Strenna_1996_it


Strenna_1996_it

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Stzenna 1996
eommento di don '}u.an 2.,. Vecchi
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Stampato in proprio - Roma, FMA 1996
::::3

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IL "DA MIHI ANIMAS"
E IL DONO Dl SE CHE VIVIFICA TUTTA L'ESISTENZA:
QUELLA DELL'ATTIVITA E QUELLA DELLA PAZIENZA
1. UNA STRENNA SINGOLARE
Prima di entrare nel merito, credo sia opportuno sottolineare il
carattere singolare di questa strenna.
* La strenna e un'espressione di don Egidio Vigano. In tal sen-
so e ancora lui a darcela. Ma non fu pensata da lui ne come stren-
na ne come testamento.
Il Consiglio Generale SDB ha creduto di vedere in questa affer-
mazione il punto piu alto, piu espressivo del suo ultimo scritto,
pubblicato poi nel n. 353 <legli Atti del Consiglio Generale. In tale
scritto ha ravvisato uno sforzo, non totalmente compiuto per man-
canza di tempo ed energie, di consegnarci come una sintesi della
sua esperienza spirituale.
La strenna contiene dunque un messaggio e, allo stesso tempo, e
per noi un ricordo. La metterei, nel decorrere di quest'anno, accan-
to alla lettera mortuaria (profilo biografico), alla presentazione
della spiritualita del consacrato salesiano (insegnamento spiritua-
le), alla prossima pubblicazione delle lettere (orientamento cari-
smatico). Cosi don Egidio Vigano ci accompagna sino alla fine del
suo mandato, come era suo e anche nostro desiderio.
* Particolare e questa strenna perche e l'ultima di un periodo
detenninato non solo dalla scomparsa di don Vigano ma anche
dalla imminenza dei nostri due Capitoli Generali, quello dei SDB
(febbraio) e quello delle FMA (settembre). La strenna del '97, e
quelle <legli anni che seguiranno, si ispirera certamente ad essi,
speriamo congiuntamente.
Come ultima, riprende, cosi ci esembrato, motivi ricorrenti in non
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poche delle strenne precedenti: riappaiono· i temi che riguardano
la missione ai giovani, la carita pastorale, il Sistema preventivo,
l'interiorita e altri simili.
Non solo i motivi, ma anche alcune parole ritomano. Sentite que-
ste della strenna del 1993: «Saldamente radicati e fondati nell'amo-
re: dano di se nell'impegno».
* Ma singolare lo e ancora per il tono. Si tratta infatti di una ri-
flessione sulla totalita della vita salesiana, ed e una meditazione
spirituale piuttosto che uno stimolo operativo. In altre strenne pre-
cedenti, dopo qualche considerazione dottrinale, ci si stimolava
all'azione: «Educhiamo i giovani ai valori - Testimoniamo la dimen-
sione sociale della carita - Facciamo della dottrina sociale della
Chiesa lo strumento dell'educazione alla fede, ecc.».
Questa invece porta lo sguardo sulla sorgente della nostra vita di
consacrazione apostolica. E 11 rimane come in contemplazione,
senza preoccuparsi di esplicitare applicazioni pratiche. E piu
importante coglieme il senso, approfondirlo, gustarlo.
2. IL CONTESTO
Per questa 'singolarita' il contenuto della strenna lo si ricava non
solo da quanto esprimono le parole, ma soprattutto dal contesto
in cui furono scritte. Si sa che il contesto puo cambiare persino
il significato fondamentale delle parole: perche queste, prima che
contenitori di idee, sono espressioni di noi stessi e della nostra
vita. Penso che, se nel futuro ricorderemo questa strenna, sara piu
C'e un contesto vitale, o di 'esistenza' della strenna: el'espe-
rienza di una persona, il carissimo don Egidio, alla quale si
riconosceva una grande vitalita e intraprendenza, certamente
appoggiata su una forte interiorita, ma che comunque si
esprimeva nell'iniziativa, nella proposta, nell'organizzazione,
che ora eridotta alla immobilita.
E' l'esperienza di una persona - del cui orientamento dottrina-
le avevamo approfittato e goduto tutti- che ora, pri vata, se
non della lucidita, certo del vigore intellettuale, non e nelle
condizioni per continuare a influire, nemmeno attraverso pa-
gine ben imbastite o discorsi eloquenti.
