Strenna_2024_Presentazione_it


Strenna_2024_Presentazione_it

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STRENNA 2024
«Il sogno che fa sognare»
Un cuore che trasforma i “lupi” in “agnelli”
Nel 2024 celebreremo il secondo centenario del sogno che Giovannino Bosco – il futuro Don Bosco
– fece nel 1824 all’età di nove anni. Di fatto esso è molto conosciuto nella nostra Famiglia Salesiana
come il sogno dei nove anni.
Ritengo che la ricorrenza dei 200 anni del sogno che «condizionò tutto il modo di vivere e di pensare
di don Bosco. E in particolare, il modo di sentire la presenza di Dio nella vita di ciascuno e nella
storia del mondo»1, meriti di essere messo al centro della Strenna, che guiderà l’anno educativo
pastorale di tutta la Famiglia Salesiana. Esso potrà essere ripreso e approfondito nella missione
evangelizzatrice, negli interventi educativi e nelle azioni di promozione sociale che in ogni parte del
mondo fanno capo alla nostra Famiglia che trova in Don Bosco l’ispiratore e il padre.
Come ogni anno in questo periodo, sono a offrirvi solo una prima bozza di quello che sarà il
commento della Strenna che presenterò alla fine dell’anno.
In ogni caso, è importante questa anticipazione dal momento che per le nostre presenze nell’emisfero
settentrionale l’anno educativo pastorale inizia nel mese di settembre. Conoscere, quindi,
l’orientamento della Strenna 2024 permetterà a tutti di programmare diverse iniziative per presentare
e far conoscere il tema e il contenuto proposti.
Fin d’ora ringrazio il gruppo di confratelli che mi ha aiutato a pensare il titolo e a sviluppare questa
iniziale riflessione. Sono riconoscente, inoltre, per il contributo che ricevo dalla Consulta Mondiale
della Famiglia Salesiana, che si raduna ogni anno a Torino-Valdocco in prossimità della festa di Maria
Ausiliatrice. In questa occasione ci siamo trovati pienamente d’accordo nella scelta di questo tema, a
200 anni dal sogno dei nove anni.
1. «HO FATTO UN SOGNO...»: UN SOGNO MOLTO SPECIALE
Proprio così, 200 anni fa Giovannino Bosco fece un sogno che lo avrebbe “segnato” per tutta la vita.
Un sogno che avrebbe lasciato in lui una traccia indelebile, il cui significato comprese pienamente
solo al termine della vita!
Esistono diverse narrazioni di questo sogno nella vita di Don Bosco. Farò riferimento ad una molto
significativa, che diversi confratelli e consorelle esperti di salesianità valutano in modo molto
particolare. Evidentemente, il contenuto è lo stesso del sogno dei nove anni, ma nella versione che
Don Bosco racconta a don Barberis nell’anno 1875, quando aveva già sessant’anni anni. In quel
tempo Don Bosco aveva assistito alla nascita della Congregazione Salesiana (18 dicembre 1859),
dell’Arciconfraternita di Maria Ausiliatrice (18 aprile 1869), dell’Istituto delle Figlie di Maria
Ausiliatrice (5 agosto 1872) e della Pia Società dei Cooperatori Salesiani – secondo il nome originario
dato da Don Bosco – approvata il 9 maggio 1876.
1 P. STELLA, Don Bosco nella storia della religiosità cattolica. 1. Vita e opere, LAS, Roma 1979, 31s.
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Il sogno, con il suo contesto narrativo, è descritto come segue.
«Ma sogni singolari venivano a confortare D. Bosco, e l’occupavano l’intera notte, come egli
raccontò la prima e l’ultima volta, solo a D. Giulio Barberis ed allo scrittore di queste pagine,
il 2 febbraio 1875. In queste misteriose apparizioni vi era un intreccio di quadri ripetuto, vario
e nuovo, ma sempre con riproduzione dei sogni precedenti, ed eziandio con altri simultanei
aspetti meravigliosi che convergevano in un punto solo: l’avvenire dell’Oratorio.
