, per voler fare ogni cosa, per abbandonare
opere stabili e passare a cose passeggere non ben pensate, per
disperdere risorse a breve termine; e il rischio di assolutizzare e
rendere perenni aspetti contingenti del Fondatore, finendo per
accontentarsi del già posseduto, del già conosciuto, di una
tradizione fossilizzata, difesa in buona fede per fedeltà al
passato?
7.4.
Flessibilità
di risposta ai bisogni.
Dall’analisi storica risulta la geniale capacità di Don Bosco di
coordinare, attorno alla sua vocazione di “salvare” i giovani,
opere educative destinate ai giovani dei ceti popolari urbani con
ulteriori svariate attività che miravano ad altri scopi. Attorno al
piccolo Oratorio di Valdocco Don Bosco riuscì a polarizzare migliaia
di giovani, a conquistare il consenso e il supporto del tessuto
ecclesiastico a raggio sempre più largo, virtualmente universale. E
la chiusura di opere quali l’oratorio dell’Angelo Custode in
Torino, di case salesiane isolate come Cherasco, Trinità, non era
indice di un ripiegamento, ma di un riassetto e di un rilancio. Ne
sono prova l’allargamento della sua missione con opere miranti alla
formazione giovanile: la fondazione delle FMA, le missioni, i
Cooperatori, il Bollettino salesiano. Queste diverse iniziative
mettono in evidenza il continuo coordinamento, rilancio, ulteriore
sviluppo.
Ora come non osservare che nella nostra azione deve
essere ritenuta importante non solo e non tanto l’immagine, ma la
realtà che si rilancia e si sviluppa con un coordinamento sapiente?
Forse che la forzata chiusura di tante opere non rischia sovente di
apparire un semplice ripiegamento, anziché una scelta in ordine ad
ulteriore sviluppo?
7.5.
Povertà
di vita e lavoro instancabile.
Negli appunti che la tradizione ha chiamato “Testamento
spirituale”, Don Bosco ha lasciato scritto: “Dal momento che
comincerà [ad] apparire agiatezza nella persona, nelle camere o
nelle case, comincia nel tempo stesso la decadenza della nostra
congregazione […] Quando cominceranno tra noi le comodità o le
agiatezze, la nostra pia società ha compiuto il suo corso” (P.
Braido (ed.), Don
Bosco educatore, scritti e testimonianze,
Roma LAS 1992, pp. 409, 437).
Oggi ispirandoci a Don Bosco non
dovremmo avere il coraggio di dire che quando una comunità religiosa
si chiude davanti alla TV e ai giornali per ore e ore, è segno che
almeno in quel posto abbiamo finito il nostro corso? Che dire quando
un’opera salesiana si riduce a quattro ragazzini con un pallone e
una TV e non trova tempo per convocare giovani da coinvolgere nelle
proprie iniziative, ma lo trova invece per fare gite culturali? Forse
quell’opera potrebbe aver fatto il suo corso, visto che il numero
di giovani in un’opera salesiana locale non è tutto, ma rimane il
termometro della ragion d’essere di una casa in quel particolare
luogo.
8. Suggerimenti per la concretizzazione della Strenna
A partire dalla conoscenza della storia di Don Bosco, i grandi punti di riferimento e gli impegni della Strenna del 2012 potranno essere i seguenti. Ogni gruppo della Famiglia Salesiana potrà ulteriormente concretizzarli.
8.1. La carità pastorale caratterizza tutta la storia di Don Bosco ed è l’anima delle sue molteplici opere. Potremmo dire che essa è la prospettiva storica sintetica attraverso la quale leggere tutta la sua esistenza. Il Buon Pastore conosce le sue pecore e le chiama per nome; egli le disseta ad acque cristalline e le pascola in prati verdeggianti; diventa la porta attraverso la quale le pecore entrano nell’ovile; dà la propria vita affinché le pecore abbiano vita in abbondanza (cf. Gv 10,11 ss.). La forza più grande del carisma di Don Bosco consiste nell’amore che viene attinto direttamente dal Signore Gesù, imitandolo e rimanendo in Lui. Questo amore consiste nel “dare tutto”. Da qui promana il suo voto apostolico: “Ho promesso a Dio che fin l’ultimo respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani” (MB XVIII, 258; cf. Cost. SDB 1). Questo è il nostro marchio e la nostra credibilità presso i giovani!
