La presenza salesiana nella Regione
dalla sopravvivenza allo sviluppo
Regione Italia e Medio Oriente – Visita d”Insieme
16 marzo 2006
1. La presenza salesiana nella Regione
1.1 La consistenza numerica
Al 31 dicembre 2005, la Regione Italia e Medio Oriente contava 2631 confratelli, diventando così – sotto il profilo numerico – (per una sola unità) la prima regione della Congregazione dopo l’Europa nord (2630 confratelli), e prima dell’Asia sud (2379 confratelli). Essi rappresentano il 16,55% dei confratelli dell’intera Congregazione.
Si conferma così, anche per il 2005, una linea di tendenza che vede progressivamente diminuire il numero dei confratelli della Regione, per un saldo negativo tra nuovi professi e confratelli defunti o che hanno lasciato la Congregazione al termine dei voti, o per dispensa, o dimissione. (cfr. tabella).
Il numero dei novizi appartenenti ad ispettorie della Regione, al 31 dicembre 2005, è di 18, di cui 15 italiani. Essi rappresentano il 3,22 % dei novizi dell’intera Congregazione.
1.2 La distribuzione geografica
La denominazione della Regione “Italia e Medio Oriente” è ormai solo convenzionale, poiché essa abbraccia in realtà 15 Paesi: Italia (227 comunità), Repubblicadi San Marino 1, Svizzera 2, Israele 4, Siria 4, Egitto 3, Libano 2, Turchia 1, Iran 1, Territori Palestinesi 1, Albania 2, Kosovo 1, Romania 2, Lituania 2, Moldavia 1. Rispetto alla precedente Visita d’Insieme il volto della Regione è mutato. Sono state avviate nuove attività (e successivamente erette canonicamente come comunità) in Romania Bacau 2000/2003, Moldavia 2005, Kosovo 2000/2004. Mentre sono state aggregate alla ILE nel 2005 le due comunità della Lituania.
La Regione è suddivisa in 9 Ispettorie italiane (2510 confratelli e 223 comunità) e 1 Ispettoria del Medio Oriente (n. 121 confratelli e 17 comunità).
1.3 La tipologia di presenze
Le tabelle allegate sono molto eloquenti. Attualmente in Italia i campi prioritari di missione sono quelli tradizionali per noi Salesiani: gli Oratori (125 annessi a Parrocchie salesiane e 63 in zone pastorali), le Scuole (128) ed i Centri di Formazione Professionale (54). Faccio notare solo come, contariamente a quanto si possa ritenere, rispetto a 6 anni fa le Opere scolastiche Scuola passa da 17.811 allievi a 20.475 del presente anno scolastico, ed i Centri di Formazione Professionale da 14.373 a 26.409 allievi. Consistente è anche la presenza nell’area degli Universitari, con 36 pensionati; ancora minoritaria è la presenza nell’area del disagio (25 Case Famiglia e Comunità “di recupero”).
1.4 La disomogeneità all’interno della Regione
La Regione si presenta assai poco omogenea sotto molti profili.
Economico. Dal punto di vista economico la situazione è molto diversa. Il PIL pro capite dell’Italia è di 27.770 $ (30° posto al mondo), quello della Romania è di 7700 $ annui (94° al mondo), quello della Moldavia è di 1900 $ (172° al mondo su 226, dopo l’Angola, il Ghana, il Bangladesh, e poco prima dello Zimbawe e della Mauritania). La popolazione sotto la soglia della povertà è del 2,5% in Italia, del 25% in Albania, del 28% in Romania, dell’80% in Moldavia (nel 1999 era del 75%).
Demografico. Mentre la popolazione italiana invecchia rapidamente, con un tasso di natalità tra i più bassi al mondo (1,4 figli per donna), altri Paesi esplodono di giovani generazioni, specie nell’area dle Mediterraneo (Siria, 3,5 figli per donna, Egitto 2,9). La popolazione compresa tra 0-14 anni è il 13,9% del totale in Italia, il 25,5% in Albania, il 27,8% in Iran, il 35,5% in Egitto, il 37,8% in Siria.
Religioso. Sono presenti nella Regione le tre grandi religioni monoteiste, che hanno nel Medio Oriente la loro culla. All’interno della fede cristiana, registriamo la pluralità di riti (sia nella confessione cattolica che ortodossa), in particolare nei Paesi del Medio Oriente, in Romania, in Moldavia, in Albania e in Kosovo. Il dialogo-confronto tra Cristianesimo ed Islam è molto vivo e forte nei paesi mediorientali e in Kosovo, meno in Albania. Significativa è anche la presenza di immigrati musulmani in Italia.
