STRENNA 2008
«Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato per annunciare ai poveri il lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione, ai ciechi la vista; per rimettere in libertà gli oppressi e predicare un anno di grazia del Signore» (Lc 4, 18-19)
Carissimi fratelli e sorelle della Famiglia Salesiana,
alla
fine dell’anno 2007, che ci ha visti impegnati in favore della
vita, ad imitazione del nostro Dio “amante della vita”, e alla
soglia del 2008, che si apre davanti a noi come un “anno di grazia
del Signore”, mi rivolgo a voi con il cuore di Don Bosco.
Vi
presento la nuova Strenna, con il programma spirituale e pastorale
per l’anno 2008. Come avete potuto vedere dal titolo e dai
contenuti che vi ho anticipatamente fatti conoscere, vorrei porre la
mia attenzione non tanto sui destinatari dell’opera educativa, ma
direttamente su tutti voi, cari educatori ed educatrici, che vi
sentite come Gesù consacrati e mandati dallo Spirito del Signore ad
evangelizzare, liberare dalle schiavitù, ridare la vista ed offrire
un anno di grazia a coloro a cui la vostra opera educativa si rivolge
(cf. Lc 4, 18-19). La Strenna 2008 è dunque esplicitamente
indirizzata ai membri delle Comunità Educative Pastorali, alle
Comunità educanti, ai Consigli Pastorali, ecc. nella vasta area
della Famiglia Salesiana. Essa intende essere un appello a rafforzare
la nostra identità di educatori, ad illuminare la proposta educativa
salesiana, ad approfondire il metodo educativo, a chiarire il
traguardo del nostro compito, a renderci consapevoli della ricaduta
sociale del fatto educativo.
Noi siamo stati chiamati
precisamente a questa missione. Il testo del Vangelo di Luca, che ho
scelto per presentare la Strenna, definisce la nostra vocazione di
educatori nello stile di Don Bosco. Non a caso nelle Costituzioni dei
Salesiani questi versetti sono stati scelti come citazione biblica
ispiratrice del “nostro servizio educativo pastorale”.
Gesù,
all’inizio della sua vita pubblica, riconosce nel testo del profeta
Isaia, letto nella sinagoga di Nazaret, la sua missione messianica e
afferma, davanti ai suoi concittadini: «Oggi si è adempiuta questa
scrittura, che voi avete udita con i vostri orecchi» (Lc 4,
21).
Questo “oggi” di Gesù continua nella nostra missione
educativa. Noi siamo stati consacrati con l’unzione dello Spirito,
mediante il Battesimo, e siamo stati inviati ai giovani per
annunciare la novità della vita che Cristo ci offre, per promuoverla
e per svilupparla attraverso un’educazione che liberi i giovani e i
poveri da ogni forma di oppressione ed emarginazione. Tali situazioni
di emarginazione impediscono loro di cercare la verità, di aprirsi
alla speranza, di vivere con senso e con gioia, di costruire la
propria libertà.
La Strenna del 2008 si pone in continuità con
le Strenne degli ultimi due anni. La vita è il grande dono che Dio
ci ha affidato come un “seme”, perché collaboriamo con Lui a
farlo crescere e fruttificare in abbondanza. Il seme ha bisogno di
“cadere in un terreno buono”, nel quale possa germinare e portare
frutto; questo terreno è la famiglia, culla della vita e dell’amore,
luogo primario di umanizzazione. Essa accoglie con gioia e
gratitudine il dono della vita e offre l’ambiente naturale propizio
per la sua crescita e il suo sviluppo. Ma, come avviene per il seme,
non basta un buon terreno; si richiedono gli sforzi pazienti e
laboriosi dell’agricoltore che lo irriga, lo cura, lo aiuta a
crescere. L’agricoltore che aiuta la vita a svilupparsi è
l’educatore. Al riguardo così diceva Don Bosco: «Siccome non vi è
terreno ingrato e sterile che per mezzo di una lunga pazienza non si
possa finalmente ridurre a frutto, così è dell’uomo; vera terra
morale, la quale per quanto sterile e restia, produce non di meno
presto o tardi pensieri onesti e poi atti virtuosi, quando un
direttore (un educatore) con ardenti preghiere aggiunge i suoi sforzi
alla mano di Dio nel coltivarla e renderla feconda e bella» (MB
V, 367).
Ritengo opportuno ripetere qui ciò che ho già
detto in altra occasione. La Strenna di quest’anno non intende
proporre un tema nuovo, come se quelli degli anni precedenti fossero
definitivamente conclusi o accantonati. Sono convinto che il lavoro
educativo pastorale non può essere compreso e svolto episodicamente,
quasi fosse un fuoco d’artificio; esso è come un lavoro di
agricoltura, che richiede tempi lunghi, interventi mirati, cura
attenta, e soprattutto grande dedizione ed amore. In questo caso si
tratta dell’agricoltura migliore: la cultura, vale a dire la
coltivazione dell’uomo e della donna. In tal modo il tema scelto
quest’anno si trova appunto in continuità con quello della
famiglia e della vita.
Ecco dunque la Strenna del 2008:
Educhiamo
con il cuore di Don Bosco
per lo sviluppo integrale della
vita dei giovani,
soprattutto i più poveri e
svantaggiati,
promuovendo i loro diritti.
All’inizio
del commento a questo programma spirituale e pastorale annuale, che è
la Strenna, vi ricordo l’appello significativo del P. Duvallet, per
vent’anni collaboratore dell’Abbé Pierre nell’apostolato di
rieducazione dei giovani, rivolto a noi salesiani: «Voi avete opere,
collegi, oratori per i giovani, ma non avete che un solo tesoro: la
pedagogia di Don Bosco. In un mondo in cui i ragazzi sono traditi,
disseccati, triturati, strumentalizzati, il Signore vi ha affidato
una pedagogia in cui trionfa il rispetto del ragazzo, della sua
grandezza e della sua fragilità, della sua dignità di figlio di
Dio. Conservatela, rinnovatela, ringiovanitela, arricchitela di tutte
le scoperte moderne, adattatela a queste creature del ventesimo
secolo e ai loro drammi, che Don Bosco non poté conoscere. Ma, per
carità, conservatela! Cambiate tutto, perdete, se è il caso, le
vostre case, ma conservate questo tesoro, costruendo in migliaia di
cuori la maniera di amare e di salvare i ragazzi, che è l’eredità
di Don Bosco».[1]
Difficilmente
potremmo trovare un pressante appello migliore di questo. Consapevoli
della grandezza della nostra vocazione di educatori e del dono che
abbiamo ricevuto nella pedagogia di Don Bosco, vera “pedagogia del
cuore”, vogliamo impegnarci a far diventare realtà oggi le parole
profetiche di questa testimonianza eloquente.
In concreto la
Strenna vuol mettere a fuoco:
il tema della pedagogia salesiana e del Sistema Preventivo, come risposta al bisogno di approfondimento e di formazione di noi educatori, per non disperderne la ricchezza;
il valido contributo che possiamo offrire, attraverso l’educazione, per affrontare le immani sfide della vita e della famiglia;
la promozione dei diritti umani, in particolare i diritti dei minori, come via per l’inserimento positivo del nostro impegno educativo in tutte le culture.
1. Educare con il cuore di Don Bosco
Educare
con il cuore di Don Bosco significa, per l’educatore, coltivare
prima e far sgorgare poi dall’interno del proprio cuore “ragione,
religione, amorevolezza”, facendo dell’amorevolezza la punta di
diamante, l’attuazione pratica di quanto religione e ragione
propongono. Si tratta di vivere il Sistema Preventivo, che è una
carità che sa farsi amare (cf. Cost. SDB 20), con
una rinnovata presenza tra i giovani, fatta di
vicinanza affettiva ed effettiva, di partecipazione, accompagnamento
e animazione, di testimonianza e proposta vocazionale, nello stile
dell’assistenza salesiana. Occorre una rinnovata scelta,
soprattutto a favore dei giovani più poveri e a rischio,
individuando le loro situazioni di disagio visibile o nascosto,
scommettendo sulle risorse positive di ogni giovane, anche il più
logorato dalla vita, impegnandosi totalmente per la loro educazione.
“L’amore di Don Bosco per questi giovani era fatto di gesti
concreti e opportuni. Egli si interessava di tutta la loro vita,
riconoscendone i bisogni più urgenti e intuendo quelli più
nascosti. Affermare che il suo cuore era donato interamente ai
giovani, significa dire che tutta la sua persona, intelligenza,
cuore, volontà, forza fisica, tutto il suo essere era orientato a
fare loro del bene, a promuoverne la crescita integrale, a
desiderarne la salvezza eterna. Essere uomo di cuore, per Don Bosco,
significava quindi essere tutto consacrato al bene dei suoi giovani e
donare loro tutte le proprie energie, fin l’ultimo respiro!”[2]
Per
comprendere la rinomata espressione di Don Bosco “l’educazione è
cosa di cuore e Dio solo ne è il padrone” (MB XVI,
447)[3]
e per capire quindi il Sistema Preventivo, mi sembra importante
sentire uno dei più riconosciuti esperti del Santo educatore: “La
pedagogia di Don Bosco s’identifica con tutta la sua azione; e
tutta l’azione con la sua personalità; e tutto Don Bosco è
raccolto, in definitiva, nel suo cuore”.[4]
Ecco la sua grandezza ed il segreto del suo successo come educatore:
Don Bosco ha saputo armonizzare autorità e dolcezza, amore di Dio e
amore dei giovani.
1.1. Vocazione e via di santificazione
Non
c’è dubbio che quello che spiega la capacità dell’educazione
salesiana di attraversare i tempi, di inculturarsi nei contesti più
variegati e di rispondere ai bisogni e alle attese sempre nuovi dei
giovani è l’originale santità di Don Bosco.
Una felice
combinazione di doni personali e circostanze portarono Don Bosco a
diventare “Padre, Maestro e Amico della gioventù”, come nel 1988
lo proclamò Giovanni Paolo II: il suo talento innato per avvicinare
i giovani e guadagnare la loro fiducia, il ministero sacerdotale che
gli diede una conoscenza profonda del cuore umano e una esperienza
dell'efficacia della grazia nello sviluppo del ragazzo, un genio
pratico capace di realizzare le intuizioni in forme semplici, la
lunga permanenza tra i giovani che gli consentì di portare le
ispirazioni iniziali a pieno sviluppo.
Alla radice di tutto c’è
una vocazione. Per Don Bosco il servizio ai giovani fu la
risposta generosa ad una chiamata del Signore. La fusione tra santità
ed educazione, per ciò che riguarda impegni, ascesi, espressione
dell’amore, costituisce il tratto originale della sua figura. Egli
è un santo educatore e un educatore santo.