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E questa persona riflette su quale puo essere in un tale momen-
to della vita il suo contributo alla missione giovanile e in che cosa
dunque questa missione, che e il luogo della nostra santificazio-
ne, consiste veramente.
* Il contesto vitale si riflette su quello letterario, cioe nello scrit-
to da cui e stata stralciata la strenna.
L'attenzione portata sulla carita pastorale: che cosa e, che cosa
comporta, come si esprime, dove e quando cresce e in forza di
che cosa.
La carita pastorale e contemplata in don Bosco nel momento del-
la sofferenza e dell'impossibilita di agire. Si tratta di un punto di
osservazione che ci e poco abituale. Noi siamo soliti, per noi stes-
si e per i giovani, vedere e presentare don Bosco nella vivacita
dell'oratorio, delle iniziative educative e sociali, delle imprese di
comunicazione: caso mai incorporando e quasi neutralizzando le
sofferenze, almeno di fronte a coloro che gli erano vicini, nella
sua prorompente vitalita.
Ebbene, in siffatti momenti appaiono in lui due tratti: la persi-
stenza nella responsabilita, nel desiderio, nella tensione, nella
volonta di comunicare e trasmettere il senso della missione e di
fare del bene ai giovani; !'amore a Dio e ai giovani, purificato, spo-
gliato di ogni possibilita umana di protagonismo, ridotto alla pre-
senza debole, alla parola disinteressata, all'accoglienza grata dei
gesti altrui.
3. I TEMI
Collocata cosl, nella nostra storia di famiglia e nel contesto lette-
rario, possiamo sviscerare i motivi della strenna e il collegamen-
to che c'e tra di essi.
3.1. n "da mihi animas"
La strenna invita, in primo luogo, a rimeditare il significato o peso
che questa espressione biblica, intesa a modo loro, ebbe sulla esi-
stenza e attivita di don Bosco e madre Mazzarello.
Dico 'intesa a modo loro', perche e risaputo che il senso biblico
letterale e un altro. Ogni tanto qualcuno, e non di poca levatura,
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lo ricorda (dr Carlo M. MARTINI, Abrama nostro Padre nella fede,
Borla, 1983, pag. 89). Comunque il detto biblico offre spunti non
indifferenti anche per !'impresa di don Bosco. Ma e chiaro, a par-
te l'interpretazione popolare del tempo, che don Bosco piu che
solo estrarne qualche ispirazione vi immette tutta la sua espe-
rienza apostolica e carismatica. La massima gli-serve dunque come
stimolo e richiamo.
Significato e portata vengono illuminati da una pagina delle
Memorie Biografi.che. Il 12 settembre 1884 don Sala presento al
Capitolo Superiore !'abbozzo delio stemma salesiano. Neila parte
inferiore usciva una fascia svolazzante e recante il motto: Sinite
parvulos venire ad me (Lasciate che i piccoli vengano a me). Que-
sto motto provoco discussione. Qualcuno consigliava di cambiar-
lo con 'Temperanza e lavoro'; altri con 'Maria Auxilium Christia-
norum, ora pro nobis'. «Don Bosco risolse la questione dicendo:
"Un motto fu adottato fino <lai primordi dell'Oratorio ai tempi del
convitto, quando io andavo alle prigioni: da mihi animas cetera
talle". Il Capitolo acclamo don Bosco e accetto lo storico motto»
(MB XVII 365-366).
Non e l'espressione letterale quella che ricorre piu sovente sulle
labbra di don Bosco. L'Indice analitico delle Memorie Biografi.che
fa riferimento solo a due aneddoti <love il motto appare comple-
to: quello ora riportato e la scena in cui Domenico Savio lo com-
menta dopo averlo letto nella camera di don Bosco.
Invece sono frequentissime altre espressioni che egli credeva equi-
valenti: cercare le anime, salvare le anime, lavorare per le anime,
spendersi per le anime; non badare a incomodi quando si tratta
di un'anima.
Con queste si puo fare un florilegio di citazioni.