Salesiano. Le presenze salesiane nella Regione sono concentrate per l’89,37% in Italia e per l’10,63% fuori dell’Italia (rispettivamente 227 e 27). Tale dato è una eredità del passato e risente pesantemente dello sviluppo storico della Congregazione salesiana che è nata in Italia e si è sviluppata a partire dall’Italia.
1.5 Il fenomeno migratorio all’interno della Regione
Lo squilibrio economico all’interno della stessa Europa, unito a quello demografico spiega l’inarrestabile, continuo, crescente flusso migratorio dai Paesi del Mediterraneo e dell’Europa centrale verso l’Italia. I cittadini stranieri regolarmente residenti in Italia sono 2.600.00, il 4,5% della popolazione. In Italia c’è un immigrato ogni 22 abitanti. Quasi la metà degli stranieri presenti in Italia arriva da Paesi europei (47,9%, di cui solo il 7% da Paesi comunitari), seguono l’Africa (23,5%), l’Asia (16,8%) e l’America (11,5%). La classifica dei Paesi di provenienza è guidata dalla Romania (239.426), seguono Albania (233,616), Marocco (227.940), Ucraina (122.802) e Cina popolare (100.109) che ha ormai superato le Filippine (73.847). Di essi la maggioranza sono cristiani, il 47,6% (22,6% cattolici, 20,3% ortodossi, 4,7% evangelici), mentre il 33% sono musulmani.
1.6 Alcune considerazioni sui dati
La lettura dei dati fa nascere immediatamente due considerazioni. La prima riguarda lo sbilanciamento delle presenze nella Regione, concentrate per quasi il 90% nell’Italia, cioè nel Paese a più basso tasso demografico e con più diffuso benessere. Questo fatto, ovviamente, non è stato l’esito di scelte “a monte”, quanto piuttosto la conseguenza di una graduale diffusione del carisma salesiano, a partire dal Piemonte, verso le altre Regioni d’Italia, in un’epoca in cui non esisteva la prospettiva di una presenza diffusa e coordinata su base nazionale.
Inoltre, se è vero che “lavoriamo specialmente nei luoghi di più grave povertà” (Cost. 26) e che “i giovani, specialmente i più poveri” sono “i primi e principali destinatari della nostra missione” (ibid.), è legittimo chiedersi quali conseguenze operative dovrà avere questa esigenza carismatica, in uno sguardo complessivo sulla Regione. Paesi interi, in fortissima crescita demografica e con ridotte possibilità di sviluppo, hanno, di fatto, una presenza salesiana quasi impercettibile. In questo contesto, si comprende l’appello del Rettor Maggiore ad irrobustire la presenza nei Paesi del Medio Oriente.
La seconda considerazione riguarda il macrofenomeno dell’ emigrazione, specie dei più giovani, verso l’Italia. Sono i nuovi poveri, i nuovi “spazzacamini, sellai, venditori di chincaglierie” dei tempi di Don Bosco, sono gli “sciuscià” della Roma del dopoguerra. E’ un dato così evidente, e di così certa crescita, che non si tratta più di chiedersi “se”, ma “come” rispondere. Di fatto non esistono esperienza o progetti di intervento consolidati (se si eccettuano alcune sporadiche esperienze quali il Centro di prima accoglienza al Sacro Cuore di Roma degli anni ’80, poi chiuso, l’Auxilium di Chiari, la comunità di Palermo Santa Chiara, e poche altre). Alcune Caritas parrocchiali svolgono un prezioso servizio di ascolto e di assistenza, alcune case-famiglia accolgono minori non accompagnati, ma è mancata una riflessione nazionale sul fenomeno, sulle risposte da dare, sulle scelte da operare, sugli impegni comuni da assumere.
2. Dalla emergenza alla scoperta di nuove opportunità
2.1 “La ricca di figli è sfiorita”.
Il termine “emergenza” non è appropriato. Come nella vita spirituale è vero che “non progredi, regredi est”, così nelle dinamiche organizzative e sociali siamo tutti convinti che il solo mantenimento dei fronti, “la resistenza sulle mura”, in realtà è preludio di un lento, inarrestabile declino. Non svilupparsi più, è iniziare a morire. E’ vero però che le nostre preoccupazioni in questi ultimi anni si sono concentrate attorno ad un medesimo obiettivo: ridimensionare. A motivo del saldo costantemente negativo tra nuovi professi e confratelli deceduti o che hanno lasciato la Congregazione, il numero totale dei confratelli per tutte le Ispettorie della Regione è andato costantemente diminuendo. Oggi siamo 414 confratelli in meno rispetto alla scorsa Visita d’Insieme, sei anni fa. La distribuzione a piramide dei confratelli, secondo le età, tipica dell’Italia negli anni ’40-’60 e delle attuali Regioni dell’Asia sud e dell’Africa, si è rovesciata. Verrebbe da dire: “La ricca di figli è sfiorita”. E’ facile immaginare le conseguenze di questo fenomeno: l’invecchiamento del personale e la contrazione numerica hanno spinto a coinvolgere sempre più i laici, specialmente nella scuola e nella formazione professionale, ad affidare loro dei ruoli di responsabilità, a passare loro di mano la gestione di intere opere, riservandosi i Salesiani il compito dell’accompagnamento e della tutela. Si può dire, di fronte agli obiettivi segnalati dal CG 24, che la necessità ha avuto forza maggiore delle autorevoli proclamazioni conciliari e post-conciliari sulla dignità dei “Christifideles Laici”.
