Lectio su 1 Cor 1,10-25
Di fronte a una comunità divisa:
la croce di Cristo, come unico messaggio
La comunità di Corinto era divisa, secondo le notizie che erano giunte a Paolo (1,11). Non pare che la situazione sia stata troppo grave, però si stava producendo un processo di settarismo in seno alla comunità. Da Paolo possiamo imparare a reagire “apostolicamente” – cosa fare e cosa dire – di fronte a un fenomeno purtroppo così frequente, com’è la discordia in una comunità cristiana.
Per capire il testo
10Ora, fratelli, vi esorto, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad aver tutti un medesimo parlare e a non aver divisioni tra di voi, ma a stare perfettamente uniti nel medesimo modo di pensare e di sentire. 11Infatti, fratelli miei, mi è stato riferito da quelli di casa Cloe che tra voi ci sono contese. 12Voglio dire che ciascuno di voi dichiara:’io sono di Paolo’; ‘io, di Apollo’; ‘io di Cefa’; ‘io di Cristo’”.
Da quanto dice Paolo (1,10-12) pare si debba dedurre che il problema a Corinto era stato causato da una ‘personalizzazione’ del messaggio: i cristiani a Corinto non pensavano allo stesso modo, non parlavano lo stesso linguaggio, non avevano una medesima intenzione, perché si erano raggruppati attorno ad uno dei loro evangelizzatori.
A mala pena possiamo ricostruire le circostanze concrete che possono avere originato un tale stato di cose in una comunità fondata da Paolo: cosa rappresentava ogni gruppo e quali erano le divergenze; come poté, per es. crearsi un partito di Pietro in una comunità che egli non avrebbe visitato, chi si trovava nel gruppo di Cristo; domande che non hanno risposta. Ad ogni modo è chiaro che la causa del conflitto che sta vivendo la comunità è il settarismo, che sopravviene quando si accoglie il vangelo secondo l’evangelizzatore preferito; i gruppi si distinguevano e si opponevano in base alla loro visione del cristianesimo secondo il loro predicatore preferito.
Come reagire “apostolicamente” davanti a simile situazione?
“13Cristo è forse diviso? Paolo è stato forse crocifisso per voi? O siete voi stati battezzati nel nome di Paolo?”
La reazione di Paolo, così inattesa, ha un suo fondamento: viene in chiaro una precisa concezione della vita comunitaria; la comunità è corpo di Cristo. Esiste solo un motivo che può dare ragione della spaccatura della vita comune : solo chi vuol dividere Cristo può osare attentare contro l’unità della comunità cristiana. Seminare disunione, con qualsiasi mezzo o intenzione, significa rompere l’unità del corpo di Cristo; attentare contro la vita comune implica, quindi, attentare contro la vita di Cristo Gesù.
“14Ringrazio Dio che non ho battezzato nessuno di voi, salvo Crispo e Gaio; 15perciò nessuno può dire che foste battezzati nel mio nome. 16Ho battezzato anche la famiglia di Stefana; del resto non so se ho battezzato qualcun altro. 17Infatti Cristo non mi ha mandato a battezzare ma a evangelizzare; non con sapienza di parola, perché la croce di Cristo non sia resa vana”.
Di fronte a una divisione che nasce dal fatto che ognuno si è scelto il proprio apostolo, Paolo argomenta in modo azzeccato: scredita solo i fedeli. Ricorda loro quel che ha fatto: egli ha solamente predicato, non ha battezzato; ha annunciato la salvezza, non la ha trasmesso sacramentalmente. E non ha preteso proclamare con ‘belle’ parole o bei discorsi, affinché così venisse in maggior evidenza che la forza del vangelo è nel suo cuore: la croce di Cristo. Si saranno resi veramente conto, coloro che lo hanno scelto, di qual è il messaggio che ha loro predicato?
“18Poiché la predicazione della croce è pazzia per quelli che periscono, ma per noi, che veniamo salvati, è la potenza di Dio; 19infatti sta scritto: io farò perire la sapienza dei saggi e annienterò l’intelligenza degli intelligenti. 20Dov’è il sapiente? Dov’è lo scriba? Dov’è il contestatore di questo secolo? Non ha forse Dio resa pazza la sapienza di questo mondo? 21Poiché il mondo non ha conosciuto Dio mediante la propria sapienza, è piaciuto a Dio, nella sua sapienza, di salvare i credenti con la pazzia della predicazione. 22I Giudei infatti chiedono miracoli e i Greci cercano sapienza, 23ma noi predichiamo Cristo crocifisso, che per i Giudei è scandalo e per i pagani pazzia; 24ma per quelli che sono chiamati, tanto Giudei come Greci, predichiamo Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio; 25poiché la pazzia di Dio è più saggia degli uomini e la debolezza di Dio è più forte degli uomini”.