A don Vigano premeva ribadire che la spiritualita dei Salesiani
aveva la sua cifra, la sua parola d'ordine riassuntiva nel da mihi
animas. Eche ci avesse pensato, anche con frequenti momenti di
confronto, lo dimostrano valutazioni come questa: «La mia con-
vinzione e che non c'e nessuna espressione sintetica che qualifi-
chi megilo lo spirito salesiano di questa, scelta dalio stesso don
Bosco: da mihi animas».
Riprendeva cosl una ininterrotta tradizione dei Rettori Maggiori e,
per conto loro, delle Madri Generali, ciascuno dei quali si e presa
la briga di riaffermare la centralita di questo riferimento. Non vi
stanco con citazioni. Le si trovano in ordinata successione nel volu-
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me Don Bosco, profondamente uomo, profondamente santo (P.
BROCARDO, Roma, LAS 1985), proprio nel capitolo che porta come
titolo da mihi animas e nel punto /'idea unificatrice (cfr pag. 81-
87). Ricordiamo, a mo' di esempio, quella di don Rua presente
nelle attuali Costituzioni: «Realmente non ebbe a cuore altro che
le anime» (C SDB 21). E per uguaglianza e reciprocita quella di
mad.re Mazzarello: «Se non potessimo fare altro che guadagnare
al Signore un'anima, saremmo pagate abbastanza di tutti i nostri
sacrifici» (Cron II 240; L 9, 4, Torino, SEI 1995).
Alla stessa valutazione giunge la ricerca storica. Scrive don Piero
Stella: «Chi percorre la vita di don Bosco, seguendo i suoi sche-
mi mentali ed esplorando le tracce del suo pensiero, trova una
matrice: la salvezza nella Chiesa cattolica, unica depositaria dei
mezzi salvifici. Egli sente come la sfida della gioventu abbando-
nata, povera, vagabonda svegli in lui l'urgenza educativa...; ma con
una tensione che ha la sua origine nel desiderio della salvezza
etema del giovane» (Don Bosco nella storia della religiositii catto-
lica, PAS-Verlag-Zurich, Vol. II, pag. 13).
Il motivo e stato persino raccolto nella liturgia. Neila preghiera del-
la colletta chiediamo: «Suscita in noi la stessa carita apostolica che
ci spinga a cercare la salvezza dei fratelli ('animas', diceva il pri-
mitivo testo latino) e servire solo te, unico e sommo bene».
Ma il commento migliore al significato del da mihi animas non e
un florilegia di citazioni o aneddoti, ma la vita di don Bosco in
cui emergono:
- il senso della paternita di Dio e la fiducia nella grazia di Cristo
Redentore che ha un bel progetto di vita per ciascun giovane,
iscritto gia nella sua esistenza, anche se tante volte coperto da
esperienze negative;
- un ardente desiderio di far conoscere e gustare ai giovani que-
sta loro possibilita, affinche avessero una vita felice, illuminata
dalla fede in questo mondo e 'salva' per tutta l'eternita;
- il darsi da fare, l'impiegare tutte le proprie forze e mezzi in
questo proposito, anche quando si trattasse di un solo giovane, di
una sola 'anima'.
In poche parole, il da mihi animas comprende:
la missione educativa tra i giovani e il popolo,
• centrata su una proposta di vita di grazia o santita,
• svolta con quella modalita tipica della carita pastorale, espressa
nel Sistema preventivo.
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Per don Bosco non si tratta solo di attivita esterna, ma di desi-
derio, vibrazione interiore e irnpegno di tutta la persona: intelli-
genza, cuore, rapporti, competenze, prove, amidzie, tempo.
Il da mihi anima.s viene ad essere
• una scelta di vita che anima il sacerdozio e Ja vita consacrata:
«La migl.ior cosa che si possa fare nel mondo e trarre le anime
a Dio» (MB I 442);
• un progetto di carnrnino personale: «Quanto fai, parli e pensi, pro-
cura che sia tutto in vantaggio dell'anirna tua» (MB VI 42);
gioia profonda: «Entrando un giovane, il mio cuore esulta: io
vedo un'anima da salvare» (MB VIII 40). «E una vera festa per
don Bosco prendersi cura delle anime» (MB XIII 422);
disponibilita: «Se mi volete parlare dell'anima, venite e trove-
rete don Bosco sempre pronto ad ascoltarvi» (MB XVIII 177);
sofferenza: «Se Io vedo (il giovane) noncurante delle cose
dell'anima, allora egli e per me una dolorosa corona di spine»
(MB VIII 40).