Da questa fusione
trasse origine un “sistema”, cioè un insieme di intuizioni e di
realizzazioni pratiche, che può essere esposto in un trattato,
raccontato in un film, cantato in un poema o rappresentato in un
musical. Si tratta di un’avventura che ha coinvolto
appassionatamente i collaboratori e ha fatto sognare i
giovani.
Assunto dai suoi discepoli, per i quali l'educazione è
pure una vocazione, tale sistema è stato portato in una grande
varietà di contesti culturali e tradotto in proposte educative
diverse, conformemente alle situazioni dei giovani che ne erano
destinatari.
Quando rivisitiamo la vicenda personale di Don
Bosco o la storia di qualcuna delle sue opere, sorgono spontanee
alcune domande: E oggi? Quanto le sue intuizioni reggono ancora?
Quanto le soluzioni pratiche da lui messe in atto possono aiutare a
risolvere difficoltà che per noi sono quasi insuperabili: il dialogo
tra le generazioni, la possibilità di comunicare valori, la
trasmissione di una visione della realtà, ecc.?
Non mi fermo ad
elencare le differenze che intercorrono fra il tempo di Don Bosco e
il nostro. Se ne trovano – e non sono certamente piccole – in
tutti i campi: nella condizione giovanile, nella famiglia, nel
costume, nella maniera di pensare l’educazione, nella vita sociale,
nella stessa pratica religiosa. Se risulta già difficile comprendere
un’esperienza del passato ai fini della fedele ricostruzione
storica, tanto più arduo è riviverla e ritradurla in pratica in un
contesto radicalmente diverso.
Eppure abbiamo la convinzione che
quello che è avvenuto con Don Bosco sia un momento di grazia, pieno
di virtualità; che contenga ispirazioni che genitori ed educatori
possono interpretare nel presente; che ci sono suggestioni gravide di
sviluppo, quasi germogli che attendono di sbocciare.[5]
1.2. Amore preveniente
Uno
dei messaggi da raccogliere riguarda certamente la prevenzione,
la sua urgenza, i suoi vantaggi, la sua portata e quindi le
responsabilità coinvolte. Oggi essa si va imponendo con dati sempre
più chiari e allarmanti, ma assumerla come principio ed attuarla
efficacemente non è scontato nell’evoluzione attuale delle nostre
società. Purtroppo questa non è la cultura prevalente. Anzi!
Eppure
la prevenzione costa di meno e rende di più del solo contenimento
della devianza e del recupero tardivo. Consente infatti alla
maggioranza dei giovani di essere liberi dal peso delle esperienze
negative, che mettono a repentaglio la salute fisica, la maturazione
psicologica, lo sviluppo delle potenzialità, la felicità eterna.
Consente pure loro di sprigionare le migliori energie, di
approfittare al meglio dei percorsi più sostanziosi dell’educazione,
di recuperarne altri nei primi passi di un eventuale cedimento. Fu
questa la conclusione di Don Bosco, dopo l'esperienza con i ragazzi
del carcere e il contatto con la manovalanza giovanile di Torino.
La
prevenzione, da azione quasi poliziesca tendente a custodire l’ordine
della società, divenne per lui qualità intrinseca e fondamentale
dell’educazione. Essa era preventiva per la tempestività, ma anche
per i contenuti e per le modalità. Doveva anticipare il sorgere di
situazioni e di abitudini negative, materiali o spirituali; doveva
contemporaneamente moltiplicare le iniziative che orientano le
risorse ancora sane della persona verso progetti allettanti e validi.
Egli era convinto che il cuore dei giovani, di ogni giovane, è
buono, che persino nei ragazzi più disgraziati ci sono semi di bene
e che compito di un saggio educatore è di scoprirli e svilupparli.
Bisognava dunque creare una situazione generale positiva circa
l’ambiente di famiglia, gli amici, le proposte, le conoscenze, che
stimolasse la consapevolezza di sé, allargasse la conoscenza del
mondo reale, desse il senso della vita e il gusto del bene.
Basterebbe
pensare alla storia di Michele Magone, il “generale della
ricreazione” alla stazione di Carmagnola, al quale Don Bosco offre
prima la sua amicizia, quindi un microclima educativo nell’Oratorio
di Valdocco, poi la sua guida competente (“Caro Magone, io avrei
bisogno che mi facessi un piacere, … che tu mi lasciassi un momento
padrone del tuo cuore”), sino a fargli trovare in Dio il senso
della vita e la sorgente della vera felicità (“Oh quanto mai io
sono felice!”) e a farlo diventare un modello per i giovani di ieri
e di oggi.
Uno dei problemi delle nostre società oggi è
l’insufficienza del servizio educativo. Non arriva a tutti, perde
molti per strada, non raggiunge i soggetti secondo la loro
situazione. Ne soffrono coloro che partono svantaggiati o non
riescono a tenere il passo. Per contenere questo fenomeno attraverso
un’azione molteplice di prevenzione e rendere adeguata
l'educazione, ci vuole la responsabilità corale e sinergica da parte
delle famiglie, degli organismi politici, delle forze sociali, delle
agenzie deputate all’educazione, delle comunità ecclesiali e degli
sforzi individuali.
L’educazione, soprattutto dei ragazzi
svantaggiati, più che problema di occupazione e qualificazione
professionale, è principalmente questione di vocazione. Don Bosco fu
un carismatico e un pioniere. Oltrepassò legislazioni e prassi. Creò
tutto ciò che è legato al suo nome, spinto da uno spiccato senso
sociale, ma attraverso una iniziativa autonoma, frutto di una
vocazione. E forse oggi l’esigenza non è diversa: mettere a frutto
le energie disponibili, favorire le vocazioni educative e appoggiare
progetti di servizio.
L’efficacia preventiva dell’educazione
risiede nella sua qualità. La complessità della società, la
molteplicità di visioni e di messaggi che vengono offerti, la
separazione dei diversi ambiti in cui si svolge la vita, hanno
comportato rischi anche per l’educazione. Uno di questi è la
frammentazione dei contenuti che si offrono e della modalità con cui
si ricevono. Viviamo di pillole anche mentali. Lo slogan è
il modello dei messaggi.
Un altro rischio è la selezione di
proposte, secondo le proprie preferenze individuali: si tratta del
soggettivismo. L’optional è passato dal mercato alla
vita. Sono conosciute da tutti le polarità difficili da conciliare:
profitto individuale e solidarietà, amore e sessualità, visione
temporale e senso di Dio, eccesso di informazioni e difficoltà di
valutazione, diritti e doveri, libertà e coscienza.
Fu criterio
di Don Bosco sviluppare quanto il giovane si porta dentro come spinta
o desiderio positivo, mettendolo a contatto anche con un patrimonio
culturale fatto di visioni, costumi, credenze, offrendogli la
possibilità di un’esperienza profonda di fede, inserendolo in una
realtà sociale della quale si sentisse parte attiva attraverso il
lavoro, la corresponsabilità nel bene comune, l’impegno per una
convivenza pacifica. Egli espresse ciò in formule semplici, che i
giovani potevano capire ed assumere: “buoni cristiani e onesti
cittadini”, “sanità, sapienza, santità”, “ragione e
fede”.
I vantaggi personali acquisiti attraverso l’educazione
erano finalizzati alla loro valorizzazione sociale in forma solidale
e critica; il vivere con onesta prosperità in questo mondo era
collegato con la dimensione spirituale, trascendente, cristiana;
l’istruzione e la preparazione professionale erano uniti a una
visione cristiana della realtà, alla formazione della coscienza,
all’apertura verso i rapporti umani.
Per non cadere nel
massimalismo utopico, Don Bosco cominciava da dove era possibile,
secondo le condizioni del giovane e la situazione dell’educatore.
Nel suo oratorio si giocava, si era accolti, si creavano rapporti, si
riceveva istruzione religiosa, si alfabetizzava, si imparava a
lavorare, si davano norme di comportamento civile, si rifletteva sul
diritto del lavoro artigianale e si cercava di migliorarlo.
Oggi
ci può essere un’istruzione che non prende in considerazione i
problemi della vita. È una lamentela ricorrente dei giovani. Ci può
essere preparazione professionale che non ne assume la dimensione
etica o culturale. Ci può essere un’educazione umana chiusa
nell'immediato, che non affronta gli interrogativi dell’esistenza.
Se
la vita e la società sono diventate complesse, il soggetto a una
sola dimensione, senza mappa e senza bussola, è destinato a
smarrirsi o diventare dipendente. La formazione della mente, della
coscienza e del cuore è più che mai necessaria.
Un “punctum
dolens” dell'educazione oggi è la comunicazione: tra le
generazioni per la velocità dei cambiamenti, tra le persone per
l'allentamento dei rapporti, tra le istituzioni e i loro destinatari
per la diversa percezione delle rispettive finalità. La
comunicazione, si dice, è confusa, disturbata, esposta all’ambiguità
per l’eccessivo rumore, per la molteplicità dei messaggi, per la
mancanza di sintonia tra emittente e ricevente. Ne derivano
incomprensioni, silenzi, ascolto limitato e selettivo realizzato come
“zapping”, patti di non aggressione per maggiore tranquillità.
Così è difficile consigliare atteggiamenti, raccomandare
comportamenti, trasmettere valori.
1.3. Linguaggio del cuore
Anche
il linguaggio del cuore è cambiato non poco dai tempi di Don Bosco.
Eppure da lui vengono indicazioni che nella loro semplicità sono
vincenti, se si trova la maniera di renderle operative. Una di tali
indicazioni è: "amateli i ragazzi". “Si otterrà
di più – leggiamo nella cosiddetta “Lettera sui castighi” –
con uno sguardo di carità, con una parola di incoraggiamento che con
molti rimproveri" (MB XVI, 444).[6]
Amarli
vuol dire accettarli come sono, spendere tempo con loro, manifestare
voglia e piacere di condividere i loro gusti e i loro temi,
dimostrare fiducia nelle loro capacità, e anche tollerare quello che
è passeggero e occasionale, perdonare silenziosamente quello che è
involontario, frutto di spontaneità o immaturità. Era questo il
pensiero di Don Bosco: "Tutti i giovani hanno i loro giorni
pericolosi, e voi anche li avete. Guai se non ci studieremo di
aiutarli a passarli in fretta e senza rimprovero" (MB XVI,
445).[7]
C’è
una parola, non molto usata oggi, che i salesiani conservano
gelosamente perché sintetizza quanto Don Bosco acquisì e consigliò
sul rapporto educativo: amorevolezza. La sua sorgente è la
carità, come la presenta il Vangelo, per cui l’educatore scorge il
progetto di Dio nella vita di ogni giovane e lo aiuta a prenderne
coscienza ed a realizzarlo con lo stesso amore liberante e magnanimo
con cui Dio l'ha concepito. Amorevolezza è amore percepito ed
espresso.
