BARBERIS_Giulio-Il_vademecum_dei_giovani_salesiani-OCR


BARBERIS_Giulio-Il_vademecum_dei_giovani_salesiani-OCR

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Sac. Teol. GIULIO BARBERIS
IL VADE MECUM
DEI GIOVANI SALESIANI
Nuova edizione
riveduta e corretta
TORINO
SOCIETÀ EDITRICE INTERNAZIONALE
Corso Regina Margherita, 176

1.2 Page 2

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Visto: Nulla osta per la slampa
D o n B . FASCE.
Torino, 5 Luglio 1931.
Visto: Nulla osta
Torino, 18 luglio 1931.
P . CESLAO PERA, V. p.
IMPRIMATUR
Taurini, die 18 julu 1931.
C a n . p . FRAMniocxjg PALEARI, d. a.
Stampato nell'Istituto Salesiano per le Arti Grafiche
Colle Don Bosco (Asti) - 1955
Agli ascritti ed agli studenti
della Pia Società di San Francesco di Sales.
Il giorno 7 novembre 1899, ora scorso, si
compirono i 25 anni dacché, per la volontà di
Dio e dei nostri ottimi superiori, di Don Bo-
sco specialmente, io presi la vostra direzione,
o miei buoni giovani.
Voi non avete voluto lasciar passare sotto
silenzio la fausta circostanza, anzi avete vo-
luto, e con accademie, e con preghiere spe-
ciali, e con lettere, ed in mille altri modi di-
mostrarmi il vostro affetto e la vostra grati-
tudine.
Io andava pensando come avrei potuto
darvi un segno di gradimento di queste cor-
diali attestazioni, quando mi pervenne insi-
stente la preghiera, prima di uno, poi di vari
dei vostri Direttori e Maestri, di scrivere
qualche ricordo, che servisse d'istruzione e
d'incoraggiamento a percorrere con sicurezza
e con profitto il tempo sì importante del no-
viziato e dello studentato. A queste insistenze
essendosi ancora aggiunto l'incoraggiamento
del Rev.mo nostro Superior Maggiore, l'in-
stancabile Don Michele Rua, io, nella speran-
za di fare opera utile per la nostra Pia
Società, mi risolsi di pubblicare alcune di
quelle esortazioni e di quegli ammaestramen-

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ti, che per tanti anni vi esposi a Diva voce.
Ed ecco che ora ve le mando stampate come
in attestato di gradimento delle cordiali di-
mostrazioni fattemi.
Tralasciai non pertanto qui molte cose
particolari, che veniva dicendovi secondo le
occasioni, e mi attenni alle cose utili a tutti
e adatte a tutte le circostanze. Neppure svolsi
i punti già sufficientemente svolti nelle no-
stre sante Regole e nelle Deliberazioni dei
Capitoli Generali, ne quelli già tratteggiati,
con tanta unzione e perizia eia Don Bosco
stesso nell'aurea sua Prefazione alle Regole.
Tutte queste cose ni saranno spiegate nelle
quotidiane conferenze del vostro Maestro. Qui
troverete quegli ammaestramenti ascetici e
quei consigli che giudicai più opportuni per
animarvi, affinchè vi possiate presto rendere
degni figli di Don Bosco; ammaestramenti e
consigli che non si trovano sempre nei libri,
e che siccome direttamente applicati a voi,
devono essere patrimonio della nostra Pia
Società.
Voglio sperare che tutto sia secondo lo spi-
rito di Don Bosco. La maggior parte degli
ammaestramenti non sono che una ripetizione
quasi letterale di quanto il buon Padre diceva
a noi, nei tempi in cui egli stesso ci faceva le
conferenze; gli esempi sono di giovani da lui
educati. Gli altri ammaestramenti poi che vi
troverete non sono per niente miei, bensì rac-
colti qua e là, alcune volte riportati quasi
— vx; —
letteralmente, da vari celebrati autori, che io
solo cercai di adattare intieramente allo spi-
rito salesiano ed alla vostra età e condizio-
ne (1).
Accettate, giovani miei carissimi, questi
ammaestramenti e questi consigli con quel
cuore con cui io ve li porgo. Accettateli an-
cora come se direttamente a voi provenissero
da Don Bosco medesimo; figuratevi anzi che
provengano dal Sacro Cuore di Gesù; vo'chè
da esso scaturirono ed in esso io intendo de-
porti, pregandolo che egli voglia benedirli,
affinchè possiate trarne a vostro vantaggio
frutti di vita eterna.
Aff.mo in Corde Jesu
Sac. GIULIO BARBI-IRIS
Torino, Oratorio Salesiano, 31 gennaio 1900, deci-
mosecondo anniYersario della morte del nostro amato
padre don Bosco.
(1) Mi servii specialmente di S. AXJOKSO, Opuscoli
relativi allo Stalo Religioso e La Monaca Santa; di S.
FRANCESCO D I SALES, Trattenimenti
Spirituali;
di S.
BONAVENTURA, Specchio della Disciplina e Istruzione
elei Novizi; d e l P . GASPARE DA MONTESANTO, Il novello
Religioso Francescano; del CORMIER, Istruzione ai novizi
Domenicani; del P. SAINT-JURE, L'Homme Religieitx;
di Mons. GAY, Della vita e delle virtù cristiane nello stato
Religioso; del LEGUAY, La via della perfezione nello stato
Religioso; del SANI, Catechismo di Perfezione; dello
SCARAMELLI, Direttorio Ascetico; d e l P . LANCIZIO; d e l
Petit lime des novices; del GAUTRELET; del MAIGNIN;
del COTEL; del BERTHIER; n o n c h é d e l B u i x ; d e l NARVE-
GNA; d e l BATTANDIER; d e l FERRARIS; d e l WERMERSH;
del PIATI MONTANI, e di vari altri.

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Ai miei cari figliuoli, gli ascritti e gli stu-
denti della nostra Pia Società di San
Francesco di Sales.
Il vostro amato Maestro in questi mesi
scorsi compiva il venticinquesimo anno dac-
ché fu eletto al delicato incarico di dirigervi.
In sì fausta occasione, incoraggiato da me,
si decise di dare alle stampe i principali am-
maestramenti, che, in così lunga esperienza,
conobbe essere più adatti, per guidarvi bene,
in questi anni così importanti per la vostra
vita, essendo gli anni della vostra forma-
zione.
Io mi felicito con lui perchè il lavoro gii
riuscì quale io me lo aspettava, e godo di
questa circostanza per testimoniargli il mio
gradimento e per augurargli molti anni di vi-
ta e di sanità, affinchè possa ancora per mol-
ti anni lavorare con lena a bene della nostra
Pia Società.
Incoraggio poi caldamente voi ad ese-
guire quanto in questo Vade-Mecum egli vi
espone, certo che se praticherete questi am-
maestramenti, questi consigli e questi esempi,
oi vedrò progredire velocemente nelle vie del
Signore, che è quanto ardentemente io bra-
mo.
«

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X
È consolante vedere come rapidamente an-
dò estendendosi la nostra Pia Società, e co-
me tuttora vada sempre crescendo la messe
che il Signore va preparandoci; ma quanto
più cresce il lavoro, e quanto più aumenta il
numero dei confratelli, tanto più è necessario
che cresca il buono spirito ira di noi; ed io
sono persuaso che questo buono spirito cre-
scerà in proporzione del vostro impegno nel
praticare gli ammaestramenti che qui DÌ SOH
dati. È seguendo queste tracce, che la nostra
umile Associazione corrisponderà .sempre me-
glio a quanto il Signore vuole da lei, che è
la sua maggior gloria e la salvezza di molte
anime, specialmente dei giovani più poveri
ed abbandonati.
Vivete felici, o miei buoni figliuoli, e cre-
detemi sempre
Vostro aff.mo nel S'. Cuore di Gesù
Sac. MICHELE RIJA.
NB. — Tutti gli ascritti abbiano una copia di que-
sto manualetto: procurino, nell'anno del noviziato, e in
pubblico e privatamente, di leggerlo più volte con at-
tenzione e riverenza, e di praticarlo con esattezza. I
Maestri poi vadano spiegandolo accuratamente nelle
loro conferenze, alternativamente con le Regole e le
Deliberazioni. Esso dovrà servir loro anche negli anni
seguenti; perchè quanto è qui espresso non è esclusivo
per Tanno di noviziato, bensì deve servire anche pei
vari anni di formazione, e generalmente pel tempo dei
voti triennali, che dalle nostre Costituzioni sono consi-
derati come una terza prova.
PARTE PRIMA
INDIRIZZO
E FORMAZIONE RELIGIOSA
SECONDO LO SPIRITO
DELLA SOCIETÀ
SALESIANA

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CAPO I
DELLO STATO RELIGIOSO
IN GENERALE
Seguire Gesù.
La Redenzione è il fatto più grande che
sia avvenuto nel mondo. Per essa l'uomo, fi-
glio prodigo, ribelle e decaduto, fu ricondot-
to nella famiglia di Dio, rialzato alla prima
nobiltà, e reso nuovamente capace dei suoi
eterni e divini destini. Per Gesù noi ricevem-
mo di nuovo la vita soprannaturale, e la riavem-
mo con maggior abbondanza. Anzi egli stesso
divenne nostra vita. Nè solo questo: la Re-
denzione ci segnò la via alla vita, ce ne donò
un modello divinamente ed umanamente per-
fetto. Tutto sta nel vivere di Gesù e seguirlo.
Seguendolo, noi arriviamo alla vita di lui. E se
vivere soprannaturalmente è un precetto di Dio
ed una nostra necessità, tale diventa in un cer-
io senso anche il soavissimo invito di Gesù:
t Venite dietro a me t. Infatti chi non è con Ge-
sù, è contro di lui; chi si separa da Gesù, è
messo fuori come tralcio sterile ed arido, desti-
nato ad ardere eternamente nell'inferno. Biso-
i*na camminare con lui e camminare in lui.

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— 4—
Le due vie.
Ma vi sono due modi di seguire il Divin Re-
dentore. — Un giorno si avvicina a Gesù un
giovane e gli dice: « Maestro, che ho da fare per
avere la vita eterna?». E il Divin Salvatore:
«Os serva i comandamenti ». Il buon giovane
potè soggiungere : « Già li ho osservati fin dal-
l'infanzia; che cosa di più ho da fare?». Gesù lo
guardò con occhio di predilezione e gli disse:
« Se vuoi essere perfetto, va', vendi ciò che hai,
dallo ai poveri... e vieni e seguimi (1) ». Si può
adunque seguire Gesù nello stato ordinario di
buon cristiano, osservando i comandamenti; e
si può seguirlo più da vicino, praticando non
solo i comandamenti ma anche i consigli. Que-
ste due vie adunque: l'ordinaria del buon cri-
stiano e la religiosa di chi vuol seguire Gesù
più da vicino, hanno il medesimo fondamento:
la dottrina e l'autorità del Divin Redentore.
Ma l'ima differisce dall'altra quanto al termine:
l'adempimento dei precetti è il termine delle
obbligazioni della vita ordinaria; la vita religio-
sa invece abbraccia anche l'adempimento dei
consigli evangelici, sotto la guida d'una regola.
Nella vita ordinaria del buon cristiano il
fedele rimane in mezzo alle ricchezze, agli onori
ed ai piaceri del mondo. Questi possono dare
alimento alla sua concupiscenza, ma sorretto
(1) « Si vis perfectus esse, vade, vende quae habes,
et da pauperibus... et veni, sestiere me » (MATTEO,
XIX. 21).
dalla grazia del Signore e guidato dai suoi pre-
cetti, egli domina le sue cattive inclinazioni,
soffoca nel cuore l'amore disordinato a questi
beni caduchi; « gode cioè di essi, dice san Paolo,
come se non ne godesse». Nella vita religiosa
il cristiano per mettersi maggiormente al si-
curo, va più avanti: in conformità ai consigli
del Signore, egli si consacra alla privazione di
lutti i beni terrestri, e se ne separa per sempre.
Perciò la vita religiosa è una vita di separa-
zione dalle cose mondane e terrene.
Nella vita ordinaria del buon cristiano, il
iedele ritrae nella sua condotta la santa vita
del Salvatore; stabilisce in sè il regno di Dio,
per quanto torna possibile il farlo in mezzo al-
la corruzione del mondo, ed alle occupazioni di-
straenti del secolo. Nella vita religiosa egli fa
ii più: separato da tutto, libero dalle pastoie
Terrene, si unisce esclusivamente a Dio, par-
lecipa più efficacemente di lui, e gli consa-
:ra in una vita in qualche modo celeste, l'uso
li tutte le sue facoltà esteriori ed interiori.
Perciò la vita religiosa è una vita di speciale
unione e partecipazione di Dio.
Vita religiosa.
Essa pertanto è ad un tempo una vita di
teparazione dal mondo e dai suoi falsi beni,
e<i una vita di unione con Dio, vita di santi-
tà, di perfezione.

1.8 Page 8

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È vita di perfezione, ed i santi voti sono la
spada che separa il religioso dalla terra; vita
di unione, e questi medesimi voti sono il vinco-
lo misterioso che l'unisce con Dio. Nulla vi ha
al mondo di più ragionevole e di più savio, che
questa tua separazione dal mondo perverso
e dai suoi pericoli. Se la fai ora, ne ritrai gran
merito; mentre ciò avverrebbe parimenti fra
poco colla morte, e allora senz'altro tuo me-
rito.
Nulla parimenti di più ragionevole e di
più savio che far subito quest'umone con Dio.
Egli, per la sua bontà, trova le sue delizie nel-
l'abitare coi figliuoli degli uomini, per riem-
pirli della propria felicità. Tu correresti pe-
ricolo di perdere quest'unione, se rimanessi
in mezzo alle seduzioni del mondo.
Pertanto nel seguir Gesù più da vicino
praticando anche i consigli evangelici, nella
separazione dal mondo consiste appunto lo
stato religioso che tu vuoi abbracciare. Que-
sto stato non è obbligatorio per tutti, perchè
il Signore disse: « Se vuoi essere perfetto ». Ma
è uno stato di maggior perfezione e chi lo
abbraccia fa molto piacere a Gesù: Tu, che
sei deciso di far piacere a Gesù in tutti i mo-
di a te possibili, fai certamente bene ad ab-
bracciarlo. Abbraccialo con cuore allegro e
generoso, ed il Signore sarà in eterno il tuo
gaudio e la tua corona.
— 7—
Lo stato religioso viene da Dio.
Resta anche assodato essere Gesù Cristo
medesimo che ha istituita la vita religiosa,
per rappresentare e propagare tra gli uomini
la perfezione della vita cristiana, il vero spi-
rito del Vangelo. Egli la sostenne con la sua
grazia, affinchè in tutti i secoli essa fosse fe-
dele a realizzare questo suo intento. È Dio
medesimo che va inspirando a molti di ab-
bracciarla, dandone la vocazione. Fu lui che
diede la 'vocazione anche a te, dandoti la buo-
na volontà di farti ascrivere tra i fortunati
figli di Don Bosco. Tu pertanto sappi appro-
fittarne, e ringraziare il Signore.
I Santi Padri e la vita religiosa.
Tutti i Santi Padri riconobbero la mag-
gior perfezione della vita religiosa, e ne fece-
ro i più lusinghieri encomi. Eusebio di Cesa-
rea, dopo aver stabilito che il Divin Mae*
stro diede a' suoi discepoli dei precetti per
l'universalità dei fedeli, e dei consigli per le
anime più generose, ne fa emergere questa na-
turale conseguenza: « Vi sono nella Chiesa di
Dio due differenti generi di vita: l'uno è me-
no elevato e più accessibile alla debolezza
umana: il cristiano che l'abbraccia contrae
un onesto matrimonio, per avere figliuoli,
2

1.9 Page 9

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— 8—
s'occupa degli interessi della famiglia, intima
ordini, e fa camminare insieme la coltura
della terra e la mercatura colla pratica della
religione. Ecco il primo grado: la vita cristia-
na. Il secondo stato è al disopra della condi-
zione di natura e della condotta che segue la
maggioranza degli uomini. In questo i cristia-
ni, non cercando nè nozze, nè posterità, nè ric-
chezza, aprono il cuore ad un desiderio im-
menso dei celesti tesori, e si dedicano unica-
mente al servizio di Dio. Questa è la via del-
la perfezione » (Demonstratio Evangelica, I, 8).
San Cipriano indirizzandosi alle vergini
cristiane dice: « Il Signore non comanda di
abbracciare la continenza perfetta, ma ci
esorta alla medesima. Egli non impone all'uo-
mo il giogo della necessità, dacché gli lascia il
libero uso della sua volontà; ma se insegnan-
doci che nella dimora di suo Padre vi sono
molte mansioni, fa risaltare le più fortunate.
Voi pertanto, o sante vergini, siete quelle che
prendete queste mansioni migliori per vostra
porzione. Reprimendo ogni concupiscenza del-
la carne voi vi assicurate nei cieli una ricom-
pensa più nobile e più abbondante» (Lib. de
liabitu virginum).
« L'arbitro dei combattimenti, dice san
Girolamo, propone il premio, invita alla cor-
sa, fa brillare nelle sue mani la corona desti-
nata alla verginità. Egli fa vedere una sorgen-
te limpida e grida: se qualcuno ha sete ven-
——
ga e beva. Non dice: bisogna buono o mal
grado refrigerarvi a questa fontana, o dovete
correre nell'arringo; bensì: chi vuole bere,
chi si sente il coraggio di slanciarsi nella cor-
sa, lui otterrà quella corona, lui sarà saziato.
È appunto per questo che chi entra nello stato
religioso offre al Signore più di quanto egli
non comandi, e viene a formare l'oggetto della
sua predilezione. È più meritorio offrire più
di quel che devi, che non il proporti di re-
stituire solo quanto strettamente ti è chiesto »
(Contra Jovinianum).
Ascoltiamo ancora Sant'Ambrogio. Egli af-
ferma che « colui il quale pratica i coman-
damenti potrà dire al Signore: sono un servo
inutile perchè ho solo fatto quel che dovevo
fare. Ma colui che ha rinunziato a tutto, ed
è entrato nello stato religioso per seguire Gesù
può dire cogli Apostoli: Ecco che per amor
vostro vi abbiamo seguito; dateci pertanto
la dovuta nostra ricompensa ».
San Giovanni Bosco e la vita religiosa.
San Giovanni Bosco ebbe una venerazione
straordinaria, ed un'attrazione speciale verso
gli ordini religiosi. Egli stesso vedendone l'uti-
lità grande, e l'aiuto che offrono per conser-
vare l'innocenza dei giovani, mentre stava

1.10 Page 10

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— 10 —
per compire il suo ginnasio, ebbe in animo
di farsi religioso, entrando nell'ordine fran-
cescano. Procuratisi i documenti ed accettato
formalmente stava già per entrarvi. Non sa-
rebbe certo tornato indietro, se (oltre ad un
sogno avuto, nel quale capì che non avrebbe
trovato pace in quel convento) non l'avessero
assolutamente dissuaso varie persone illumi-
nate, e specialmente San Giuseppe Galasso.
Tuttavia molte volte anche in seguito rivenne
sul pensiero di entrare iu qualche istituto
religioso. Non desistette se non quando, dis-
suaso da varie persone dotte ed illuminate,
chiaramente conobbe essere volontà di Dio,
ch'egli stesso fondasse una nuova congrega-
zione.
Amò sempre questo stato di maggior perfe-
zione, e si mantenne costantemente in rela-
zione ottima ed intima con molti religioni.
Vari padri Cappuccini del Monte e della Ma-
donna di Campagna presso Torino, erano da
lui in molte circostanze visitati e consultati,
e questi alla lor volta erano attratti da Don
Bosco a venire all'Oratorio. I padri France-
scani delle varie famiglie, i padri Domenicani
di Chieri, di Torino e quelli di Roma ricor-
dano ancora come Don Bosco fosse ad essi
affezionato, e come si recasse da loro a con-
sigliarsi ed a consolarsi in certe difficili cir-
costanze della vita. I padri Benedettini di
Roma, gli Scolopi, specie di Firenze, i Passio-
— 11 —
nisti, erano da lui ricordati con frequenza.
Tutti gli antichi di casa ricordano in quanta
intimità si conservasse, ad esempio, col padre
Secondo Franco e col padre Rostagno della
Compagnia di Gesù, che considerava come
suoi sostegni e consiglieri. Essendo a Torino
alla direzione del Santuario della Consolata i
padri oblati di Maria, si unì in tale intrinsi-
chezza con loro, che vari credevano Don Bo-
sco volesse entrare in quella congregazione.
Ugual cosa avvenne coll'Istituto della Carità
fondato dall'abate Rosmini, coi preti della
Missione, coi Redentoristi. Egli venerava tutti
gli ordini religiosi, perchè amava lo stato reli-
gioso in genere. E ciò perchè era convinto del
gran bene fatto dai religiosi, e vedeva, ripro-
dotta in essi la vita di Gesù Cristo.
A noi poi raccomandò incessantemente di
rispettarli e venerarli tutti, di considerarli
come nostri padri e fratelli maggiori. Ci
proibì sempre di dir male di qualcuno, e nem-
manco degli individui appartenenti a dette
corporazioni. C'inculcava anzi che, con la
parola e con gli scritti, occorrendo, sapessimo
combattere quel pregiudizio mondano di chi
dice, l'epoca nostra non essere più epoca da
frati e da monache. Nè contento di ciò, an-
che ne' suoi scritti sempre sostenne la san-
tità e l'utilità dello stato religioso, ed il bene
immenso che portarono e che tuttora portano
all'umanità.

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2.1 Page 11

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— 12 —
Differenza tra i comandamenti e i consigli.
Nel Vangelo^ accanto ai comandamenti
che obbligano, si trovano ad ogni piè sospinto
indicati i consigli che invitano. Basta com-
prendere il significato di queste due parole
per capire la differenza che esiste tra le due
idee che esse esprimono. Resta adunque asso-
dato che si può servire a Dio nella vita co-
mune dei fedeli cristiani, e si può servirlo
meglio nello stato di perfezione. Tutti devono
essere fedeli nell'osservanza dei precetti; e
quelli che lo desiderano possono elevarsi più
alto colla pratica dei consigli. E tu che hai
avuto la fortuna di ascoltare questa santa
ispirazione, ringraziane il Signore dal fondo
del tuo cuore. Pensando ai meriti sterminati
che con questo ti accumuli per tutta l'eterni-
tà in paradiso, non lasciarti spaventare dagli
scogli che devi superare, e dagli sforzi che
devi fare. Cammina coraggioso per questo
arringo, e Dio sarà per tutta l'eternità la
tua mercede sovrabbondante, secondo che
egli stesso ha la bontà di dirci (1).
(1) « Ego ero merees tua magna nimis • (GeiXV, 1).
—1 —
CAPO II
FORME DI VITA RELIGIOSA
Sarebbe ora assai edificante poterci in-
trattenere alquanto ad esporre le diverse for-
me con cui vengono praticati nella Chiesa i
Consigli Evangelici; e come siano sbocciati in
seno ad essa, attraverso i secoli, secondo il
bisogno dei tempi e dei luoghi, quelle che
comunemente chiamiamo le famiglie religiose.
Ma mi limiterò a pochi concetti adeguati, in-
dispensabili per dare una giusta idea di que-
sto magnifico tesoro della Chiesa madre no-
stra, che, depositaria della santità stessa infi-
nita di Gesù Cristo, riproduce nelle varie
famiglie religiose i vari ed inesauribili aspetti
della santità del suo Divin Fondatore.
Benché le differenze di vita fra le varie
famiglie religiose possano sembrare profonde,
in realtà, comune è l'intento, che costituisce
-empre il line essenziale dì ogni ordine e con-
gregazione religiosa: la santificazione cioè dei
propri membri; come di ugual natura sono
pure i mezzi, che ricevono maggiore o minore
estensione secondo le regole e le costituzioni
iel proprio fondatore.
In generale si dicono di vita contemplativa
sii ordini puramente monastici; perchè in
essi gli esercizi dell'orazione hanno la preva-

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—1 —
lenza sull'azione, che però non manca mai,
anche se essa si riduca qualche volta a un
solo lavoro materiale di vantaggio alla comu-
nità.
Occorre notare che la vita eremitica degli
antichi anacoreti che vivevano isolati, non è
più riconosciuta dalla Qjesa come un vero
stato religioso, per il quale è indispensabile
la vita di comunità.
Questa prevalenza adunque della contem-
plazione sull'azione, è ristretta a questi ordi-
ni religiosi, venerandi per la loro antichità
e per i grandi benefìci apportati in ogni tem-
po alla Chiesa, fiorenti tutt'ora per lo spirito
di santità che in essi regna.
Nelle altre famiglie religiose, che sono in
genere tutte le congregazioni di ambo i sessi,
gli esercizi di pietà sono interrotti dall'aposto-
lato di bene in mezzo al prossimo, sotto le
svariatissime forme della carità cristiana. Ec-
co l'attività di N. S. Gesù Cristo durante la
sua vita pubblica, imitata da tante anime reli-
giose come mezzo di santificazione propria e
altrui. E questa mescolanza di preghiera e
azione, ha fatto chiamare questi religiosi co-
munemente col nome di religiosi di vita mi-
sta, non dandosi più al giorno d'oggi religiosi
di vita puramente attiva, come erano gli an-
tichi ordini cavallereschi.
Lasciando da parte i rapporti di prece-
denza che gli ordini e le congregazioni hanno
con la Chiesa nell'ordine giuridico, non è
15
chi non veda come agli occhi di Dio e della
Chiesa, le famiglie religiose siano tutte ugual-
mente care: tutte figlie della Divina Predile-
zione, che con somma generosità ha voluto
rifornire ognuna riccamente di mezzi atti a
portare i propri membri ai più alti gradi
della santità. Giacché è bene ricordarlo che
una santità più o meno elevata non è annessa
in modo di privilegio più all'una che all'al-
tra delle varie forme di vita religiosa; e sa-
rebbe inganno credere di poter giungere più
facilmente alla santità, col scegliere un genere
piuttosto che un altro, credendolo più per-
fetto; la santità è frutto del proprio lavorìo
nella corrispondenza alla grazia; ed è data
dal grado di vita interiore e di perfetta ca-
rità raggiunta da ognuno nella pratica delle
virtù cristiane. Tale delicato e difficile lavoro
viene facilitato dalla grazia, che Iddio copio-
samente concede a chi si trova nel proprio
cammino: quindi non a quello che pare più
perfetto, ma a quello a cui chiama una voca-
zione ognuno deve aderire, sicuro di trovare
in quello la propria salvezza. Il Signore libe-
ramente invita un'anima alla perfezione per
un genere di vita piuttosto che per un altro:
gli uni chiama al raccoglimento della vita
contemplativa, libera dalla maggior parte del-
le incombenze che trae con sè un apostolato
attivo in mezzo al prossimo; e per quella via
li vuole nella perfetta carità; altri chiama
alla partecipazione di quella divina attività

2.3 Page 13

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— 16 —
che Egli mirabilmente esplicò nei tre anni
della sua vita pubblica; e in questo caso, la san-
tità sarà il frutto di un lavoro svolto sulla
base della più tenace vita interiore e di unio-
ne al Padre, come fu il suo, senza di cui ogni
attività non varrebbe a santificare. Così è
stata precisamente la vita del nostro Santo
fondatore Don Bosco, che con anima di per-
fetto contemplativo per la sua unione con-
tinua con Dio, svolse la sua missione di bene
per la gioventù; ed è stato uno dei santi la
cui attività più ha commosso il mondo intero.
In questo stato di vita più che mai è es-
senziale il bisogno di ricopiare dalla vita con-
templativa una conveniente misura di eser-
cizi spirituali senza di cui, in mezzo alle oc-
cupazioni esteriori, infallantemente si cadreb-
be in pericolo di dimenticare quello che si
deve alla propria perfezione e allo stesso per-
sonale affare della propria salute.
Ama adunque, caro ascritto, la tua vocazio-
ne, che ti mette in uno stato così privilegiato,
a cui sono annesse le più belle speranze per
questa e per l'altra vita.
I religiosi e la gioventù.
Fra le opere di carità della vita attiva, è
evidente che l'educazione della gioventù tiene,
specialmente ai nostri giorni, il primo posto.
I giovani formarono sempre il principale og-
—1 —
getto delle predilezioni del Signore. Già nel-
l'Antico Testamento il Signore volle darci un
segno di questa predilezione per i giovani,
nell'ispirare alla figlia del Faraone di Egitto
di salvare Mosè. Consegnando essa il bam-
bino alla mamma, Dio le fece dire (e per
mezzo suo, fece dire anche a noi) quelle me-
morande parole: « Prendi questo fanciullo e
nutrilo per me; io ti darò la conveniente ri-
compensa» (1).
I giovani formarono sempre come la pupilla
dell'occhio di Gesù. Egli medesimo voleva j
giovanetti intorno a sè, riprendeva coloro che
volevano allontanarglieli, e nel Vangelo si
protesta che tien come fatto a se stesso tut-
to il bene che vien fatto ai minimi tra i suoi
fratelli (2).
Importanza dell'educazione della gioventù.
I giovani sono come cera molle, e ricevono
l'impronta che loro si dà. È nella tenera età
che l'uomo si forma al bene o al male. Allora
egli contrae le abitudini buone o cattive, poi-
ché è allora che le cose gli s'imprimono più
(1) « Acoipe puerum istinti et nutrì mihi: ego dabo
tibi mercedem tu&m » (Esodo, II, 9).
(2) « Sinite parvulos venire ad me, et ne prohibueritis
eos, talium enim est regnum Dei » (MAKCO, X , 14).
« Amen dico vobis: Quamdiu ieeistis uni ex his tratribus
meis minimis, mibi fecistis » (MATTEO, X X V , 40).

2.4 Page 14

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——
facilmente nell'animo. Le più forti inclina-
zioni dell'uomo sono quelle prese nella gioven-
tù. È pertanto in quell'età che bisogna gettar
con cura la preziosa semente delle virtù cri-
stiane, ed estirpare le inclinazioni viziose che
incominciassero a sviluppare il loro germe
funesto. Dice lo Spirito Santo, che le virtù od
i vizi di cui l'uomo ha contratto l'abito nella
giovinezza lo accompagneranno fino al termi-
ne della sua vita. (1).
Anche l'esperienza ci fa vedere, e tutti i
grandi pensatori lo notano, che, riformata la
gioventù, è cambiata la faccia del mondo.
L'umana società non è un fantasma, bensì
l'unione di tutti gli uomini, di tutte la fami-
glie. I giovani d'oggi saranno gli uomini di
domani; ben educato il giovane, tutta la so-
cietà è migliorata. Perciò nessun'opera è più
importante, ed in conseguenza più cara al
Signore e più meritoria di questa. È per que-
sto che il Signore medesimo ci anima all'o-
pera promettendoci beni ineffabili (2).
Non si può negare che questa trasforma-
zione e rigenerazione della società, che si pro-
duce per mezzo della educazione della gio-
ventù non sia un vero apostolato. Se pertanto
(1) ' Adolescens iuxta viam suam, etiam cum se-
nuerit, non recedet ab ea » (Prov., X X I I , 6). « Ossa
eius implebuntur vitiis adolescenza® eius • (Giobbe,
X X , 11).
(2) ' Qui ad iustitiam erudivmt multos, fulgebunt
quasi stellae in perpetuas aeternitates » (DAN., X I I , 3).
——
gli Apostoli ed i loro successori (secondo l'e-
spressione di un Santo Padre) compariranno
davanti al Dio rimuneratore seguiti dalle na-
zioni da essi convertite alla fede, la stessa
cosa sarà di coloro che spendono la vita nel-
l'educare la gioventù. Essi compariranno a-
vanti a Gesù Cristo, seguiti dai loro innume-
revoli allievi da loro educati. Qual cosa più
consolante di questa? Riconosci pertanto il
beneficio che ti fece il Signore dandoti questa
vocazione, in cui puoi farti dei meriti tanto
straordinari, occupandoti attorno ai giovani,
e sappi approfittarne.
Don Bosco e i salesiani per i giovani.
Il nostro santo fondatore fu suscitato da
Dio per la gioventù. Fin da bambino conobbe
prodigiosamente ed esercitò efficacemente que-
sta sua missione. Era cosa del tutto mirabile
vederlo ragazzetto di 10, 12 e 14 anni, attirare
intorno a sè dozzine e alle volte centinaia di
giovani, molti dei quali più adulti di lui, te-
nerli pendenti dal suo labbro, divertirli e pre-
gare insieme. Studente" di ginnasio ebbe l'istin-
to, o meglio l'ispirazione e la virtù di fondare
la « Società dell'Allegria », che già adombrò
in lui il futuro legislatore e nell'opera la sua
congregazione. Fatto sacerdote rinunciò a
tutto ed a tutti per i suoi « birichini », di cui
fu padre ed amico. Tutta la vita sua si in-

2.5 Page 15

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— 20 —
formò a questo grido ed a questa passione
santa: «salviamo la gioventù». Perciò isti-
tuì gli oratori festivi, le scuole professionali,
gli ospizi, i collegi, le tipografie. « Salviamo la
gioventù», grida Don Bosco; e guidato da Dio
raccoglie intorno a sè i migliori suoi figli, li
informa del suo spirito, loro trasfonde i suoi
ideali ed il suo zelo, li associa alle sue fatiche
d'apostolo ed alle sue tenerezze di padre, li
stringe a sè e a Dio con vincoli indefettibili,
li slancia nel mondo cristiano ed in quello
idolatra: ecco i Salesiani. Dopo di loro mi-
gliaia e migliaia d'altri, tutti sullo stesso stam-
po e cogli stessi ideali. « Salviamo la gioven-
tù » grida Don Bosco, ed istituisce le Figlie di
Maria Ausiliatrice, monumento vivente e
grandioso della più tenera gratitudine alla
sua Celeste Patrona, e le manda tra le ragaz-
ze a fare quello che lui ed i suoi figli face-
vano e fanno per i giovani. E questo non
bastò a quel cuore grande e santo: chiamò
a suoi cooperatori tutti i buoni, facendone
dei Salesiani nel mondo, cogli stessi program-
mi e sistemi. L'amore divino si diffuse in quel
cuore, fece posto a tutte le anime; ma riservò
il privilegio ai giovani, che furono la sua de-
lizia. Da quel santuario come da una fonte
perenne sgorga tuttora la fervida vena di vita
cui tu attingi, o carissimo: Don Bosco è vi-
vente ed operante nella grande e bella fami-
glia salesiana.
— 1—
La grande e bella missione.
Ti ricordi il grido enfatico ed ispirato del
grande Apostolo : « Siamo i cooperatori di
Dio» {I Cor., III, 9) nel salvare le anime, in
questo ministero che San Dionigi l'Areopagita
dice il più divino fra i divini? Sarai conti-
nuatore di Gesù e di Don Bosco: qual gloria,
e quanta responsabilità! Ti sorrida e t'accom-
pagni la speranza del premio speciale che t'è
riservato in cielo, ove è grande « chi fa ed
insegna », e dove « coloro che ammaestrano
molti nella santità, splenderanno come stelle
nei secoli eterni » (1).
CAPO III
PREZIOSITÀ DELLA VOCAZIONE
Vocazione cristiana.
Dio creò l'uomo come una tra le più belle
effusioni del suo amore. Ne fece un suo fi-
gliuolo, un partecipante della sua natura e
della sua gloria, il re dell'universo. Ma il pec-
cato strappò l'uomo a Dio, e ruppe tutti que-
sti rapporti di privilegio. Gesù Cristo riallac-
(1) < Qui fecerit et docuerit, hie magnus vocabitur
tn regno caelorum • (MATTEO, V, 19).

2.6 Page 16

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— 22 —
ciò i primi vincoli e li rese anzi più stretti.
Egli ci unì a sè così intimamente ed efficace-
mente da poter dire: « Io sono la vite e voi i
tralci, e rimanendo uniti a me darete molto
flutto ». Come nella vite l'umore vitale che
le viene dalle radici si comunica ai tralci e li
fa vivere e fruttificare, così dalla vite che è
Gesù Cristo ci viene la linfa di vita, che ci fa
produrre opere soprannaturali, meritevoli
d'eterna ricompensa. Gesù è il capo, dice San
Paolo, e noi siamo le membra. La santa Chiesa
è il corpo mistico di Cristo. Come dal capo
viene la vita, così da Gesù Cristo viene a noi
la grazia. Per questa unione vivificatrice noi
diventiamo figli di Dio, e la nostra anima di-
venta fortunata sposa dello Spirito Santo. Per-
ciò il Padre non ci riguarda più come figli
colpevoli d'Adamo peccatore, ma come fra-
telli di Gesù, e quindi suoi figliuoli adottivi.
Questo innesto alla vita divina si compie nel
santo battesimo, e si svolge e perfeziona ne-
gli altri sacramenti. Questa è la vita che vive
e si nutre di Dio per Gesù Cristo. Tutto ciò
gratuitamente, per libera degnazione del Si-
gnore. Riconosci, o figliolo, la tua grandezza;
e ringrazia il buon Dio di averti degnato di
tanta scelta. È la prima vocazione fatta di te
dal Signore, cui tu devi corrispondere e co-
operare.
——
Vocazione religiosa.
Fin qui però siamo ancora nella sfera del-
i ordinaria vita cristiana. Ma per noi religiosi
vi è ben altro di assai più sublime. Iddio, im-
pietosito di noi, creò un giardino speciale per
noi, ripieno di ogni bene, e volle prenderci
e trapiantarci in quello, per comunicarci gra-
zie anche più elette. Questo è segno di sua
predilezione. Sì: ogni ordine religioso, ogni
congregazione, anzi ogni convento, ogni mo-
nastero, ogni casa religiosa è davvero un
giardino, un nuovo paradiso terrestre, in cui
Iddio pone i suoi privilegiati. Egli ci ha chia-
mati ad una vita più perfetta, a rappresen-
tare sulla terra, in questo mistico giardino, la
perfezione della vita cristiana. E tutto questo
•senza alcun nostro merito, forse in mezzo ai
nostri demeriti, per pura sua bontà. Per mez-
zo di questa vocazione egli stesso ci previene
nei nostri bisogni e ci si propone per guida.
La vocazione religiosa perciò è a noi quale
stella condottiera, ch'egli fa risplendere sul
nostro capo. È, come agli Ebrei nel deserto,
colonna di nube e di luce, che per ordine di
Dio cammina incessantemente innanzi a noi.
Essa è la sua propria mano raggiante ed
amante, che segna la via alla nostra fede, e
serve di focolare al nostro amore. Essa è il
stme infallibile della nostra perfezione, l'ele-
mento della nostra forma celeste, la sostanza
della nostra beatitudine.

2.7 Page 17

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——
Non è possibile riflettere alla grandezza
della grazia della vocazione, senza essere con-
dotti ad ammirare stupefatti l'opera sublime
che il Signore volle produrre in noi. Ogni
grazia procede dal cuore di Dio; quindi è che
anche la più piccola ha uno smisurato valore.
Ma quella della vocazione religiosa viene cer-
tamente dalla parte più santa e più amante
di quel Cuore medesimo. Essa è un dono squi-
sito dove pare che tutte le divine perfezioni
siano state prodigate in maggior copia, e di-
letto più grande. Non dunque con indifferenza
devi corrispondere a così grande grazia, a que-
sta sauta, misericordiosa e beatificante chia-
mata; bensì riceverla coi ginocchi a terra, colla
fronte nella polvere, col cuore acceso e pieno
di desiderio di far qualunque sacrificio per
corrispondervi.
Vocazione sacerdotale.
Ma vi è qualche cosa di più elevato ancora
della semplice vocazione allo stato religioso.
Chi è chiamato al sacerdozio è da Dio scelto
a suo coadiutore nell'apostolato delle anime,
a suo intermediario tra il cielo e la terra, a
suo rappresentante diretto. La dignità del sa-
cerdozio supera tutte quelle del mondo, ed è
formidabile agli angeli stessi: solo la divina
maternità di Maria la supera. Eppure Iddio
volle scegliere te, e adesso, per tratto del-
——
: ineffabile sua bontà e misteriosa degnazione,
sta qui abilitandoti. Oh come dovresti corri-
spondere, e procedere nel prepararti con sol-
lecito impegno e rispettoso timore! Avessi mai
fatto nessun peccato neppur veniale; ti fossi
dato da bambino alle opere buone, e ti fossi
esercitato in esse con zelo immenso e sempre
crescente; avessi fatto tutte le preghiere dei
solitari, tutte le penitenze dei martiri, con
tutto ciò non ne saresti affatto degno. Quanto
hai da essere riconoscente al Signore! Ma an-
che quanto devi sforzarti per prepararti bene,
molto tempo innanzi, cominciando subito, ap-
pena indossata la veste religiosa chiericale!
Preparazione alla vocazione.
Rifletti molto sulla vocazione sublime, a
cui sei chiamato, e preparati. Noè lavorò cen-
t'anni per preparare l'arca di salvamento;
Abramo non dubitò di sacrificare il medesi-
mo suo figlio per corrispondere alla vocazione
del Signore; Isacco, Giacobbe dovettero supe-
rare difficoltà immense, per poter essere pro-
renitori del Messia; Mosè sopportò noie in-
finite, per compiere la missione affidatagli da
Dio; pose cure estreme per edificare conve-
nientemente il tabernacolo per il Dio vi-
vente e l'arca dell'alleanza; Davide spese tut-
ta la sua vita a preparare il materiale onde
fabbricare su questa terra un'abitazione me-

2.8 Page 18

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— 26 —
no indegna del Signore; i profeti sopporta-
rono persecuzioni, fame, sete, martìri, per
eseguire l'opera loro affidata dal Signore; gli
Apostoli furono tutti martirizzati dopo inau-
dite e lunghissime persecuzioni; i santi, giu-
dicarono sempre d'aver fatto troppo poco per
il Signore. E tu che hai avuto una vocazione
così sublime non ti scuoterai, e non ti decide-
rai a voler cominciare subito per non trovarti
poi al tempo di emettere i santi voti a mani
vuote? Tu che sei chiamato a cose tanto gran-
di, al sacerdozio, non impiegherai tutto il
tempo del tuo chiericato per prepararti bene
alla missione che Dio ti vuole affidare?
Doveri verso la vocazione.
Su adunque: riconoscenza, umiltà, corri-
spondenza! Nè, per carità di te stesso, lasciati
mai tradire dall'idea d'aver tu reso un bene-
cio alla congregazione, con esserti fatto ascri-
vere ad essa; oppure aver con ciò fatto un
beneficio al Signore. È un favore immenso che
il Signore rese a te chiamandoti a servirlo
più da vicino, ed una grazia grande che ti
fece la congregazione accettandoti nel suo
delizioso giardino, tanto prediletto da Gesù.
Cerca pertanto di ben comprendere, che è me-
glio per l'anima tua un giorno solo passato
——
col Signore, che mille passati nel secolo (1).
Procura di persuaderti ben bene che sono
beati quelli che abitano la casa del Signo-
re (2); e perciò dovresti distruggerti dal desi-
derio dì riuscirvi, ed esclamare col cuore pie-
no di riconoscenza: come son belli i tuoi ta-
bernacoli, o Signore delle virtù! L'anima mia
vien meno di gioia negli atrii del Signore (3).
La vita religiosa è quel tesoro di cui parla
il Vangelo, per avere il quale s'ha da essere
disposti a vender tutto: è quella perla pre-
ziosa, per trovar la quale bisogna esser pronti
a metter sossopra la casa, e, se occorre, a dare
anche la vita. Alla vocazione possiamo ben
applicare quelle parole della Sapienza: Con
questa mi vennero tutti i beni (4). Pertanto
tu immaginati di essere uscito dal mondo
come da una terra maledetta, che divora i
suoi abitanti; di essere come i figli di Israele,
usciti dall'Egitto che maltrattava il popolo
di Dio; e che ora, per segnalato prodigio del
Signore, che tanto ti amò, stai camminando
verso la terra promessa, dove scorre latte e
miele. E compreso d'ammirazione e di grati-
(1) « Melior est dies una In atriis tuis super millia >
Salmi, L X X X I I I ) .
ibi(d2).).« Beati qui habitant in domo tua, Domine •
(3) « Quam dileeta tabernacula tua, Domine vir-
•jitum.
mini •
(Ciboindc.u)p. iscit
et
deficit
anima
mea
in
atria
Do-
(4) « Venerunt miti omnia bona pariter cum illa »
Sop., VII, 11).

2.9 Page 19

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——
tudine, intona anche tu il cantico intonato
da Mosè nell'uscire dal Mar Rosso: Cantiamo
al Signore, perchè ha fatto meraviglie. Egli
è la mia forza e la mia lode, e divenne il mio
Salvatore: egli è il mio Dio ed io lo glorifi-
cherò, egli è il Dio dei miei padri ed io lo
esalterò in eterno (1).
Come il Signore chiama alla vita religiosa.
Bisogna tuttavia che cerchi di assicurarti
bene, se questa tua vocazione poggi davvero
su salde basi. Vi sono delle vocazioni straor-
dinarie come quella di San Paolo; ma di que-
ste non si parla qui. Per le vocazioni or-
dinarie si può tenere, che in due modi Iddio
fa per lo più conoscere la sua volontà a quelli
che egli chiama allo stato religioso. Il primo
è un attraimento sensibile, che l'eletto prova
fin dall'infanzia per abbracciare in generale
la vita religiosa, ed anche per abbracciare un
certo ordine o congregazione determinata, o
per andar missionario. Questo attraimento è
accompagnato da disprezzo per le cose del
mondo, da stima per quelle della religione,
e da un desiderio costante di consacrarsi tutto
(1) • Cantemus Domino: gloriose enim magnifica-
tila est... Fortitudo mea, et laus mea Dominus, et fac-
tus est mihi in salutem: iste Deus meus, et glorificato
eum; Deus patris mei, et exaltabo eum > (Esodo, XV,
1-2).
——
intieramente a Dio e di salvare delle anime.
Se tu hai avuta la tua vocazione in questo
modo è un dono gratuito. Egli te lo compartì
senza che tu per nulla te lo meritassi, e ti li-
berò in questo modo da mille angustie e pro-
ve, che avrebbero potuto farti soccombere.
Nel secondo modo Dio chiama per via di ra-
gionamento e di vocazione. Si comincia dal
considerare più seriamente del solito l'obbli-
go d'attendere alla salvezza dell'anima: si pas-
sa a considerare, che per salvarsi è necessa-
rio praticare le massime del Vangelo, e lo si
desidera vivamente. Non occorre gran consi-
derazione per constatare quanto sia difficile
tal pratica stando nel mondo, e così si insi-
nua poco a poco nell'anima il pensiero di la-
sciarlo e di ritirarsi per vivere tutti di Dio.
Questo lume interiore si forma lentamente,
per una serie di convizioni già dedotte le une
dalle altre, e produce già, mentre l'individuo
vive ancora nel secolo, un gran progresso nel
bene. È un lume che poco per volta si fa così
chiaro, da non potere non capirsi che esso vie-
ne certamente da Dio. Se ciò non venne prima,
viene specialmente nei primi mesi del noviziato,
forse dopo alcune prove più o meno dolorose.
Ed allora si resta tutti consolati, nella certez-
za di non essersi sbagliati nella scelta dello
stato. Se a te venne la vocazione in questo
modo, sappi che devi seguirla, quantunque
questo lume non sia mai stato accompagnato
;a attraimento sensibile verso lo stato reli-

2.10 Page 20

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— 30 —
gioso. Per abbracciarlo basta sapere che in
questo stato puoi amare di più il Signore,
e lo puoi servire meglio, che puoi guadagnarti
con più sicurezza il paradiso. Ti sentissi pure
difficoltà gravi, e persin ripugnanza, va' avan-
ti con sicurezza, chè la via ti fu, insensi-
bilmente sì, ma certamente tracciata dal Si-
gnore. In molte altre maniere può il Signore
far conoscere la sua volontà. Alcune volte si
serve delle disgrazie, della povertà, dei dispia-
ceri di famiglia, delle persecuzioni; altre vol-
te il Signore giunge fino al punto di bontà di
prendere occasione dai maggiori peccati com-
messi da uno, per aprirgli gli occhi, farlo
disgustare del mondo, e condurlo alla reli-
gione. Ma qualunque mezzo Iddio abbia vo-
luto adoperare verso di te, tu che ti sei sen-
tito chiamato alla vita religiosa, e che essen-
do stato accettato dai superiori ne hai già
avuto una conferma, devi ringraziare il Si-
gnore e mettere tutte le tue forze per corri-
spondere, e rendertene meno indegno che ti
sìa possibile. E se, per riuscire a questo, do-
vessi ben anche far gravissimi sacrilici, non
lasciarti intimorire: ricordati che i Santi Pa-
dri concordemente tengono la vocazione come
un segno sicuro di predestinazione. Sant'Al-
fonso dà per certo, e Don Bosco ce lo confer-
ma, che nessuno, il quale debitamente perse-
veri in congregazione, si dannerà. E, per non
scoraggiarti, ricordati inoltre che non devi
far tutto da te; anzi il più lo ha da fare e
— Si-
lo fa certamente quel Signore, che ti diede
la vocazione. « Chi ha incominciata l'opera
buona, la condurrà a termine (1) ». La parte
tua è che tu corrisponda, cioè che non metta
ostacolo con la tua cattiva volontà alle grazie
che il Signore vuol farti, e che faccia quello
che puoi per assecondare quelle che ti ha già
fatto. La Madonna ti farà in ogni caso da
mamma tenerissima, se tu le sarai divoto e la
invocherai con filiale fiducia.
Pertanto tu procura di non esitare un
istante a seguire la vocazione quando l'avessi
sentita. Imita gli Apostoli ed i santi. San
Pietro e Sant'Andrea mentre stavano pescan-
do furono chiamati dal Divin Maestro a se-
guirlo, ed essi, dice il Vangelo, « lasciate le reti
10 seguirono ». Anche San Giacomo e San
Giovanni erano nella barca col padre quan-
do Gesù li chiamò; ed essi senz'altro « lo se-
guirono abbandonando il padre e le reti ».
Sant'Antonio abate sente in chiesa a leggere
11 Vangelo dove Gesù dice ad un giovane:
< Va', vendi ciò che hai, dàllo ai poveri e
seguimi ». Tenne queste parole come dette a
sè: andò, vendette, diede ai poveri, si ritirò
nel deserto; santificò sè e fu padre d'innu-
ruerevoli santi. Mentre invece, di un giovane
che avrebbe voluto seguirlo ma domandava
dilazione, Gesù disse: « Non è atto per il re-
gno di Dìo». Coraggio: qualunque difficoltà
(1) « Qui coepit opus boirum, perficiet » ( F i l i p v I . 6).

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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——
s'interponga tu di': il Signore lo vuole, an-
diamo. E non badare ad altro; le difficoltà si
scioglieranno in seguito.
CAPO IV
NECESSITÀ DI CORRISPONDERE
ALLA VOCAZIONE,
E MODO DI CORRISPONDERE BENE
1 chiamati e gli eletti.
Conviene che il religioso abbia sempre
davanti agli occhi che la vocazione, e la per-
severanza nella vocazione, sono due grazie
distinte e non da confondersi l'una con l'al-
tra. La prima è generalmente un dono affatto
gratuito, e conceduto senza verun merito pre-
cedente; ma la seconda deve sempre meritarsi
colla preghiera, colle buone opere, colla cor-
rispondenza fedele alla grazia. « Si può esser
chiamati da Dio, dice Sant'Alfonso, anche in
mezzo ai nostri demeriti; ma non si può avere
la grazia della perseveranza se non la meri-
tiamo con la preghiera e con le buone opere ».
Perciò non ti rincresca, o mio buon ascritto,
che ancor una volta ti trattenga su questo
argomento, e ti scongiuri per le viscere di Ge-
sù Cristo, a meritarti coi tuoi sforzi grandi
——
r continui, questa eletta grazia della perse-
veranza. Ricordati, che a chi ben comincia il
premio si promette solamente, ma non si dà
se non a chi persevera (1). Tieni sempre alta-
mente impresso nella tua mente quel detto
evangelico che: « molti son chiamati ma po-
chi gli eletti (2) ». E questo ti faccia tosto
rinsavire, quando cominciassi a dare indietro
nei tuoi buoni propositi. Ricorda sempre che
furono più di seicentomila gli uomini, senza
contare le donne ed i fanciulli, che uscirono
dall'Egitto tra i miracoli ed i prodigi; ma tra
xanti non furono che due i quali entrarono
nella terra promessa; tutti gli altri morirono
nel deserto essendo stati infedeli alla grazia
del Signore, essendosi lasciati portare alle
mormorazioni, alle disubbidienze, e ad altri
peccati. Ricorda che Saulle fu scelto re di
Israele da Dio medesimo, e consacrato tale dal
profeta Samuele; tuttavia, non avendo corri-
sposto alla grazia, fu riprovato. La vocazione
di Giuda all'apostolato fu certa e vera, poi-
ché essa veniva direttamente da Gesù; ma,
avendo mancato alla grazia della vocazione,
Giuda divenne un traditore ed un demo-
nio (3). Dopo sì terribile esempio qual reli-
(1) • Incipientibus praemium promittitur, perse-
verantibus autem datur ».
(2) « Multi sunt vocati, pauci vero electi » (MAT-
TEO, X X I I , 14).
(3) « E x vobis unus diabolus est » (Giov., VII, 71).

