Preludio: I primi anni nei Paesi Baschi (1905-1913) |
JOSÉ-LUIS CARREÑO ETXEANDÍA, SDB (1905-1986)
UN PROFILO BIOGRAFICO
Ivo Coelho, SDB
José-Luis Carreño Etxeandía (1905-1986) è stato definito "il salesiano più amato dell'India meridionale" nella prima parte del XX secolo.1
Carreño è vissuto in India, a Goa (quando era una colonia portoghese), nelle Filippine e in Spagna, e in tutti questi Paesi troviamo ancora salesiani che custodiscono il suo ricordo. Il documento più simile a una biografia che possediamo è: José Luis Carreño Etxeandía Obrero de Dios, la corposa lettera mortuaria scritta da José Antonio Rico.2 "Spero che qualcuno scriva presto una buona biografia di questo salesiano eccezionale", dice Rico in conclusione. A distanza di oltre 30 anni, questo desiderio non è ancora stato esaudito. Speriamo che lo sia presto.3
José-Luis Carreño Etxeandía nacque a Bilbao, in Spagna, il 23 ottobre 1905, da Rogelio Carreño e Teresa Etxeandía. La Spagna del 1905 era una monarchia costituzionale, il nazionalismo basco era appena emerso verso la fine del XIX secolo e il Partito Nazionalista Basco era stato fondato nel 1895.
José-Luis fu battezzato il 28 ottobre 1905 nella chiesa parrocchiale di San Antón Abad. Conserverà un profondo apprezzamento per il sacramento del battesimo: "Venire alla vita è il primo segno dell'amore di Dio. Egli vuole che noi esistiamo. E spera che noi lo amiamo in cambio. Ma il vero momento della vita è quello del nostro Battesimo"4.
Rogelio e Teresa ebbero anche tre figlie, Itziar, Mari-Teresa e Garbiñe.5 Itziar, che è quella che José-Luis cita più spesso nei suoi ultimi scritti autobiografici,6 sposò il famoso artista e scultore basco Jorge de Oteiza Embil (1908-2003) e, infine, su invito del fratello, si stabilì con il marito ad Alzuza.7
Quando l'aita (padre) Rogelio Carreño andò a Buenos Aires nella speranza di poter mantenere meglio i suoi figli,8 la famiglia lasciò Bilbao e si trasferì nella casa dei suoi antenati di Villaro "sotto la montagna Gorbea".9 Sotto il tetto del caserón de Chichirri c'erano ora tre famiglie, con 13 cugini e un totale di 17 membri.10 La nonna Pascuala Iruarrízaga, che José-Luis ricorda con molto affetto, “presiedeva” sulla famiglia. Pascuala era quella che il Libro dei Proverbi chiama ESCHET KHAIL, donna di valore - mulierem fortem quis inveniet? (Prov 31,10) - l'incarnazione stessa della matriarca basca, una donna semplice che regnava sulla sua numerosa famiglia con indiscussa autorità e pacata dignità, con una bontà serena e immensa11.
Il ragazzo era molto legato all'amatxu (madre), che gli insegnò a leggere ("sapevo già leggere a quattro anni", ricorda12) e lo iniziò alla fede e a un amore speciale per il Signore eucaristico. "Una mattina", ricorda in uno dei suoi libri, "mia madre mi portò a Messa. 'Guarda', mi disse, 'tra poco il sacerdote alzerà una piccola cosa bianca e rotonda. Quello è Gesù!’. Di sicuro, poco dopo, ci fu il suono di una campanella e nella semioscurità un piccolo oggetto rotondo cominciò a sollevarsi lentamente nelle mani del sacerdote. Devo aver emesso un grido acuto, perché sentii subito una mano morbida che mi copriva la bocca. Quell'oggetto rotondo rimase per sempre impresso nella mia anima. Era la ‘rivelazione personale’ del mistero della transustanziazione".13 "Quando l'abbraccio eucaristico avviene molto presto nella vita, l'anima ne rimane segnata per sempre", commenta Carreño.14
Ma la tragedia era dietro l'angolo. L'amata amatxu di José-Luis si ammalò e i medici decisero di mandarla a Urquiola, dove il clima era migliore. Non tornò mai più. "Un mese dopo, mia madre, che mi aveva preparato a ricevere Gesù, spiccò il volo verso il cielo"15. Era il 1913 e José-Luis aveva 8 anni. Verso la fine della sua vita, scrivendo le sue memorie su richiesta insistente degli amici, il ricordo di quella perdita era ancora fresco: "Per almeno dieci giorni sentii l'impatto di quella terribile orfanezza. Seduto sull'ampio pianerottolo in cima alla scala, piangevo e continuavo a ripetere: ‘Perché te ne sei andata, amatxu?’"16.