Anzi, l’apostolo non si accontenta di predicare “la parola della croce”; vive in base a questa stessa “logica”. In fin dei conti, può riuscire persino facile proclamare la salvezza per tutti, sia pure nella croce di Cristo, se questa croce è sempre quella di un altro e non la propria; se non paga personalmente, l’apostolo non predica irrefutabilmente.
2. Per illuminare la vita
Avverto mancanza di unità nella mia comunità? Quali sono le cause delle divisioni che si creano a volte? Siamo noi pastori parte, o causa, di esse? Le favoriamo con i nostri personalismi o con quel desiderio, non sempre consapevole, di ‘agganciare’ la gente? Ci consideriamo migliori predicatori, più degni di essere creduti e seguiti, più bisognosi di essere stimati e amati che gli altri?
Possiamo continuare ad essere testimoni di un messaggio in cui a malapena ci crediamo noi, portavoci di una saggezza che non riusciamo ad accettare nel nostro cuore, intermediari di un potere la cui forza ci è sconosciuta? Il motivo più profondo della nostra frustrazione apostolica risiede nel fatto che il nostro lavoro non è programmato né messo in pratica con la logica di Dio,con la sapienza di Dio, con la potenza di Dio, con la croce di Cristo.
L’evangelizzazione non risulta efficace, i nostri apostolati non creano comunità nuove oppure dividono quelle già esistenti, se non riusciamo ad avere la croce come parola unica e migliore. Oggi più che mai gli apostoli sembra stiano appropriandosi di messaggi, riempiendosi di occupazioni che li lasciano senza tempo e senza voglia di proclamare la croce. Se ci manca la croce come parola, piaccia o no ai nostri ascoltatori, non siamo apostoli cristiani; è questo il messaggio che Dio ci ha affidato, quando ci ha inviati come suoi missionari; abbiamo qui il criterio di autenticazione delle nostre attività, la verifica della nostra vocazione personale: dobbiamo ricordare al mondo che la sua salvezza si trova nella croce di Cristo.
E chi può dubitare che il cristianesimo che oggi viviamo sta dimenticando la croce, che gli apostoli attuali preferiscono altri messaggi più sopportabili, che nelle nostre comunità si tace positivamente il valore salvifico della morte in croce di Cristo, che preferiamo sapienze più in consonanza con i gusti dei nostri contemporanei, che proclamiamo quei messaggi – forse sarebbe più corretto dire che li “vendiamo”- che i nostri destinatari sono disposti ad ascoltare, che riduciamo la sapienza divina a strategia umana, che annulliamo il potere di Dio tacendo la parola da cui sappiamo che Dio si è pronunciato a nostro favore: la croce di Cristo? Bisogna riconoscerlo: gli apostoli di Cristo non sono convinti della sapienza della croce né della sua onnipotenza; e per questo si riempiono di altre ragioni, si provvedono di altri mezzi; non parlando della croce o facendola più ‘bella’, presentandola più comprensibile o meno esigente, stiamo negando, in pratica, che Dio è stato saggio e potente salvandoci con essa.
Ritornare ad avere la croce come parola farebbe di noi degli apostoli senza complessi. Ne abbiamo molto bisogno. Cosa può perdere colui che osa predicare la pazzia della croce? Che cosa può temere chi osa proclamare l’impotenza della croce? Nessuno può aspettarsi da noi dei miracoli, se predichiamo la croce senza sotterfugi; è questo il miracolo che ha fatto Dio, quello di trasformare noi, uomini timorosi, in testimoni del Crocifisso. Nessuno si lascerà convincere da noi, se non abbiamo altro motivo, quando evangelizziamo, se non quello che Dio ci ha dato: la croce come parola. Solo così ci presenteremo davanti al mondo per quello che siamo, come Dio ci vuole, come inviati di Cristo, e questi crocifisso.