8.2. Nella storia di Don Bosco conosciamo le tante fatiche, rinunce, privazioni, sofferenze, i numerosi sacrifici che egli ha fatto. Il buon pastore dà la vita per sue pecore. Attraverso i bisogni e le richieste dei giovani, Dio sta chiedendo a ogni membro della Famiglia Salesiana di sacrificare se stesso per loro. Vivere la missione non è dunque un attivismo vano, ma piuttosto un conformare il nostro cuore al cuore del Buon Pastore, che non vuole che alcuna delle sue pecore vada perduta. È una missione profondamente umana e profondamente spirituale. È un cammino di ascesi; non c’è presenza animatrice tra i giovani senza ascesi e sacrificio. Perdere qualcosa, o meglio, perdere tutto per arricchire la vita dei giovani è il sostegno della nostra dedizione e del nostro impegno.
8.3. Nel verbale di fondazione della Congregazione Salesiana e soprattutto nello sviluppo storico della molteplice opera di Don Bosco, possiamo conoscere le finalità della Famiglia Salesiana, che a poco a poco si andavano delineando. Noi siamo chiamati ad essere apostoli dei giovani, degli ambienti popolari, delle zone più povere e missionarie. Oggi più che mai ci impegniamo a comprendere ed assumere criticamente la cultura mediatica e ci serviamo dei mezzi di comunicazione sociale, in particolare delle nuove tecnologie, come potenziali moltiplicatori della nostra azione di vicinanza e di accompagnamento dei giovani. Mentre siamo in mezzo a loro come educatori, come ha fatto il nostro Padre Don Bosco, li coinvolgiamo come nostri primi collaboratori, diamo loro responsabilità, li aiutiamo ad assumere iniziativa, li abilitiamo ad essere apostoli dei loro coetanei. In questo modo noi possiamo dilatare sempre di più il grande cuore di Don Bosco, che avrebbe voluto raggiungere e servire i giovani in tutto il mondo.
8.4. I buoni propositi non possono rimanere vuote dichiarazioni. La conoscenza di Don Bosco si deve tradurre in impegno con e per i giovani. Come Don Bosco, oggi Dio ci attende nei giovani! Dobbiamo perciò incontrarli e stare con loro nei luoghi, nelle situazioni e nelle frontiere dove essi ci aspettano; per questo occorre andare loro incontro, fare sempre il primo passo, camminare insieme a loro. È consolante vedere come in tutto il mondo la Famiglia Salesiana si sta prodigando per i giovani più poveri: ragazzi di strada, ragazzi emarginati, ragazzi lavoratori, ragazzi soldato, giovani apprendisti, orfani abbandonati, bambini sfruttati; ma un cuore che ama è sempre un cuore che si interroga. Non è sufficiente organizzare azioni, iniziative, istituzioni per i giovani; occorre assicurare la presenza, il contatto, la relazione con loro: si tratta di riprendere la pratica dell’assistenza e riscoprire la presenza in cortile.
8.5. Anche oggi Don Bosco si pone domande. Attraverso la conoscenza della sua storia, dobbiamo ascoltare gli interrogativi di Don Bosco rivolti a noi. Cosa possiamo fare di più per i giovani poveri? Quali sono le nuove frontiere nella regione dove lavoriamo, nel paese in cui viviamo? Abbiamo orecchi per ascoltare il grido dei giovani di oggi? Oltre alle già citate povertà, quante altre appesantiscono il cammino dei giovani di oggi? Quali sono le nuove frontiere in cui oggi dobbiamo impegnarci? Pensiamo alla realtà della famiglia, all’emergenza educativa, al disorientamento nell’educazione affettiva e sessuale, alla mancanza d’impegno sociale e politico, al rifugiarsi nel privato della vita personale, alla debolezza spirituale, alla infelicità di tanti giovani. Ascoltiamo il grido dei giovani e offriamo risposte ai loro bisogni più urgenti e più profondi, ai bisogni materiali e spirituali.