Con amatxu morta e aita nella lontana Argentina, José-Luis trovò conforto e consolazione in nonna Pascuala. Da lei ricevette non solo l'affetto di cui aveva bisogno, ma anche l'amore per la lingua basca, visto che sua madre non parlava l'euzkera.17 Un amore intriso di moderazione salesiana, come rivela questo ricordo del triste periodo successivo alla morte della madre:
Quando nonna Pascuala mi vedeva più depresso e triste del solito mi chiamava, mi faceva appoggiare la testa ai suoi piedi, mi toglieva le calze, mi riscaldava massaggiandomi i piedi freddi e umidi, mi cullava per farmi addormentare con la dolcezza delle sue antiche parole Euzkera:
"Ené, Josetxu! Biotxa! Lastán ederra!"
"Kuitádua! Sii otxa!"
finché la mia testa non sprofondava nell'oasi del sogno e dell'oblio.
Ho sempre pensato che la lingua basca fosse fatta per il balsamo della tenerezza. Mai per gridare "Errebolúzisa, Erreconbérsisa"...18
All'amore per la lingua si aggiungeva anche un intenso amore per la terra:
O valli di Biscaglia! Ho visto la valle del Gran Canyon del Colorado e le valli paradisiache delle pendici delle Himalaya e delle Ande, ma non ho mai trovato nulla di simile alla vostra bellezza.
Appena lasciata la Capitale del Ferro [Bilbao], apparve un'imponente armata di maestose nuvole bianche a forma di nave che solcavano il blu puro dei cieli infiniti.
Là [a Bilbao] mi avevano parlato di Dio.
Qui era Dio che ci parlava.
Ruscelli canterini che giocano con i sassolini e rotolano giù per i loro letti. Prati di un verde intenso, coperti di frutteti. Da un lato, montagne che si sgretolano in fronde d'acqua che cadono verso l'ampia valle. Dall'altro lato, un biancore accecante, come colossali avori. Il canto degli uccelli. Mucche che pascolano docilmente (din don) sul tappeto succulento dei prati. Il belare delle pecore. La gioia di migliaia e migliaia di piccoli ruscelli brulicanti di pesci. Piccoli ruscelli che scoppiano di granchi.
C'è qualcosa nel creato più bello di queste nostre valli?19
Da donna pratica qual era, nonna Pascuala decise di mettere il ragazzo orfano di madre in un collegio gestito da religiosi. Tentò dapprima con i gesuiti di Durango e, in seguito, si rivolse ai salesiani di Baracaldo, che all'epoca era la loro unica fondazione nei Paesi Baschi. Qui ebbe più fortuna. Anni dopo, alla domanda di un arcivescovo indiano che gli chiedeva come avesse fatto a non cadere nell'incantesimo dei gesuiti, venendo dal luogo di Ignazio di Loyola, Carreño rispose così:
‘In verità, Eccellenza, la ragione è molto semplice. Nel 1913, la mia santa madre morì. Mio padre si trovava allora in Argentina, cercando di trovare i mezzi per il sostentamento dei suoi figli. E quando mia madre partì per il cielo, mia nonna Pasquala, una donna valorosa, decise di mettermi in collegio ...