2.2 La fatica del ridimensionamento
Ogni Ispettoria si è trovata dunque di fronte alla necessità di rivedere la mappa delle presenze, di individuare le opere meno significative, di ristrutturare i settori o i servizi all’interno dell’Opera, di avviare forme nuove di gestione mista o “partenariato” (poche in verità) o di “tutela” secondo la dicitura del CG 24, n. 27. In diversi casi si è proceduto alla chiusura dell’Opera, al ritiro della comunità, od alla restituzione (se parrocchia) alla Diocesi. Una sollecitazione evidente, in questo senso, è stata offerta dalla necessità di redigere il Progetto Organico Ispettoriale, richiesto dal CG 25. Questa rapida descrizione non esprime però la fatica della ricerca, la difficoltà nel prendere le decisioni, e le sofferenze che le hanno accompagnate. Non è stato e non è un compito né facile, né indolore, quello che hanno assunto in questi anni gli Ispettori ed i Consigli Ispettoriali. La chiusura di opere di antica data, è stata accompagnata da resistenze di varia fonte. Molte decisioni sono state prese con un senso di angoscia, non solo per le ripercussioni immediate (disapprovazione di una frangia di confratelli, proteste dei fedeli e delle famiglie, licenziamenti del personale), ma anche per il messaggio a lungo termine che esse sembravano comunicare con la forza evidente dei fatti: “Non ce la facciamo più!”. Gli aspetti positivi di tale operazione, di natura progettuale (restringersi per concentrarsi, potenziare e rilanciare), passavano in secondo ordine, dinanzi alla prevalente sensazione della “smobilitazione”, spesso confermata dalle interpretazioni dei quotidiani locali, degli appelli dei firmatari e – diciamolo – dalla reazione stessa dei confratelli. Ci si è accorti, talvolta a proprie spese, che la chiusura di un’Opera è operazione più delicata del suo avvio e richiede un “piano di uscita” graduale, prudente e attentamente studiato, per non disperdere un patrimonio carismatico, pastorale e, talvolta anche immobiliare, pregevole. Tra il chiudere in modo netto e traumatico e il lasciar lentamente decadere un’Opera sempre meno efficace apostolicamente, in mano confratelli sempre più anziani e in ambienti semi abbandonati o dati in affitto, siamo chiamati a trovare intermedie strade più sagge e dignitose. In tale scenario, anche il ricorso ai laici può essere apparso più un estremo tentativo di salvataggio dell”Opera, che una promozione consapevole di un laicato che è stato preparato ad assumersi la responsabilità di condividere lo spirito e la missione di Don Bosco.
2.3 Alcune linee di tendenza
In questo quadro che sembra presentare solo ombre e poche luci, vanno colti però dei segnali positivi. Se il ridimensionamento in atto è un processo doloroso, mi sembra che esso abbia fatto maturare la consapevolezza di alcune linee di tendenza. Le più evidenti mi sembrano quattro, a cui faccio solo pochi cenni.
Dalla comunità salesiana tuttofare, alla comunità “nucleo animatore” della comunità educativa. Che piaccia o no, in tutte le Ispettorie della Regione abbiamo dovuto prendere atto della verità di quanto affermato dal CG 24 riprendendo parole di Don Vecchi, e cioè che: “Il modello operativo, condiviso un po’ dappertutto, riconosciuto valido e come l’unico praticabile nelle condizioni attuali, è il seguente: ‘Salesiani come nucleo animatore, il coinvolgimento e la corresponsabilità dei laici, l’elaborazione di un progetto possibile, adeguato ai destinatari, alle forze e al contesto’” (39). Don Chavez ha chiamato tale modello comunitario il paradigma di animazione e gestione delle opere, in cui SDB e Laici condividono lo spirito e la missione di Don Bosco. Non è il modello uniformemente attuato in Italia, ma è indubbio che la contrazione numerica dei confratelli e la necessità del ridimensionamento delle opere ci ha “costretti” a praticarlo. E’ vero che il termine CEP (= Comunità educativa pastorale) è ancora poco conociuto ed adoperato, ma non vi è di fatto opera che non veda i salesiani in numero ridotto (mediamente 10%) animare una comunità più ampia di laici (catechisti, volontari, animatori, docenti, formatori dei CFP, ecc.)