L’amorevolezza genera un affetto che viene
manifestato a misura del ragazzo, particolarmente di quello più
povero; è l’approccio fiducioso, il primo passo e la prima parola,
la stima dimostrata attraverso gesti comprensibili, che favoriscono
la confidenza, infondono sicurezza interiore, suggeriscono e
sostengono la voglia di impegnarsi e lo sforzo di superare le
difficoltà.
Va maturando così, non senza difficoltà, un
rapporto sul quale conviene portare l’attenzione quando si
prospetta una traduzione delle intuizioni di Don Bosco nel nostro
contesto. È un rapporto segnato dall'amicizia, che cresce fino alla
paternità.
L’amicizia va aumentando con i gesti di
familiarità e di essi si nutre. A sua volta fa nascere la
confidenza. E la confidenza è tutto nell’educazione, perché
soltanto nel momento in cui il giovane ci apre le porte del suo cuore
e ci affida i suoi segreti è possibile interagire. L'amicizia ha per
noi una manifestazione molto concreta: l’assistenza.
Non è possibile comprendere la portata dell’assistenza
salesiana dal significato che il dizionario o il linguaggio attuale
dà alla parola. È un termine coniato all'interno di un’esperienza
e riempito di significati e applicazioni originali. Essa comporta un
desiderio di stare con i ragazzi: "Qui con voi mi trovo bene".
È presenza fisica lì dove i ragazzi si intrattengono, scambiano
esperienze o progettano; e, allo stesso tempo, è forza morale con
capacità di comprensione, risveglio e incoraggiamento; è anche
orientamento e consiglio secondo il bisogno dei singoli.
L'assistenza
raggiunge il livello della paternità educativa, che è più
dell'amicizia. È una responsabilità affettuosa ed autorevole che
offre guida e insegnamento vitale ed esige disciplina ed impegno. La
paternità educativa è amore ed autorevolezza.
Essa si
manifesta soprattutto nel "saper parlare al cuore"
in maniera personale, perché in tal modo si raggiunge ciò che
occupa la mente dei ragazzi, si svela la portata degli avvenimenti
della loro vita, si fa loro comprendere il valore dei comportamenti e
dei sentimenti, toccando la profondità della coscienza.
Non
parlare molto, ma in modo diretto; non in forma agitata, ma chiara.
Ci sono nella pedagogia di Don Bosco due esempi di questo modo di
parlare: “la buona notte”, quella parola rivolta a tutti che alla
fine della giornata dava il senso di ciò che si era vissuto, e “la
parolina all’orecchio”, quella parola personale che veniva
lasciata cadere in momenti informali di ricreazione. Sono due momenti
carichi di emotività, che riguardano sempre eventi concreti e
immediati e che consegnano una sapienza quotidiana per affrontarli;
insomma aiutano a vivere e insegnano l'arte di vivere.
Amicizia,
assistenza e paternità creano il clima di famiglia, dove i
valori diventano comprensibili e le esigenzeaccettabili. Così si
traccia il confine tra l'autoritarismo, che rischia di non influire
pur ottenendo risultati formali, e l'assenza di proposte; tra
l’invadenza, che non lascia spazio al libero esprimersi, e la
latitanza educativa, che non si impegna nel trasmettere valori; tra
il cameratismo e la responsabilità dell'adulto.
Le
manifestazioni della paternità di Don Bosco hanno avuto
luogo in un contesto marcato dal carattere esemplare della famiglia
patriarcale. I suoi ruoli servivano come punto di riferimento per
tutti i tipi di autorità: civili, imprenditoriali, educativi. Tutto
allora era "familiare": l'educazione, l'impresa,
l'economia. Era un assioma indiscusso che l’educatore dovesse
assumere una "fisionomia paterna".
Anche per noi la
paternità ha un significato ancora insostituibile: è un amore che
dà la vita e si fa responsabile del suo sviluppo, vuole bene di
cuore, parla opportunamente, attende la maturazione, consente
l’autonomia, accoglie con gioia il ritorno.
Prevenzione,
proposta, rapporto si congiungono negli ambienti "giovanili".
I ragazzi hanno bisogno di esprimere la loro vitalità, quello che
internamente vanno sentendo, accettando ed elaborando. I giovani
debbono provarsi nella responsabilità, nella realizzazione dei
valori che enunciano, nella solidarietà, nell’autogestione.
Per
un educatore salesiano il “luogo educativo” della conoscenza del
giovane non è principalmente il test psicologico, ma il cortile,
lì dove egli si esprime spontaneamente. L'incontro educativo non è
principalmente quello formale, ma quello spontaneo. Il cammino di
crescita del giovane sta certamente nel rispetto delle norme e nella
docilità all’educatore, ma molto di più esso si trova nella
capacità di partecipare con gioia alle iniziative e alla vita che si
creano nel gruppo, nella cooperativa, nella comunità giovanile, dove
gli educatori hanno il non facile compito di motivare, spingere ed
incoraggiare, aprire spazi, favorire la creatività.
Le opere,
che anche oggi si rifanno a Don Bosco, presentano le caratteristiche
che egli diede ai suoi ambienti. Esse cercano di rispondere alle
necessità dei giovani con un programma concreto e potenzialmente
integrale: insegnamento, alloggio, educazione al lavoro, tempo
libero. Aggregano anche gli adulti, specialmente se appartengono ai
settori popolari o sono interessati ad aiutare i giovani. Sono
"aperte" e non esclusive. Lavorano in rete, in collegamento
con le istituzioni, il territorio, il popolo e le autorità.
Oggi
si sente l'urgenza di "spazi” per i giovani: piccoli, medi e
grandi. Valga l'esempio delle discoteche e dei gruppi. C’è in
agguato il male della solitudine, che è all’origine di molte
devianze. L'analisi educativa ha colto nel segno quando, senza
rigidità, ha fatto una distinzione tra luoghi istituzionali,
organizzati per finalità precise, e luoghi vitali, aperti
all’espressione spontanea, alla ricerca di senso, ai progetti, alla
creatività: luoghi dell’obbligo e luoghi di propria scelta; luoghi
imposti e luoghi della vita. Lo spazio ideato da Don Bosco è una
sintesi dei due: così nel fluire della vita quotidiana si superano
le dicotomie in cui si dibatte l’educazione.
2. Curare lo sviluppo integrale dei giovani
Di fronte alla situazione dei giovani Don Bosco fa la scelta dell’educazione. È un tipo di educazione che previene il male attraverso la fiducia nel bene che esiste nel cuore di ogni giovane, che sviluppa le sue potenzialità con perseveranza e con pazienza, che ricostruisce l’identità personale di ciascuno. Essa forma persone solidali, cittadini attivi e responsabili, persone aperte ai valori della vita e della fede, uomini e donne capaci di vivere con senso, gioia, responsabilità e competenza. È un’educazione che diviene una vera esperienza spirituale, che attinge alla “carità di Dio che previene ogni creatura con la sua Provvidenza, l’accompagna con la sua presenza e la salva donando la vita” (Cost. SDB 20). Tradurre nell’oggi questa scelta di Don Bosco richiede di assumere alcune opzioni fondamentali.
2.1. Fiducia condivisa nell’educazione
La
nostra epoca mostra di aver fiducia nell'educazione; per questo si
impegna per estenderla a tutti. Cerca di adeguarla costantemente alle
sfide che sorgono nel campo del lavoro, delle conoscenze e
dell'organizzazione sociale. L'affida sempre di più a istituzioni
specializzate. La centra sulla comunicazione culturale,
l'informazione scientifica e la preparazione professionale. La
responsabilità su di essa appare sempre più distribuita, condivisa
tra famiglia, istituzioni sociali e stato.
Così l'educazione è
diventata fenomeno sociale, diritto riconosciuto e aspirazione di
ogni persona. Le questioni che la riguardano sono diventate problemi
di tutti. Interessano i ceti dirigenti e imprenditoriali, il
cittadino comune, l'opinione pubblica. In sostanza si tratta del
riconoscimento del valore unico e della centralità della persona
nell'evolvere delle culture, della vita sociale e degli stessi
processi di produzione.
Da parte della Chiesa la preoccupazione
non è stata minore ed essa non ha lasciato mancare di offrire
orientamenti anche in questo campo. Il suo intervento nell’educazione
appare determinante in molti contesti, sia quanto all’estensione
che alla qualità. L'intrinseco rapporto che esiste tra
evangelizzazione ed educazione porta la Chiesa ad assumere
quest'ultima non come un impegno opzionale, ma come il cuore stesso
della sua missione; essa si sente e vuole essere educatrice
dell’uomo.
L'espressione più cospicua di tale impegno sono i
santi educatori, che hanno fatto del compito educativo l’espressione
della scelta preferenziale di Dio, l'esercizio quotidiano dell'amore
all'uomo e la via della propria santificazione. E dietro di loro gli
istituti e i movimenti ecclesiali per i quali l'educazione
costituisce una missione e uno stile.
Don Bosco e la Famiglia
Salesiana si trovano tra questi movimenti ecclesiali ispirati da un
santo educatore. Essi intendono rispondere alle aspirazioni profonde
delle persone, particolarmente le più povere, inserirsi nell'attuale
situazione storica ed assumere l'invito per una nuova
evangelizzazione.
2.2. Ripartire dagli ultimi
Nonostante
questa fiducia generalizzata nell’educazione, abbiamo però
l'impressione che nei suoi riguardi ci sia una distanza tra
aspirazioni e possibilità, tra dichiarazioni e adempimenti, tra
intenzioni e realizzazioni, tra diritto riconosciuto e diritto
garantito. Ciò si avverte maggiormente in alcuni contesti.
La
prima invocazione da raccogliere è dunque quella che si solleva dove
mancano i servizi minimi e le condizioni indispensabili per
l’educazione. Agli inizi del terzo millennio il deserto educativo,
come quello geografico, non si riduce ma si estende.
Le
possibilità di educazione si riducono drammaticamente in vaste aree
del mondo, sia in assoluto che relativamente all'aumento della
popolazione. I conflitti interni, il crollo dei servizi, le
amministrazioni dissestate e voraci, il degrado sociale e politico
causano un sottosviluppo progressivo, la cui prima vittima è la
gioventù.