Ecco il racconto di D. Bosco:
Mi sembrò di trovarmi in una gran pianura piena di una quantità sterminata di giovani, Alcuni
rissavano, altri bestemmiavano. Qui si rubava, là si, offendevano i buoni costumi. Un nugolo
di sassi poi si vedeva per l’aria, lanciati da costoro che facevano battaglia. Erano giovani
abbandonati dai parenti e corrotti, lo stava per allontanarmi di là, quando mi vidi accanto una
Signora che mi disse:
- Avanzati tra quei giovani e lavora.
Io mi avanzai, ma che fare? Non vi era locale da ritirarne nessuno: voleva far loro del bene: mi
rivolgeva a persone che in lontananza stavano osservando e che avrebbero potuto essermi di
valido sostegno; ma nessuno mi dava retta e nessuno mi aiutava.
Mi volsi allora a quella Matrona, la quale mi disse:
- Ecco del locale; - e mi fece vedere un prato.
- Ma qui non c’è che un prato, diss’io.
Rispose:
- Mio figlio e gli Apostoli non avevano un palmo di terra ove posare il capo.
Incominciai a lavorare in quel prato ammonendo, predicando e confessando, ma vedeva che per
la maggior parte riusciva inutile ogni sforzo, se non si trovasse un luogo recinto e con qualche
fabbricato ove raccoglierli e ove ritirarne alcuni affatto derelitti dai genitori e respinti, e
disprezzati dagli altri cittadini. Allora quella Signora mi condusse un po’ più in là a settentrione
e mi disse: Osserva! Ed io guardando vidi una chiesa piccola e bassa, un po’ di cortile e giovani
in gran numero.
Ripigliai il mio lavoro. Ma essendo questa chiesa divenuta angusta, ricorsi ancora a Lei, ed Essa
mi fece vedere un’altra chiesa assai più grande con una casa vicina. Poi conducendomi ancora
un po’ d’accanto, in un tratto di terreno coltivato, quasi innanzi alla facciata della seconda
chiesa, mi soggiunse:
- In questo luogo dove i gloriosi Martiri di Torino Avventore ed Ottavio, soffrirono il loro
martirio, su queste zolle che furono bagnate e santificate dal loro sangue, io voglio che Dio sia
onorato in modo specialissimo.
Così dicendo, avanzava un piede posandolo sul luogo ove avvenne il martirio e me lo indicò
con precisione, lo voleva porre qualche segno per rintracciarlo quando altra volta fossi ritornato
in quel campo, ma nulla trovai intorno a me; non un paio, non un sasso: tuttavia lo tenni a
memoria con precisione. Corrisponde esattamente all’angolo interno della cappella dei SS.
Martiri, prima detta di S. Anna al lato del vangelo nella chiesa di Maria Ausiliatrice.
Intanto io mi vidi circondato da un numero immenso e sempre crescente di giovani; ma
guardando la Signora, crescevano anche i mezzi ed il locale, e vidi poi una grandissima chiesa
precisamente nel luogo dove mi aveva fatto vedere che avvenne il martirio dei santi della
legione Tebea con molti edifici tutto all’intorno e con un bel monumento in mezzo.
Mentre accadevano queste cose, io, sempre in sogno, aveva a coadiutori preti e chierici che mi
aiutavano alquanto e poi fuggivano, lo cercava con grandi fatiche di attirarmeli, ed essi poco
dopo se ne andavano e mi lasciavano tutto solo.
Allora mi rivolsi nuovamente a quella Signora, la quale mi disse:
- Vuoi tu sapere come fare affinché non ti scappino più? Prendi questo nastro, e lega loro la
fronte.
Prendo riverente il nastrino bianco dalla sua mano e vedo che sopra era scritta questa parola:
Obbedienza.
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Provai tosto a fare quanto mi disse quella Signora, e cominciai a legar il capo di qualcuno dei
miei volontari coadiutori col nastro, e vidi subito grande e mirabile effetto: e questo effetto
sempre cresceva mentre io continuava nella missione conferitami, poiché da costoro si lasciava
affatto il pensiero d’andarsene altrove, e si fermarono ad aiutarmi. Così venne costituita la
Congregazione.