Dal ruolo dipendente dei laici al coinvolgimento e alla corresponsabilità. Anche questa mi sembra una via di non ritorno ed un esito positivo del travaglio che il ridimensionamento delle opere sta comportando. Tutte le Ispettorie hanno affinato i processi di selezione e di formazione iniziale e permanente dei laici, hanno definito ruoli e responsabilità, hanno definito organigrammi: la realtà è variegata, più evidente mi sembra tale segnale nella Scuola e nella Formazione Professionale, anche a motivo delle richieste della legislazione e per le esigenze di una struttura più rigida. Negli Oratori e nelle Parrocchie mi sembra che sia dappertutto diffusa la preoccupazione per la formazione dei laici ed il loco coinvolgimento, ma le modalità sono molto differenziate: da modelli democratici e partecipativi, a modelli autocratici che vedono nei laici prevalentemente dei fedeli ed affezionati esecutori. Gli obiettivi posti dal CG 24 (coinvolgimento, corresponsabilità, formazione, comunicazione) si sono scontrati con oggettive difficoltà di attuazione: la resistenza psicologica a farsi indietro per lasciare spazio ai laici, la mentalità autarchica formatasi in tempi di abbondanza di personale salesiano, la incapacità a reinventare il proprio ruolo (per dirla con un esempio, il passaggio dall’esser falegname a dirigere un mobilificio), il sospetto sulle effettiva affidabilità dei laici, il “turn over” dei laici stessi, scarse o nulle competenze su come condurre di team di lavoro, su come gestire le risorse umane, ecc.
Dalla manutenzione delle opere ad una nuova progettazione. Popolarmente si dice che “la necessità aguzza l’ingegno”. Mi sembra che l’essere stati costretti dalle necessità, prima ancora che dalle direttive del CG 25, ad elaborare un POI (= Progetto Organico Ispettoriale), abbia risvegliato la capacità progettuale nelle Ispettorie. Si sono sottoposte le opere al vaglio di criteri di significatività, ci si è concentrati sul cuore del carisma (“i giovani, specialmente i più poveri”), sono state riviste presenze nate in altri tempi e in altri contesti, sono stati sollevati dubbi sulla validità di alcune opere o servizi pastorali di tipo generico (specialmente nel campo parrocchiale), si è risvegliata la attenzione a leggere i bisogni del territorio e dunque, in qualche caso, è nata la esigenza della ricollocazione, o della nuova fondazione di presenze, per seguire i giovani ed loro bisogni. Anche nella distribuzione del personale salesiano, mi sembra si sia dappertutto seguito, di fatto, un ordine di priorità, assegnando il personale più valido nelle opere più significative e promettenti, anche sotto il profilo vocazionale. L’impressione è che la necessità di rivedere i fronti stia facendo passare dalla fase di “sedentarizzazione” del carisma (consolidato in strutture da mantenere e per le quali cercare personale e spesso anche giovani), alla “dinamizzazione” del carisma (individuazione dei bisogni giovanili, condivisione con i laici del medesimo spirito e della medesima passione missionaria, riconversione delle strutture perché rispondano con efficacia ai bisogni). In tale nuova fase progettuale e in tale prospettiva la chiusura di opere può diventare espressione di vitalità e di sviluppo e non di una imminente fine.
Dalla comunità-residenza alla comunità luogo della fraternità e scuola di fede. Le consegne dei moduli operativi del CG 25, la necessità di dover redigere il POI e dunque di rivedere la significatività di tutte le nostre presenze, le istanze posta dalla nuova impostazione della CEP che vede la comunità salesiana, non accanto ai laici, ma al centro – come “nucleo animatore” – della comunità educativa pastorale, ha costantemente richiamato l’attenzione dei Consigli Ispettoriali e dei Capitoli Ispettoriali sul criterio centrale della “consistenza quantitativa e qualitativa delle comunità”. Ci si è accorti che il nuovo modello operativo (“l’unico praticabile” di cui parlava Don Vecchi), o il “paradigma” di animazione e di gestione delle opere di cui parla Don Chavez, esige che i Salesiani ci siano, che siano in numero almeno sufficiente e che siano capaci di animare una più ampia comunità educativa composta prevalentemente da laici collaboratori. Ma questo comporta anche che all’interno stesso della comunità religiosa siano attivi dei dinamismi intensi di vita comunitaria (fraternità, preghiera, testimonianza evangelica comunitaria, formazione, presenza in mezzo ai giovani). Mi sembra che la riflessione sul ridimensionamento ci abbia reso consapevoli che non è una presenza aperta a qualunque costo che potrà garantirci il futuro, ma solo quelle nelle quali si può percepire vitalità spirituale, fraterna ed apostolica.