Le possibilità di educazione si contraggono però
anche nelle società avanzate. L'insufficienza si manifesta nella
dispersione scolastica, nella mancanza di sostegno familiare, nelle
molteplici forme di devianza, nella disoccupazione giovanile, nella
manovalanza precoce spesso legata alla criminalità.
Da queste
realtà si innalza una forte invocazione. C'è bisogno di condividere
i beni fondamentali dell'educazione, di ridistribuire attenzione,
tempo e risorse a beneficio di coloro che oggi ne sono carenti in
ogni singola società e nel contesto mondiale.
Una Famiglia come
la nostra, che ha fatto dei poveri la sua eredità e ha intrapreso un
vasto sforzo per un continente povero come l'Africa, non può
ignorare questo fenomeno, non fosse altro che per compiere alcuni
gesti profetici.
2.3. Una nuova educazione
Il
moderno entusiasmo per l’educazione, pur rappresentando globalmente
un fatto positivo, non è senza ambiguità a riguardo delle
impostazioni di fondo e degli orientamenti pratici.
Educare,
come si è detto, è aiutare ciascuno a diventare pienamente persona
attraverso l’emergere della coscienza, lo sviluppo
dell'intelligenza, la comprensione del proprio destino. Attorno a
questo nodo si raccolgono i problemi e si scontrano le diverse
concezioni dell'educazione.
Si avverte oggi una specie di
scompenso tra libertà e senso etico, tra potere e coscienza, tra
progresso tecnologico e progresso sociale. Tale scompenso è sovente
indicato con altre espressioni: la corsa all'avere e la disattenzione
verso l'essere, il desiderio di possedere e l’incapacità di
condividere, il consumare senza riuscire a valorizzare.
Si
tratta di polarità ricche di energie, se la persona riesce a
comporle. Sono distruttive, se si cambia la gerarchia dei valori e
soprattutto se quella principale viene negata o appiattita. Fattori
strutturali, correnti culturali, forme di vita sociale possono
spingere fortemente in una direzione. L'educazione richiederà sempre
un atteggiamento positivo di discernimento, proposta e profezia.
Presento alcune di queste polarità alle quali dobbiamo fare
attenzione per poter rinnovare la nostra proposta educativa.
2.3.1. Complessità e libertà
Molti
hanno l'impressione che viviamo in un mondo estremamente confuso a
riguardo di ciò che è bene e di ciò che è male. I sociologi
parlano di complessità, una situazione sociale e culturale dove
molti sono i messaggi, molti i linguaggi con cui tali messaggi
vengono comunicati, molte le concezioni di vita che vi stanno alla
base, diverse e autonome le agenzie che se ne fanno promotrici,
innumerevoli e incompatibili gli interessi che le spingono. E non c'è
un'autorità capace di proporre autorevolmente e far accettare una
visione comune del mondo e della vita umana, un sistema di norme
morali, una visione dell’esistenza, un "listino" di
valori comuni.
In queste condizioni i processi educativi
risultano difficili. Gli adulti non si sentono in possesso di un
patrimonio culturale sicuro. Inoltre, il tempo per consegnarlo è
poco e le interferenze sono innumerevoli. Perciò quello che riescono
a comunicare sembra sottoposto a rapida usura. Il pacchetto di
proposte educative non sempre attira né viene capito nel suo
insieme. La capacità propositiva tentenna.
La conseguenza più
vistosa per tutti, ma specialmente per le generazioni giovani, è il
travaglio di orientarsi nella molteplicità di stimoli, problemi,
visioni, proposte. Appaiono confuse le varie dimensioni della vita e
non è facile cogliere il loro valore.
La debolezza della
comunicazione culturale da parte della famiglia, della scuola, della
società, dell'istituzione religiosa provoca difficoltà nel
progettare la propria vita. Ciò si manifesta nella resa di fronte a
conflitti e frustrazioni, nella fatica a prendere e mantenere
decisioni a lungo termine, nel rinvio delle scelte di vita, nel non
riuscire a riconoscersi nei modelli di identificazione che la società
offre.
Il problema educativo dell'identità non è nuovo. In
tutte le epoche i giovani hanno dovuto affrontarlo per rendersi
consapevoli del proprio essere e collocarsi in forma positiva nel
sistema sociale.
Nuova è la situazione nella quale esso oggi
si plasma. Si combinano infatti diversi fattori che presentano
simultaneamente vantaggi e difficoltà. Da una parte ci sono offerte
più abbondanti e maggiore libertà. Sembra come se si dicesse al
giovane: “scegli e fai da te”. È una promessa di autonomia e una
garanzia di autorealizzazione, ma in solitudine. Il deficit oggi non
è di libertà, ma di consapevolezza e responsabilità, di sostegno e
accompagnamento.
Presto perciò la persona si scontra con i
propri limiti e contro le barriere che le oppone la società
postindustriale: la concorrenza e la selezione in ogni ambito, il
mercato del lavoro, il prolungamento della dipendenza, la
ristrettezza degli spazi di partecipazione pubblica, la mancanza di
alternative alla sua portata.
Ciò dà origine a un sentimento
di precarietà che rende i giovani vulnerabili alla manipolazione,
che nella nostra società agisce attraverso diversi canali. I
processi di persuasione, orientati all’acquisizione di prodotti,
determinano non poche delle loro preferenze, non solo di prodotti ma
di modelli: il tipo d'uomo e di donna, l'immagine della bellezza e
della felicità, la scala di valori, le forme di comportamento e la
collocazione sociale.
2.3.2. Soggettività e verità
L'emergere
della soggettività è una delle chiavi per interpretare la cultura
attuale. Essa è legata al riconoscimento della singolarità di ogni
persona e del valore della sua esperienza e interiorità. Viene
rivendicata da quei gruppi che per molto tempo si sono sentiti
"oggetto" di leggi, di imposizioni di identità o di
convenzioni sociali, che impedivano loro di esprimersi. Lasciata però
al proprio dinamismo, senza riferimento alla verità, alla società e
alla storia, la soggettività non riesce a realizzarsi.
La
privatizzazione o elaborazione soggettiva appare maggiormente
nell'etica e nella formazione della coscienza. L'esempio più alla
mano, ma non l'unico, è quello della sessualità. In quest'ambito
sono caduti i controlli sociali e a volte anche quelli familiari. C'è
tolleranza pubblica e diritto a scelte diverse. Anzi, stampa,
letteratura, spettacoli spesso esaltano le trasgressioni e presentano
le deviazioni come conseguenza di condizioni diverse. Qualsiasi
dimensione etica, anche soltanto umana, viene trascurata, quando non
ignorata, persino in programmi ufficiali ampiamente diffusi. Ci si
preoccupa solo di vivere la sessualità in modo appagante e sicuro da
rischi per la salute fisica o psichica. La si stacca dalle componenti
che le danno senso e dignità.
La mancanza di riferimento alla
verità si percepisce anche nelle regole che guidano l’attività
economica e sociale. Sovente esse si ispirano a criteri individuati
nel proprio ambito e al consenso tra le parti più forti. Non sempre
rispondono al bene comune o ai fini dell'economia o della società.
La
qualità dell’educazione si giocherà nel colmare lo scompenso che
appare tra possibilità di scelte e formazione della coscienza, tra
verità e persona. Bisogna orientare a comprendere la portata storica
delle proprie opzioni, ad equilibrare la soggettività selvaggia, a
cogliere la consistenza obiettiva delle realtà e dei valori.
2.3.3. Profitto individuale e solidarietà
La
complessità e la soggettivizzazione influiscono su una giusta
composizione tra la ricerca del proprio profitto e l’apertura
solidale agli altri.
Ci fu una stagione in cui si pensava
possibile organizzare una società libera e giusta, che attraverso
leggi e strutture provvedesse condizioni di benessere per tutti.
Molti giovani si appassionarono alla trasformazione della società e
alla liberazione dei popoli. La preparazione all’impegno politico
era parte della formazione umana e della pratica della fede;
costituiva un segno di responsabilità matura e generoso
idealismo.
Poi venne l'inverno delle utopie, la caduta delle
ideologie e con esse dei progetti collettivi, il problema morale, la
contrapposizione tra le istituzioni. Il confronto politico divenne
rissoso. La politica diventò spettacolo e non fu sempre esemplare.
Quindi seguì il crollo della sua quotazione e la disaffezione, resi
evidenti dalla scarsa partecipazione. Venne meno una certa visione
pratica del bene comune e non ne subentrò nessun'altra che fosse
organica e sperimentata; al contrario, si offrirono soltanto
"briciole" di reciproca buona volontà sociale.
Noi
oggi stiamo vivendo l'era del "mercato", come mentalità e
come inquadratura del sociale. Al momento, va guadagnando terreno una
concezione individualista del sociale. La società viene considerata
una somma di individui, ognuno dei quali è portato a cercare il suo
interesse personale, l'appagamento dei suoi bisogni, potenzialmente
illimitati. È il primato dei desideri e dei diritti individuali.
In
questa tensione incessante verso la soddisfazione di bisogni
artificiali si diventa sordi ai bisogni fondamentali e autentici. Gli
ideali di giustizia sociale e di solidarietà finiscono per diventare
formule vuote, considerate impraticabili.
Non è dunque
infondata la conclusione di molti che vedono nel mercato il
principale ostacolo morale, culturale e legale, perché cresca una
mentalità solidale in adulti e giovani, a livello nazionale e
internazionale.
2.4. Maturazione della fede dei giovani in questo contesto
Complessità,
soggettività e concezione individuale della persona influiscono
sulla maturazione della fede dei giovani, che è sostanzialmente
apertura, comunione e accoglienza della realtà della vita e della
storia.
Impressionano oggi due fenomeni. C’è una religiosità
diffusa che prende le strade più diverse. Essa risponde alla ricerca
di senso in una società che non lo provvede, alla percezione vaga di
un'altra dimensione dell’esistenza che rimane inespressa. Insieme
ad essa però si nota una carenza di fondamenti e motivazioni
oggettive e dunque una rottura tra esperienza religiosa, concezione
di vita e scelte etiche. Anche le verità religiose vengono ridotte
ad opinioni. La mediazione della Chiesa diventa problematica e molto
di più quella dei suoi singoli ministri o rappresentanti; se ne
usufruisce in forma selettiva.
C'è una minoranza che
approfondisce, gusta e matura l'esperienza cristiana e la esprime
nella fede, nel senso ecclesiale e nell'impegno sociale. C'è però
anche un grande numero di giovani che, dopo aver sentito l'annuncio,
si va allontanando dalla fede senza rimpianto. L'età della
formazione religiosa si è allungata, e non sempre conta su proposte
che la ricoprano interamente.