Dobbiamo al mondo d’oggi il messaggio della croce; solo così potrà riconoscere che Dio è stato tanto saggio e tanto pazzo, così meraviglioso ed onnipotente, da pronunciarsi a suo favore, definitivamente, nella debolezza e nella pazzia di una croce. Solo un Dio che parla da una croce merita rispetto e fedeltà: solo Lui è più saggio e più potente di quanto ci si può immaginare. E’ questo il Dio di cui siamo testimoni, se predichiamo la croce di Cristo.
Non sarà, forse, che in fondo condividiamo con i nostri ascoltatori le stesse resistenze che nascono nel cuore umano di fronte alla croce di Cristo? Continuiamo a cercare migliori ragioni per credere ed appoggi più sicuri per essere fedeli, seguiamo dei ‘leaders’ che tacciono la croce di Cristo, che collocano la nostra salvezza in altri luoghi, lontani da Cristo e questi crocifisso.
Ci prepariamo per essere efficaci, ci educhiamo per essere convincenti, rifuggiamo dall’apparire deboli e ci dà fastidio passare per scemi; con questi atteggiamenti stiamo sovvertendo il cuore stesso del vangelo. Cercando il successo apostolico, in moneta sonante, stiamo negando che siamo stati salvati mediante un fallimento evidente; dandoci da fare per avere maggiori conoscenze che ci aiutino nel nostro agire missionario, ci stiamo allontanando spesso dal saperci già salvati e dal saperci mandati a salvare.
La “logica della croce”non è facoltativa per l’apostolo di Cristo. Il Dio cristiano è un Dio che supera gli schemi e le attese dei suoi credenti, un Dio di cui non si può dare testimonianza in base al senso comune o prendendo posizioni di forza.
Quando la nostra testimonianza apostolica, quando la nostra vita comune, quando le nostre opere e istituzioni lasceranno trasparire questa “logica divina”, allora potremo sperimentare la salvezza che testimoniamo, nonostante che, apparentemente, passiamo per scemi o non abbiano nessun riguardo della nostra debolezza. Non si può essere testimoni della croce impunemente, senza pagarne lo scotto, senza sentirne il peso. Non è forse logico che chi è incaricato di predicare la croce porti la croce come peso personale?
Con ogni probabilità è la nostra resistenza a vivere secondo questa logica di Dio, la nostra repulsione per la croce di Cristo, il motivo per cui, più che evangelizzare, stiamo seminando di assenza di Dio il cuore del mondo in cui viviamo. Perché è questo il peccato più grave della nostra vita apostolica: imponiamo una forma di vita che noi non riusciamo a condurre, predichiamo una salvezza che prendiamo come una condanna. Il nostro sapere su Dio, così ragionevole, così evidente, non nasconde nessun mistero personale, non è degno di fede e incapace di suscitare fedeltà, stupore, meraviglia, entusiasmo.
Impegnati come siamo a presentare un Dio al di là di ogni sospetto, un Dio totalmente alla portata della nostra comprensione, un Dio che può tutto quel che per noi è possibile, stiamo riducendo il Dio vivo ad un’ombra dei nostri bisogni, pura oggettivazione dei nostri desideri. Per quanto sembri incredibile, solo la logica della croce rispetta la trascendenza del Dio cristiano: sulla croce si infrangono tutti i tentativi del credente di addomesticare il proprio Dio, di ridurlo a sua immagine e misura; sulla croce rimarrà sempre salvaguardata, irraggiungibile, intangibile, la libertà personale di Dio, il suo amore incomprensibile e gratuito.
Ricuperare questa logica come programma di vita ci farà ricuperare il Dio di Gesù come esperienza salvifica; l’opzione per la croce è già stata fatta da Dio; chi farà sua questa scelta divina farà suo il Dio che si è svelato nel Cristo crocifisso.
Per fare preghiera la vita
Chiedo a Dio che conservi nella mia comunità l’unità, che mi liberi dalla tentazione di attentare contro la vita comune, che mi faccia vedere in chi lavora con me un collaboratore del vangelo e non un ostacolo al mio sviluppo personale.
Chiedo a Dio che mi conquisti al vangelo che devo predicare, che mi faccia vivere il messaggio che devo annunziare. Che possa annunciare la croce come salvezza perché ho accettato il fatto che in essa è la mia salvezza.
Chiedo a Dio che mi convinca della potenza della croce e della sua sapienza. Che possa vedere e comprendere quanto succede nella mia vita e nella vita della comunità dal punto di vista della ‘logica della croce’.