Possiamo, dunque, concludere questo secondo punto, sulle linee di tendenza, con una considerazione. Il ridimensionamento ci ha costretti a pensare, a progettare, a rivedere, a concentrarci sull’essenziale, ad impostare diversamente la pastorale, a prestare attenzione alla qualità della vita dei confratelli. Da operazione esteriore, dettata dalla dura legge dei numeri, è diventata in qualche caso un forte stimolo per impostare su basi nuove la vita della comunità e la sua missione. Mi sembra che quest’ operazione in corso possa dare un volto nuovo alle nostre presenze, non solo numericamente più ridotte, ma qualitativamente diverse: il giorno della comunità, il progetto di vita della comunità, la condivisione del carisma tra Salesiani e laici, l’accoglienza frequente dei giovani in casa, sono alcuni segnali di vita nuova e non di morte imminente.
3. La necessità di crescere insieme
La distribuzione del personale nella Regione, come è stato già evidenziato, è molto diseguale. I grafici allegati sono eloquenti. Esaminando, ad esempio, il numero dei confratelli al di sotto dei 45 anni la situazione è la seguente:
ICP 100 confratelli 38 comunità
INE 98 “34 “
ILE96“30“
IME77“34“
ILT50“14“
ISI48“27“
MOR40“17“
IRO34“20“
IAD22“14“
ISA11“ 7“
Dinanzi a tale situazione il Rettor Maggiore nella lettera di presentazione della Regione Italia e Medio Oriente, così si esprimeva: “L’impegno di ridimensionamento e ricollocazione deve essere assunto dalle singole Ispettorie al loro interno, ma deve essere anche inteso come una nuova e più organica distribuzione della varie Ispettorie nel territorio nazionale, che consenta un irrobustimento delle realtà più deboli e una migliore animazione dell’insieme…E’ mio desiderio esortare gli Ispettori d’Italia ad uscire da una stretta e talvolta troppo chiusa considerazione dei problemi della propria Ispettoria e ad avere una visione più ampia, collaborante, di vera ricerca del bene di tutta la presenza salesiana in Italia. Per questo anche un cammino di revisione della stessa impostazione della CISI e dei suoi organismi di animazione può essere in questo momento quanto mai opportuno, per dare con più sicurezza orientamenti a livello nazionale e coordinarsi unitariamente nella soluzione dei problemi emergenti” (ACG 385, p. 22). Presentando le linee di futuro, alla voce “Ridefinire con coraggio la presenza salesiana in Italia”, Il Rettor Maggiore concludeva: “Un ultimo aspetto importante resta il collegamento tra le varie Ispettorie, che deve essere ispirato a criteri di solidarietà e di collaborazione. Deve dunque crescere la visione d’insieme, migliorando tutto ciò che può contribuire a iniziative unitarie e collegate, con uno scambio generoso di personale e di risorse” (Ibid. p. 28).
Cosa è stato fatto in questi anni? Su due punti (Revisione degli organismi di animazione della CISI,
e più organica distribuzione delle Ispettorie sul territorio nazionale) sono state prese delle decisioni operative. Sul terzo (Solidarietà e collaborazione tra le ispettorie, con uno scambio generoso di personale e di risorse), il quadro è pressochè fermo. Li riprendo ordinatamente.
Occorre riconoscere che la CISI ha lavorato molto in questo sessennio, con scansione regolare di incontri per Ispettori, Economi, Delegati per la Formazione, Delegati per la Pastorale giovanile e vocazionale. La CISI ha definitivamente varato la nuova impostazione dei Servizi Nazionali, privilegiando il lavoro in équipes (cfr. allegato “Servizi nazionali CISI”). E’ stata concordata una procedura chiara di individuazione dei confratelli a cui affidare un incarico nazionale, assegnando al Regionale un ruolo certo di conclusione del processo (Ogni Ispettore propone un confratello della propria Ispettoria ed uno di altra Ispettoria. Si valutano assieme le convergenze e la corrispondenza fra il profilo richiesto e le persone segnalate, quindi il Regionale conclude il discernimento e procede alla nomina).
Tale procedura è stata concordemente prevista per il reperimento del personale per quattro distinti fronti: le Case di Formazione, i Servizi nazionali della CISI e Luoghi salesiani, Editrici e CEC, ed infine per quelle opere ritenute “di interesse nazionale”.