Tutto ciò tinge la fede di forte
soggettivismo. Slegata dalla concretezza degli avvenimenti storici
della salvezza, essa diventa estremamente fragile, una specie di bene
di consumo, di cui ciascuno fa l’uso che gli aggrada. La si
giustappone così agli altri aspetti della vita e del pensiero che si
vanno plasmando autonomamente. Il rischio della separazione tra la
vita e la fede, tra questa e la cultura è la condizione in cui ci
troviamo tutti, in cui crescono oggi i giovani. E ciò anche in
un'epoca in cui la Chiesa dà forti segni di vitalità comunitaria,
di impegno sociale, di spinta missionaria.
2.5. Risposta della Famiglia Salesiana
Quali
risposte a queste invocazioni i giovani si possono aspettare dalla
Famiglia Salesiana? Quali energie possiamo noi attivare?
Oggi le
figure di educatori si moltiplicano, specialmente quelle
professionali. Ci sono poi educatori informali, che non hanno un
compito specifico né sono dei professionisti. Così come ci sono
curricoli dichiarati e altri nascosti. Al centro del processo
educativo sta sempre di più, come giudice, il soggetto che sceglie
ed elabora a volontà le cose che gli vengono proposte o che egli
scopre da se stesso. Meno che mai oggi si può delegare l’educazione
a qualcuno, pensando che egli abbia la possibilità di controllarne
il percorso. Educatori veniamo nominati segretamente dai giovani
quando ci danno accesso alla loro intelligenza e al loro cuore,
quando vogliono sentire da noi una parola o cogliere un gesto che
considerano valido riguardo al senso della loro vita. La
responsabilità può ricadere su ciascuno e in qualsiasi
momento.
L'incidenza degli educatori delegati al compito
educativo e di quelli scelti dal soggetto dipendono da tre fattori:
la credibilità dell'offerta in rapporto alla situazione che il
giovane vive, l'autorevolezza del testimone, la capacità di
comunicazione.
C'è dunque una scommessa per l'adulto: esprimere
un orientamento e una proposta senza rifuggire la complessità e
l'esigenza della soggettività e senza lasciarsi omogeneizzare. Ciò
comporta apertura al positivo, ancoraggio saldo ai punti da cui la
vita umana prende significato, capacità di discernimento. Ecco tre
aspetti che la Famiglia Salesiana dovrebbe curare in modo speciale.
2.5.1. Ritorno ai giovani con maggiore qualità
È
tra i giovani che Don Bosco ha elaborato il suo stile di vita, il suo
patrimonio pastorale e pedagogico, il suo sistema, la sua
spiritualità. L’impegno esclusivo per la missione giovanile fu per
Don Bosco sempre e comunque reale, anche quando per motivi
particolari non era materialmente a contatto con i giovani, anche
quando la sua azione non era direttamente a servizio dei giovani,
anche quando difese tenacemente il suo carisma di fondatore per tutti
i giovani del mondo, di fronte a pressioni di ecclesiastici non
sempre ben illuminati. Missione salesiana è consacrazione, è
“predilezione” per i giovani; e tale predilezione, al suo stato
iniziale, è un dono di Dio, che spetta alla nostra intelligenza ed
al nostro cuore sviluppare e perfezionare.
Il vero salesiano non
diserta il campo giovanile. Salesiano è colui che dei giovani ha una
conoscenza vitale: il suo cuore pulsa là dove pulsa quello dei
giovani. Il salesiano vive per loro, esiste per i loro problemi; essi
sono il senso della sua vita: lavoro, scuola, affettività, tempo
libero. Salesiano è chi dei giovani ha anche una conoscenza teorica
ed esistenziale, che gli permette di scoprire i loro veri bisogni, di
creare una pastorale giovanile adeguata alle necessità dei tempi.
La
fedeltà alla nostra missione, per essere incisiva, deve essere posta
a contatto con i “nodi” della cultura di oggi, con le matrici
della mentalità e dei comportamenti attuali. Siamo di fronte a sfide
colossali, che esigono serietà di analisi, pertinenza di
osservazioni critiche, confronto culturale approfondito, capacità di
condividere psicologicamente la situazione. In un tale contesto la
comunicazione educativa privilegia alcuni canali.
Il primo è
quello della condivisione degli interessi e delle ricerche al posto
delle soluzioni preconfezionate; del dialogo a tutto campo al posto
delle informazioni limitate; della trasparenza o spiegazioni reali al
posto delle mezze verità.
Nel loro sforzo di formarsi una
visione del mondo i giovani ascoltano, reagiscono, interiorizzano,
sperimentano. Si sentono come in un mercato, dove possono vedere il
prezzo e la qualità delle proposte e prendere quelle che vanno loro
bene. La testimonianza e la parola, capaci di far brillare luce e
speranza, troveranno udienza.
L'educatore del futuro sarà
quello che saprà orientare, fra la molteplicità di messaggi e di
visioni, verso una scelta di valori e di criteri atti a sostenere una
crescita continua. E proprio nell’educazione ai valori egli dovrà
puntare sul coinvolgimento attivo del soggetto, piuttosto che sulla
sola sua docile accettazione.
Le esigenze vanno presentate con
coraggio. È da scartare il solo adeguamento a domande immediate, che
privano il soggetto di orizzonti e finiscono col fissarlo in una
posizione narcisistica.
La responsabilità è invece la
principale energia per lo sviluppo della persona. Questa deve
interiorizzare le proposte educative attraverso l'esperienza e la
riflessione ed elaborare così le proprie conclusioni. Soltanto se il
giovane diventa soggetto e non solo oggetto dell'azione educativa, le
proposte entrano nella sua coscienza e diventano patrimonio valido
per la vita.
C'è poi un altro elemento chiave nei modelli di
comunicazione: l’ambiente. Oggi vengono valorizzati i cosiddetti
"luoghi vitali", accanto alle tradizionali istituzioni
educative. Queste influiscono attraverso le strutture, i programmi, i
ruoli, le norme; ma appaiono insufficienti per soddisfare le domande
di senso e di rapporto che i giovani esprimono. I luoghi vitali
invece danno spazio alla spontaneità rivolta al positivo, alla
condivisione libera, all’amicizia, all’accettazione vicendevole,
all’utopia, al linguaggio simbolico, ai progetti. È da augurarsi
che così diventino le famiglie, le comunità cristiane, i gruppi di
impegno, i luoghi di ritrovo giovanile, la scuola.
Rivolgendomi
a membri della Famiglia Salesiana, non è fuori posto ricordare che
Don Bosco, per intuizione piuttosto che per conoscenza teorica, diede
origine a un sistema comunicativo totale: l'oratorio, ambiente
intriso di spontaneità e libera espressione, in cui c’erano ruoli
riconosciuti e rapporti informali, si alternavano programmi proposti
a tutti e portati avanti con regolarità e spazi di creatività
personale e di gruppo.
Nel primo oratorio di casa Pinardi, così
come è pensato da Don Bosco, sono presenti alcune importanti
intuizioni che saranno successivamente acquisite nella loro valenza
più profonda di complessa sintesi umanistico - cristiana:
una struttura flessibile, quale opera di mediazione tra Chiesa, società urbana e fasce popolari giovanili, a mo’ di “ponte”;
il rispetto e la valorizzazione dell’ambiente popolare;
la religione posta a fondamento dell’educazione secondo l’insegnamento della pedagogia cattolica trasmessa a lui dall’ambiente del Convitto;
l’intreccio dinamico tra formazione religiosa e sviluppo umano, tra catechismo ed educazione, o anche convergenza tra educazione ed educazione alla fede e integrazione fede-vita;
la convinzione che l’istruzione costituisce uno strumento essenziale per illuminare la mente;
l’educazione, così come la catechesi, che si sviluppa in tutte le espressioni compatibili con la ristrettezza del tempo e delle risorse: l’alfabetizzazione di chi non ha mai potuto fruire di una qualsiasi forma di istruzione scolastica, il collocamento al lavoro, l’assistenza lungo la settimana, lo sviluppo di attività associative e mutualistiche, ...
la piena occupazione e valorizzazione del tempo libero;
l’amorevolezza come stile educativo e, più in generale, come stile di vita cristiana
L'oratorio così inteso continua ad essere per noi la "formula" che cerchiamo di applicare in qualsiasi situazione o struttura educativa.
2.5.2. Rilancio del “onesto cittadino”
La
riconsiderazione della qualità sociale dell'educazione, già
presente in Don Bosco, anche se imperfettamente realizzata, dovrebbe
incentivare la creazione di esplicite esperienze di impegno
socialenel senso più ampio. Ciò suppone una profonda riflessione
sia a livello teorico, data l’estensione dei contenuti della
promozione umana, giovanile, popolare e la diversità delle
considerazioni antropologiche, teologiche, scientifiche, storiche,
metodologiche, sia sul piano dell’esperienza e della riflessione
operativa dei singoli e delle comunità. In ambito salesiano il
Capitolo Generale23º aveva già parlato di “dimensione sociale
della carità” e di “educazione dei giovani all’impegno e alla
partecipazione alla politica“, “ambito da noi un po’ trascurato
e disconosciuto”.[8]
La
presenza educativa nel sociale comprende queste realtà: la
sensibilità educativa, le politiche educative, la qualità educativa
del vivere sociale, la cultura.
Chi è veramente preoccupato
della dimensione educativa cerca di influire attraverso gli strumenti
politici, perché essa sia presa in considerazione in tutti gli
ambiti: dall'urbanizzazione e dal turismo fino allo sport e al
sistema radiotelevisivo, realtà in cui sovente si privilegiano i
criteri di mercato.
C’è poi l'aspetto specifico delle
politiche educative e giovanili. Bisogna risvegliarne l'interesse e
fare delle battaglie perché non vengano messe all'ultimo posto le
soluzioni per alcune urgenze, come per esempio l’ampia azione di
prevenzione, la qualità di un sistema educativo integrato, la
conveniente diversificazione di possibilità educative conformi ai
bisogni dei soggetti, la parità economica, il recupero di coloro che
hanno sofferto incidenti nel percorso educativo.
Lo stile di
vita sociale e di prassi politica, inoltre, costituisce in se stesso
una grande scuola quotidiana da cui adulti e giovani traggono
silenziosamente lezioni pratiche. È quasi inutile, si può dire, che
le istituzioni educative cerchino di educare alla legalità, se nella
vita pubblica altri criteri vengono vissuti con coscienza tranquilla,
perché questi finiscono per modellare i nostri convincimenti e
comportamenti. È difficile inculcare il senso della giustizia, se
nell'amministrazione pubblica domina la corruzione e il compromesso.