8.6. Dalla sua vicenda personale noi possiamo conoscere le risposte di Don Bosco di fronte ai bisogni dei giovani. In questo modo possiamo meglio considerare le risposte che già abbiamo messo in atto e quali altre risposte dare. Certo le difficoltà non mancano. Si dovranno pure “affrontare i lupi” che vogliono divorare il gregge: l’indifferentismo, il relativismo etico, il consumismo che distrugge il valore di cose ed esperienze, le false ideologie. Dio ci sta chiamando e Don Bosco ci incoraggia ad essere Buoni Pastori, ad immagine del Buon Pastore, perché i giovani possano ancora trovare Padri, Madri, Amici; possano trovare soprattutto Vita, la Vera Vita, la vita in abbondanza offerta da Gesù!
8.7. Le Memorie dell’Oratorio di San Francesco di Sales, scritte da Don Bosco per richiesta esplicita del Papa Pio IX, sono un punto di riferimento imprescindibile per conoscere il cammino spirituale e pastorale di Don Bosco. Sono state scritte perché noi potessimo conoscere gli inizi prodigiosi della vocazione e dell’opera di Don Bosco, ma soprattutto perché assumendo le motivazioni e le scelte di Don Bosco, ognuno di noi personalmente e ogni gruppo della Famiglia Salesiana possiamo fare lo stesso cammino spirituale e apostolico. Esse sono state definite “memorie di futuro”. Perciò durante quest’anno impegniamoci a conoscere questo testo, a comunicarne i contenuti, a diffonderlo, soprattutto a metterlo nelle mani dei giovani: esso diventerà un libro ispiratore anche per le loro scelte vocazionali.
9. Conclusione
Come al solito, desidero concludere la presentazione della Strenna con un aneddoto sapienziale. Prima di questo però vorrei qui richiamare il “sogno dei nove anni”. Mi sembra infatti che questa pagina autobiografica offra una presentazione semplice, ma al tempo stesso profetica dello spirito e della missione di Don Bosco. In esso viene definito il campo di azione che gli viene affidato: i giovani; viene indicato l’obiettivo della sua azione apostolica: farli crescere come persone attraverso l’educazione; viene offerto il metodo educativo che risulterà efficace: il Sistema Preventivo; viene presentato l’orizzonte in cui si muove tutto il suo e nostro operare: il disegno meraviglioso di Dio, che prima di tutti e più di ogni altro, ama i giovani. È Lui che li arricchisce di tanti doni e li rendi responsabili nella loro crescita, in vista di un inserimento positivo nella società. Nel progetto di Dio ad essi viene garantita non solo una buona riuscita in questa vita, ma anche la felicità eterna. Mettiamoci dunque in ascolto di Don Bosco e ascoltiamo il ‘sogno della sua vita’.
«Il ragazzo del sogno»
A
quell’età ho fatto un sogno, che mi rimase profondamente impresso
nella mente per tutta la vita. Nel sonno mi parve di essere vicino a
casa in un cortile assai spazioso, dove stava raccolta una
moltitudine di fanciulli, che si trastullavano. Alcuni ridevano,
altri giuocavano, non pochi bestemmiavano. All’udire quelle
bestemmie mi sono subito lanciato in mezzo di loro adoperando pugni e
parole per farli tacere. In quel momento apparve un uomo venerando in
virile età nobilmente vestito. Un manto bianco gli copriva tutta la
persona; ma la sua faccia era così luminosa, che io non poteva
rimirarlo. Egli mi chiamò per nome e mi ordinò di pormi alla testa
di que' fanciulli aggiugnendo queste parole: — Non colle percosse
ma colla mansuetudine e colla carità dovrai guadagnare questi tuoi
amici. Mettiti adunque immediatamente a fare loro un'istruzione sulla
bruttezza del peccato e sulla preziosità della virtù.