Vidi ancora molte altre cose che ora non è il caso di farvi sapere (sembra che alludesse a grandi
avvenimenti futuri), ma basti dire che fin da quel tempo io camminai sempre sul sicuro, sia
riguardo agli Oratorii, sia riguardo alla Congregazione, sia sul modo di diportarmi nelle
relazioni cogli esterni di qualunque autorità investiti. Le grandi difficoltà che devono sorgere,
sono tutte prevedute, e conosco il modo di superarle. Vedo benissimo parte a parte tutto ciò che
dovrà succederci, e cammino avanti a chiara luce. Fu dopo aver visto chiese, case, cortili,
giovani, chierici e preti che mi aiutavano, ed il modo di condurre avanti il tutto, ch’io ne parlava
con altri e raccontava la cosa come se fosse già fatta. Ed è per questo che molti credevano ch’io
sragionassi e fui tenuto per folle.
Di qui ebbe adunque origine quell’incrollabile fede nel buon esito della sua missione, quella
sicurezza che pareva temerità nell’affrontare ogni sorta di ostacoli, quel cimentarsi ad imprese
colossali, superiori a forze umane e pur condurle tutte a felicissimo termine»2.
Quando questo sogno si compie, Don Bosco è, come ho già detto, un uomo maturo: ha sperimentato
tante situazioni, ha affrontato e superato numerose difficoltà, ha constatato di persona cosa la Grazia
e l’Amore della Vergine Maria hanno operato nei suoi ragazzi; ha visto tanti miracoli della
Provvidenza e ha sofferto non poco. Lo sappiamo bene.
Il sogno dei nove anni, scritto dallo stesso Don Bosco nelle Memorie dell’Oratorio3 (composizione
che inizia nel 1873 e prosegue fino al 1875), è preceduto dal racconto della morte del padre e della
grande carestia in cui visse la famiglia. Questa collocazione contiene un significativo messaggio.
Quasi a dirci, fin dall’inizio, che non bisogna lasciarsi scoraggiare dai drammi della vita, perché
possono essere tanti – e Giovanni Bosco ne ha vissuti tanti – ma è possibile avere un sogno, un ideale
da seguire, un Nord a cui tendere.
Lo afferma Don Bosco stesso fin dalle prime righe del suo manoscritto: «A che dunque potrà servire
questo lavoro? Servirà di norma a superare le difficoltà future, prendendo lezione dal passato; servirà
a far conoscere come Dio abbia egli stesso guidato ogni cosa in ogni tempo; servirà ai miei figli di
ameno trattenimento, quando potranno leggere le cose cui prese parte il loro padre, e le leggeranno
assai più volentieri quando, chiamato da Dio a rendere conto delle mie azioni, non sarò più tra loro»4.
2. UN ANNO e una STRENNA PER STUDIARE E APPROFONDIRE
LE MEMORIE DELL’ORATORIO E IL SOGNO DEI NOVE ANNI
Forse qualcuno si meraviglierà che, in queste poche pagine in cui desidero offrire qualche breve nota
su quanto scriverò più ampiamente in seguito, mi permetta di rivolgere l’invito di approfittare di
questo anno bicentenario del sogno per studiare e approfondire le Memorie dell’Oratorio e il sogno
dei nove anni.
In ogni caso, lo faccio con profonda convinzione. Io stesso ho avuto il piacere di leggere molte pagine
prima di scrivere queste note e di rendermi conto, ancora una volta, che in questo ambito della
salesianità, della nostra storia e dei fondamenti del nostro carisma, corriamo il rischio di concentrarci
2 MB II, 298-301.
3 Cfr. G. BOSCO, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales dal 1815 al 1855, in ISS, Fonti salesiane 1. Don Bosco
e la sua opera, LAS, Roma 2014, 1170-1308.