In quegli anni, Sant'Ignazio era il nome più importante dei Paesi Baschi, soprattutto nel campo dell'istruzione. Dove avrebbe bussato quella donna coraggiosa, se non alle porte di un collegio gesuita? Non so cosa sia successo all'interno. Ricordo solo che uscì scuotendo la sua venerabile testa. Non c'era bisogno che me lo dicesse: con i soldi che mandava aitatxu (papà), quel collegio era al di là delle nostre possibilità.
Ma qualche tempo dopo, lo ricordo come se fosse ieri, la vidi in amichevole conversazione con una figura paterna, rotonda e sorridente. Era don Ramón Zabalo. Vidi che stavano discutendo dell’ammissione del ragazzo. Vidi lei che tirava fuori dalla sua borsa un mucchio di monete argentee e lucenti e le metteva sul tavolo, e vidi come don Ramón la convinse a rimetterle nella borsa. Dei dettagli della conversazione non so nulla; solo che, qualche giorno dopo, mi ritrovai nel collegio di Alta Santander.
Eccellenza, da quel momento in poi, dal 1913, ho mangiato il pane di Don Bosco’.20
A questo punto intervenne un vescovo gesuita: "E sembrerebbe, da quello che ha detto, che non sia affatto dispiaciuto per questo". Carreño continua:
‘Il fatto è che c'è qualcosa in più da aggiungere alla mia storia, Eccellenza’, dissi. ‘Stando con Don Bosco, posso dedicarmi all'opera più cara al cuore di Dio: fare del bene ai suoi più poveri e abbandonati. Oggi, per esempio, devo trovare il riso per centinaia, anzi per migliaia, di bocche con un buon appetito. E questo è qualcosa di più piacevole che scrivere i verbali di qualche Congresso. Ci sono altri Ordini che ti fanno studiare libri per tutta la vita.... I libri valgono davvero tutto questo sforzo? Tutte le cose buone che dicono le conosceremo un giorno nell'Essenza di Dio. Don Bosco, invece, ci getta in mezzo al lavoro per i bisognosi, qualcosa che non sarà necessario in cielo. Ed è quello che è successo, Eccellenza, quando il mio buon amico, P. Varin, SJ, il santo amministratore della vostra Universidad de Loyola, non sapeva dove mettere gli orfani del suo giardiniere appena morto; li ha portati a me che, grazie a Dio, sapevo dove metterli’. [...]
Per un bambino, che aveva appena perso la madre in ottobre, era poco consolante essere rinchiuso in un collegio lontano. Passai giorni interi a piangere nell'angolo buio del pianerottolo sotto le scale di quel palazzo a Villaro, gridando a mia amatxu (mamma) che non c'era più: ‘Perché sei andata? Perché sei andata?’.
Solo molto più tardi ci si rende conto dei grandi e misericordiosi disegni di Dio. Non ero entrato in un altro collegio. Avevo varcato la soglia di una famiglia bella, grande, meravigliosamente allegra, che sarebbe stata mia per sempre.21
1 Prima esperienza salesiana: Santander (1913-1917) |
▲back to top |
2 Discernere la vocazione salesiana: Campello (1917-1921) |
▲back to top |
3 Gli inizi della formazione salesiana (1922-1932) |
▲back to top |
4 Missionario in India (1933-1951) |
▲back to top |
5 Primo interludio spagnolo (1951-1952) |
▲back to top |
6 Goa Dourada (1952-1960) |
▲back to top |
7 Secondo interludio spagnolo - e gli Stati Uniti (1960-1961) |
▲back to top |
8 Breve soggiorno nelle Filippine (1962-1965) |
▲back to top |
9 Coda: Gli ultimi anni in Spagna (1965-1986) |
▲back to top |
10 Fine |
▲back to top |