Confuso
e spaventato soggiunsi che io era un povero ed ignorante fanciullo
incapace di parlare di religione a que’ giovanetti. In quel momento
que' ragazzi cessando dalle risse, dagli schiamazzi e dalle
bestemmie, si raccolsero tutti intorno a colui che parlava.
Quasi
senza sapere che mi dicessi, — Chi siete voi, soggiunsi, che mi
comandate cosa impossibile? Appunto perché tali cose ti sembrano
impossibili, devi renderle possibili coll'ubbidienza e coll’acquisto
della scienza. — Dove, con quali mezzi potrò acquistare la
scienza? — Io ti darò la maestra sotto alla cui disciplina puoi
diventare sapiente, e senza cui ogni sapienza diviene stoltezza.
—
Ma chi siete voi, che parlate in questo modo?
—
Io sono il figlio di colei, che tua madre ti ammaestrò di salutar
tre volte al giorno.
—
Mia madre mi dice di non associarmi con quelli che non conosco, senza
suo permesso; perciò ditemi il vostro nome.
—
Il mio nome dimandalo a Mia Madre. In quel momento vidi accanto di
lui una donna di maestoso aspetto, vestita di un manto, che
risplendeva da tutte parti, come se ogni punto di quello fosse una
fulgidissima stella. Scorgendomi ognor più confuso nelle mie dimande
e risposte, mi accennò di avvicinarmi a Lei, che presomi con bontà
per mano, e — guarda — mi disse. Guardando mi accorsi che quei
fanciulli erano tutti fuggiti, ed in loro vece vidi una moltitudine
di capretti, di cani, di gatti, orsi e di parecchi altri animali. —
Ecco il tuo campo, ecco dove devi lavorare. Renditi umile, forte,
robusto; e ciò che in questo momento vedi succedere di questi
animali, tu dovrai farlo pei figli miei.
Volsi
allora lo sguardo ed ecco invece di animali feroci apparvero
altrettanti mansueti agnelli, che tutti saltellando correvano attorno
belando come per fare festa a quell'uomo e a quella signora.
A
quel punto, sempre nel sonno, mi misi a piangere, e pregai quello a
voler parlare in modo da capire, perciocché io non sapeva quale cosa
si volesse significare.
Allora
Ella mi pose la mano sul capo dicendomi: A suo tempo tutto
comprenderai.
Ciò
detto un rumore mi svegliò.
Io
rimasi sbalordito. Sembravami di avere le mani che facessero male pei
pugni che aveva dato, che la faccia mi duolesse per gli schiaffi
ricevuti; di poi quel personaggio, quella donna, le cose dette e le
cose udite mi occuparono talmente la mente, che per quella notte non
mi fu possibile prendere sonno (Memorie
dell’Oratorio di San Francesco di Sales,
testo criticoa cura di Antonio da Silva Ferreira, LAS Roma 1991, pp.
34-37).
Don Bosco scrive nelle “Memorie dell’Oratorio”
che quel sogno “rimase profondamente impresso nella sua mente per
tutta la vita”, sì da poter dire noi oggi che egli visse per
trasformare quel sogno in realtà.
Ebbene, ciò che il nostro
caro Padre prese come programma di vita facendo dei giovani la
ragione della sua esistenza e spendendo per loro tutte le sue energie
fino all’ultimo respiro, è quanto tutti noi siamo chiamati a fare.