3.2 Page 22

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— 34 —
gioso oserebbe star tranquillo dicendo a se
stesso: Io sono sicuro di me, la mia vocazione
è certa; essendo il Signore che mi ha chia-
mato, io non temo di nulla? Senza la corri-
spondenza a nulla ti servirebbe la tua voca-
zione: anzi ti servirebbe a condanna.
Dovere di corrispondere alla vocazione.
Non basta pertanto l'aver conosciuta la
preziosità della vocazione: bisogna che ti oc-
cupi seriamente a ben corrispondere ad essa,
come la cosa più necessaria per la tua perse-
veranza e per la tua eterna salute. Essendo
la grazia della vocazione allo stato religioso
un beneficio talmente grande, che, oltre quello
della redenzione, nessun altro è maggiore,
ciascuno deve corrispondere a proporzione
della sublimità del dono. « Grande, diceva
a' suoi religiosi San Bernardo, grande assai
è sopra di noi la misericordia del Signore,
rVe per virtù ineffabile del divino suo spirito.
L per dono inestimabile della sua grazia, ci
ha sottratti alla vana conversazione del secolo
ingannatore (1) ». Chè se ognuno di noi, con-
tinua a dire questo santo, attentamente con-
sidera non solo donde sia stato tolto, ma
(1) «Magna est super nos, magna valde miseri-
cordia Dei nostri, quos tajn ineffabili spiritua sui vir-
tute, tam inaestimabili dono gratiae suae eripuit de
vana nostra conversatione huius saeculi » (Serm., 27.
De. divers. n. 1).
eziandio dove sia stato collocato; non solo a
quali mali sia stato sottratto, ma anche
di quali beni sia stato colmato; non solo da
che luogo sia stato liberato ma anche a che
sia stato chiamato, rileverà senza fallo, che il
cumulo di questa misericordia sorpassa oltre-
modo la grandezza e la misura di ogni altra
grazia. Apparirà anzi, segue à dire San Ber-
nardo, tanto più smisurata l'estensione di que-
sta misericordia, se si rifletterà, che Iddio ci
chiamò a sè nella religione sebbene non abbia
in noi ravvisato merito veruno, anzi avendo
in noi visti demeriti, e talvolta ancora deme-
riti grandi e molti, e avendoci perciò visti in-
grati ed immeritevoli di sì gran dono.
Piacesse però al cielo, conclude il santo,
che spesso si facesse presente agli occhi del
nostro cuore la tetra immagine delle nostre
tenebre e della detestabile nostra malvagità,
onde attentamente riflettendo alla grandezza
della nostra meschinità, venissimo a conosce-
re, se non interamente almeno a sufficienza,
quanto sia stata grande la misericordia del
nostro Divin Liberatore, per concepirne la do-
vuta stima e mostrargliene grata corrispon-
denza.
Che sia il corrispondere alla vocazione.
Vedasi ora in che consista la corrispon-
denza, che il religioso deve alla misericordia

3.3 Page 23

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— 36 —
del suo buon Dio per la grazia della vocazio-
ne. Allorché il Signore volle sottomettere il
suo popolo a tutte le osservanze e ai riti le-
gali prescritti dal Levitico, non gli prospettò,
per obbligarlo a una inviolabile ubbidienza,
che il beneficio dispensatogli dalla sua destra,
onnipotente coll'averlo sottratto alla schiavitù
d'Egitto e guidato per vie mirabili verso la
terra promessa. « Rammentatevi, disse loro, che
io sono stato il vostro Dio, il vostro liberatore,
colui che vi sciolse dalle catene, in cui, meschini,
eravate avvinti sotto la barbara cattività di Fa-
raone ». Io sono il Signore che vi ha liberato
dalla schiavitù di Egitto. Per gratitudine do-
vuta al dono della mia clemenza dovete pun-
tualmente eseguire le mie intenzioni, osser-
vando quanto vi si prescrive nelle mie leggi;
affinchè non abbiate a macchiare le vostre
anime col trasgredirle. Badate alla vostra
santificazione, dovendo essere santi ancor voi
siccome santo sono io. Ciò che pretese Iddio
dal suo popolo in corrispondenza d'averlo
liberato dall'Egitto, pretende similmente dai
religiosi, liberati anch'essi per sua infinita
misericordia dall'Egitto del secolo, e collocati
in seno alla religione, ove vuole che essi si
facciano santi e perfetti come santo e perfetto
è lui stesso, il Signore. E la perfezione e san-
tità, a cui Iddio vuole che tenda con ogni
sua forza il religioso, è quella che deriva dal-
l'esatto adempimento di tutti i doveri del pro-
——
prio stato. Questo è il vero contrassegno della
riconoscenza alle misericordie del Signore. Il
gran punto per consolidare la propria voca-
zione, e corrispondere con perseveranza, sta
nel far bene e per amore del Signore i propri
doveri, ed esercitarsi nelle virtù proprie dello
stato, che s'intraprende. È l'apostolo San
Pietro che c'inculca con gran forza questa ve-
rità. O fratelli, dice, studiatevi di rendere cer-
ta la vocazione ed elezione vostra per mezzo
delle buone opere, poiché facendo in questo mo-
do, non peccherete giammai (1). Dunque è
necessario che le tue buone opere siano stra-
ordinarie. Per te ora nel noviziato esse consi-
stono nell'essere fedele alla grazia, tenace alla
regola, attivo nel praticare i suggerimenti del
Maestro; in nessuna cosa cercare il piacere o
la comodità tua, ma fare sempre ciò che piace
di più al Signore. Se pertanto tu ti sforzi e
t'abitui a questo nei tre anni almeno che de-
vi passare nelle case di formazione, tu puoi
stare quasi certo che persevererai nella voca-
zione. Conserverai per tutta la vita quell'ar-
dore nel bene, quella tenacia nell'osservanza
delle regole, quel fondo di pietà e di regola-
rità, quel carattere mite, paziente e caritate-
vole che vi avrai acquistato.
(1) « Fratres, magis satagite ut per bona opera
certam vestram vocationem et electionem faciatis
haec
TRO,
eni
Ep.
mnf,ac1i,en1te0s),.
non
peccabitis
aliquando » (PIE-

3.4 Page 24

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-
-
Come corrispondere.
Ma bisogna pensare sul serio a regolare i
tuoi pensieri, le tue parole e le tue azioni.
La norma suprema, semplicissima, sicurissima
per regolare bene e pensieri, e parole ed
opere, è il tenersi sempre alla presenza di Dio.
Questo si può chiamare farmaco universale
e mezzo generale per arrivare alla perfezione.
Non lasciarti scaldare la fantasia da progetti
inopportuni e chimerici. Essi fomentano la va-
nità e l'orgoglio, logorano le forze interiori,
e impediscono di applicarti seriamente al la -
voro ed alla preghiera.
Sventa l'arte finissima di Satana, presen-
tando a Dio ed al tuo direttore di spirito ciò
che ti sembra avere qualche importanza pra-
tica; e rigetta tutte le altre fantasmagorie.
Vivi le verità che impari e le convinzioni che
ti formi. Per regolare le proprie parole, ap-
plicati ad acquistare lo spirito del silenzio
religioso. San Giacomo ci insegna ad essere
pronti ad ascoltare ma tardi nel parlare, e
dice chiaro: Vana è la religione di colui, che
pensa d'esser religioso non raffrenando la sua
lingua (1). Devonsi infine regolare le proprie
azioni badando all'intenzione con cui le opere
si fanno, e alla loro esecuzione. Desidera di
glorificare Dio in ogni cosa, e proverai la
(1) « Si quis putat se religiosum esse, non refre--
nans linguam suam..., huins vana est religio » (I. '261-
— 39 —
noia di piacergfi. Nei piccoli e grandi doveri
abituati ad essere sempre giudizioso prefe-
rendo il buono all'utile, il meglio al bene, e sii
in tutto dibgente. Nelle tue azioni procura d'es-
?ere anche diligente e pronto, e di condurle a
termine nel tempo e modo prescritti. Infine
ti gioverà moltissimo alla perseveranza nella
tua vocazione l'osservanza esatta delle regole.
Sono le regole che formano e custodiscono
i religiosi! Permettimi ti aggiunga, che se vuoi
davvero essere perseverante nella tua voca-
zione, alle cose fin qui dette, devi ancora uni-
re una tenera divozione alla Beata Vergine.
Questa nostra Signora Immacolata, poten-
te Ausiliatrice dei Cristiani, è la buona Mamma
dei Salesiani; essa che ti diede il principio
della vocazione te ne darà anche la perseve-
ranza. Vorrei dire, che chi vuol perseverare
nella vocazione, e non è divoto della Madon
na, « sua disianza vuol volar senz'ali ». Nè
dimenticare di chiedere l'intercessione di San
Giuseppe, nonché del nostro buon padre e
fondatore Don Bosco, e di Don Beltrami, e
di quegli altri santi confratelli, della nostra Pia
Società che emersero più in virtù. Essi sono i
nostri modelli nella vocazione; siano pure i
nostri protettori.

3.5 Page 25

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CAPO V
DEL FINE E DELLA NATURA
DEL NOVIZIATO
Fine del noviziato.
Il fine del noviziato è doppio: cioè 1° pro-
vare ed essere provati; 2° insegnare teorica-
mente la vita religiosa. Lo stato religioso per
mezzo dei santi voti stringe tra l'istituto e
l'individuo che vi entra una specie di con-
tratto, che porta da ambe le parti conseguen-
ze gravissime e per tutta la vita. L'istituto si
obbliga di mantenere il confratello e som-
ministrargli i mezzi di santificazione; e l'indi-
viduo si obbliga di vivere secondo lo spirito
dell'istituto, tendendo alla perfezione ed os-
servando le regole ed i santi voti che vi emet-
te. Non conviene perciò nè che l'individuo ab-
bracci l'istituto con dati dubbi o poco cono-
sciuti, nè che l'istituto accetti chi non avesse
il suo spirito e le qualità necessarie per farsi
santo in esso.
L'ascritto prova se stesso e la congregazione.
Dunque per prima cosa il noviziato è fatto
perchè l'individuo, prima di abbracciare lo
— 41 —
stato religioso, provi in pratica lo stato che
vuole abbracciare. Anche le anime meglio in-
tenzionate, stando nel mondo, per lo più non
-anno idee esatte sulla vita religiosa. Alle
folte si decidono ad abbracciarla attratte più
dall'immaginazione che dalla riflessione: non
conoscono le proprie forze, nè le obbligazioni
:ne s'impongono. Conviene perciò, che prima
di obbligarvisi definitivamente, provino e ven-
dano bene alla pratica, e vedano chiaramente
le cose coi propri occhi. E questo è appunto
ciò che si fa nel tempo del noviziato. Discer-
nerai molto meglio se la congregazione è fatta
per te con la pratica, che con la considerazio-
ne. Qui avrai campo a giudicare meglio se i
tuoi doveri concreti sono proporzionati alle
tue inclinazioni, al tuo carattere, alle tue ten-
denze ed alle medesime tue forze fisiche. Qui
vedi le cose in pratica, senti leggere e spie-
gare le regole; qui ricevi continuamente av-
visi e ammaestramenti opportuni, e vieni a
ronoscere esattamente i doveri che t'incombo-
no, e il peso che avresti da addossarti per
tutta la vita. Guai se tu passi questo tempo
senza riflettere seriamente sopra te stesso, e
^enza consolidarti nei sodi principi della vita
riligiosa! Serviti quindi bene di questo tempo.
Questo è anche il motivo principale per cui,
quelli che fanno il loro anno di probazione,
devono osservare le pratiche dell'istituto con
ratta esattezza, sebbene non abbiano ancora
-onta-atto con l'istituto medesimo vincolo al-

3.6 Page 26

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— 42 —
cuno, colla professione. Tu sappi pertanto che
non devi osservare le regole solo per obbe-
dienza e per reciproca edificazione, ma anche
per motivo di prudenza; onde conoscere cioè
se sarai capace in seguito di osservarle bene,
tutte, sempre. Perchè se nel noviziato non le
osservi bene, non potresti capire abbastanza
se ti sentirai di osservarle per tutta la vita,
e se perciò la congregazione è fatta per te,
e se tu sei fatto per la congregazione. Cerca
anche di capire in pratica che farsi religioso
vuol dire: mi lego strettamente a Gesù Cristo
per seguirlo dappertutto, sino al Calvario, si-
no a lasciarmi configgere in croce con lui.
Gesù dice schietto a chi si mette alla sua se-
quela: Rinnega te stesso, abbraccia i flagelli,
le spine, la croce. Ebbene: provati sodamente
durante il noviziato, per vedere se sei capace
di abituarti a queste cose. Bisogna che ti for-
mi alla rinuncia dei tuoi gusti e delle tue
abitudini per prendere in tutto i gusti e le
abitudini di Gesù. Ciò è troppo importante
affinchè una volta impegnato a seguir Gesù
Cristo in una congregazione, non trovi poi la
via troppo dura ed abbi poi a dire: Oh se
avessi saputo...! Tu prova bene nel tempo
del noviziato, e vedrai quel che puoi e quel
che non puoi sopportare. Iddio non ti lascerà
mancare la sua grazia e le necessarie consola-
zioni; ma assolutamente vuole da te genero-
sità e perseveranza. In pratica pertanto devi
scrutare te stesso, e venire a conoscere se hai
——
la decisione assoluta d'abbracciare la nostra
società. Devi istruirti sui doveri che la vita
religiosa prescrive, e vedere se hai le qualità
necessarie per poter farti santo in essa. Spe-
cialmente devi esaminarti se, col divino aiuto
il quale non manca mai), ti senti le forze
-ufficienti per eseguire poi, per tutta la vita,
gli obblighi che il nuovo stato di vita t'impo-
ne. Poiché abbracciare le regole e poi non
praticarle, fare i voti e poi trasgredirli, pro-
mettere stabilità perpetua nella congregazio-
ne e poi uscirne, è un vero spergiuro. Perciò
il Signore se ne .mostra gravissimamente of-
feso, e fulmina coloro che così agiscono con
quelle terribili parole: Costoro non sono atti
per il regno dei cieli.
Nel noviziato l'istituto prova il novizio.
D'altra parte conviene che un istituto, pri-
ma di accettare un confratello, lo provi in ogni
modo, e non lo accetti se non lo trova proprio
ben preparato e ben adatto. Molte volte chi
a primo aspetto si giudicherebbe ottimo, scru-
tate le cose a fondo si scorge essere ben lungi
da quello che a primo aspetto appariva; e
chi si giudicherebbe atto, dà poi prove evi-
denti di essere affatto inetto agli uffici della
società che abbraccia. Non sono mai troppe
le cure che si prende una congregazione per

3.7 Page 27

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— 44 —
assicurarsi di coloro che ammette nel suo se-
no, e la rigorosità nel non ammettere se non
quelli che dànno morale certezza d'essere
chiamati da Dio a farne parte. Questo giova
al conveniente funzionamento della congrega-
zione stessa ed in pari tempo giova agli in-
dividui, cui impedisce un passo sbagliato. Si
investighi assai se essi abbiano le forze suffi-
cienti, un carattere adatto, attitudini conve-
nienti allo stato che essi desiderano abbrac-
ciare, e se dan segno di sufficiente fortezza
per corrispondere alla grazia della vocazione;
se han tanto zelo, fin dal noviziato, che meri-
tino davvero di essere ammessi alla profes-
sione dei santi voti religiosi. Se pertanto i
superiori non trovassero in te, o mio buon
ascritto, le doti opportune, come se la tua
salute non reggesse, i tuoi talenti per gli studi
non fossero sufficienti per il nostro stato di
vita; se trovassero che il tuo carattere, i tuoi
difetti, che potrebbero anche non impedirti
d'andare in paradiso, fossero tali da turbare
l'armonia generale della comunità, e per que-
ste cose essi ti licenziassero: tu non avresti
motivo a lamentarti di queste disposizioni.
Dovresti separarti da loro senza fare il mi-
nimo lamento persuaso che uscendo non fai
male, e che non vi è ragione da parte tua ad
inquietudine alcuna.
——
Nel noviziato l'ascritto si prepara alla vita
religiosa.
Oltre questa duplice prova, il noviziato ha
anche un altro fine: esso è una preparazione,
o scuola preparatoria, nella quale gli ascritti
si abilitano alla vita che devono poi condurre.
In questa scuola sono istruiti, e come con-
dotti per mano alla perfetta vita cristiana ed
alla vita religiosa. Poiché è da conoscer bene,
che la vita religiosa è diametralmente opposta
alla vita condotta secondo i soli movimenti
della natura. Il religioso che guarda le cose
della fede, deve considerare come spazzatura,
e calpestare ciò che i mondani amano ed ado-
rano; e per sè deve cercare e scegliere ciò
che i mondani hanno in orrore. Il giovane
che viene dal mondo, anche quando vi abbia
vissuto piamente, non prende subito lo spiri-
to della comunità; né si forma così presto a
quella vita soprannaturale, che è la vita di
ogni persona consacrata a Dio. Inoltre lo spi-
rito d'ogni istituto religioso ha un'atmosfera
speciale, che s'insinua poco a poco, che im-
pregna le anime ed i caratteri, e dà loro per
così dire, una novella natura. Essa agisce
tanto più sicuramente quanto più trova le
anime ben preparate. Ma per riuscire a que-
sto, la scuola deve essere ben energica, perchè
in fin dei conti ha da rifare tutto l'uomo.

3.8 Page 28

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— 6—
Necessità di questa preparazione.
E se questo cambiamento di te stesso tu
non lo attui nel noviziato, come puoi sperare
che lo praticherai poi per tutta la vita? Que-
sta abilitazione, questo mutamento di costumi
e di gusti, questa totale mortificazione delle
passioni, dev'essere la mèta, a toccar la quale
devi applicarti con tutta la potenza del tuo
spirito e con tutta l'energia del tuo cuore.
Poiché non è da considerarsi come facile. An-
che le anime più rette e prudenti, sebbene en-
trando conoscano in generale che la vita reli-
giosa è una vita di abnegazione e di sacrificio,
non conoscono i particolari di questi sacrifizi,
e non hanno ancora imparato il modo di su-
perarli; oiid'è che alla prova vari non resi-
stono, e tornano indietro. Essi, prima di en-
trare non videro che il lato brillante del di-
stacco e del sacrifizio, senza indagare le forze
che si richiedono per essere perseveranti in
essi, e senza aver imparato il modo pratico
di superare le difficoltà, che si frappongono
per compire il loro disegno. Si è in una età
in cui la vita si mostra ridente, e non si bada
a quel che viene dopo. Si sa che bisogna far
violenza al proprio cuore nel lasciare la fa-
miglia, nell'abbracciare la castità perfetta,
nell'eseguire la vera povertà in pratica e il
rinnegamento della propria volontà. Il cuore
generoso fa con slancio questi sacrifizi; ma.
se non è ammaestrato ben bene nel noviziato
— 47 —
sul modo pratico di superarli con calma e
senza esagerazione, si vede poi in faccia a
difficoltà che non potrà colle forze ordinarie
superare, e si scoraggerà. Invece se fosse stato
ben ammaestrato prima, e avesse prese le cose
bene per il loro verso, tutto sarebbe riuscito.
In fondo del cuore il giovane dice: « Ho da
superare grandi sacrifici; ma una volta che
abbia fatto i miei voti, sarò felice ». Ed inve-
ce accade alle volte che, non avendo fatto
abbastanza profitto nella scuola del noviziato,
non saprà poi prendere le cose sotto il loro
vero aspetto, e verrà il rimpianto della vita
ideale alla presenza della vita reale. Oh sì!
te lo assicuro, tu sarai davvero felice nella
vita religiosa: il tuo cuore e la tua anima vi
troveranno una pace ed una gioia inenarra-
bile! Ma ciò a due condizioni: che cioè vi sia
stata prima una vera vocazione, e non sia
entrato con fini storti o sbadatamente; e poi
che nella scuola del noviziato abbia acquistato
l'energia e imparato il modo pratico di supe-
rare le difficoltà per corrispondere a detta
vocazione. Non andare avanti senza il consi-
glio dei superiori, i quali, avendoti conosciuto
molto a fondo nel noviziato, possono giudi-
care e della vocazione avuta e della tua ener-
gia per corrispondervi. E questi superiori
non vi è pericolo che cerchino, come si suol di-
re qualche volta, di tirar l'acqua al proprio
mulino, cioè di consigliarti ad emettere i santi
voti, se non ti trovano perfettamente atto al

3.9 Page 29

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— 48 —
loro stato di vita! Anzi hanno interesse di non
ammettere nella comunità una vocazione va-
cillante, o dubbiosa, o mal atta. In questo
caso, senza poter riuscire a santificar te, si
prenderebbero in seno chi darebbe loro dei
fastidi forse per tutta la vita.
Nel noviziato l'ascritto si prepara alla vita
propria dell'istituto.
Il noviziato deve anche considerarsi come
una palestra di abilitazione allo stato che si
vuole abbracciare, per un altro motivo. Oltre
alle virtù e doti generali, che si debbono ave-
re per abbracciare lo stato religioso, è neces-
sario che il postulante venga a conoscere pie-
namente e particolareggiatamente il fine e
l'indole dell'istituto a cui desidera venire ag-
gregato, ne impari e anticipatamente ne adem-
pia le obbligazioni. Ora, duplice è il fine del
nostro pio istituto: Il primo consiste nella
propria santificazione, il secondo nel procu-
rare la virtù e felicità degli altri, e special-
mente della gioventù più povera ed abbando-
nata. Il primo fine lo abbiamo comune con
tutti gli altri istituti religiosi. Perciò nella
nostra Società, come in tutte le altre religioni,
si fanno i tre voti consueti di povertà, di ca-
stità e di obbedienza, con l'esecuzione dei
quali si tende alla perfezione. Il secondo fine
ci distingue da tutti gli ordini puramente con-
——
templativi. E quantunque conveniamo con altre
congregazioni religiose, le quali pure hanno per
fine la vita attiva, ed alcune anche l'educazio-
ne della gioventù, la nostra ha la nota spe-
cifica che, senz'essere estranei nelle altre ope-
re buone, « noi esercitiamo ogni opera di cari-
tà spirituale e corporale verso 1 giovani, spe-
cialmente i più poveri ».
Qualità necessarie alla vita salesiana.
Che se in realtà questo scopo è il più no-
bile ed il più bello, bisogna considerare che
il suo effettuamento richiede fatiche e violen-
ze tali contro il proprio naturale, richiede
tante attitudini fisiche ed intellettuali, e so-
dezza tale di virtù, che non sono alla portata
di tutti. Non vi riescono a pieno se non quelli
che sanno continuamente mortificarsi e com-
battere contro se stessi, che sanno per tutta
la vita rinunziare alle proprie comodità, per
adattarsi alle comodità dei giovani; coloro
che hanno virtù tali da poter camminare sul-
le brage senza abbruciarsi, cioè che sono
luna castigatezza tale di costumi da poter
con sicurezza di se stessi trattare con giovani,
lite già bevettero a larghi sorsi il calice di
Babilonia, e vengono a noi tuttora mal av-
vezzati e capaci ad essere provocatori; coloro
:ae hanno carattere tale, che anche in mezzo
tHe contraddizioni ed inavvertenze, inevita-

3.10 Page 30

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— 50 —
bili nelle grandi case, in mezzo a caratteri
d'ogni sorta, sanno tollerar tutto, e non pen-
sano che a camminar dritti verso la loro meta
allegramente, anche passando tra fittissime
spine. Tu pertanto alla palestra del noviziato
procura di renderti forte e robusto nelle virtù,
addestrato ad ogni sacrifizio. E se non ti sen-
tissi capace a vincerti, e fossi inclinato ad
una vita comoda, a stare da te solo, a pen-
sar solo alla tua santificazione, e specialmen-
te se non ti sentissi capace a raffrenarti dal-
l'ira, fermissimo nel prendere i mezzi per
conservare la castità più perfetta, e per as
soggettar bene la tua volontà, torna indietro
cerca altra congregazione. Non incaponirti
a voler seguire una via che non è la tua.
A questo punto specialmente rileggi e con-
sidera le parole di Don Bosco nella prefazione
delle regole, al capo in cui si parla della ca-
stità; vedi quanto occorre fare, ed opera
energicamente.
Come riuscire?
Mettiti pertanto di tutta buona volontà
all'opera. Spogliarti dell'uomo vecchio, scac-
ciare dall'animo lo spirito mondano, vincere
e distruggere le prave inclinazioni e le cat
tive usanze; rivestire l'uomo nuovo ed inne-
stare nel tuo cuore i germi delle sante virtù
ecco l'opera alla quale devi applicarti con ze-
— 1—
lo generoso ed instancabile, zelo che ti presta
io stesso tuo ardore giovanile di novizio. Per
dar comodità a questa riforma, nelle case di
noviziato e di studentato è allontanata ogni
occasione, che possa impedire il progresso
nelle virtù. Tutte le azioni sono regolate da
norme adatte, ed ogni casa è così ordinata,
da rappresentare l'immagine di quel sacro
collegio, nel quale Gesù benedetto formò i
>uoi dodici discepoli all'apostolato. Conside-
randoti pertanto come bambino nella via d^lla
virtù, lasciati guidare dal Maestro, con una
semplicità di cuore tutta straordinaria, stando
nelle sue mani come un bambino nelle brac-
cia della madre. Considerati come cera mol-
le, che ha da prendere la forma che il supe-
riore si sforza di darle; come materia greg-
na, che dal superiore ha da essere cambiata
in vaso di elezione. Considerati, in una parola,
come un piccolo discepolo; il superiore è il
Signore; i compagni sono gli altri discepoli,
che insieme a te devono in breve essere cam-
biati in altrettanti apostoli, atti a procurare
rl'interessi di Gesù, ed a salvare le anime.
In ultimo devi ben comprendere, che la vita
religiosa è un olocausto perfetto, che uno fa
:i se stesso a Dio. All'appello della grazia,
anima fedele che viene dal secolo, e che si
presenta per essere accettata in una congre-
razione, domanda perciò d'immolarsi a Dio
per il resto della sua vita. Può essere che que-
«i'anima non conosca appieno la grandezza

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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——
del favore che domanda; ma in realtà la gra-
zia della vocazione la conduce all'immola-
zione di se stessa a Dio. Solo in paradiso con-
prenderà la meravigliosa importanza di una
grazia così preziosa! Essa pertanto viene al
noviziato come ad un tempio, dove ha da far-
si questa immolazione assoluta e perpetua
di se stessa a Dio; ed il tempo del noviziato
è stabilito perchè quest'anima si prepari con
fervore ad essere offerta come vittima. Que-
sta preparazione consiste in una purificazione
sempre più perfetta di se stessa, affinchè nel
giorno della consacrazione definitiva a Dio
e quindi della sua immolazione, il giorno in
cui si emettono i voti, essa sia veramente de-
gna di colui, avanti al quale si consumerà
l'olocausto. Tale è l'idea che devi farti del
noviziato, e tale è la preparazione che devi
premettere ai santi voti.
Utili paragoni del noviziato.
Vuoi ancora sempre meglio capire che co-
sa sia il noviziato? Ecco: il noviziato deve
essere come una fornace, da cui l'anima deve
uscire purificata dai suoi difetti. Da tenace
nella tua volontà, devi divenire sottomesso;
da egoista, affabile; da irascibile, mansueto
come un agnello; da suscettibile e sensuale,
forte, coraggioso, mortificato. — Il noviziato
deve essere una forma da cui l'anima deve
——
uscire formata alla vita nuova. — Il novizia-
to deve essere come un arsenale, in cui l'ani-
ma trova e prende le armi opportune, difen-
sive ed offensive, contro il comune nemico;
e dove essa stessa fabbrica una corazza, che
la renda quasi invulnerabile. — Il noviziato
deve essere come una nuova creazione, in cui
uno crea quel che gli manca, e forma real-
mente l'uomo nuovo secondo Iddio. — 11 no-
viziato dev'essere un focolare, a cui si attinga
il fervore dovuto; — dev'essere una fucina,
dove il ferro si rammollisce per poter essere
lavorato; — deve essere una lima, che raffina
le virtù, da rudi che prima erano.
Che si deve fare nel noviziato.
La formica immagazzina d'estate quanto
le abbisogna per l'inverno, e lo Spirito Santo
ci manda dalla formica ad imparare: «Va',
o pigro, dalla formica e impara ». Nel tempo
del noviziato e dello studentato tu devi fare
come fa la formica d'estate, e procurare di
immagazzinare virtù e scienza, in modo che
abbiano a servirti per tutta la vita. — Lo
scultore, che da un rozzo masso di pietra o
di marmo vuole trarre una magnifica statua,
che cosa fa? Dà di piglio ad uno scalpello e
ad un martello, e non cessa di battere adegua-
tamente finché dal masso non scaturisca,
bella, fina e delicata la figura che vuol ripro-

4.2 Page 32

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— 54 —
durre. Il masso non si lamenta d'esser mar-
tirizzato con tanti replicati colpi, perchè sa
venir da quelli perfezionato; anzi pare gioir-
ne perchè vede ridursi a magnifica statua.
Tu pure devi capire esser questa l'opera che
deve fare il superiore con te. Sei un rozzo
masso: vuoi che egli ti riduca a bellissima
statua da poter fare bella figura in paradisa?
Lasciati martellare, lasciati battere, lasciati
martirizzare ben bene. Tu stesso devi defide-
rare, che con replicati colpi di ammaestra-
menti, d'avvisi, di ammonizioni, di rimpro-
veri, e se occorre anche di disciplina, il supe-
riore ti rifini, ti ripulisca, ti perfezioni. — I
medici dicono che bisogna rendere robusto il
corpo nella gioventù; altrimenti rimane poi
anemico, rachitico, debole per tutta la vita,
o si muore presto. Così tu nel noviziato e
studentato devi cercare d'irrobustirti nelle vir-
tù; altrimenti sarai poco virtuoso per tutta
la vita, od anche morrai presto alla grazia
di Dio, e persino alla religione, da cui defe-
zioneresti per tua somma sventura. — Per
rinforzarsi, il celeberrimo igienista mons.
Kneipp dice convenire passeggiar scalzi, ad-
destrarsi alla vita dura, all'aria libera, a cibi
parchi e sostanziosi. E tu per renderti robu-
sto nelle virtù religiose scalzati bene della
propria volontà, addestrati alla vita dura del-
la mortificazione, all'aria libera da rispetti
umani, a cibi sostanziosi di preghiera e d'i-
struzione religiosa. Quando un terreno fu per
molto tempo incolto, non basta togliere da
quello le spine e le erbe cattive, non bastano
le piccole cure: ci vuole addirittura uno scas-
so profondo. Così del cuore di chi viene al
noviziato: alle volte esso è terreno da molto
tempo incolto, ed è necessario uno scasso pro-
fondo. Senza questo scasso, che si può fare
solo con un noviziato serio e rigoroso, non si
riuscirà a nulla. Le piccole cure a tempi di-
versi non approdano; il terreno è troppo duro,
ed appena l'anno intiero del noviziato è suf-
ficiente. San Luigi soleva dire d'aver impa-
rato dal marchese suo padre questa verità:
che quando una persona piglia a fare qual-
che cosa, deve sforzarsi di farla con la mag-
gior perfezione possibile; o non addossarsi
un impegno, o, accettato, disimpegnarlo bene;
e che avendo avuto questo sentimento suo
padre nelle cose del mondo era più doveroso
che egli lo avesse nelle cose di Dio. Tu col
fatto devi dimostrare quanto sia giusto que-
sto principio, e devi farlo tuo. « Dacché co-
minci, comincia bene » dice San Bernardo.
Storia dei nostri noviziati.
Nel 1879 il giorno 6 luglio, si inaugurò a
San Benigno il noviziato della nostra società.
Ma fattosi stragrande il numero degli ascritti,
nel 1886 dovette dividersi in due: a San Be-

4.3 Page 33

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——
nigno si lasciarono gli artigiani ed a Foglizzo
si portarono i nuovi chierici. Nell'anno dopo,
1887, si aperse quello di Valsalice. Nel corso
dei circa trent'anni che passarono da quel-
l'epoca ad oggi, si studiò continuamente il
modo pratico per dare al noviziato un sem-
pre migliore indirizzo. Nel primo sessennio,
non essendovi ancora regole scritte, si con-
tinuò a praticare le costituzioni, e quanto
Don Bosco aveva fatto fino allora. Intanto il
buon padre medesimo andava indicando al
Maestro degli ascritti, quei miglioramenti, che
credeva più opportuno introdurre, per avere
un noviziato secondo il suo spirito. In seguito,
messe per iscritto le regole principali, esse si
andarono via via ritoccando e migliorando; e
intanto si praticarono nei vari noviziati che
si apersero, ed andarono così limandosi e
perfezionandosi. Il noviziato così regolarmente
costituito, ebbe ben presto una speciale bene-
dizione del santo padre Pio IX, grande nò-
stro benefattore, ed indimenticabile sosteni-
tore delle opere salesiane. In un'udienza che
diede a Don Bosco nella vigilia di Pasqua
nell'anno 1876, il Santo Pontefice, benedicendo
in particolare gli ascritti, soggiunse queste
testuali parole: «I novizi sono olivi novelli,
che bisogna coltivare; ma bisogna che queste
tenere pianticelle permettano al coltivatore
di tagliare le radici ed i germogli inutili, d'al-
lontanare la gramigna ed il tarlo, che potreb-
be rovinarle. Queste pianticelle devono cresee-
——
re per sè, e poi fare frutti per il loro padrone.
Guai se la pianta rimanesse inoperosa e non
fruttasse! tornerebbe affatto inutile al suo colti-
vatore. Dio benedica questi cari novizi: Dio li
diriga, e li faccia fruttare a sua maggior gloria».
Nel novembre poi dello stesso anno 1876, il
medesimo Pio IX di felice memoria, nella sua
bontà, scrivendo di suo pugno alcune parole
sotto un indirizzo che gli ascritti avevangli
mandato, si esprimeva così: « Dio vi benedica,
o tenere pianticelle; ma crescete per fare un
gran frutto nella vigna del Signore ». Così
benedetto il noviziato andò sempre più pro-
sperando. Ancora maggior incremento gli fu
infuso quando il 16 marzo 1878 il santo pa-
dre Leone XIII, nella prima udienza che die-
de a Don Bosco, benedicendo in particolare
il noviziato, rivolse al nostro buon Padre que-
ste parole: « Ai novizi ricordo le piante chiuse
in un giardino. Guai se si rompe la siepe! i
ladri entrano, derubano tutto. Dunque ai no-
vizi, alle speranze della Congregazione Sale-
siana, si raccomandi la ritiratezza e la pratica
di quelle virtù, in cui dovranno esercitarsi
per tutta la vita. Si abbia cura della loro sa-
nità: è questo un potentissimo mezzo per far
del bene a sè ed al prossimo. Loro si ricordi
spesso il pensiero di San Girolamo: Non mai
dimenticare quello che eri nel secolo, nè mai
pretendere più di quello che avevi, godevi,
possedevi prima di entrare in religione. Si
faccia calcolo delle virtù acquistate, e non di

4.4 Page 34

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— 58 —
quelle da acquistare. Il maestro dei novizi
deve usare rigore su questo punto » (vedi re-
lazione di detta udienza scritta da Don Bo-
sco medesimo). Finalmente il 12 marzo 1893,
in una carissima udienza, che il signor Don
Rua ebbe con vari altri superiori della no-
stra Pia Società, il Santo Padre rivoltosi a!
Maestro dei novizi presente, soggiunse: «Dai
novizi dipende in massima parte il buono o
cattivo andamento della intiera congregazio-
ne. Bisogna stare .attenti che non entri nes-
suno che abbia cattivo spirito. Venendo dal
mondo molti portano uno spirito mondano:
guai se questi germi non si estirpano subito,
fin dalla radice. Bisogna che i novizi si la-
scino formar bene allo spirito di Don Gio-
vanni Bosco; e colui che non si lasciasse for-
mare, andrebbe subito tolto dal numero degli
ascritti. Poiché fino a tanto che conserverete
lo spirito del fondatore tutto andrà bene; ma
appena vi allontanaste dal suo spirito, dai
suoi insegnamenti, il Signore non vi benedi-
rebbe più e la congregazione comincerebbe a
decadere ». Seguendo questi preziosi ammoni-
menti di chi in terra tiene le veci di Gesù
Cristo medesimo, si arrivò a regolare comple-
tamente il noviziato; poi. con la grazia di
Dio, ad accrescere notevolmente il numero de-
gli ascritti: finalmente, ad aprire altre case di
noviziato. Ed oggi grazie all'immensa mise-
ricordia di Dio, il numero degli ascritti ascen-
de a oltre un migliaio distribuiti in molti no-
——
viziati. Ammiriamo perciò la bontà del Signo-
re, e ciascuno lo ringrazi con tutto il cuore
delle benedizioni, che tanto abbondantemen-
te versa sulla nostra Pia Società. Procuri cia-
scun ascritto di rendersi sempre più degno
della vocazione avuta e cerchi efficacemente
di dare frutti di vita eterna, attendendo a
ciò con tutte le forze. Preghiamo anche il Pa-
drone della messe, affinchè ci mandi molti
buoni operai. Tu dunque, o tenera pianticel-
la, potrai farti il più gran bene, se prati-
cherai con precisione quanto a tuo prò ti
viene esposto in questo Vade Mecum. Ricorda-
ti che sono tutte cose secondo lo spirito di
Don Bosco, ed atte a renderti degno della tua
vocazione.
CAPO VI
IMPORTANZA DI FAR BENE
IL NOVIZIATO
Importanza del noviziato per la congrega-
zione e per l'ascritto.
Nelle cose di molta importanza sarebbe te-
merità il procedere alla leggera. È per que-
sto che la Chiesa, madre di sapienza e di
prudenza stabilì che prima di abbracciare

4.5 Page 35

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—6 —
lo stato religioso, tanto importante e sublime,
vi fosse almeno un anno intiero di noviziato.
E questo noviziato deve essere fatto molto se-
riamente e senz'altra occupazione, se non quel-
la di pensare alla vita santa che si avrà da
condurre in seguito. Nulla giova maggiormen-
te al bene degli eserciti, quanto la buona scel-
ta e la buona istruzione delle nuove reclute;
e nulla giova maggiormente per l'avvenire
di un religioso, o di un istituto religioso, quan-
to un buon noviziato. È in esso che si pon-
gono le basi solide e veramente soprannatu-
rali dell'edifizio della perfezione; e si sa che i
religiosi restano ordinariamente per tutta la
vita quali si ridussero al tempo della loro
probazione. Questo anno di noviziato fu sta-
bilito anche per te, ed ora ti trovi appunto
in tale stadio, in cui hai tutta la comodità
di riflettere, di pregare e di consigliarti. Guar-
da pertanto di servirti bene di questo tempo
e così ti troverai ben tracciata la via per
tutta la vita. Se non facessi bene il noviziato,
vi sarebbe pericolo di far poi, in fin dell'an-
no, i santi voti alla leggera, e senza suffi-
ciente preparazione; e poi ti troveresti in con-
tinuo pericolo di trasgredirli. La prima cosa
adunque di cui ti devi ben persuadere è, che
l'anno di noviziato è il più importante della
tua vita. Tutto il progresso del religioso nel
bene o nel male, dipende, per regola generale,
dal buono o dal cattivo impiego del tempo
61
del noviziato. E sappi che da esso dipende
non solo il progresso che farai in questo pri-
mo anno della vita religiosa, ma anche in
rutto il corso della vita tua.
L'esperienza di tutti i religiosi e l'insegna-
mento di tutti i maestri di spirito (insegna-
menti che Don Bosco ci ripetè moltissime
volte) sono unanimi nel giustificare la verità
lei proverbio: «Tale novizio, tale professo».
Quale sarà la semente che porrai nel novizia-
io, tale ancora sarà la raccolta del restante
della vita. È nel noviziato che si pianta l'al-
bero, il quale, se è mal piantato, resterà con
perpetuo vizio. È nel noviziato che si gettano
!e fondamenta della casa, che, se sono deboli,
quanto più alta sarà la fabbrica, tanto mag-
giore in breve ne sarà la rovina ed il preci-
pizio. Il che vuol dire in conclusione, che se
1 tempo del noviziato fu fervoroso, vi è tutto
i sperare che il tempo che seguirà la profes-
sione, sarà anche improntato di un vero e co-
llante fervore. Ma se, per disgrazia, il novi-
ziato passasse nella negligenza e nella tiepi-
dezza, tutta la vita religiosa se ne risentireb-
be. E se mi è permesso di fare un'osserva-
rionc sul proverbio sopraccennato, essa è que-
sta: che non è raro vedere un novizio fervo-
n o decadere dal primitivo fervore, mentre
e rarissimo e quasi inaudito che un novizio
tiepido si faccia poi un religioso fervente.

4.6 Page 36

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——
Le prime impressioni.
Le prime impressioni si scolpiscono così
profondamente nella mente e nel cuore, che
non si cancellano generalmente più. Difficil-
mente si perde la prima forma ricevuta, dice
San Bonaventura. Se pertanto tu ti adatte-
rai a ben formarti nell'interno e nell'esterno,
in questi anni in cui hai da fermarti nel no-
viziato e nello studentato, che sono gli anni
della formazione, conserverai per tutta la vita
quell'aria di religiosità, quel fondo di pietà,
quell'attenzione per la regolarità, quell'im-
pegno per il lavoro, quella dolcezza di carat-
tere, che vi avrai acquistato. Ed anche sup-
posto che ti dimenticassi per un po' di tempo
dei tuoi doveri, potrai sempre sperare di ri-
trovare il primitivo fervore, grazie all'impulso
avuto nella prima educazione. AI contrario
ti avverrebbe, se fossi stato negligente nel
tuo noviziato. Un alberello storto è facile a
raddrizzarsi finché è ancor tenero; ma se lo
si lascia crescere col suo difetto, esso lo terrà
sempre, e si romperà piuttosto che drizzarsi.
Nel medesimo modo, dalla buona o mala pie-
ga che prenderai, dipende in massima parte
la direzione del resto di tua vita.
Ricordati sempre di questo detto di San
Bonaventura: Chi nel principo della nuova
vita che intraprende disprezza la disciplina,
difficilmente poi a quella si sottoporrà; e la
forma che prima si riceve, difficilmente si ab-
——
bandonerà. Don Bosco ripeteva spesso: Non
sarà certo un buon professo chi non fu buon
ascritto. Sforzati pertanto a tutto tuo potere,
fin dal primo istante della tua entrata in no-
viziato, ad assuefarti a quelle sante e lode-
voli pratiche, che una buona e forte istitu-
zione t'impongono, benché queste ti tornas-
sero molto aspre e ripugnanti alla natura.
Esse ti produrranno un bene, che durerà
per tutta la tua vita, anzi per tutta l'eternità.
La parabola della semente.
È sempre sommamente istruttiva, e qui
ben appropriata al caso nostro, la parabola
della semente. Di questa, parte cadde sulla
pubblica strada e non nacque neppure, ma fu
portata via dagli uccelli dell'aria; altra cadde
in terreno pietroso, e appena nacque seccò,
non avendo potuto metter buone radici; al-
tra cadde tra le spine e crebbe, ma non pro-
dusse frutto, perchè soffocata dalle spine stes-
se; altra finalmente cadde su buon terreno,
e questa produsse; ma anche di questa, qua-
le produsse il trenta, quale il sessanta, qua-
le il cento per uno. Nel noviziato non si
fa che seminare la parola di Dio. Si semina
certamente un buon grano, cioè gli ammae-
stramenti sono eccellenti; com'è, che qualcuno
:on ne trae frutto di sorta, altri pochissimo
•rutto, e pochi in conclusione si fan santi?

4.7 Page 37

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— 64 —
Tutto avviene secondo che si è preparato il
terreno del proprio cuore; tutto pertanto, nel-
la vita religiosa, dipende dal fare più o meno
bene il noviziato, in cui si prepara il cuore
alle cose perfette. Nell'anno in cui faceva il
noviziato Don Beltrami, che fu il primo di
Foglizzo, vi erano ben ottanta altri ascritti
in quella casa, e tutti udivano le stesse esor-
tazioni ed avevano i medesimi mezzi: com'è
che egli progredì tanto nelle virtù da farci
meravigliare, mentre altri si mantennero me-
diocri, ed altri ancora abbandonarono la vo-
cazione? Egli aveva ben preparato il suo
cuore: la parola del Signore cadde in buon
terreno. Le medesime cose udivano gli altri,
le medesime cose odi tu. Prepara bene il tuo
cuore come egli lo aveva preparato e ti farai
santo come lui.
Le piccole osservanze.
Alcune cose del noviziato sembrano bensì
un punto impercettibile, di nessuna, o almeno
di pochissima importanza, ma tu non rite-
nerle cose da poco, poiché anche posto che
una ad una prese separatamente siano pic-
cole, il loro complesso è d'importanza capi-
tale. Una goccia d'acqua è cosa impercettibile;
ma l'acqua che ti spegne la sete, l'acqua che ti
salva dalle immondezze, l'acqua che ti irriga le
campagne e le rende produttive, è formata
di molte gocce unite insieme. Così è del com-
——
plesso di quanto s'impara nel noviziato: cosa
per cosa sembra di poca importanza; ma è
dal noviziato che si ricava il vero spirito sale-
siano; è dal noviziato che partono coloro i
tpiali possiedono lo spirito della congrega-
zione. Bisogna pertanto che tu abbia amore,
jrande amore al noviziato: ed a tutte anche
alle minime sue pratiche. Nessuna particella di
bene ti sfugga, ci fa dire il Signore (Eccli.,
XIV, 14). Temi che se trascuri anche la più
piccola cosa, Dio ti diminuisca le grazie; e
to, vittima volontaria della tua debolezza,
cada di colpa in colpa fino all'abisso. Invece
se osservi con gran cura il poco, il Signore
ti andrà aumentando tutti i giorni le grazie.
Così progredirai impercettibilmente di virtù
in virtù, e ti farai santo. Pertanto entrando
in noviziato proponiti l'osservanza esatta di
•ulte le regole anche minime. Non trascurare
-ulla. Niente è di poco conto, se può dare a
Dio gusto, e giovarci per la vita eterna. Le
grandi virtù sono figlie delle piccole, non vice-
versa. Le piccole cose quotidiane sono la tra-
ma della nostra vita, gli zampilli del suo ru-
scello che scorre. Non abbiamo che rara-
mente grosse monete da offrire al buon Dio:
paghiamo con gli spiccioli! Tutto è metterci
aolto amore in queste piccole osservanze,
riacchè l'amore tutto impreziosisce. Sant'A-
.rostino dice: « Le piccole cose son certo pic-
cole, ma è grande cosa l'esser fedele nelle pic-
ele cose». Ricordalo!

4.8 Page 38

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——
Le tre virtù dei voti ed i nostri ideali.
Nel noviziato devi specialmente imparare
a radicar bene le tre virtù dei santi voti, e
quei tre grandi ideali che formano la nostra
caratteristica, cioè: il cercare sempre la pro-
pria perfezione, l'acquistare grande zelo della
salvezza delle anime, ed amare tenerissima-
mente la gioventù, specie quella più povera ed
abbandonata. È vero che per tutta la vita
deve durare il lavorìo del nostro perfeziona-
mento; ma è anche al tutto necessario che
esso incominci nel noviziato. In seguito si
svilupperà, si estenderà, e si fortificherà; ma
riuscirebbe ogni cura inutile se non fosse
cominciato qui. Riuscirebbero affatto inutili
tutte le cure e le fatiche che l'agricoltore po-
nesse attorno al suo campo, se la semente
non fosse buona, o se non si fosse seminata
nella stagione propizia, o con le debite avver-
tenze.
Amor della croce.
Comprendi bene che la vita religiosa con-
siste nel seguire Gesù, dovunque vada. Devi
essere pronto a dire: ti seguirò dovunque an-
drai. E non lusingarti: lo sai che il Signore
montò sino al Calvario, e si lasciò crocifig-
gere! Farsi religioso vuol dire essere crocifissi
con Gesù; i tre voti sono come i chiodi che
——
• tenevano confitto in croce. Ti senti? Co-
raggio, Gesù è con te, e ti aiuterà. Rifuggi
-a tanto? Da' indietro: Gesù è più contento
ii pochi e generosi, che di molti ma deboli
iella fede. Specialmente per l'entrata in reli-
gione devi applicarti il fatto di Gedeone.
A v e v a molti soldati, m a timorosi. Per coman-
:o di Dio, Gedeone ordina che i timidi vada-
li- alle case loro: molti se ne vanno. Ma re-
stavano ancora in buon numero. Iddio co-
manda a Gedeone che li sottoponga ancora
»d una prova; e restano più pochi. Ma fu
,ri quei pochi che il Signore ottenne la sal-
~-:zza del popolo eletto. Applichiamo la cosa
i noi: è molto meglio averne pochi e ben
«ehi, che molti e fiacchi. Per carità, non sia
nai da applicarsi a noi il detto di Isaia: Hai
moltiplicata la nazione ma non la letizia (ls„
IL 3). Ripetiamolo: Meglio, molto meglio, po-
mi e santi, che molti e tiepidi.
jn potrai più fare poi quello che non fai
ora.
Un'ultima riflessione, che deve eccitarti
• :ar bene il noviziato, ed è questa: Ciò che
non si fa in quest'anno non si fa più in ap-
presso. Se adesso, con tante conferenze ed
mt nazioni, con tanti esempi e tante solleci-
tatimi, fai poco profitto, che sarà quando
adirando nelle varie case avrai meno mezzi,

4.9 Page 39

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— 68 —
e quando specialmente troverai ostacoli ed
impedimenti d'ogni sorta e da tutte le parti?
Ascolta questo come se fosse direttamente
Don Bosco che te lo dicesse: Adesso che sei
nel noviziato, hai molto tempo per applicarti
al tuo avanzamento spirituale, e molti mezzi
che possono contribuire ad esso. I superiori
non pensano ad altro che ad aiutarti, essendo
questo il loro ufficio principale. Tu inoltre
hai avanti agli Occhi gli esempi degli altri
ascritti, i quali non pensano che a santificarsi
e l'esempio fa ordinariamente tanta impres-
sione su di noi, che vivendo continuamente
con persone tutte dedite alla virtù è difficile,
per tiepidi che si sia, di non sentirsi eccitati
ad uscire dalla tiepidezza. Tu inoltre sbaraz-
zato da tutte le cose terrene, non hai occa-
sione alcuna che ti storni dalla virtù, men-
tre ne hai mille che ti portano al bene. Se
dunque ora, che sei qui per nient'altro che
per farti buono e virtuoso, e non hai da oc-
cuparti se non di te e dell'acquisto delle virtù,
non fai alcun progresso e non ammassi nes-
sun capitale di virtù per l'avvenire, che sarà
quando avrai il cuore ripieno di mille cose
che te lo dividono? Se ora con tante como-
dità, tanta facilità e tanti soccorsi, tu non
fai bene nè i tuoi doveri, nè le pratiche di
pietà; se non eseguisci con esattezza le cose
che ti si dicono, che sarà di te quando sarai
sul lavoro, nelle cariche e nei vari ministeri
esteriori?
——
Perciò approfitta di questo tempo prezioso.
Un noviziato mal fatto è una grande di-
sgrazia che si ripara difficilmente. Fa' dun-
que molti sforzi, occupa veramente bene que-
sto tempo prezioso che il Signore ti dà. Pensa
che forse non avrai più tanta comodità di
lavorare per il tuo progresso spirituale, e fan-
ne tesoro per tutta la vita. Non perdere nem-
meno un giorno, nemmeno un'ora. Qui spe-
cialmente è il caso di dire: Ogni momento di
tempo è un tesoro. Ascoltami, e riuscirai un
buon salesiano, ed il Signore ti sceglierà a
salvare molte anime. Animati continuamente
col detto di San Bernardo: Ad quid oenisti?
A che fare sei venuto qui? Sei venuto per fa-
re la tua volontà? No: sei venuto per godere?
No. Sei venuto per salvarti più facilmente e
più sicuramente l'anima, in uno stato in cai
tutto parla di Dio, dove tutto conduce a Dio,
dove tutto si fa nel nome di Dio. Sei venuto
per farti religioso, cioè per vivere con maggior
perfezione, e legarti a Dio con legame eter-
no: sei venuto per far penitenza dei tuoi pec-
cati, per farti santo e per servire d'istrumen-
to alla gloria ed alla misericordia di Dio. Chi
sa che il Signore non si voglia servire di te
per salvare molte anime, con l'insegnamento
religioso ai giovanetti di ogni età e condizio-
ne, o con scuole diurne o serali, negli Oratori
festivi; o salvare molte anime con la direzio-
ne e con la predicazione, o con la stampa,

4.10 Page 40

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— 70 —
oppure nelle missioni!? Chi sa che Dio non
voglia essere grandemente glorificato da te
con la vita nascosta nella preghiera e nei pa-
timenti, come richiese da Don Beltrami: o in
un ospedale od in un lazzaretto, come richie-
se da Don Unia! Ma tu ad ogni modo cerca
di corrispondere. Oh! non rimpiangere i sa-
crifici che hai fatto per stringerti più forte-
mente al Signore! Per quanto doloroso sia il
loro ricordo, offriti pronto al Signore di rin-
novarli ancora, ed, occorrendo, farne altri
ancor più grandi, pur di poter perseverare
nella vita intrapresa, e corrispondere alla chia-
mata del Signore.
Salva l'anima tua.
Per animarti a fare tutte le opere tue con
questo ardore, con questo buono spirito, con
questa costanza sopra indicata, scolpisciti pro-
fondamente nell'anima e custodisci con ogni
diligenza nel tuo cuore, quel grande ammae-
stramento del Divin Redentore: che una cosa
sola al mondo è necessaria: salvarsi l'anima (1).
E quell'altro: Che giova all'uomo di guadagna-
re tutto il mondo, se poi perde l'anima? (2).
Nel tuo noviziato si tratta per te dell'uno ne-
(1) «Porro unum est necessarium • (LUCA, X , 42).
(2) « Quid prodest homini, si mundum universum
lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur? »
(MATTEO, X V I , 26).
— 71 —
• ossario, della tua eterna salute. Non vi è af-
'are più importante nè più urgente di questo;
tutto il resto è vanità, persuaditene bene, nien-
l'altro che vanità. Il pensare ad altro senza
pensare a questo, è davvero tutta fatica but-
tata al vento; poiché: passa la scena di questo
mondo e tutta la sua gloria è come fior di erba:
l erba si secca e il fiore ne cade (1 Pietr., 1,
25). Se questa verità ti sarà sempre avanti
agli occhi, facilmente sosterrai le molestie
che porta seco la vita religiosa, niun sacrifi-
cio ti sembrerà troppo penoso, niuna vitto-
ria riportata su te stesso ti parrà di troppo
caro prezzo, e persevererai nella vocazione
ed avrai la Dita eterna.
CAPO VII
LE PRIME CURE ESTERIORI
DEGLI ASCRITTI
Necessità dell'ordine esteriore.
Tutto è ordine mirabile nelle opere del
reatore, guai se quest'ordine prestabilito
tssasse per un solo istante! Tutto sarebbe
aos e confusione. Il medesimo ordine presta-
ilito deve essere l'ideale di una casa religiosa,
specie delle case di noviziato e di studentato.
4
I

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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— 72 —
Guai se si turba anche per poco quest'ordine!
tutto sarebbe sconquasso e confusione, e non
si avrebbe più la vera vita religiosa. Tu per-
tanto, che sei venuto al noviziato per ordi-
nare la tua vita in modo da piacere comple-
tamente al Signore, bisogna che attenda ad
ordinare bene il tuo esteriore, e che abbracci
con tutto il tuo cuore la disciplina della casa.
È con quest'ordine esteriore, che i giovani
incominciano ad assuefarsi alla legge razio-
nale del dovere; ed è con la ben regolata di-
sciplina, che si rende proficuo l'insegnamento
onde possa servire ai bisogni reali della vita.
Poiché l'ordine esteriore serve a rimuovere
tutto ciò che potesse far ostacolo alla tua con-
veniente educazione nello stato religioso. Cer-
ca pertanto con ogni sforzo e con amore di
praticare gli ammaestramenti che qui si
espongono.
Spogliati di tutto.
Entrando nel noviziato consegna subito al
superiore danari, oggetti preziosi, francobolli,
timbri, ed ogni cosa che tenessi di superfluo.
Specialmente poi, se prima fossi vissuto un
po' mondanamente, ed avessi ancora sigari, ta-
bacco, liquori, essenze odorose, o cose simili,
liberatene subito. Sii pure esatto nel non te-
nere con te alcun denaro, neppure un cente-
simo. E questa consegna falla con lealtà e
——
sincerità. Non occultare neppure uno spillo,
affinchè meglio possa incominciare il tuo an-
no di noviziato, mortificando fin da principio
quell'attacco naturale alle cose terrene, che ti
avvelenerebbe tutta l'annata, e t'impedirebbe
il progresso nelle virtù. Chi avesse avuto, pri-
ma di entrare in noviziato, abitudini d'an-
nusar tabacco, di fumare, di bere liquori e
simili, procuri di sradicarle subito fin dal pri-
mo giorno. Quelli venuti da famiglie signorili
o delicate, accostumate a far uso di pomate,
cosmetici, acque odorose, saponi profumati,
lascino subito queste delicatezze e leziosaggini,
e cerchino d'accomodarsi in guisa al vivere
comune ed alla domestica disciplina, che in
nulla uno resti differente dagli altri. Non voler
ammettere particolarità alcuna, benché dai su-
periori ti sia spontaneamente profferta. Anzi
con sommo gusto procura di adattarti subito
a tutti gli esercizi domestici, per vili e bassi
che siano, come se fossi sempre stato abitua-
to a servire; e bada a non lasciarti servire da
chicchessia. San Luigi arrivato al noviziato,
vedendo che gli altri novizi non usavano vesti
di panno come quella che gli aveva preparata
la madre, pregò con molta istanza il supe-
riore perchè gli facesse dare berretta e veste
cimile alle ordinarie dei novizi. Nè contento
di questo, avendo il libro di divozione con
carte e copertina dorate, ottenne di cambiarlo
con un altro usato, degli ordinari di casa.
Parimenti poco a poco si privò e si spogliò

5.2 Page 42

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——
di quanto aveva portato con se, non volendo
ritenere alcuna cosa che gli puzzasse di mon-
do. Oh ! vedi d imitare San Luigi almeno ir.
queste cose! Darai subito una nota dei libri
che hai al superiore, e gli consegnerai tutti
quelli giudicati inutili, o superflui, od inop-
portuni. E tieni bene a inente, che non è per-
messo fare o ricevere doni, o dispensare
cosa alcuna che sia in casa, senza che il su-
periore abbia dato il suo consenso. Nè basta
che ti spogli di quanto hai con te: conviene
che pensi se a casa tua, o presso altri hai
qualche cosa che possa recarti sollecitudine,
disturbo, o nuocerti comecchessia. In questo
caso, prima, prostato avanti al Signore, cerca
di distaccare il cuore da quelli; e poi. inte-
soti bene col maestro sul modo pratico, cerca
di liberarti da ogni cura e responsabilità. Ti
dico però di rimetterti al maestro ed al diret-
tore qualora, in vista della tua sanità, del tuo
carattere, o di altre circostanze, si credessero
opportune delle eccezioni.
Relazioni esterne.
Per quanto è possibile, nessun ascritto deve
parlare con chicchessia estraneo al noviziato,
nè permettere che altri parli con lui, se non
presente qualche superiore, o con sua espres-
sa licenza. Se pertanto ti venisse occasione
——
di parlare con estranei, procuratene prima il
permesso. E se accadesse la cosa senza averne
avuto il tempo, non dire che il puro neces-
sario per non mostrarti incivile; poi recati su-
bito dal maestro a dar ragione del tuo opera-
to, e dire su che cosa ti sei trattenuto con lui.
Impara fin dai primi mesi a dominare la tua
lingua; e spesso ricorda il detto dell'apo-
stolo San Giacomo: Colui che non pecca colla
lingua è un uomo perfetto. Farai perciò bene
a prendere come orazione giaculatoria, e ri-
petere di tanto in tanto quel detto del salmo:
« Poni, o Signore, una guardia alla mia boc-
ca, ed un uscio alle mie labbra, che intiera-
mente le chiuda, affinchè la mia bocca non
abbia a lasciarsi scappare mai parola di ma-
lizia » (1). Nell'anno di prova non è vietato di
scrivere lettere; ma non far questo con fre-
quenza e senza una vera convenienza. Nè
mai spedisci o ricevi lettere senza che siano
passate per le mani dei superiori; nè leggile,
comunque ti siano pervenute, senza che le
abbia prima vedute il maestro. Avverti di non
parlare o scrivere di cose riguardanti esclu-
sivamente le pratiche del noviziato e della
congregazione; e fintanto che si è nel novi-
ziato, nessuno dica di essere salesiano, o si
sottoscriva come tale.
(1) « Pone, Domine, custodiam ori meo. et ostium
circumstantiae labiis meis. Non deciines cor meum
in verba malitiae • (Salmi, CXL, 3-4).