Sirnilrnente, al desiderio e sforzo per rivelare ai giovani le ric-
chezze di Cristo si orientano la preghiera, le iniziative pratiche, la
fedelta quotidiana, la fraternita.
L'espressione massima suona cosi: «L'unico scopo dell'Oratorio (il
che vuol dire di tutte le opere salesiane) e salvare le anime» (MB
IX 295). «Scopo di questa Societa, se si considera nei suoi mem-
bri, non e altro che un invito a volersi unire in spirito tra loro,
per lavorare alla maggior gloria di Dio e per la salute delle ani-
me» (cfr P. BR0CARD0, ibidem, pag. 84).
n 3.2. dono di se che vivifi-ca tutta l'esistenza
Se vogliamo che questa missione abbia dei risultati e divenga per
noi camrnino di santita e fonte di gioia, dobbiamo intenderla e
svolgerla soprattutto come un dono di noi stessi.
In genere la missione giovanile suscita irnrnagini di cose da fare,
luoghi dove accorrere, bisogni a cui rispondere, risorse da mette-
re a disposizione. Il dono di se non si contrappone a tutto cio, ma
certamente si staglia su tutto e si presenta come la fonte e radi-
ce di tutto.
L'espressione 'dono di se' si trova nella Pa.stores dabo vobis, al ca-
po III, dove si descrive la configurazione dell'Apostolo a Cristo
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Capo e Pastore mediante un principio, una forza, una energia inte-
riore: la carita pastorale. E mi piace ricordarlo perche tale capi-
tolo e passaggio sono stati graditi a don Egidio e da lui sovente
ripresi.
«Il contenuto essenziale della carita pastorale - <lice il testo - e
il clono di se... Non e quello che facciamo, ma il clono di noi stes-
si, che mostra l'amore di Cristo per il suo gregge. La carita pasto-
rale determina il nostro modo di pensare e di agire, il nostro modo
di rapportarci alla gente. E risulta particolarmente esigente per
noi».
In tal senso e una grazia singolare dello Spirito Santo. Ce l'han-
no tutti i cristiani, ma la ricevono in forma particolarmente inten-
sa e radicata coloro che il Signore chiama a lavorare per la sal-
vezza in Cristo della gente: sacerdoti, religiosi, laici impegnati. Ed
e in loro quello che il talento artistico e nell'artista, quello che il
fiuto e il gusto per gli affari sono nel commerciante, quello che il
senso poetico e nel poeta: qualche cosa ricevuta e come sorgiva
da <love si plasma la personalita.
Ma oltre ad essere grazia, genio, senso quasi spontaneo e 'compi-
to della persona': cresce, si atrofizza, si perleziona e matura secon-
do le scelte che facciamo, l'approfondimento che curiamo e l'atten-
zione che mettiamo nel suo apprendimento.
Scelgo, tra molti, quattro commenti al riguardo come spunti di
riflessione.
Il clono di se si manifesta in una preferenza personale per cui il
Pastore arna lavorare con e tra i giovani che gli sono stati affidati.
Nc;m si tratta dunque dell'adempimento di un obbligo da sbrigare
al piu presto per dedicarsi poi ad altro che personalmente piace di
piu. Mi viene spontaneo alla mente il ricordo di un vescovo che
dedicava i suoi giorni di vacanze a fare ritiri per gruppi di giova-
notti. Erano le sue ferie e il suo riposo. Non un obbligo nemmeno
pastorale, ma un desiderio dell'anima.
Il clono di se guarda alla persona e offre la ·persona. Avviene tut-
to in un contesto personale. Da priorita all'accoglienza, al rapporto
personale, agli obiettivi che riguardano la crescita umana, spiri-
tuale, della coscienza. C'e a volte uno squilibrio tra le cose che
mettiamo a disposizione e la nostra disponibilita personale.
Abbiamo sempre in funzione una 'segreteria telefonica' perche il
cliente sia ben servito: noi ci troviamo poche volte all'altro capo
del filo.
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Il dono di se non ammette limiti o confini: «Ho altre pecore che
non sono di questo ovile... » (Gv 10, 16). Opera con chi si trova -
chi e quanti siano - se si tratta di sollevare o aiutare. E non ad
orario fisso, se scorge un'opportunita. Perche la grazia di Dio e
l'anima umana non seguono calendari e orari, come la beneficenza
o la struttura educativa.