4 G. BOSCO, o. c., 1172.
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e di fermarci sempre e solo su alcuni luoghi comuni molto semplificati, e di ripetere poche
affermazioni generiche. Un grande servizio che possiamo e dobbiamo offrire a tante persone, alla
Famiglia Salesiana nel mondo, a tanti laici e giovani, ragazzi e ragazze, è proprio quello di cercare di
offrire qualcosa di più consistente quando presentiamo una qualsiasi riflessione su questo
fondamentale e importante sogno.
Lo sottolineo perché, come sappiamo, le Memorie dell’Oratorio sono un testo autobiografico nel
quale Don Bosco intende trasmettere non solo gli accadimenti fondamentali che hanno segnato la
nascita dell’Oratorio, ma anche il segreto profondo che ha dato origine a quell’esperienza, ciò che
l’ha resa possibile e l’ha caratterizzata in modo essenziale. Non è pertanto una mera cronaca degli
avvenimenti, ma lascia trasparire chiaramente l’intenzione di coinvolgere il lettore nell’avventura
narrata, fino a renderlo partecipe di essa come una storia che lo riguarda e che egli, trascinato nel
racconto, è chiamato a proseguire5.
«Tale tratto è stato efficacemente posto in risalto da Pietro Braido, che ha coniato la felice espressione
memorie di futuro, per evidenziare il carattere di testamento, prima ancora che di documento, che
connota la narrazione di don Bosco»6.
Allo stesso tempo, intuiamo che approfondire questo sogno, che si colloca dentro l’architettura delle
Memorie come il pilastro da cui prendono avvio le arcate della narrazione, comporta anche
condividere la stessa prospettiva di Don Bosco, il quale lo rilegge «a posteriori dalla sua posizione
di prete e fondatore [e] non può che intenderlo come una manifestazione anticipatrice e profetica»7.
Qui non mi riferirò né ai personaggi né alla struttura del sogno, né alla tensione narrativa né ai vari
movimenti che si succedono nello sviluppo del sogno nel modo in cui ci è stato consegnato da Don
Bosco. Questo potrà essere approfondito in ulteriori e seri studi da parte dei nostri autori di salesianità,
alcuni dei quali sono già stati citati.
Mi limito ad elencare alcune caratteristiche che sicuramente potranno essere sviluppate (anche se in
modo agile, non come studio scientifico ma come invito a tradurlo nella vita e nel carisma della
Congregazione e della Famiglia Salesiana di oggi).
Mi riferisco ai seguenti aspetti8:
- La missione oratoriana che è già evidente nel sogno del bambino di nove anni: la scena è piena di
ragazzi. Ragazzi che «sono straordinariamente “veri”».
- Una chiamata che sembra impossibile, irraggiungibile. Giovannino Bosco si sveglia stanco, ha
persino pianto, perché quando si tratta della chiamata di Dio (il Signore Gesù nel sogno), la
direzione che essa può prendere è imprevedibile e sconcertante.
- La mediazione materna della Signora nel sogno (legata al mistero del nome). Per Giovanni Bosco,
sua madre e la Madre di Colui che saluta tre volte al giorno, saranno un luogo di umanità in cui
riposare, in cui trovare sicurezza e riparo nei momenti più difficili.
- Infine, la forza della mansuetudine e della docilità – diremmo oggi – allo Spirito di Dio. La forza
che ha nel sogno il messaggio di diventare forte, umile e robusto.
5 Cfr. A. BOZZOLO (A CURA DI), o.c., 215.
6 P. BRAIDO, Scrivere “memorie” del futuro, RSS 11 (1992) 97-127, in A. BOZZOLO (A CURA DI), o.c., 215.
7 A. BOZZOLO (A CURA DI), o.c., 216.
8 Cfr. A. BOZZOLO (A CURA DI), o.c., 251-268.
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3. ALTRI ELEMENTI CHE SARANNO PRESENTI NELLO SVILUPPO
DELLA STRENNA
Desidero includere qui altri elementi e contributi che ho raccolto sia dalla riflessione della Consulta
mondiale della Famiglia Salesiana 2023 sia dal nostro gruppo di lavoro. Senza dubbio si tratta di
aspetti che, in un modo o nell’altro, saranno presenti nella redazione finale:
- Anzitutto dobbiamo essere attenti a non presentare don Bosco come un ideale irraggiungibile.