Circa la più organica distribuzione delle Ispettorie sul territorio nazionale, oltre alla nascita della INE, è stata avviata la riflessione sulla presenza salesiana nell’Italia centrale. Abbiamo riflettuto insieme, operato insieme, deciso insieme il cammino da percorrere fino al 2008 (cfr. comunicato allegato). All’inizio lo scetticismo sulla utilità di talte operazione era evidente. Si diceva scherzosamente: “Quattro pile scariche potranno farne una buona?” Ci siamo poi accorti che, grazie a Dio, non siamo pile, ma persone, capaci di pensare al futuro con fiducia e creatività. Condividendo tutti l’obiettivo del rilancio della presenza salesiana nell’Italia centrale e non solo della sopravvivenza, abbiamo compreso che si potevano mettere insieme idee, moltiplicare le proposte, arricchirsi dal confronto delle diverse esperienze e sensibilità. Insomma, da mera operazione di spostamento dei confini, sta diventando un’ interessante esperienza di condivisione delle ricchezze di cui ciascuno è portatore.
Il terzo punto prospettato dal Rettor Maggiore (Solidarietà e collaborazione tra le ispettorie, con uno scambio generoso di personale e di risorse) resta un nodo di difficile soluzione, una vera sfida da affrontare. Il numero dei confratelli su cui ogni Ispettoria può contare nel futuro è diseguale; la distribuzione di opere, quali Scuole e CFP, è sbilanciata (e non solo per le differenti legislazioni regionali); la presenza maggiore nei luoghi di maggiore povertà già nella stessa Italia (per non parlare della Regione, come si è detto) non è una realtà, anzi sembrerebbe vero il contrario. In alcune regioni italiane siamo capillarmente presenti, in altre la presenza è molto diradata o nulla (Molise). Le 3 Ispettorie del Nord Italia (ICP, ILE, INE) da sole dispongono di 1415 confratelli su 2514, cioè il 56,28% del totale. E’ evidente che questo dato va letto entro un preciso quadro storico-geografico, e senza dimenticare l’enorme apporto che le medesime Ispettorie hanno fornito alle missioni negli ultimi 25 anni. E’ fuori di dubbio che non c’è mai stata la volontà di “padanizzare” l’Italia salesiana. Eppure, quello della visione di insieme della Regione resta una sfida da affrontare, su cui riflettere per trovare soluzioni.
Ripensando alla storia passata, notiamo come le espressioni più significative dell’Italia salesiana sono nate dalla partecipazione di tutte le Ispettorie italiane. I grandi Licei pareggiati si sono affermati grazie allo scambio di confratelli di grande professionalità, forniti di titoli universitari ed abilitazioni, sotto la regia del Consigliere Scolastico generale; così pure è avvenuto per le Scuole Professionali, molte della quali sono sorte non per germinaziona spontanea locale, ma grazie ad una strategia pianificata dal centro della Congregazione di allora, destinando ad esse confratelli coadiutori (specie settentrionali) formati in centri specializzati (Colle Don Bosco, Rebaudengo, Verona), con una mobilità su scala nazionale. La LDC, il PAS sono nati e si sono affermati subito perché sono state reperite e messe a disposizione le migliori risorse umane allora presenti in Italia, selezionandole da tutte le Ispettorie.
Rispetto agli anni ’40 – ’60 possiamo, dunque, osservare un minore interscambio su scala nazionale ed una minore mobilità. Possiamo parlare di una “devolution salesiana”? Di un regime di autarchia? Non credo che tale fenomeno sia espressione di una volontà di chiusura all’interno dei propri confini o di scarsa sensibilità. La forte crisi degli anni ’70, con la violenta emorragia di personale (specie tra quei confratelli – allora giovani ed oggi cinquantenni - che avrebbero dovuto costituire la ossatura delle Ispettorie), la endemica fragilità vocazionale che negli ultimi 6 anni ha registrato la uscita di 103 confratelli nella Regione, l’invecchiamento del personale ed il decesso di ben 460 confratelli nel medesimo periodo, spiegano la necessità di “serrare le fila” all’interno dell’Ispettoria e tenere ben stretti i confratelli, specie “i pezzi pregiati”, mimetizzandoli all’occorrenza, per sottrarli a cupidigie nazionali od interispettoriali.