5.3 Page 43

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— 76 —
Le pratiche di pietà.
Le orazioni in comune dille veramente be-
ne, e adagio, con pronuncia chiara, divota e
distinta. Impegnati affinchè il canto riesca
grave, le cerimonie dignitose, il portamento
modesto. Non alzar perciò troppo la voce nè
nelle preghiere, nè nel canto, e neppur ta-
cere, nè articolar solo a mezza bocca quan-
do gli altri pregano o cantano. Guarda di sa-
pere bene le cerimonie, e non farle sbadata-
mente o con mala grazia. Vigila perchè in
chiesa, o nelle conferenze, non abbia ad in-
coglierti di dormire.
L'ubbidienza.
L'ubbidienza tua sia così esatta, che il pri-
mo tocco di campana sia unito col movimen-
to per eseguire l'ordine che essa impone. Fin
dal momento della levata, fatto il segno di
croce e dette le giaculatorie d'uso, offri su-
bito le azioni della giornata al Signore, e pro-
poni di voler passare tutta la giornata in
unione con Dio, di mantenere in tutte le
azioni una perfetta modestia, e di fare in
tutto l'ubbidienza. Proponi pure di non vo-
ler dare il minimo mal esempio con qualche
negligenza nei tuoi doveri, o con dire paro-
la fuori posto, o con arrivar tardi a qualche
azione comune, perchè ogni ritardo produce
——
sempre qualche disordine. Indossando la ve-
ste, baciala, come soleano fare San Giovan-
ni Berchmans e il nostro Don Beltrami, e
ripeti la formula della vestizione: Indue me
Domine novum hominem..., pensando che la
veste deve essere la salvaguardia contro le
tentazioni e le insidie dello spirito mondano.
I coadiutori s'abituino, a baciare col medesi-
mo fine la medaglia dell'ascrizione. Nel tem-
po del noviziato tutti, anche i coadiutori, im-
parino oltre le preghiere ordinarie, l'Angelus
Domini e il De profundis, e le altre preghiere
che si sogliono dire in lingua latina. Impa-
rino anche i misteri del rosario, che devono
saper guidare; come pure sappiano tutti ser-
vire la santa messa. Ogni volta che avessi a
mancare a qualche esercizio di pietà, o arri-
vassi in ritardo, o dovessi partirtene prima
della fine, chiedine scusa e permesso al supe-
riore. Da' importanza alle varie letture ed
impara a legger bene, con voce chiara e spic-
cata, con senso, con cadenze regolari.
Pulizia ed ordine.
Cura anche la pulizia, poiché anche que-
sto contribuisce all'ordine. Il tuo letto sia
-empre ben assestato, non abbia ingombri
sotto che impediscano la pulizia; anche i tuoi
libri siano in ordine, le pagine pulite, nè get-
:ar mai nulla sotto i banchi. Non imbrattarti

5.4 Page 44

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——
le dita d'inchiostro, non asciugarti la penna
alle vesti, non imbrattare o alterare comec-
chessia le pareti o le carte o i quadri che vi
fossero appesi. Non sputare sul pavimento
degli studi, delle scuole, e tanto meno su
quello della chiesa. Non portare mai veste
stracciata, o sdruscita nei gomiti; ma dàlia
a rammendare subito, quando comincia ad
averne bisogno, e così durerà di più. Altret-
tanto è da dirsi delle scarpe, le quali anche
devi tener pubte e mai slacciate. Tieni poi la
berretta ben messa in capo, e non per traver-
so, o troppo indietro. Anche maggior cura è
da usare per il cappello quando esci, e non
mettere mai la mantellina a tracolla. Mantie-
ni sempre bene le file, e non precipitare o
correre per le vie della città. Saluta sempre
riverentemente i superiori, e sta' a capo sco-
perto parlando con loro, finché essi t'impon-
gono di coprirti. Tratta i compagni con dol-
cezza e bei modi, badando che non abbia mai
a mancare di carità con loro.
Il portamento esterno.
Fa' attenzione a camminare in punta di
piedi, ed a non far rumore quando entri in
chiesa, in scuola, in studio, quando gli altri
sono già entrati. Il medesimo farai passando
per i corridoi, quando altri studia o prega
nelle camere attigue: specie poi alla sera do-
79
po le orazioni, e al mattino prima della leva-
la. Non sbattere mai usci e finestre. Il tuo
camminare sia generalmente grave senza af-
fettazione; non passeggiar mai dando brac-
cetto o dando mano ai compagni. Non tener
mai le mani in saccoccia. Il tuo portamento
generale poi sia dignitoso e modesto: ornai è
tempo di lasciare quelle bambolaggini, che
alle volte non disdicono nelle famiglie, e nei
collegi; ma che non stanno più bene in un
giovane serio, quale dev'essere un novizio.
Xei tuoi giochi espanditi pure gaiamente, ma
non far mai sguaiatezze, non correre nel fan-
go, non dir mai parola risentita; nè mai con-
testare con animo alterato. Non cercar l'u-
scita di casa, se non nel passeggio comune, ed
evita di passare per la città. Se si fanno le
squadre, sta' volentieri con quella che ti è
assegnata...
In refettorio.
Nella refezione del corpo osserva tempe-
ranza, modestia e decenza. Metti in pratica le
regole del galateo: per quanto puoi, non la-
sciare in tavola pezzi di pane o briciole. Pro-
cura di stare attento alla lettura, di non far
rumore, specie in principio, perchè essa pos-
sa sentirsi da tutti. Non dire allora neppure
-ina parola. Anche dopo, quando è permesso
parlare, fàllo moderatamente. Parla solo

5.5 Page 45

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— 0—
coi vicini e senza gridare od alzar la voce.
Guardati pure dall'uscire in atti smodati di
ilarità o di disapprovazione, ed anche dal co-
reggere il lettore. Ove poi fossi corretto tu
stesso, non alterarti, ma tranquillo ripeti se-
condo la correzione. A questo proposito ricor-
da l'esempio dell'angelico San Tommaso d'Ac-
quino, che, corretto dal superiore per svista,
si arrese a pronunciare dècere invece di de-
cere come già egli aveva enunciato. A chi poi
gliene faceva quasi confidente rimostranza,
dava quella sapiente risposta: «Poco monta
pronunciare breve o lunga una parola; in-
vece assai importa praticare l'ubbidienza e
l'umiltà. Meglio violare le regole dei gram-
matici, che quelle della perfezione religiosa ».
Buona educazione.
Considerando che San Francesco di Sales,
nostro titolare, e Don Bosco, nostro Padre e
Fondatore, furono modelli di educazione e di
garbatezza, e che a suo tempo dovrai trattare
con persone d'ogni condizione, poni gran cu-
ra, nell'anno di prova, d'imparare anche le
regole di buona creanza, e fàtti un dovere di
metterle in pratica esattamente. Ricorda pure
quello che con una delle sue felici espressio-
ni diceva il medesimo nostro San Francesco
di Sales : « La civiltà è la siepe della carità ».
81
CAPO VIII
ALTRE CURE ESTERIORI
CHE DEVONO AVERE GLI ASCRITTI
Ben comportarsi.
Per la buona formazione degli ascritti, non
bastano le norme generali fin qui date. Con-
viene esporre ancora il modo pratico di com-
portarsi in alcune azioni, che occorrono nella
giornata e lungo l'anno. È questa precisione
anche nelle piccole cose, che rende poi il gio-
\\ ane ben formato, e pronto al bene per tut-
ta la vita. Per questo credo conveniente indi-
car qui il modo pratico di comportarsi in
chiesa ed in alcune pubbliche funzioni, spe-
cie nelle processioni e sepolture, e in alcune
circostanze, che occorrono nella giornata, affin-
chè non ci si trovi poi impacciati. Si ritenga
^nche profondamente, che, sebbene l'ordine
: sterno non sia lo scopo vero ed ultimi che si
vuole ottenere, esso tuttavia giova sempre
joltissimo, non solo al buon esempio che il
religioso è obbligato a dare agli altri e che
: religiosi devono darsi vicendevolmente; ma
inche a ben comporre e regolare l'interno.

5.6 Page 46

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— 82 —
In chiesa.
Avvèzzati a comportarti in chiesa con gran
rispetto e con una santa riverenza. Iddio or-
dinò agli Israeliti di essere ben compresi da
timore e tremore, quando entravano nel suo
santuario. Quanto più vuole egli che si ab-
bia di venerazione per le chiese, di cui il
santuario israelitico non era che l'ombra e
la figura! Invero è nelle nostre chiese, che la
maestà di Dio risiede in un modo tutto spe-
ciale. In esse specialmente egli ascolta le pre-
ghiere che gli indirizziamo e spande le sue
benedizioni con maggior abbondanza. Là Ge-
sù benedetto è presente così realmente come
in cielo, circondato dagli angeli, sempre pron-
to a ricevere i nostri omaggi, ed a colmarci
dei suoi favori. E per questo che i santi, e
tra gli altri il nostro carissimo Don Beltra-
mi, provavano tutta la loro consolazione a
passare lunghe ore del giorno e della notte
in chiesa, per pregarvi, ed offerire se stessi a
Dio. Ed è questo medesimo rispetto e vene-
razione che li faceva stare in chiesa sempre
in contegno divotissimo, ginocchioni e molte
volte prostesi a terra, in segno di più pro-
fonda adorazione. Sull'esempio di questi gran-
di modelli, gli ascritti devono fare loro delizia
del santuario, trattenervisi con altrettanto
rispetto, quanto se fossero in cielo. Devono
stare in esso raccolti e non proferire parola
profana, nè occupare il proprio spirito di
——
nessun pensiero terreno. Si ricordino dell'e-
sclamazione che Giacobbe proferì quando si
svegliò, dopo aver veduto in misterioso sogno
una scala che andava dalla terra al cielo, con
angeli che incessantemente discendevano e
montavano. Colpito da timore, a cagione del-
ia presenza di Dio, esclamò tutto tremante:
Oh com'è terribile questo luogo! Qui è la
casa di Dio, e la porta del cielo ». (1) Invero
la chiesa è veramente la casa di Dio, di do-
ve gli angeli ascendono continuamente al cie-
lo per recarvi le nostre preghiere; e nella
quale essi discendono per apportarci le bene-
dizioni celesti. Conviene anche penetrare nei
sentimenti di Davide quando esclamava: Io
entrerò, Signore, nella vostra casa, io vi ado-
rerò nel vostro santo tempio, con l'animo pie-
no del vostro timore (2). Ed ancora: «Alla
presenza degli angeli io canterò salmi a vo-
-tra gloria; io vi adorerò nel vostro santo
tempio, e benedirò il vostro nome» (3). Riem-
pito pertanto di questi sentimenti di rispetto
e di santo timore, procura di entrare in chie-
-a con grande raccoglimento e spirito di ado-
razione, con gli occhi bassi, mani giunte, e
(1) « Quam tcrribilis est loeus iste! Non est hic
ìliud nisi domila Dei et porta caeli » (Gen., XXVIII, 17).
(2) « Introito in domimi tuam; adorabo ad tem-
;:um sanetmn tuum, in timore tuo» (Salmi, V, 8).
(3) « In cospeotu Angelorum psallam tibi: adorabo
id templum sanctum tuum, et confitebor nomini tuo »
'Salmi, C X X X V I I , 2).

5.7 Page 47

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— 84 —
gravità. Prendi sempre divotamente l'acqua
benedetta; e quando si entra in fila, porgila
al compagno che entrasse teco; fa' anche
sempre la genuflessione posatamente col com-
pagno, due a due. Arrivato e ben composto
al tuo luogo, dirai qualche preghiera, finché
comincino le orazioni comuni, o le funzioni
ecclesiastiche. Bada di non dare alcun segno
di noia o di rincrescimento, qualora non si
cominciasse subito. Sarebbe cosa indegna del
luogo santo l'entrarvi come uno stordito, con
precipitazione, la testa levata, gli occhi sviati,
le braccia penzoloni, senza dare o ricevere
l'acqua benedetta, secondo che entrando od
uscendo sei dalla parte dell'acquasantino o
dall'altra, e senza aspettare il compagno e
fare la genuflessione insieme. Questi modi
indivoti dan cattivo esempio, e fan capire che
non si pensa a Dio, e non si è compresi della
santità del luogo in cui uno si trova. Per abi-
tuarti a star veramente bene, e con raccogli-
mento in chiesa, sia per quanto riguarda l'e-
steriore, sia riguardo all'interiore, giova pen-
sare soventi volte che in chiesa si è circondati
dai santi angeli presenti nei nostri templi.
Conviene specialmente penetrarsi della pre-
senza reale di Gesù Cristo, richiamandosi al-
la memoria, ch'egli è il giudice dei vivi e
dei morti, che egli ricompenserà col centuplo
le preghiere rispettose e ferventi, mentre pu-
nirà severamente le negligenze, alle quali uno
si fosse lasciato andare nel suo santuario,
——
come castigò e cacciò a staffilate i profana-
tori del tempio di Gerusalemme, che della
casa del Signore non facevano casa d'orazione..
In processione.
In quasi tutte le città o paesi, dove vi è
casa di noviziato o studentato, si ha da par-
tecipare a qualche processione in pubblico,
ed a qualcuna nell'interno della casa. Può
.anche occorrere di aver a partecipare a qual-
che sepoltura. Sono queste azioni importanti,
che occorre siano ben previste e ordinate.
Attendendo in chiesa che venga il proprio
turno di uscire, procura di tenere un conte-
gno al tutto rispettoso e divoto, e per nulla
divagato. Conviene pensare attualmente a
Gesù benedetto, alla Beata Vergine, od al
santo in onore del quale si fa la processione.
Non svagarti ad osservare chi passa, nè a
orridere o a dir paroline vicendevoli: que-
sto sarebbe davvero biasimevole. Sta' inginoc-
chiato finché non sia il tuo turno di uscire,
e intanto prega. Che se si dovesse attendere
molto, si potrebbe stare in piedi od anche
seduti (secondo il cenno che farà l'assistente),
ma continuando a pregare od a leggere qual-
che buon libro, di cui bisogna sempre essere
muniti. Bisogna assistere alle processioni con
spirito interiore di compunzione e di umiltà,
per piegare la giustizia di Dio, placare la sua

5.8 Page 48

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ira, attirare su di noi le sue misericordie. Bi-
sogna anche assistervi con grande raccogli-
mento esteriore, camminare con passo grave,
ritti di corpo, cantare con voce accordata con
gli altri. Tieni gli occhi bassi, in modo di non
vedere che a pochi passi avanti a te, senza
guardare di qua e di là, e per quanto si può
non attendere nè a quadri, nè ad addobbi,
riè a decorazioni che vi fossero o in chiesa o
lungo le vie, nè alle persone che sono alle
finestre, nè a chi passa; ma alla santità del-
l'azione che si compie. Questa modestia e
raccoglimento è dovuta a Dio, a te stesso,
alla congregazione a cui appartieni, ed al
prossimo. A Dio, perchè queste processioni
essendo preghiere pubbliche, conviene com-
parirvi con rispetto per una Divina Maestà.
Quando poi si porta in trionfo Gesù nel San-
tissimo Sacramento, si dovrebbe stare come
i serafini che in cielo circondano il trono di
sua Divina Maestà. Si deve pure essere mo-
destamente raccolti per prudenza, cioè per
non esporre se stesso a qualche tentazione.
Poiché se uno lascia andare liberamente gli
sguardi da una parte e dall'altra, vi è a te-
mere, che, tra tante cose differenti, o tra una
gran folla che assiste, non si trovi qualche og-
getto capace a produrre nocive impressio-
ni nel tuo spirito e nella tua immagina-
zione. Lo stato religioso, che è uno stato di
rinnegamenti e di mortificazione, richiede pu-
re che noi pratichiamo queste virtù in pub-
blico, seguendo questo sacro corteggio. Poi-
ché saper contenere i propri sguardi, e tenerli
bassi per privarli della soddisfazione che po-
trebbero avere col riguardare oggetti grade-
voli, è una mortificazione difficile, meritoria,
salutare; e l'occasione allora si rinnova ad
ogni passo, e riesce di buon nome a tutta la
congregazione quando i soci sanno compor-
tarsi così mortificatamente. Finalmente il
prossimo aspetta da noi questo comporta-
mento. I secolari, quei medesimi che sono i
più dissipati, non possono capire, nè scusare
che i religiosi manchino di raccoglimento. Essi
ne restano talmente scandalizzati, che van
notandolo tra loro a voce alta durante la pro-
cessione medesima; ed al contrario restano
edifìcatissimi vedendo passare le comunità che
lo praticano. Ed avvenne il caso che qual-
cuno ne fu così tocco, da essere indotto a con-
vertirsi, a disprezzare le false massime del
mondo, ed anche ad abbandonarle affatto per
entrare in religione. È con questo mezzo che
un religioso fervente diviene, secondo l'espres-
sione di San Paolo, il buon odore di Gesù
Cristo e l'edificazione del suo prossimo; men-
tre invece un religioso dissipato e immodesto
si rende facilmente soggetto di scandalo. Per
riuscire a mantenere un contegno così rac-
colto, lontano tuttavia da affettazioni, durante
tutto il tempo della processione, conviene,
oltre il cantare divotamente quando ne è il
tempo, l'occuparsi interiormente di qualche

5.9 Page 49

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— 88 —
buon pensièro, come delia presenza di Dio che
ci penetri intimamente, o di qualcuno dei no-
vissimi, e del soggetto della meditazione fatta
al mattino. Giova specialmente il mettersi a
recitare il santo rosario, meditandone paca-
tamente ogni mistero, e recitando i Pater e
le Ave Maria adagio e posatamente; così si
può aver donde star raccolto e riflessivo per
lungo tempo; ed anche fino al fine della pro-
cessione. Queste precauzioni sono importanti,
e la loro esecuzione produrrà gran effetto alle
anime nostre ed altrui. Questo raccoglimento
non impedirà di star attenti a non cammi-
nare nè troppo in fretta nè troppo adagio,
in modo da non addossarsi a quel che pre-
cede o da lasciar intervallo tra gli uni e gli
altri. È da stare attenti che tra ciascun reli-
gioso vi sia la distanza di un buon passo. Il
che li impedirà dal dire anche qualche parola
sola, o far sorrisi quando qualche cosa di cu-
rioso avvenisse.
Nelle passeggiate.
Nè solo è da comportarsi con gravità e
compostezza trattandosi di funzioni sacre:
f.iiclie nelle cose profane è da aver riguardo,
poiché anche in queste si può riuscire di buon
esempio o di scandalo.
Quando si esce per la passeggiata, finché
——
si è nell'abitato, o vicino all'abitato, si cam-
mini sempre in fila e parlando sottovoce.
Quando si è all'aperta campagna si può pro-
cedere un po' più liberamente: ma bada sem-
pre di non parlare troppo forte, di non an-
dar mai per traverso nei campi seminati, o
passare sull'erba dei prati. È questa un'av-
vertenza grave, poiché può implicare il dan-
no dei terzi, ed anche fare avere gravi dispia-
ceri ai superiori. La passeggiata non deve
essere una corsa; e la circostanza che si dà
di sollevarsi nel fisico, non deve riuscire a
stancare invece di più. Quelli che hanno
molta forza muscolare devono, per ragion di
carità verso gli altri, adattarsi alla delicatezza
t debolezza altrui. Sotto l'aspetto di passeg-
giata non è permesso di fare alcuna visita,
nè entrare in alcuna casa, senza permesso
speciale. Neppure è permesso mai separarsi,
andando alcuni da una parte, altri da un'al-
tra; nè restar a casa mentre gli altri escono.
Sappi santificare le passeggiate più lunghe,
pregando un poco in mezzo ad esse. Se, per
esempio, dopo mezz'oretta di camminata, o
da solo o con qualche compagno ti mettessi
a recitare la terza parte del santo rosario,
questo non farebbe male a nessuno, e tu dopo
avresti ancora il tempo di trattenerti in alle-
are conversazioni. Anche in questa cosa, di
santificare il passeggio colla preghiera, biso-
gna che formi proponimento per il resto della
ma vita. Un cuore che ama molto il Signore,

5.10 Page 50

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——
non può stare gran tempo senza rivolgersi a
lui.
Essendo ospite in case salesiane.
Quando per ragione di salute o di vacanza,
si fosse mandati in qualche altra casa, spe-
cialmente se quivi vi fosse un santuario, con-
verrà riguardare quest'andata come un pelle-
grinaggio, per domandare a Dio. per l'inter-
cessione di Maria SS. o del Santo Protettore
del luogo verso cui uno si indirizza, di poter
santificare la ricreazione che si va a prendere.
Bisogna perciò mantenere bensì l'allegria, ma
santamente e non dimenticarsi lungo il viaggio
di dire giaculatorie, innalzando il pensiero al
Signore, e recitare privatamente o a piccoli
crocchi il santo rosario. Arrivati alla casa de-
stinata conviene, potendo, sempre per prima
cosa, riverire il superiore della medesima, e
poi recarsi in chiesa a far visita al SS. Sacra-
mento ed a Maria SS. per ringraziarli d'aver-
vi liberati da ogni disgrazia, e per domandare
la grazia di ben profittare del tempo che si
avrà da passare in detto luogo di spasso. Non
resta permesso uscire dalla casa senza licen-
za. Per quanto è possibile conviene essere sem-
pre tutti insieme, e non mai molto sbandati.
Non si può star in casa a leggere o studiare
in tempo di ricreazione, senza espressa licen-
za: e se qualcuno lo facesse agirebbe contro
——
l'intenzione dei superiori. Poiché queste va-
canze di corpo e di spirito, che si prendono
lasciando gli esercizi ordinari, sono precisa-
mente destinate a renderci più abili agli stu-
di ed al servizio del Signore; è perciò sua
volontà clic se ne approfitti con semplicità
e riconoscenza. Si abbia cura alla sera dopo
cena, di non fermarsi all'umidità dove ce n'ò.
Nei tempi di silenzio esso si farà rigoroso co-
me quando si e nelle proprie case; e si farà
tanto più fedelmente quanto più fu permes-
so d'indulgenza di parlare lungo la giornata.
Deve servire di grande consolazione, iungo
le vacanze, dacché si ha tempo libero di an-
dare di tanto in tanto a passare qualche mi-
nuto in cappella per visitare Nostro Signore
Gesù Cristo e la Beata Vergine, e mettersi
-otto la loro protezione. Non si tocchi mai
frutta in giardino, benché ve ne fosse di quel-
la caduta dall'albero. E ciò tanto meno quan-
do si andasse iu giardini di altre case, o di
proprietari. Neppure si tocchi qualora se ne
trovasse per terra nei luoghi pubblici per cui
-i passa. Solo é permesso, dandosene propizia
occasione, servirsi di alcune more quando
fossero in siepi pubbliche, e senza il pericolo
li sdruscire gli abiti; o raccogliere funghi
qualora si andasse per i boschi. Sappi, pri-
lla di partire, ringraziare cogli altri il supe-
riore della casa che ti ospitò; e mai partire
senza ringraziare sentitamente Iddio per
iverti dato vacanze tali, forse più gaie e più

6 Pages 51-60

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6.1 Page 51

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— 92 —
comode che non abbiano per lo più gli stessi
ricchi del mondo. Domanda perdono dei falli
commessi durante la tua lontananza dal no-
viziato o dallo studentato; e sollecita la gra-
zia di poter spendere per lui solo le forze ac-
quistate nelle vacanze. Arrivato poi al tuo
nido rendi al più presto conto del tuo dipor-
tamento nel tempo delle vacanze al tuo mae-
stro, e procura di rifarti dal fervore svanito.
In casa dei parenti.
Non si permette mai ai novizi di far visite
ai parenti, fuori del caso d'infermità mortale
del padre o della madre. Ma qualche volta
può venire la necessità di permetterne agli
studenti. Venendo questo caso procurino essi
di precisare prima col maestro o col diret-
tore il giorno del ritorno. Ed a casa non si
divaghino girando di qua o di là: ma, fatta
subito la prima doverosa visita al parroco,
si restringano a visitar solo i parenti più pros-
simi, e, se vi fosse, qualche famiglia gran-
demente benefattrice dell'istituto. Devi spe-
cialmente evitare, e ciò anche per qualunque
altra circostanza della vita, di andare a tro-
vare persone giovani, sebbene divote, tanto
meno poi quando si sapesse che non vi sono
in casa i loro genitori. Quando vera neces-
sità obbligasse a qualcuna di queste visite,
si procuri di avere per compagno un religioso
——
posato, virtuoso e d'età; assolutamente da esso
non si separi, neppure per un istante; e si
sia d'accordo con quello di fare al più presto
possibile. Andato un religioso al paese nativo,
o al paese di qualcuno dei suoi parenti, vien
subito giudicato dagli estranei secondo le vi-
site che fa. Se è frequente alla chiesa ed al
parroco e del resto ritiratissimo, allora per
lo più la sua permanenza in paese arreca
ammirazione, e perciò non dà scandalo. Quan-
do invece per ogni piccola circostanza si vede
girare per il paese, si tiene subito per un
religioso dissipato, tutto esteriore, che ama
poco il suo stato; e darà, con più o meno ra-
gione, un certo pretesto che si mormori sul
-uo conto e sullo stato religioso.
Ricevendo visite.
Quando venissero i parenti a trovarti al
noviziato, tu non ti presenterai loro senza
previo permesso del maestro. Bisogna che ti
mostri grazioso con essi; ma non invitarli a
prolungare la visita, o a venir di nuovo altre
volte. Bisogna che stia con loro in parlatorio,
e che non ti prenda da te la libertà di con-
durli per la casa e per il giardino: puoi tut-
tavia, occorrendo, averne facilmente il per-
messo, ed allora ti regolerai secondo il per-
messo avuto. Se le persone con cui 'ino si tro-
va prendono piacere a parlar di Dio, della

6.2 Page 52

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——
religione, della vita dei santi, od altri soggetti
edificanti, te ne approfitterai per far cadere
su questi la tua conversazione. Quando si
ama Dio, e si è penetrati di cose sante, è
gradevole potersi intrattenere lungo tempo
su questi soggetti, e se ne parla con piacere,
poiché la bocca parla dall'abbondanza del
cuore. Ma se si ha da trattare con persone
mondane, che non hanno troppe attrattive
per la divozione, si è certi di stancarli par-
lando continuamente di cose di pietà. Val me-
glio contentarsi di fare scorrere nel corso
della conversazione e a data occasione, qualche
buona massima, o qualche tratto edificante e
nulla più. Alle volte una parola edificante
gettata là, bene a proposito, ma come di pas-
saggio, farà maggior frutto che un intiero
trattenimento di cose di pietà.
CAPO IX
PRIME CURE INTERIORI
DEGLI ASCRITTI
Tre sono le cose che devi fare avanti tutto,
per formare il tuo interno, e per metterti
sulla via della perfezione. È necessario pri-
ma di tutto l'osservanza esatta delle regole,
poi l'esercizio dell'umiltà e carità fraterna,
95
e più che tutto l'apertura del cuore ai tuoi
superiori.
Osservanza delle regole.
Appena entrato in noviziato procura di
conoscere e praticare esattamente le regole
della nostra Pia Società, le deliberazioni dei
Capitoli Generali ed il Regolamento delle ca-
se. Nel ricevere il libro delle Costituzioni fi-
gurati di riceverlo dal Signore medesimo, il
quale anche ti dica: «pratica queste regole
ed avrai la vita eterna (1) ». Procura perciò
di dare grande importanza anche alle regole
più piccole e sii deciso d'osservarle rigorosa-
mente, anche quando costano sacrificio. Va'
a gara coi migliori per dare buon esemp'o
nella perfetta loro esecuzione. San Giovanni
Berchmans fu così esatto e costante in que-
sto, che in punto di morte potè asserire di
non aver mai trasgredito nessuna regola, fos-
se pur stata piccola, in tutta la sua vita
religiosa; e fu appunto questo che lo elevò
ad un alto grado di santità. Del nostro impa-
reggiabile Don Beltrami possiamo dire lo stes-
so: dal dì che entrò in noviziato fino al fine
della sua vita fu così attaccato all'osservanza
delle Costituzioni anche delle minime, che
non ne avrebbe trasgredito un apice per qua-
(1 ) « Hoc fac et vives ».

6.3 Page 53

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— 96 —
lunque cosa del mondo. Egli era solito dire:
vai più l'osservanza di una regola, che gua-
dagnar tesori,* "Si devono tenere le Costitu-
zioni come il sentiero tracciato da Dio, se-
guendo il quale si arriva al paradiso. Sono
come i binari delle ferrovie che guidano dirit-
to il treno, senza che possa deviare, finché
arrivi alla mèta desiata; o come quei para-
petti collocati sui due lati di un ponte innal-
zato sopra un fiume od un torrente profondo,
che riparano dalle cadute. Le regole sono
ancora come le ruote d'un carro, che lo aiu-
tano a correre con facilità anche portando un
gran peso; o come le ali di un uccello che
lo sostengono nel volo. Oh quanto devi con-
siderarti fortunato di avere avuto da Dio
tanti riguardi, avendoti egli medesimo indi-
cata la strada, poste le guide, munito di para-
petti, e fornito di ruote per correre e di ali
per volare sicuramente al cielo! La regola de-
v'essere la tua parola d'ordine, la tua aspira-
zione, la tua vita. Iddio nel giudicare il reli-
gioso in fin di vita, l'esaminerà sulla osser-
vanza delle regole: chi le osservò tutte e sem-
pre, e bene, è certo della ricompensa eterna;
chi non le osservò tutte, o non le osservò sem-
pre e bene, si priva di molte grazie del Si-
gnore, e perciò è in pericolo di non arrivare
alla vita eterna.
Quando si trattò della Beatificazione di
San Giovanni Berchmans fu fatto osservare
al Papa che mancavano dei miracoli; il Santo
——
Padre disse che l'aver sempre osservato bene
tutte le regole equivaleva a tanti miracoli
quanti sono gli articoli delle regole medesime.
E Benedetto XIV promise di canonizzare un
novizio che durante tutto il noviziato avesse
perfettamente osservato tutte le regole del
suo istituto. Vedi adunque che importanza ha
l'osservanza delle regole. Sappi approfittare
del tempo del noviziato per fartene un'abitu-
dine, onde poterle osservare poi per tutta la
vita.
Perchè osservare le regole.
Mi domanderai: perchè tanta cura per os-
servare le regole? Ed io ti rispondo: — 1. Per-
chè Iddio lo vuole; tu ne sei sicuro avendone
avuto la vocazione, essendo stato ammesso in
società dai superiori, ed essendo le regole
state approvate dalla Santa Sede. — 2. Per
i grandi meriti che te ne provengono; coll'os-
servarle fedelmente dài, in tutti gli istanti
del giorno e della notte, un segno di amore
al buon Dio; ed il Signore non lascia mai
un atto tale di amore senza ricompensa; e
siccome la regola abbraccia tutti i momenti
e tutti gli atti, senza lasciar niente al capric-
cio, niente alla propria volontà, così questi
meriti si moltiplicano infinitamente. — 3.
Coll'osservare le regole si dà gloria a Dio,
riconoscendo il suo dominio sopra di noi. —

6.4 Page 54

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— 98 —
4. Tu gli fai piacere, perchè con questo cerchi
di imitare Gesù Cristo, clie non cercava altro
che ubbidire al suo Eterno Padre. — 5. Per-
chè l'osservanza delle regole è ciò che ti rende
felice. Iddio non si lascia vincere in generosi-
tà: più tu dài, più egli ti renderà; più met-
terai la tua applicazione a servirlo, ed esser-
gli fedele a non dispiacergli, e più egli ti con-
solerà, ti proteggerà, ti ricompenserà, ti ren-
derà felice. Perciò non ti scoraggino le soffe-
renze e gli sforzi: ogni pena passa ed ogni
merito dura, ed è ricompensato per tutta l'e-
ternità.
Le regole non obbligano sotto pena di pec-
cato.
Ma dirai: le regole nostre non obbligano
sotto pena di peccato. Questo è vero, e lo di-
chiarò espressamente la Chiesa; ma — 1. cer-
tamente entrando in congregazione, non cer-
chi solo di non offendere Iddio, ma bensì di
fare tutto quello che maggiormente gli piace
cioè vuoi dar gusto a sua Divina Maestà, in
tutti i modi che puoi. Ora: è vero, sì o no,
che osservando la regola dài gusto a Dio, e che
non osservandola lasci una occasione pro-
pizia di dargli gusto? Dunque non lesina-
re col Signore se sia peccato o no, ed osser-
vale rigorosamente sempre, tutte, sapendo
che con questo dài gusto a Dio. — 2. Sebbene
——
solo direttive, le regole sono ciò che costi-
tuiscono il salesiano. Un francescano è fran-
cescano in quanto osserva le regole dei fran-
cescani: un domenicano è domenicano in quan-
to osserva le regole dei domenicani; e tu sarai
salesiano in quanto osserverai le regole dei
salesiani. Sebbene non commetta peccato tra-
sgredendole, non opereresti da salesiano; e
se tu ti sei fatto tale, è per vivere come tale.
Piuttosto, dacché sei ancora in tempo, non farti
salesiano; ma se ti fai, vivi tutto da salesiano.
— 3. Con l'osservanza delle regole ti fai infi-
niti meriti; se non le osservi ti privi di tutti
questi meriti, e ti troveresti poi a mani vuote.
— 4. Le regole sono come un forte avanzato
che impediscono di trasgredire i voti: se co-
minci a trasgredire le regole, ti metti in peri-
colo di trasgredire poi anche i voti, e la tra-
sgressione dei voti è certo sempre peccato. —
5. I diversi punti della regola non obbligano
sotto pena di peccato, ma il motivo che ti
porta a trasgredirne volontariamente alcuna
per lo più è peccaminoso. Questo è o la pi-
grizia, o l'orgoglio, o la sensualità, o qualche
altro motivo disordinato. Sant'Alfonso affer-
ma, che egli crede non si possa ordinariamente
trasgredire qualche regola senza che vi sia
peccato, e questo o mortale o veniale secondo
la materia; e dice che questa è la sentenza
comune dei dottori. San Tommaso parlando
di quelle regole, che per sé non obbligano
sotto pena di peccato nè mortale nè veniale,

6.5 Page 55

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— 100 —
dice precisamente: «Dopo i voti la trasgres-
sione o l'omissione di qualche regola o costi-
tuzione non si può scusare da peccato veniale.
Che se alla trasgressione si unisce il disprez-
zo formale, non si può scusare da peccato
mortale. Ma non può avvenire che qualcuno
trasgredisca volontariamente e costantemente
le regole, senza che vi sia disprezzo; secondo
San Bernardo, il violarle volontariamente è
già un disprezzarle. Poiché, sebbene si conce-
da che questo disprezzo non sia aperto ed
espresso, non si può negare, come dice que-
sto medesimo santo, che vi sia disprezzo taci-
to od occulto, il che è certo sufficiente per-
chè si commetta peccato, almeno veniale ».
Perciò non è conveniente, dice il Suarez, che
noi c'implichiamo in questa questione, se cioè
la regola obblighi sotto peccato o no, quando
è difficilissimo disgiungere la volontaria vio-
lazione di essa dal peccato. Tu pertanto pensa
e medita bene queste sentenze di quattro tra
i più insigni dottori di santa Chiesa, e ti deci-
derai con sempre maggior fermezza a non
mai trasgredire una regola, dopo di aver pro-
messo al Signore di volerle osservare.
Esercizio dell'umiltà.
Ricordati poi che sei novizio, e che novi-
zio non altro vuol dire che un principiante, un
inesperto, un rozzo, privo di scienza, povero
— 101 —
di consiglio, senza virtù, e bisognoso di dire-
zione. Il che intendendo, cerca di abbassarti
di umiliarti quanto più puoi, e metti da
parte ogni pensiero umano, ogni opinione,
parere, giudizio od arbitrio, con cui forse pri-
ma, libero di te, ti reggevi. Persuaditi di non
saper nulla, e usa ogni industria per riacqui-
stare quella santa ingenuità infantile, tanto
encomiata dal nostro San Francesco di Sales,
perchè raccomandata dal Divin Redentore,
quando c'insegnò a farci come fanciulli. « Se
non diventerete come fanciulli non entrerete
nel regno dei cieli (1) ». Procura di persua-
derti intimamente che le virtù nascoste piac-
ciono di più al Signore di quelle che esterior-
mente rifulgono; quelle son anche più sicure
per conto tuo, mentre queste potrebbero met-
terti in pericolo di vanagloria. Abituati per-
tanto a queste virtù interne e poco appari-
scenti. Ricorda a te stesso il detto dello Spi-
rito Santo : « Ogni splendore tuo viene dal-
. interno (2) ». Chi viene al noviziato, di qua-
lunque età o condizione od educazione esso
sia, specie poi se è già adulto, e se già pri-
ma fu padrone di sè, od esercitò cariche,
deve persuadersi, entrando, che in lui vi è
(1) « Nisi efflciamini sicut parvuli, non intrabitis
sa
regnimi caelornm » (MATTEO, X V I I I , 3).
(2) « Omnia gloria eins, filiae regia, ab intus
>
(.Sal-
mi, XLIV, S).

6.6 Page 56

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— 102 —
molto da riformare e da correggere. Credilo
pure, e credilo fermamente.
Non si può far conto delle virtù che si a-
vevano prima. Alle volte alcuno, tenuto pri-
ma per santo, nel noviziato lascia apparire
un cumulo di difetti. Il mondo fa presto a
canonizzare uno, chiamandolo santo; basta
che si abbia un esteriore composto e divoto.
Ma la santità consiste nel continuo rinnega-
mento di se stesso, affine di far in tutto ciò
che piace di più al Signore; e questo rinnega-
mento richiede grande vigilanza sopra i pro-
pri atti, e costa grandi sacrifici. Pertanto
quelli che vengono ad abbracciare la vita
religiosa, e che sembrano a primo aspetto
averne le qualità, ma che in conclusione non
sanno, non hanno la forza di rinnegare così
se stessi, alla prova si scorgono affatto inetti.
£ perciò importante convincerti bene di que-
sta grande verità. Il noviziato deve produrre
in te il più grande e il più radicale cambia-
mento. Devi considerarlo come un crogiuolo,
in cui devi esser gettato, affinchè la tua for-
ma presente sia distrutta ed annientata, cro-
giuolo da cui devi uscire tutto trasformato,
secondo la immagine del divino ed unico
modello, Gesù Cristo. Nè ti sembri troppo
rigoroso questo mio detto. Ascolta se il no-
stro amatissimo San Francesco parla altri-
menti! Ad una postulante, che arrivava al
monastero, rivolse queste parole: «Eccovi
adunque tutta morta al mondo, ed il mondo
— 103 —
- jtto morto per voi. Ma sappiate che questo
:istacco dal mondo non è che la prima parte
dell'olocausto; restano ancora due parti: l'una
è di scorticarne la vittima, l'altra di bruciarla
- di renderla in cenere ».
Esercizio della carità.
Il noviziato deve divenire per te un piccolo
Taradiso; ma condizione indispensabile, per-
•è riesca tale, si è che, oltre l'umiltà, ognu-
no vada a gara per esercitare la carità fra-
ina. Figliuoli miei amatevi scambievolmen-
te! Queste tenere parole dell'apostolo San
Giovanni, andrebbero ripetute ogni giorno
igli ascritti, radunati per il primo esercizio
iella giornata: Miei buoni figliuoli amatevi
molto, amatevi molto! La carità deve essere
!a virtù di predilezione delle case religiose;
ssa è la virtù speciale del Cuore di Gesù
Cristo. Ma tu in pratica nota bene che a-
narsi importa sopportarsi, aiutarsi, stimarsi,
Tirarsi e sostenersi reciprocamente: senza di
:uesto la carità è di sole parole.
Motivi di carità.
Perchè si deve usare tanta carità vicen-
devole? — Per tre motivi:
a) perchè Dio lo comanda : « il mio co-
5

6.7 Page 57

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— 104 —
mando è che vi amiate scambievolmente ». E
questo è detto da Gesù « il mio comanda-
mento » ed è comandamento che forma
il carattere distintivo dei veri fedeli di Gesù
Cristo: « Vi riconosceranno per miei disce-
poli se avrete carità gli uni per gli altri ».
A quello stesso modo che non può salvarsi
chi non ama Dio, non può salvarsi chi non
ama il suo prossimo: I due comandamenti non
ne fanno che uno, secondo la parola di Gesù
Cristo.
b) Il merito grande di questa virtù. —
Charitas operit multitudinem peccatorum,
dice San Pietro: la carità copre la moltitu-
dine delle colpe. Dio ci ha formalmente pro-
messo di fare per noi tutto quello che noi
avremo fatto per gli altri: se noi perdoniamo
al nostro prossimo Iddio perdonerà a noi.
c) L'esempio di Gesù Cristo. — Per l'a-
more che portò a noi egli è venuto su que-
sta terra; per amor nostro ha sofferto ed è
morto in croce. La sua vita, i suoi esempi fu-
rono tutta carità. Noi dobbiamo imitarlo se
vogliamo essere veri religiosi; e dobbiamo
essere pronti per amor di Dio, a dare la vita
per il prossimo.
Pratica della carità.
Per esercitare davvero questa carità, pro-
cura di avere grande stima dei tuoi fratelli.
— 10 —
Richiama continuamente a memoria, e figu-
rati che Gesù dica direttamente a te: Come
tu amerai i tuoi confratelli io amerò te; ciò
che tu farai per loro lo farò a te; come tu li
giudicherai io giudicherò te. Va' con loro
e trattienti con viso franco, semplice, amo-
revole; sopporta tutto con candore ed alle-
gria. Va' con tutti senza eccezione, stando
con chi primo incontri, come se la Provvi-
denza te lo mandasse vicino apposta, affin-
chè eserciti la carità con lui. Fa' loro tutti
i servizi che ti sono possibili; vieni in aiuto
di chi ne ha bisogno; alleggerisci chi è più
carico di lavoro.
Consola anche i confratelli che fossero
nella afflizione, circonda chi stesse solo; sii
più dolce e cortese con chi fosse inquieto.
Ma il più è che non ti offenda mai con nes-
suno, qualunque cosa ti dicano, qualunque
cosa ti facciano; sappi anzi domandar scusa
se qualcuno è un po' irritato, contro di te.
Fàtti una legge di scusar tutti; fa' di far ri-
levare le buone qualità degli altri, e di co-
prire sempre i loro difetti se ne avessero. San
Francesco di Sales commenta come sia un atto
di grande virtù il sapere apportare da per
rutto la pace e la gioia, mantenendo tra tutti
ia più schietta ilarità. Quanto Gesù sarà
contento di te, se riuscirai a far star allegri
e divertire i tuoi compagni!

6.8 Page 58

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— 106 —
Fiducia nel maestro.
Oltre al procurarti l'umiltà e la carità, il
sentimento che deve di più animarti nel-
l'entrare in noviziato, è questo: di gettarti
nelle braccia del superiore, lasciarti da lui
trattare e rimaneggiare come vuole, e con
gran docilità ed umiltà lasciarti imprimere
la forma che egli vuole darti. Proponiti pro-
prio d'avere in tutte le cose gran fiducia nel
tuo Maestro. Devi dimenticare tutto quello
che eri, per apprendere qui tutto quello che
devi essere. Non devi aver confidenza in nes-
suna tua abilità; ma solo nell'abilità di chi
ti guida. Bisogna dire schietta la parola già
pronunciata dalla vittima divina: «Ecco che
io vengo, o Dio, per fare la tua volontà ».
Ecco che vengo, e per nient'altro, che per
fare la volontà di Dio. È al tutto necessario
che tu rammenti sempre il divin mistero del-
l'annichilimento di Gesù, e della sua obla-
zione tanto perfetta, tanto assoluta. E senza
più, considerati sempre come un'ostia offerta
all'adorabile maestà, per distruggere nella
tua anima, e nel tuo corpo, tutto ciò che
spiace al Dio di tutta santità, e per entrare
in tutte le disposizioni, che procurano, il
più efficacemente possibile, la gloria di que-
sto unico Signore e Padrone nostro, centro e
termine di tutta la nostra vita.
Considerandoti pertanto come principiante
nella vita spirituale, e bisognoso d'esser cor-
107
retto, appena entrato in noviziato delibera e
proponi di sottometterti in tutto al volere di
chi ti ha da dirigere. Abbilo in conto di Dio
medesimo, e perciò fatti da lui conoscere
bene e completamente, per poter avere così
gli opportuni avvisi e le necessarie correzioni.
È Gesù medesimo, che, per toglierci ogni
dubbio, ci assicura che il superiore tiene le
sue veci, dicendo ai suoi ministri: « Chi ascol-
ta voi, ascolta me; chi disprezza voi, disprez-
za me (1) ». Perciò mettiti tutto nelle sue
mani con gran sincerità. Un ascritto che non
metta fin da principio tutta la sua confiden-
za in chi lo dirige, non passerà certo un
bell'anno di noviziato, non potrà mai di-
ventare un buon confratello, e difficilmente
persevererà nella sua vocazione.
Confidenza nel maestro.
Ti gioverà grandemente il fare dopo al-
cune settimane di noviziato, o alla prima cir-
costanza possibile, al maestro, in una o più
volte, a voce, o meglio anche per iscritto, un
rendiconto accuratissimo di tutta la tua vita.
Xell'aprirti al superiore manifesta tutto te
?tesso. Non aver timore di palesare gli abiti
(1) « Qui TOS audit, me audit, et qui vos spernit,
=IE s p e r n i t » (LUCA, X , 16).

6.9 Page 59

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— 10 —
cattivi contratti nella vita passata, e tutti i
propri difetti. Manifesta pure lo stato della
tua famiglia, le compagnie che frequentavi,
da quando e come abbia cominciato la tua
vocazione, le difficoltà che hai incontrate per
seguirla, i mezzi che hai presi a tal uopo. Fa'
note anche le virtù, le mortificazioni, le divo-
zioni speciali che avevi, tutto nel desiderio di
essere ben diretto; e sii pronto ad eseguire
quelle cose che il superiore ti suggerirà, ed a
lasciare quanto egli ti dicesse di lasciare. Ri-
cordati sempre che è questo l'anno in cui devi
farti ben conoscere dai varii superiori, i quali
hanno poi da decidere del tuo progresso nelle
virtù, de' tuoi sforzi per l'avanzamento in
esse, specialmente per darti consiglio intorno
al giudicarti preparato o meno per la profes-
sione religiosa; ed in appresso devono poi
pensare alla tua destinazione in anni avvenire.
Questa chiarezza di coscienza, che hai comin-
ciato ad avere in principio del noviziato, la
continuerai lungo tutto l'anno. Anzi proponiti
fin d'ora di voler continuarla per tutta la vita
tua, con gli ispettori e direttori, che Iddio si
compiacerà di darti. Di più mostrati sempre
prontissimo a sopportare ogni sorta di ripren-
sioni, di mortificazioni, di umiliazioni che ti
dessero. Capisci bene che queste prove ti si
dànno come medicine, e salutiferi rimedi, per
le tue infermità spirituali. Non solo non offen-
dertene; ma abbine grandissimo obbligo, e
rendine infinite grazie al maestro per un tanto
— 109 —
amore che ti porta, avvisandoti e correggen-
doti con tanta sollecitudine. Dandoti così to-
talmente in mano al superiore sarai con mi-
nor fatica formato, e più facilmente condotto
nella via spirituale.
Ama con tutto il tuo cuore tale maestro,
e con ogni soggezione e rispetto riveriscilo.
Avendolo così in luogo di padre, arditamente
e con una libera fiducia, insieme coi pensieri
ed affetti dell'animo tuo, scoprigli anche le
battaglie e le tentazioni, affinchè da lui pos-
sa conoscere le insidie, le arti, gl'inganni e
la fallacia dell'astuto demonio, e possa es-
sere provveduto degli opportuni rimedi. E
nota bene, che questa apertura di cuore deve
comprendere totalmente il bene ed il male, il
contento ed il disgusto, il dolce e l'aspro, ed
ogni cosa più segreta; sicché il maestro deve
venire, in certo modo, a sapere meglio di te
stesso come te ne stia nel tuo interiore. Che
se il demonio tentasse di suggerirti qualche
sinistro giudizio contro il maestro medesimo,
confidentemente palesaglielo, e così facilmente
ed efficacemente farai riuscir vani i suoi sfor-
zi. Si deve cavar il serpente fuori della tana,
per ucciderlo; perchè se sta nascosto esso si
rinforza e vive, e venendo alla luce languisce
e muore.
E tutto ciò devi fare mentre la ferita è
recente chè altrimenti essa s'allarga a poco a
poco, così che diventerebbe più incurabile.

6.10 Page 60

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— 110 —
Tentazioni contro la confidenza col maestro.
Il nemico delle anime intende benissimo
quanto questa completa manifestazione sia
espediente ed utile per purgarti dai vizi, e
per acquistare la perfezione. È per questo che
usa ogni industria per impedirla. Il che tenta
con mille arti, e cerca di insinuarsi per diver-
se vie. Ora suggerisce nell'animo che la ten-
tazione è di poco momento, e che per così
piccola cosa non si deve disturbare il supe-
riore; ma da questo potrebbe avvenire che da
una piccolissima scintilla ne divampasse un
grandissimo incendio. Altra volta ti metterà
avanti agli occhi la vergogna, ed il rossore
che ne avrai, manifestando la sozza ed im-
monda tentazione. Spesso si serve della su-
perbia, tanto a lui familiare, facendoti pa-
rere che sei in grado di ben reggerti da
te stesso, senza che sia necessario l'aiuto d'al-
tri. Alcune volte ingerirà nel tuo cuore po-
ca stima e riverenza del superiore medesimo,
facendoti intravvedere in lui difetti tali, che
ti tolgono quasi la forza di manifestarti a
lui, non isperandone soccorso e rimedio.
Talora anche ti metterà un certo timore,
nato da superbia e da amor proprio; e ti
farà dubitare che, mostrando le tue magagne,
sarai dal superiore avuto in minor pregio e
stima e ti farà anche venire paura di perdere
la riputazione, o quel luogo di grazia che
presso di lui tieni; ed anche ti farà temere
——
che manifestando tante cose, egli cerchi di
mandarti via, od almeno al fin dell'anno non
ti lasci poi fare i santi voti, centro di ogni
tua aspirazione. Con queste ed altre innume-
revoli arti s'affatica il demonio di irretire i
principianti, perchè non si scoprano nelle cose
più importanti, specialmente in materia di
costumi, e in quanto riguarda dubbi di voca-
zione.
Come vincere queste tentazioni.
Sappi pertanto esser questa un'astuzia e
frode del nemico; il quale nulla tralascia per
farti del male. Resisti fortemente: apri an-
cor meglio il cuore, quanto più grande è la
ripugnanza. Poiché se vedrà il demonio che
le sue suggestioni ed i suoi inganni sono ap-
palesati, è tanto superbo il malvagio, che ab-
bandonerà l'impresa, e finirà col non più ten-
tarti. Per ottenere forza e fare tutte le cose
esposte, oltre che all'incessante preghiera, ri-
corda sempre che nell'anno di noviziato devi
porre il fondamento per tutta la tua vita.
Sappi che le virtù, che vai acquistando, sono
basi che vanno radicate profondamente nel
• uore, e non trascurate mai. Vi furono novizi
osservantissimi della regola, i quali, dopo fatti
: santi voti, non persistettero nella virtù, e
perdettero anche la vocazione. L'edificio della
perfezione da essi fondato ebbe qualche vizio

7 Pages 61-70

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7.1 Page 61

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I . — 112 —
occulto; le virtù si erano attaccate all'uomo
esteriore, ma non avevano penetrato abba-
stanza l'uomo interiore: esse cioè ne avevano
l'apparenza, senza averne la realtà. Non era-
no fondate su un'umiltà sufficiente. È pertan-
to della massima importanza che sul prin-
cipio del tuo noviziato tu ponga profonde
radici nel bene e specialmente che ti ponga
ad osservare tutte le regole, anche le più pic-
cole con intimo convincimento; che pratichi
l'umiltà e la perfetta soggezione della volon-
tà; e che ti persuada che, senza sincerità e
una chiarezza completa di coscienza, non riu-
scirai a costrurre un edificio duraturo.
fui? (1) » e diede ordine che fosse divelto e
I rtttato nel fuoco. Tu, o mio buon amico, do-
I vresti immaginarti di essere quella pianta
I finora infruttuosa: il Signore vuol darti an-
I cora un anno di tempo nella speranza che
_ fruttificherai. Fatti coraggio: il Signore mette
I attorno a te tanti mezzi come di bonifica-
zione, ti fa coltivare bene; avrai tutte le co-
modità di farti santo; ma bada che se alla fine
dell'anno il Signore continuasse a vederti in-
fruttuoso, senza misericordia darebbe ordine
L di estirparti da questo suo giardino prediletto
i della congregazione, e ti farebbe mandare nel
I fuoco del mondo e delle tribolazioni spiri-
tuali.
Comincia subito.
CAPO X
I PRIMI MESI DEL NOVIZIATO
Ma se vuoi riuscire a passare bene l'anno,
bisogna che cominci subito. Guai se ti lasci
prendere dall'inerzia sul principio, lusingan-
Il fico infruttuoso.
doti col dire: domani vedrò, domani farò!
Sant'Agostino si lasciava lusingare anch'egli
Il Divin Salvatore ci raccontò a grande
nostro ammaestramento, la parabola del fico 1
infruttuoso, che il padrone della vigna vole-
va svellere. Pregato a concedere ancora un '
po' di tempo perchè lo si potesse concimare
e coltivar meglio, accondiscese; ma, passato I
col dire domani, domani, cras, cras; e intanto
non si convertiva. S'accorse che questo pro-
crastinare era come il non mai fare: allora
ruppe ogni indugio, e si convertì. E dopo,
piangendo, ammonisce noi di non dire: farò
poi; chè, questo poi è fratello del mai; e c'in-
un anno, vedendo che continuava ad essere in-
fruttuoso, disse: « Che cosa sta ancora a far
(1) • U t quid etiam tcrram occupat? » (LUCA, X I I I , 7).

7.2 Page 62

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— 114 —
vita a far subito, e dire: comincio ora. Sì, bi-
sogna che tutti i giorni anche tu ti animi
dicendo: comincio adesso; allora sta' certo
che il Signore farà maraviglie in te. Bada,
che se non comincerai a far bene nei primi
mesi, non farai più bene in tutto l'anno. Cre-
dilo pure, chè avviene in questo come nella
matematica: in essa chi perde le prime lezio-
ni, non capisce più nulla. Qui, se perdi i pri-
mi mesi, molto difficilmente potrai rimetterti
dopo. E venendo alla pratica: nei primi mesi
bisogna specialmente che faccia tre cose: lc
regolare bene le pratiche di pietà; 2° impa-
rare a far le cose non più per fini umani, ma
sempre per il Signore; 3° metterti energica-
mente a far guerra ai tuoi difetti, incomin-
ciando a combattere con tutte le tue forze i
più gravi; quelli cioè che in passato ti aves-
sero prodotte maggiori cadute.
Far bene le pratiche di pietà.
Tra le pratiche di pietà, quelle nelle quali
devi metterti con maggior impegno, sono le
confessioni e le comunioni, perchè affatto fon-
damentali; così la meditazione e l'esame di
coscienza, perchè non eri solito a farle prima.
Biguardo al modo di fare con profitto queste
pratiche, ne tratteremo nella terza parte di
questo manualetto. Per ora mi limito a far-
tene una raccomandazione, insistente e pres-
— 11 —
sante. Da fanciullo poi, benché non cattivo,
savi fare le cose sènza pensare granché;
"peravi forse per fare buona figura, per pia-
cere al superiore, e per non essere castigato.
Ora è al tutto necessario che cambi registro;
e questo, subito, fino dai primi mesi. Bisogna
che ti proponga assolutamente di fare le tue
azioni con l'unico scopo di piacere a Dio. Que-
sto assurgere al sovrannaturale nelle tue ope-
re, è punto di primissima importanza. Propo-
niti adunque fermamente di non voler cercar
più di far bella figura; di non badar più se
il superiore ti vede o non ti vede; di non ope-
rare più per semplice affetto al superiore, e
tanto meno, per timore di castigo. Ora se
vuoi metterti su d'una via di perfezione, è
necessario che faccia tutto con lo scopo di-
retto di piacere a Dio.
Tutto alla presenza di Dio.
Proponi pertanto di renderti abituale e
familiare, per quanto puoi, il pensiero della
presenza di Dio. Egli ti vede, e qual padre
amoroso si occupa di te: anche le piccole
mancanze in te gli spiacciono. E tu pratica il
sursum, corda, in alto i cuori! In ogni opera-
zione imita le galline quando bevono, che ad
ogni sorso alzano la testa in su; e tu alza il
pensiero a Dio. Règolati, come ci ammonisce

7.3 Page 63

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la Chiesa, di tenere cioè il cuore fisso là, dove
sono i veri gaudi (1). Non camminare più
terra-terra! Ricorda sempre: cammina alla
presenza del Signore e sii perfetto. Degli an-
tichi patriarchi e profeti, tanto lodati dalla
Sacra Scrittura, si legge che stavano sempre
alla presenza di Dio. Viva il Signore alla pre-
senza del quale io sto: così erano soliti dire,
e con questo gran mezzo si rendevano perfetti
nelle virtù. Tu pure riuscirai nel tuo intento
di santificarti se ti addestri a tener il pen-
siero della presenza di Dio, ed a fare tutte
le azioni direttamente per piacere a lui. Im-
parerai così anche ad imitare il nostro pro-
tettore San Francesco di Sales, nonché il no-
stro Padre Don Bosco che dal cardinal Ali-
monda, nell'elogio funebre di « trigesima »
venne definito l'unione con Dio. Così si legge
nella vita di San Luigi Gonzaga, che sempre
faceva le opere sue pensando al Signore. Ed
in particolare si racconta, che nel tornare
a Roma dopo aggiustate le faccende del fra-
tello Rodolfo a Castiglione delle Stiviere,
« aiutava, con licenza del superiore, a chi
serviva in cucina ed in refettorio, portando
acqua al fuoco, lavando pentole, asciugando
cucchiai ». Quando apparecchiava il refetto-
rio, per istare più unito con Dio e fare quei
servigi con maggior merito, poneva alle tavole
(1) « Ibi nostra fixa sint corda, ubi vera sunt gau-
dia • (Dom. IV dopo Pasqua).
diversi nomi santi, è con quelli compiva poi
oon tale affetto e con tanta divozione quell'uf-
fizio, Ncome se realmente a quelle tavole aves-
sero a sedere Gesù Cristo, la Madonna, e i
santi ai quali s'immaginava di servire.
Combatti i tuoi difetti.
La terza cosa, cui devi accingerti con tutte
le tue forze nei primi mesi, anzi fin dai pri-
mi giorni del tuo noviziato, si è di muover
guerra continua ai tuoi difetti, e di estir-
pare almeno i più gravi, quelli che ti facevano
cadere con più frequenza. Se tu ora ti sei abi-
tuato a fare un po' d'esame di coscienza am-
modo, non penerai molto a conoscere quali
sono le tue inclinazioni peggiori. Coraggio: la
grazia del Signore, sta' certo, sarà abbondan-
te! Ci riuscirai; ma occorre energia. Osserva
pertanto ben bene se in te regna la vanaglo-
ria, o la voglia di dominare sugli altri, o
quella di comparire. Devi comportarti, con
questi difetti, come fanno i fanciulli quando
hanno tra mano una lumaca, che continua-
mente mette fuori i suoi cornetti: dan del
dito prontamente sul corno che comincia a
-puntare. E per quanto la lumaca sia persi-
-tente nel continuare a metter fuori le corna,
essi sono sempre pronti a fargliele rientrare.
Fa' così coi tuoi difìtti, senza stancarti; ap-

7.4 Page 64

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— 118 —
pena mettono fuori il capo, appena vogliono
spuntare, combattili. Per quanto siano per-
sistenti, sii tu più persistente di loro: poco
per volta riuscirai.
Combattere specialmente le cattive abitudini.
Che se poi avessi avuto antecedentemente
qualche cattiva abitudine di pensieri o cose
immodeste, qui sarebbe il tempo di una guer-
ra aspra e decisa. Con queste assolutamente
non potresti andare avanti per la via del sa-
cerdozio, nè potresti farti religioso. Guerra
decisiva, ho detto! Bada però bene, che in
questo ottieni di più prendendo buoni mezzi
e togliendo occasioni cattive o pericolose, che
non combattendo direttamente. Procura per-
ciò di pregare molto bene, di essere ben mor-
tificato negli occhi, nelle mani; assolutamente
non voler contentare la gola; tronca anche
violentemente, se occorre, ogni amicizia par-
ticolare; stancati volentieri sul lavoro, non
perdendo briciolo di tempo; e specialmente
sii umile. Con questi mezzi anche le abitudi-
ni più terribili ed inveterate a poco a poco
scompaiono. Ti confortino pure, e ti siano di
celestiale attrattiva quelle mirabili parole del-
l'apostolo: Non sapete che siete tempio di Dio,
e che lo spirito di Dio abita in voi? Se alcuno
violerà il tempio di Dio, il Signore lo sper-
— 11 —
ierà. Poiché santo è il tempio di Dio, che
siete voi (1).
E quelle altre parole del medesimo, con cui
conferma la nostra sublime e divinizzata di-
gnità: Non sapete voi che le nostre membra
son tempio dello Spirito Santo, il quale è in
voi, e che fu a voi dato da Dio, e che non
siete di voi stessi? Poiché siete stati compe-
rati a caro prezzo. Glorificate e portate Dio
nel vostro corpo (2). Ciò che ti dissi di que-
sti due difetti della vanagloria e dell'impuri-
tà, applicalo a tutti gli altri: Se ti senti assa-
lire dall'iracondia; se la gola vuol prendere
sopravvento; se trovi difficoltà ad accomu-
narti con tutti; se l'assoluta osservanza delle
regole ti pesa; se devi combattere per aprirti
completamente coi superiori; se la pigrizia ti
domina, o se ti costa fatica studiare o leggere
le materie assegnate, per la propensione che
hai di studiare o leggere cose di tuo genio;
o se qualunque sltra erba cattiva vuol pullu-
lare, mano alla falce e giù colpi alla radice!
Non far pace, per carità: non far pace con
questi difetti! Sant'Alfonso era solito a dire
(1) « Nescitis quia tempium Dei estis, et Spiritus
Dei habitat in vobis? Si quis autem tempium Dei vio-
iaverit, disperdet illum Deus. Tempium enim Dei sanc-
tum est, quod estis vos » (I Cor., I l i , 16-17).
(2) « AD nescitis quoniam membra vestra tempium
sunt Spiritus Sancti, qui in vobis est, quem babetis a
Deo, et non estis vestri? Empti enim estis pretio magno.
'Horifieate et portate Deum in eorpore vestro » (/&.,
VI, 19-20).