Don Bosco è reale e concreto con le sue difficoltà affrontate passo dopo passo, con fiducia e
speranza nel Risorto e nell’Ausiliatrice.
- Sicuramente dovremo vedere il sogno dei nove anni come profezia che va illuminata e
attualizzata; è senza dubbio un esempio di come la Parola di Dio vada accettata con umiltà e
fiducia, senza fretta di voler raggiungere subito chissà quali risultati.
- È più che evidente che seguire la riflessione sul sogno dei nove anni di don Bosco chiede di
sottolineare la fiducia di don Bosco nella Provvidenza: «A suo tempo tutto comprenderai».
- Come già una volta ha dichiarato il Rettor Maggiore don Pascual Chávez nella Strenna del 20129,
senza dubbio dovremo “affrontare i lupi” che vogliono divorare il gregge: l’indifferentismo, il
relativismo etico, il consumismo che distrugge il valore di cose ed esperienze, le false ideologie…
- Il sogno ci trasporta ai giorni nostri. Il «no con le percosse» del sogno ci interpella e rende più
che mai necessario andare incontro ai giovani e alle giovani e stare loro vicini, perché l’odio e la
violenza continuano ad aumentare. Il nostro mondo, infatti, sta diventando sempre più violento e
noi educatori ed evangelizzatori dei giovani dobbiamo essere un’alternativa a ciò che tanto
angosciava Giovannino nel sogno e che tanto colpisce e fa soffrire noi oggi.
- La Signora è presentata come Maestra e Madre. È la madre di entrambi, del maestoso Signore del
sogno e di Giovannino stesso; una madre – permettetemi la parafrasi – che lo prende per mano e
gli dice:
Guarda”: quanto è importante per noi saper guardare, e quanto è grave quando non riusciamo
a “vedere” i giovani nella loro situazione reale, per quello che sono (sia nella forma più
autentica e bella sia in quella più tragica e dolorosa).
Impara”: diventate umili, forti e robusti, perché avrete bisogno di semplicità (di fronte a tanta
arroganza), e di forza (di fronte a tante cose che si devono affrontare nella vita). Si tratta della
robustezza che è resilienza (ovvero la capacità di non lasciarsi scoraggiare, di non lasciarsi
cadere le braccia come segno che non si può fare nulla).
E sii paziente”: date tempo a tutto e lasciamo che Dio sia Dio.
4. UN SOGNO CHE FA SOGNARE
La prospettiva di fondo è quella di non fermarsi al sogno solo come progetto vocazionale consegnato
a don Bosco in vista di ciò che sarebbe stato il suo futuro, ma è capacità guardare indietro,
considerando anche le lacrime da lui versate durante la celebrazione della Messa al Sacro Cuore di
Roma. Esse, infatti, sono come una rilettura della propria vita, cogliendo i modi in cui il Signore ne
è stato e ne è il protagonista; la Sua capacità di tenere tutto nelle proprie mani e come questo sogno
c’entra oggi con i sogni dei salesiani, suoi figli, di tutta la Famiglia Salesiana e soprattutto dei giovani.
In questo senso il sogno continua a farci sognare e a invitarci a pensare chi siamo e per chi siamo
oggi:
9 P. CHÁVEZ, «Conoscendo e imitando Don Bosco facciamo dei giovani la missione della nostra vita». Primo anno di
preparazione al Bicentenario della sua nascita. Strenna 2012, in ACG 412 (2012), 3-39.
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Ogni scelta di Don Bosco si inserisce in un progetto più grande: il progetto di Dio su di lui (i
sogni). Quindi, nessuna scelta per Don Bosco fu banale.