Risulta arduo insegnare il rispetto alla persona, se nel dibattito
politico prevale la sfiducia vicendevole, l'inganno e la rissosità.
Educazione, convivenza sociale e prassi politica formano un'unità,
per cui chi vorrà fare un salto di qualità in una di esse dovrà
necessariamente dedicare energie per modificare le altre.
Infine,
alla radice dell'educazione, della convivenza sociale e della prassi
politica c'è la cultura. Essa provvede motivazioni e comunica
significati che vanno penetrando silenziosamente nelle coscienze e
codificando comportamenti. Per radicare un valore non bastano le
iniziative, anche se abbondanti, né le persone generose e ben
ispirate. Bisogna raggiungere la maturazione di una mentalità
comune. La cultura infatti riguarda non solo intenzioni e propositi
privati, ma l'impiego sistematico e razionale delle energie di cui la
comunità dispone. A volte c'è una frattura tra i gesti dei singoli
e la mentalità collettiva, tra le iniziative personali e le
espressioni sociali, tra la prassi e i suoi fondamenti, per cui una
cosa è l'aspirazione della persona e un’altra cosa è la realtà
quotidiana che essa è obbligata a subire.
2.5.3. Rilancio del “buon cristiano”
Altrettanto
si dovrebbe dire del rilancio del “buon cristiano”. Don Bosco,
“bruciato” dallo zelo per le anime, ha compreso l’ambiguità e
la pericolosità della situazione sociale e morale, ne ha contestato
i presupposti, ha trovato forme nuove per opporsi al male con le
scarse risorse culturali, economiche, ecc., di cui disponeva.
Come
attualizzare il “buon cristiano” di Don Bosco? Come salvaguardare
oggi la totalità umano-cristiana del progetto in iniziative
formalmente o prevalentemente religiose e pastorali, contro i
pericoli di antichi e nuovi integralismi ed esclusivismi? Come
trasformare la tradizionale educazione religiosa in un’educazione a
vivere con la propria identità in un mondo plurireligioso,
pluriculturale, plurietnico? A fronte dell’attuale superamento
della tradizionale pedagogia dell’obbedienza, adeguata ad un certo
tipo di ecclesiologia, come procedere in funzione di una pedagogia
della libertà e della responsabilità, tesa alla costruzione di un
forte soggetto capace di decisioni libere e mature, aperto alla
comunicazione interpersonale, inserito attivamente nelle strutture
sociali, in atteggiamento non conformistico, ma costruttivamente
critico?
Si tratta di svelare e aiutare a vivere consapevolmente
la vocazione di uomo, la verità della persona. E proprio in questo i
credenti possono dare il loro contributo più pregiato.
Essi
infatti sanno che l'essere e i rapporti della persona vengono
definiti dalla sua condizione di creatura, che non indica inferiorità
o dipendenza, ma amore gratuito e creativo da parte di Dio. L'uomo
deve la propria esistenza a un dono. È situato in una relazione con
Dio da ricambiare. La sua vita non trova senso al di fuori di questo
rapporto. L'”oltre”, che egli percepisce e desidera vagamente, è
l'Assoluto, non un assoluto estraneo e astratto, ma la sorgente della
sua vita che lo chiama a sé.
In Cristo la verità della
persona, che la ragione coglie in modo iniziale, trova la sua
illuminazione totale. Egli, con le sue parole ma soprattutto in forza
della sua esistenza umano-divina, in cui si manifesta la coscienza di
Figlio di Dio, apre la persona alla piena comprensione di sé e del
proprio destino.
In Lui siamo costituiti figli e chiamati a
vivere come tali nella storia. È una realtà e un dono, di cui
l’uomo deve penetrare progressivamente il senso. La vocazione a
figli di Dio non è una aggiunta di lusso, un completamento
estrinseco per la realizzazione dell'uomo. È invece il suo puro e
semplice compimento, l’indispensabile condizione di autenticità e
pienezza, il soddisfacimento delle esigenze più radicali, quelle di
cui è sostanziata la sua stessa struttura creaturale.
Chi educa
– genitore, amico o animatore – mantiene viva la consapevolezza
che egli è testimone e accompagnatore in questo svelamento delle
possibilità della vita, che collega la coscienza con la sua fonte e
col suo fine, che sviluppa la vita, ma soprattutto prepara un
interlocutore e un segno della presenza di Dio.
C'è un dialogo
misterioso tra ciascun giovane e ciò che gli giunge dall'esterno,
quello che sorge dentro di sé e che scopre come imperativo, grazia o
senso. Un po' alla volta egli va acquistando piena coscienza di sé,
va elaborando un'immagine dell'esistenza nella quale scommette le sue
forze e gioca le sue possibilità.
Gli educatori, professionisti
e non, sono chiamati ad offrire tutto quello che credono opportuno,
vivendo con speranza le incognite del futuro. Si interessano
sinceramente dell’umano incerto che cresce. In esso infatti Dio
verrà accolto e anche in forza della crescita si manifesterà con
sempre maggior luminosità. Se le cose vanno per il verso migliore,
avranno contribuito a mantenere nella storia la "stirpe di Dio",
coloro che si sentono in rapporto filiale con Lui, e avranno creato
luoghi vivi della sua presenza.
3. Promuovere i diritti umani, in particolare quelli dei minori
Noi
siamo eredi e portatori di un carisma educativo che tende alla
promozione di una cultura della vita e al cambiamento delle
strutture. Per questo abbiamo il dovere di promuovere i diritti
umani. La storia della Famiglia Salesiana e la rapidissima espansione
anche in contesti culturali e religiosi lontani da quelli che ne
hanno visto la nascita, testimonia come il sistema preventivo di Don
Bosco sia una porta di accesso garantita per l’educazione giovanile
di qualunque contesto e una piattaforma di dialogo per una nuova
cultura dei diritti e della solidarietà. Considerando la dignità di
ogni uomo e l’uguaglianza dei suoi diritti, si può meglio
comprendere il complesso di ragioni che sostengono l’opzione
preferenziale della Chiesa per i poveri.
È sotto questo profilo
che va letto e reso attuale il monito di Don Bosco ai primi
missionari: “Prendete cura speciale degli ammalati, dei fanciulli,
dei vecchi e dei poveri, e guadagnerete la benedizione di Dio e la
benevolenza degli uomini”.[9]
Come salesiani l’educazione ai diritti umani, in particolare quelli
dei minori, è la via privilegiata per realizzare nei diversi
contesti l’impegno di prevenzione, di sviluppo umano integrale, di
costruzione di un mondo più equo, più giusto, più salubre. Il
linguaggio dei diritti umani ci permette anche il dialogo e
l’inserimento della nostra pedagogia nelle differenti culture del
mondo.
3.1. Diritti umani e dignità della persona
I
diritti umani sono diritti che spettano a ciascun individuo in quanto
essere umano; non dipendono dalla razza, dalla religione, dalla
lingua, dalla provenienza geografica, dall’età o dal sesso. Sono
diritti fondamentali, universali, inviolabili e indisponibili. Essi
non sono una realtà statica, ma sono in continua evoluzione. I
diritti civili e politici, che vengono fatti risalire al tempo della
Rivoluzione Francese (1789), nascono dalla rivendicazione di una
serie di libertà fondamentali che erano precluse ad ampi strati
della popolazione: diritto alla vita, alla integrità fisica, alla
libertà di pensiero, di religione, di espressione, di associazione,
alla partecipazione politica. I diritti economici, sociali e
culturali sono stati sanciti dalla Dichiarazione Universale dei
diritti dell’uomo del 1948: diritto all’istruzione, al lavoro,
alla casa, alla salute, ecc. Ci sono poi diritti dei popoli
all’autodeterminazione, alla pace, allo sviluppo, all’equilibrio
ecologico, al controllo delle risorse nazionali, alla difesa
ambientale. Infine ci sono i diritti legati al rispetto dell’uomo,
in relazione ai campi delle manipolazioni genetiche, della bioetica e
delle nuove tecnologie di comunicazione.
Bisogna prendere
coscienza che il pieno rispetto dei diritti umani è prima di tutto
una nostra responsabilità. Purtroppo le violazioni dei diritti umani
sono all’ordine del giorno ed è evidente come gli strumenti e le
prevenzioni esistenti non siano sufficienti ad eliminarle. Pur in
questa situazione noi dobbiamo operare per il rispetto della dignità
della persona.
L’insegnamento della Chiesa afferma che una
corretta interpretazione ed un’efficace tutela dei diritti
dipendono da un’antropologia che abbraccia la totalità delle
dimensioni costitutive della persona umana. L’insieme dei diritti
dell’uomo deve infatti corrispondere alla sostanza della dignità
della persona. Essi devono riferirsi alla soddisfazione dei suoi
bisogni essenziali, all’esercizio delle sue libertà, alle sue
relazioni con le altre persone e con Dio. Essi sono universali,
presenti in tutti gli esseri umani, senza eccezione alcuna di tempo e
di luogo. I diritti fondamentali appartengono, infatti, all’essere
umano in quanto persona, ad ogni persona e a tutte le persone, uomini
e donne, bambini o anziani, ricchi o poveri, sani o ammalati.
3.2. Missione salesiana e diritti dei ragazzi
Nel
discorso sul tema “Prima che sia troppo tardi salviamo i ragazzi,
il futuro del mondo”, che ho tenuto in Campidoglio a Roma il 27
novembre 2002, ho cercato di far vedere il Sistema Preventivo in
un’ottica di promozione del singolo ragazzo o ragazza da educare,
da riscattare nella totalità della sua vita nel senso
dell’antropologia cristiana, ma con un preciso riferimento alla
trasformazione della società, perché non ci siano più emarginati.
Soprattutto, ho presentato il Sistema Preventivo in un’ottica di
assunzione cosciente di responsabilità da parte dell’educando, che
si trasforma da oggetto di protezione, perché ha dei bisogni, in
soggetto responsabile, perché ha dei diritti e riconosce i diritti
degli altri, preparando nel ragazzo di oggi, il cittadino di domani:
onesto cittadino e buon cristiano. Vi propongo alcuni brani
stralciati da quel mio discorso.
«Grave è la situazione in cui
si trovano tanti giovani in tante parti del mondo: giovani a rischio
ed emarginati. Sono tanti, sono troppi. Sono un grido inascoltato.