7.5 Page 65

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ai suoi religiosi: « Non mi fa pena vedere che
si abbiano difetti; siamo uomini, siamo deboli!
Ciò che mi atterrisce si è quando vedo che si
fa pace coi difetti, o non si combattono ener-
gicamente ». Lo stesso dico io a te: Non temo
se hai molte inclinazioni cattive, molti difetti,
quando ti vedo combattere energicamente e
con costanza: temo invece e ti darei come
perduto, se, anche con pochi difetti, non cer-
cassi energicamente di correggerli.
Sopportare le sofferenze.
In generale la vita è piena di dolori, ed i
momenti delle afflizioni possono giungere an-
che per te. Questi sono i momenti più impor-
tanti, nei quali cioè puoi farti maggiori me-
riti se ti diporti bene. E possono anche esserti
esiziali e farti perdere i meriti, e ben anche
condurti ad una inconsiderata deliberazione
di lasciar la vocazione, se non sai sopportarli
bene. Conviene quindi che impari e ti abitui
a pensare a Gesù sofferente ed alla Beata Ver-
gine Addolorata. Il pensiero tuo, come lo
sguardo, vada subito sui dolori da Gesù sof-
ferti nella sua dolorosissima passione. Tienti
sempre il Crocifisso avanti gli occhi, o l'im-
magine del Sacro Cuore, o quella della Beata
Vergine Ausiliatrice; qualche cosa insomma
che continuamente ti rammenti il Signore o
la Madonna, ed in conseguenza il gran merito
che vi è nei patimenti. Cosi facendo riuscirai
vincitore anche nelle lotte più terribili.
CAPO XI
LA VESTIZIONE RELIGIOSA
Ecco avvicinarsi il giorno da te tanto so-
spirato, quello della vestizione chiericale. Ap-
positamente si stabilì tra noi di tardare al-
quanto questa funzione, perchè ne intendessi
di più l'importanza, e vi ti preparassi meglio.
Sono tre le cose che specialmente devi fare
per disporviti bene: purificare l'anima tua;
capire bene quel che significa la vestizione
religiosa; prendere i mezzi per portare de-
gnamente la divisa indossata.
Purificare l'anima.
Dicendo purificare l'anima tua, certo s'in-
tende per prima cosa che ti purifichi dal pec-
cato mortale, se l'avessi, e, per quanto puoi,
anche dal veniale, con sentito dolore e con
una buona confessione. Ma di ciò ti ho già
parlato, e non è tutto. Conviene ancora che
veda se nelle prime settimane hai proprio
fatto quanto ti dissi nei capi antecedenti. Non

7.6 Page 66

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— 122 • -
devi considerare purificata l'anima tua se non
hai imparato ad assurgere allo spirituale, cioè
a far le opere unicamente per piacere a Dio,
e se non ti sei occupato energicamete per estir-
pare i tuoi difetti. Se non lo avessi fatto ab-
bastanza, procura, nella novena che si suol
fare precedere alla vestizione, di farlo con
tale energia, che serva a supplire alla negli-
genza antecedente. Coraggio; purificati sem-
pre meglio. Eliseo comandò a Naaman Siro
di lavarsi sette volte nel Giordano, se voleva
guarire dalla lebbra. Ed io ti dico: dopo es-
serti ben purificato dai tuoi difetti, hai biso-
gno di purificarti ancora; e dopo d'esserti pu-
rificato la seconda volta, hai bisogno di pu-
rificarti la terza, senza cessar mai. Non siamo
abbastanza puri avanti a quel Dio che vede
macchie persino negli angeli (1).
Cambiamento radicale.
Nell'atto della vestizione religiosa il supe-
riore anzitutto ti intima di svestirti dell'uomo
vecchio, dell'antico Adamo co' suoi cattivi
abiti. Quindi dandoti l'abito religioso ti im-
pone di rivestire l'uomo nuovo, di rivestirti
cioè di Gesù Cristo; poiché egli ornai dev'es-
sere il tuo modello, il tuo duce, il tuo esem-
(1) «In angelis suis reperit pravltatem • (Giobbe,
IV, 18).
— 123 —
piare, colui che deve eliminare il vecchio fer-
mento e vestirti della nuova creatura. In che
poi consista questo cambiamento dell'uomo
vecchio nell'uomo nuovo, lo spiega molto bene
San Paolo medesimo scrivendo agli Efesini.
« Svestitevi, dic'egli, dell'uomo vecchio che va
sempre viziandosi dietro agli errori seguendo
i desideri della carne, del mondo e del demo-
nio, appresso cui correste, mentre vivevate
avvolti nelle cupidige, fra le immondezze, fra
gli altri vizi consimili. Indi rinnovatevi nello
spirito della vostra mente, vestendovi di un
uomo nuovo, creato a somiglianza di Dio,
colla giustizia e colla santità della verità, di-
scacciando primieramente da voi lo sdegno,
la malvagità, il turpiloquio, la maldicenza
ed ogni altra malnata passione: assumendo
di poi, siccome eletti, santi ed amati da Dio,
viscere di misericordia, di benignità, di umil-
tà, di modestia, di pazienza: compatitevi l'un
con l'altro, e perdonatevi scambievolmente le
offese, siccome il Signore a voi le perdonò.
Conservate soprattutto fra di voi una reci-
proca carità, che è il vincolo della perfezione;
e la pace di Gesù Cristo nella quale siete stati
chiamati a formare un sol corpo, tenga con-
tento e lieto il vostro cuore ». Se sotto le vesti
di religioso tu conservassi le inclinazioni ed
i costumi secolareschi, saresti mentitore. La
cerimonia esteriore è segno dell'operazione in-
teriore. Quivi agisce una grazia speciale di
trasformazione, di rinnovamento, se tu cor-

7.7 Page 67

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— 124 —
rispondi. Pensa sempre che coll'atto della ve-
stizione chiericale tu non resti più tuo, ma di
Gesù. Esteriormente vi resta bensì la pelosità
di Esaù, ma sotto deve esserci il vero Giacob-
be; esteriormente comparisci tu, ma in realtà
deve vivere Gesù in te, come dice San Paolo
di se stesso: Vivo; ma non sono più io che vi-
vo; è Gesù Cristo che vive in me (1). Sì: far
scomparire te medesimo, e far vivere Gesù
in te, è la grande mutazione che deve pro-
durre la vestizione religiosa! Quando il santo
abate Bernardo, era avvisato esser giunto a
Chiaravalle un qualche giovane risoluto di
farsi religioso, andando ad incontrarlo alla
porta del monastero, prima d'introdurlo nel
chiostro gli diceva: « se voi anelate, figliuol
mio, alla vita religiosa che qua dentro si me-
na, lasciate qui fuori le prave inclinazioni
che avete portate dal secolo » (2). Così io dico
a te: bisogna lasciar fuori tutto ciò che non
tende a perfezione; e bisogna incominciar su-
bito quest'opera del rinnovamento tuo.
Significato della vestizione religiosa.
Bisogna poi che comprenda bene, e che
t'imprima nell'animo il significato della vesti-
ti) ' Vivo autem, iam non egro: vivit vero in me
Christus » (.Gal., II, 20).
(2) « Si ad ea qnae intns srrnt festinatis, hic foris
dimittite, quae de saeoulo attulistis
— 125 —
zione. Con essa tu indossi una nuova divisa,
impugni una nuova bandiera, entri in un nuo-
vo arringo, ti poni sotto una regola. Vestire
l'abito religioso vuol dire vestire la divisa
dei seguaci, anzi dei ministri di Gesù; vuol
dire che non devi più restare quel che eri pri-
ma, e come eri prima. Il color nero della
veste deve dirti che ormai tu non sei più di
questo mondo; anzi che fai lutto al mondo.
Tu pertanto devi poter cantare con Sant'Al-
fonso: «Mondo più per me non sei: — io per
te non sono più: — tutti già gli affetti miei —
ho donati al buon Gesù ». Questo è punto
capitale: vestendo l'abito religioso tu cambi
famiglia. Prima eri della famiglia di cui por-
tavi la divisa; ora avendo preso le divise di
Gesù, entri nella famiglia di Gesù. Egli ci
dice chiaro che chi vuol andare dietro a lui,
deve rinnegare tutto, ed anche rinnegare se
stesso, e la propria volontà; che bisogna por-
tare la croce; che i suoi seguaci devono cro-
cifiggere la propria carne e tenerla soggetta
allo spirito: dice che non devono temere se il
mondo lo odia, perchè fu egli pel primo ad
essere odiato dal mondo (1). E soggiunge che
il segnale per vedere se si è suoi o si è del
mondo, è il vedere se il mondo ci ama o ci
odia.
(1) « Si mundus vos odit, seitote quia me prlorem
vobis odio habuit » (Giov., XV, 18).

7.8 Page 68

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Distacco da tutto e da tutti.
Tra quel mondo cui devi fare il lutto bi-
sogna pure comprendere la tua patria terrena,
la tua casa nativa, i tuoi possessi e perfino la
tua famiglia. Tra noi il vestire l'abito chiericale
non è solo come di uno che vada in seminario,
il quale rinuncia a ciò che di peccaminoso vi
è nel mondo restando pur sempre in mezzo ad
esso. Ma vuol dire rinunciare completamente
al medesimo per amor di Gesù, affine di po-
terci consacrare intieramente al nostro pro-
fitto spirituale ed alla salvezza dell'anima.
Giacché il nostro è abito religioso, l'abito che
ci costituisce nella Pia Società Salesiana. Tut-
ta la Sacra Scrittura è piena di questi am-
maestramenti. La legge naturale, la legge mo-
saica e la legge di grazia son d'accordo nel-
l'inculcare questo distacco. Nella legge natu-
rale vediamo che il Signore volendo fare
grandi cose di Abramo, prima gli comanda di
abbandonare tutto, patria, casa, parenti. Ed
infine lo mette ancora al più duro cimento,
per vedere se era pronto persino a sacrificar-
gli il figlio. Solo allora che Abramo abban-
donò tutto e si mostrò pronto a tutto, il Si-
gnore lo elesse a divenire padre di molta ge-
nerazione, progenitore del suo Divin Figlio
Unigenito (1). Nella legge scritta vediamo
(1) « Iesu ChristiFLLIIDavid, filli Abraham • (MAT-
TEO, I . 1).
che Mosè stando per morire ci lasciò questo
bel ricordo, che specialmente s'appartiene alle
persone religiose: Solo coloro che sanno a
tempo e luogo abbandonare i parenti, ed oc-
correndo anche rinnegarli, avranno la grazia
di conservare in tutto il patto del Signore e
farsi santi (Deut., XXXIII, 9). Il che vale
quanto dire, che coloro i quali non hanno tan-
ta forza, non riusciranno a santificar se stessi,
e tanto meno a salvare altre anime. Nella leg-
ge di grazia Gesù cominciò a dire che tutti
quelli, i quali abbandonerebbero la casa, i
fratelli, i genitori per la sua gloria, avrebbero
ricevuto il centuplo su questa terra e la glo-
ria eterna in paradiso (Matteo, XIX, 29). Poi
parlò più alto, ed a quel giovane, che era chia-
mato a seguirlo, e voleva ancora andare a
seppellire suo padre, soggiunse: « lascia che
i morti seppelliscano i loro morti (1) ». Ed in-
fine alludendo a quando i parenti impediscono
la vocazione, o vorrebbero qualche cosa che
diminuisce lo zelo per la salute delle anime,
disse schietto : « se alcuno viene a me e non
odia suo padre e sua madre, non può essere
mio discepolo (2) ». Ma perchè tanto rigore?
perchè tanto impegno per separarci dai pa-
renti? Ne dà la ragione lo stesso Divin Salva-
(1 ) « Sine ut mortili sepeliant mortuos suos > (LU-
CA, I X , 60).
(2) « Si QUÌH venit ad me et non odit patrem suurn
et matrem suam... non potest mens esse discipulus»
(LUCA, X I V . 26).

7.9 Page 69

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— ,.128 —
tore soggiungendo, che i parenti molte volte
sono i nemici del nostro profitto spirituale (1).
Ciò che Gesù ci insegnò coi suoi ammaestra-
menti, l'aveva già praticato esso prima. A
dodici anni, quando la madre lo trovò nel
tempio e si lamentò perchè si era fatto tanto
cercare, disse schietto: Non sapevate che mi
devo occupare delle cose riguardanti mio pa-
dre? (2). Ed ai suoi apostoli che gli dissero,
mentre stava predicando alle turbe, che sua
madre lo cercava, soggiunse: Chi è mia ma-
dre e chi sono i miei fratelli? (3). Riguardo
al distacco dalla patria il Signore fa dire al-
l'anima religiosa: Ascolta, o figlia, e considera,
e porgi le tue orecchie, e scordati del tuo po-
polo e della casa del tuo padre, ed il re ame-
rà la tua bellezza (4).
Poi Gesù stesso ci dà una sentenza molto
seria. Lo invitavano i suoi compatrioti a fare
nel suo paese quello che faceva altrove; e
Gesù rispose deciso: Nessun profeta è accetto
in sua patria (5). Per questo sogliono molti
(1) « E t inimici hominis domestici eius » (MATTEO,
X, 36).
(2) * Nesciebatis quia in his quae patris mei stmt
oportet m e esse? » (LUCA, II, 49).
(3) « Quae est mater mea et qui sunt tratres mei? »
(MATTEO, X I I , 48).
(4) « Audi Alia, et vide, et inclina aurem tuam, et
obliviscere popnlnm tuum et domum patris tui, et
concupiscet rex decorem tuum » (Salmi, X L I V , 12).
(5) « Nemo propheta aceeptus est in patria sua »
(LUCA, IV, 24).
— '129 ^fl
ordini religiosi non mandare e non lasciare
i religiosi nei propri paesi; perciò Don Bosco
ci animava a domandare d'andar lontano
dai parenti il più che fosse possibile.
Ma in pratica come ti diporterai riguardo
ai parenti? Amali d'un amore spirituale, e
non di un amore terreno; perciò prega per
loro. Occorrendo dà loro dei buoni consigli e
per lettera ed a voce, ma non lasciarti indurre
dal loro alletto a trascurare qualche bene
spirituale, sia riguardo all'anima tua, sia ri-
guardo allo zelo per la salute delle anime.
Non immischiarti assolutamente mai nei loro
interessi materiali, e non volere neppure che
te li raccontino. Tanto meno cerca di ingerirti
nei loro contratti, nelle loro relazioni con chic-
chessia. Devi rinunciare alle visite in famiglia,
anche in tempo di vacanze, tranne malattia
mortale dei genitori, ed a loro istanza. Non
sollecitar mai i parenti che vengano a visitar-
ti, e quando vengono trattali gentilmente ma
abbrevia quanto puoi la visita, senza però
mai mancare di carità.
Come portare degnamente la veste.
Ricordati che devi anche prendere i mez-
zi per portar degnamente la divisa indossata.
E la prima cura sia di non imbrattarla que-
sta cara veste, poi di non sdruscirla, quindi

7.10 Page 70

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— 130 —
spazzolarla di quando in quando. Capisci che
non parlo di queste operazioni materialmen-
te, bensì moralmente. Si macchia col peccato:
macchie gravissime se il peccato fosse mor-
tale; macchie più o meno gravi quando fosse
veniale. Verrebbe sdruscita, quando non si
tenesse ferma la vocazione; quando lascias-
si risorgere il desiderio delle cipolle d'Egitto,
di attacco alle cose lasciate. Pertanto farai
cosa buona se indossando la veste chiericale,
domanderai la grazia al Signore di poterla
portare fino alla morte; anzi domanda addi-
rittura la morte piuttosto che averla a de-
porre.
Ma anche conviene portarla dignitosamen-
te, spazzolarla con frequenza togliendone la
polvere. Bisogna che ti animi sempre più a
questo: anche il solo mirarti vestito da chie-
rico, deve servirti di ritegno a fuggire le man-
canze, aver più orrore ai piccoli difetti cui
prima badavi poco, fuggire le ragazzate e
bambolaggini che prima non disdicevano gran
fatto, ma che ora sarebbero riprovevoli. E
poi, settimana per settimana, togliere la pol-
vere, esaminandoti accuratamente, pentendoti
profondamente delle mancanze, anche solo
della tiepidezza spirituale, della non suffi-
ciente corrispondenza alle grazie del Signore.
E confessartene con gran pentimento, poiché
è col dolore e con la confessione che ripulirai
le macchie dell'anima tua.
— 131 —
CAPO XII
I QUATTRO FRUTTI PRINCIPALI CHE SI
DEVONO RICAVARE DAL NOVIZIATO
Secondo che c'insegnano i vari maestri di
vita religiosa, e specialmente il ven. Padre
Lancizio, quattro sono i frutti principali e
fondamentali che devono provenire da un no-
viziato ben fatto. Essi devono poi durare per
tutta la vita, e formare come l'atmosfera in
cui ha da vivere continuamente il religioso.
E perciò quattro sono le cose a cui maggior-
mente devi impegnarti tu, o mio buon ascrit-
to, se vuoi che il tuo noviziato ti riesca pro-
ficuo per tutta la vita e per tutta l'eternità.
Attendi bene e fanne tesoro.
Odio al peccato.
Per prima cosa un noviziato ben fatto
ieve produrre e ingenerare nella mente e
:iel cuore del novizio un sommo odio ed or-
rore a qualunque peccato deliberato, fosse
pur piccolo; in guisa che non vi sia nessuna
osa al mondo dalla quale maggiormente ab-
orrisca, quanto dalla minima offesa di Dio.

8 Pages 71-80

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8.1 Page 71

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Se il noviziato non ingenerasse questo sommo
orrore per ogni peccato e per ogni difetto de-
liberato, non potrebbe dirsi un noviziato ben
fatto. Ciò perchè, come c'insegna San Basi-
lio: il principio, la base, il fondamento per ri-
cevere qualunque bene, è l'emendazione della
vita e l'allontanamento dal male. E questo
sforzo per allontanare costantemente il male
non sarà duraturo senza previo odio e dete-
stazione del peccato. E poi, come dice San-
t'Ambrogio: Quando si rinuncia al male, su-
bito s'incomincia ad acquistar la virtù. Poi-
ché con lo stesso sforzo con cui si allontana
il male, si acquista il bene.
Per questo motivo le nostre costituzioni
vogliono, che prima di cominciare il novi-
ziato ognuno passi dieci giorni nel fare gli
esercizi spirituali. In essi deve esaminare ac-
curatissimamente la propria coscienza ripen-
sando alla vita passata, e fare la confessione
generale e meditare sui propri peccati. Tali
cose tutte ben penetrate colla divina grazia,
procurano uno stabile odio al peccato, ed or-
rore a qualunque offesa di Dio. Anche per
questo motivo generalmente le regole degli
istituti religiosi vogliono, che ciascun novizio
abbia grande chiarezza di coscienza mani-
festando al superiore tutte quelle cose che
sono di maggior momento. Poiché sebbene
ciascun fallo considerato da solo deve già
ingenerare in noi grande orrore ed odio al me-
desimo, molto più orrore e odio si solleva nel
nostro cuore al considerarli tutti insieme pe-
netrandone la bruttezza, la gravità e la mol-
titudine. Tutte coteste considerazioni devono
spingere fortemente alla fuga energica, ed al-
1 evitare d'ora in avanti ogni anche minima
offesa del Signore.
Bruttezza del peccato.
L'anno intero del noviziato poi deve per te
principalmente avere questo intendimento, di
venire a conoscere sempre meglio la brut-
tezza del peccato, e imparare a detestarlo con
tutte le forze. Bisogna guardare bene da vi-
cino questo mostro per conoscerne l'orribilità.
Daniele ai Babilonesi, che adoravano un im-
mane e mostruoso dragone, si propose di far
capire a quei folli qual brutta cosa adorava-
no. Avutone il permesso riuscì facilmente ad
ucciderlo; e morto che fu si sentì ovunque
una puzza orribile. Daniele mostrando quel
cadavere così puzzolente al popolo, disse: Ec-
co chi adoravate: Ecce quem colebatis; e tutti
ne furono presi da orrore straordinario, e non
sapevan più che dirsi. Anche tu forse sei an-
dato dietro a questo mostro del peccato, più
brutto e puzzolente di quell'immane dragone,
e ti sarà parso come impossibile distruggerlo,
essendo tu tanto attaccato a lui. Ma ora che
essendo venuto al noviziato ci sei riuscito, e
l'hai finalmente distrutto, devi guardarlo, co-

8.2 Page 72

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— 134 —
m'è brutto e puzzolente, per prenderne un
orrore immenso e non aver più mai a conta-
minartene, con lasciarti ancor vincere da lui.
Domanda al vero Daniele eterno, a Dio, che te
ne faccia comprendere la bruttezza immensa
ed il suo fetore affinchè ne possa prendere
sempre maggior schifo ed orrore. E bada che
non devi solo detestare quell'orribilissimo mo-
stro, che è il peccato mortale; ma anche ve-
nir a conoscere il gran male che è, e detestare
anche il peccato veniale e qualunque offesa
di Dio, fosse pure di quelle che sembrano
piccolissime; perchè, per piccole che sem-
brino, essendo una offesa di Dio, saran sem-
pre una cosa più orribile e puzzolente di quel
mostro adorato dai Babilonesi.
Necessità di quest'odio.
Si è fatta osservazione, che uno, uscendo
dalle case di formazione, e andando a lavo-
rare nei collegi senza questo odio intenso ed
orrore ad ogni difetto, comincia subito a vi-
vere rimessamente, e poco per volta a cadere
in molti difetti e peccati veniali. Invece se nel
noviziato, con meditazioni, conferenze, pre-
diche, e considerazioni efficaci uno si è pre-
parato e scolpito sodamente nel cuore la gra-
vità e la nefandità di ogni peccato sebben
minimo, talmente viene ad abborrire ogni
caduta, che amerebbe meglio esser sottoposto
— 135 —
a tutti i patimenti del mondo, piuttosto di
cadere ancora in un solo e piccolo peccato de-
liberato. È la poca ponderazione del male
che è il peccato, e il non averne concepito
un intenso orrore la prima causa per cui,
molti, appena usciti dal noviziato, o dallo stu-
dentato, si uniscono ai compagni meno fer-
venti, e cominciano liberamente a mancare
ed a trasgredire le regole. Tu pertanto pro-
cura seriamente di riportare dal noviziato
quell'odio implacabile e quell'orrore profon-
do ad ogni sorta di mancamento; e vivrai
nella religione perfettamente, terrai conto
dell'osservanza di tutte le regole, farai molto
progresso, ubbiiirai perfettamente e vivrai
in perfetta pace e con edificazione degli altri.
Perciò non finisco di raccomandarti, o mio
buon amico, che voglia fondarti proprio bene
su questo punto, ora che ne hai ogni como-
dità, se vuoi fare molto progresso nella vita
spirituale e perseverare degnamente nella tua
vocazione.
Come riuscire a quest'odio santo.
E per riuscire a questo, bisogna che pro-
fondamente e minutamente vada consideran-
do avanti a Dio, che cosa sia il peccato, la
natura sua, le sue conseguenze, e le punizioni
che ci attira, e che con ugual profondità e
minutezza mediti i novissimi. È questo il mo-
6

8.3 Page 73

▲back to top
fiyo principale per cui io raccomando sem-
pre che nei primi mesi del noviziato per libro
di meditazione si preferisca l'Apparecchio alla
morte di Sant'Alfonso o qualche simile libro
che tratti a lungo sui novissimi. Con questo
s'ingenera meglio questo orrore ad ogni ben-
ché piccolo peccato. Oh io vorrei inginoc-
chiarmi ai tuoi piedi, mio caro principiante,
e pregarti per le piaghe di Gesù ad appro-
fondirti be>ie su queste considerazioni, ed
a prender un orrore intenso al peccato, altri-
menti io vedo approssimarsi la tua rovina! A
Santa Teresa, in .ma celebre visione, il Signo-
re mostrò il suo posto preparato nell'inferno,
facendole capire che ciò sarebbe stato in pu-
nizione di piccole imperfezioni. Ma come, mi
dirai tu, per piccole imperfezioni veniva con-
dannata all'inferno, mentre si sa che solo il
morire in peccato mortale vi ci può far ca-
dere? Ed io ti rispondo, come anche fu istrui-
ta Santa Teresa in quella circostanza. È ben
certo che per il peccato veniale non veniamo
condannati all'inferno; ma è anche certo che
il Signore vuole che noi corrispondiamo con
sincerità e slancio alle sue grazie più elette.
Se si corrisponde, ad una grazia ne succede
un'altra più eletta ancora, e si procede di
virtù in virtù. Ma se invece si comincia a non
corrispondere ad una prima grazia, il Signore
diminuisce i suoi favori, e dopo si resta ancor
meno disposti a corrispondere. Iddio dimi-
nuirà ancora le sue grazie, comincerai a ca-
dere qualche volta anche nei mortali, a poco
a poco acquisterai l'abitudine anche di que-
sti, non avrai più forze a sollevarti dal lezzo
di questi peccati, e precipiterai nel più orren-
do baratro della dannazione.
Desiderio della perfezione.
Il secondo gran frutto che si deve portare
dal noviziato, e che deve durare nel religioso
per tutta la vita, si è l'acquisto di un ardente
desiderio di perfezione: cioè la risoluzione
pratica di fare ogni azione perfettamente. E
questo si viene ad acquistare specialmente
col meditare bene i misteri della vita di Gesù
Cristo. Ma questa meditazione va fatta accu-
ratamente e profondamente, affinchè entri fin
nelle più intime fibre del nostro cuore l'idea
di voler operare con perfezione, conformando
le nostre azioni, le nostre parole, i nostri pen-
sieri al modo con cui opererebbe, parlerebbe,
penserebbe Gesù nelle nostre circostanze. Lo
sai che la nostra perfezione consiste in questa
perfetta e completa imitazione di Gesù! E
perchè questa imitazione di Gesù sia proprio
completa, è necessario che nel meditarne la
vita ne consideriamo sempre a fondo sia le
opere, che le parole ed i pensieri, affinchè
ogni nostra cosa interna ed estima si confor-
mi a questa norma. Nelle tue meditazioni per-
tanto sulla vita di Gesù Cristo, procura sem-

8.4 Page 74

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— 138 —
pre efficacemente di acquistare uno stabile
ed ardente desiderio della perfezione; ed a
ciò accostumati anche coi colloqui spirituali.
Se t'impossessi bene di questo desiderio, e
lo riduci in proposito incrollabile, anche quan-
do andrai a lavorare nelle case vivrai con
grande edificazione, e con consolazione dei
superiori e di Dio. Sappi che il Signore certo
non si lascia vincere in generosità; e quando
vede uno sodamente impegnato per imitare
le sue virtù, allarga il suo cuore, s'inteneri-
sce e ne lascia uscire in suo favore tali e
tante grazie, ed infonde nel suo cuore doni
così esimi ed un grado così insigne di virtù,
che fa stupire chi osserva le continue ascen-
sioni di quest'anima generosa.
Di più: è costume di Dio di comunicarsi
molto largamente a tutti quelli che ardente-
mente desiderano la perfezione, secondo quel-
le parole di Gesù: Beati coloro che hanno fa-
me e sete della giustizia, poiché saranno sa-
ziati (1). E secondo il detto della Beata Vergi-
ne: Iddio riempie di beni coloro che ne han-
no fame. A questo proposito San Gregorio
Nazianzeno dice che Iddio tiene in gran conto
lo stesso desiderio; e spiega come il Signore
nella su esposta beatitudine con la parola
giustizia intende precisamente la perfezione,
ossia la santità. Io pertanto ti raccomando.
(1) «Beati qui esuriunt et sitiunt iustitiam, quia
saturabuntur » (MATTEO, V, 6).
— 13 —
che nella santa messa subito dopo l'elevazione
domandi sempre gran fame e sete della giusti-
zia, cioè della perfezione; ed allora avverrà
ciò che dice Sant'Ambrogio (in Ps., 118):
« Quando Dio vede un'anima piena di deside-
rio la riempie di beni ».
Necessità di tale desiderio.
Il non radicar abbastanza negli anni della
formazione questo profondo desiderio della
perfezione, è la seconda causa per cui molti,
finito il noviziato, subito cominciano a vivere
tiepidamente. Se tu avrai la disgrazia di par-
tir da quello senza una base abbastanza sta-
bile, senza un convincimento abbastanza pro-
fondo del bisogno assoluto che hai di acqui-
stare un ardente desiderio di perfezione, tu
puoi considerarti come perduto per la vita
religiosa. Mentre se vi fosse stato questo de-
siderio proprio ben radicato, faresti bene tutte
le cose, anche le più difficili; e ciò con per-
severanza, anche nei momenti di maggiori
distrazioni, e quando s'incontrano impedi-
menti da ogni parte. Il tuo sguardo deve pog-
giare in alto, e devi avere dei grandi desi-
deri. Ma non devi fermarti a questi! Devi
sapere che vi sono due sorta di desideri:
Quelli di Daniele tanto lodati da Dio, e quelli
del pigro che uccidono la sua anima. Se colla
tua pretesa buona volontà ami i tuoi comodi,

8.5 Page 75

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scansi la fatica, ti turbi nelle difficoltà e t'ar-
resti in esse, i tuoi desideri ti meritano il ca-
stigo che il Signore minaccia al pigro: De
stercore boum lapidatus est (EccliXXII, 2).
Non ti turbi il pensiero che arrivare alla san-
tità è difficile. Dio è con te: egli t'ha chia-
mato, t'accompagnerà, sostenendoti ed aiutan-
doti. Con te è anche Maria Ausiliatrice, che
t'ha scelto, t'ha condotto qui, nè t'abbandonerà
di certo, essa che è la nostra Mamma.
Non scoraggiarti.
I giovani han cuor generoso, ed intrapren-
dono volentieri le opere ardue ed alte. Ma
di fronte alle difficoltà son facili allo scorag-
giamento. Se esso facesse capolino nel tuo
animo, umiliati e confida. Lo sapevi ben che
sei buono a nulla! Perchè ora te ne meravi-
gli? Tu presumevi, mio buon figliuolo, e Dio
ti corregge lasciandoti cadere. Riconosci vo-
lentieri il tuo niente e la tua cattiveria. Ripeti
con San Luigi: la terra mia ha dato il suo
frutto. Poi... coraggio! Colui che in te ha
cominciato, condurrà a termine l'opera. Prova
ancora e sempre, sforzati con tutta energia,
con tutta fiducia in Dio. Riuscirai quando egli
vi porrà la sua mano. Il re di Danimarca,
più volte sconfitto e scoraggiato, entra in una
casa di contadini per riposare. Osserva un
ragno che tenta e ritenta per ben undici volte
di salire per una parete liscia, ed alla dodi-
cesima riesce. « Ho perduto anch'io, dice il
re, undici battaglie; tenterò la dodicesima».
^ inse e la Danimarca non fu soggetta alla
Norvegia. Dunque: più confidenza e più ener-
gia, ma sempre coraggio!
Amore alla croce.
Il terzo frutto che si deve ricavare soda-
mente dal noviziato si è un grande amore alla
croce, cioè un desiderio di contraddizione, di
patimenti, di sofferenze, e avversione a tutte
le cose da cui possa provenire allettamento,
stima ed onore. E questo grande amore alla
croce verrà in te colla meditazione della pas-
sione e della morte del Divin Salvatore, e
colla viva apprensione dei peccati commessi.
Perciò sono convenienti le asprezze di que-
sta vita: come le mortificazioni, le penitenze,
le accuse, le calunnie, gli obbrobrii e le umi-
liazioni. E quando il desiderio della perfe-
zione è ardente, vien pure ardente l'amore
e il desiderio della croce. L'imitazione dei
patimenti di Gesù Cristo è parte precipua
della vita del cristiano e specialmente del
religioso. È pertanto cosa ben appropriata a
te, dice San Bernardo nel 2° sermone sulla
cena del Signore, di patire, morire, esser se-
polto con Gesù; poiché essendo membro di
Gesù, se vuoi rim aner tale devi camminare

8.6 Page 76

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— 142 —
come camminò Gesù, e come patì Gesù patire
ancora tu. San Paolo c'insegna, che chi è di
Gesù Cristo desidera di essere simile a lui,
cercando anche egli di crocifiggere la sua
carne (1).
Bisogna amar la croce.
Il non acquistare abbastanza sodamente
questo ardente desiderio di patire per il Si-
gnore, e per scontare i propri peccati, e que-
sto essere mal fondati sull'amore della croce,
è la terza causa per cui dopo il noviziato
molti si conturbano e vacillano attorno alla
vocazione. Ciò sarà appena siano contraddetti,
o quando vengano accusati e puniti per le
loro trasgressioni; oppure quando siano mo-
lestati da qualche socio o da professori; o
quando non siano promossi a scuole od a
cariche superiori; ovvero quando non venga-
no ascoltate le loro ragioni per essere cam-
biati di casa o d'occupazione; o quando siano
tolti da certe cariche ambite, e posti in altre a
loro ripugnanti. Oh, se ti sta a cuore la tua
perseveranza nella vocazione, non contentarti
nel noviziato di riscaldarti all'amore di Gesù,
ma abituati al pensiero e all'esercizio di patir
(1) • Qui autem sunt Chrlsti, carnem suam cru-
ciflxerunt eum vitiis et concupiseentiis » (Gal., V, 24).
= 143 =
molto per lui! Generalmente quelli che ven-
rono al noviziato, devono considerarsi come
:'erri storti, che vengono alla religione apposi-
tamente per essere raddrizzati e lavorati be-
ne. E come del ferro non basta metterlo al
fuoco e farlo arroventare, ma bisogna che
col martello si batta quanto occorre, fino a
:anto che si sia reso quale si vuole; così noi
dobbiamo prima esser posti al fuoco e fatti
arroventare nella fornace dell'amor di Dio;
per essere poi battuti, drizzati e lavorati col
martello della mortificazione, finché riuscia-
mo quali il Signore ci vuole.
Conformità alla volontà divina.
Il quarto gran frutto che si deve ricavare
dal noviziato, e che compendia tutti gli altri,
e che porta il Religioso all'apice della perfe-
zione, quando è proprio bene e costantemente
praticato, è l'acquisto della perfetta confor-
mità alla volontà di Dio, con la rinuncia alla
propria volontà ed a tutte le altre cose ter-
rene. A questo punto devi cercare di arrivare
tu, prima di terminare il tuo noviziato. E
per arrivare a questo devi essere deciso di
lavorare tutto l'anno attorno all'anima tua;
poiché la cosa in pratica è di ben difficile
riuscita. Ma con la grazia di Dio ci arrive-
rai certamente, se porrai in questo un forte

8.7 Page 77

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e costante volere. Si tratta di spogliarti com-
pletamente della volontà propria e in tutto
cercare la volontà di Dio; si tratta di dire
in ogni opera: nulla e mai ciò che piace a
me, tutto e sempre ciò che piace a Dio. Si
tratta di arrivare al punto di poter dire con
San Paolo: son morto al mondo; vivo, non io,
ma Gesù vive in me. Questo è assolutamente
richiesto da chi vuole avere un ardente amore
di Dio. È impossibile amare Dio davvero,
senza ridursi a voler altro se non quello che
piace a lui, conformando la nostra volontà al-
la sua. Perciò devi, con tutte le tue forze, cer-
care fin dal principio del tuo noviziato d'ac-
quistare questa perfetta conformità alla vo-
lontà di Dio, con il rinnegamento completo
d'ogni attacco alla propria volontà di qua-
lunque altra cosa terrena. Devi perciò stu-
diarti ancora di non eleggere, e neppur de-
siderar nulla di tuo proprio arbitrio riguardo
alle occupazioni, l'abitazione, le cariche, e
qualunque altra cosa che ti possa accadere
nel corso della vita. Lascia tutte queste cose
al Signore Iddio, affinchè egli, per mezzo dei
superiori, disponga ed imponga quanto è pel
tuo meglio. Cerca perciò efficacemente, di
far sempre ed in tutto quel che i superiori
dispongono di te; e lasciati maneggiare a loro
piacimento. Non rifiutare altro che il peccato,
se a quello per disgrazia anche nel noviziato
fossi eccitato.
Efficacia di questa conformità.
Si rende visibile questa disposizione d'ani-
mo per tutto il resto della vita, in tutti coloro
che passarono bene il loro tirocinio. Essi nien-
te curano, niente pretendono, niente deside-
rano di speciale per sè; ma abbracciano con
slancio quanto viene indicato dai superiori.
Se sono applicati a studi, si pongono a stu-
diare; se si indica loro di darsi ad un genere
di studi invece che ad un altro, subito ed alle-
gramente fanno quanto è loro ingiunto; se
fossero tolti dallo studio e messi in altra oc-
cupazione da coadiutore, non si lamentereb-
bero; se sono prima del tempo ordinario
rimossi dallo studio per andare a compire al-
tre occupazioni nelle case, non fanno la mi-
nima difficoltà, vedendo in queste disposi-
zioni dei superiori espressa la yplontà di Dio,
Sì, addéstrati a questa continua e perfetta
conformità alla volontà di Dio, e ti manterrai
sempre un religioso fervente, ed il Signore
si servirà di te per fare del gran bene anche
agli altri. Ma ricordati che per arrivare a
questo bisogna saper morire intieramente a
se stessi. Ricordati il detto del Vangelo: se il
grano di frumento cadehdo in terra non vi
muore, rimane lui solo; ma se muore, dà
molto frutto. Non porterai gran frutto, se pri-
ma non morrai a te stesso.

8.8 Page 78

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— 146 —
Come acquistare tale conformità.
E come mezzo speciale di arrivare a que-
sto punto proponiti la considerazione della
potenza e bontà di Dio, e delle sue perfezioni
ed attributi. Devi capire che un capello del
tuo capo non cade senza il Padre Celeste;
che il Signore ha cura degli uccelli dell'aria e
del fiore del campo, e che perciò tanto mag-
gior cura avrà di te. Lasciati pertanto guida-
re dalla sua provvida mano, e vedi in tutto
quello che ti avviene la volontà sua. San
Francesco di Sàles si protestava d'aver già
poche inclinazioni e volontà proprie: ma che
se avesse avuto da rinascere avrebbe voluto
non averne nessuna, per lasciarsi in tutto e
sempre come un bambino guidare dalla be-
nevola mano della Divina Provvidenza.
Come stabilirsi nei quattro propositi sud-
detti.
Secondo la dottrina dei filosofi e teologi,
l'abito di una virtù si accresce col moltipli-
carne gli atti. La goccia scava il sasso, a
forza di cadere molte volte. Affinchè queste
quattro cose vengano da te ben acquistate, e
perchè in quelle ti possa ben fondare, così
che dopo il noviziato non svaniscano subito
e ricompaia in te l'uomo vecchio, ti devi abi-
—1 —
tuare a ripetere frequentemente questi pro-
positi. Ciò sia nelle meditazioni quotidiane
e negli esami di coscienza, sia nel tempo del-
la santa messa, specie nel momento dopo l'e-
levazione; e più che tutto ancora dopo ogni
comunione. Fàllo molto brevemente ma mol-
to ardentemente, offrendo questi propositi al
Signore, e domandando ferventemente la gra-
zia di poter ottenere di praticarli sempre per
tutta la vita. Allo stesso scopo giova stabi-
lire nel noviziato medesimo delle considera-
zioni atte e dei mezzi ben fermi e pratici,
per cui la volontà venga mossa costantemen-
te all'esecuzione delle medesime, specialmen-
te nelle occasioni più difficili. Conviene al
novizio porsi sotto gli occhi le difficoltà mag-
giori e gli impedimenti che possono soprav-
venire nel resto della vita, sia nel tempo de-
gli studi, sia specialmente quando sarà nelle
varie case a lavorare. Queste considerazioni
sono alle volte ispirate da Dio alle anime
pure, nelle meditazioni, nelle comunioni e si-
mili. Altre volte ci provengono dalla lettura
della vita dei santi e dei libri spirituali, altre
volte dai colloqui spirituali e circoli di pietà,
che io non cesso d'inculcarti grandemente se
vuoi diventare un salesiano degno figlio di
Don Bosco. Gioverà poi anche di più lo scri-
verti accuratamente questi propositi nel no-
viziato e rileggerli con frequenza dopo, spe-
cie nell'occasione degli esercizi di buona
morte.

8.9 Page 79

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— 148 —
Modi pratici d'acquistare i quattro frutti
del noviziato.
Ma con quali modi pratici e particolari
si può molto aiutare il novizio per acquistare
fin dal principio del suo tirocinio le quattro
cose sopraddette, e poi perseverare a vivere
sempre a norma di quelle? In generale si
può giovare di tutti quei mezzi, che dalla
Sacra Scrittura e dai Santi Padri e dai mae-
stri della vita spirituale si sogliono suggerire
per l'acquisto delle virtù e sono: la preghie-
ra, la mortificazione, la confidenza, ecc. Ma.
venendo ai particolari, dalla esperienza mi
persuasi riuscire grandemente utili i mezzi
seguenti, che io ti pongo raccomandandotene
l'esecuzione: 1) Cerca di compenetrarti bene
del fine per cui fu creato l'uomo. Medita a
lungo su questo punto, scrutando profonda-
mente, nelle meditazioni e dopo le sante co-
munioni, i vari punti particolari che'da que-
sto generale ne emergono. E torna più volte
lungo l'anno e negli anni seguenti su queste
considerazioni. 2) Pensa molto attentamente:
se un dannato per misericordia di Dio fosse,
per essere assoggettato ad una nuova prova,
richiamato al mondo, oh quanto perfetta-
mente eseguirebbe queste quattro cose, gli
costassero pure inauditi sforzi! Dovesse pure
per praticarle soffrire tutte le pene del mon-
do. Ora tu conosci che molto maggior bene-
ficio è il non essere dannati dopo tanti pec-
—1 —
c-ati, che esserne liberato dopo che uno fu
dannato; e perciò devi deciderti a voler ese-
guire queste quattro cose perfettamente e
sempre, ti costassero pure inauditi sforzi e
tutte le pene del mondo. 3) Procura di avere
un'apertura di cuore assolutamente completa
col maestro, e proponi che gli anni succes-
sivi porrai la medesima fiducia negli altri
superiori che ne terranno le veci. Anzi ridu-
citi a fare con loro di tanto in tanto qualche
atto che tu conosca farti del bene, quantunque
si trattasse di atto eroico e molto umiliante
per te, e che confonda al cospetto degli altri,
come sarebbe: il non scusarti in una mormo-
razione grave o calunnia fatta contro di te, o
fare un rendiconto generale a quel direttore
della casa cui fosti mandato, quando questo
direttore ti ripugnasse molto; e non solo mani-
festare le cose e circostanze necessarie, ma an-
che quelle non necessarie che arrecano molto
rossore e confusione in chi le manifesta. E ciò
per addestrarti nell'umiltà e nel vincere te
stesso, e così dar gusto a Dio con questa tua
confusione. Appena si può dire quanto bene
spirituale arrecano questi atti così eroici e
non imposti ma fatti solo pel bene del-
l'anima propria! 4) Parlare spesso di cose
spirituali, e cercar di ridurre a scopo buo-
no ed edificante i discorsi indifferenti da altri
incominciati; conversare preferibilmente con
le persone maggiormente edificanti, fuggendo
ir. bel modo conversazioni puramente amene.

8.10 Page 80

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— 150 —
5) Imponiti rigorosamente che fuori delle co-
se obbligatorie, non leggerai che libri al tut-
to edificanti, e non ti lascerai adescare a leg-
gere nessun libro o giornale che non sia al
tutto buono, e mai e poi mai per pura cu-
riosità e senza espressa licenza. 6) Sii costan-
te nel fare con molta diligenza gli esami di
coscienza particolari, e notarti giorno per
giorno i propositi, e confrontare il giorno
precedente col presente* la settimana prece-
dente eolla seguente. Sii anche costante ora,
e prometti di esser costante ed esattissimo
per tutta la vita anche nelle circostanze più
difficili, a voler assolutamente fare la con-
fessione settimanale e la comunione, per
quanto ti sarà possibile, quotidiana. 7) Pren-
diti impegno per iscritto dei tuoi propositi,
e prometti molto sodamente al Signore di vo-
ler per tutta la vita conservare lo stretto si-
lenzio nei tempi prescritti, di star costante
ad osservare esattamente e sempre le altre
regole, che dai tiepidi sono frequentemente
tenute per piccole, in modo da non violarle
mai una volta. Se ti senti, prometti pure di
non volerti mai scusare delle cose che si di-
ranno contro di te, fuori che ne fossi espres-
samente richiesto dal superiore. 8) Non vo-
ler condannare nè i detti nè le azioni di al-
cuno, nè colle parole nè colla mente. Anzi in-
terpreta sempre tutto in bene, secondo gli
ammaestramenti di San Francesco di Sales
il quale di 99 aspetti cattivi che avesse un'a-
— 11 —
zione ed un solo buono, l'interpretava sem-
pre dal lato buono. Procura di fare sempre
ciò per puro amore di Dio, considerando che
tutti sono immagini di Dio, da lui redenti,
e sue creature. 9) Fa' con frequenza atti di
umiltà, posponendoti a tutti i confratelli del-
la casa; e cerca di esercitare la carità, in mo-
do che tutti abbiano ad essere edificati dal
tuo contegno. 10) Procura di non voler per-
dere neppure un briciolo di tempo, ma sem-
pre occupalo in cosa grata a Dio, conforme
alla mente del superiore e conveniente al tuo
presente stato e condizione ed Occupazione.
11) Prega con frequenza e con affetto per
quelle persone dalle quali avessi ricevuto
ingiurie, persecuzioni, dispiaceri. Poiché que-
sto ti concilia grazia presso Dio, e muove la
sua liberalità a conferirti insigni doni spi-
rituali.
CAPO XIII
PUNTI DELLE COSTITUZIONI CHE NEL
N O V I Z I A T O S O N O PXTF D A P R A T I C A R S I
Tutti i punti delle nostre costituzioni so-
no da praticarsi nel tempo del noviziato, per
acquistarne l'abito, ed eseguirle poi bene nel
rimanente della vita. Ma alcuni di essi, o

9 Pages 81-90

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9.1 Page 81

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— 152 —
perchè più difficili, o perchè d'uso più fre-
quenti, o perchè fondamentali, o più impor-
tanti per la vita nostra, bisogna siano ese-
guiti con impegno speciale. Senza questa av-
vertenza uno potrebbe poi trovarsi imbro'
gliato nelle difficoltà che certo sorgeranno
in seguito.
Catechizzare i fanciulli poveri.
Il primo esercizio di carità che deve pra-
ticare un salesiano secondo le costituzioni,
è quello di catechizzare i fanciulli poveri e
abbandonati. È questo l'esercizio più utile e
fruttuoso per le anime. Una buona massima
suscitata nel cuore ancor tenero del fan-
ciullo, germinerà ed arrecherà frutto senza
fallo. Una volta che conosca bene e capisca
il catechismo, il giovane può dirsi per metà
già salvo. Può bensì ancora entrare la cor-
ruzione nel suo cuore: ma in qualche circo-
stanza solenne nella vita, almeno in occasio-
ne di disgrazie, od in vecchiaia, i buoni am-
maestramenti rivivranno e si verrà a mi-
gliori consigli, e si riceveranno bene i sacra-
menti. Oh chi pensasse, che facendo con a-
more e bene il catechismo, si opera diretta-
mente ed efficacemente a salvare anime, quan-
to più volentieri e con spirito di sacrificio
attenderebbe a quest'opera! Ognuno deve
— 13 —
perciò desiderare di essere occupato in que-
st'ufficio. Tu pertanto non badare a stenti
ed a fatiche, purché possa insegnare la via
del paradiso ai fanciulli! Non meriterebbe il
nome di salesiano chi si rifiutasse a questo
ufficio, o lo facesse a malincuore. Nè solo
fàllo volentieri ora, se ne fossi incaricato; ma
prometti al Signore di volerlo far volentieri
per tutto il resto della tua vita, ancorché fos-
si già molto occupato in altro, e il farlo ti
costasse gran sacrificio.
Cura degli artigiani.
Il secondo esercizio di carità proposto dal-
le regole è di aver cura degli orfani, e dei
giovani più poveri ed abbandonati, ammae-
strandoli, in appositi ospizi, oltreché nella
santa religione, anche nelle arti e nei me-
stieri, È questa la cosa che attira le maggiori
simpatie alla nostra società. Perchè tutti or-
mai conoscono che la questione operaia s'im-
pone; e che se l'operaio non viene educato
cristianamente da giovane può riuscire come
una belva feroce, che unito ad altri soci spa-
venterà l'intiera società. Oh la gran buona
ispirazione che ebbe Don Bosco di occuparsi
per render buon cristiano l'operaio! Ma l'e-
ducazione del giovane operaio è difficile; ri-
chiede fatiche e sacrifici. Che importa? pur-

9.2 Page 82

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chè si ottenga la gloria di Dio, la salute delle
anime, il bene della società! Ognuno per-
tanto deve fin d'ora preferire, nel proprio
cuore, l'occupazione tra gli artigiani alle al-
tre, come quella che per essere più umile e
necessaria, è più gradevole al Signore. E se
tu ti sentissi qualche ripugnanza in questo
impiego, credendoti d'essere quasi umiliato
per essere posto ad assistere poveri artigianel-
li, domanda perdono al Signore di sì fatta
viltà del tuo cuore, e superbia della mente;
e procura di volere d'ora innanzi pensar solo
alla salvezza delle anime, ed alle cose che
possono fare maggior bene, e non a ciò ch'è
più onorifico, o ti piace di più. Che se que-
sta tua ripugnanza venisse perchè d'ospizi e
di cose di artigiano sei meno pratico che di
quelle degli studenti, pensa che ciò avviene
anche agli altri; perciò invece di ritirarti
fàtti avanti, cercando di impratichirti, met-
tendoti di gran buona volontà, e ringrazian-
do il Signore che ti dà un'occasione di farti
maggior bene all'anima.
Carità fraterna.
Cerca di essere ben penetrato del signi-
ficato dell'articolo dodicesimo del secondo
capo delle costituzioni, dove si dice che la
carità fraterna deve unire talmente i confra-
telli da formare un cuor solo ed un'anima
sola. Compènetrati del bisogno di avvezzarti
a sopportare i difetti degli altri, e a non mai
offenderti quando ricevi qualche sgarbatezza
od offesa. Per regolata e santa che sia una
comunità, Iddio permette spesso che vi siano
in essa caratteri diversi, vedute contrarie,
impegni contraddicentisi, e piccole gelosie.
£ necessario prender le cose come sono, e
tenere continuamente lo sguardo al Signóre,
armandosi di una perfetta conformità ai di-
vini voleri, pensando praticamente che tutto
è disposto, o almeno permesso o tollerato dal
Signore. Pensando a questo ti accostumerai
a conservare la pace, ed anche a propagarla
negli altri, e con buoni consigli, e special-
mente con eroici esempi. Assuefatti a non mai
criticare alcuno; interpreta bene le azioni e
specialmente le intenzioni altrui; sii accondi-
scendente ai desideri onesti degli altri; tieni in
gran conto ed interesse qualunque cosa ri-
guardi le opere della nostra Pia Società, e
dei singoli suoi membri, in particolare di chi
esercita qualche grado di superiorità nella
medesima. San Francesco di Sales assicura
che è più meritorio avanti a Dio il fare un
piacere ad un compagno, l'accondiscendere ai
suoi desideri, il sopportarne uno noioso, a
spargere un po' di allegria, di gioia, di feli-
cità in famiglia, nella comunità, che non i
grandi digiuni, le aspre discipline, e le au-
stere penitenze corporali.

9.3 Page 83

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— 156 —
Cura della vocazione.
Non è mai abbastanza ripetuto l'articolo
ventuno di cotesto medesimo capo II, dove
le costituzioni ci pongono sotto gli occhi le
gravissime parole del Divin Redentore: chi
dà indietro dalla vocazione è chiamato re-
piobo dal Signore (i). Perciò sappi bene te-
ner conto più della propria vocazione, che di
ogni altra cosa del mondo. Richiama con
frequenza alla mente questa verità, e, se ti
sta a cuore l'eterna salute, prendi mezzi ef-
ficaci per conservare questo preziosissimo do-
no che ti ha fatto il Signore. Va' a rilento a
dare il tuo nome per entrare nella Società
Salesiana; ma se l'hai dato dopo considera-
zione, preghiera e consiglio, e sei persuaso
che vi sia la vocazione, devi essere pronto a
sudar sangue per rendertene degno, per sra-
dicare i tuoi difetti per cambiare il tuo ca-
rattere, E Dio che lo vuole, e tu non devi
mostrarti vile. Dacché ti ha chiamato, ti da-
rà certo le grazie opportune; ma tu devi
corrispondergli, avessi pure da sostenere sfor-
zi duri fino alla morte, come dice lo Spirito
Santo (2); niente è troppo trattandosi della
salute dell'anima. Ad ogni modo l'essere
(1) • Nemo mittens manum suam ad aratrum et re-
spiciens retro, aptus est regno Dei » (LTJOA, I X , 62).
(2) « Agonizare prò anima tua et usque ad mor-
tem eerta prò iustitia » (Eccli., IV, 33).
—1 —
ascritto, vuol dire essere in tempo di prova.
Posto che non ti senta, è molto meglio tor-
nare indietro ora, che non hai ancor messa
definitivamente la mano all'aratro, o l'hai
messa solo per prova, che tornare indietro
dopo fatta la professione. Va' pertanto an-
cor più a rilento a domandare di fare i santi
voti. A tutti i costi procura prima di emen-
darti bene dei tuoi difetti, di praticar bene
le regole e le virtù che senti raccomandarti.
Non fidarti di far poi in anni avvenire ciò
che non sai fare in quest'anno. Non far do-
manda finché non ti senti franco, e, con la
grazia del Signore, sicuro di poter poi con-
servare i santi voti sino alla fine della vita.
Perchè è troppo terribile la minaccia del Si-
nore, a chi, dopo fatti i santi voti, retrocede.
Ubbidienza ed apertura col superiore.
Tra i punti principali della regola vi è
quello che insinua « l'obbedienza al proprio
superiore, tenendolo in ogni cosa qual padre
amorosissimo, ubbidendogli senza riserva al-
cuna, prontamente, con animo ilare e con
umiltà, persuaso che nella cosa comandata
viene manifestata la stessa volontà di Dio ».
Abituati pertanto a questa ubbidienza sem-
plice e perfetta, ed a questa chiarezza di
inscienza illimitata, di cui ti ho già parlato.