Molti di noi ignorano che per ciascuno Dio ha un sogno, un progetto ideato, desiderato su misura
per noi da Dio stesso. Il segreto della tanto desiderata felicità sta proprio nell’incontro e nella
corrispondenza fra due sogni: il nostro e quello di Dio.
o Capire quale sia il sogno di Dio per noi equivale per prima cosa a rendersi conto che il Signore
ci ha dato la vita perché ci ama a prescindere, così come siamo, limiti compresi.
Dobbiamo credere, quindi, che Dio vuol fare cose grandi con ognuno di noi!
Sono prezioso perché, senza di me, c’è un qualcosa che non si potrà realizzare; persone che
solo io potrò amare, parole che soltanto io potrò dire, momenti che solo io potrò provare!
Dio parla in tanti modi, opera grandi cose con “strumenti semplici”, anche nel profondo del
nostro cuore, attraverso i sentimenti che si muovono dentro di noi, attraverso la Parola di Dio
accolta con fede, approfondita con pazienza, interiorizzata con amore, seguita con fiducia.
o Ecco perché diventa importante allora imparare ad ascoltarsi, a decifrare i movimenti interiori,
a dare voce a ciò che si agita dentro di noi, a riconoscere quali segnali o “sogni” ci rivelano
la voce di Dio e quali invece sono frutto di scelte sbagliate.
Nella vita, scegliere, sognare, decidere, sono tutte cose che implicano assumersi la responsabilità
delle conseguenze che questa scelta comporta. Tutto questo può produrre ansia, disagio e anche
paura.
o Tra le espressioni che ricorrono maggiormente all’interno dei testi biblici c’è sicuramente
«non temere». Prevalentemente pronunciata da Dio o da un suo messaggero, introduce, nella
maggioranza dei casi, un appello vocazionale, l’invito cioè alla realizzazione di un progetto
di vita che coinvolga totalmente la persona che lo riceve. Ciò che è interessante è che spesso
precede o risponde al sentimento di paura che invade il destinatario del messaggio. Questo
nasce dalla percezione di inadeguatezza nei confronti della missione proposta.
o In questo senso risuona ancora fortissima quella felicissima parola del Papa San Giovanni
Paolo II ripetuta spesso ai giovani: «Non abbiate paura»!
L’espressione «renditi umile, forte e robusto», alla quale già ci siamo riferiti, serve anche a noi
per superare la tentazione di abbandonare facilmente gli impegni o di attendere passivamente che
tutto avvenga senza la necessaria e personale responsabilità. Questo pericolo va allontanato con
la fortezza e disarmato con l’umiltà di chi è consapevole dei propri limiti, ma sa anche di poter
contare su tante potenzialità e sulla costante presenza di Dio.
Spesso i giovani restano influenzati dai sogni degli altri: dei genitori, degli amici oppure dai
condizionamenti della società. Con la consapevolezza che per ciascuno Dio ha un sogno, un
progetto pensato, desiderato su misura per noi da Dio stesso, occorre esplorare con gli stessi
giovani i loro sogni: la vita ha uno scopo per essere vissuta e dobbiamo credere alla bellezza di
ciò che siamo; dobbiamo aprirci a desideri grandi come è grande il sogno di Dio su ciascuno dei
giovani e lottare per realizzarli.
o I giovani sono chiamati a diventare ciò che veramente sono: la loro identità è la pienezza di
vita di Colui che li chiama alla santità già ora!
E ABBIAMO BISOGNO DEGLI ALTRI PER COSTRUIRE NOI STESSI E IL
NOSTRO SOGNO. Non possiamo fare questo discernimento e questo cammino da soli. È
necessario fidarsi e affidarsi. Don Bosco fin da ragazzo impara a consegnarsi con fiducia alla guida
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di una Maestra. Ciò naturalmente presuppone che ci siano guide sagge ed evangelicamente ispirate
alle quali poterci affidarci. Anche in questo ci è affidato un bellissimo compito.
Torino-Valdocco, 25 luglio 2023
Don Ángel Fernández Artime, S.D.B.
Rettor Maggiore
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