Sono un peso sulla coscienza della società che sta cercando di
globalizzare l’economia, ma non l’impegno per lo sviluppo dei
popoli e la promozione della dignità di ogni uomo.
Le sfide
odierne. Ecco, una rapida mappa dell’emarginazione e dello
sfruttamento giovanile nel mondo:
I ragazzi di strada e le
gang
I ragazzi soldato
I ragazzi violati
I ragazzi
lavoratori e schiavi
I ragazzi “nessuno”
I ragazzi
carcerati
I ragazzi donatori forzati di organi e i mutilati
I
ragazzi poveri ed emarginati
I ragazzi delle fogne e i vaganti
I
ragazzi ammalati
I ragazzi rifugiati e orfani
I ragazzi
...
Tanta sventura sollecita le coscienze di tutti. Alla fine
del Capitolo Generale 25° i Salesiani hanno fatto un appello rivolto
a tutti quelli che hanno responsabilità nei confronti dei giovani:
“Prima che sia troppo tardi salviamo i ragazzi, il futuro del
mondo”. Questo è anche il mio appello come successore di Don
Bosco.
Dinanzi al panorama così triste delle piaghe del mondo
giovanile, noi Salesiani “siamo dalla parte dei giovani, perché
come Don Bosco abbiamo fiducia in loro, nella loro volontà di
imparare, di studiare, di uscire dalla povertà, di prendere in mano
il loro proprio futuro … Siamo dalla parte dei giovani, perché
crediamo nel valore della persona, nella possibilità di un mondo
diverso, e soprattutto nel grande valore dell’impegno
educativo”.[10]
Investiamo nei giovani!
Globalizziamo perciò l’impegno per
l’educazione e prepariamo così un futuro positivo per il mondo
intero. In questo sforzo la Famiglia Salesiana apporta la ricchezza
del metodo educativo ereditato da Don Bosco, il ben noto Sistema
Preventivo.
Secondo questo Sistema la prima preoccupazione è
quella di prevenire il male attraverso l’educazione, ma nel
contempo quella di aiutare i giovani a ricostruire la propria
identità personale, a rivitalizzare i valori che essi non sono
riusciti a sviluppare e ad elaborare, appunto per la loro situazione
di emarginazione, ed a scoprire ragioni per vivere con senso, con
gioia, con responsabilità e competenza.
Inoltre questo Sistema
crede decisamente che la dimensione religiosa della persona è la sua
ricchezza più profonda e significativa; perciò esso cerca, come
finalità ultima di tutte le sue proposte, di orientare ogni ragazzo
verso la realizzazione della sua vocazione di figlio di Dio. Penso
che questo sia uno dei contributi più importanti che il Sistema
Preventivo di Don Bosco può offrire nel campo dell’educazione dei
ragazzi, degli adolescenti e dei giovani in situazione di povertà e
rischio psico-sociale.
Si tratta di una chiara e significativa
esperienza di solidarietà, orientata a formare – sono parole di
Don Bosco – “onesti cittadini e buoni cristiani”, cioè
costruttori della città, persone attive e responsabili, consapevoli
della loro dignità, con progetti di vita, aperti alla trascendenza
agli altri e a Dio».
3.3. Proviamo a ridire gli stessi concetti con il linguaggio dei diritti umani
Facendo
riferimento all’elenco delle violazione dei diritti umani esposto
sopra, diventa chiaro che oggi l’educazione integrale salesiana non
può prescindere da un impegno per i diritti fondamentali e la
dignità della persona umana.
Si può osservare, anzitutto, che
il tema dell’educazione ai diritti e alle libertà fondamentali è
intimamente legato alle due Strenne precedenti, nelle quali
sottolineavo l’importante ruolo della famiglia nell’educare e
promuovere i diritti umani, primo fra tutti la difesa e la promozione
della vita.
L’educazione, in questo ambito, si pone
l’obiettivo di contribuire a costruire una cultura dei diritti
umani capace di dialogare, persuadere e, in ultima istanza, di
prevenire le violazioni dei diritti stessi, piuttosto che di punirle
e reprimerle. È il passaggio dalla mera denuncia di violazioni già
perpetrate all’educazione preventiva.
In tale prospettiva
l’educazione ai diritti umani deve necessariamente essere
multidimensionale e caratterizzarsi come educazione alla cittadinanza
onesta, attiva e responsabile, in grado di unire il descrittivo al
prescrittivo, il sapere all’essere, e di integrare trasmissione del
sapere e formazione della personalità.
L’educazione ai
diritti umani è educazione all’azione, al gesto, alla presa di
posizione, alla presa in carico, all’analisi critica, al pensare,
all’informarsi, a relativizzare le informazioni ricevute dai media;
è un’educazione che deve diventare permanente e quotidiana.
Su
questi fondamenti, la metodologia da utilizzare deve
comprendere almeno tre dimensioni:
una dimensione cognitiva: conoscere, pensare criticamente, concettualizzare, giudicare; Don Bosco direbbe “ragione”;
una dimensione affettiva: provare, fare esperienza, creare amicizia, empatia; Don Bosco direbbe “amorevolezza”;
una dimensione volitiva comportamentale attiva, eticamente motivata: compiere scelte e azioni, mettere in atto comportamenti orientati; Don Bosco direbbe “religione”.
3.4. Educarci ed educare per la trasformazione di ogni persona e di tutta la società: per lo sviluppo umano
Quindi
il Sistema Preventivo e lo spirito di Don Bosco ci chiamano oggi a un
impegno forte, individuale e collettivo, teso a cambiare le strutture
della povertà e del sottosviluppo, per farci promotori di sviluppo
umano ed educare ad una cultura dei diritti umani, della dignità
della vita umana.
I diritti umani sono un mezzo per lo sviluppo
umano; l’educazione ai diritti umani è strumentale al
raggiungimento dello sviluppo umano personale e collettivo e quindi
alla realizzazione di un mondo più equo, più giusto, più
salubre.
Ciascuno di noi, chiunque di noi, proprio perché
educatore o educatrice e proprio perché sceglie la visione
antropologica cristiana che ha ispirato Don Bosco, può diventare un
difensore, promotore e attivista di diritti umani.
Per questo
dobbiamo fare una rilettura salesiana dei principi che sono a
fondamento dei diritti umani, finalizzata ad individuare le sfide che
i diritti umani lanciano alla nostra Famiglia Salesiana.
Ecco
alcuni elementi per questa rilettura:
integralità della persona e applicazione del principio di indivisibilità ed interdipendenza di tutti i diritti fondamentali della persona: civili, culturali, religiosi, economici, politici e sociali;
educazione alla cittadinanza onesta e applicazione del principio di responsabilità comune differenziata per la promozione e la protezione dei diritti umani;
l’ un per uno e applicazione del principio del superiore interesse del minore;
il minore al centro come soggetto attivo e partecipe e applicazione del principio della partecipazione del minore;
il “basta che siate giovani perché io vi ami assai” e applicazione del principio di non discriminazione;
il “voglio che siate felici ora e sempre” che riguardi tutto l’uomo e applicazione del principio di uno sviluppo umano integrale: spirituale, civile, culturale, economico, politico e sociale del minore.
3.5. Un testo che Don Bosco sarebbe pronto a sottoscrivere:
L'educazione deve avere come finalità di:
favorire lo sviluppo della personalità del fanciullo, nonché lo sviluppo delle sue facoltà e delle sue attitudini mentali e fisiche in tutta la loro potenzialità;
inculcare nel fanciullo il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali e dei principi consacrati nella Carta delle Nazioni Unite;
inculcare nel fanciullo il rispetto dei suoi genitori, della sua identità, della sua lingua e dei suoi valori culturali, nonché il rispetto dei valori nazionali del paese nel quale vive, del paese di cui è originario e delle civiltà diverse dalla sua;
preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera, in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza tra i sessi e di amicizia tra tutti i popoli e gruppi etnici, nazionali e religiosi, con le persone di origine autoctona;
inculcare nel fanciullo il rispetto dell'ambiente naturale.
Questo
non è altro che l’art. 29 della “Convenzione dell’ONU
sui diritti dei bambini e degli adolescenti”, adottata
dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e
attualmente ratificata da 192 Stati.
Va dunque corretta la
prassi di molti educatori che riducono i diritti umani ad un elenco
di cognizioni o che intendono l’educazione ai diritti umani in modo
normativo, come spiegazione di testi giuridici.
Noi propugniamo
un approccio più ampio, un approccio di socio-civic learning,
che stimoli all’esperienza pratica, all’accettazione di
responsabilità e alla partecipazione attiva e
responsabile.
L’educazione ai diritti umani, o meglio ad una
“cultura preventiva dei diritti umani”, capace di prevenirne le
violazioni, deve uscire dal ristretto ambito di competenza di
giuristi e avvocati, per diventare patrimonio di tutti, di chiunque
si senta pronto ad aprire e sostenere un dialogo interculturale che
dai diritti umani tragga fondamento.
I diritti umani, infatti,
non sono principalmente una materia giuridica o filosofica; sono una
materia interdisciplinare e possono essere spiegati e discussi in un
approccio interculturale, nell’ambito di numerose discipline:
storia, geografia, lingue straniere, letteratura, biologia, fisica,
musica, economia.
Essi non rappresentano una materia a parte, ma
un tema trasversale. I diritti umani dovrebbero essere parte
integrante della formazione e dell’aggiornamento degli educatori,
formali e informali, affinché siano essi stessi a poterli
rielaborare e trasmettere come leit-motiv e approccio
trasversale all’interno delle diverse materie.
Se per
insegnamento intendessimo una attività didattica in cui uno solo,
l’insegnante, ha qualcosa da insegnare e tutti gli altri hanno solo
da ascoltare, nel caso dei diritti umani non si potrebbe usare questa
prassi. I diritti umani non si insegnano, così come non si
impongono, ma si educa ad essi attraverso il dialogo, il confronto
reciproco, la rielaborazione personale.
Come metodologia
didattica si possono usare l’arte, il teatro, la musica, la danza,
il disegno, la poesia; ricordiamo al riguardo le iniziative
“inventate” da Don Bosco.
Se l’accento del processo
educativo è posto sulle motivazioni interiori necessarie
all’educatore, allora il Sistema Preventivo diventa una
“spiritualità”. Se l’accento è posto sulle tre colonne
della ragione, religione amorevolezza, allora il Sistema
Preventivo diventa un impegno ascetico, un quadro di valori e un
progetto di vita. Se l’accento è sul rapporto dell’educatore con
l’educando, il Sistema Preventivo postula una forte mistica. Se
l’accento è posto sul progetto di vita che l’educando deve
maturare nel suo cuore, allora il Sistema Preventivo è
evangelizzazione completa, perché mira a formare l’onesto
cittadino e il buon cristiano, per dirla con la “Christifideles
Laici”, capace di vivere il vangelo servendo l’uomo e la
società.