Il dono di se costituisce il principio interiore e dinamico, capa-
ce di unificare le molteplici e diverse attivita. Grazie ad esso puo
trovare risposta la permanente esigenza dell'unita tra la vita inte-
riore e le tante azioni e responsabilita in un contesto sociocultu-
rale ed ecclesiale fortemente segnato dalia complessita, dalia fram-
mentarieta e dalia dispersivita (cfr PDV n. 23).
Da tutto cio si evince che "dono di se che vivifica tutta l'esisten-
za" significa:
- Totalita, contro prestazioni limitate, per cui stabiliamo una
distinzione tra quello che ci e stato affidato e quello da noi scel-
to, tra il dovere di fare qualcosa coi giovani e la preferenza sog-
gettiva, tra il progetto comunitario e quello privato.
- Interiorita, per cui l'azione non si limita alie attivita esteme,
ma coinvolge anche quello che agisce dentro di noi: l'intelligenza,
i sentimenti e soprattutto l'esperienza di Dio e il senso della nostra
esistenza.
- Unita: non dividiamo la vita ne il tempo tra missione e riposo,
tra carita pastorale e preghiera, tra studio e lavoro apostolico, tra
competenza educativa e desiderio di annunciare Cristo: «Io per
voi studio, per voi lavoro». I gesti sono molti; l'amore uno.
3.3. L 'attivita e la paziem.a
L'attivita e la pazienza, agire e patire sono come i due poli estre-
mi della nostra vitalita: da una parte l'intraprendenza, la vivacita,
la creativita educativa e pastorale; dali'altra un'apparente passivita
estema, l'impossibilita di operare.
Santa Teresa li univa come i due segni dell'amore a Dio e del-
l'accettazione gioiosa della sua volonta: agire e patire sono due
forme dell'amore. Tra questi due estremi vengono compresi tutti
gli altri espressi in altre chiavi: quotidiano e straordinario, suc-
cessi e fallimenti, momenti di gioia e frustrazioni.
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Neila strenna si percepisce come scontato che non c'e bisogno di
sottolineare i pregi dell'attivita per i Salesiani. E il nostro punto
forte, il tema delle nostre conferenze e dei nostri racconti nelle
Buone Notti: quello che noi o altri hanno fatto o stanno facendo,
meglio se immaginoso, audace o nuovo. Anche dall'estemo ci si
valuta per quello che facciamo. Il Salesiano fa, crea, prende ini-
ziative. Si parła piu delle sue opere che delle sue idee o opinioni.
Cio e congeniale a chi professa una spiritualita di vita attiva e fa
consistere !'amore nell'operare. Caso mai ci si chiede di non con-
fondere attivita con attivismo o agitazione; di non cedere all'an-
sieta... e di ricuperare la dimensione di interiorita dell'attivita.
Una interiorita umana, per cui si bada ai beni e ai messaggi che
il nostro agire prende in considerazione o diffonde; si e consape-
voli e si valutano le finalita a cui teµdiamo e su di esse, senza di-
spersione, si farmo convergere gli interventi; e questi vengono va-
gliati e se ne fa una scelta conforme alla loro incidenza reale 'sul-
le anime' (o persone!) e al loro significato simbolico per non dis-
sipare tempo e energie.
E una interiorita spirituale: convincimento che l'agente princi-
pale e un Altro, che noi siamo soltanto strumenti; coscienza del-
la necessita indispensabile della grazia per ogni trasformazione;
affidamento al Signore che opera nei cuori.
La vera novita della strenna, invece, legata al contesto in cui fu
scritta e l'inclusione della pazienza come espressione totale, non
secondaria, del dano di se.
Lo si scorge nel testo perche la pazienza chiude e quasi corona la
formulazione. Ma viene corroborata, nello scritto di don Vigano,
da un aneddoto di don Bosco che egli adopera per chiarire il pro-
prio pensiero: «Mentre tomava dal lungo viaggiQ di Barcellona, in
una sosta al seminaria di Grenoble, il superiore del seminaria, nel
discorso di accoglienza, gli disse tra l'altro: Nessuno meglio di lei
sa quanta la sofferenza sia santificante. E don Bosco commento
con acutezza: "No, Monsignor Rettore, non e la sofferenza che
santifica, ma la pazienza!..." [...]. Nell'impotenza fisica del nostro
Padre emerge potente e chiaro l'atteggiamento permanente e tota-
lizzante del da mihi animas: "Io per voi studio, per voi lavoro, per
voi vivo, per voi sano disposto a dare la vita"» (E. VIGANÓ, ACC
353, 1995, pag. 7).