L’aneddoto, che questa volta prendo dalla storia, illustra
eloquentemente il desiderio di Don Bosco di essere per i giovani un
segno di amore che non verrà mai meno. L’ho sentito raccontare la
prima volta da un confratello dell’Ispettoria dell’Australia, don
Lawrie Moate, in un discorso augurale pronunciato in occasione di
una celebrazione di giubilei di vita salesiana, a Lysterfield
il 9 luglio 2011:
“E la nostra musica continua”
“Immaginate
il cortile della prigione di una colonia europea del secolo XVII. È
l’alba e mentre il sole comincia a riempire di colori dorati il
cielo di oriente, un prigioniero viene portato fuori, nel cortile,
per l’esecuzione. Si tratta di un prete condannato a morte per
essersi opposto alle crudeltà con le quali venivano trattati gli
indigeni della colonia. Adesso è in piedi contro il muro e contempla
i componenti del plotone di esecuzione, suoi compatrioti. Prima di
bendargli gli occhi, l’ufficiale di comando gli pone la
tradizionale domanda su un ultimo desiderio da esaudire. La risposta
arriva come una sorpresa per tutti: l’uomo chiede di suonare per
l’ultima volta il suo flauto. I soldati vengono messi in posizione
di riposo, mentre aspettano che il prigioniero suoni. Quando le note
cominciano a riempire l’aria silenziosa del mattino, l’ambiente
del carcere è come inondato da una musica che si espande dolce ed
incantevole riempiendo di pace quel luogo segnato quotidianamente
dalla violenza e dalla tristezza. L’ufficiale è preoccupato
perché, quanto più si prolunga la musica, tanto più sembra assurdo
il compito che gli corrisponde. Ordina dunque ai soldati di aprire il
fuoco. Il sacerdote muore all’istante ma, con stupore di tutti i
presenti, la musica continua la sua danza di vita. A dispetto alla
morte”.
Da
dove proviene questa dolce musica della vita?
In
una società totalmente impegnata nel soffocare il messaggio di
Cristo, penso che la nostra vocazione sia quella di trovarci tra
coloro che continuano a far ascoltare la musica della vita. In un
mondo che sta facendo di tutto perché i giovani non ascoltino
l’insistente invito di Cristo a “venire e vedere”, è nostro
privilegio essere stati attirati da Don Bosco e incoraggiati a
suonare la musica del cuore, a testimoniare la trascendenza, a
esercitare la paternità spirituale, a stimolare i ragazzi in una
direzione che corrisponde alla loro dignità e ai loro desideri più
autentici.
Questa
è la danza dello Spirito! Questa è la musica di Dio!
Carissimi fratelli, sorelle, membri tutti della Famiglia Salesiana, amici di Don Bosco, giovani tutti, auguro a tutti voi un anno nuovo 2012 ricco delle benedizioni di Dio e un rinnovato impegno per continuare a far sentire la musica, la nostra musica, quella che riempie di senso la vita dei giovani e fa loro trovare la sorgente della gioia.
A tutti un abbraccio e il mio ricordo al Signore.
Presentazione della Strenna 2012
Conoscendo
e imitando Don Bosco,
facciamo
dei giovani la missione della nostra vita
Il
primo anno del triennio di preparazione al bicentenario della nascita
di Don Bosco è tutto centrato sulla conoscenza della sua storia.
Dobbiamo studiarlo e, attraverso le vicende della sua vita, dobbiamo
conoscerlo come educatore e pastore, fondatore, guida, come
legislatore. Si tratta di una conoscenza che conduce all’amore e
all’imitazione. Questo è il tema della Strenna 2012.
Per noi
membri della Famiglia salesiana, per chi a Don Bosco si rivolge come
a punto di riferimento, la sua figura deve essere ciò che San
Francesco d’Assisi è stato e continua ad essere per i Francescani
o Sant’Ignazio di Loyola per i Gesuiti, vale a dire il fondatore,
il maestro di spirito, il modello di educazione e soprattutto
l’iniziatore di un movimento di risonanza mondiale, capace di
proporre all’attenzione della Chiesa e della società, con una
formidabile forza d’urto, i bisogni dei giovani, la loro
condizione, il loro futuro. Ma come fare questo senza rivolgerci alla
storia, che non è la custode di un passato ormai perduto, bensì di
una memoria vive che è dentro di noi e ci interpella in funzione di
attualità?