Va riconosciuta la lealtà degli Ispettori che, in aggiunta ai tre fronti indicati dalla Sintesi Operativa del Consiglio Generale intermedio del marzo/aprile 2004 (Case di Formazione, Editrici e CEC, Uffici nazionali e Luoghi salesiani), hanno individuato anche nelle “Opere di interesse nazionale” un quarto fronte per il quale applicare la procedura giuridica della individuazione e designazione del personale, attribuendo al Regionale la facoltà di concludere il processo di discernimento e decretare la nomina. Ma può bastare questo per crescere insieme, e per rendere non eccezionale, ma fisiologico, un interscambio di confratelli su scala nazionale o addirittura di Regione? Quali strumenti giuridici eventualmente darsi, perché la solidarietà tra Ispettorie sia possibile in forma stabile e con regole certe?
E’ curioso notare come in un tempo in cui i giovani vivono quasi naturalmente la dimensione nazionale ed europea (viaggi, mezzi di comunicazione, Progetto Erasmus, scambi culturali e gemellaggi, ecc.) ed in cui la globalizzazione dei fenomeni e dei problemi richiede risposte globali, noi restiamo strutturalmente chiusi entro i confini ispettoriali, che sono sacrosanti dal punto di vista del Diritto Canonico, ma rispetto alle esigenze della missione risultano artificiosi e fuori dal tempo.
Ho detto prima che è stato sistematico ed assai fecondo in questi anni il confronto nazionale nei vari settori ed Uffici della CISI, è stata avviata anche una Agenzia di informazione dei Salesiani in Italia (DB News) con uscita quindicinale via e-mail, nel settore della Economia sono state avviate alcune operazioni interessanti presentandosi al tavolo delle trattative come Salesiani d’Italia (tariffe assicurative, telefoniche ecc.). L’attività delle Sedi nazionali del CNOS Scuola e del CNOS Fap è stata intensissima, con risultati numerici e qualitativi documentati e molto apprezzabili. E’ stato appena costituito il rinnovato Servizio nazionale per Parrocchie ed Oratori, con la designazione di cinque confratelli. Sono passi interessanti che dicono esplicitamente la convergenza ed il desiderio di camminare insieme, ma il nodo dell’interscambio dei confratelli, di una equilibrata mobilità su scala nazionale e di una concreta e stabile solidarietà fra Ispettorie, resta insoluto. L’Assemblea potrà riflettere su tali dati, valutarli e suggerire vie praticabili per superare la attuale rigida divisione autarchica delle Ispettorie. Se la lettura dei fenomeni giovanili ci spinge a ipotizzare interventi flessibili coordinati su scala nazionale, la realtà ne rende difficile, se non impossibile, la attuazione. L’interessante esperienza avviata in Calabria negli anni ‘80-’90 (apertura di Locri, Corigliano Calabro, Lamezia Terme), può essere un buon punto di riferimento.
4.
Il sostegno all’Ispettoria del Medio Oriente
In questo scenario fatto di bisogni di personale, urgenze, penurie, appelli, speranze solidaristiche, un discorso a parte merita la Ispettoria del MOR. Il Rettor Maggiore così scriveva nella sua lettera sulla Regione: “All’inizio del sessennio ho chiesto esplicitamente di inserire questo punto nella programmazione per la Regione Italia e Medio Oriente. Intendevo proporre all’Italia di farsi promotrice di un Progetto che aiuti l’Ispettoria MOR a superare le attuali difficoltà legate alle condizioni sociali e politiche con le quali si trova a confrontarsi, dando anche aiuti in personale. Naturalmente questo è un invito che oggi rivolgo a tutti e non solo ai confratelli italiani”.
Non occorrono molte parole per comprendere come il Medio Oriente costituisca oggi una emergenza su scala planetaria. Quotidianamente siamo condotti dalle cronache a rivolgere lo sguardo ad Oriente. La guerra passata e recente, la situazione di forte debolezza della Chiesa, la aperta o strisciante persecuzione dei cristiani, la urgenza di un dialogo con l’Islam fatto anzitutto di presenza e di testimonianza attraverso il linguaggio eloquente della carità, la grande disponibilità anche vocazionale di tanti giovani cristiani di quei Paesi, la accoglienza del carisma salesiano persino in contesti rigidamente islamici, attraverso gli Oratori e le Scuole Professionali, sono alcuni segnali che ci dicono chiaramente che la Ispettoria del Medio Oriente va urgentemente sostenuta. L’apporto di nuovi missionari potrà sostenere una crescita vocazionale locale che sembra molto più promettente che in Italia, in modo da consentire al più presto lo sviluppo autonomo dell’Ispettoria con proprie forze e confratelli nativi ed una piena inculturazione del carisma salesiano in quei Paesi, come è avvenuto in altre parti della Congregazione.