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La pazienza la pratichiamo in due forme che comprendono infi-
nite modalita.
- Una e quella per cui perseveriamo nell'agire, anche sottostando
a difficolta, in vista di un fine. E caratterizzata dalia costanza ed
e parte integrante della fortezza. Quella di cui si <lice che la goc-
cia buca la pietra non semel sed semper cadendo (non cadendo una
volta sola ma continuamente). Diversa comunque dalia cocciu-
taggine, perche capace di ripensare finalita·e condizioni e quindi
di riformulare l'azione conforme ad un discernimento.
- L'altra forma della pazienza e quella per cui accogliamo una
situazione che ci impedisce di agire estemamente conforme a quel-
Io che vorremmo, seguendo anche propositi nobili di generosita e
di servizio al Signore.
L'azione diventa allora tutta interiore: di offerta e disponibilita, di
preghiera e unione col Padre che agisce, di poverta e affidamen-
to allo Spirito che anima.
Di Cristo infatti si <lice che fu paziente con gli apostoli e con la
gente povera, quando insegnava, guariva, ascoltava i loro deside-
ri e ne accettava con misericordia i livelli di cultura e religiosita.
Ma che dimostro la sua pazienza soprattutto nella passione e nel-
la croce. Allora per l'umanita offri la preghiera, la sofferenza, il
suo amore al Padre e agli uomini.
Questa forma di pazienza richiede fede, speranza e carita. E mani-
festazione dell'atteggiamento teologale. In essa la carita assume la
totalita della fede e della speranza: ci affidiamo a Dio al di sopra
delle ragioni che noi piu facilmente comprendiamo, crediamo nel-
la fecondita dei nostri momenti 'peggiori' umanamente parlando,
ci uniamo alla sofferenza·redentrice di Cristo.
Alcuni commenti su questa pazienża in chiave salesiana.
- Il primo. La pazienza e frutto delio Spirito. Ce lo dice sovente
san Paolo, uno specialista nell'esperienza dello Spirito Santo. «Il
frutto delio Spirito e amore, pace, pazienza, benevolenza, bonta,
mitezza, fedelta, dominio di se» (Gal 5, 22). A ragione ci meravi-
gliamo e rimaniamo edificati quando la vediamo nei fratelli e nel-
le sorelle che soffrono. Ci colpisce e ci rimanda a Dio lo scorge-
re serenita, gioia, offerta. E soprattutto i giovani stessi, quando
awertono questi atteggiamenti, si awicinano e si premurano per
rendere servizi e sollievi. Di quante situazioni simili siamo testi-
moni oggi e ne conserviamo il ricordo!
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- Un secondo commento. La pazienza ha a che vedere con la gioia.
Non e solo sopportazione eroica. «Paziente non e chi non fugge
il maie, ma chi per il małe non si lascia trasportare a una tristezza
disordinata» (S. Th. II-II, q. 136 a 4 ad 2).
La pazienza assume lo scopo di custodire l'animo sereno e fidu-
cioso, al di sopra delle fluttuazioni della sensibilita che si depri-
me con la tristezza. «Essere paziente significa non lasciarsi to-
gliere la serenita e la lucidita dell'anima dalle ferite che nascono
nella realizzazione del bene» (PIEPER, La fortezza, pag. 37).
- Un terzo commento. La gioia di don Bosco nel patire proviene
dal da mihi animas: dall'offrire la propria vita per i giovani e sape-
re che il Signore la incorpora nella sua opera redentrice per loro.
Ogni cristiano trova motivazioni valide per sostenere la propria
pazienza nella fede, nell'esempio di Cristo e nell'esperienza di Dio.
«Patire ed essere disprezzato per voi» - diceva san Giovanni del-
la Croce - . Alla identificazione con Cristo, che esprime nella ero-
ce il suo amore per il Padre, lo portava il suo carisma contem-
plativo.