L’approccio a Don Bosco, fatto con i metodi propri
della ricerca storica, ci ha portati a meglio comprendere e misurare
la sua grandezza umana e cristiana, la sua genialità operativa, le
sue doti di educatore, la sua spiritualità, la sua opera, pienamente
comprensibile solo se profondamente radicata nella storia della
società in cui visse. Nello stesso tempo nella conoscenza della sua
vicenda storica siamo sempre rimasti consapevoli dell’intervento
provvidenziale di Dio nella sua vita. In questo studio storico non
c’è nessun rifiuto aprioristico delle validissime e
rispettabilissime immagini di Don Bosco che generazioni di Salesiani,
Figlie di Maria Ausiliatrice, Salesiani Cooperatori e membri della
Famiglia Salesiana hanno avuto, del Don Bosco che essi conosciuto e
amato, ma c’è e ci deve essere la presentazione e la
rielaborazione di un’immagine di Don Bosco che sia attuale, parli
al mondo di oggi, si avvalga di un linguaggio rinnovato.
L’immagine
di Don Bosco e della sua azione va ricostruita seriamente, a partire
dal nostro orizzonte culturale: dalla complessità della vita di
oggi, dalla globalizzazione, dalle difficoltà di apostolato, dalla
diminuzione delle vocazioni, dalla “messa in questione” della
vita consacrata. I cambiamenti radicali, o epocali come li chiamava
il mio predecessore don Egidio Viganò, ci costringono a rivedere
tale immagine e a ripensarla sotto altra luce, per una fedeltà che
non sia ripetizione di formule e ossequio formale alla
tradizione.
L’importanza storica di Don Bosco è da
rintracciare, oltre che nelle «opere» e in alcuni elementi
pedagogici relativamente originali, soprattutto nella sua percezione
concreta e affettiva della portata universale, teologica e sociale
del problema
della gioventù «abbandonata»,
e nella sua grande capacità di comunicarla a larghe schiere di
collaboratori, di benefattori e di ammiratori.
Domandiamoci:
siamo noi oggi fedeli discepoli di Don Bosco? Viviamo ancora la
tensione che egli ha vissuto fra ideale e realizzazione, fra
intuizione e sua incarnazione nel tessuto sociale in cui si trovava
ad operare?
Essere fedeli a don Bosco significa conoscerlo
nella sua storia e nella storia del suo tempo, fare nostre le sue
ispirazioni, assumere le sue motivazioni e scelte.
Essere fedeli
a don Bosco e alla sua missione significa coltivare in noi un amore
costante e forte nei confronti dei giovani, specialmente i più
poveri.
Tale amore ci porta a rispondere ai loro bisogni più
urgenti e profondi. Come Don Bosco ci sentiamo toccati dalle loro
situazioni di difficoltà: la povertà, il lavoro minorile, lo
sfruttamento sessuale, la mancanza di educazione e di formazione
professionale, l’inserimento nel mondo del lavoro, la poca fiducia
in se stessi, la paura davanti al futuro, lo smarrimento del senso
della vita.
Con affetto profondo e amore disinteressato
cerchiamo di essere presenti in mezzo a loro con discrezione e
autorevolezza, offrendo proposte valide per il loro cammino, le loro
scelte di vita e la loro felicità presente e futura; in tutto ciò
ci rendiamo loro compagni di cammino e guide competenti.
In
particolare, riferendoci ai giovani di oggi, cerchiamo di comprendere
il loro nuovo modo di essere. Molti di loro sono dei “digital
natives” che attraverso le nuove tecnologie cercano esperienze di
mobilitazione sociale, possibilità di sviluppo intellettuale,
elementi di progresso economico, forme di comunicazione istantanea,
opportunità di protagonismo, … Anche in questo campo vogliamo
condividere la loro vita ed i loro interessi. Animati dallo spirito
creativo di Don Bosco, noi educatori, ci facciamo vicini come
“digital immigrates”, cercando di aiutarli a superare il gap
generazionale con i loro genitori o il mondo degli adulti.