9.4 Page 84

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Sii persuaso che senza questo farai naufragio
immancabilmente, e non persevererai nella
vocazione. Epperò non aver cosa della vita
passata, dello stato presente, o delle aspira-
zioni riguardo il futuro, che non sia ben co-
nosciuta dal superiore. E bada anche alle
singole altre parole di questo articolo, spe-
cialmente a queste: tenendolo in ogni cosa
come padre amoroso; ed a queste altre: per-
suaso che nella cosa comandata viene mani-
festata la volontà di Dio. Se ora ed in seguito
troverai difficoltà nell'ubbidire, tieni pure:
è perchè non consideri il superiore come
padre amoroso. Tu forse, vedendolo un po'
aspro e severo, sarai portato a non crederlo
tale; mentre forse egli, padre davvero amo-
rosissimo, vedendo il bisogno che hai tu di
essere corretto, si fa alle volte una tremenda
violenza al cuore per correggerti efficace-
mente e salvarti. E il maggior male ancora
si è, che non si vede in ogni obbedienza la
volontà di Dio. Oh se ti accostumassi dav-
vero a vedere in ogni cosa Iddio, non trove-
resti dura l'obbedienza! Con che slancio
faresti la cosa, anche la più dura ed a te ri-
pugnante, se ti comparisse Gesù e ti dicesse
che gli piace quella cosa e che desidera che
tu la faccia! Ebbene: nell'ubbidienza avviene
sempre, invisibilmente bensì, ciò che questa
volta ti sarebbe avvenuto visibilmente. Ad-
dèstrati a questo, e nella società condurrai
vita felice e piena di meriti.
Cura della castità.
La virtù poi, che sopra le altre Don Bo-
sco cercò in ogni guisa e con mille industrie
d'inculcare, e che lasciò come sua eredità
alla congregazione, è la castità. Nelle costi-
tuzioni egli ci fece dire : « Essa è la virtù che
deve essere sommamente da noi coltivata s.
Usa perciò tutte le sollecitudini per assi-
curare meglio in te l'esercizio di questa vir-
tù. Richiama anche con frequenza a mente
l'articolo terzo del capo della castità, dove
si dice: «Le parole, gli sguardi anche indif-
ferenti sono talvolta malamente interpretati
dai giovani che sono già stati vittima delle
umane passioni ». E tu, a tenore delle costi-
tuzioni medesime, usa « massima cautela di-
scorrendo e trattando coi giovani di qualsiasi
età e condizione ». Qui nessuna raccomanda-
zione è superflua, nessuno sforzo è troppo
grande, nessun mezzo che si prenda è sover-
chio. Devi figurarti, come dice San Pietro,
che il demonio ti stia sempre attorno, per
farti cadere. Devi capire che tra noi vi può
essere più pericolo di mancare che tra altri,
dovendo noi lavorare e stare giorno e notte
coi giovani. I giovani alle volte vezzosi, sem-
plici, affascinanti, incauti, possono servirti di
pericolo; perchè la fantasia non lascia di la-
vorare, e le passioni di stimolare. Alle volte,
maliziosi e furbi, son capaci essi stessi di
cercare di prendere in trappola l'assistente

9.5 Page 85

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160 —
e il maestro. Sempre poi porti con te il fuo-
co della giovinezza. Non ti dico altro: vigila,
vigila, osserva bene le regole e le delibera-
zioni, prega e sta' cum timore et tremore.
Dio è con te: a chi fa ciò che può, Dio non
nega la sua grazia. Ma il Signore vuole l'ef-
ficace tua cooperazione.
Della confessione settimanale.
Un altro articolo da eseguire bene, anche
quando sopravvenisse ripugnanza, è quello
che inculca ad ogni socio di confessarsi bene,
in qualunque casa vada, da confessori au-
torizzati dal Rettor Maggior o dall'Ispettore
ad esercitare questo ministero verso di essi;
e di non oltrepassare la settimana senza con-
fessarsi. Perciò proponiti di eseguire en-
trambi questi punti con esattezza. Nè solo
prometti di farlo nell'anno di noviziato, ma
notalo come uno dei proponimenti più im-
portanti da eseguirsi per tutta la vita. Pro-
mettilo pure solennemente a Gesù nel gior-
no in cui farai i santi voti, e ripetilo coi
proponimenti, che anno per anno farai negli
esercizi spirituali, persuaso che questi sono
propositi di capitale importanza, l'adempi-
mento dei quali ti tornerà di sommo vantag-
gio. Proponi anche con egual solennità, di
non voler lasciare mai passare un mese senza
— 16 —
far bene l'esercizo della buona morte, e sen-
za fare il tuo rendiconto.
Delle corrispondenze.
Non meno importante per il buon anda-
mento delle case è la regola di non spedire
lettere e non riceverne, senza che queste pas-
sino per le mani dei superiori. Oh! chi po-
tesse farsi anche solo un'idea del danno che
può produrre e per la vocazione, ed alle vol-
te per la reputazione d'una casa, e dell'intera
Pia nostra Società, il trasgredire anche una
volta sola questa regola, ben si guarderebbe
dal farlo! Non sono mai sufficienti le pre-
cauzioni.
Dell'andata in famiglia.
Don Bosco insisteva anche sul punto del
silenzio dopo le orazioni e di non voler anda-
re in vacanza presso i parenti. Tu pertanto
ricorda le parole di Don Bosco, da lui stam-
pate nella prefazione delle regole: « Io non
ricordo d'aver letto o di aver udito a raccon-
tare, che un religioso si sia recato in patria
sua e ne abbia riportato qualche vantaggio
spirituale. Al contrario se ne annoverano mi-
gliaia, che, non mostrandosene persuasi, vol-
lero farne esperienza ma ne provarono ama-

9.6 Page 86

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—• 162 —
ro disinganno; anzi non pochi rimasero vit-
tima della loro imprudenza e temerità ». E
nelle deliberazioni antiche fatte dal nostro
buon Padre era scritto (art. 403) : quelli
che non si sentono di sacrificare questa an-
data nel secolo danno indizio di non essere
chiamati allo stato religioso. Questi punti
formino materia speciale dei proponimenti
che farai nell'emissione dei voti, e scriviteli
fra quelli da osservare per tutta la vita e
da rivedere ogni anno negli esercizi spiri-
tuali.
Delle abitudini.
Bisogna poi che ti riduca, direi così, in
succo e sangue l'articolo 188 delle costituzio-
ni : « Ognuno stia attento a non lasciarsi le-
gare da abitudini di nessun genere, neanche
di cose indifferenti. Gli abiti e la stanza di
ciascuno siano puliti e decenti; ma si evi-
tino con ogni impegno l'affettazione e l'am-
bizione. Niente meglio adorna un religioso,
che la santità della vita, per cui in tutto sia
d'esempio agli altri ». Tutti i mesi nell'eser-
cizio di buona morte, ed ogni anno negli
esercizi spirituali, dopo aver pensato un po-
eo all'osservanza dei tre voti, riserva un mo-
mento per vedere se stai prendendo qualche
abitudine non conforme allo spirito della
—- 163 —
congregazione, e se tieni qualche cosa di su-
perfluo, o se ti pare di andar in qualche mo-
do dietro all'ambizione personale.
Della sofferenza.
Anche l'articolo seguente va ben osserva-
to: « Ciascuno sia pronto a sopportare quan-
do occorra il caldo, il freddo, la sete, la fa-
me, le fatiche ed il disprezzo, ogniqualvolta
queste cose servano alla maggior gloria di
Dio, allo spirituale profìtto del prossimo ed
alla salvezza dell'anima propria ». Sì, mio
caro, preparati nel noviziato a soffrire quan-
to occorre, anche moltissimo, quando si tratta
della gloria di Dio e della salvezza delle ani-
me. Preséntati a Gesù, pronto a tutto. Ma
per riuscirci, comincia ad addestrarti volen-
tieri ai piccoli continui sacrifici; poiché è
solo in questo modo che si arriva poi a farne
volentieri dei grandi, quando ne viene l'op-
portunità. Questi sono punti capitali, attor*
no ai quali s'aggira tutta la vita salesiana,
e formano, può dirsi, lo spirito della nostra
società. Perciò bisogna imprimerseli bene in
mente nel noviziato, e praticarli poi per tutta
la vita. Essi formeranno la felicità nostra e
la salvezza di molte anime; e tu eseguendo
con fedeltà e costanza questi grandi ammae-
stramenti! sta' certo che non mancherai di

9.7 Page 87

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— 164 —
riuscire a buon fine, e di essere contento nel
tempo e nell'eternità.
Del silenzio.
V'è un silenzio che direi essenzialmente
sacro: quello prescritto dall'articolo 15 delle
costituzioni, per la sera dopo le preghiere in
comune e per il mattino fin dopo la santa
messa. Questo l'osserverai rigorosamente, ec-
cetto il caso di obbedienza o di necessità. Ma
vi è anche la virtù del silenzio, che consiste
nel saper tacere a tempo e luogo, e parlare
sempre con moderazione. Si è sempre fatto
grande stima del silenzio, ovunque si è col-
tivato lo spirito religioso. Esso è la salva-
guardia del raccoglimento e della pietà. Abi-
tuati fin d'ora a far gran conto del silenzio,
e siivi sempre fedele. Anche in tempi in cui
è lecito parlare, e specialmente in refettorio
dopo la lettura, non gridare, non parlar for-
te; e perciò non parlar coi lontani ma solo
con quelli della tua tavola. Nelle ricreazioni
poi non emettere grida sguaiate, non zufo-
lare, cose tutte che hanno molto del secola-
resco.
—1 —
CAPO XIY
LO SPIRITO DEL NOVIZIATO
Quale sia.
Il noviziato nella vita religiosa, è come
l'infanzia nella vita umana. Nel noviziato
specialmente deve regnare lo spirito di Dio
e lo spirito di semplicità. Lo spirito del novi-
ziato deve essere spirito di Dio, perchè Iddio
vi deve dominare come maestro, vi è tenuto
come unico vero Signore, e tutto si fa appro-
vato da lui, voluto da lui, comandato da lui.
Deve anche essere spirito di semplicità, per-
chè ogni azione dev'essere fatta ingenuamen-
te, cordialmente, spontaneamente, come si fa-
rebbe da un fanciullo.
È nell'interno specialmente, che deve ope-
rare questo spirito. Nell'interno deve farsi
la trasformazione, che la nostra società at-
tende dalle giovani anime, cui essa sotto-
mette alla prova del noviziato. È perciò nel-
l'interno che tu devi cambiare: far tutto dal
fondo del cuore per Iddio, farlo ingenua-
mente e con semplicità di cuore. Se noi met-
tiamo, dice il Gersen nell'aureo libro del-
ì'Imitazione di Cristo, tutto l'avanzamento
della vita cristiana e religiosa nell'osservanza
esatta delle cose esteriori, la nostra virtù non

9.8 Page 88

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__ 166 —
durerà guari... Un buon religioso deve essere
più santo e più puro nel fondo del cuore di
quanto compare al di fuori, perchè Dio è lo
spettatore e il giudice. Tieni ben a mente
questo ammaestramento, perchè dovrà ser-
virti di norma per tutta la vita. Buon novi-
zio non è quello che non manca ad alcuna
regola del noviziato, che è pronto al mattino
a levarsi, che è il primo ad andare in chiesa,
in scuola, in studio, che fa i suoi doveri pun-
tualmente, che non trova mai a ridire contro
i comandi, che è ritenuto nelle sue parole,
che si presta facilmente alle esigenze altrui...
Senza fallo son necessarie tutte queste cose
per un buon novizio; ma tutto questo non
basta ancora. Il più importante sta in que-
sto, che tutte queste cose siano praticate con
lo scopo diretto di piacere a Dio, di obbedire
a Dio, di dar gloria a Dio. Fare tutto per il
Signore, niente per noi. Bisogna pertanto che
tu fin dai primi giorni cerchi di ben pene-
trarti di questo spirito, che deve formare co-
me l'atmosfera del noviziato.
Spirito di fede.
È pertanto necessario un vero spirito di
fede, che ti faccia vedere il noviziato come
la casa di Dio, nella quale Dio solo è mae-
stro e sovrano; che ti faccia vedere la regola
come l'espressione non della volontà della tale
- - 167 —
o della tal altra persona, bensì della volontà
di Dio; i superiori come se fossero Iddio me-
desimo; e l'espressione della volontà loro co-
me l'espressione diretta della volontà di Dio.
Ed avviene invero alle volte, che Dio ti vuol
purificare per il carattere bisbetico di tal
compagno, per le ingiurie del tal altro, per
le riprensioni di qualche superiore, per la
monotonia del tuo impiego, per le sofferenze
di qualche infermità, per l'umiliazione di
qualche circostanza ecc. Questo medesimo
spirito di fede deve renderti sempre contento
in qualunque anche critica circostanza in cui
ti trovi, perchè sempre vedi Dio che veglia
su di te; ed anche devi renderti sempre co-
stante nel bene, pensando che neppure un
atto di virtù passa inosservato al Signore, e
che di ogni sforzo per emendarti, sebbene ben
piccolo, egli te ne darà ampia retribuzione.
Spirito di sacrificio.
Devi procurarti un vero spirito di sacri-
ficio. Questo ti farà dire con fermezza fin dai
primi giorni di noviziato: io non devo più
essere mio; ma sono del Signore, dei superio-
ri che ne tengono le veci. E perciò, con la
stessa semplicità con cui rimetteresti ad un
superiore un oggetto materiale di cui volessi
disfarti, tu offrigli la tua volontà, il tuo in-
fletto, le tue abilità. E gli darai tutta la li-

9.9 Page 89

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bertà di aggiungere, di togliere, di modifi-
care. In vero San Tommaso c'istruisce che lo
stato religioso deve essere considerato come
un olocausto, per mezzo del quale uno si do-
na a Dio tutto intieramente. « Sai tu che vo-
glia dire essere religioso? esclama San Fran-
cesco di Sales. Vuol dire esser legato al Si-
gnore un seconda volta colla continua mor-
tificazione di noi medesimi, e di non vivere
che per il Signore. Non bisogna dir a coloro
che entrano in congregazione, che facendosi
religiosi il Signore li condurrà sul Tabor, per
esclamare con San Pietro: È buona cosa,
o Signore, lo star qui! Al contrario bisogna
dire che occorre incamminarsi al monte Cal-
vario, per ivi essere crocifissi continuamente
con Gesù. Bisogna crocifiggere il vostro in-
tendimento, facendolo ragionare non secondo
il mondo, ma secondo la vocazione che avete
avuta. Bisogna crocifiggere la vostra memo-
ria, per non ammettere ricordi di cose mon-
dane, o di quanto voi avete lasciato al mon-
do. Bisogna anche crocifiggere ed attaccare
bene alla croce di Nostro Signor Gesù Cristo
la vostra propria volontà, per non servirvene
più a vostro piacimento ».
Allegria.
Nel noviziato non è meno necessario lo
spirito di allegria, per fare tutte queste cose
con un certo contento, sapendo render gaie
anche le croci e le tribolazioni; e ciò otterrai
col far tutto pensando al Signore. Il Signore
ama chi si dà a lui con spirito di allegria.
S. Giovanni Berchmans, per prendere tutto
con allegria fece questo proponimento : « Io
mi terrò come ammesso in congregazione per
grazia speciale; e tutto ciò che mi sarà dato
lo riceverò come se non lo meritassi ». Così
qualunque cosa ricevesse per lui era già trop-
po.
Confidenza ed abbandono.
Anche lo spirito di confidenza e di abban-
dono in Dio è ben necessario. Devi abban-
donarti intieramente alla direzione del tuo
maestro, che è l'inviato di Dio presso di te,
che fa con te da padre e da madre, che è il
responsabile della tua riuscita. Il tuo cuore
dev'essere tutto nel suo cuore; l'anima tua va
conglutinata con la sua. Senza questo non
aleggerebbe nel noviziato il vero spirito.
Come conoscere se hai lo spirito del Signore.
Puoi conoscere praticamente se sei animato
dallo spirito vero del Signore, che dev'essere
lo spirito del noviziato, se operi con queste
tre qualità.
a) con esattezza, non omettendo nulla

9.10 Page 90

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— 170 —
volontariamente, facendo tutto al tempo sta-
bilito, nel luogo indicato, nel modo prescrit-
to. Chi è esatto non vede e non conosce che
la regola. Appena la regola lo esige, egli la-
scia un'occupazione, egli ne comincia un'al-
tra; egli lascia il luogo dove è, e va dove de-
ve andare. Per lui il suono della campana è
come la stella risplendente che chiamò i Ma-
gi alla culla di Gesù; la voce del Superiore
è come la voce di Dio che chiamava Sa-
muele; come la voce di Gesù, quando diceva:
« Venite, seguitemi ».
b) Con femore. Nota solo che questo
non consiste nel fare le cose con gusto o pia-
cere sensibile! Poiché uno può essere ferven-
tissimo ed avere un disgusto naturale per tut-
to ciò che fa, sentire ripugnanza per un lavo-
ro, provare ripugnanza per un compagno.
Il vero fervore consiste nell'operare con fer-
mezza e coraggio, non lasciando intravedere
le impressioni che si sentono ed animandosi
col pensiero, che uno fa le cose sotto gli oc-
chi di Dio, e con lo scopo diretto di volerlo
contentare.
c) Con perseveranza. Questo è il punto
essenziale per gli ascritti. L'aver buona vo-
lontà, e intraprendere anche differenti cose
con slancio, è facile; ma il perseverare è dif-
ficile. Il fare oggi ciò che si è fatto ieri, ciò
che si sa doversi di nuovo fare domani e sem-
pre; e farlo sempre con la medesima atten-
zione, con la medesima cura, con la stessa
— 11 —
perfezione: questo è il difficile. Eppure il Si-
gnore ci dice che solo questa perseveranza sa-
rà coronata. L'ascritto, che persevera in que-
sto modo, è sicuro di farsi in seguito un san-
to religioso. Egli, dicono i santi, subirà len-
tamente un martirio dei più dolorosi, ma an-
che dei più meritori. Leva lo sguardo al cie-
lo, vedi la corona del martire che ti attende,
e sii perseverante.
La semplicità.
La semplicità dovrebbe esser tutta propria
dei novizi. Questa cara virtù dà a chi la
possiede tutta l'amabilità dell'infanzia, tutta
la grazia della prima età, tutto il candore di
un cuore che non ha amato altri che Dio e
Maria SS., e che conosce appena di nome il
peccato. Il nostro patrono San Francesco di
Sales è entusiasta di questa virtù: «La sem-
plicità, dice, ci rende simili ai fanciulli che
parlano ed operano spontaneamente e senza
malizia: credono tutto quello che loro si dice:
non hanno di se stessi sollecitudine o timo-
re, bastando loro di essere protetti dai loro
genitori. I semplici prendono ogni cosa in
buona parte, rallegrandosi sinceramente, sen-
za voler curiosamente scrutare le ragioni per
cui una cosa si fa. e gli effetti che produce.
£ una virtù che tende dritto alla verità, al
dovere, a Dio ».

10 Pages 91-100

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10.1 Page 91

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— 172
l a semplicità nella verità.
Colui che è semplice tende dritto alla ae-
rila, e non cerca di nasconderla con atti
ipocriti, nè con parole ambigue o per mezzo
di restrizione o di tergiversazione. Quando
ha commesso un errore lo confessa ingenua-
mente, e sopporta con calma l'osservazione
o l'umiliazione che gliene viene. Egli profe-
risce schiettamente ciò che pensa, ogni vol-
ta che è opportuno parlare; evitando però
anche la loquacità, la mormorazione ed ogni
imprudente espressione, che potrebbe offen-
dere la suscettibilità altrui. Di riscontro poi,
colui che ama la semplicità non ha sospetti
sulle parole dei superiori e dei compagni; pur
evitando una sciocca credulità, accoglie vo-
lentieri le parole altrui. Nelle stesse dispute
cerca spassionatamente la verità, tutto di-
sposto a rinunciare al suo parere quando s'ac-
corge che esso non è secondo la verità.
Semplicità nel dovere.
Si conosce parimenti chi è semplice da ciò:
egli fedelmente pratica quanto è di dovere,
senza che umani riguardi lo inducano a la-
sciare timidamente ciò che dovrebbe fare, od
a fare ipocritamente ciò che altrimenti avreb-
be tralasciato. Impara a far sempre tutto sen-
za pretensione, non credendo di far meglio
— 173 —
degli altri, nè volendo essere notato. Non far
confronti, non vantarti delle doti naturali,
nè delle grazie spirituali che Iddio ti ha da-
to; e soprattutto, non preferirti ad alcuno.
Semplicità nell'andare a Dio.
L'occhio di Dio penetra nell'anima sem-
plice come i raggi del sole nell'acqua limpi-
da e tranquilla. L'uomo semplice non si giu-
dica per via di paragoni coi compagni, ma
ritiene la massima che l'uomo vale, quanto
vale presso Dio. Dio dirige i suoi passi e gli
uomini restano ammirati e rapiti nell'opera
di colui, che in tutti i suoi portamenti fa tra-
sparire la pace e l'ordine di un'anima pos-
seduta da Dio. Tu bada a serbare un timore
filiale senza turbamento e senza inquietudi-
ne, una confidenza in Dio affettuosa senza
presunzione, una fedeltà esatta senza troppe
minuzie e sottigliezze, un desiderio continuo
di piacere a Dio e di fare in tutto la sua vo-
lontà, come il figliuolo che ama teneramente
suo padre, e che comprende l'affezione che
esso ha per lui.
Necessità della semplicità.
La semplicità è indispensabile a chi desi-
dera consacrarsi all'apostolato, specialmente

10.2 Page 92

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——
fra la gioventù. Il mondo vive d'artificio, di
raggiri, d'inganni; pure non può a meno
d'ammirare chi ad esso si presenta con sem-
plicità e senza pretese. Tu pertanto devi con-
siderare come rivolte a te le parole del Divin
Salvatore, che dice: Se non vi farete come i
fanciulli non entrerete nel regno dei cieli:
Nisi efficiamini sicut paruuli non intrabitis
in regnimi coelorum. Tra i proponimenti di
San Giovanni Berchmans vi è questo: « Io mi
lascerò condurre come un bambino. Coi miei
fratelli sarò sempre pieno di rispetto e di
umiltà ». Tu cerca d'imitare questi esempi.
Non sia mai che entri in una casa di novi-
ziato la doppiezza, la malizia, l'ipocrisia, an-
che nelle piccole cose. 11 cuore di Gesù, ne-
mico della finzione, non può benedire una co-
munità in cui non regni la carità nel giudica-
re, nel parlare e nell'operare.
Semplicità anche esteriore.
La semplicità religiosa si manifesta anche
nel portamento esteriore. Nessuna esagerazio-
ne ed affettazione nel portamento della per-
sona, nel vestire, nel contegno familiare, nel
parlare senza malizia od astuzia, o con pa-
role ricercate; ed anche semplicità negli eser-
cizi di pietà: non esteriore esagerato, ma nep-
pure indifferenza; non troppa vivacità, ma
neppure grettezza od impaccio. Don Bosco
col suo contegno modesto e grave, composto
e disinvolto, raccolto e sorridente, sia sempre
I tuo modello; ed allora tu riuscirai di mo-
dello e d'incoraggiamento a quanti avranno
da convivere con te.
Semplicità e prudenza.
Questa semplicità non deve essere per nul-
la opposta alla prudenza: che anzi queste
due virtù devono mirabilmente accordarsi
tra loro, secondo il comando del Divin Sal-
vatore che disse: Siate prudenti come i ser-
penti e semplici come le colombe (1). Chi in-
fatti sarà più prudente di quel religioso, che
confida illimitatamente in Dio e nei suoi su-
periori, piò che nella perizia propria e nei
mezzi che adopera? Chi più prudente di co-
lui che non ragiona sugli ordini ricevuti? e
che trascurando la parte sua, si mostra sem-
pre tranquillo, qualunque sia per essere l'esi-
to delle sue imprese? In questo modo egli fa
sua tutta l'esperienza e prudenza dei supe-
riori, Del resto, ecco la sentenza di San Fran-
cesco di Sales sopra l'accoppiamento della
semplicità con quella prudenza che talora le
si oppone: « Sì, proprio, le semplicette e can-
dide colombe mi son molto più care dei ser-
ti) « Estote prudentes sicut serpentes et simplices
sicut colmnbae » (MATTEO, X , 16).

10.3 Page 93

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— 176 —
penti! E volendo riunire le qualità dell'uno
con quelle dell'altro io non darei la sempli-
cità della colomba al serpente, ma darei la
prudenza del serpente alla colomba, la quale
resterebbe sempre bella ad un modo. Su dun-
que (continua San Francesco, e così conchiu-
do io), diamoci a questa santa semplicità, fi-
glia dell'innocenza, e sorella della carità! Mi
si dice che in un secolo malizioso come il no-
stro ci vuole la prudenza del serpente per
non lasciarsi cogliere, ed io non ho che dire
contro tal massima. Ma un buon cristiano (e
anche più un buon religioso), certo preferirà
sempre di essere incudine piuttosto che mar-
tello, derubato che ladro, ucciso che uccisore,
martire che tiranno. Morte alla prudenza del
secolo. È meglio essere buono e semplice,
che astuto e di mala fede >.
CAPO XV
DELLE CONSOLAZfONI SPIRITUALI,
DELLE ARIDITÀ E DELLA TIEPIDEZZA
Consolazioni spirituali.
Vi sono molte anime pie, che nelle medi-
tazioni, o trattenendosi avanti al Santissimo
Sacramento provano alle volte sì grande con-
tentezza e gustano tali dolcezze, che il cuor
—1 —
loro dà in veri trasporti verso Dio, brame in-
fuocate di molto amarlo, ed anche desiderio
e prontezza a fare immensi sacrifici, e ad
operare grandi cose per la gloria del Signore.
E molte volte per la piena del gaudio che le
inonda, danno in sussulti; o per l'acutezza
del dolore che provano per i loro peccati, si
sciolgono in tenerissimi pianti, con cui dànno
sfogo alle interne emozioni del cuore. Anime
tali non incontrano nessuna fatica o travaglio
nell'attendere alle pratiche di pietà; mentre
gli affetti divoti e i teneri colloqui con Dio
scorron loro spontaneamente dal cuore. Anzi
sospirano l'ora in cui possano trattenersi col
loro Divino Sposo, il quale di sè tanto forte-
mente le alletta, ed a sè sì potentemente le
attrae.
Loro efficacia.
È cosa buona, e di gran giovamento all'a-
nima provare tali consolazioni spirituali. Per
esse l'anima si annoia dei piaceri del mon-
do, si stacca dai beni della terra e li prende
in orrore; si unisce sempre più con Dio, e
lo ama, lo loda, lo prega; e specialmente
vieppiù prende coraggio e forza per com-
battere le passioni, mortificare le proprie in-
clinazioni, ed amare i sacrifici ed i patimen-
ti; e si accende di desiderio di annientare se
stessa, per attirare anime a Dio. È cosa buo-

10.4 Page 94

▲back to top
— 178 —
na, dico, per sè; ma queste consolazioni e tra-
sporti non aumentano le virtù ed i meriti,
anzi a qualche anima leggera e vanerella
posson servire d'incitamento ad insuperbirsi
ed a credersi qualche cosa. Perciò conviene
stare perfettamente conformati alla volontà
di Dio: se ce le dà, prenderle con riconoscen-
za: se non ce le dà, non lamentarsi, ma farne
per quanto si può volentieri sacrifizio al Si-
gnore.
A chi Dio le concede.
Il Signore sovente concede questa grazia,
qual zuccherino, alle anime deboli ed inco-
stanti nella vita divota, e molte volte a prin-
cipianti, affinchè, allettate da dolcezze spiri-
tuali, si distacchino affatto dai beni e dai pia-
ceri del mondo, li prendano in abborrimento,
e così, libere e sciolte da ogni fango terreno,
perseverino nel bene; intrapreso, e si dispon-
gano ad attendere alla perfezione ed a farsi
sante; e le toglie poi quando l'anima è ben
confermata nelle virtù. Tu ammira sempre
più la sapienza e la bontà di Dio nel guidare
così provvidenzialmente le anime, e sempre
più cerca di conformarti in tutto alle divine
disposizioni. Tuttavia anche di frequente Id-
dio le concede alle anime ferme nella virtù,
ed avanzate nella santità. E questo non tanto
a premio delle loro mortificazioni e buone
—1 —
opere, quanto affinchè col loro esempio mo-
strino al mondo, che il suo giogo è soave ed
il suo peso è leggero; e per tal modo allet-
tino le anime dissipate e mondane al suo
amore ed alla sua sequela. Così Iddio le com-
partì a San Filippo Neri, il quale alle volte
era inondato nel cuore di tali celesti dolcezze
e di sì amorosi trasporti, che cadeva per ter-
ra come morto, e piangendo e sospirando
esclamava : « Non più Signore, non più : ba -
sta, basta, chè non posso più reggere a tanto
gaudio, ecco che io muoio ».
Giusto valore delle consolazioni.
La gran cosa pertanto, che praticamente
tu devi notare a riguardo di queste consola-
zioni spirituali, si è, che desse non son per
niente segno che l'anima già possieda grandi
virtù. Anzi molte volte, come ti dissi, esse
non sono altro che dolci e zuccherini, che il
Signore dà alle anime deboli per animare
al bene le persone imperfette e ancor mal-
ferme nella vita divota. E che questo fervore
sensibile non sia punto indizio nè prova che
l'anima possegga grandi virtù e santità, si ri-
cava benissimo da ciò, che molti, privati di
questo fervore e gusto spirituale, rimangono
amareggiati e malinconici, e si scoraggiano.
Perdono a poco a poco, e spesso tutto d'un
tratto, ogni buona volontà: ed eccoli lasciare

10.5 Page 95

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—1 —
le pratiche di pietà, trascurare le mortifica-
zioni, e cadere anche nel baratro del peccato,
ed abbandonare la vita religiosa intrapresa.
Che vuol dire ciò? Vuol dire che quel tale
amava le consolazioni di Dio, e non il Dio
delle consolazioni e delle aridità: vuol dire
che la sua virtù e la sua santità non era che
un'ombra vana, un puro sentimento del cuo-
re, e alle volte anche un semplice attacco al-
l'amor proprio.
Se pertanto il Signore ti concede tali fer-
vori, ringrazialo della sua bontà, riconosci
la tua pochezza nell'aver ancora bisogno di
questi incentivi per tenerti su nel bene. Cer-
ca sempre sodamente di far propositi incrol-
labili di voler amare sempre più il Signore,
e di sforzarti sempre meglio per far bene, sìa
nelle consolazioni come nelle aridità, nel dol-
ce come nell'amaro, nella gioia come nei pa-
timenti. Anzi nel mentre stesso che ringrazi
il Signore delle consolazioni, va anche pre-
parandoti alle aridità, alle tentazioni, alle
croci, alle prove. E sta' all'erta! Poiché alle
volte, come insegna San Filippo Neri, il gu-
sto spirituale è preannunzio di qualche peri-
colo per l'anima.
L'aridità.
L'aridità spirituale consiste nella mancan-
za di lumi, di fervori, di trasporti, di conso-
— 181 —
lazioni e di dolcezze di spirito. Consiste quin-
di nella oscurità della mente, in una certa
ripugnanza della volontà alle pratiche di pie-
tà; e nella durezza del cuore a compungersi.
Alcune volte si viene al punto di sentire di-
rettamente avversione e ripugnanza per le
pratiche di religione, per le opere buone, e
specialmente per le mortificazioni. Nelle pra-
tiche di pietà, uno si sente come un tronco,
trova la sua volontà come legata, e in tutto
sente un profondo disgusto; non può intene-
rirsi nè commuoversi a forti affetti: il cuore
è di ghiaccio, l'anima insensibile. A questo
alle volte si aggiunga che l'anima, non cono-
scendo il perchè di questo stato deplorabile,
viene assalita da mille dubbi e timori e ten-
tazioni: Crede che sia per colpa sua, e di es-
sere abbandonata dal Signore. Per di più so-
praggiungono gravi tentazioni o contro la
fede o contro la bella virtù, o di orgoglio
quasi satanico, e molte volte di scrupolo, sem-
brandole tutto mal fatto e peccaminoso quello
che fa.
Condotta di tenersi.
Quando questa aridità spirituale venisse
a te, che cosa devi fare? Non devi turbarti!
Esàminati se viene per tua negligenza e tra-
scuratezza, cioè se stai così freddo e trascu-

10.6 Page 96

▲back to top
182 —
rato per tua negligenza volontaria. Allora
risolutissimamente pensa a non fare apposta
nessuna cosa che ti meriti questa aridità e
queste tentazioni. Ma se non fai apposta,
cioè non dài cause conosciute, ti ripeto, sta'
tranquillo, non è nulla! Ma, dirai, mi sento
tentazioni orribili e pensieracci spaventevoli,
che non vorrei neppure che l'aria lo sapesse.
Sta' tranquillo, ti ripeto ancora una volta,
non è nulla! Se non vuoi neppure che l'aria
le sappia quelle tentazioni, è segno che le
abborri e le detesti. -— Ma, dirai, mi vengo-
no anche stimoli impuri e movimenti cattivi
tali che non li ho mai provati in vita mia,
neppure quando ero peccatore nel mondo!
— Dimmi: Sei contento di questi stimoli? le
desideri queste cose? Oh no! piuttosto... Sta'
tranquillo: è niente. In tutto questo non vi
«è neppure peccato veniale. È puro effetto fi-
sico del corpo che, giunto ad una certa età,
o poste circostanze speciali, produce tali ef-
fetti. Ma non vi è proprio nulla? Nulla, ti ri-
peto, se tu prendi i mezzi che conosci e fai
quello che sai, o che ti è stato suggerito dal
confessore o dal maestro in simili casi! Ma
pure mi par proprio di acconsentire, perchè
quelle tentazioni durano giornate e nottate
intiere, e sempre con maggior veemenza...!
Dà gloria a Dio; non è niente, assolutamente
niente, purché tu non faccia nulla di quanto
sai esserti pericoloso.
— 13 —
Norme pratiche.
Nelle aridità tieni queste norme: 1) Guar-
da di far ciò che sai per acquistare il fervore;
fa' quel che puoi per pregar bene, far buone
comunioni, far tutto per il Signore. 2) Non
lasciar nessuna pratica di pietà perchè ti sen-
ti arido: falle ugualmente, sempre, tutte; pro-
prio come prima. Specialmente sta' attento a
non lasciar la santa comunione, per non dar
ansa al demonio. 3) Domanda al Signore che,
se è sua volontà, ti liberi da quello stato;
che del resto ti dia forza a ricavarne frutto
per l'anima tua, stando nella perfetta con-
formità alla volontà sua. 4) Alle volte serve
a scuoterci qualche mezzo esterno, come fa-
cendo qualche penitenza o leggendo qualche
libro spirituale. Fa' questa prova: nel tempo
delle aridità, leggi tutti i giorni qualche pa-
gina della vita di Don Beltrami, e t'assicuro
ne proverai profitto. 5) Ma, per carità, sta"
fermo come un macigno a non voler fare
neppure il minimo peccato veniale accor-
gendoti! Specialmente sta' attento che il tuo
cuore non sia per nulla attaccato alle crea-
ture, o ad amicizie sensibili e particolari, o
al voler comparire. Son queste le cause prin-
cipali della tiepidezza ed aridità spirituale.

10.7 Page 97

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— 14 —
Progressi dell'anima nelle aridità.
Quando l'anima devota attende con pre-
mura alla fuga d'ogni peccato e difetto deli-
berato, attende alla mortificazione di se
stessa, fa quello clie può per fare bene le
pratiche di pietà e per avanzarsi nella virtù,
e fa tutte queste cose non ostante le noie, le
ripugnanze e le difficoltà che vi incontra,
quest'anima è sicura di progredire avanti a
Dio. Sono incredibili le grazie che il Signore
dà ad uno che, sebbene in mezzo alle aridità,
alle tentazioni, agli scrupoli, si sforza con-
tinuamente d'amarlo sempre meglio, e di ser-
virlo sempre più fedelmente. Nella via spiri-
tuale generalmente si progredisce molto di
più in mezzo alle aridità, quando esse si
sopportano nel modo sopraindicato, che nelle
consolazioni di spirito.
Della tiepidezza.
Ma se non è cattivo segno avere aridità
di spirito, ben cattivo e dannosissimo sarebbe
il lasciarsi cadere nella tiepidezza. Il diva-
rio che vi è tra aridità e tiepidezza è enorme.
Abbiamo detto in che consista l'aridità: ve-
diamo in che consista la tiepidezza, e quali
danni arrechi. La tiepidezza è lo stato di quel-
l'anima, la quale è rallentata nella volontà e
nella premura di servire Iddio. L'anima tiepida
— 185 —
trascura la mortificazione delle passioni, la
fuga delle occasioni pericolose, la pratica delle
virtù, l'orazione, i sacramenti; nè si dà pre-
mura di correggersi dei difetti. Onde col con-
durre vita sì trascurata ed immortificata, di-
mostra ben chiaro d'essere molto lassa nella
volontà, e molto rallentata nella premura di
servire Iddio.
Segni di tiepidezza.
Sta' pertanto ben attento a non confonde-
re l'aridità con la tiepidezza. L'arido deside-
ra, fa gli sforzi, ha la volontà veramente
buona, prende i mezzi che conosce per fare
il bene, per rialzarsi, per correre al Signore.
Il tipiedo invece non ha il vero desiderio, nè
fa degli sforzi veri. Non ha una volontà ve-
ramente buona, e perciò non prende i mezzi
che conosce per rialzarsi dal suo letargo, per
slanciarsi nel bene. Anzi egli, contento di non
lasciarsi cadere generalmente in colpe mor-
tali, trascura le piccole mancanze. Non fa
con impegno le opere di pietà, quindi poco
o nulla attende alle orazioni libere ed alle
visite al Santissimo Sacramento; e nelle ora-
zioni comuni, e nella meditazione, sta distrat-
to e svogliato, senza fare sforzi. Egli non ba-
da all'esecuzione fedele e costante delle sue
regole, con la scusa che esse non obbligano
sotto pena di peccato. Il tiepido non si risol-

10.8 Page 98

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— 186 —
ve mai a mortificare Lene i suoi sensi, lascia
liberi gli occhi a mirare oggetti profani, non
raffrena la lingua, accontenta la gola, trascu-
ra di mortificare le passioni; onde involon-
tariamente è impaziente, un po' collerico, in-
vidioso, vanerello. Ama il vestire appariscen-
te, conforme le fogge e le forme del secolo;
nutre le piccole amicizie sensibili; usa volen-
tieri la compagnia di persone dissipate e
mondane, si trattiene con gusto a leggere libri
profani e leggeri. In una parola il tiepido vo-
lontariamente si lascia cadere nelle colpe ve-
niali e non cerca per niente lo slancio nel be-
ne. Nè per essere tiepidi occorre avere tutti i
sopraccennati segni, e cadere in tutti i difetti
notati: anche uno solo di questi difetti, tenu-
to volontariamente ed accarezzato, forma il re-
ligioso tiepido. Avverti poi che questi difetti,
mentre sono chiarissimi segni che l'anima è
già raffreddata nel bene, e perciò è tiepida,
sono in pari tempo le vere cagioni che fan ca-
dere l'anima nello stato di tiepidezza e che in
esso la mantengono. Se tu pertanto non vuoi
cadere in questo stato miserando è necessario
che con energia e risolutezza fugga tutti i di-
fetti soprannotati. Scuotiti: per carità, scuotiti!
Altrimenti ascolta la terribile sentenza, che
pronuncia per te lo Spirito Santo : « Poiché
sei tiepido comincerò a vomitarti dalla mia
bocca (f) ».
(1) « Quia tepidus es, ineipiam te evomere ex ore
meo • (A-poc.. I l i , 16).
—1 —
Effetti della tiepidezza.
È chiaro che la tiepidezza impedisce di-
rettamente l'acquisto della perfezione, perchè
moltiplica i peccati veniali, e perchè rende la
persona trascurata nel praticare la mortifica-
zione dei sensi e la fuga delle occasioni. Ne se-
gue che le passioni piglian forza gagliarda, di
più la persona rimane priva di molte grazie
di Dio, ond'essa cade sempre in maggior nu-
mero di difetti e di peccati veniali d'ogni sorta.
Perciò l'anima tiepida è molto opposta, ben-
ché in cose non tanto gravi, alla divina volon-
tà, ond'è imperfettissima. Perde poi tanti me-
riti pel paradiso, e si acquista pene lunghissi-
me per il purgatorio. Se pure direttamente l'a-
nima tiepida non viene a precipitare in cose
molto peggiori! Poiché sta scritto, che chi di-
sprezza le cose piccole poco alla volta cadrà
nelle gravi (1). È chiaro che il peccato venia-
le predispone al mortale, e pone l'anima in
gran pericolo di cadervi. E, d'altra parte, in
qual modo Iddio vorrà trattare l'anima tie-
pida? Egli la misurerà con la sua stessa mi-
sura; ossia sarà men largo di grazie con lei,
-a quale è con lui così avara di mortifica-
zione, di sacrifizi, di virtù. Le negherà gli aiuti
più speciali, ritirerà le sue aspirazioni più for-
ti, e così a poco a poco cadrà. Sant'Alfonso
(1) « Qui spernit modica, paulatim decidet » (Ee-
cii., X I X , 1).

10.9 Page 99

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spiega così: «Lascerà il Signore di dare all'a-
nima tiepida, come soleva, quei lumi di fede,
quei desideri santi, e quelle chiamate amoro-
se. Indi l'anima comincerà a languire nell'o-
razione, nelle comunioni e nelle visite, o le
farà con gran tedio, svogliatezza e distrazio-
ne; sicché, svogliata, non trovando nel fare il
bene alcun sollievo, ma solo pena e rincre-
scimento, abbandonerà finalmente tutto, e si
rilasserà, e cadrà in colpe maggiori ». Oh tu,
amico mio, temi e trema di cadere nello stato
di tiepidezza! Poiché quanto più Iddio ti ha
privilegiato con darti la vocazione e tante altre
grazie, tanto più è in diritto di esigere da te
corrispondenza maggiore. E come vuoi che il
Signore continui a darti doni speciali, a farti
favori non comuni, se tu non curi le piccole
cose, e perciò non corrispondi? Odi ancora
un'altra minaccia di Gesù contro le anime tie-
pide ed infedeli, che non ricavan frutto dalle
sue grazie. Egli dice: «A chi ha, sarà dato e
si troverà nell'abbondanza; ma a chi non ha,
sarà tolto anche quello che gli sembra di ave-
re » (1). Colle quali parole intende significare
il Divin Maestro, che chi tiene i doni di Dio
in quel pregio in cui debbono essere tenuti,
cioè corrisponde alle grazie, e fa fruttare i ta-
lenti che ha ricevuto, sarà benedetto ed avrà
(1) « Omni enim habenti dabitur, et abtmdabit:
ei autem qui non habet, et qnod videtur habere, aufe-
retur ab eo • (MATTEO, X X V , 29).
l'aumento dei medesimi doni, e ciò con mi-
sura sovrabbondante. Ma chi per negligenza,
o per poca stima di essi, tiene inoperose le gra-
zie ricevute, e non corrisponde al Signore, cioè
il tiepido, sarà abbandonato, e perderà ancora
quel poco che aveva.
Mezzi per non cadere nella tiepidezza.
Prendi pertanto risolutamente i mezzi per
non cadere in codesta deplorevole tiepidezza:
fuggi tutte le occasioni che potrebbero raf-
freddare il tuo fervore, come sarebbe il fre-
quentar persone tiepide o mondane, letture
leggere e piacevoli, e simili. Poniti con costante
energia ad osservar perfettamente e sempre
tutte le regole, ed a fare con impegno grande
tutte le pratiche. Gèttati con animo sem-
plice e risoluto tra le braccia del tuo maestro
o direttore, e del padre spirituale; fa' che ti
conoscano perfettamente, e pratica esattamen-
te i loro consigli. Sforzati di crescere nella
virtù, e specialmente nell'umiltà e nello spi-
rito di mortificazione, e proponi fermissima-
mente di fuggire anche le minime mancanze
avvertite. Allora il Signore t'aiuterà, ti man-
terrai in fervore; e se fossi caduto in tiepidez-
za ti rialzerai. Così riuscirai a servire bene il
Signore su questa terra, e ne avrai premio
straordinario ed eterno in cielo.

10.10 Page 100

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— 190 —
CAPO XVI
LA PROVA DEL NOVIZIATO
Necessità delle prove.
L'umana superbia fa sì, che noi teniamo
sempre noi stessi per più abili di quel che non
siamo in realtà: che ci crediamo più forti nel
bene, più stabili nei propositi, più decisi d'e-
vitare ogni difetto, di quel che in realtà non
siamo. Cosicché avviene alle volte, che, colui
il quale oggi si credeva invincibile, domani
sia miseramente caduto, vinto, anche in diffi-
coltà non gravi. Ci vogliono le prove: è nelle
prove che si conosce la tempra, ed è con le
prove che la tempra medesima si fortifica, fi
lo Spirito Santo che ci dice: « Che ne sa co-
lui che non è tentato? (1) ».
Quando un novizio non è messo a prove
serie, vi è pericolo che dopo o dia indietro o
resti sempre un confratello di poco spirito. Le
prove del noviziato debbono essere serie ed
un po' dure. Le congregazioni che non hanno
un noviziato molto serio, ed in cui in gene-
fi) • Qui non est tentatus, quid scit? » (Ecoli.,
X X X I V , 9).
— 11 —
rale gli ascritti non siano ben provati, o in cui
si vada avanti rimessamente, o, come mala-
mente si dice, alla buona, quelle congregazio-
ni possono tenersi perdute. Disgraziatamente
se ne vide più d'una a decadere: se si va a stu-
diare l'origine del decadimento, si trova nella
debolezza dei superiori nel mantenere la per-
fetta disciplina, e specie nel noviziato, in cui
non si provano abbastanza gl'individui. Tu
pertanto godi se il noviziato dove ti trovi è
piuttosto rigoroso: è meglio che sia così se
vuoi renderti degno dello stato religioso, e
degno dello stato sublimassimo del sacerdozio
cui aspiri. Ciò che scoraggia sovente i novizi
e li persuade che essi non hanno vocazione,
è che essi sentono delle pene nella vita reli-
giosa. Queste pene loro provengono, o da Dio
che li tenta; o dalle pratiche della vita reli-
giosa, che loro paiono troppo pesanti; o dai
superiori che li umiliano, li provano, li casti-
gano: o dagli uguali che hanno modi difficili:
0 da se stessi, a causa delle cattive inclina-
zioni che li agitano, o dei combattimenti che
sentono in se stessi. Ma essi non devono per
tutte queste difficoltà abbattersi o disgustarsi.
1 aran ben meglio a ricorrere a Dio con la
preghiera, domandandogli la sua grazia per
poter sopportare tutte queste pene per amor
suo. Si ricordino d'esser venuti in religione
in vista d'assicurare la loro salvezza con la
vita ritirata e mortificata. Invece adunque di
lamentarti e scoraggiarti, tu ringrazia il Si-

11 Pages 101-110

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11.1 Page 101

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— 12 —
gnore che ti dà l'occasione di trovare nella
casa religiosa ciò che eri venuto a cercare, e
persuaditi che, col soccorso della grazia, la tua
fatica divenuta amabile non ti sarà più di
pena. O non si fatica più, o si ama la stessa
fatica (1), dice Sant'Agostino.
Tutti han da soffrire quaggiù.
I novizi, entrati giovani nello stato reli-
gioso, molte volte credono che solo in congre-
gazione vi sia da soffrire, e così si disaffezio-
nano dalla loro vocazione. Grande errore!
Vi è ancor più da soffrire nel mondo, anche
limitandoci a far solo le cose necessarie per la
propria salvezza. Alle volte chi vive nel mon-
do ha da soffrire per le opposizioni dei pa-
renti, altre volte dagli insulti da parte dei li-
bertini, altre dalle contraddizioni che proven-
gono da parte delle massime corrotte del se-
colo. Neppure i cattivi, scrollando il giogo
di Dio si sbarazzano dalla necessità di sof-
frire; anzi finiscono anche su questa terra di
soffrire più degli altri. Provar delle pene è
eredità del peccato originale. Essa è cosa co-
mune a tutti gli stati. Ma vi è questa note-
vole diversità: i mondani soffrono per forza,
col lamento sulle labbra e la rabbia nel cuo-
re, e non si fanno alcun merito per il para-
ci) «Aut non laboratur, aut laì>or ipso amatur ».
— 193 —
diso; i buoni cristiani soffrono con rassegna-
zione e si fan dei meriti; il fervente religioso si
esercita a soffrire per puro amore, cioè con
gioia, e così tesoreggia meriti infiniti per il
paradiso. Amare dunque i patimenti e le
prove le più dure, è nel tuo interesse.
Prove dello spirito.
Alcune volte Iddio direttamente mette alla
prova un povero novizio, il quale, prima tut-
to fervore e desiderio di consacrarsi comple-
tamente al divino servizio, ad un tratto si
sente arido, svogliato, anzi viene a concepire
una vera ripugnanza allo stato religioso; e
per sforzi che faccia, passa delle settimane
e dei mesi in questo stato così penoso. Che
fare allora? Bisogna star forte e dire: Iddio
mi ha chiamato, questa è una prova che mi
manda; avessi da morirne per gli sforzi, vo-
glio morire in religione. Altra volta è uno
stato di dubbio di vocazione che s'impossessa
talmente dell'ascritto, che per un dato perio-
do di tempo egli anche nelle preghiere e nel-
le meditazioni viene quasi quotidianamente
a conchiudere che Iddio non lo vuole in que-
sto stato, o perchè la sua vocazione non fu
vera, o perchè, con colpa o senza colpa, se
ne è reso indegno. Altra volta il povero ascrit-
to è sovrappreso da scrupoli o meticolosità
nel veder peccati da per tutto; e così non può

11.2 Page 102

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— 194 —
essere diretto, ed egli si persuade sempre più
di essere un reietto dal Signore, e si decide
di abbandonar tutto. Altra volta ancora es-
sendosi il maestro od altro superiore mostra-
to un po' rigoroso con lui, avendogli posto
sott'occhi i suoi difetti, o forse avendolo ri-
preso fortemente, egli si persuade di non es-
sere capace a sopportare quella prova o quel-
la umiliazione. Altre volte si è presi da no-
stalgia. Il certo si è che il Signore permette
ordinariamente qualche prova un po' aspra.
Coraggio: in tutto quel che avviene vedi sem-
pre la mano di Dio. Guai se cominci a ten-
tennare un po'! Bisogna dire con animo ge-
neroso: non muove foglia senza che Dio lo
voglia. Queste cose adunque non sono che
prove permesse dal Signore: egli le permet-
te per mio bene. Avessi pur da morirne, mor-
rò qui; non dò indietro. Bisogna che, preclu-
so subito ogni adito allo scoraggiamento, ri-
soluto dica: morrò qui. ma non mi muovo:
e intanto fare « alla lettera » quello che il
maestro consiglia.
Prove da parte dei parenti.
Altre grandi prove vengono pure da Dio,
mediante circostanze esteriori. O sono i ge-
nitori, i quali si oppongono: od anche i pa-
renti, ed i vicini dànno loro ansa: talora per-
sino i preti ed il parroco sono dalla parte
—1 —
dei parenti! E tu, poveretto, ricevi di qua e
di là lettere di fuoco, e vieni fino al punto
di lasciarti opprimere da queste insistenze.
Non temere: chi incominciò l'opera buona,
la finirà. È il Signore che ti ha ispirato il de-
siderio di farti salesiano, è Maria Ausiliatri-
ce che t'ha condotto qui, come per mano. Es-
si non lasceranno l'opera incompiuta, Essi
.a condurranno a termine. Ma per parte tua,
juanto più sono violente le prove, tanto più
sii costante e sta' fermo nei tuoi propositi.
Tieni sempre a mente che è Dio che permet-
te, e che vuole queste prove; e che egli, per
lo più, le manda più aspre a chi predilige.
Ad Abramo domandò persino il sacrifizio del-
. unico figliuolo, a Giobbe mandò prove inau-
dite, a Tobia mandò la cecità, ai profeti man-
dò le persecuzioni, i santi li fece passare per
Io più per vie difficili. E se volle che San
Luigi servisse di esempio al mondo, lo fece
combattere per tre anni prima che potesse
riuscire nella vocazione. E se Santa Giovanna
di Chantal doveva fondare il monastero della
Visitazione, che fa tanto bene, dovette pas-
sare sul corpo del proprio figlio. Se Santa
Teresa potè riformare i Carmelitani dovette
soffrire per tutta la vita pene indicibili. Se
5au Francesco d'Assisi, Sant'Ignazio, San
Giovanni Bosco fecero tanto bene, dovettero,
rome si direbbe, sudar sangue e passare per
trafile difficilissime. Tu pertanto rallegrati,
e considera che sempre quanto più grandi

11.3 Page 103

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—1 —
ed aspre e durature furono le prove, tanto
più abbondanti furono le grazie. Abramo
diventò progenitore del Messia, Giobbe esem-
pio a tutto il mondo, Tobia riebbe la vista
e fu prosperato nella famiglia, i profeti fa-
cevano tremare gli stessi re, e via via. E se
tu sei molto provato, è segno che il Signore
vuol fare di te grandi cose. Coraggio! Ri-
spondi debitamente ai genitori ed a coloro
che ti ostacolano; e quando non sapessi co-
me rispondere, prega il maestro che favori-
sca rispondere lui a quelle lettere. Anzi pre-
galo che in seguito non te le faccia più ve-
dere, poiché ti conturberebbero troppo, senza
nessun buon risultato. E d'altronde ricorda
sempre che chi non è pronto ad abbandonar
tutto, a soffrir tutto per Gesù, non è atto per
il regno dei cieli. Ricordati che prima di en-
trare hai pensato a tutto. I superiori ti hanno
interrogato se i parenti erano nel bisogno
grave; e tu allora capivi che avrebbero potu-
to fare senza di te. Ora non pensarci più;
gèttati nelle braccia del Signore e dei supe-
riori, e lascia che essi ti guidino in tutto.
Prove nella sanità.
Altra prova terribile proviene dalla sa-
nità, che può indebolirsi ed uscirne una ma-
lattia. Anche per questo, non scoraggiarti: è
il Signore che guiderà tutto. Se proprio i su-
— 197 —
periori vedessero che il tuo fisico non è equi-
librato, ti direbbero essi stessi che tu non
puoi fare per la vita comune; e allora ras-
segnati. Iddio parla per mezzo dei superiori;
ma tu da parte tua non dire una parola per-
chè ti mandino a curarti a casa od altrove.
Ti sembrerà che sia l'aria del luogo che non
ti fa bene, che siano i cibi, che sia qualche
altra circostanza. Tieni sempre a mente: Non
un capello del tuo capo cade senza la volontà
di Dìo. Rimani, fa' quel che puoi: segui la
regola del noviziato. Non domandar eccezio-
ni; solo accettale se è il superiore che te le
offre, e vedrai che Iddio farà scaturire la sua
volontà.
Prove nella capacità intellettuale.
Altre volte è la scienza che sembra defi-
ciente; tu fa' quello che puoi davvero, e sta'
nelle mani del superiore. Quando si ha mol-
ta virtù, non compare tanto la deficienza negli
studi. È quando si è superbi, e che uno non
si contenta dei posti e delle occupazioni in cui
è messo, che compare la deficienza degli stu-
di. Tu non volerti per nulla incaponire, e
aspetta se i superiori indicassero proprio che
non hai la sufficienza. Ma, se non sono i su-
periori che ti trovano inetto, tu raccomanda-
ti a Gesù che è la Sapienza Incarnata, rac-
comandati alla Madonna che è la Sede della