In definitiva il Sistema Preventivo trasforma sia
l’educatore che l’educando in un protagonista cosciente,
responsabile del dovere di difendere e promuovere i diritti umani,
per lo sviluppo umano personale e del mondo intero.
Parafrasando
una felice espressione di Paolo VI, nella “Populorum Progressio”,
mi azzarderò a dire che il nuovo nome della pace è l’educazione
alla difesa e alla promozione dei diritti umani.
Certo,
educare con il cuore di Don Bosco, per lo sviluppo integrale della
vita dei giovani, soprattutto dei più poveri e svantaggiati,
promuovendo i loro diritti comporta:
una rinnovata scelta di condivisione comunitaria nei luoghi concreti di azione.
Il carattere comunitario dell’esperienza pedagogica salesiana richiede di creare comunione attorno agli ideali educativi di Don Bosco, saper coinvolgere tutti i responsabili nelle diverse istituzioni e programmi educativi, formare in loro una coscienza critica delle cause della marginalità e dello sfruttamento giovanile, una forte motivazione che sostenga l’impegno quotidiano e un atteggiamento attivo e alternativo. Tutto ciò ripropone l’impegno di formazione degli educatori.
una rinnovata intenzionalità pastorale.
L’azione salesiana comprende sempre la preoccupazione per la salvezza della persona: conoscenza di Dio e comunione filiale con Lui attraverso l’accoglienza di Cristo, con la mediazione sacramentale della Chiesa. Avendo scelto la gioventù e i giovani poveri, i Salesiani accettano i punti di partenza in cui i giovani si trovano e le loro possibilità di fare un cammino verso la fede. In ogni iniziativa di recupero, di educazione e di promozione della persona, si annuncia e si realizza la salvezza che sarà ulteriormente esplicitata man mano che i soggetti se ne rendono capaci. Cristo è un diritto di tutti. Va annunciato senza forzare i tempi, ma senza lasciarli passare invano.
A mo’ di conclusione
E concludo, questa volta, non con una favola ma con un racconto di famiglia, anzi con il “sogno” che è alle origini di ciò che siamo e di quanto facciamo. Un “sogno” che è memoria e profezia, ricordo del passato e progetto di futuro.
«Intanto
io era giunto al nono anno di età; mia madre desiderava di mandarmi
a scuola, ma era assai impacciato, per la distanza, giacché dal
paese di Castelnuovo eravi la distanza di cinque chilometri. Recarmi
in collegio si opponeva il fratello Antonio. Si prese un
temperamento. Il tempo d'inverno frequentava la scuola del vicino
paesello di Capriglio, dove potei imparare gli elementi di lettura e
scrittura. Il mio maestro era un sacerdote di molta pietà a nome
Giuseppe Delacqua, il quale mi usò molti riguardi, occupandosi assai
volentieri della mia istruzione e più ancora della mia educazione
cristiana. Nell'estate poi appagava mio fratello lavorando la
campagna.
Un sogno
A quell'età ho fatto
un sogno, che mi rimase profondamente impresso nella mente per tutta
la vita. Nel sonno mi parve di essere vicino a casa in un cortile
assai spazioso, dove stava raccolta una moltitudine di fanciulli, che
si trastullavano. Alcuni ridevano, altri giocavano, non pochi
bestemmiavano. All'udire quelle bestemmie mi sono subito lanciato in
mezzo di loro adoperando pugni e parole per farli tacere. In quel
momento apparve un uomo venerando in virile età nobilmente vestito.
Un manto bianco gli copriva tutta la persona; ma la sua faccia era
così luminosa, che io non poteva rimirarlo. Egli mi chiamò per nome
e mi ordinò di pormi alla testa di que' fanciulli aggiungendo queste
parole: – Non colle percosse ma colla mansuetudine e colla carità
dovrai guadagnare questi tuoi amici. Mettiti adunque immediatamente a
fare loro un'istruzione sulla bruttezza del peccato e sulla
preziosità della virtù.
Confuso e spaventato
soggiunsi che io era un povero ed ignorante fanciullo incapace di
parlare di religione a que' giovanetti. In quel momento que' ragazzi,
cessando dalle risse, dagli schiamazzi e dalle bestemmie, si
raccolsero tutti intorno a colui che parlava.
Quasi
senza sapere che mi dicessi, – Chi siete voi, soggiunsi, che mi
comandate cosa impossibile? – Appunto perché tali cose ti sembrano
impossibili, devi renderle possibili coll'ubbidienza e coll'acquisto
della scienza. –Dove, con quali mezzi potrò acquistare la scienza?
– Io ti darò la maestra sotto alla cui disciplina puoi diventare
sapiente, e senza cui ogni sapienza diviene stoltezza.
– Ma chi siete voi, che parlate in questo modo?
– Io sono il figlio di colei, che tua madre ti ammaestrò di
salutar tre volte al giorno.
– Mia madre mi dice di non associarmi con quelli che non conosco,
senza suo permesso; perciò ditemi il vostro nome.
– Il mio nome domandalo a Mia Madre.
In quel momento vidi accanto di lui una donna di maestoso aspetto,
vestita di un manto, che risplendeva da tutte parti, come se ogni
punto di quello fosse una fulgidissima stella. Scorgendomi ognor più
confuso nelle mie domande e risposte, mi accennò di avvicinarmi a
Lei, che presomi con bontà per mano, e – guarda, – mi disse.
Guardando mi accorsi che quei fanciulli erano tutti fuggiti, ed in
loro vece vidi una moltitudine di capretti, di cani, di gatti, orsi e
di parecchi altri animali. – Ecco il tuo campo, ecco dove devi
lavorare. Renditi umile, forte, robusto; e ciò che in questo momento
vedi succedere di questi animali, tu dovrai farlo pei figli
miei.
Volsi allora lo sguardo ed ecco invece di animali
feroci apparvero altrettanti mansueti agnelli, che tutti saltellando
correvano attorno belando come per fare festa a quell'uomo e a quella
signora.
A quel punto, sempre nel sonno, mi misi a
piangere, e pregai quello a voler parlare in modo da capire,
perciocché io non sapeva quale cosa si volesse significare.
Allora
Ella mi pose la mano sul capo dicendomi: – A suo tempo tutto
comprenderai.
Ciò detto un rumore mi svegliò.
Io
rimasi sbalordito. Sembravami di avere le mani che facessero male pei
pugni che aveva dato, che la faccia mi duolesse per gli schiaffi
ricevuti; di poi quel personaggio, quella donna, le cose dette e le
cose udite mi occuparono talmente la mente, che per quella notte non
mi fu possibile prendere sonno.
Al mattino ho tosto con
premura raccontato quel sogno prima a’ miei fratelli, che si misero
a ridere, poi a mia madre ed alla nonna. Ognuno dava al medesimo la
sua interpretazione. Il fratello Giuseppe diceva: Tu diventerai
guardiano di capre, di pecore o di altri animali. Mia madre: Chi sa
che non abbi a diventar prete. Antonio con secco accento: Forse sarai
capo di briganti. Ma la nonna, che sapeva assai di teologia, era del
tutto analfabeta, diede sentenza definitiva dicendo: Non bisogna
badare ai sogni.
Io era del parere di mia nonna,
tuttavia non mi fu mai possibile di togliermi quel sogno dalla mente.
Le cose che esporrò io appresso daranno a ciò qualche significato.
Io ho sempre taciuto ogni cosa; i miei parenti non ne fecero caso. Ma
quando, nel 1858, andai a Roma per trattar col Papa della
congregazione salesiana, egli si fece minutamente raccontare tutte le
cose che avessero anche solo apparenza di soprannaturali. Raccontai
allora per la prima volta il sogno fatto in età di nove in dieci
anni. Il Papa mi comandò di scriverlo nel suo senso letterale,
minuto e lasciarlo per incoraggiamento ai figli della congregazione,
che formava lo scopo di quella gita a Roma».[11]
Auguro
a tutti voi di fare vostro il sogno dell’amato padre e fondatore
della nostra Famiglia Salesiana, Don Bosco. Impegniamoci a farlo
divenire realtà a favore dei giovani, specialmente i più poveri,
abbandonati e pericolanti, e continuiamo a coltivare per loro nuovi
sogni.
La Madre di Dio, nel cui nome iniziamo questo anno di
grazia 2008, vi sia madre e maestra, come lo fu per Don Bosco, in
modo che alla sua scuola impariamo ad avere un cuore di educatori.
Roma, 31 dicembre 2007.
Don
Pascual Chávez Villanueva
Rettor Maggiore
[1]
AA.VV. “Il Sistema educativo di Don Bosco tra pedagogia antica
e nuova”, Atti del Convegno Europeo Salesiano sul sistema
educativo di Don Bosco, LDC Torino 1974, p. 314
[2] P. RUFFINATO, Educhiamo con il cuore di don Bosco, in “Note di Pastorale Giovanile”, n. 6/2007, p. 9.
[3] Cf. G. BOSCO, Dei castighi da infliggersi nelle case salesiane, in P. BRAIDO, Don Bosco educatore. Scritti e testimonianze, LAS, Roma 1992, p. 340.
[4] Cf. P. BRAIDO, Prevenire non reprimere. Il sistema educativo di Don Bosco, LAS, Roma 1999, p. 181.
[5] Cf. P. BRAIDO, Prevenire non reprimere. Il sistema educativo di don Bosco, LAS, Roma 1999, p. 391.
[6] Cf. G. BOSCO, Dei castighi da infliggersi nelle case salesiane, in P. BRAIDO, Don Bosco educatore. Scritti e testimonianze, LAS, Roma 1992, p. 335.
[7] Cf. G. BOSCO, Dei castighi da infliggersi nelle case salesiane, in P. BRAIDO, Don Bosco educatore. Scritti e testimonianze, LAS, Roma 1992, p. 336.
[8] Cf. CG23 203-210; 212-214
[9] G. BOSCO, Ricordi ai missionari, in P. BRAIDO, Don Bosco educatore. Scritti e testimonianze, LAS, Roma 1992, p. 206.
[10] CG25, 140
[11] G. BOSCO, Memorie dell’Oratorio di San Francesco di Sales dal 1815 al 1855, Introduzione, note e testo critico a cura di A. DA SILVA FERREIRA, LAS, Roma 1991, pp. 34-37.