Ci
prendiamo cura di loro durante tutto il loro cammino di crescita e
maturazione, dedicando loro il nostro tempo e le nostre energie e
stando con loro, nei momenti che vanno dalla fanciullezza alla
giovinezza.
Ci prendiamo cura di loro, quando difficili
situazioni, come la guerra, la fame, la mancanza di prospettive, li
portano all’abbandono della propria casa e famiglia e si trovano
soli ad affrontare la vita.
Ci prendiamo cura di loro, quando
sono ansiosamente alla ricerca di una prima occupazione di lavoro e
si impegnano a inserirsi nella società, talvolta senza speranza e
prospettive di riuscita.
Ci prendiamo cura di loro, quando
stanno costruendo il mondo di loro affetti, la loro famiglia,
soprattutto accompagnando il loro cammino di fidanzamento e i primi
anni del loro matrimonio (cfr. GC26, 98.99.104).
Ci sta
particolarmente a cuore colmare il vuoto più profondo del loro
cuore, aiutandoli nella ricerca di senso della loro vita e
soprattutto offrendo un percorso di crescita nella conoscenza e
nell’amicizia con il Signore Gesù, nell’esperienza di una Chiesa
viva, nell’impegno concreto di vivere la loro vita come una
vocazione.
A partire dalla conoscenza della storia di Don Bosco, i grandi punti di riferimento e gli impegni della Strenna del 2012 sono i seguenti.
La carità pastorale caratterizza tutta la storia di Don Bosco ed è l’anima delle sue molteplici opere. Potremmo dire che essa è la prospettiva storica sintetica attraverso la quale leggere tutta la sua esistenza. Il Buon Pastore conosce le sue pecore e le chiama per nome; egli le disseta ad acque cristalline e le pascola in prati verdeggianti; diventa la porta attraverso la quale le pecore entrano nell’ovile; da’ la propria vita affinché le pecore abbiano vita in abbondanza. La forza più grande del carisma di Don Bosco consiste nell’amore che viene attinto direttamente dal Signore Gesù, imitandolo e rimanendo in Lui. Questo amore consiste nel “dare tutto”. Da qui promana il suo voto apostolico: “Ho promesso a Dio che sino all’ultimo respiro della mia vita sarà per i miei giovani poveri”. Questo è il nostro marchio e la nostra credibilità presso i giovani!
Nella storia di Don Bosco conosciamo le tante fatiche, rinunce, privazioni, sofferenze, i numerosi sacrifici che egli ha fatto. Il buon pastore dà la vita per sue pecore. Attraverso i bisogni e le richieste dei giovani, Dio sta chiedendo a ogni membro della Famiglia salesiana di sacrificare se stesso per loro. Vivere la missione non è dunque un attivismo vano, ma piuttosto un conformare il nostro cuore al cuore del Buon Pastore, che non vuole che alcuna delle sue pecore vada perduta. E’ una missione profondamente umana e profondamente spirituale. E’ cammino di ascesi; non c’è presenza animatrice tra i giovani senza ascesi e sacrificio. Perdere qualcosa, o meglio, perdere tutto per arricchire la vita dei nostri giovani è il sostegno della nostra dedizione e del nostro impegno.