11.4 Page 104

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— 198 - -
Sapienza: e intanto va' avanti senza timore.
È bensì vero che son necessarie due ali per
volare, e queste due ali del sacerdote sono la
pietà e la scienza; ma è anche vero, dice San
Francesco di Sales, che sebbene ci vogliano
due occhi per vedere, la Chiesa dispensa dal-
l'irregolarità quando vi è l'occhio del Canone,
che in questo caso è la virtù. Ma tutto il
mio punto d'insistenza sta qui: che non ti
scoraggi, che confidi nel Signore; che per
quanto sta da te, dopo d'aver fatto il possi-
bile, stia nelle mani del Signore.
Prove da parte dei superiori.
Altre volte vengono dai superiori. Essi so-
no obbligati a provar bene gl'individui prima
di incorporarseli. Guai se entrano giovani
senza le doti necessarie! I superiori sareb-
bero responsabili del decadimento della no-
stra società. Il maestro deve stritolare quella
tua superbia, quella tua caparbietà, quella
tua testardaggine. E come il fabbro ferraio
tanto batte colla mazza sul ferro finché l'ab-
bia ben raddrizzato, così devi desiderare tu
che faccia il superiore con te: che non lasci
di provarti, finché non t'abbia ridotto bene.
Di questo prega insistentemente tu stesso il
maestro, che non ti lasci in pace finché non
ti spogli completamente della tua volontà, e
non ti distacchi da tutto. Pregalo che ti fac-
— 199 —
eia cambiare le inclinazioni, i giudizi, la vo-
lontà. Guai a te, per il tuo avvenire, se il
maestro si mostra indulgente con te e te le
lascia passare! Pregalo specialmente che ren-
da magnanimo il tuo cuore, che rompa in
te ogni sdolcinatura di sentimenti, ogni amo-
re bisbetico, che ti spoltrisca bene, e ti tratti
senza compassione.
Ciò che ne dice San Francesco di Sales.
Attendi a quanto San Francesco di Sales,
nostro amabile titolare dice ad altri, e figu-
rati che dica queste cose direttamente a te.
Sappiate bene, che se il grano di frumento
cadendo in terra non muore, resterà solo; ma
se marcisce nel seno della terra, fruttificherà
il centuplo. È il Signore che lo dice; e la pa-
rola di nostro Signore è molto esplicita. Per
conseguenza voi, che volete esser religiosi,
guardate bene più di una volta, se avete fer-
ma risoluzione di morire a voi stessi, e vivere
solo per Iddio. Ponderate bene tutto, ve lo
dichiaro e non voglio punto ingannarvi: Chi-
unque desidera vivere secondo la natura, re-
•»ti nel mondo. Soltanto coloro che sono de-
terminati di vivere secondo la grazia, entrino
il congregazione; in essa altro non v'è, che
una serie di abnegazioni e di mortificazioni
di se stesso ».
8

11.5 Page 105

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Le prove presso di noi.
Una grande osservazione deve fare l'a-
scritto e deve ripetere il professo: queste pro-
ve sono assolutamente necessarie, e tu le devi
prendere bene. Ma bada che da noi non vi
sono prove propriamente dette, cioè prove
studiate ed artificiali. Ciò non pertanto noi
abbiamo prove che si potrebbero dire an-
cor più assicuranti: il dovere, la disciplina,
le contrarietà. La nostra gran prova sta nel
vedere se si è capaci a far bene, con perse-
veranza, spontaneamente, sempre, ciò che è
di dovere, ciò che forma la vita comune; ve-
dere se si eseguisce allegramente ciò che ri-
chiede da noi la vita pratica. Quando si rie-
sce costantemente a far questo, la prova è
superata; ma se non si riesce a questo, ogni
altra prova potrebbe essere illusoria. È per
questo che si raccomanda ai superiori, ai
maestri, agli assistenti di far eseguire la di-
sciplina regolare un po' rigorosamente e sen-
za riguardi. Tu capisci bene questo, che i
superiori devono fare così per il tuo bene.
Per carità, non pensar mai che i superiori
facciano ciò per capriccio, per antipatia, per
irascibilità. Che se ti si avvisa e ti si sgri-
da e castiga, questo è solo per tuo bene. I
superiori fanno questo solo per correggerti;
ed è fortuna per te di subire queste prove.
Se hai un po' di senno, se ti sta veramente a
cuore il tuo avanzamento nelle vie del Signo-
re, e vuoi ridurti abile a fare poi del bene,
dovresti desiderare maggior rigore, maggior
austerità, e dovresti pregare e supplicare in
ginocchio ed a calde lacrime il maestro, e
gli altri superiori, a non risparmiartene una,
ma a provarti fortemente per renderti più
robusto nell'esercizio delle virtù della vita
religiosa. Una delle prove consiste nel do-
ver ubbidire talvolta a compagni, più gio-
vani forse o più indietro di te, stabiliti quali
sorveglianti. Altra prova che capita è l'essere
stabilito a compiere un lavoro con uno che
non piace o col quale si ha antipatia. Altra
volta si inibisce lo studio del pianoforte o
altro studio più piacevole: altra volta an-
cora si è stabiliti per una sezione di studi
mentre si vorrebbe essere stabiliti in altra.
Ora si è messi a recitare nelle accademie o
nei teatrini, mentre non si riesce o non piace:
ovvero mentre piace e si riuscirebbe bene,
non si è messi: si domanda più spesso il re-
soconto della meditazione a chi meno lo de-
sidera, o si accresce il numero delle mortifi-
cazioni giornaliere a chi manca di semplici-
tà ecc. Cose tutte che bisogna superare con
animo generoso, ringraziando ancora il Si-
gnore ed il superiore che per il tuo bene ti
addestrino a continue piccole prove. Aiutali
tu, accostumandoti da te stesso a contrad-
dirti in tutti i tuoi desideri poco moderati;

11.6 Page 106

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— 202 —
e allora, se verrai contraddetto da altri, sa-
rai già accostumato, e non ne patirai più.
... La vita di comunità.
La vita comune è senza dubbio la mag-
gior prova, come è la maggior penitenza
dello stato religioso. Senza dubbio la regola
non impone obblighi superiori alle forze ordi-
narie della natura! Tuttavia quel non poter
mai fare come si vuole, quel dover sempre
adattarsi agli altri, quell'avere tutte le ore
compassate, sono cose gravi per l'umana na-
tura. Ma tutte queste circostanze e tutti que-
sti obblighi sono già conosciuti, si sono stu-
diati; ed ognuno si è potuto convincere,
ch'essi non hanno niente di troppo penoso.
Ciò non ostante la loro osservanza completa
e costante è la miglior prova che si possa
avere della adattabilità e perseveranza di un
ascritto nella vocazione. Chi pertanto vuole
assicurare la sua perseveranza, non ostante
le prove anche aspre che possono venire, bi-
sogna che non si faccia illusioni sul genere
di vita che definitivamente vuole abbraccia-
re. Che non si pensi di trovare un paradiso
in terra e un altro in cielo! Per assicurarsi
il paradiso in cielo bisogna aspettarsi il Cal-
vario qui in terra. La divisa e l'aspirazione di
un religioso dev'essere: soddisfare per quanto
— 3—
si può qui in terra alla giustizia di Dio, rico-
noscere i suoi innumerevoli benefici, ed atte-
stargli la propria riconoscenza, il proprio
amore, colla preghiera, col lavoro, colla soffe-
renza. Sia questa la tua unica ambizione, la
tua divisa, e diverrai degno figlio di Don Bo-
sco.
« Sapete che cosa voglia dire monastero ?
scriveva San Francesco di Sales ad una aspi-
rante all'ordine della Visitazione. È come un
laboratorio chimico, una palestra, una fuci-
na, dove ogni anima deve farsi correggere,
deve apprendere a farsi rimaneggiare, limare,
pulire; affinchè divenendo perfettamente li-
scia e pulita, possa unirsi e perfettamente
aderire alla volontà di Dio ». In altro luogo
il medesimo santo scrive: «Ogni monastero
è come un ospedale di malati spirituali, che
vogliono essere guariti e che per esserlo, si
sottopongono a soffrire il salasso, la lancetta,
il rasoio, il fuoco, e le amarezze d'ogni sor-
ta di medicamenti. Bisogna volere questo,
quando voi entrate in religione; e non tenere
in alcun conto quello che l'amor proprio po-
trà dire in senso contrario. Bisogna prendere
con pacatezza e con coraggio questa risolu-
zione: "o guarire o morire", e giacché non
voglio morire spiritualmente, voglio guarire.
E per guarire voglio soffrire qualunque cosa,
e supplicare i medici, cioè i superiori, di non
risparmiare punto ciò che nii può far soffrire
perchè io possa sicuramente guarire ». È que-

11.7 Page 107

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— 204 —
sto in conclusione, ciò che ci disse Gesù, che
se amiamo l'anima nostra dobbiamo perder-
la, cioè morire al mondo: e che chi non la
perde non avrà la vita (1).
... I compagni.
Altre prove provengono da parte dei com-
pagni. Non vi ha dubbio che lo spirito di ca-
rità regna nelle case religiose, e specialmente
nei noviziati. Ciò non di meno, i caratteri di-
versi, le prevenzioni, la gelosia, inerenti alla
natura di certi temperamenti, i diversi modi
di vedere le cose, sono quasi continuamente
un'occasione di piccole sofferenze. Ciò può
avvenire specialmente nelle nostre case, dove
il numero dei confratelli è grande, la diver-
sità delle occupazioni è molta, il lavoro è so-
vrabbondante; dove anche abbiamo confra-
telli di tutte le regioni d'Italia, ed anche di
tutte le nazioni d'Europa. Anche senza ma-
lizia scappano apprezzamenti contrari, e si
toccano sensibilità delicatissime. Vi sono poi
delle noie in casa, come ne troveresti dovun-
que, specie colla compagnia di chi avesse ca-
rattere opposto al tuo. Se tutte queste cose
pertanto ti facessero soffrire anche in modo
(1) • Qui voluerit ammani suam ealvam tacere,
perdet eam: qui autem perdiderit animam suam propter
m e , i n v e n i e t e a m » (MATTEO, X V I , 25).
considerevole,. prendi tutto con generosità di
cuore. Alle volte un po' di generosità dissipa
mille nebbie; ma mai e poi mai per questo ti
devi scoraggiare od adirarti!
Utili coKsiderazioni.
Pensa che sei venuto apposta in congre-
gazione per mortificare te, onde seguire Gesù;
e che sei venuto per seguire Gesù fino al
monte Calvario. Pensa anche che questi pati-
inenti non sono poi altro in conclusione, che
una giusta espiazione della tua troppo grande
indipendenza del passato; e tira avanti in
nomine Domini. Pensa che con queste prove
ti abbrevi il purgatorio, e ti accresci i meriti
pel paradiso. Conviene anche considerare, che
in tutto ciò che avviene vi è l'espressione
tacita della volontà di Dio. E con queste
considerazioni sarai animato a tutto soppor-
tare per Iddio, per il bene dell'anima tua,
per la salvezza di tante anime che il Signore
ti affiderà, e che tu potrai condurre in porto,
se perseveri costante nella tua vocazione. Le
prove della vita religiosa prese con genero-
sità, sono le cose che ci procurano i maggiori
meriti avanti a Dio.

11.8 Page 108

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—2 —
CAPO XVII
DELLE TENTAZIONI
E DEL MODO DI VINCERLE
Tu dunque, o mio buon ascritto, ti sei
messo con tutte le tue forze a farti buono,
a vincere i tuoi difetti, a procurarti le virtù
convenienti al tuo nuovo stato. Tutto questo
è bene! Ma forse tu t'illudi, credendo con ciò
che tutto ti andrà bene per l'avvenire, e che
tu non avrai più delle tentazioni. Sappi che
ordinariamente non è così: poiché il Signore
ci dice chiaramente, che colui, il quale pro-
pone di servirlo più da vicino, deve prepa-
rare l'anima sua alla tentazione (1). Tu per-
tanto ascolta l'istruzione che ti dò riguardo
queste tentazioni, e sappi farne tesc-o.
CAUSA DELLE TENTAZIONI...
1° i demoni.
Diverse sono le cause che producono le
tentazioni: il demonio, l'umana natura, il
(1) « Accede™ ad servitutem Dei.... praepara ani-
marti tuam ad tentationem » (Eccli., II, 1).
— 207 —
mondo e gli scandali, noi medesimi. I demoni
tentano le anime al peccato. Questi nostri
infernali nemici odiano immensamente le ani-
me: sì, perchè sono la viva immagine di quei
Dio che essi cotanto odiano, perchè li bandì
dal cielo e li confinò negli abissi dell'inferno:
come perchè sono da Dio create, redente,
santificate, e destinate poi a godere in vece
loro nei seggi celesti l'eterna felicità. Perciò
si argomentano con ogni sforzo, con ogni
arte di indur queste anime all'offesa di Dio,
cioè al peccato, per privarle così del cielo
e trarle con loro all'eterna perdizione. Ed è
certo che i demoni tentano le anime, poiché
l'apostolo San Pietro dice ai fedeli: Siate tem-
peranti e vegliate, perchè il diavolo, vostro
avversario, come leone che rugge sen va at-
torno, cercando chi divorare (t).
E San Paolo ci raccomanda di vestirci
della armatura di Dio, affinchè possiamo re-
sistere alle insidie del diavolo (2).
I demoni poi per riuscire alla rovina delle
anime non si servono di un mezzo solo o di
un'arte sola, ma di molte, specie delle tenta-
zioni, degli inganni, degli scrupoli. Colle ten-
tazioni accendono le passioni, e così scoper-
tamente spingono l'anima al peccato. Cogli in-
(1) « Fratres, sobrii estote et vigilate, quia adver-
sarius vester diabolus, tamquam leo rugiens, circuit
quaerens quem devoret » (Ep., I. V, 8).
(2) « Induite vos armaturam Dei, ut possitis stare
adversus insidiai diaboli • (Ef",«., VI, 11).

11.9 Page 109

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— 208 —
gannì rappresentano alle anime il male rive-
stito colle forme ed apparenze di bene, e con
ciò illudendole le traggono al peccato. Cogli
scrupoli poi rappresentano alle anime false
ragioni, colle quali le spaventano, le avvili-
scono, le riducono a far male le pratiche di
pietà, anzi a tralasciarle; ed anche le spin-
gono a disperare dell'eterna salute, e quindi
a darsi in preda al peccato.
...2° la natura.
La stessa natura umana tenta grande-
mente le anime al peccato. Poiché, per il pec-
cato originale, le passioni, specialmente poi
quelle della carne e dell'amor proprio, non
più essendo soggette alla ragione ma sciolte
e libere, spingono l'uomo a beni, a piaceri,
a soddisfazioni proibite. Perciò l'apostolo San
Giacomo dice: Ciascuno è tentato dalla pro-
pria concupiscenza, che lo attira e lo allet-
ta (1).
fortemente tenta al peccato; onde dice San
Giovanni: Tutto quello che è nel mondo è
concupiscenza della carne, concupiscenza de-
gli occhi e superbia della vita (1). Anche le
persone che sono nel mondo tentano al pec-
cato, quando coi loro scandali e mali esem-
pi, coi loro inviti ed eccitamenti dànno l'oc-
casione e la spinta a commetterlo. Togliete
lo scandalo, ed avrete tolto una delle cagioni
principali di peccato.
—4° noi stessi.
Finalmente l'uomo stesso molte volte ten-
ta se medesimo al peccato, e così anch'egli
divien causa delle proprie tentazioni. Ciò suc-
cede specialmente quando esso, per avere
rei passato acconsentito spesse volte al pec-
cjto. ha formato in sè l'abito a consentirvi
ed a commetterlo. Ora le malvage abitudini
. -ntano più del demonio, ed anche senza il
demonio.
...3° il mondo e gli scandali.
Il mondo pure, col presentar beni e pia-
ceri che ridestano e lusingano le passioni,
(1) « Unusquisque vero tentatur a concupiscentia
sua abstractus et illectus • (Ep., I, 14).
Dio non tenta.
È di fede però che Iddio non tenta mai al
:eccato; ma solo permette che siamo tentati.
(1) « Omne, quod est in mundo, concupiscentia
^tniis est, et concupiscentia oculorum et superbia
- « e - (Ep„ I II, 16).

11.10 Page 110

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— 210 —
Onde dice San Giacomo: Nessuno, quando
è tentato, dica che è tentato da Dio; perchè
Dio non è tentatore di cose male (1).
Ma permette le tentazioni.
Per quali ragioni Iddio permette che siamo
soggetti alle tentazioni? Specialmente per due
ragioni: 1) per lasciare operare in noi la no-
stra natura, cioè per non toglierci la libertà.
Egli aveva creato l'uomo libero e senza fo-
mite al male; ma avendo l'uomo abusato di
questo gran dono della libertà, la sua natura
venne corrotta ed inclinata al male, ed ora
deve sopportarne le conseguenze. Il peccato
originale, benché distrutto e rimesso col bat-
tesimo, pure lascia nell'umana natura il fo-
mite della concupiscenza. Per questo le pas-
sioni della carne e dell'amor proprio diven-
gono sciolte e libere, cioè indipendenti dalla
volontà, e ribelli alla ragione. Esse allettano
e trascinano la volontà a beni ed a piaceri
opposti al nostro fine soprannaturale, ossia
all'eterna salute, e con ciò lo tentano al pec-
cato. 2) Per esercizio di virtù ed acquisto di
meriti. Poiché il nostro fine è una felicità
eterna ed immensa, è ben giusto che noi, per
conseguire un sì gran bene cotanto superiore
(1) « Nemo cura tentatur, dicat quoniam a Deo
tentatur: Deus enim intentator malorum est ». (I, 13).
— 11 —
alla dignità, alla capacità, alle forze della
nostra natura, a noi non dovuto per nessun
titolo, anzi da noi demeritato, sosteniamo
combattimenti e trionfi, esercitiamo le cri-
stiane virtù e ci acquistiamo molti meriti, e
così ce ne rendiamo in qualche modo degni
e meritevoli. Disse però San Paolo: Non sarà
coronato se non chi avrà legittimamente com-
battuto. E San Bernardo: È necessario che
vengano le tentazioni; poiché chi otterrà la
corona della gloria, se non colui che avrà
legittimamente combattuto? Ma in che mo-
do si potrebbe combattere se mancasse chi
tenta? Ed il Santo Giobbe dichiarò fin dagli
antichissimi tempi, che la vita dell'uomo so-
pra la terra è una milizia: militia est vita
hominis super terram (VII, 1); significando
esser l'uomo posto in continua battaglia con-
tro i nemici spirituali.
Le anime pie sono spesso più tentate.
Non tutti sono ugualmente soggetti alle
tentazioni. Alcuni sono tentati poco e di ra-
do, altri molto e di frequente; ed alcuni
pressoché del continuo, e con grande violen-
za. Ora l'esser molto e di frequente tentato,
Jipende dalla maggior fragilità del naturale
o temperamento, dalla cattiva educazione, dal-
le abitudini viziose, dalle occasioni in cui uno
si trova, ciò permettendo Iddio nei suoi fini

12 Pages 111-120

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12.1 Page 111

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imperscrutabili. E le anime pie e divote che
attendono alla perfezione cristiana, sono as-
sai volte più dei mondani esposte agli assalti
delle tentazioni; anzi pare che per loro le
tentazioni siano necessarie. Disse perciò l'an-
gelo Raffaele a Tobia: Perchè tu eri caro a
Dio fu necessario che la tentazione ti pro-
vasse (1). Si potrebbe domandare: e perchè
mai le anime divote sono molte volte più espo-
ste a tentazioni? Ciò avviene per due ragioni:
1) Per l'odio speciale che il demonio ha con-
tro di loro. Poiché ben vede il nemico, che
tali anime per le loro virtù recano a Dio gran-
de gloria, e si rendono quasi sicure di salire
a quell'ineffabile felicità donde egli fu ban-
dito. Perciò, mosso da dispetto contro Dio,
e da invidia contro di esse, le odia e perse-
guita fieramente e sforzasi in tutti i modi
di indurle al peccato. Vuol così rubare a Dio
la gloria che ne riceve, e privare quelle ani-
me della felicità del cielo, e trarle con sè nel-
l'eterna infelicità. Per te poi in particolare,
che sei per abbracciare lo stato religioso,
non è a stupire che ti tenti ancora di più.
Sa il maligno, che se tu ora gli sfuggi dagli
artigli, e riesci a fare i santi voti, egli non
potrà più nulla su di te, forse per tutta la
vita, e sarai del Signore per tutta l'eternità;
perciò s'appresta a perseguitarti più di pri-
(1) « Quia acceptus eras Deo, necesse fuit ut tentatio
probaret te » (Tobia, X I I , 13).
ma, per ricondurti nel mondo e poi farti
suo. Non così s'adopera per tentare i pecca-
tori. Questi per la loro perversa volontà,
amando il peccato, lo commettono quasi sen-
za bisogno delle sue suggestioni, e perciò per
lui sono una preda già assicurata le ani-
me loro. 2) Per l'amore speciale che Dio loro
porta. Poiché Iddio amando queste anime,
che si elesse a sue spose, di un amor parti-
colare, permette loro molte e forti tentazio-
ni, affinchè dal combatterle e vincerle ne ri-
cavino beni e vantaggi, sia per la sua maggior
gloria, che per la loro maggior santificazione.
Onde dice lo Spirito Santo nell'Apocalisse:
< Io quelli che amo li riprendo e li casti-
go (1) ».
Buoni effetti delle tentazioni.
Tu pertanto devi persuaderti bene, che le
tentazioni per sè non sono d'impedimento a
camminare per la via della perfezione. Anzi,
se tu le combatti e le vinci, ti sono ancora
un gran mezzo ed aiuto per arrivare ad essa.
Potrebbero esserti di grande impedimento e
di rovina; ma solo quando tu loro acconsen-
tissi deliberatamente. Che poi le tentazioni
possano essere un gran mezzo per giungere
1) - Ego, quos amo, arguo et castigo» (Apoc.,
DI. 19).

12.2 Page 112

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— 214 —
alla perfezione cristiana, si ricava dal ve-
dere che da esse vengono all'anima gran-
dissimi beni e vantaggi. Questi ora desidero
metterti sott'occhio, affinchè conoscendo tu
il profitto grandissimo che dalle tentazioni
puoi ricavare, sì per la maggior gloria di
Dio come per il tuo spirituale avanzamento,
ti faccia animo e coraggio, e procuri di ri-
cavarne un tal profitto. Pertanto i beni prin-
cipali che ci provengono dalle tentazioni so
no i seguenti:
... 1° dànno gloria a Dio.
Col combattere e vincere le tentazioni si
dà gloria e gusto al Signore, provandogli così
il proprio amore e la propria fedeltà. Prima
che fossi stato tentato tu non potevi dire con
sicurezza che amavi molto e fortemente il
Signore, e che eri pronto a mortificarti, a vin-
cere te stesso, a far sacrifizi per amor suo.
È ben vero che lo dici quando fai la medita-
zione, quando vai alla comunione, o fai le
visite in chiesa; e lo dici anche di cuore; ma
non le parole mostrano e provano l'amore,
bensì i fatti; mentre quelle costano poco,
questi moltissimo! Ora in quali occasioni
proverai tu col fatto, che molto e fortemen-
te ami il Signore e che la tua fedeltà al suo
amore è irremovibile? Appunto nelle prove
e nelle tentazioni: cioè combattendo e vin-
— 1—
cendo tutte le tue passioni per non recargli
disgusto alcuno. Abramo, Giobbe, Tobia e
cento e mille altri molto amavano Iddio, e
fedelmente lo servivano. Ma come gli pro-
varono l'amor loro di fortissima tempra e
la loro invincibile fedeltà? Nelle tentazioni
e nelle prove in cui Dio li mise. Dunque dal-
le tentazioni viene questo gran bene, che con
esse l'anima prova a Dio il suo amore e la sua
fedeltà, e con ciò gli reca grandissima gloria
e piacere.
... 2° irrobustiscono la virtù.
Per le tentazioni uno si rende più forte
nelle cristiane virtù. Dice San Paolo: la vir-
tù si perfeziona nelle difficoltà (1). E San
Filippo Neri soggiungeva: « Quando Iddio
vuol concedere ad uno qualche virtù, per-
mette che questi sia travagliato dal vizio
contrario ». La virtù consiste in una facilità
e prontezza, ossia abitudine di fare il bene.
Ma di regola ordinaria essa non si acquista
se non dopo d'aver ripetuto spesso e per lun-
go tempo gli atti buoni e virtuosi; cioè si ac-
quista dopo lungo e continuo esercizio. E qui
avverti come soltanto di rado si farebbero
gli atti di virtù se mancasse l'occasione delle
tentazioni; come per esempio chi non è an-
(1) « Yirtus in inflrmitate perficitur » (II Cor.. XII, 9).

12.3 Page 113

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- 216 —
gustiato da tribolazioni poche volte farà atti
di conformità alla volontà divina. Dunque
senza le tentazioni l'anima, in via ordinaria,
non esercita le virtù, quindi non le acquista,
e molto meno si rende forte e si perfeziona
nelle medesime. Pertanto un'anima non pro-
vata da tentazioni, d'ordinario non avrà che
una bontà negativa, cioè non farà il male
perchè non è nell'occasione; e non sarà pun-
to fornita di virtù molto sode, nè quindi
sarà perfetta e santa. Capisci ora almeno
quanto bene ti fanno le tentazioni, dal mo-
mento che ti sono occasione per acquistar sode
e grandi virtù, e quindi per crescere in per-
fezione e santità.
... 3° aiutano l'umiltà.
Le tentazioni aiutano a mantenersi nell'u-
miltà. Dice lo Spirito Santo: chi non è stato
tentato che ne sa egli? (1) E ben può affer-
marsi, che riguardo a se stesso nulla sa, nulla
conosce: non la perversità del proprio na-
turale e la malizia del cuor suo, non la pro-
pria debolezza e miseria, non la propria di-
sposizione e capacità ad ogni male, poiché,
come può aver sperimentato tutto ciò, se la
tentazione non gli ha discoperta la propria
innata corruzione e fragilità? Sarà quindi
privo della cognizione pratica del proprio
( l ) . Qui non est tentati», quid scit? • (Ecrli., X X X I V , 9).
— 217 —
nulla, privo perciò di umiltà, e molto incli-
nato a superbia. Perchè San Pietro con tanta
sicurezza protestò al suo Divin Maestro,
ch'egli sentivasi la volontà e la forza di dar
la vita per lui? Perchè non essendo ancora
stato provato dalla tentazione, ignorava la
propria debolezza ed il proprio nulla. In se-
guito, quando, caduto nella tentazione ed am-
maestrato da essa conobbe la sua pochezza,
operò ben diversamente. Dunque le tentazio-
ni sono utilissime ai principianti nella vita
religiosa, affinchè acquistino la cognizione del
proprio nulla, ossia l'umiltà: ed alle anime
ricche già di virtù e di doni straordinari, af-
finchè non si elevino a vanagloria ed a stima
di se medesime, ma si mantengano in umil-
tà. Ed è questo un fine, per cui Iddio alle ani-
me sante e da lui singolarmente favorite per-
mette gravissime ed orribili tentazioni, come
le permise a San Paolo. Il santo apostolo,
come narra egli stesso, dopo che fu rapito
al terzo cielo, fu assalito da violentissime
tentazioni di senso, affinchè da queste fosse
tenuto nel sentimento umile e nel dispregio di
se medesimo. Onde dice egli stesso: Affinchè
la grandezza delle rivelazioni non mi ele-
vasse in superbia, mi è dato lo stimolo della
carne, quasi angelo di satana, che mi schiaf-
feggi (1).
(1) « Ne magnitudo revelationum extoliat me, datus
est mihi stimuius carnis meae, angelus satanae, qui
me colaphizet • (II Cor., XII, 7).

12.4 Page 114

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— 218
... 4° aiutano l'orazione.
Le tentazioni ci aiutano ad essere nell'ora-
zione più pronti, attenti e fervorosi, ed an-
che più perseveranti in essa. L'anima non
tentata, non conoscendo la propria miseria,
non avvertendo il pericolo di cadere in pec-
cato e di dannarsi, non ha tanti stimoli per
darsi all'orazione; quindi prega più poco e
più languidamente. Ma l'anima tentata, spe-
cialmente se è tentata molto e del continuo,
trema per il pericolo di peccare e di dannarsi.
Quindi spesso, la mattina e la sera, fra giorno
e lungo la notte, ricorre a Dio coli'orazione, e
prega con premura, con fervore, con istanza,
e si mortifica: prega con perseveranza per
mesi, per la vita intiera. Qual mezzo quindi
più efficace per condurre un'anima a prega-
re, quanto la tentazione?
... 5° distaccano dal mondo e dalla vita.
Le tentazioni ci distaccano dal mondo, dai
suoi beni e dai suoi piaceri, dalla vita stes-
sa. Non trovando noi pace in questa vita, an-
zi soltanto angustie e timori per vederci del
continuo tentati, e quindi in gran pericolo
di peccare e dannarci, concepiamo in cuore
avversione al mondo ed alla vita presente,
— 219 —
desiderio di giungere una buona volta alla
beatitudine e sicurezza della vita futura. E
così solo al cielo rivolgiamo i nostri desideri
ed i nostri affetti. Onde San Paolo, ripen-
sando alle gravissime tentazioni che soffriva,
si accendeva di vivissima brama della gloria
celeste, esclamando: Infelice me! chi mi li-
bererà da questo corpo di morte? (1). E poi
ripeteva: Bramo di sciogliermi da questi lac-
ci terreni, ed esser con Cristo (2).
... 6° arricchiscono l'anima.
Infine per le tentazioni un'anima si arric-
chisce di maggiori meriti, di grazia e di san-
tità in questa terra, e di gloria grandissima
in paradiso. Infatti pensa che ad ogni tenta-
zione che discacci, tu fai un atto buono so-
prannaturale col quale ti acquisti un merito.
Ad ogni merito corrisponde un aumento di
grazia santificante; e quindi quanto maggio-
ri meriti ti acquisti scacciando molte tenta-
zioni, tanto maggior grazia diffonde Iddio
nell'anima tua, e perciò tu vieppiù divente-
rai santo e caro al suo divino cospetto. Pen-
ti) « Infelix ego homo! quis me liberabit de cor-
pore mortis tmjus'ì » (Rom., VII, 24).
Fil(2ip) p«.,DeIs,id2e3r)i.um habens dissolvi et esse cum Cbristo »

12.5 Page 115

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— 220 —
sa poi che alla quantità dei meriti, alla copia
della grazia, al grado di santità corrisponde
proporzionata diminuzione di pene nel pur-
gatorio, e maggior grado di gloria in para-
diso. Per il che combattendo e superando
ogni giorno molte e violente tentazioni, con
ciò ogni giorno pratichi molti atti di virtù,
ogni giorno accumuli molti meriti: quindi di-
venti ognor più santo e caro agli occhi di
Dio, sconti su questa terra le pene del pur-
gatorio e in paradiso t'apparecchi tale una
gloria e beatitudine smisurata, qual certo
non otterresti se a molte tentazioni non fossi
soggetto.
Si può pregare d'esserne liberati.
Eccoti i grandi vantaggi che ci derivano
dalle tentazioni. Or tu mi dirai : « Se le ten-
tazioni producono tanti beni, perchè il Si-
gnore ci fa pregare d'esserne liberati, inse-
gnandoci a dire: Et ne nos inducas in ten-
tationem? Dovremmo al contrario desiderarle
e pregare il Signore che ce ne mandi molte
e terribili! » Ti rispondo subito, che facendoci
il Signore domandare di non essere indotti
nelle tentazioni non ci fa domandare di non
avere delle tentazioni, bensì di non lasciarci
cadere nelle tentazioni, ossia la grazia di aver
forza a vincerle. E poi devi capire di esser
— 1—
debole e fragile, e devi temere di non saper
superarle: Spiritus quidem promptus, caro
autem infirma; e perciò domanda al Signore
che non te ne mandi, se non vede che sei ca-
pace a superarle.
Condotta da tenersi nelle tentazioni.
Tu pertanto da giovane prudente, non
metterti mai da te nelle tentazioni, perchè
10 Spirito Santo ci ammaestra, che chi ama
11 pericolo perirà in esso. Ma nello stesso
tempo quando le tentazioni venissero, non
sconcertarti. Comincia dall'imprimerti nella
mente e nel cuore questa grande verità: che
il demonio può nulla senza la permissione di
Dio; e che Iddio permette le tentazioni solo
per addestrarti alle battaglie, e per purificar-
ti. Non affannarti, non darti pena. Piutto-
sto fissa bene nel tuo cuore che il Signore
non permette mai tentazioni superiori alle
nostre forze; che anzi, se noi facciamo il pos-
sibile, ne usciremo sempre con provento (1).
Perciò attendi bene ad alcune regole che
ti dò per non cadere negl'inganni del demo-
nio, negli scrupoli, nello scoraggiamento.
(1) « Non patletur vos tentari supra id quod po-
~*«tis: sed faciet etiam cum tentatione proventum »
I Cor., X, 13).

12.6 Page 116

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—2 —
Prevenire le tentazioni.
Oltre a quanto già ti dissi, di non dare
occasione e di non metterti mai da te nei pe-
ricoli e nelle tentazioni, bisogna attendere a
due cose: cioè a prevenire le tentazioni af-
finchè non vengano per tua causa; e venute
combatterle. Il modo di prevenirle, ci è chia-
ramente esposto dal Signore in principio dei-
la sua passione, là dove disse agli Apostoli
di vigilare e pregare per non essere tentati
(1). È necessaria pertanto grande vigilanza
su di noi, e molta preghiera. Quando poi la
tentazione è venuta, necessita un pronto ri-
corso a Dio, e pronta rimozione da noi, colla
mortificazione, di quanto potrebbe contribui-
re a dar ansa ad essa. Sì, sta' certo: con la
grande preghiera e con la vera mortificazio-
ne, vincerai ogni tentazione. Cerca di preve-
nire le tentazioni adoperando i loro contrari.
Perciò quando t'accorgessi d'esser propenso
alla superbia, procura di esercitarti in cose
abbiette, e cerca occasioni di umiliarti.
Quando ti sentissi inclinato a brutte passio-
ni, sappi mortificare gli occhi e la gola, an-
che più rigorosamente del solito; sappi stan-
carti bene sul lavoro, ed anche fare qualche al-
tra penitenza, e specialmente crescere la divo-
zione e l'uso delle giaculatorie. Quando ti
(1) «Vigilate, et orate, ut non Intretis in tenta-
tionem » (MATTEO, X X V I , 41).
— 223 —
mentissi proclive all'ira, sta' attento a repri-
mere i primi moti, fatti avvisare da qualche
compagno e metti in pratica quegli altri sug-
gerimenti che ti darà il direttore dell'anima
tua. San Francesco di Sales si metteva la ma-
no sul petto e diceva ripetutamente: «Cuor
mio, statti in pace ».
Distinguere tra tentazione e consenso.
Grande danno ricevono specie i princi-
pianti dalle tentazioni quando si lasciano so-
praffare da timore, da scrupolo, da scorag-
giamento. Per non lasciarti prendere da que-
sto dannosissimo scoraggiamento, ritieni che
regola generalissima ed infallibile nelle ten-
tazioni è: senza consenso non si pecca mai;
non è peccato se non è volontario. Il consenso
è un atto deliberato della volontà: quando la
volontà deliberatamente non acconsente, non
vi è di che temere. Per argomentare con pru-
denza, se uno abbia acconsentito, si dànno
tre norme:
a) Affinchè uno abbia avuto il vero e
pieno consenso bisogna che prima conosca
?d avverta pienamente il pensiero che l'a-
gita o lo alletta. Ogni qual volta ciò man-
chi, o non vi è per nulla il consenso, o que-
sto è imperfetto, e perciò certamente non vi
è il peccato mortale. Quindi qualunque pen-
siero o immagine impura, o contro la fede,

12.7 Page 117

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— 224 —
od altro, che come mosca insolente e noiosa
ti torni anche molto ripetutamente alla fan-
tasia, ma che tu cerchi energicamente di scac-
ciare, non è mai peccato. Che se usassi qual-
che negligenza nel discacciarla, allora po-
trebbe esserci peccato veniale di negligenza,
però non mortale.
b) Allora uno acconsente davvero, quan-
do, avvertendo prima pienamente il pensie-
ro, non lo discaccia, non resiste, nè dissente
punto da esso; anzi lo ama, e se le circostan-
ze lo permettessero vorrebbe eseguire quan-
to ha escogitato. Il resistere poi non consi-
ste, come alcuni fanno, nello scuotere il capo,
o come che sia in agitazioni del corpo, e nep-
pure nello sgomentarsi, nell'affliggersi e tri-
bolarsi; ma in una interna negazione riso-
luta. Lascia pure che il demonio, come mo-
scone, continui a sussurrare quanto gli piace,
o come cane arrabbiato continui ad abbaiare
a suo piacimento: tutto questo non forma
peccato se in te non vi è l'atto positivo della
volontà che consenta. Ben dice il nostro caro
titolare San Francesco di Sales: «Lasciate
che il demonio bussi alla porta del cuore
quanto vuole: se busserà è buon segno; vuol
dire che certamente non gli avete ancora
aperta la porta, ed egli non è ancora entra-
to ».
c) Affinchè poi l'uomo tentato giunga a
peccare mortalmente è necessario che la vo-
lontà, accecata dall'appetito sensitivo, presti
i ! consenso elettivamente, e quindi il tentato
dica nel suo cuore: voglio far la tal cosa, che
so esser peccato. Finché non si è arrivati a
questo punto, ed a questo spero che tu non
arriverai assolutamente mai, non vi è certa-
mente il peccato mortale.
d) Si richiede inoltre, affinchè il peccato
sia mortale, che si tratti di materia grave.
Poiché se tu per esempio avverti benissimo
un pensiero di negligenza nei tuoi doveri
scolastici, e deliberatissimamente acconsenti,
e non fai quel dovere, il peccato resta venia-
le, perchè si tratta di materia leggera. Fàtti
pertanto coraggio. Iddio che ti vuole bene, e
che nell'infinita sua bontà ti ha chiamato a
servirlo più da vicino, ti darà grazia a rica-
vare ancora vantaggio dalle tentazioni; ma
vuole che tu assolutamente non dia nessuna
occasione volontaria alla tentazione, e che
quando la tentazione vi fosse, tu faccia
quanto dipende da te, per non lasciarti vin-
cere da essa, praticando le cose che sopra ti
ho esposte.
CAPO XVIII
LE TENTAZIONI DEL NOVIZIATO
Ecco ora le tentazioni con le quali, secon-
do Sant'Alfonso, gran maestro in questa ma-
teria, più ordinariamente il demonio suol ten-

12.8 Page 118

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tare i novizi; e colle quali potrebbe tentare
anche te. Sta' attento, poiché il conoscere le
insidie del demonio è già gran cosa; che se
prenderai i rimedi che contro le medesime
ti suggerisco, riuscirai per certo vincitore, ed
il Signore, dopo di averti purificato con quel-
le, ti darà grazie ancora maggiori.
1. Affezione disordinata ai parenti.
La prima tentazione è l'affezione disordi-
nata ai parenti. Sant'Alfonso ricorda gran
numero di fini tragiche avvenute a vari reli-
giosi, che abbandonarono la vocazione per
assecondare il naturale attacco verso i pa-
renti. Don Bosco ci ripeteva ad ogni piè so-
spinto le medesime cose, e ci raccontò (e mol-
ti li abbiamo visti coi nostri occhi medesimi),
i modi terribili con cui il Signore volle pu-
nire alcuni che, per aiutare i parenti, usciro-
no dalla congregazione. Poni mente ai begli
ammaestramenti che dà Sant'Alfonso in pro-
posito: «Sta' sopra te stesso; considera che
se i parenti ti amano da molti anni e con
tenerezza, Dio ti amò ben prima di loro e
con tenerezza ben più grande. Non son più
che quindici, venti o trentanni che i parenti
ti amano; Dio ti ama da tutta l'eternità: in
charitate perpetua dilexi te. 1 tuoi parenti
hanno per certo fatto qualche spesa e sop-
portato qualche incomodo per te; ma Gesù
Cristo ha sacrificato per te tutto il suo san-
gue e la sua vita. Così, quando tu proverai
qualche sentimento affettuoso pei tuoi pa-
renti, e ti sembra che la riconoscenza richie-
da di non far loro dispiacere, ricordati che
tu devi esser ben più riconoscente verso Id-
dio, perchè più di tutti egli ti ha amato e
favorito. Di' allora a te stesso : « Se io ab-
bandono i miei cari parenti, li abbandono
per Iddio, che merita ben più di loro». In
questo modo tu vincerai questa terribile ten-
tazione dell'eccessivo amore verso i parenti,
tentazione che per un gran numero di reli-
giosi fu causa precipua di rovina in questa
e nell'altra vita.
Un nostro buon ascritto, entrato da noi
contro il parere dei genitori fu visitato da un
amico il quale venne a dirgli, che se egli per-
sisteva nella presa risoluzione, sua mamma
sarebbe morta di disgusto. Il buon ascritto
rispose: «Spero che questo non avverrà; mia
mamma è una buona cristiana, e, superato
il colpo momentaneo, saprà offrire tutto al
Signore e si farà dei meriti. D'altronde sap-
pi, che il Divin Salvatore non è disceso dal-
la croce per risparmiare a sua madre i do-
lori, che acerbissimi le causava la sua pas-
sione! Ed io farò lo stesso; resterò sulla Cro-
ce che abbracciai, poiché Gesù disse chiaro:
Chi ama suo padre o sua madre più di me

12.9 Page 119

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— 228 —
non è degno di me (1) ». Così rispondeva egli,
ed occorrendo sappi anche tu persuaderti coi
medesimi argomenti e dire altrettanto, e per-
severerai tranquillo nella tua vocazione.
2. Timori della salute.
Un'altra grande tentazione per vari novizi
è il timore di rovinarsi la sanità, e poi non
essere più buoni nè per sè, nè per la società.
Devi rigettare questa tentazione, colla consi-
derazione che il Signore, il quale ti diede
la vocazione, ti darà ugualmente la sanità
necessaria per seguirla. Ordinariamente la
vita regolata della congregazione giova an-
che alla sanità, ed allunga gli anni. Che se
davvero ti nuocesse un poco e t'abbreviasse
la vita, che farci? In fin dei conti tu non sei
entrato in congregazione se non per piacere
a Dio, e perciò devi rassegnarti e ragionare
teco stesso così: io non ho nascosto e non
nascondo lo stato di mia salute ai superiori;
essi mi ricevettero nello stato di salute in cui
sono, e non mi rinviano; è dunque volontà
di Dio che io resti qui. E se tale è la volon-
tà di Dio, dovessi io pure soffrirne e morirne,
che m'importa? Quanti anacoreti non hanno
(1) « Qui amat patrem aut matrem plus quam
m e , n o n e s t m e d i g n u s » (MATTEO, X , 37).
sofferto di più nelle grotte e nelle foreste!
Quanti martiri non diedero la vita per Gesù!
Se dunque anche dovessi morire, meglio per
te morire qui dove Dio ti ha chiamato, e
dove hai tanti pegni di fare una santa morte,
che uscire e metterti in pericolo di morire
poi in disgrazia di Dio. Che se i superiori
vedessero che la sanità è un assoluto impe-
dimento per abbracciare definitivamente que-
sto istituto, e te lo dicessero, e ti licenziasse-
ro, allora farai come essi ti diranno, sicuro
di fare anche in ciò la volontà di Dio.
Ma, credilo pure: generalmente il timore
di non poter resistere per sanità, è una tenta-
zione. Mettiti nelle mani di Dio, non teme-
re, e tutto finirà bene.
5. Gl'incomodi della vita comune, sono pu-
re uno spauracchio per alcuni.
Quando fossi mai assalito da questa ten-
tazione, cerca d'imitare San Bernardo, il qua-
le di tanto in tanto domandava a se stesso:
Perchè sei venuto in religione? Bernarde, ad
quid venisti? Allora ti ricorderai che sei ve-
nuto nella società non per condurre una vita
comoda, ma per farti santo. E come perverrai
a santificarti? Forse cercando le tue como-
dità ed i tuoi piaceri? Oh no, ma soffrendo
morendo a tutti gli appetiti sensuali. San-

12.10 Page 120

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— 230 -
ta Teresa diceva: « È un errore il credere
che il Signore ammetta alla sua amicizia le
persone che cercano i loro comodi. Le anime
che amano veramente Iddio, non cercano mai
riposo. Così chi non è ben risoluto a soffrire,
ed a soffrire qualunque cosa, non si farà mai
santo ». Il caro nostro confratello Don An-
drea Beltrami provava tale piacere, quando
aveva qualche contrarietà o qualche dolore
fisico, che si vedeva raggiante fino all'este-
riore. E quando più incrudivano i patimen-
ti, egli ancora soggiungeva: «Di più, Signo-
re, di più; e degnatevi di prolungare in me
questi patimenti fino al dì del giudizio uni-
versale, purché per mezzo di questa sofferen-
za possa santificarmi meglio ». Offriva poi
tutto per la conversione dei poveri peccatori,
per gli agonizzanti, e in suffragio delle anime
sante del purgatorio. Così nei suoi immen-
si dolori era sempre allegro e desideroso di
soffrire di più. Ma qui occorre che faccia an-
cora un'altra considerazione: credi tu che se
fossi altrove avresti meno da soffrire? Que-
sto è un inganno: fuori avresti tribolazioni
anche più gravi. È un errore il credere che
fuori si soffrirebbe meno! Un ammalato cer-
ca di cambiare posizione nella speranza di
trovare sollievo; ma poco dopo sta peggio di
prima, perchè il male lo porta con sè. E se-
gno che tu sei ben ammalato di spirito, se
credi di aver bisogno di cambiare, per non
avere incomodità da soffrire! Resisti, e alme-
— 231 —
no questi pochi patimenti che soffrirai ti ser-
viranno di merito: se no soffrirai anche di
più, ma senza merito.
4. Mancanza di confidenza nel superiore.
È questa una prova veramente dura. Si
trova tanta consolazione quando ci si può
aprire completamente col proprio superiore!
Che fortuna il trovare un cuore che com-
prenda il nostro, e nel quale possiamo river-
sare tutte le nostre pene! Ma persuaditi es-
ser il demonio che vuol riuscire a farti crede-
re, che coloro i quali ti guidano son prevenu-
ti contro di te, che essi non ti amano, che
non ti credono. Tu trionferai di questa tenta-
zione, se comprenderai, che non dipende se
non da te l'aver confidenza nei tuoi superiori.
Xon hai che da fare uno sforzo un po' ener-
gico sopra te stesso! Qual superiore non re-
sterà tocco dalla semplicità, dalla rettitudine
colla quale tu gli esprimerai le tue miserie?
E più queste miserie saran grandi, più la sua
commiserazione verso di te si farà vedere.
Non è forse questo il sentimento che tu stes-
so provi verso chiunque si aprisse in questo
modo a te? D'altronde, non vi è forse ordi-
nariamente qualche altro superiore cui aprir-
ti? Ma più che tutto, non vi è forse sempre
e a tutte 1' ore nel tabernacolo Gesù che ti
attende? Il nostro non mai abbastanza ricor-
9

13 Pages 121-130

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13.1 Page 121

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—2 —
dato Don Beltrami, tanto amante del Sacro
Cuore di Gesù, diceva: «Una comunione,
mezz'ora di orazione avanti al SS. Sacra-
mento, consolano di tutto; quando si può pre-
gare e fare la comunione, non v'è nulla di
cui potersi lagnare ». Ascolta bene questa mia
esortazione: fatti coraggio e va' avanti. Quel
che oggi ti sembra una trave, vedrai che è
una festuca. Vinci te stesso, apriti bene
ugualmente e ne sarai contento. Anzi tieni
questo come una grazia del Signore, che ti
pone in condizioni di farti maggiori meriti.
Proponiti anche di preferire sempre e di ama-
re teneramente quei superiori che ti tengono
alle strette, e che ti sgridano per ogni più
piccola cosa. Questo loro modo di agire ti
farà progredire grandemente, se saprai ser-
virtene bene. Le medicine sono ordinariamen-
te amare, eppure sono esse che arrecano la
guarigione.
5- Scoraggiamenti.
Un'altra tentazione propria specialmente
dei principianti di buona volontà, è il sen-
tirsi aridi nelle cose di spirito, dal che nasce
lo scoraggiamento, ed il timore di non riusci-
re a vincere i propri difetti. Oh com'è terri-
bile questa tentazione, specialmente per certe
animucce timorose e facili a sconcertarsi! Per
— 233 —
vincerla è da capir bene, che noi da noi sia-
mo capaci a nulla; e che certo se la riusci-
ta dovesse dipendere da noi non ci riuscirem-
mo; ma la riuscita dipende dal Signore il
quale, avendoci data la vocazione, ci darà i
mezzi per vincere i nostri difetti, per renderci
degni della medesima. D'altronde il Signore
non ha bisogno del fervore sensibile nostro
per farci progredire! Anzi le aridità sono
mezzi che egli adopera con le anime che più
ama, e che vuole far progredire di più. Devi
poi pensare che la terra è il luogo dove ab-
biamo da farci dei meriti, e non dove si pos-
sa vivere felici! La vera felicità non consiste
nei beni del mondo, nè nelle consolazioni spi-
rituali, ma unicamente nella conformità alla
volontà di Dio. Oh com'è cara a Dio un'ani-
ma fedele, che fa le sue preghiere, la sua me-
ditazione, le sue comunioni e tutte le altre
pratiche senza consolazione, solo per piacere
a Lui! Qual merito hanno le opere buone,
quand'esse son fatte senza ricompensa su que-
sta terra! San Francesco di Sales scriveva un
giorno ad un'anima desolata: «Portar la cro-
ce con Gesù senza consolazione, ecco ciò che
fa correre, anzi volare le anime alla perfe-
zione. Quando pertanto tu ti trovassi nello
stato d'aridità e di scoraggiamento, invece di
penarti, dirai al Signore: voi volete tenermi in
questo stato di perturbazione, in questa pri-
vazione d'ogni sollievo, io voglio restarvi
quanto tempo a voi piacerà. Io non voglio ab-

13.2 Page 122

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— 234 —
bandonarvi; eccomi pronto a soffrire queste
pene ed altre maggiori che vogliate mandar-
mi, per tutta la vita e fino al giorno dell'uni-
versale giudizio, se voi lo volete. Mi basta
sapere che così piace a voi, e so che voi fini-
rete per darmi la grazia di vincere i miei
difetti ed essere tutto vostro: in voi confido».
Per altro, ritieni pure, che è il padre della
menzogna quegli che cerca farti credere che
questo stato durerà sempre! Il Signore dopo
la tempesta fa risottentrare la calma; e dopo
le lagrime ed i sospiri, sparge la più pura al-
legrezza.
6. Il dubbio della vocazione.
Il dubbio della vocazione è la tentazione
più terribile che possa incoglierti. Vedi a
questo riguardo quanto dice Don Bosco nel-
la prefazione delle regole. Figurati, rileggen-
do quel capitolo, che il buon padre ti cono-
sca, ti ami, ti veda e che rivolga quelle pa-
role direttamente a te. E di più considera
che dal momento che il Signore ti diede l'i-
spirazione di farti ascrivere alla congrega-
zione, non hai impedimenti, i superiori ti am-
misero, e d'altronde hai l'intenzione retta, tu
devi camminare avanti con tutta sicurezza.
Riconosci che è tentazione e non badarci. È
chiaro che il demonio, vedendo che tu sei Der
235 —
isfuggirgli dalle unghie, mette in opera tutti
i mezzi possibili ed immaginabili per non
lasciarti scappare. Ma tu dàgli delle basto-
nate, rompigli le corna, con lo star costante
nel luogo dove Iddio ti ha messo.
Un punto importante per vincere questa
tentazione consiste nel troncare gli indugi e
le tergiversazioni, e dire risolutamente tra te:
O dubbi o non dubbi, vedo che qui mi posso
più facilmente far santo, e qui mi decido
irremissibilmente di rimanere. Se ho da mo-
rire morrò, se ho da penare penerò; tanto
morrei e penerei anche altrove! È meglio che
peni e che muoia qui nella casa del Signore ».
Dànno gran forza alla tentazione le tergiver-
sazioni e le instabilità della mente; e per-
ciò bisogna troncarle subito. Conferma per-
tanto totalmente il tuo cuore nel santo pro-
posito della perseveranza. È ottima cosa, con
la divina grazia rendere stabile il proprio
cuore (1). E per confermarti sempre più, pen-
sa a quanti di ogni età e di ogni condizione
hanno potuto e possono fare quanto tu ora
temi di non riuscire a fare.
Ma essi poterono perchè pregarono: prega
anche tu e potrai anche tu. Tieni sempre a
mente quel che l'Apostolo dice ai Tessaloni-
cesi, che cioè Iddio il quale vi ha dato la
vocazione è fedele, tiene la parola, e come
ha cominciato l'opera così la finirà.
(1) • Optimum est enim, gratia stabilire cor ».

13.3 Page 123

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— 236 —
?. Esser liberi di darsi alla divozione.
L'idea che nel mondo si era più liberi per
darsi alla divozione e alle opere buone è una
tentazione che non è da tutti; ma potrebbe
essere per qualcuno che prima di entrare in
congregazione già faceva molte pratiche di
pietà e persino delle penitenze e tante opere
buone. Che sproposito è mai questo! esclama
qui Sant'Alfonso. Un novizio, che presta orec-
chio ad una simile tentazione, mostra di
ignorare affatto la grandezza del merito del-
l'obbedienza. Ricordati che tutto ciò che fai
con la comunità è orazione. Ora colui che
offre a Dio delle preghiere, delle limosine,
dei digiuni, delle penitenze, gli dona una par-
te di quanto ha o gli dona anche quanto ha;
ma non gli dona se stesso. Al contrario chi
rinunzia alla sua propria volontà col voto
d'ubbidienza, dona tutto se stesso intiera-
mente a Dio, in modo che può dirgli: «Si-
gnore, avendovi consacrata tutta la mia vo-
lontà e tutto il mio cuore, non ho più altro
da darvi ». Il merito di costui è immensamen-
te maggiore. Inoltre esso è continuo, poiché
tutto quello che si fa in congregazione è me-
rito. Perciò uno si fa merito non solo quando
prega o digiuna; ma anche quando studia o
fa ricreazione, o si nutre, o si riposa. San
Luigi Gonzaga diceva che « nel battello dello
stato religioso anche colui che non remiga
si avanza quanto gli altri ».
—3—
8. Fare maggior bene.
È pure suggerimento del demonio l'idea che
uno farebbe maggior bene al prossimo nel
proprio paese. Quando fossi preso da questa
tentazione, devi prima di tutto riflettere, che
il più gran bene che noi possiamo fare, è
quello che il Signore vuole da noi. Dio non
ha bisogno di nessuno; e se vuole che un
maggior soccorso sia dato al tuo paese, egli
può agevolmente procurarlo con altri mezzi.
Così, caro mio figliuolo, avendoti Dio chia-
mato a farti figlio di Don Bosco, il bene che
egli vuole da te si è che tu attenda seria-
mente ad eseguire le tue regole, ed a fare
quanto i tuoi superiori ti comandano. E poi,
qual bene si può fare nel proprio paese?
Gesù Cristo stesso, invitato a predicare ed a
fare del bene nel suo paese, rispose: « Nes-
sun profeta è accetto nella sua patria (1) ». È
questo un grande inganno del demonio per
farti rinnegare la vocazione. Quando poi fos-
si nel tuo paese per fare del bene, egli ti
metterà tali intoppi e farà sorgere tante dif-
ficoltà, che non solo non potrai fare il bene
che ti eri proposto ma ne avrai ancora danno
all'anima tua.
(1) « Nemo propheta acceptus est in patria sua »
XFCA, IV, 24).

13.4 Page 124

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—2 —
9. Bisogno di penitenza.
L'ultima tentazione contro cui intendo
premunirti, mio buon ascritto, è questa: Il
demonio può suscitarti nel cuore, che aven-
do tu commessi molti peccati, ed avendo tu
molte cattive inclinazioni, ti senti necessità
di far maggior penitenza che non si faccia
tra noi, e quindi la voglia d'entrare in un
istituto di vita più rigorosa. A primo aspet-
to questo pensiero pare una buona ispira-
zione; ma Don Bosco assicura che essa è
pretta tentazione. Il demonio non cerca altro
che di turbarti, e di farti perdere il bene che
presentemente possiedi. Quando tu fossi
uscito, egli cercherebbe ogni modo per non
lasciarti entrare in un altro luogo; e per lo
più vi riesce. Poi Iddio vuole da te questo
bene, e non altro: la prima vocazione è sem-
pre la migliore. E se tu vuoi fare penitenza,
osserva le regole e lavora quanto i superiori
ti indicano. Don Bosco disse chiaro che in
nessun luogo si può far più penitenza che
tra noi, non avendo 1111 momento libero per
noi medesimi, sacrificandoci totalmente a be-
ne dei giovani.
Quando è bene cambiare istituto.
Sai quando il pensiero di mutar congre
gazione può esser buono? Quando i superiori
— 239 —
per le tue inclinazioni e cadute, vedessero che
il vivere in mezzo ai giovani ti è troppo pe-
ricoloso, non essendo capace e costante nel
prendere i mezzi che ripetutamente già ti
suggerirono, e volessero licenziarti per que-
sto dalla congregazione. Allora si che con
santo coraggio dovresti dire: son pronto a
tutto, ma non voglio ritornare a quel mondo,
che ho trovato tante volte traditore; vado an-
che a seppellirmi, se occorresse, in un deser-
to, ma non voglio dare indietro dallo stato
religioso; essendo per me troppo pericoloso il
trattare coi giovani, andrò a nascondermi
111 un chiostro di vita contemplativa e peni-
tente, ma al secolo non voglio tornare! In
questo caso certamente questo coraggio ti
sarà computato a gran merito, ed il Signore
ti darebbe forza a sostenere qualunque vita
austera che fossi per intraprendere. Fuori
di questo caso, tieni sempre per tentazione
del demonio il pensiero dell'uscita dalla con-
gregazione sotto aspetto di vita più perfetta.
Mezzi per sventare la tentazione.
Queste sono le tentazioni che potrebbero
più facilmente venire a conturbarti nel tem-
po del tuo noviziato: ed ora ecco i tre gran-
ii mezzi che il medesimo Sant'Alfonso ti con-

13.5 Page 125

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— 24 —
siglia, per sventare tutte queste e qualunque
altra tentazione:
a) evita con gran cura di cader in falli
pienamente volontari, sebbene piccoli, e spe-
cialmente nei peccati d'orgoglio, perchè Id-
dio resiste ai superbi e le sue grazie le dà agli
umili (1);
b) scopri subito la tentazione ai superiori:
niente ti gioverà meglio di questa apertura
fdiale verso chi ha l'incarico di guidarti;
c) prega molto e con perseveranza; non
già per poter conoscere la volontà di Dio,
poiché già la conosci, o ti vien significata
per bocca del superiore; ma perchè Iddio ti
dia la forza di fare ciò che conosci dover
fare, e ciò che ti suggeriscono i superiori.
Rafferma, o Signore, ciò che operasti in noi
(2). Fa' questo e sarai costante, ed il Signore
sarà con te, ed anche ti eleggerà ad essere
la salute di altre anime. Tre altre cose ti
aiuteranno ancora assai a vincere qualunque
tentazione, e sono queste:
1) Con animo gagliardo e subito, senza
alcun ritardo, fa' resistenza ai princìpi delle
tentazioni e dei cattivi pensieri.
2) Non fidarti di te solo. Ricorri subito
non solo all'aiuto del tuo confessore e del tuo
(1) «Deus superbis resistit; humilibus autem dat
gratiam » (J Petr., V, 5).
(2) « Confirma hoc, Deus, quod operatus es in
nobis ».
— 241 —
maestro; ma, occorrendo, anche a quello di
quegli altri superiori e compagni che siano
tenuti come più avanti nelle vie dello spirito,
affinchè la debolezza tua, con l'aiuto di mol-
ti, sia sostenuta. Dice il Savio che un fratel-
lo aiutato da un altro fratello è come una forte
e sicura città che non si può espugnare (1).
Invece chi non si azzarda di scoprire ai su-
periori la sua piaga, costui per la sua negli-
genza e per la sua superbia meritamente pe-
risce.
3) Giova anche a vincere le tentazioni
cambiare posizione, cambiar occupazione,
cambiar luogo; poiché molte volte mentre si
cambia luogo, si muta anche l'affetto. Ma
per conclusione di quanto si disse fin qui è
da tenere, che il più sta nel confidare tutto
in sua Divina Maestà. Essendosi egli degnato
di cavarti dalla fornace di Babilonia, cioè
dalle ardenti fiamme dei vizi, e dal mondo
maligno e corrompitore, voglia anche condur-
re a fine quel bene che ha in te incominciato.
La frequente e fervente orazione distrugge
ogni male; nè mai osano i demoni appros-
simarsi a chi ferventemente prega, siccome
in un vaso che con buon fuoco bolle non ca-
dono le mosche, le quali neppur osano ac-
costarsi.
(1) « Frater qui adiuvatur a fratre, quasi civitas
firma » (Prov., X V I I I , 19).