Altri si rifanno alla volonta di Dio, che vuole per noi il maggior
bene. San Francesco di Sales scrive: «Ebbene, vi dico, Filotea, che
dovete sopportare con pazienza non soltanto d'essere malata, ma
d'esserlo della malattia che Dio vuole, nel luogo e fra le persone
che vuole e con tutti i disagi che vuole; e cosl per tutte le altre
tribolazioni... Se gli piace che i rimedi vincano il małe, lo ringra-
zierete con umilta; ma se gli piace che i mali siano piu forti dei
rimedi, benditelo con pazienza [...]. Desiderate guarire per ren-
dergli servizio; ma non rifiutate di soffrire per obbedirgli e finan-
che preparatevi a morire, se gli piace per lodarlo e goderlo»
(Introduzione alla Vita devota, parte III, c III).
San Francesco di Sales ricorda anche l'effetto della pazienza sul-
la maturazione del nostro essere e agire col simpatico paragone
delle api: «Ricordate che le api, nel periodo in cui farmo il miele,
mangiano un nutrimento amarissimo; alla stesso modo, noi non
possiamo compiere azioni di piu grande dolcezza e pazienza, piu
elevate, o confezionare il miele della eccellente virtu che nel tem-
po in cui mangiamo il pane dell'amarezza e viviamo in mezzo alle
angosce. E come il miele fatto con il fiore del timo, erba minu-
scola e amara, e il migliore di tutti, cosl la virtu che si pratica in
mezzo alla amarezza delle piu vili, basse e abiette tribolazioni e
la piu eccellente di tutte» (ibidem).
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2.6 Page 16

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Paragonando la riflessione di san Francesco di Sales, di san Gio-
vanni della Croce e di altri con quella di don Bosco e, piu vicino
a noi con quella di don Vigano, si vede proprio la peculiarita del
dono di se nel da mihi animas, o carita pastorale: don Bosco uni-
sce attivita e sofferenza, tempo di iniziative e di pazienza, in
un'unica offerta di se per le anime e attribuisce a tutti e due ugua-
le efficacia di salvezza all'interno di una vita che si sente da Dio
inviata ai giovani per rivelare la sua bonta. E Io stesso tratto che
abbiamo percepito in tanti confratelli e consorelle che anche
nell'anzianita e nella penuria rivolgevano ai giovani il pensiero,
l'attenzione e i gesti che gli erano possibili.
4. ALCUNE APPLICAZIONI PRATICHE DELLA STRENNA
Me ne vengono in mente quattro.
* Una prima riguarda noi stessi. Costruiamo pazientemente !'unita
del dono di noi, raccogliendo e facendo convergere tutte le poten-
zialita della vita - cuore, sentimenti, capacita, tempo, rapporti -
intorno al progetto di salvezza dei giovani in cui siamo impegna-
ti.
Le diverse tensioni che agivano nel temperamento di don Bosco
- leggiamo nelle Costituzioni - «si sono fuse in un progetto di
vita fortemente unitario: il servizio dei giovani. "Non diede passo,
non pronuncio parola, non mise mano ad impresa che non aves-
se di mira la salvezza della gioventu"» (C SDB 21). Tale unita non
e il risultato di sentimento o di solo sforzo mentale, e nemmeno
di un momento felice. Richiede cura delle scelte, sforzo di coe-
renza, discernimento. Per questo di don Bosco diciamo: «La rea-
lizzo con fermezza e costanza, fra ostacoli e fatiche, con la sensi-
bilita diun cuore generoso» (ibidem).
Per realizzarla bisogna imparare la pazienza con se stessi: la cre-
scita spirituale si snoda lentamente durante l'intera vita terrestre:
bisogna saper pazientare come di fronte a un seme gettato in ter-
ra, perseverare nella propria formazione attraverso le esperienze
di vita, positive e negative: «Siate dunque pazienti, fratelli... guar-
date l'agricoltore: egli aspetta pazientemente il prezioso frutto del-
la terra finche abbia ricevuto le piogge d'autunno e le piogge di
primavera. Siate pazienti anche voi» (Ge 5, 7).