Nel verbale di fondazione della Congregazione salesiana e soprattutto nello sviluppo storico della molteplice opera di Don Bosco, possiamo conoscere le finalità della Famiglia salesiana, che a poco a poco si andavano delineando. Noi siamo chiamati ad essere apostoli dei giovani, degli ambienti popolari, delle zone più povere e missionarie. Oggi più che mai ci impegniamo a comprendere e assumere criticamente la cultura mediatica e ci serviamo dei mezzi di comunicazione sociale, in particolare delle nuove tecnologie, come potenziali moltiplicatori della nostra azione di vicinanza e di accompagnamento dei giovani. Mentre siamo in mezzo a loro come educatori, li coinvolgiamo come nostri primi collaboratori, esattamente come ha fatto il nostro Padre, diamo loro responsabilità, li aiutiamo ad assumere iniziativa, li abilitiamo a essere apostoli dei loro coetanei. In questo modo noi possiamo dilatare sempre di più il grande cuore di Don Bosco, che avrebbe voluto raggiungere e servire i giovani in tutto il mondo.
I nostri buoni propositi non possono rimanere vuote dichiarazioni. Come Don Bosco, oggi Dio ci attende nei giovani! Dobbiamo perciò incontrarli e stare con loro nei luoghi, situazioni e frontiere dove essi ci aspettano; per questo occorre andare loro incontro, fare sempre il primo passo, camminare insieme a loro. E’ consolante vedere come in tutto il mondo la Famiglia salesiana si sta prodigando per i giovani più poveri: ragazzi di strada, ragazzi emarginati, ragazzi lavoratori, ragazzi soldato, giovani apprendisti, orfani abbandonati, bambini sfruttati; ma un cuore che ama è sempre un cuore che si interroga. Anche oggi, o forse oggi più che mai, Don Bosco si pone domande. Attraverso la conoscenza della sua storia, dobbiamo ascoltare gli interrogativi di Don Bosco rivolti a noi. Cosa possiamo fare di più per i giovani poveri? Quali sono le nuove frontiere nella regione dove lavoriamo, nel paese in cui viviamo? Abbiamo orecchi per ascoltare il grido dei giovani di oggi? Oltre alle già citate povertà, quante altre appesantiscono il cammino dei giovani di oggi? Quali sono le nuove frontiere in cui oggi dobbiamo impegnarci? Pensiamo alla realtà della famiglia, alla emergenza educativa, al disorientamento nell’educazione affettiva e sessuale, alla mancanza d’impegno sociale e politico, al riflusso nel privato della vita personale, alla debolezza spirituale, alla infelicità di tanti giovani. Ascoltiamo il grido dei giovani e offriamo risposte ai bisogni più urgenti e più profondi, ai bisogni più concreti e a quelli spirituali.
Dalla sua vicenda personale noi possiamo conoscere le risposte di Don Bosco di fronte ai bisogni dei giovani. In questo modo possiamo meglio considerare le risposte che già abbiamo messo in atto e quali altre risposte da creare. Certo le difficoltà non mancano. Si dovranno pure “affrontare i lupi” che vogliono divorare il gregge: l’indifferentismo, il relativismo etico, il consumismo che distrugge il valore di cose ed esperienze, le false ideologie. Dio ci sta chiamando e Don Bosco ci incoraggia ad essere Buoni Pastori, ad immagine del Buon Pastore, perché i giovani possano ancora trovare Padri, Madri, Amici; possano trovare soprattutto Vita. Di più, la Vera Vita, la vita in abbondanza offerta da Gesù!
Le Memorie dell’Oratorio di San Francesco, scritte da Don Bosco per richiesta esplicita del Papa Pio IX, sono un punto di riferimento imprescindibile per conoscere il cammino spirituale e pastorale di Don Bosco. Sono scritte perché noi potessimo conoscere gli inizi prodigiosi della vocazione e dell’opera di Don Bosco, ma soprattutto perché assumendo le motivazioni e le scelte di Don Bosco, ognuno di noi personalmente e ogni gruppo della Famiglia salesiana potessimo fare lo stesso cammino spirituale e apostolico. Esse sono state definite “memorie di futuro”. Perciò durante quest’anno impegniamoci a conoscere questo testo, a comunicarne i contenuti, a diffonderlo, soprattutto a metterlo nelle mani dei giovani: esso diventerà un libro ispiratore anche per le loro scelte vocazionali.
Don
Pascual Chávez V., SDB
Rettor
Maggiore