13.6 Page 126

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— 242 —
CAPO XIX
DIFETTI PRINCIPALI DA CORREGGERSI
NEL NOVIZIATO
I difetti che si portano dal mondo, ad
estirpare i quali bisogna con forza lavorare
nel noviziato, sono di tre sorta: di spirito, di
cuore, di corpo.
Ti nominerò i principali, indicandoti an-
che il modo più pratico di correggerli. Scruta
profondamente te stesso per conoscerli, e
proponiti di estirparli. Che se ne trovassi
molti e molto radicati, non scoraggiarti, ma
umiliati avanti al Signore, domandandone a
lui la forza; egli non ti lascerà certamente
inesaudito. Però te ne prego, non far assolu-
tamente pace con questi difetti; anzi muovi
loro una guerra senza tregua, finché siano af-
fatto scomparsi.
I. DIFETTI DI SPIRITO...
i. Orgoglio.
Tra i difetti di spirito, il primo, il più
comune, il più dannoso, il più importante a
correggersi, è l'orgoglio, che con una tenacia
—3
diabolica cerca di ingerirsi in tutti i pensieri
ed in tutte le azioni. Alle volte si nasconde,
sembra morto, ma risuscita. Se tu non cerchi
di distruggerlo nel noviziato, e di sradicarlo
fino all'ultima barbatella, quanto danno ti
porterà in appresso! L'orgoglio porta a pre-
ferirti agli altri, a farti credere superiore agli
altri, a stimarti come avente miglior inge-
gno o maggior abilità degli altri, a crederti
più esatto, più virtuoso, più fervoroso, più
meritevole degli altri, e quindi a parlare as-
sai volentieri di te ed a mostrarti a tutti su-
periore. L'orgoglio ti porta ad esaminare gli
altri, perfino i superiori, e ti conduce poco
per volta fino al segno da farti credere
che molti punti della regola avrebbero bi-
sogno di riforma; che in congregazione non
vi è lo spirito che vi era una volta, che il
medesimo maestro od il direttore dovrebbero
essere più fatti nel tal modo che nel tal al-
tro, avere piuttosto le tali qualità che le tali
altre. T'insinua pensieri di indipendenza, di
sprezzo delle piccole cose, e specialmente ti
disgusta delle correzioni. Ti fa venire il de-
siderio d'esser veduto nelle cose buone, di
non voler che si sappiano le cattive; ti fa ve-
nir pena nel domandare i dovuti permessi,
e prendere qualche libertà non compatibile
colla regola. Alle volte poi porta fino al pun-
to di far dare risposte brusche ed anche im-
pertinenti ai superiori, o almeno alla diminu-
zione di quella deferenza e soggezione che loro

13.7 Page 127

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— 244 —
sempre si deve. Coraggio; è qui il nemico
più acerrimo da combattere tutti i giorni. È
un serpe così maligno che tenta perfino di
sedurti con smaglianti colori; se tu non te ne
guardi, se anzi non ti dài gran cura di di-
sfartene, il suo veleno ti riuscirà fatale.
2. Leggerezza.
Il secondo difetto di spirito è la leggerez-
za, che nuoce immensamente ad ogni pro-
gresso nella virtù. Il leggero prima di tutto
dimentica subito le raccomandazioni che si
ricevono, le risoluzioni che si prendono, le
promesse che si fanno. Il leggero è verboso
e nelle ricreazioni trasmoda e stordisce tut-
ti, nei tempi di silenzio si dimentica con tutta
facilità di osservare questo punto della re-
gola. Egli è distratto, incapace a star fisso in
una meditazione, neppure ad una lettura:
scambia un comando con un altro; fa le co-
se fuor di tempo. Il leggero è specialmente in-
costante: egli tutti i momenti sente bisogno
di cambiar posto, cambiar occupazione. È
incapace d'intraprendere lavori seri: comincia
un libro e non lo finisce, e negli studi seri si
annoia. Sebbene la leggerezza per sè non
sembri un difetto così grave, esso è gravis-
simo oltre ogni dire, perchè è fonte di mille
altri difetti, e impedisce di correggersi di
quelli che si hanno. Coraggio adunque: pre-
— 245 —
sto, emendati mentre sei giovane; chè altri-
menti non arriverai mai a liberartene. Tre
sono i rimedi principali oltre la preghiera e
la docilità al maestro: Grandi sforzi per far
bene la meditazione, seri esami di coscienza,
forti studi ed occupazioni costanti.
3. Mondanità.
Il terzo gravissimo difetto cui devi far
implacabile guerra, si è lo spirito mondano
o secolaresco. Consiste questo nel conservare
nel noviziato i costumi, le abitudini, le idee,
le maniere di vedere e di giudicare, che si
avevano nel secolo. Il mondano non ama le
funzioni e le cerimonie ecclesiastiche, il can-
to gregoriano che è il canto proprio della
Chiesa. Per lui il servire la messa è cosa
volgare, e quando la serve lo fa distratta-
mente e in modo alterato. Egli piuttosto di
discorsi ascetici o di circoli di pietà, parla
volentieri di ciò che faceva o riceveva, delle
feste profane a cui interveniva. Parla volen-
tieri di cavalli, di cacce, di soldati e cerca di
sapere con avidità le cose politiche e le no-
tizie del mondo. Si riconosce poi anche lo
spirito mondano in tutto l'esteriore di quel
giovane, poiché egli non si accomuna nè si
adatta a tutti; cerca di comparire, di avere
abiti e calzature migliori, capelli acconciati

13.8 Page 128

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— 246 —
ricercatamente; e persino nei modi di cam-
minare e di parlare è affettato.
Questo spirito, se non è reciso completa-
mente fin da principio, ripullulerà più avanti
con gran danno dell'anima tua, e danno del-
la comunità. Qui è da capir bene lo spirito
religioso, lo spirito di abnegazione, lo spirito
di sacrificio. Noi dobbiamo cercare unica-
mente di piacere a Dio, e non al mondo, o
a noi stessi. Reprimiti energicamente appena
ti viene la voglia di comparire; mortificati bene
quando ti vien Voglia di parlare, o d'udire a
raccontare cose del mondo. Quanto più pro-
pendi a questo spirito, tanto più mortificati e
vedrai che in breve perderai il gusto mon-
dano e persino ne proverai noia. Vincendo
questo, potrai pure vincere il rispetto uma-
no, che ne suole provenire, e t'informerai
così ad uno spirito tutto del Signore.
4. Singolarità.
Altro gran difetto è lo spirito di singola-
rità. Consiste nel tendere a non fare ciò che
fanno gli altri, ed a fare ciò che gli altri
non fanno; ma specialmente nel voler fare
le cose in modo diverso dagli altri, o in tem-
po diverso, o volerle fare per più lungo tem-
po. Altre volte questo spirito si manifesta
mostrando un'aria malinconica nei giorni di
gioia generale, o aria spigliata ed allegra
— 247 —
nei giorni di generale afflizione, per qualche
disgrazia avvenuta od in mille altri simili
casi. Persino è difettoso questo nelle pratiche
di pietà, come quando si vuol pregare più
che gli altri contro l'avviso del superiore, o
nell'avere divozioni speciali, non raccomandate
nel noviziato, o nel fare mortificazioni in più
o in modo diverso da quanto fanno gli altri.
Esaminati bene se hai questo difetto; se ti
accorgi di averlo, bisogna che perseguiti an-
che questo in ogni luogo, ed in ogni modo.
Si richiede molta pazienza e fermezza per re-
primerlo; ma sappi che è uno dei difetti che
più direttamente si oppongono alla vita reli-
giosa. Don Bosco ripetutamente ci racco-
mandava di fare come le api che tutte si aiu-
tano, ma tutte sempre a modo (1). Attento
che lo spirito di singolarità è basato sulla
superbia; perciò fa sforzi straordinari per
renderti umile.
5. Buffonerie.
Anche lo spirito beffardo, di metter cioè
tutto in ridicolo e di ridersi di tutto, di bur-
larsi di tutto, è difetto grave e grandemente
nocivo, che impedisce l'azione della grazia
in chi ne è dominato. Questo difetto è uno
(1) Omnibus una quies, operum labor omnibus
unus (Georg., lib. IV, v. 184).

13.9 Page 129

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— 248 —
dei più opposti alla vita religiosa, sebbene a
prima vista esso sembri piacevole. L'allegria
è buona e raccomandata; ma essa va eserci-
tata nel modo vero. Ridere su ogni piccolo in-
cidente, ad ogni piccolo errore che sfugge a
chi legge, deridere i compagni o per difetti
fisici, o per difetti d'intelligenza, o per di-
fetti morali, o anche fantastici, e il farli ri-
levare agli altri, non è più allegria ma man-
canza di carità. Lo scimmiottare poi certi mo-
di dei superiori, contraffare la loro voce, i
loro gesti, i loro modi di esprimersi, e così
metterli in ridicolo, è assolutamente irrive-
renza, sfacciataggine ed arroganza. Questo
modo di fare distrugge la carità, si comuni-
ca con grande rapidità a tutti gli altri, fe-
risce spesso profondamente le persone che ne
sono l'oggetto, e qualche volta induce perfino
qualche confratello ad abbandonare quella
casa e quella congregazione dove si vede umi-
liato. San Basilio conobbe il pessimo uomo
che sarebbe divenuto un giovane suo compa-
gno studente alla università di Atene, dal ve-
derlo mettere tutto in burla, e disse: che
mostro nutre l'impero! E il giovane diventò
Giuliano l'Apostata. Se tu riconoscessi in te
questo difetto, combattilo specialmente colla
meditazione seria della passione di Gesù, e
con domandare speciali umiliazioni ogni vol-
ta che ti capita di mettere in burla qualcuno,
per avere così un mezzo di stare in guardia,
e non averlo più a commettere altra volta.
— 249 -
6. Spirito di critica.
Ultimo difetto di spirito, che qui ti fo no-
tare, si è lo spirito di critica. Sì, combatti
acremente anche questa propensione se la tro-
vassi in te, perchè è delle più dannose. Con-
siste essa nell'osservare i difetti degli altri,
e persino dei superiori, osservarne anche le
azioni, e giudicare delle intenzioni, e portare
il proprio giudizio, per lo più sfavorevole, su
tutto. Disgraziato il novizio che ebbe da na-
tura o da educazione questo spirito! Prove-
nendo esso da superbia, è difficilissimo a co-
noscersi ed a sradicarsi, perchè sempre si
trova modo di scusarlo. Ancor più dannoso
riesce quando non solo qualcuno si induce a
giudicare interiormente ma anche a comuni-
care i propri giudizi agli altri; nel che ap-
punto consiste la mormorazione. Essa fa tre
mali: male a chi la fa, male a colui col quale
si fa, male a colui del quale si fa. Trovan-
doti affetto di qualcuno dei sopraccennati
difetti, poniti avanti a Gesù Crocifisso: do-
mandagli pietà per l'anima tua. Te infelice
se non ti emendi presto da essi! Non scorag-
giarti tuttavia, poiché al noviziato possono
applicarsi le parole dell'apostolo: ecco ora il
tempo della misericordia, ecco ora i giorni
di salute: Ecce nunc tempus acceptabile, ec-
ce nunc dies salutis (II Cor. VI, 2). La gra-
zia del Signore è certo abbondante e riusci-
rai; ma bisogna che ti metta subito, che ti

13.10 Page 130

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— 250
nictta energicamente, e che prenda, per emen-
dartene, quei mezzi che ti indicherò al fine
di questo capitolo, e tutti quelli che il supe-
riore ti suggerirà.
II. DIFETTI DI CUORE...
1. Indifferenza.
Tra i difetti di cuore, il primo è l'indiffe-
renza od apatia. È propria dei naturali fred-
di, diffìcili a commuoversi, e che nel mondo
sarebbero divenuti egoisti. Costoro molte vol-
te sono esatti nei loro doveri, regolari, anche
ammanierati. Ma essi non prevengono gli al-
tri nei loro bisogni, e non li compatiscono
nelle loro sofferenze; non avran cuore nè ver-
so i giovani coi quali avessero da fare, nè
verso i propri confratelli. Costoro sotto buo-
ne apparenze, sono un disastro per una co-
munità. Se tu fossi per disgrazia nel nume-
ro di costoro, per correggertene devi cercare
di farti penetrare il cuore da profonda pietà.
Ti gioverà quindi meditare specialmente l'im-
menso amore che Dio ebbe per te, e quanto
Gesù, che non aveva bisogno di te tanto me-
schino, fece per salvarti; egli che pure era
Dio infinito, onnipotente! Ti gioveranno poi
anche ad emendartene lo sforzarti di seguire
a puntino i precetti della carità fraterna, e il
pensare che ogni confratello, ogni giovane
a te affidato è l'immagine di Dio. Egli te l'ha
—2
posto accanto perchè vi aiutiate insieme, o
sotto la tua custodia appunto perchè tu lo
perfezioni, e faccia in lui risplendere bene
l'immagine di Dio, già un po' offuscata dai
difetti e dalle cattive pieghe prese per l'in-
nanzi. Scuotiti da questa indifferenza e apa-
tia per tutte le cose, e il Signore ti sceglierà
ancora per fare del bene anche tra gli altri.
Se non ti scuotessi, diventeresti niente altro
che un egoista, spiacente a Dio ed agli uo-
mini.
2. Antipatia.
L'antipatia non è meno dannosa. Chi se
ne lascia dominare allontana da sè chiunque
abbia carattere diverso dal suo. Dall'antipa-
tia provengono le avversioni, i dispetti, le
piccole vendette, l'affettazione nel rilevare i
loro difetti, le impazienze, le risposte dure.
Chi nutrisce antipatia verso alcuno, inter-
preta tutto male, e se anche quel tale facesse
dei miracoli evidenti egli troverebbe ancora
qualche cosa a ridire, o qualche ragione per
contraddirgli. Son necessari sforzi violenti e
costanti, per vincersi da questo naturale co-
sì disgraziato. Ci voglion sforzi continuati,
sia nel pensiero, non fermandoti su giudizi
temerari o comunque sfavorevoli; sia nelle
parole, non lasciandoti mai sfuggir motto
contrario; sia nelle opere, non lasciandoti

14 Pages 131-140

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14.1 Page 131

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—2 —
mai trasportare ad atto, che possa sembrare
sfogo di questa antipatia. Converrà anzi
prendere l'arma offensiva contro questo di-
fetto, umiliandoti appositamente, e facendo
maggiori piaceri a coloro contro cui tu sen-
tissi antipatia, andandoli a cercare e fre-
quentando la loro compagnia, sforzandoti di
avere con loro parole caritatevoli e modi gen-
tili e prevenienti. Se non sei così energico nel
noviziato, e non prendi questi mezzi efficaci,
in avanti non ti vinceresti più.
3. Simpatia.
Il terzo e più grave difetto di cuore, è il
lasciarsi portare alla simpatia ed attacco sen-
sibile verso qualcuno. Queste simpatie ed
attacchi da principio possono parerti buoni e
provenienti da carità; ma attento, che « sot-
to l'erba s'asconde il serpente (1) ». La carità
che ti porta a voler bene a tutti, a far dei
piaceri a tutti, è virtù. Ma è assoluto difetto,
e difetto grave, quando tu vieni a preferire
l'uno all'altro. L'attacco verso i pochi non è
mai soprannaturale: non è amore proveniente
dall'amore di Dio; ma bensì naturale, cioè
sensibile, e consiste nell'amare uno perchè
piace.
Ma di ciò tratterò diffusamente più avanti.
(1) « Latet anguia in herba ».
— 253 —
i. La malinconia.
La malinconia è difetto, in una comunità,
più grave di quel che non sembri a prima
vista. Qui parlo di un naturale malinconico,
non di accessi passeggeri di tristezza, possi-
bili a chiunque, e di cui abbiam già detto.
Santa Teresa e la Chantal raccomandano
espressamente di non ammettere nei loro ordini
queste nature malinconiche. Sant'Alfonso
chiama questo difetto la peste della divozio-
ne e la causa di mille difetti. San Filippo
Neri, seguito da Don Bosco, esclamava:
« Scrupoli e malinconia fuori di casa mia ».
La malinconia nuoce all'anima, come la ti-
gnuola nuoce alla stoffa che essa consuma;
la rende a poco a poco insensibile a tutto,
e la lascia intieramente abbandonata al de-
monio. Non vi è eccesso, anche del peccato
più turpe, a cui non renda proclive la ma-
linconia. Fa arrivare fino alla tentazione del-
l'omicidio e del suicidio, e non rare volte
conduce alla pazzia. Una confidenza illimi-
tata col maestro; il non mai star solo quan-
do si è più oppressi da essa; un lavoro in-
tenso, perseverante, confacente a noi; la let-
tura assidua di libri riguardanti la bontà e
misericordia del Signore, il paradiso, la bel-
lezza delle virtù e delle consolazioni della vi-
ta spirituale, una tenera, tenerissima divo-
zione al Sacro Cuore di Gesù ed a Maria SS.,
sono i rimedi principali.

14.2 Page 132

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254 '-=—
III. DIFETTI DI CORPO.
Resta ora a conoscere e combattere i di-
fetti di corpo. Non s'intendon qui con que-
sto nome i difetti fisici, naturali, ma i difetti
morali, che si palesano nel modo esteriore di
comportarsi, di vestire, di camminare, o che
tendono a mancanza di civiltà. Questi difetti
si riducono specialmente a tre: rusticità nel
trattare, trascuratezza, ricercatezza.
1. Rusticità.
Sebbene ti sia fatto religioso; e non debba
curare le cose di mondo, non devi per nulla
essere rustico nel trattare. I bei modi pro-
vengono dalla carità, e tu devi praticarli. Se
tu fossi di carattere rustico, dovresti porre
energia nel vincerti, e ritener bene che non
vieni a piacere completamente al Signore,
se non vieni ad acquistare modi belli e cari-
tatevoli verso gli altri. Nè puoi trincerarti
sotto il comodo pretesto di dire: io sono così
fatto. Se sei così fatto procura di rifarti: il
noviziato è stabilito apposta, affinchè ti di-
sfaccia da tutto quello che non è perfetto, e
ti faccia e ti formi come devi essere. Fin-
ché sei giovane, questa trasformazione può
ancora, mediante energia, essere fatta com-
pletamente; se aspetti, allora certo non vi
riuscirai più.
^ 255 —
2. Trascuratezza.
Devi anche vincerti della trascuratezza
esteriore, che si manifesta in chi non cura
la pulizia, in chi porta i capelli arruffati, le
vesti sdruscite, le scarpe slacciate, le un-
ghie lunghe e nere, o fa altre analoghe scon-
venienze. Questi difetti, disdicono affatto, e
bisogna che tu capisca che questi son veri di-
fetti morali. Nè devi scusarti mai col dire:
questo è niente, le macchie esteriori non in-
taccano l'anima! Io ti dico che in te intac-
cano l'anima, perchè indicano poco buona
volontà, disobbedienza, mancanza di carità e
di riguardi verso i compagni, e verso la me-
desima congregazione, che resta in questo
modo da te disonorata.
3. Ricercatezza.
Ma se è da bollarsi così gravemente la tra-
scuratezza, non vorrei poi che tu cadessi nel
vizio opposto della ricercatezza, la vaghezza
di comparire o nei capelli, o nelle forme este-
riori, o negli abiti e calzature mondane, o
fuori dell'ordinario. Questo in un religioso
sarebbe difetto peggiore dell'antecedente. Per-
tanto tu ricerca la pulizia e non l'affettazio-
ne; ricerca gli oggetti di vestiario adattati,
ma non l'attillatura o le cose nuove, o le fog-
ge mondane. Procura di avere il necessario

14.3 Page 133

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—2 —
per essere presentabile, e non far scompari-
re i compagni; ma poi non cercar mai il su-
perfluo, e tutto ciò che può sembrare prodot-
to di leggerezza e di vanagloria.
Mezzi per correggersi.
In generale per correggersi di tutti i so-
prannotati difetti e di tanti altri, che posso-
no essere penetrati nell'anima tua, oltre ai
mezzi già indicati, tre sono le cose principali
che bisogna fare:
a) Per primo bisogna conoscerli. Molte
volte noi non conosciamo noi stessi. Bisogna
fare esami di coscienza accurati, e penetra-
re anche sempre più a fondo in noi nelle me-
ditazioni. Bisogna poi che altri ci aiuti a far-
celi conoscere. Prega perciò istantemente il
maestro che ti avvisi sempre, che non te
ne lasci passar una. E pregalo pure che ti sta-
bilisca uno o più monitori segreti, i quali ti
osservino attentamente e non ti risparmino.
b) Devi essere docile ed umile nell'accet-
tare di cuore gli avvisi che ti vengono dati,
le osservazioni che ti vengono fatte, ed anche
i rimproveri ed i castighi che ti venissero in-
flitti. Le umiliazioni sono il mezzo più po-
tente, più sicuro e più rapido, per arrivare
alla perfezione.
c) Procurati, con assidua preghiera e con-
tinuati piccoli sacrifizi, un carattere fermo
— 257 —
e costante, continuando anche per anni ed
anni energicamente la lotta contro questi di-
fetti. Sant'Alfonso era solito dire: «Non mi
spaventa il vedere che i miei religiosi abbiano
ancora dei difetti: ciò che mi spaventa è
quando vedo fiacchezza nel combatterli, o che
si fa pace con loro ». Tu pertanto sii costante
ed energico nel combatterli, e vedrai che con
la grazia del Signore ci riuscirai, e potrai
vivere da religioso fervoroso ed osservante.
CAPO XX
LE VIRTÙ PRINCIPALI DA ACQUISTARSI
NEL NOVIZIATO
Necessità per il novizio d'acquistare le virtù...
Le virtù sono abiti, che non si acquista-
no se non con un numero molto ripetuto di
atti. Ed è perciò di somma importanza che
nel noviziato si cominci a formare l'abito di
quelle cose che sono poi da esercitarsi per
Tutta la vita. Ricordati che non potresti poi
Tranquillamente fare la domanda dei santi
voti, se già non hai acquistato gli abiti nuovi
alativi ai medesimi. Nè è sufficiente la buo-
na volontà di eseguire in appresso le virtù.

14.4 Page 134

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— 258 —
Bisogna averle acquistate prima, poiché se
prima dei santi voti non si fecero già le buo-
ne abitudini, si corre troppo pericolo di man-
care poi ai santi voti, ed anche di perdere la
vocazione. Ed in generale uno manca alla vo-
cazione, perchè fece i voti senza aver prima
poste sufficienti basi di abiti buoni. Per ca-
rità, non avvenga così di te! È chiaro che
per far l'abito delle virtù si richiedono grandi
sforzi, grandi sacrifici. Ma tu fatti coraggio;
nulla t'arresti: ogni sforzo, ogni sacrifizio ti
sarà largamente ricompensato.
... specialmente quelle del proprio stato.
Tutte le virtù invero devono formare la
tua sollecitudine. Ma tra esse ve ne sono al-
cune che servono di base a tutte le altre, e
che perciò più delle altre sono da praticarsi
nel noviziato, o perchè più adatte, o perchè
essendo più necessarie per il resto della vi-
ta religiosa, devono porre più profonde e so-
lide radici. È massima generale, non mai ab-
bastanza inculcata per l'acquisto delle virtù,
che un novizio deve sempre prendere la pa-
rola del superiore come parola di Dio. Ricorda-
ti che il Signore dice del superiore: Qui voi
audit, me audit. Sentita pertanto un'esortazio-
ne, bisogna subito accingersi a praticarla.
Altra massima non mai abbastanza osserva-
ta si è di non mai offenderti di niente, e di
—2
non mai stare sulle tue; esser sempre conten-
to di tutti e di tutto. Ma oltre queste massi-
me generali ti vengo ricordando qui le virtù
principali, secondo lo spirito delle nostre re-
gole.
Tendere alla perfezione.
L'articolo primo delle nostre costituzioni,
dice chiaro che lo scopo fondamentale della
nostra Società Salesiana, è la santificazione
dei suoi membri. Don Bosco ci ripeteva: O
santi salesiani o niente salesiani. Ricordati
pertanto che sei obbligato a tendere con tut-
te le tue forze alla perfezione, cioè alla san-
tificazione propria. Non sarebbe quindi un
buon salesiano chi, contento di non fare man-
canze, non si sforzasse positivamente a per-
fezionare se stesso, emettendo atti positivi e
frequenti di virtù. Questo impegno deve es-
sere poi ancora più grande nell'ascritto, poi-
ché se una cosa ardua non si comincia con
ardore, non si riuscirà Certamente ad at-
tuarla.
Non si pretende da te una perfezione as-
soluta, la quale è propria solo di Dio; nè
una perfezione compita, che cioè non abbi
più assolutamente d'or avanti a mancare in
nulla; questo è proprio solo dei beati com-
prensori in paradiso. Nella vita presente
niun'anima può avere sì squisita nettezza, che

14.5 Page 135

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— 260 —
vada esente da ogni neo avanti agli occhi fi-
nissimi e scrutatori di quel Dio, che fin negli
angeli trova delle macchie. Ma si richiede da
te, che cerchi con tutte le forze quella per-
fezione, che è compatibile con l'umana natu-
ra, pur tanto fragile e soggetta a tante mise-
rie. Questa in noi può dirsi perfezione vera;
anzi se molto cresce e si rafforza può dirsi al-
ta perfezione, perfezione grande, perfezione
eminente. È di questa perfezione che s'inten-
de di parlare in questo Fa de mecum ogni vol-
ta che si nomina la parola perfezione.
In che consiste la perfezione.
Ma in che cosa sta la sostanza di questa
perfezione in noi? Vari autori dicono varia-
mente, ma l'angelico San Tommaso, da par
suo, scioglie ogni disputa, ed asserisce chiara-
mente che « tutta l'essenza della perfezione
cristiana consiste nella carità ». E si poggia
sulle parole di San Paolo, il quale ci anima
all'acquisto della divina carità, col bel mo-
tivo di essere ella il vincolo della perfezio-
ne (i), il pieno e completo adempimento del-
la legge cristiana (2). E in conseguenza tan-
to più grande resta la perfezione, quanto più
(1) « Super omnia, charitatem liabete, quod est
vinculum perfectionis • (Colo?., I l i , l i ) .
(2) « Plenitudo legis est dilectio » (Rorn., X I I I , 10).
—2
grande è la carità in noi. Che se mi si chie-
desse ancora in che cosa praticamente consi-
ste la carità, io risponderei che vi sarebbe
solo da cambiare i termini delle parole del-
l'apostolo. Siccome egli dice che la pienezza
della legge è la carità, cambiando i termini
abbiamo: La carità è l'adempimento di tutta
la santa legge di Dio. Perciò in pratica la per-
fezione consiste nell'adempiere completamente
e costantemente la santa legge di Dio.
Dovendo ogni salesiano, in forza dell'art.
2° delle regole, sforzarsi con tutto suo- po-
tere ad imitare Gesù Cristo, coll'esercitarsi
egli stesso nelle virtù prima di farsi maestro
agli altri, ciascuno contrae l'obbligo special-
mente nell'anno di noviziato ed in quelli del-
lo studentato, di amare la ritiratezza e la
vita nascosta. È assai lodevole lo zelo ed il
desiderio di lavorare molto per salvare ani-
me; ma sarebbe intempestivo e male ordina-
to qualora si desiderasse accorciare il tempo
della preparazione morale e degli studi. Si
farà molto più in pochi anni da uno che esce
ben preparato, che in molti anni da uno che
non abbia avuto tempo a consolidarsi bene.
Perciò sta' contento del come disporranno i
superiori a tuo riguardo sul rimanere più o
meno tempo nello studentato, e pensa che non
domandando e non ricusando nulla, si fa più
sicuramente e con maggior merito la volontà
di Dio. Ma pur tenendosi in questa conformi-
tà alla volontà di Dio su tali disposizioni dei

14.6 Page 136

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superiori, convinto ben bene della tua pochez-
za, per quanto sta da te, devi desiderare di
esservi trattenuto il maggior tempo possibile,
onde prepararti meglio alla missione di far
del bene agli altri. Fanno tremare per il loro
avvenire quelli che non vedono l'ora di la-
sciare le case di formazione!
Le virtù salesiane: 1° Carità e zelo per la
gioventù.
Le nostre costituzioni, al capo 8°, artic.
72, dicono che il direttore spirituale della
congregazione si adoprerà affinchè i maestri
di noviziato insegnino ai jiovizi quello spiri-
to di carità e di zelo, da cui deve essere in-
fiammato chi desidera di consacrare intera-
mente la sua vita a Dio e alla salute delle
anime. Queste parole ci dànno la nota carat-
teristica, e come il distintivo della nostra Pia
Società. Perciò la carità e lo zelo, cioè il gran
desiderio di attirare anime e specialmente gio-
vani al Signore, e per questo l'essere pronti
a sopportare qualunque fatica, pena, persecu-
zione per fare il bene, c adoperare i modi più
dolci, caritatevoli ed attraenti, saranno le vir-
tù maggiormente da tenersi in vista, e che tu
cercherai di praticare meglio nel tuo novizia-
to. Questa carità e zelo non potendosi anco-
ra mettere in pratica su larga scala nel
tempo del noviziato e dello studentato, tu
procura di esercitare queste due virtù con te
stesso e coi compagni. Siccome poi, per quan-
to è possibile, unito al noviziato e allo stu-
dentato è aperto un oratorio festivo, deside-
ra di prender parte a fare il catechismo ed
attendere a quei ragazzetti. E se ne sarai in-
caricato, procura di esercitare con grande
impegno queste virtù coi giovani di detto
oratorio. Ricordati che la carità non deve es-
sere esercitata solo a parole! L'apostolo San
Giovanni appositamente ce ne avverte dicen-
do: «Figliuoli, non amiamo con parole o con
la lingua, ma con le opere e con verità ». Im-
para pertanto a non essere di quei che han-
no molte parole verso il prossimo, ma che se
vi è poi da fare qualche sacrificio si ritirano.
Bisogna esser pronti a far opere, a sacrifi-
carsi, specialmente quando si tratta del bene
della gioventù negli oratori festivi e negli
ospizi, dove l'irrequietezza dei giovani richie-
de una forza adamantina di carità.
... 2. Dolcezza.
Fiore della carità è la dolcezza. Procura
pertanto di acquistarti una dolcezza degna
di San Francesco di Sales e di Don Bosco. Il
salesiano deve sapersi adattare alle esigenze
dei tempi per quanto questo è compatibile
io

14.7 Page 137

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— 264 —
col vero e perfetto spirito religioso: deve ri-
dursi tale, da farsi tutto a tutti per attrarre
tutti a Gesù Cristo. Tu perciò procura di far
propria la dolcezza dei modi, la condiscen-
denza, la graziosita e l'affabilità del nostro
caro padre Don Bosco, tanto da poter trarre
al Signore la gioventù anche la più schiva.
Devi poter dire con San Paolo, che sei pron-
to a soffrire la fame, la sete, la povertà, le
persecuzioni: benedire quando sei maledetto;
ossequiare chi ti disprezza, e pronto ad es-
sere considerato come spazzatura del mondo.
Don Bosco poi volle che le case di noviziato
fossero sotto la speciale protezione del Sa-
cro Cuore di Gesù. Tu pertanto figurati che
Gesù rivolga a te direttamente le parole:
« Imparate da me ad essere mansueti ed umi-
li di cuore (1) ». Per conseguenza devi con
gran premura attendere ad ornarti il cuore di
queste due virtù. Ed anche a questo risultato
deve animarti l'essere nostro titolare San
Francesco di Sales, che in queste virtù si di-
stinse così straordinariamente, e l'esser figli
di Don Bosco, che di esse ci diede prove tan-
to mirabili. A riuscirvi, proponiti di non vo-
lerti neppure impazientare con te stesso per
nessun contrasto o mal esito, fosse pure per
qualche caduta o miseria spirituale. Tanto
meno poi devi indispettirti od alterarti nei
(1) « Discite a me, quia mitis sum et, humilis corde »
(MATTEO, X I , 29).
—2
giuochi. Sarà quindi bene intenderti col mae-
stro, per importi qualche piccola penitenza
ogni volta che manchi.
... 5. Sodezza.
Nel sogno del 1881 Don Bosco, per sopran-
naturale ispirazione, fra le altre cose ebbe
ordine di allontanare dalla congregazione
quelli che sono leggeri ed incostanti: leves et
mobiles dimittite. Tu dunque hai da curare
molto la sodezza e stabilità nel bene: con
energici sforzi cerca di vincere la leggerezza
di carattere, ed il tenere in poco conto i pro-
positi presi e gli avvisi dei superiori. Ad ot-
tenere questo, serviti dei tre grandi mezzi di
cui si serviva San Francesco di Sales: me-
ditare cioè molto sopra se stessi, accostumarsi
a tener sempre in mente il pensiero della pre-
senza di Dio, e fare accuratamente ed anche
più volte al giorno l'esame di coscienza.
... 4. Lavoro.
Il nostro indimenticabile Padre ci lasciò
come per testamento, e come bandiera, in-
sieme con lo spirito d'orazione anche il gran
lavoro. Lavorare, lavorare, lavorare, s'inten-
de, per salvar anime; furono le ultime paro-

14.8 Page 138

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le, e come l'ultimo ricordo del nostro buon
Padre morente. Noi dobbiamo prendere que-
sta eredità, e convertire il lavoro come in se-
conda nostra natura. Mai risparmiarci, mai
tirarci indietro dal lavoro; e sempre sacrifi-
carsi ed anche trovare nuovi mezzi che ci
aiutino a lavorare di più.
Il nostro riposo sia il cambiamento di lavo-
ro. Ma intanto tu pensa che per quest'anno il
tuo immenso lavoro sta nello studiare e pra-
ticare le regole, nel combattere e sradicare i
tuoi difetti, e nel cercare e praticare sempre
nuovi mezzi per imparare ad esercitare le vir-
tù. Se non t'incammini bene quest' anno sulla
instancabilità del lavoro, tu non lo farai più.
Le virtù dei voti.
Il noviziato poi è stabilito appositamente,
affinchè l'ascritto si prepari con abiti buoni a
praticare con facilità i tre voti di povertà, di
castità, e di ubbidienza. Perciò ogni sforzo è
da rivolgersi a queste tre grandi virtù, cercan-
do di prendere efficacemente i mezzi che a
questo scopo conducono. A conferma e conclu-
sione di quanto ti dissi, ti riferisco in esteso il
sogno straordinario che il nostro Santo Fon-
datore ebbe il 10 settembre 1881. Io vi ho ac-
cennato nel corso di questo capo. Esso è scrit-
to dalla mano stessa di Don Bosco.
Sogno di Don Bosco (1881).
Spiritus Sancti gratta
-Zhirninet sensus et corda
%ostra. Amen.
La grazia dello Spirito
Santo illumini i sensi e i
cuori nostri. Così sia.
Ad ammaestramento della Pia Società Sale-
siana.
Il 10 settembre, anno corrente (1881), gior-
no che la santa Chiesa consacra al glorioso
nome di Maria, i salesiani raccolti in San Be-
nigno Canavese facevano gli esercizi spirituali.
Nella notte dal dieci all'undici, mentre dormi-
vo, la mente si trovò in una gran sala splen-
didamente ornata. Mi sembrava di passeggiare
coi direttori delle nostre case, quando apparve
tra noi un uomo di aspetto cosi maestoso, che
non potevamo reggerne la vista. Datoci uno
sguardo, senza parlare, si pose a camminare a
distanza di qualche passo da noi. Egli era così
cestito : Un ricco manto a guisa di mantello gli
copriva la persona; la parte più vicina al collo
fra come una fascia che si rannodava davanti,
-:d una fettuccia gli pendeva sul petto. Sulla
fascia stava scritto a caratteri luminosi:
Pia Salesianorum So-
-etas anno 1881,
Pia Società dei Sale-
Siam nell'anno 1881,
- sulla striscia d'essa fascia portava scritte
meste parole:
Qualis esse debet.
Quale dev'essere.

14.9 Page 139

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— 268 —
Dieci diamanti di grossezza e splendore
straordinario eran quelli che c'impedivano di
fermare lo sguardo, se non con gran pena,
sopra quell'augusto personaggio. Tre di quei
diamanti eran sul petto, ed era scritto sopra
uno: Fides (Fede); sull'altro: Spes (Speranza):
e Charitas (Carità) su quello che stava sul
cuore. Il quarto diamante era quello sulla
spalla destra, ed aveva scritto: Labor (La-
voro), sopra il quinto sulla spalla sinistra
leggevasi: Temperantia (Temperanza). Gli al-
tri cinque diamanti ornavano le parti poste-
riori del manto, ed erano così disposti: uno,
il più grosso e sfolgoreggiante, stava in mez-
zo come il centro di un quadrilatero e por-
tava scritto: Obedientia (Obbedienza). Sul
primo a destra leggevasi: Votum pauperta-
tis (Voto di povertà). Sul secondo più a bas-
so: Praemium (Premio). Nella sinistra sul più
elevato era scritto: Votum castitatis (Voto
di castità). Lo splendore di questo mandava
una luce tutta speciale, e mirandolo traeva
ed attirava lo sguardo come la calamita tira
il ferro. Sul secondo a sinistra più abbasso
stava scritto: Jeiunium (Digiuno). Tutti que-
sti quattro ripiegavano i loro luminosi raggi
verso il diamante del centro.
DILUCIDAZIONE — Per non cagionare con-
fusione è bene notare che questi diamanti tra-
mandavano dei raggi, che a guisa di fiam-
melle si alzavano e portavano scritto qua e
colà varie sentenze.
—2
Sopra la Fede si elevavano le parole:
Sumile sculum Fidei,
ut adversus insidias dia-
boli certare possitis.
Date mano allo scudo
della Fede, per potere
combattere contro le in-
sidie del demonio.
Altro raggio aveva:
Fides sine operibus mor-
tua est. — Non auditores,
sed factores legis regnum
Dei possidebunt.
La lede senza le opere
è morta. — Non quelli
che senton parlare della
legge, ma solo quelli ohe
la praticheranno, posse-
deranno il regno di Dio.
Sopra i raggi della Speranza:
Sperate in Domino, non
in hominibus. — Semper
cestra fixa sint corda ubi
vera sunt gaudia.
Sperate nel Signore, non
negli uomini. — I vostri
cuori siano costantemente
rivolti dove sono i veri
gaudi.
Sopra i raggi della Carità eravi:
Alter alterius onera por-
tate, si vultis adimplere
legem meam. — Diligile
et diligemini. Sed diligile
animas vestras et vestro-
rum. —- Devote divinum
officium persolvatur; Missa
attente celebretur; Sanctus
Sanctorum peramanter vi-
sitetur.
Portate i pesi gli uni
degli altri, se volete adem-
pire la mia legge. — Amate
e sarete amati. Ma amate
le anime vostre e quelle
dei vostri (giovani, dipen-
denti). — Si reciti divota-
mente il divino ufficio; si
celebri con attenzione la
Santa Messa; si visiti con
trasporto di amore il
Santo dei Santi.

14.10 Page 140

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— 270 —
Sopra la parola Labor (Lavoro) eravi:
Remedium concupiscen-
liae. — Arma potens contra
omnes insidias diaboli.
Rimedio della concu-
piscenza. — Arma potente
contro tutte le insidie del
diavolo.
Sopra la Temperanza:
Si Ugna tollis, ignis ex-
stinguitur. — Factum con-
stituite cum oculis vestris,
cum gula, cum somno, ne
huiusmodi inimici deprae-
dentur animas vestras. —
Intemperantia et castitas
non possunt simul coha-
bitare.
Se togli la legna, il fuoco
si spegne. — Fate un patto
con i vostri occhi, con la
gola, col sonno affinchè
non vi guastino l'anima. —
L'intemperanza e la ca-
stità non possono stare
insieme.
Sopra i raggi dell'Obbedienza:
Totius aedificii funda-
rnentum, et sanctitatis com-
pendium.
Base di tutto l'ediflzio
e compendio della santità.
Sopra i raggi della Povertà:
Ipsorum est regnum coe-
lorum. — Divitiae spinae
sunt. — Paupertas non
verbis, sed corde et opere
conlicitur. Ipsa coeli ia-
nuam aperiet et introibit.
Di loro è il regno dei
cieli. — Le ricchezze sono
spine. -— La povertà si
ottiene non con le parole,
ma con il cuore e con le
opere. Essa aprirà il regno
del cielo e vi c'introdurrà.
— 27
Sopra i raggi della Castità:
Omnes virtutes veniunt
pariter cum illa. — Qui
mundo sunt corde. Dei
arcana vident, et Deum
ipsum videbunt.
Tutte le virtù vengono
insieme con lei. — I puri
di cuore vedono i segreti
di Dio e vedranno Iddio
medesimo.
Sopra i raggi del Premio:
Si delectat magnitudo
praemiorum, non deterreat
muTlitudo laborum. — Qui
mecum patitur, mecum gau-
debit. — Momentaneum est
quod patimur in terra,
aeternum est quod delectabit
in coelo amicos ?neos.
Se attrae la grandezza
dei premi, non atterrisca
la grandezza delle fatiche.
— Chi patisce con me, go-
drà pure con me. — È
momentaneo quanto si pa-
tisce sopra la terra, eterno
invece quanto rallegrerà
i miei amici in cielo.
Sopra i raggi del Digiuno:
Arma potentissima ad-
versus insidias inimici. —
Omnium virtutum custos.
Omne genus daemoniorum
per ipsum eicietur.
Arma potente contro le
insidie del nemico. — Cu-
stode di tutte le virtù.
Con esso si scaccia ogni
sorta di tentazione.
Un largo nastro di color rosa serviva di
orlo nella parte inferiore del manto, e sopra
questo nastro era scritto:
Argumentum praedica-
tionis — mane, meridie et
vespere. — Colligite fram-
menta virtutum, et magnum
Argomento di predica-
zione al mattino, a mez-
zodì, a sera. — Praticate le
picoole virtù e vi prepare-

15 Pages 141-150

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15.1 Page 141

▲back to top
— 272 —
sanctitatis aedificium
constituetis. — Vae
qui modica spemitis,
latim vos decidetis.
vobis
vobis
pau-
rete un grande edifizio di
santità. — Guai a voi cfce
disprezzate le piccole co-
se: a poco a poco verrete
meno.
Fino allora i Direttori erano chi in piedi,
chi ginocchioni; ma tutti attoniti, e niuno
parlava. A questo punto Don Rua come fuori
di sè disse: « Bisogna prender nota per non
dimenticare ». Cerca una penna e non la tro-
va; cava fuori il portafoglio, fruga, e non ha
la matita. « Io mi ricorderò », disse Don Du-
rando ». « Io voglio notare », aggiunse Don
Fagnano; e si pose a scrivere col gambo di
una rosa. Tutti miravano e comprendevano la
scrittura. Quando Don Fagnano cessò di scri-
vere, Don Costamagna continuò a dettare co-
sì: Za carità capisce tutto, sopporta tutto, vince
tutto; predichiamola colle parole e coi fatti.
Mentre Don Fagnano scriveva, scomparve la
luce, e tutti ci trovammo in folte tenebre. « Si-
lenzio, disse Don Ghivarello, inginocchiamo-
ci, preghiamo e la luce verrà ». Don Lasagna
cominciò il Veni Creator Spiritus, poi il De
Profundis, Maria Auxilium Christianorum
etc., a cui tutti rispondemmo. Quando fu det-
to: Ora prò nobis, riapparve una luce che cir-
condava un cartello su cui leggevasi:
Pia Salesianorum Socie-
tas qualis esse periclitatur
anno salutis 1900.
Pia Società dei Salesiani
quale corre rischio d'essere
nell'anno di salvezza 1900.
— 273 BS
Un istante dopo la luce divenne più viva,
i segno che potevamo vederci a vicenda. In
mezzo a quel bagliore apparve di nuovo il
personaggio di prima, ma con un aspetto si-
mile a colui che comincia a piangere. Il suo
manto era divenuto scolorato, tarlato e sdru-
-cito. Nel sito dove stavano fissi i diamanti
-ravi invece un profondo guasto, cagionato
lai tarlo e da altri piccoli insetti.
Respicite, egli ci disse,
et intelligite.
Guardate, egli ci disse,
ed intendete.
Ho veduto i dieci diamanti che erano di-
venuti altrettanti tarli, che rabbiosamente
rodevano il manto. Pertanto al diamante del-
la Fides (Fede) erano sottentrati: Somnus et
accidia (sonno e accidia). A Spes (Speranza)
-ravi: Risus et scurrilitas (riso e scurrilità).
A Charitas: Negligentia
ÌM divinis perficiendis.
— Amant et quaerunt
r*ae sua sunt, non quce
'esu Christi.
A Temperantia: Gula et
:u>rum deus venter est.
A Lab or: Somnus, fur-
pjm, otiositas.
A Carità: Negligenza
nelle funzioni divine.
— Amano e cercano le
cose proprie, non quelle
di Gesù Cristo.
A Temperanza: Gola e
quelli il cui dio è il ventre.
A Lavoro: Sonno, furto,
oziosità.
Al posto dell'Obbedienza eravi nient'al-
tru che un guasto largo e profondo senza
scritto.

15.2 Page 142

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A Castitas: Concupiscen-
tia oculorum et superbia
vitae.
A Paupertas: Lectus,
habitus, potus et pecunia.
A Praemium: Pars no-
stra erunt quae sunt super
terram.
A Castità: concupiscen-
za degli occhi e superbia
della vita.
A Povertà: Letto, abiti,
bevande e danaro.
A Premio: Nostra por-
zione saranno i beni ter-
reni.
A Jeiunium (Digiuno) eravi un guasto,
ma niente di scritto.
A quella vista fummo tutti spaventati.
Don Lasagna cadde svenuto, Don Cagliero di-
venne pallido come camicia, e, appoggiandosi
sopra una sedia, gridò: «Possibile che le cose
siano già a questo punto?» Don Lazzero e
Don Guidazio stavano come fuori di sè, e
si porsero la mano per non cadere. Don
Francesia, il conte Cais, Don Barberis e Don
l.everatto erano quivi ginocchioni, pregando
con in mano la corona del santo rosario. In
quel momento si fe' intendere una cupa voce:
Quomodo mutatus est
color optimus!
Oh, come si è mutato
lo splendore primiero!
Ma nell'oscurità succedette un fenomeno sin-
golare. In un istante ci trovammo avvolti in
folte tenebre, nel cui mezzo apparve tosto una
luce vivissima che aveva forma di corpo uma-
no. Non potevamo tenerci sopra lo sguardo,
ma potemmo scorgere che era un avvenente
giovanetto vestito di abito bianco con fili d'o-
ro e d'argento. Tutto attorno all'abito vi era
un orlo di luminosissimi diamanti. Con aspet-
to maestoso, ma dolce ed amabile, si avanzò
alquanto verso di noi, e ci indirizzò queste
testuali parole:
Servi et instrumenta Dei
omnipotentis, attendite et
intelligite. Confortamini et
estote robusti. Quod vidistis
et audistis est coelestis ad-
monitio, quae nunc vobis
et iratribus vestris facta est:
animadvertite et intelligite
sermonem.
Iacula praevisa minus
feriunt, et praeveniri pos-
sunt. Quot sunt verba si-
gnata, tot sint argumenta
praedicationis.
Indesinenter praedicate,
opportune et importune:
sed quae praedicatis con-
stanter facile, adeo ut opera
vestra sint velut lux, quae
sieuti tuta traditio ad fra-
tres et filios vestros pertran-
seat de generatione in gene-
rationem.
Attendite et intelligite:
Estote oculati in tironibus
acceptandis; iortes in co-
lendis; prudentes in admit-
tendis. Omnes probate; sed
Servi e strumenti di Dio
onnipotente, ascoltate e te-
nete bene in mente. Fatevi
animo e siate forti. Quanto
avete veduto ed udito è
avvertimento celeste che
ora è latto a voi e ai vostri
fratelli: state attenti e
comprendete le mie pa-
role.
I dardi preveduti feri-
scono meno e si possono
prevenire. Tutte le senten-
ze segnate, siano argomen-
to di predicazione.
Predicate sempre, a tem-
po opportuno e anche non
opportuno, ma mettete in
pratica con perseveranza
quello che dite, onde le
vostre opere siano luce che
si trasmetta qual sicura
tradizione ai vostri fratelli
e figliuoli, di generazione
in generazione.
Ascoltate e tenete bene
in mente: Siate oculati
nell'accettazione dei no-
vizi: forti nel formarli: pru-
denti nel]'ammetterli. Pro-

15.3 Page 143

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— 276 —
tantum quod bonum est te-
nate. Leves et mobiles di-
mittite.
Attendile et intelligite:
Meditatio matutina et ve-
spertina sit indesinenter de
observantia Constitutionum.
Si haec feceritis numquam
vobis deficiet Omnipotentis
auxilium. Spectaculum fac-
ti eritis mundo et angelis,
et lune gloria vestra erit
gloria Dei.
Qui videbunt saeculum
hoc exiens et alterum inci-
piens, ipsi dicent de vobis:
A Domino factum est istud,
et est mirabile in oculis
nostrts. Tunc omnes fratres
vestri et filii vestri una voce
cantabunt: Non nobis, Do-
mine, non nobis, sed nomini
tuo da gloriam.
vate tutti, ma tenete solo
i buoni. I leggeri e gli in-
costanti rimandate.
Ascoltate e tenete bene
in mente: La vostra medi-
tazione del mattino e della
sera versi sempre sopra
l'osservanza delle Costitu-
zioni. Cosi facendo non vi
mancherà mai l'aiuto del-
l'Onnipotente. Diverrete
spettacolo al mondo e agli
angeli, ed allora la vostra
gloria sarà la gloria di
Dio.
Coloro che vedranno il
tramonto di questo secolo
e il principio dell'altro, di-
ranno di voi: Dal Signore è
stato fatto questo ed è co-
sa meravigliosa ai nostri
occhi. Allora tutti 1 vostri
fratelli e figliuoli cante-
ranno all'unisono: Non a
noi, o Signore, non a noi,
ma al tuo nome da'
gloria!
Queste ultime parole furono cantate, ed
alla voce di chi parlava s'uni una moltitu-
dine di altre voci così armoniose, sonore, che
noi rimanemmo privi di sensi e per non ca-
dere svenuti, ci siamo uniti agli altri a can-
tare. Al momento che finì il canto si oscurò
— 27
ia luce. Allora mi svegliai e mi accorsi che
si faceva giorno.
PROMEMORIA. — Questo sogno durò quasi
l'intera notte, e sul mattino mi trovai stre-
mato di forze. Tuttavia pel timore di dimen-
ticarmene, mi sono levato in fretta e pigliai
alcuni appunti, che mi servirono come di ri-
chiamo a ricordare quanto qui ho esposto nel
giorno della Presentazione di Maria SS. al
tempio. Non mi fu possibile ricordare tutto.
Tra le molte cose ho potuto con sicurezza ri-
levare che il Signore ci usa grande misericor-
dia. La nostra società è benedetta dal cielo;
ma egli vuole che noi prestiamo l'opera no-
stra. I mali minacciati saranno prevenuti, se
noi predicheremo sopra le virtù e sopra i vizi
ivi notati, se ciò che predicheremo lo prati-
cheremo e lo tramanderemo ai nostri fratel-
li con una tradizione pratica di quanto si è
fatto e faremo. Ho potuto ancora rilevare che
ci sono imminenti molte spine, molte fatiche
cui terranno dietro grandi consolazioni. —
Circa il 1890 gran timore; circa il 1895 gran
trionfo. Maria, Auxilium Christianorum, ora
prò nobis.

15.4 Page 144

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CAPO XXI
DELLA DISONEST A
È impedimento alla vocazione.
La sensualità è un appetito, ossia un de-
siderio disordinato dei piaceri del senso. È
quindi una passione della corrotta natura, la
quale, qualora non sia del continuo raffrenata
ed affatto mortificata e vinta, induce la per-
sona al peccato gravissimo della disonestà.
Perciò non solo impedisce il conseguimento
della perfezione, ma altresì della eterna sa-
lute. È poi l'assoluta rovina della vocazione
per chi vuole abbracciare lo stato ecclesiasti-
co; e specialmente sarebbe rovina per noi che
abbiamo da trattare con la gioventù. Perciò
Don Bosco nella prefazione delle regole ci di-
ce chiaro : « Non entrate in congregazione, se
non dopo esservi consigliati con persona pru-
dente, che vi giudichi tali da poter conserva-
re questa virtù. E nelle Regole all'art. 35 del
capo che tratta del voto di castità vi fece
mettere queste precise parole: « Chi non ha
fondata speranza di poter conservare, col di-
vino aiulo, la virtù della castità, nelle paro-
le, nelle opere, nei pensieri, non professi in
questa Società; perchè sovente si troverebbe
in pericolo ».
— 279
È tra i peccati più brutti.
È uno dei peccati più brutti. — Iddio
creando l'uomo l'ha composto di due sostan-
ze, l'anima e il corpo, lo spirito e la carne.
Per legge poi d'ordine e di natura ha reso
la carne sottomessa allo spirito, il corpo sot-
tomesso all'anima. In tale giusta sottomissio-
ne ed armonia di due sostanze sì disparate e
fra loro opposte, sta tutta la naturai bontà,
perfezione e bellezza dell'uomo. Ma quanto
più del corpo è incomparabilmente nobile, ec-
cellente, preziosa l'anima! Essa, come spiri-
tuale, è per se stessa incorruttibile ed immor-
tale. L'anima poi, anche nello stesso ordine
della natura, per le sue tre potenze e facoltà,
memoria, intelletto e volontà, è un'immagine
di Dio medesimo Uno e Trino. L'anima inol-
tre per la grazia santificante, in lei diffusa,
divien tempio vivo del Dio vivente: poiché
Iddio, in modo tutto superiore alla naturale
dignità e capacità dell'uomo, in lei tiene sua
dimora. Iddio allora, per mezzo della grazia,
comunica e partecipa all'anima, per somiglian-
za, la sua stessa divina natura, illuminando-
la, ravvivandola, santificandola, trasforman-
dola tutta nel suo essere divino. Onde l'anima
vive della vita di Dio, cioè della vita sopran-
naturale e divina; per cui nell'ordine sopran-
naturale è vera figlia di Dio; vera im-
magine ed espressione di Dio; giusta e santa

15.5 Page 145

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— 280 —
e bella della stessa giustizia e santità e bel-
lezza di Dio. L'anima quindi per nobiltà ed
eccellenza è simile agli angeli; onde di lei
cantava il reale Profeta: Tu, o Signore, la
rendesti di poco inferiore agli angeli; tu la
coronasti di gloria ed onore (1). Che cosa poi
è il corpo in confronto di tanta eccellenza e
nobiltà tutta divina dell'anima? Esso è tan-
to vile e spregevole quanto è il fango limac-
cioso della terra, di cui è formato. Ora, che
fa il disonesto? Il misero col soddisfare di-
sordinatamente all'immonda passione, rende
l'anima sua serva e schiava della carne, cioè
di materia sì sordida e vile. In tal guisa di-
strugge in se stesso l'ordine naturale e l'ar-
monia giustissima di soggezione della materia
allo spirito, posta in lui da Dio nel crearlo.
Quindi induce in sè una deformità tanto più
enorme, una bruttezza tanto più orribile,
quanto più il corpo vilissimo e spregevole è
inferiore allo spirito nobilissimo e preziosis-
simo. Insomma l'uomo, con questo peccato,
dall'ordine altissimo di creatura ragionevole,
spirituale, santa e soprannaturale, cioè simi-
le agli spiriti del cielo, decade e precipita fino
all'infimo abisso delle immonde e stupide be-
stie! Lo dichiara lo Spirito Santo, che parlan-
do di questo vizio dice: «L'uomo sollevato a
grande onore non ha conosciuto la sua nobil-
(1) « Minuisti eum paulo minus ab Angelis: Gloria
et honore coronasti eum * (Salmi, V i l i , 6).
—2
tà; si è paragonato ai giumenti senza ragio-
ne, ed è divenuto simile ad essi (1) •».
Or dunque non sarà bruttissimo, abbomi-
nevole un peccato che dell'uomo simile agli
angeli, ne fa un essere simile alle bestie?
È uno dei peccati più gravi.
Ma è anche un peccato tra i più enormi.
E ciò, in primo luogo, perchè cagiona nel-
l'uomo un gravissimo disordine col sottomet-
tere l'anima al corpo, come testé si è detto.
Secondariamente perchè la disonestà non è
mai per se stessa peccato veniale, quando vi
ha piena avvertenza e perfetto consenso. Es-
sa non ammette parvità di materia. Perciò
Dio punì sempre i disonesti con gravissimi
castighi, coi quali non fu mai solito percuo-
tere i colpevoli d'altri peccati. Perchè man-
dò il diluvio a sommergere il genere umano?
Perchè distrusse le città della Pentapoli con-
pioggia di fuoco? Solo per punire negli uo-
mini la maledetta disonestà! Perchè mandò
egli e manda tuttora le più grandi calamità ed
i più grandi castighi? Perchè tante malattie
e morti premature e consunte? Più che tutto
per castigo dell'impurità.
(1) « Homo, eum in honore easet, non intellexit,
comparatus est iumentis insipientibus, et similis fae-
tus est illis » (Salmi, X L V I I I , 17).