Un bel pensiero di Romano Guardini al riguardo <lice: la «pazienza
::::l
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autenticamente viva e tutto l'uomo esistente nella tensione fra cio
che dovrebbe avere e cio che ha; fra cio che vorrebbe fare e cio
che ·nesce a fare volta per volta; fra cio che desidera essere e cio
che realmente e. Il reggere in questa tensione, il raccogliersi con-
tinuo verso le possibilita dell'ora: questa e la pazienza» (Virtu, pag.
54). E conviene ribadire che non e rassegnazione. Ma gioia dello
stato presente, sicurezza che esso, cosl com'e, e fecondo.
* Il secondo campo di applicazione e la prassi educativa. E que-
sta una manifestazione particolare della pazienza dei Salesiani. Lo
sviluppo del giovane ha bisogno di tempo. L'educatore deve saper
attendere che giovani, o meno giovani, sviluppino le motivazioni
e potenzialita interiori, facciano affiorare le energie latenti, inte-
riorizzino i messaggi che noi diamo e ne scoprano a mano a mano
i sensi piu profondi.
La pazienza educativa e legata alla fiducia e alla speranza. Siamo
convinti che la grazia, il fascino della vita, il buon senso faranno
un po' alla volta affiorare il meglio in ciascuno. Percio serninia-
mo e attendiamo.
* C'e poi un approfondimento da proporre non solo ai confratelli
e consorelle, ma anche ai giovani: educarsi alla pazienza.
Farlo e saperlo fare e particolarmente importante oggi, perche c'e
una impazienza tipica del nostro tempo: subito e tutto. Una cer-
ta incapacita di attendere, di mettere un tempo fra l'insorgere del
desiderio e il suo appagamento.
Cio comporta come rischio:
- il cedere ai bisogni immediati, anche di basso profilo, piuttosto
che puntare su quelli piu nobili, che pero andrebbero approfon-
diti e 'soddisfatti' con sforzo;
- il non sopportare le difficolta e non assumere l'ascesi necessa-
ria per raggiungere le mete;
- il non apprezzare i beni perche sono stati ottenuti troppó facil-
mente, senza pagare di persona;
- il non maturare per la vita che, prima o poi, o forse sempre, ci
mostra i suoi aspetti duri, cioe la fragilita.
Educare alla pazienza comporta far maturare l'intelligenza, la
'ragione' si direbbe nel Sistema preventivo. Bisogna comprendere
la gerarchia delle cose e degli awenimenti, farsi un'idea dei pas-
si che richiede il cammino verso gli obiettivi, avvicinare dati, espe-
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2.8 Page 18

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rienze altrui, rendersi conto delle energie da sviluppare. L'impa-
ziente non verifica quello che concepisce nella sua immaginazio-
ne e non si preoccupa di accettare le condizioni per tradurlo nel-
la realta.
Comporta anche favorire atteggiamenti a livello spirituale e mora-
le, che nel Sistema preventivo sono detti 'religione': abituare a
sostenere le frustrazioni inevitabili, ad affidarsi a Dio, che non ci
manchera ne per quanto riguarda la grazia ne per quanto riguar-
da l'indispensabile per la vita.
·
Richiede anche formazione del senso sociale: saper convivere con
gli altri come essi riescono ad essere, accettare quello che ci pos-
sono dare, accoglierli malgrado gli urti di carattere, frenando l'ira-
scibilita, riconciliarsi quotidianamente.
* La quarta applicazione della strenna riguarda la comunita: si
tratta di valorizzare ugualmente in essa e compenetrare i momen-
ti di attivita e quelli di sofferenza, integrare in un'unica missione
coloro che si muovono e coloro che devono stare inattivi, i gio-
vani e gli anziani, coloro che brillano per le qualita e coloro che
sostengono, con un lavoro di routine, la missione verso i giovani;
questa beneficia dell'azione visibile dei primi e di quella segreta,
ma non meno efficace, dei secondi, perche e clono di se, del sin-
goło e della comunita, inseriti nel clono di Cristo. «Sommergersi
nel mistero dell'amore di Cristo - scrisse don Vigano nel mes-
saggio del Venerdl Santo - sopraffatti dalle sofferenze della car-
ne: non si scopre un momento piu proprio per stare con i giova-
ni, per animare confratelli e consorelle, per intensificare la Fa-
miglia Salesiana» (ACG 353, pag. 4).
Roma, 31 dicembre 1995
D. Juan E. Vecchi
Vicario del Rettor Maggiore
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