La appartenenza dell’ Ispettoria del Medio Oriente alla Regione che ha nell’Italia il suo nucleo più consistente, si riveste inoltre di nuovi significati. Non più solo il sostegno economico e di personale unidirezionale, ma un vero scambio bilaterale: la immigrazione porta l’Islam e la missione nelle nostre città, nei nostri CFP e Oratori. Abbiamo bisogno di conoscere in modo più approfondito e di valorizzare quel laboratorio permanente di convivenza interreligiosa che sono alcune delle nostre Scuole Professionali, specie in Egitto. Non possiamo permettere che presenze decisive per la sopravvivenza delle minuscole comunità cristiane dei quei Paesi vengano meno. “Come non impegnarci in tale contesto? E come non essere fieri di questi nostri confratelli che vi sono già impegnati?”, affermava il Rettor Maggiore nella lettera citata, e proseguiva: “Mi auguro che leggendo questa lettera e conoscendo meglio la situazione dei nostri confratelli nel Medio Oriente, le Ispettorie e singoli confratelli si sentano chiamati ad essere solidali e rendersi disponibili per irrobustire e garantire la nostra presenza in quest’area”.
5. Un tempo da vivere nella fiducia e nella steranza
La lettura sociologica della storia dei Paesi della nostra Regione (secolarizzazione, consumismo, squilibri economici, ecc.) e della storia delle nostre Ispettorie (invecchiamento, chiusure, calo delle vocazioni, ed altro) è doverosa, ma non esaustiva. Essa dice la penultima parola, ma non l'’ultima. Solo la lettura teologale della storia è vera, perché aperta alla speranza ed alla inesauribile potenza della Risurrezione. L’esserci attardati trippo sul particolare, sulle prospettive a breve termine, sulle risorse disponibili, contate e ricontate tante volte, può aver ingenerato in molti confratelli la “sindrome della vedova di Zartepa”: “Ho solo un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio; ora raccolgo due pezzi di legna, dopo andrò a cuocerla per me e per mio figlio; la mangeremo e poi moriremo” (1Re, 17,12). In un tempo in cui Don Bosco aveva nulla o poco più che nulla, egli sognava e faceva sognare. Quei poveri ragazzi che in tutta la loro vita non erano andati molto più in là delle cascine e valli del Piemonte, si sentirono di colpo proiettati in una avventura di raggio mondiale e, affascinati, lo seguirono. Penso alle immense periferie di Damasco, all’Alto Egitto ricco di giovani generosi che amano il sacerdozio, al Kosovo con la scuola professionale e l’unica parrocchia cattolica in Pristina, alle migliaia di ragazzi e giovani albanesi, a nazioni intere come la Romania, la Lituania, la Moldavia che attendono nuovi Salesiani per moltiplicare le presenze e dare un futuro di speranza ai loro figli. Penso all’Italia, alla sfida della iniziazione cristiana delle giovani generazioni, alla evangelizzazione della cultura, alla accoglienza dei giovani immigrati e dei ragazzi dell’area del disagio, alle Istituzioni civili che, avendo sentito parlare di Don Bosco, bussano alla porta dei Salesiani italiani, chiedendo loro la medesima passione ed il medesimo coraggio.
Solo la prospettiva di mete alte e sfidanti e di nuovi orizzonti può attirare le energie dei giovani migliori, non certo i piccoli progetti di sopravvivenza dettati dalla paura.
Nel famoso dipinto della chiamata di Levi del Caravaggio, esposto nella Chiesa di San Luigi dei Francesi in Roma, è interessante notare la reazione diversa del piccolo gruppo all’irrompere inatteso del Maestro. Il dito puntato ed il fascio di luce fanno emergere la personalità dei presenti. Levi è al centro, si lascia inondare dalla luce, corrisponde con l’intensità del suo sguardo e del gesto all’intensità dello sguardo e del gesto di Gesù. A sinistra, invece, nell’ombra, c’è un garzone. Non si accorge di Gesù, è ricurvo e tutto concentrato sul particolare: immerso nei suoi piccoli interessi, sta contando le poche monete che sono sul banco. Non si lascia interpellare da ciò che capita, non coglie la novità inattesa e la fecondità della nuova situazione. Per lui, al contrario del pubblicano, non c’è futuro. “Colui che non spera, non conseguirà l’insperato” (Eraclito, Frammento 8,18). A dispetto di ogni apparenza, “la farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non si svuoterà” (1Re, 17,14). La morte e la deposizione nella tomba è seguita, nel vangelo di Luca, da una annotazione discreta, ma decisiva, che fa ripartire la storia ed riaccende la speranza: “Era la vigilia di Pasqua, e già brillavano le luminarie del sabato” (Lc 23,14).
Roma-Salesianum, 16 marzo 2006d. Pier Fausto Frisoli