15.6 Page 146

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— 282 —
È uno dei più dannosi.
I danni poi che arreca la disonestà, sono
incalcolabili. Poiché tal peccato più degli al-
tri acceca la mente, perverte la volontà, in-
dura il cuore. Difatti presto, in brevissimo
tempo, e nella età più verde, l'immonda pas-
sione, coll'esser soddisfatta, ancorché solo per
qualche volta, si trasmuta in abitudine tena-
ce ed ostinata. Ed allora la mente di un gio-
vane sciagurato, che si è assuefatto a diso-
neste laidezze, diventa sì cieca e stolta, che
reputa la disonestà come un male da nulla,
nè più ne sente orrore e rimorso alcuno. La
sua volontà poi, per il mal abito formatosi
e cresciuto, diviene sì perversa e malvagia, sì
attaccata al sozzo peccato, quindi sì dispo-
sta e pronta ad ogni eccesso, che, anche co-
noscendo il pericolo in cui è di dannarsi, niun
conto ne fa, e vi passa sopra con leggerezza.
Che dirò poi del suo cuore? Diventa un cuore
duro a somiglianza del macigno, un cuore
freddo e di ghiaccio. Niuna cosa più lo com-
muove o compunge, neppure le verità più ter-
ribili come la morte, l'inferno, i castighi di-
vini, e neppure i misteri più commoventi del-
la passione del Divin Redentore. E che dirò
delle confessioni di questo povero disgrazia-
to? Son fatte il più delle volte o per rispetto
umano o per abitudine, spesso sono invalide,
fors'anche sacrileghe. Difficilmente in lui è
sincero il dolore, fermo e risoluto il proposi-
— 23
to, intera l'accusa, giacché la vergogna gli
chiude le labbra, gli rende muta la lingua.
O almeno non ne ricava frutto alcuno di ve-
ra emendazione. Anzi alle volte la stessa con-
fessione gli serve quasi d'incitamento al pec-
cato, dicendo egli tra sè: faccio questo pec-
cato e poi me ne confesserò. E fattone uno
ne commette un altro, e poi un altro ancora,
ed anche purtroppo moltissimi, ognor ripe-
tendo, tanto è confessarne uno quanto dieci,
quanto venti. Per tal guisa la vita di cer-
ti giovani è una catena continua di scel-
leratezze. Essi passano, i miseri, colla mas-
sima facilità dal peccato alla confessione,
dalla confessione al peccato. La disonestà
oscura la fede, indurisce la coscienza, e con-
duce l'anima all'incredulità, all'empietà, al-
l'apostasia.
11 peccato impuro in un religioso.
In un religioso poi l'impurità è una nefan-
dità appena concepibile. Un angelo che si
ravvolta nel brago, un principe della corte
divina che discende al livello degli animali
immondi! Tu sai la dolorosa sorte del Fi-
gliuol prodigo, ridotto a disputare il cibo agli
animali immondi: ecco la sorte di chi pecca
vergognosamente. E pensa alle disastrose
conseguenze che ne derivano! La rovina della
vocazione e quindi il tradimento d'una sacra

15.7 Page 147

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— 284
e solenne promessa, il disonore di se stesso,
e sovente anche della comunità e della stessa
congregazione; lo scandalo e la rovina di tan-
te anime: ecco il triste appannaggio d'una
fatale caduta! Oh quante volte così ai supe-
riori tremano il cuore e la coscienza nei ri-
guardi di qualche incauto e leggerino! Trema
anche tu, o mio caro, e non crederti mai si-
curo, chè la storia insegna e spaventa. Lu-
cifero peccò in cielo, Adamo nel paradiso
terrestre. Puoi cadere anche tu. Le lagrime
di poi cancellerebbero la colpa, ma non tut-
te le sue conseguenze. Piangi di spavento,
piuttosto che di rimorso.
Mezzi di preservazione.
Non debbo immaginare che tu, mio pove-
ro figliuolo, abbia bisogno di correggerti di
vizio così nefando. Se avessi qualche disgra-
zia di questo genere confessati subito e bene,
confidati col tuo maestro, il quale ti sugge-
rirà le risoluzioni e decisioni estreme da pren-
dere. Posso invece supporre che tu senta gli
stimoli della concupiscenza, come un'assillan-
te minaccia alla tua virtù e vocazione. Non
scoraggiarti. Sii pronto a ribattere la tenta-
zione, come se una bragia ti cadesse sulle
carni e sulla veste più bella. Sta' forte e ri-
peti coi Maccabei: Potius mori quam foedari,
piuttosto morire che peccare. Prega fervoro-
— 285*
samente, accostati tutti i giorni alla santa co-
munione con divozione ed amore. Custodi-
sci i tuoi sensi esterni ed interni, mortifica
il cuore e sta' umile, umile, umile. Mantienti
allegro, ed occupato sempre: sii anche molto
intransigente su tutto ciò che può anche solo
offuscare il tuo candore. Dna macchia anche
piccola, disdice molto in una veste preziosa
e candida! Fuggi qualsiasi occasione anche
lontanamente pericolosa, a meno che non ti
ci metta l'obbedienza; ed anche allora prendi
tutte le precauzioni necessarie, e prega mol-
to per uno speciale aiuto del Signore. Abbi
frequente e profondo il ricordo delle verità
eterne, specialmente della morte e dell'infer-
no. Sii devoto della Madonna, dell'Angelo
Custode e del nostro Santo Fondatore. Ma
soprattutto abbi molta apertura di coscienza
eoi maestro e col confessore, e sii loro ubbi-
diente. Altre cose ti dirò in seguito parlando
della purezza. Per ora finisco con un detto
di Gesù, che estendo al caso nostro: niente
di contaminato può entrare nel regno dei cie-
li. Regno dei cieli in terra, regno di grazia e
di santità è la nostra cara congregazione;
essa non vuole e non sopporta nulla di mac-
chiato. Per amor di Dio e di Don Bosco, per
la salvezza della tua anima: ritirati quanto
prima, se non ti sentissi abbastanza sicuro
sulla bella virtù. E non sperare solo da Dio,
ma esigi da te e dal tuo passato una salva-
guardia per l'avvenire.

15.8 Page 148

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— 286 —
CAPO XXII
DELLA MORTIFICAZIONE
In che consiste la mortificazione.
La mortificazione consiste in un'abitudine,
ottenuta con la grazia di Dio e coll'eserci-
zio, di raffrenare e regolare con facilità e
prontezza tutti i movimenti e trasporti delle
passioni. E più in breve: è un'abitudine di
far sempre gli atti contrari alle nostre pas-
sioni ed inclinazioni. In ciò che riguarda le
passioni essa è di stretto obbligo; invece è
solo di consiglio nei riguardi delle inclina-
zioni.
Le passioni disordinate.
Iddio aveva creato Adamo ed Eva nel-
l'ordine e nella felicità. Tutto in essi tendeva
al bene. Ma, commesso il peccato, tutto in
loro fu disordine e ribellione. La carne fu
contro lo spirito, e lo spirito contro Dio. E
questa triste conseguenza della colpa origi-
nale si comunicò a tutto il genere umano.
Così tutti ne risentono i morsi e la vergogna,
— 27
fatta solo eccezione di Gesù e della sua Ma-
dre Immacolata. Le forze e le tendenze ribelli
si dicono passioni.. Esse sono certe tendenze
disordinate, le quali spingono ad amare, a
volere, a procurarsi soddisfazioni proibite
dalla legge di Dio. Niuno ne è esente; ma
alcuni ne hanno di più, altri di meno, secon-
do le costituzioni fisiche, la prima educa-
zione, l'età e le circostanze. In alcuni esse si
sviluppano più presto, in altri più tardi; in
alcuni sono più violente, in altri meno. Mol-
te volte stanno anche in noi in uno stato la-
tente, e come sotto la cenere; ma vi sono, e
possono sorgere quasi inaspettatamente, al
sopravvenire di qualche occasione o circo-
stanza. Col crescere dell'età, col trovarsi con
persone non ancor vedute, coll'imparar cose
prima ignorate, le passioni facilmente diven-
gono gagliarde, e dànno fortissime battaglie.
E se allora non si sarà ben rivestiti di for-
tezza, di virtù, che accadrà? Si resterà loro
preda, e si sarà trascinati nell'abisso del pec-
cato. Di più: in ciascuno v'è sempre qualche
passione più forte, più ardente, più violenta
delle altre tutte. Questa dicesi la passione
dominante, perchè vince le altre in forza,
più delle altre e più spesso si fa sentire, e
con maggior facilità trae la persona ad as-
secondarla. Essa qualifica il temperamento in-
dividuale ossia l'indole della persona. Qua-
lora le passioni in generale e specialmente la
dominante, non siano dalla volontà ben raf-

15.9 Page 149

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~~ 288 —
frenate e tenute in piena soggezione, infalli-
bilmente inducono l'anima a molti e gravi
peccati. Non solo le impediscono di tendere
alla perfezione richiesta dallo stato religioso,
ma anche la precipitano nell'eterna danna-
zione. Di qui la grande necessità ed il grande
obbligo di prendere i mezzi necessari affinchè
le passioni non abbiano mai a dominare. Ora
il mezzo per tenere bene raffrenate e soggette
le passioni è la virtù della mortificazione.
Anche in te sono le passioni.
Orbene: anche tu sei prole del primo pa-
dre peccatore; hai quindi in te stesso i ger-
mi delle passioni della corrotta natura. Dun-
que hai la necessità di possedere ben radica-
ta nel cuore la virtù della mortificazione, af-
fine di resistere sempre con atti contrari alle
tue passioni, per frenarle, per vincerle, per
domarle affatto. Altrimenti cadrai per lo me-
no in peccati veniali senza numero, nè mai
di un sol passo t'inoltreresti nella via della
perfezione. Che se le tue passioni fossero ar-
denti ed impetuose, peggio poi se ti trovassi
esposto a qualche occasione seducente e pe-
ricolosa, non potresti a meno, senza grande
mortificazione, di cadere in peccati molto gra-
vi, e quindi in pericolo della dannazione
eterna.
— 289 —
Necessità della mortificazione delle pas-
sioni.
Perciò più volte il Divin Maestro inculca
la necessità di questa virtù: « Chi vuol ve-
nire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda
la sua croce e mi segua (1) ». « Chi non
prende la sua croce e mi segue, non è degno
di me (2) ». E San Paolo scrive ai Galati:
< Quelli che sono di Cristo devono crocifig-
gere la loro carne coi suoi vizi e colle sue
concupiscenze (3) ». E l'Apostolo vuole inol-
tre che la nostra mortificazione sia continua,
perchè scrive ai Corinti che noi dobbiamo
portare sempre, per ogni dove, nel nostro
corpo, la mortificazione di Gesù Cristo (4).
Come si acquista questa mortificazione.
Come si acquista questa mortificazione?
Primieramente si acquista con la grazia di
Dio, che l'infonde nell'anima e da cui viene;
(1) « SI quis vult post me venire, abneget semetipsum
et tollat eracem suam et sequatur me • (MATTEO, XVI,
24).
(2) « Qui non accipit crueem suam et sequitur me,
non est me dignus » (Ibid., X , 38).
(3) « Qui sunt Christi, carnem suam cruciflxerunt
eum vitiis et eoncupiseentiis • (Gal., V, 24).
(4) a Semper mortificationem Jesu in corpore nostro
cireumferentes, ut et vita Jesu manifestetur in cor-
poribus nostris » (II Cor., IV, 10).

15.10 Page 150

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— 290 —
perciò bisogna pregare per ottenerla. E se-
condariamente si acquista poi col lungo eser-
cizio della medesima. Questa mortificazione
va esercitata nei modi seguenti:
1° Prevenire i movimenti delle passioni.
Bisogna procurare che le passioni non si
destino; e perciò si devono evitare tutte quel-
le occasioni che possono suscitarle nel cuor
nostro. Tu perciò devi evitare la compagnia
o la visita di certe persone, la lettura di libri
leggeri e fantastici o comechessia per te pe-
ricolosi, l'eccesso del mangiare e del bere, il
troppo dormire od oziare, l'udir canti o suo-
ni profani, ecc.
2° Mortificare le passioni nel loro principio.
Appena le passioni cominciano a destarsi
ed a farsi sentire urge un pronto ed energico
intervento; poiché allora, essendo ancora de-
boli e fiacche, è facile raffrenarle e tenerle
soggette. Al contrario molto difficile sarà il
vincerle e l'assoggettarle quando avranno già
posto profonde radici nel cuore, e da gran
tempo avranno dominio sulla volontà. Biso-
gna capir bene, che quando la volontà da
tempo non ha fatto resistenza alcuna alle
passioni, ma le ha assecondate ordinariamen-
—2
te, allora nella persona si è formato l'abito,
ossia l'abitudine di consentirvi. Ora l'abito
cattivo, che è come una seconda natura, do-
mina la volontà, la tiranneggia, e la trasci-
na fieramente al peccato. Ed il peggio è, che
quando una persona è rimasta schiava di
qualche abito perverso, la misera, anche ve-
dendo e conoscendo ii suo stato infelice, non
sa liberarsene. Ella stessa odia e detesta la
passione e il mal abito, da cui è signoreg-
giata; vorrebbe rompere le ree catene, uscirne
libera una volta, trionfare del peccato e con-
vertirsi a Dio. Ma sì fortemente si sente in-
catenata ed oppressa, che in sè non più trova
coraggio a resistere, non più forza a com-
battere. Onde, non ostante il suo debole vo-
lere, in forza del mal abito, finisce sempre
col non volere mai efficacemente; e così sem-
pre consente alla passione che l'ha resa
schiava. Di qui comprenderai quanto importi
il non contrarre abitudini cattive, e perciò
quanto importi di mortificare le passioni nei
loro principii.
3° Mortificare le passioni in tutte le cose
finche piccole.
Bisogna negar alle passioni ogni benché
minima soddisfazione. Perchè colui, che non
mortificando le passioni nelle piccole cose,
va concedendo loro qualche soddisfazione, ac-

16 Pages 151-160

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16.1 Page 151

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—- 292 —
quista l'abito del consentirvi e soddisfarle.
Questo abito poi, sebbene versi per ora su
cose piccole, lo indurrà poco a poco a non
mortificarsi più nemmeno nelle cose più gran-
di, e così a concedersi soddisfazioni grave-
mente peccaminose. È da rammentare spesso
il detto dello Spirito Santo: Chi trascura le
cose piccole a poco a poco cadrà nelle grandi.
4" Mortificare le passioni del continuo e
sempre.
Le passioni, benché per la continua re-
pressione perdano molto di forza e di ardore,
pure non muoiono mai. Lo dice San Bernar-
do: «Tagliate, ripullulano un'altra volta; cac-
ciate, ritornano; smorzate, si riaccendono di
nuovo, e assopite, di nuovo si destano ». An-
zi, benché un'anima sia già salita ad alto
grado di santità, pure dentro se stessa ha
sempre le passioni. Perciò nessuno mai deve
astenersi dal praticare del continuo la più
severa mortificazione. Il nostro cuore è un
orto, in cui sempre nascono erbe malvage e
nocive. Bisogna quindi tener sempre tra ma-
no il raschio della mortificazione. Qualora
per accidia taluno diventasse rimesso e tra-
scurato nella pratica di sì importante virtù,
le passioni già in lui addormentate, di nuovo
si desterebbero; e, riaccendendosi, gli dareb-
bero fierissimi assalti e potrebbero anche
— 293 —
trascinarlo a peccato grave. Dice San Gre-
gorio: «Se trovasi uno in mezzo ad impetuo-
sa corrente d'acqua e non si sforza lavoran-
do di braccia e di piedi per andare all'insù,
ma invece si quieta e vuol riposarsi, qual co-
sa gli avviene? Che la corrente delle acque
lo travolge nelle onde, lo spinge all'ingiù e
lo annega. Così è dell'anima che si stanca
di combattere contro le passioni: ella dalla
violenza di queste viene travolta nell'abisso
del peccato ». Così ben dunque si può chiu-
dere con San Vincenzo De' Paoli, il quale
dice: « Se uno, avendo già un piede in para-
diso, venisse a stancarsi in questo esercizio,
in quel tempo che ci vorrebbe per mettervi
1 altro piede, sarebbe in pericolo di perder-
si ». È suggerimento sapiente di San France-
sco di Sales, che per certe passioni è meglio
cambiare oggetto. Così egli fece dell'amore,
ponendo Dio al posto delle creature e di se
stesso. Intenditi anche su ciò col tuo mae-
stro.
Della passione dominante.
Mettiti specialmente a combattere la pas-
sione dominante. Naturalmente bisogna pri-
ma conoscerla, il che è molto difficile, aven-
do essa più di tutte l'astuzia caratteristica
di nascondersi. Si camuffa spesso di zelo, di
giustizia, di pietà, e perfino di carità. Per

16.2 Page 152

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— 294 —
iscoprirla esaminati accuratamente sulle ten-
tazioni e tendenze più ordinarie, sulle man-
canze più frequenti. Esaminati anche sui mo-
vimenti istintivi di gioia o di tristezza, e
studiane le cause remote. Chiedine al confes-
sore, al maetro ed anche a qualche buon com-
pagno fidato, soprattutto prega il Signore che
t'illumini. Scopertala devi combatterla stre-
nuamente e tenacemente. Prendila per parti,
o nelle sue diverse propaggini; insisti e pre-
ga: vincerai! Spezza, anima generosa, le tue
catene, e fin da questa vita ti sorriderà la
pace. Però, caso mai, la tua sia sempre una pa-
ce armata. Riposa coli'arma al piede, e non dor-
mire. Questa passione tra tutte è la più astu-
ta e traditrice. All'erta! Se pertanto sei ri-
soluto di perseverare nel bene e più ancora
se vuoi incamminarti nella perfezione, sii
sempre vigilante ed attento sopra te stesso,
per praticare una severa e continua mortifi-
cazione delle tue passioni.
5° Mortificazione delle inclinazioni.
La mortificazione delle passioni è coman-
data da Dio, e necessaria alla salute eterna.
Ma chi tende alla perfezione conviene che
proceda oltre, e mortifichi anche le inclina-
zioni naturali. Queste non c'inducono per sè
a peccati gravi, ma ci arrestano al proprio
compiacimento, e ci distolgono da Dio e dal
— 295 —
suo gusto. Sebbene spesso Dio non ci proibi-
sca tali oneste soddisfazioni, pure egli deside-
ra che noi ce ne priviamo, e che anche in
queste cose lecite rinneghiamo ciò che piace
a noi, per fare sempre ciò che maggiormente
piace a lui. Perciò sebbene non ne faccia un
comando, ne dà però un consiglio e dice per
esempio: Se vuoi essere perfetto, va', vendi
ciò che hai, dàllo ai poveri, vieni e seguimi.
Anche San Paolo a nome del Signore, con-
frontando lo stato verginale al matrimoniale,
dice che il verginale è più perfetto, e perciò
ne dà consiglio ai fedeli: Consilium autem do.
Cosi per il completo rinnegamento della pro-
pria volontà il Signore ne dà consiglio, dicen-
do chiaro che chi vuol seguirlo più da vicino
la rinneghi. Per il conseguimento pertanto
della perfezione è assolutamente necessario
questo secondo grado di mortificazione. Anzi
nel seguire i consigli evangelici è posta l'es-
senza dello stato religioso. Tu pertanto ti de-
vi animare a mortificarti non solo nelle cose
necessarie, ma anche nelle cose di superero-
gazione. Non arrestarti alle mortificazioni del
tutto necessarie, ma procedi innanzi e pratica
anche quelle di consiglio. Mortifica quindi
!e inclinazioni tue naturali, specialmente i
desideri della volontà, privandoti di quelle
cose e soddisfazioni, pure oneste, ma non
necessarie. In tal modo maggiormente con-
formerai la tua volontà a quella di Dio: ac-
quisterai l'abito della mortificazione, per cui,
11

16.3 Page 153

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— 296 —
schivando prontamente e facilmente innume-
revoli difetti, e praticando moltissimi atti di
virtù, farai grandi progressi nella via della
perfezione. Onde l'Imitazione di Cristo esce in
questa grande ed universale sentenza: Quanto
più ci faremo forza nel mortificarci, tanto
più andremo avanti nella perfezione (1).
Chiunque viene per farsi religioso deve es-
sere guidato dal santo fine di seguire le trac-
ce di Gesù Cristo. Perciò deve anche prefìg-
gersi il pensiero di bandire da sè ogni senti-
mento di delicatezza, e rivestirsi dello spiri-
to del Divin Maestro. Se oltre l'avere, il Di-
vin Redentore, inculcato sì grandemente nel
Vangelo ai suoi seguaci di addossarsi la cro-
ce della penitenza (2), ha portato anch'egli
per nostro esempio la stessa croce per lo spa-
zio di trentatrè anni, vale a dire per tutto il
corso della sua vita, accompagnata sempre da
patimenti, da povertà, da stenti, da fatiche,
da privazioni d'ogni genere; ognuno ben ve-
de, che nessun'altra virtù è così conveniente
ad un religioso, specialmente a noi, quanto lo
spirito di sacrifizio e di mortificazione e di
penitenza, ed è obbligato per professione a
praticarla finché vivrà in questo mondo. Ma
specialmente noi salesiani, non possiamo far-
t i ) ^ Tantum profeceris, quantum tibi ipsi vim
intuleris » CZm. Ohr., libro I, cap. 11).
(2) ?« Si quia vult post me venire, abnegret seme-
tipsum, et tollat cruoem suam, et sequatur me » (MAT-
TEO, X V I , 24).
— 27
ne a meno. Ed infatti abbiamo per istituto
nostro una vita tutta attività, e dobbiamo
continuamente trovarci coi giovani. Nello
stesso tempo dobbiamo praticare una povertà
perfetta, una rigida modestia ed una pazien-
za eroica. Guai se si cercasse da noi la mini-
ma delicatezza, o se venissimo a trovare gra-
ve il metodo di vivere povero e disagiato!
Inoltre la vita comune, se ci è fonte di ogni
bene per l'anima, è pure occasione di mille
e mille rinnegamenti. Anche la mortificazione
del cuore deve essere nostra compagna indi-
visibile; poiché dobbiamo amare tutti ugual
mente ed assolutamente non attaccare il cuore
più ad uno che ad un altro. La vita comune
potrebbe anche essere per te una speciale
mortificazione, qualora per caso tu prima di
venire in congregazione fossi stato fornito di
ogni comodo, abituato a cibi gustosi, avvez-
zo a dormire su morbido letto, e riposare le
lunghe ore, provveduto insomma di tutto ciò
che poteva tenere contenta l'umana delica-
tezza. Se fosse così, devi fin dai primi mesi
dimenticare tutto; se no disgraziato te, sfor-
tunata la nostra Pia Società che ti diede ri-
cetto. Non lusingarti: devi abituarti a letto
duro, a cella angusta, disadorna e povera; a
cibi ordinari e grossolani, e molte volte con-
fezionati da cuochi inesperti. Pensa pure che
ìlle volte non potrai cibarti nè a genio del
palato, nè a misura della fame. E questi di-
sagi bisogna tollerarli con sottomissione, con

16.4 Page 154

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umiltà, con pazienza, come deve appunto tol-
lerarli uno che fa professione di penitenza,
senza lagnanze, senza risentimenti. Anzi de-
vi studiarti a tutto potere per mostrarti tan-
to più allegro e contento quanto più avrai da
soffrire; seguendo in questo l'esempio degli
apostoli, che andavano festanti quanto più
avevano occasione di patire per amore del
Signore (1).
Non far come gli ebrei.
Mentre gli israeliti stavano nella schiavi-
tù di Egitto si contentavano di tutto, e non
si legge che uscisse dalle loro labbra neppu-
re un lamento. Stavano rassegnati a quella
schiavitù, lavorando indefessamente dal mat-
tino alla sera, ora colla vanga alla mano sca-
vando la terra per far mattoni, ora in adu-
nare paglie per le fornaci. Un poco di cipol-
la, un poco di pane asciutto, una meschinis-
sima polenta era per essi cibo delicatissimo,
perchè condito colla fatica, coi sudori, e col-
la fame. Anche quando dovettero partire dal
paese si mostrarono contenti e lieti, benché
dovessero tutti viaggiare a piedi, carichi sul-
le spalle del loro bagaglio. Invece, appena
(1) « Ibant apostoli gaudentes a conspectu concilii,
quoniam
liamipati
d«ig(Anittbi,abi~tlVs,u
nt prò
41).
nomine
Jesu
contume-
asciti dal Mar Rosso e liberati dalla schiavi-
tù, benché guidati dal Signore, benché nutri-
ti colla manna, posta in dimenticanza la loro
passata meschinissima condizione di schiavi,
divennero delicati, schifiltosi, nauseati persino
della manna, e incominciarono a riempire
i'aria di clamori domandando cibi più squisi-
ti, carni più saporite. Anche tu, figliuolo mio,
venendo alla religione, sei uscito da un Egit-
to sventurato o per stenti fisici o per mancan-
ze morali. Deh! Non fare come quei cattivi
ebrei, dei quali nessuno entrò nella terra pro-
messa! Tu ci vuoi entrare nella vera terra
promessa, cioè in paradiso! Ebbene fa' tut-
to il contrario di quel che fecero gli ebrei.
Lavora più in Congregazione di quel che non
fanno i mondani nel mondo. Sii sempre con-
tento dei cibi, fossero pure più ordinari di
quelli di cui si contentano i poveri contadi-
ni, ed ama gli stenti ed i sacrifici, facendone
più di quanti ne fanno i poveri operai. Co-
sì sarai vero religioso; altrimenti ne avrai so-
lo il nome e non la sostanza. Come vuoi che
Iddio resti contento di te se da una condi-
zione meschina, stentata e povera che avevi
prima, vieni in uno stato di perfezione, di
mortificazione e di penitenza cercando leni-
tivi e delicatezze? È questo un assoluto con-
trosenso. Quel voltar continuamente lo sguar-
do all'antico Egitto, quel desiderarne ancora
£li agli e le cipolle, ti fa troppo torto; come
fa troppo torto a Gesù, che per infinita sua

16.5 Page 155

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— 300 —
3
misericordia ti chiamò a sè, abbondando teca
di grandi grazie.
Mentre eri ancora secolare soffrivi in pa-
ce la mancanza di molte cose, obbligato per
così dire a una penitenza forzata. E perchè
poi da religioso ricuserai di fare la mortifica-
zione cui volontariamente ti assoggettasti, mor-
morando se i cibi non sono saporiti, se sono
scarse le vivande, se il pane non è ben cotto,
se il vino è adacquato, se non hai tutto il bi-
sognevole, se la camera non è in posizione
favorevole, se i mobili son logori e poveri?
< Gran che, dice San Girolamo di se stesso,
quando io ero secolare, sebbene nato in una
capanna, allevato tra le angustie di una vita
stentata, a mitigare gli stimoli della fame mi
nutrivo di puro pane di miglio, ed anche in
iscarsa misura; ed ora che sono religioso son
divenuto così delicato, che mi rincresce di ci-
barmi di solo pane, sebbene fatto di fior di
farina, e perfino il miele mi pare disgusto-
so » (1). E non è per verità una grande ver-
gogna vedere un religioso fare il delicato?
La povertà spaventa, il provarne gli effetti
inasprisce, e il gran lavoro si fugge; i cibi
scarsi o mal conditi indispettiscono e fanno
diventare melanconici. E che cosa è questo?
Grida atterrito San Bernardo: Quid est hoc?
(1) • Natus in paupere domo et in tugurio rusticano,
qui vix milio et cibario pane rugientem saturare ventrem
poteram; nuno similam et mella lastidio » (Ep., LII,
ad Nepot. de vita Clericor. n. 6).
Che novità? Che stravaganza? Avete tanto
:aura che tutto pregiudichi la vostra com-
plessione! Ma voi non dovete guardare la vo-
stra complessione; dovete attendere a ciò, cui
vi obbliga la professione, che vi astringe ad
una vita mortificata. Resta adunque, figliuolo
mio, ben persuaso, che alla religione ci si vie-
ne non per godere, ma per patire; non per
menare una vita comoda, ma solo per ripa-
rare colla penitenza i trascorsi della vita pas-
sata. Il Signore, vedendo la tua buona vo-
lontà, ti aiuti a fare del bene ed a salvare
delle anime. — Che se poi il tuo Egitto del
«colo fosse stato florido, abbondante, deli-
zioso, e tu avessi fatto un sacrificio coli'ab-
bandonare tutto, perchè ora ti tiri indietro
e non ti mostri generoso col Signore? Corag-
gio! Il più è fatto: si tratta solo più di per-
severare. Lo sapevi bene che venendo in una
congregazione religiosa dovevi rinnegare te
stesso! Ora che sei qui non volere rimanere
indietro per le difficoltà che trovi. Sappi che
Iddio ti aiuterà, e quello che è amaro, colla
rrazia del Signore diventerà dolce, e quel che
è pesante ti tornerà gradevole.
Pensa che se tu per viltà abbandoni il Si-
gnore, egli abbandonerà te. Quando, stando
incora in collegio, o a casa tua, ti sei deciso
di farti religioso, non ti sgomentarono gli in-
comodi, nè ti sbigottirono le croci prevedute
cella religione. Tutto allora ti sembrava fa-
cile, e amavi persino i rigori stessi d'una vi-

16.6 Page 156

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ta austerissima. E quindi se poco a poco sei
venuto annoiandoti della tua intrapresa, è
segno che si è spento in te il fervore di pri-
ma. Cerca di riacquistarlo e sarai felice.
Grande errore da evitare.
Di un solo scoglio ho ancora bisogno di
avvisarti, affinchè lo eviti ora che sei a tem-
po. Non credere che le mortificazioni o la vita
mortificata si restringa al solo tempo del no-
viziato! Toglitelo pur di mente, se lo avessi
creduto fin ora; perchè sarebbe un inganno,
e inganno grande, e d'un effetto perniciosissi-
mo. Questo sistema di vita mortificata che
ti tiene ora, questa esattezza, questo timore
di mancare anche nelle piccole cose, questo
continuo rinnegamento di te stesso, sei obbli-
gato a conservarlo anche dopo che avrai pro-
fessato, e costantemente e sempre senza in-
terruzione, cioè finché sarai religioso, finché
sarai figlio di Don Bosco e di nostra Pia So-
cietà. Anzi devi badare a crescere ancora, e
crescere sempre. So che potresti addurmi l'e-
sempio di alcuni confratelli che, deposto ogni
uso delle antiche osservanze, vivono senza
tanti riguardi, e senza sforzi per ciò che spet-
ta l'osservanza delle regole! Ma che credi tu
di poter inferire da tutto questo? Credi che
questo argomento valga qualche cosa per ani-
mare te a fare altrettanto? Oh no! Poiché io
ti rispondo, in primo luogo, che questi rilas-
sati la sbagliano grandemente, e anche tu la
sbaglieresti se sul loro esempio rallentassi la
esatta osservanza del noviziato. E poi? Vuoi
tu essere di coloro che disonorano il nome di
Don Bosco, di coloro che disonorano la croce
che abbracciarono, disonorano Gesù che li
chiamò a servirlo da vicino? Mi pare si pos-
sano benissimo applicare ai religiosi tiepidi
quelle parole di Isaia, con cui il Signore si
lamenta: Che dovevo fare di più per la mia
vigna che non l'abbia fatto? Perchè allora
mentre mi aspettavo uve mi produsse frutti
selvatici? (1).
Costoro, figliuol mio, per le loro delica-
tezze sono fuori di strada; sono cioè fuori
della strada del paradiso, perchè fuori della
via a loro tracciata dal Signore. E se godono
un paradiso in questo mondo, questa sarà
tutta la loro mercede. Bada bene, se ti sta a
cuore la mercede eterna, a non camminare
anche tu sul loro esempio, fuori della vera
strada e incamminarti con essi a quella della
perdizione! Ritienlo ben a memoria ora e
sempre, che la via del paradiso è scabrosa,
stretta, la porta bassa; e solo chi sa farsi vio-
lenza entrerà in quel beato regno (2).
(1) « Quid est quod debui ultra tacere vineae meae
et non feci ei2 An quod expectavi ut faceret uvas et
fecit labruscas? » (ISAIA, V. 4).
(2) « Angusta porta et areta via est quae ducit ad

16.7 Page 157

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— 304
I tuoi esemplari
Specchiati piuttosto in tanti buoni con-
fratelli che per grazia del sommo Iddio vi so-
no e in buon numero, in ciascuna casa no-
stra. Questi li vedrai poveri, mortificati, os-
servantissimi, quali furono fin dai primi gior-
ni della loro entrata in religione. Se guardi
il loro modo di vestire, tu li vedrai fuggire
ogni singolarità, ogni ricercatezza, ed esser
contenti di tutto. Se guardi i loro piedi li
vedrai portare le scarpe più ordinarie, sen-
za ricercatezza di sorta. Se li guardi in capo
li troverai regolarmente coi capelli corti, non
azzimati, senza ciuffo. Se li incontri nei viag-
gi li troverai a piedi ogni volta che si può
e nelle terze classi, quando per qualche cir-
costanza necessaria per servirsi dei « diretti »
non avessero una assoluta necessità di anda-
re nelle seconde. Se entri nelle loro camere
troverai bensì pulizia ed ordine, ma non vi
scorgerai altro che vestigia di povertà. Se li
osservi in refettorio li vedrai contentarsi del
vitto comune e nulla più desiderare. In chie-
sa li vedrai i primi e ben composti; nelle as-
sistenze sempre puntualissimi, alle medita-
zioni immancabili, e in tutta l'osservanza del-
le regole osservantissimi. Questi sono quelli
che devi imitare; questi siano gli esemplari
vitam... Begnum Dei vim patita1, et violenti rapiunt
illud • (MATTEO, V I I , 14; X I , 12).
—3
a norma dei quali hai da comporre gli anda-
menti del tuo vivere! E in costoro medesimi
devi proporti d'imitare sempre gli atti più
edificanti, le virtù più scelte. Ti sembrerà al-
quanto penoso lo stare sempre sopra di te,
per fare il bene e per imitare gli esempi più
perfetti, ma coll'aiuto del Signore e colla fer-
mezza della tua volontà e tenacità di propo-
siti, vedrai per esperienza che ti sarà facile
nell'esecuzione. E poi bisogna che sappia far-
ti coraggio, non badare a quanto si ha da
patire adesso, ma confortati al pensiero di
quel godimento eterno che succederà ad una
vita stentata e penitente. Mentre invece devi
prender forza dal considerare l'eterno patire,
che immancabilmente verrebbe dietro ad un
vivere delicato e molle.
Ricordare il premio ed il castigo.
La grand'anima di San Pietro d'Alcàn-
tara, allorché dopo morte venne dagli angioli
trasportata in Paradiso, andava lietamente
esclamando: O felice penitenza che mi me-
ritò tanta gloria (1). Il nostro Don Beltrami,
che era tanto mortificato, in mezzo ai suoi
immensi patimenti domandava sempre più di
patire; e godeva grandemente quando l'osser-
(1) • O felix poenitentia, quae tantum mihi pro-
meruit gaudium

16.8 Page 158

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vanza delle regole, o la custodia della casti-
tà, o l'osservanza perfetta della povertà, gli
davano occasione di grandi patimenti. Ma
ora, quanto ne godrà in paradiso! A questa
gloria, che è il premio della penitenza, siano
rivolti i tuoi pensieri qualunque volta l'im-
mortificazione volesse farti scuotere in qual-
che parte il giogo di quelle osservanze che
portano seco un po' d'incomodi. E a quell'e-
terno patire, che è il castigo della delicatez-
za, si fissino le tue riflessioni, qualora l'amor
proprio tentasse trarti ad accarezzare con in-
doverose libertà il tuo corpo, ovvero il cuore
ti portasse agli affetti sensuali verso qualcu-
no, o la superbia ti rendesse insopportabile
lo stare soggetto a qualche superiore, o l'ira-
scibilità ti portasse ad impeti di sdegno od a
voglie di vendetta, o l'invidia tentasse di farti
prendere in uggia qualche compagno e ti
spingesse a perseguitarlo; qualora l'accidia ti
facesse trascurare i doveri che ti si impo-
nessero di assistente, di scuole ed uffizi dif-
ficili da disimpegnare, o quando il tuo egoi-
smo ti spingesse a non voler accettare qual-
che carica, cambiare qualche occupazione,
andare in qualche casa che non ti piace, ecc.
E quando la tua delicatezza provasse di farti
stancare nella via della mortificazione intra-
presa, rispondi coraggioso: e perchè ho io
a privarmi di questo merito, che diminuireb-
be di molto gli splendori della mia eterna
corona? Quanto più devo faticare tanto più
grande sarà il premio, che spero conseguire
dal mio buon Dio; sicuro come sono, che la
sua amorosissima liberalità rimunererà ogni
mio patimento, ogni mia privazione. Sì, fi-
gliuolo mio, cerca d'incoraggiare in questa
guisa la tua debolezza, animandoti a un pa-
tire costante, e sarai sicuro d'un eterno go-
dimento. Ah! quanto è meglio soffrire un po-
co in questo mondo, per poi godere in eterno
nel paradiso! Quanto è meglio privare il cor-
po in questa vita di qualche comodo e pia-
cere, per non far penare in eterno il corpo
stesso e l'anima giù nell'inferno!
CAPO XXIII
DELLA MORTIFICAZIONE INTERNA
Sua necessità.
La mortificazione può suddividersi in ester-
na o corporale, ed interna o spirituale.
La prima mira a mortificare i sensi ester-
ni, del che si parlerà nel capo seguente; la
seconda, di cui si ha a trattare qui, mira a
mortificare i sentimenti interni dell'anima e
del cuore. L'una e l'altra sorta di mortifi-
cazione interna è di maggior importanza, ha
maggior merito presso Dio, è più profittevole

16.9 Page 159

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— 308 —
per noi, e deve sempre procedere, ed essere
la base della mortificazione esterna. Senza
l'interna, l'esterna approderebbe a nulla, ed
alle volte riuscirebbe persin nociva, perchè
solleticherebbe solo la propria vanagloria.
Anche tra le persone d'orazione son poche
quelle che si fan sante, perchè son poche le
capaci di farsi violenza e vincere se stesse.
Sant'Ignazio diceva: « Di cento persone d'o-
razione più di novanta vivono di propria te-
sta! ». Ed egli faceva più conto d'un atto di
mortificazione della volontà che di più ore
d'orazione fra le consolazioni spirituali. E
Sant'Alfonso scrisse: « Yi sono delle persone
che fanno molte divozioni, molte comunioni,
ed anche digiuni e penitenze corporali; ma
poi trascurano di vincere certe loro passion-
celle, per esempio certi risentimenti, certe av-
versioni, certe curiosità, certe affezioni peri-
colose! Esse non sanno vincersi col soffrire
qualche contrarietà, col distaccarsi da certe
persone, coll'assoggettare il proprio volere al-
la divina volontà nella ubbidienza. Costoro
che avanzamento possono mai fare nella per-
fezione? Avranno sempre gli stessi difetti di
prima e saran sempre fuori via. Questo per-
chè non sanno mortificarsi, e non sanno mor-
tificarsi perchè non si misero fin da giovani
con mano forte in questo esercizio tanto ne-
cessario. Nella nostra Pia Società poi questa
mortificazione interna è estremamente neces-
saria. Vi sono tra noi tanti generi di occupa-
—3
zioni, le une intrecciate con le altre, tante
sorta di individui e di gusti; e si ha da trat-
tare con ogni genere di persone; si dànno
tutto il giorno casi così complicati, che sen-
za spirito di mortificazione non si può an-
dare avanti. È poi nostro ufficio di trovarci tra
i poveri fanciulli degli oratori festivi, spesso
poco educati, e con giovani artigiani prove-
nienti molte volte da famiglie bisognose; e
poi abbiamo da fare nelle missioni: se non si
ha un abito ben radicato di mortificazione,
avverrebbe ogni giorno qualche scontro, op-
pure si sarebbe presi da scoraggiamento, e
si interromperebbe ogni bene che si avesse
tra mano, e si correrebbe persino pericolo di
vacillare nella vocazione.
Compito della mortificazione interna.
La mortificazione interna pertanto regge e
regola le nostre tendenze, reprime l'amor pro-
prio disordinato, doma lo spirito, mette sotto
i piedi l'orgoglio e quel puntiglio di onore e
di riputazione che può essere tanto fatale.
Va poi combattendo ogni giorno i vizi e le
male inclinazioni. Aiuta a star sempre sul-
Fattenti per rinnegare la propria volontà, o
sottomettere e soggiogare il proprio giudizio,
a vincer l'ira, reprimere l'impazienza, con-
trastare all'indole fiacca ed accidiosa. E spe-
cialmente essa tende a raffrenare ed a diri-

16.10 Page 160

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==: ,310 —
gere bene i moti del cuore, cioè quegli affet-
ti teneri e sensuali che potrebbero portarti
ad amar le creature invece del Creatore, ed
avvezza a sopportare tutto per amor di Dio.
La mortificazione perciò ti arricchisce di
grandi meriti, e con essa potrai compire
grandi imprese. Bisogna comprender bene
che è in questo principale studio della nostra
abnegazione, che consiste la vera virtù ed il
procedere nella via della perfezione. E tu
devi persuaderti, che nel giorno in cui la-
sciassi di attendere a questo rinnegamento di
te stesso, lasceresti di vivere da vero religio-
so e da vero salesiano.
L'amor proprio.
La prima cosa pertanto cui tende la mor-
tificazione interna è a reprimere l'amor pro-
prio disordinato. Esso è la tendenza insen-
sata e disordinata di riferire tutto a se stessi,
facendosi il centro di pensieri, d'affetti e di
opere. Ci fa cercare i propri comodi, il no-
stro accontentamento, la gloria nostra. Que-
sto è il peggior nemico che abbiamo da com-
battere. Dice Sant'Agostino che la città cele-
ste vien formata dall'amor di Dio fino al di-
sprezzo di noi stessi; la città terrestre vien
formata dal nostro amor proprio sino al di-
sprezzo di Dio. Noi pertanto, volendo for-
mare in noi la città celeste, dobbiamo anzi-
— 311 —
tutto abbattere, per quanto ci sarà possibile,
il maledetto orgoglio e l'amor proprio. Quan-
to meno uno desidera di contentare se stesso,
tanto più amerà Dio. Se poi niente desidera
fuori di Dio, allora esso amerà Dio perfet-
tamente; questo è il punto a cui dobbiamo
noi religiosi tendere con tutte le nostre forze.
Ma non è possibile a noi, secondo lo stato
presente della natura corrotta e deformata
dal peccato, l'essere affatto esenti dalle mo-
lestie dell'amor proprio. Anche tutti i santi
ebbero da combattere continuamente per ab-
batterlo, e neppure essi riuscivano a sradi-
carlo completamente. Non potendo pertanto
noi distruggerlo affatto, dobbiamo porvi tut-
ta la cura nostra nel frenare i suoi moti di-
sordinati; e questo è appunto l'uffizio princi-
pale della mortificazione interna. Tutta la no-
stra vita deve essere una continua guerra:
ma chi sta di fronte ai nemici bisogna che
stia sempre colle armi alla mano per difen-
dersi, perchè se un giorno lascerà di difen-
dersi, in quello sarà vinto.
Sforzati con ogni industria di scoprire ove
si annida in te questo fatale insidiatore. En-
tra in te: osserva i tuoi pensieri, i tuoi af-
fetti, specialmente le tue intenzioni, pas-
sa in rassegna tutte le tue azioni della gior-
nata, e vedi se sono sempre e tutte per il Si-
gnore. Metti a nudo le radici dei tuoi manca-
menti ordinari e degli stadi del tuo umore.
Ma sii furbo: non lasciarti ingarbugliare ed

17 Pages 161-170

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17.1 Page 161

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— 312 —
ingannare dallo stesso serpentello dell'amor
proprio. Chiudi l'orecchio alla sue ragioni,
ed il cuore alle sue strida. Scopertolo, devi
combatterlo senza debolezze e tergiversazio-
ni. Il tuo maestro ti suggerirà e distribuirà il
lavoro. Serviti di tutto: umiliazioni, osserva-
zioni, rimproveri, mancanze, persino i pec-
cati; tutto rivolgi contro di lui. Tieni rette le
tue intenzioni, umili i tuoi pensieri ed affetti.
Questo devi fare ora e sempre, chè l'amor
proprio non muore mai. Coll'attendere a mor-
tificare il tuo amor proprio in breve tempo
potrai farti santo, senza pericoli di guastarti
la sanità o d'insuperbirtene, poiché degli atti
interni solo Dio è testimonio.
Immaginazione.
È anche parte importante della mortifica-
zione il reprimere l'immaginazione. Scaccia
pertanto senza pietà quei ricordi del passato
che ti lusingano ed allettano, e ancora più
quelli che ti destano lo scontento e lo spirito
di vendetta. La massima energia usala contro
il ricordo di impressioni o immagini che pos-
sono destare in te il fomite della concupi-
scenza, o risvegliare qualche passione sua pa-
rente. Allontana pure da te certi progetti di
perfezione o atti di virtù poco comuni allo
spirito dell'istituto che stai per abbracciare,
specialmente se ti distolgono dal dovere, o
—3
ti turbano la gioia o diminuiscono la stima
e l'amore della tua vocazione.
Affetti disordinati.
Per affetto disordinato s'intende una pro-
pensione volontaria verso persone, o verso
cose che l'anima è disposta a non voler ab-
bandonare, anche conoscendo che queste le
servono di pericolo di peccato, o che almeno
la rattiepidiscono nel servizio del Signore,
o anche solo che si oppongono al maggior
gusto e piacere in esso.
Poiché ogni affetto disordinato, o induce
l'anima a trasgredire la legge di Dio, e quin-
di a commettere peccati; o l'induce a con-
traddire al maggior gusto, e quindi ai con-
sigli di Dio, e perciò a commettere cosa im-
perfetta; oppure la pone almeno nella tenta-
zione o nel pericolo. Per esempio tu nutrì vo-
lontariamente propensione ed affetto troppo
spinto per un giovane: or questo attaccamento
ti rende così disposto, che se ti si proibisse
d'andargli insieme, o disubbidiresti, o sare-
sti in grande tentazione di disubbidire; e
perciò commetteresti almeno un peccato ve-
niale. Similmente puoi avere un affetto trop-
po spinto a qualche divertimento, una voglia
troppo spinta di leggere un tal libro, una vo-
glia troppo spinta di vacanze, un attacco per
una casa dalla quale non vorresti essere

17.2 Page 162

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— 314 -
cambiato, una voglia immoderata di fare un
determinato genere di studi. Tutte queste cose
ti rendono così disposto che se anche scor-
gessi in esse pericolo di peccare o anche solo
d'intiepidirti nel bene, tuttavia la vorresti, o
almeno ti metteresti in grande tentazione di
volerle ad ogni costo, e così preferire quelle
cose al maggior gusto del Signore, che da
quelle ti consiglia di rimanere lungi. Questi
affetti impediscono sempre la perfezione cri-
stiana, e sovente impediscono l'eterna salute.
Perciò bisogna che con grande energia sappia
liberartene perchè, come vedi, il minor ma-
le che arrecano è di riempire il cuore di ter-
ra, di cose cioè che non sono di Dio, e non
conducono direttamente a Dio. E tu, il tuo
cuore l'hai già consacrato al Signore, e devi
cercare di riempirlo sempre più di cose che
al Signore conducono. Credilo pure, che, co-
me dice Sant'Agostino, il nostro cuore è crea-
to per Dio, e sarà sempre inquieto finché
non riposerà in Dio. Quanto più tu metti af-
fetto a cose terrene, tanto più deve uscire dal
tuo cuore l'amor di Dio. Il nostro cuore è
ben piccolo e delicato: se lo riempiamo di af-
fetti terreni non vi sta più l'amor di Dio; e
quanto più lo riempissi bene di amor di Dio,
partirebbero da lui gli affetti terreni. Ma es-
sendo questo punto di massima importanza,
conviene che ti esponga separatamente quan-
to riguarda gli affetti verso le persone e verso
le cose, e che discenda ai particolari.
— 315 —
Delle amicizie particolari.
Per affetto disordinato verso una perso-
na intendo quella propensione che si ha ver-
so qualcuno, principalmente a cagione di
qualche qualità esteriore gradevole. Questo
affetto è disordinato, e dicesi anche amicizia
particolare. Ciò avviene quando uno ama te-
neramente un altro per l'avvenenza e grazia
del suo volto, del suo portamento, della sua
voce, o per la conformità del genio e natu-
rale di lui col proprio.
Loro segni.
Segni per distinguere se questa amicizia è
particolare, e perciò condannabile, sono i se-
guenti :
a) se tu pensi volontariamente e spesso
a quella persona immaginandotela presente,
e godendo di tale immaginazione;
b) se ti separi volentieri da altra persona
per startene con essa sola, e se le rivolgi
espressioni affettuose, se le fai accarezzamen-
ti, come prenderle e stringerle la mano, dar-
le baci ecc.;
c) se mai non resti annoiato di sua com-
pagnia, e quando da lei ti parti, senti pena,
e brami l'ora di tornare a godere della sua
conversazione;
d) se le fai regali o presti servizi e favori

17.3 Page 163

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con soverchia premura, o le scrivi lettere af-
fettuose;
e) se senti gelosia e invidia che altri strin-
ga con essa amicizia, concependo contro que-
sti avversione e dispetto. Posti questi ed al-
tri segni consimili, certo vi ha per quella
persona affetto disordinato, un amore ed ami-
cizia sensibile e sregolata.
Perchè son cattive.
Queste amicizie particolari sono un gran
male, maggiore e più pericoloso di quanto
comunemente si creda. E son gran male, per-
chè sono già per se stesse peccato veniale.
Infatti quelle persone si amano solo pel gra-
dimento e piacere che recano ai nostri sensi
o al nostro cuore, ossia alla concupiscenza
nostra, e per alcune loro esteriori qualità.
Per loro quindi si nutre un amore eccitato
e acceso dai sensi e dalla concupiscenza, un
amore sensuale e carnale, simile all'amore con
cui fra loro si amano le bestie. Ora questo
amore è opposto alla natura ragionevole, ed
al carattere soprannaturale cristiano dell'a-
nima. Essa appunto perchè ragionevole e cri-
stiana, deve amare il prossimo con la ragio-
ne, con lo spirito, con la virtù della carità,
e non con la carne e con la concupiscenza.
Anziché amore questo si deve chiamare pas-
sione sensuale. Ne viene di conseguenza che
queste amicizie sensibili e particolari sono
opposte alla ragione, opposte al carattere di
cristiano, quindi disordinate e peccaminose.
Perciò impediscono grandemente la perfezio-
ne, e restano contrarissime al carattere di re-
ligioso.
Sono un gran male perchè dividono il cuo-
re tra Dio e una creatura. Appena infatti
entra in cuore una tale amicizia, l'anima, che
prima forse era divota e fervorosa, subito si
sente fredda e di ghiaccio verso il Signore.
Ormai pensa più poco al Signore e molto a
quella persona. Diminuisce anche il desiderio
di unirsi a Gesù nella santa comunione; non
le piacciono più le meditazioni, ben poco rie-
sce a stare attenta in esse, e tanto meno rie-
sce a prendere risoluzioni ferme e generose.
Non le preme più di dar gusto e piacere al
Signore, con atti frequenti di virtù e di mor-
tificazione. In breve: prima nel cuor suo re-
gnava Gesù col suo vivo amore, ora vi regna
un amore profano, che coi suoi lacci tiene l'a-
nima avvinta e schiava. Sono un gran male
perchè arrecano tiepidezza e profanità nel-
l'anima, e sono la rovina delle vocazioni. Co-
me si comporterà nelle preghiere e nelle pra-
tiche di pietà chi ha il cuore pieno d'altri
pensieri? Come riuscirà ad infervorarsi chi
ha il cuore pieno di terra? Come troverà gu-
sto alle prediche, alle conferenze, ai rendi-
conti, chi non è fortemente deciso di lasciare
queste amicizie? Che sincerità potrà avere

17.4 Page 164

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— 318 —
col maestro e cogli altri superiori? Egli anzi
diventerà astioso coi compagni, pieno di in-
vidie e di stizze e d'avversioni; non più sot-
tomesso ed ubbidiente, ma triste e dispettoso.
Non avrà più pace ed allegrezza, ma proverà
soltanto inquietudini, amarezze, rimorsi! Ed
eccolo tiepido e mondano. Poste queste cose,
come sarà possibile amare ancora la vocazio-
ne, la quale, come si vide, è tutta un'opera
di separazione dalle cose di questa terra, e
consiste tutta nell'unione completa con Dio?
Oh chi non vuole abbandonare e troncare fin
dalla radice ogni affetto particolare ai com-
pagni, rinunci pur subito alla sua vocazione.
Infine queste amicizie particolari sono un ma-
le gravissimo, perchè sono la rovina della
castità, inducendo fortemente a tentazioni
disoneste. Chi può raffrenare una passione a
cui si dà volontaria occasione? Come dire al
pensiero e alla immaginazione, quando si è
sbrigliata: tu andrai solo fino a tal punto? Chi
tratterrà il corpo dal ricalcitrare, quando si è
dato appositamente la briglia all'immagina-
zione? Chi spegnerà due carboni accesi che
siano vicini l'uno all'altro? Non raffrenata,
questa amicizia diviene d'ordinario una cieca
passione, che non si arresta fin che sia ca-
duta nell'abisso della iniquità. Tu forse non
vorrai credermi, e starai persuaso che in
quell'attacco non vi sia del male, o che al-
meno certamente non ti porterà a cadute gra-
vi. Ma tu che non dài retta a chi ne sa più
—3
di te, piangerai poi a lagrime di sangue le tue
sventure. E quel che è più, avrai il rimorso
d'esserne stato avvertito, e di non aver vo-
luto a tempo dare ascolto a chi ti avvisava
per tuo bene.
Come uscirne?
Ora: se tu fossi già preso e stretto nei lac-
ci di profano affetto verso qualche compagno,
che dovresti fare per svincolarti da sì umi-
lianti catene e liberarti da tanto pericolo?
Quando la cosa è arrivata al punto pericolo-
so sopra esposto, bisogna scacciare con forza
e con risolutezza ogni affetto disordinato dal
cuor tuo, e perciò:
a) Fuggi affatto la pericolosa occasione.
Bisogna troncare e rompere tutto d'un colpo
ogni relazione. Nè basterebbe il dire: la tron-
cherò poco a poco; non si deve più andare con
lui, non più vederlo, non più parlargli. Fàtti
coraggio e il Signore ti aiuterà.
b) Distruggi affatto ogni senso o ricordo
d'affetto che n'abbia ricevuto. Anzi distruggi
ogni cosa che possa ridestare la memoria e il
pensiero di lui. Quindi da' al fuoco tutte le
lettere, le poesie, i ritratti, i regali. Resisti
sempre con forza ad ogni movimento del
cuore tuo verso di quel tale: distacca pronta-
mente dal pensiero l'immaginazione sua ap-
pena si presenta.

17.5 Page 165

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- 320 —
c) Ricorri del continuo e con istanza al
Signore, chiedendogli forza e grazia ed ef-
ficacia per vincere sì pericolosa passione.
L'amore di Ggsù quando è ben acceso con-
suma ben presto ogni altro affetto.
d) Finalmente e specialmente, apri ben
bene il tuo cuore al maestro, o al superiore
che hai e metti in pratica con tutta esattez-
za quegli altri avvisi pratici e del momento
che egli ti suggerisce. Manifestagli man ma-
no la continuazione dei pensieri che ti ven-
gono a quel proposito, ed il perdurare che ti
faccia la tentazione. Se non si fa così e non
si viene a tagli risoluti e forti, per quanto do-
lorosi, queste amicizie non ti lasceranno mai
completamente; anzi vieppiù si riscalderan-
no, e brucieranno l'anima col fuoco di im-
purità, per farla bruciare poi eternamente
col fuoco infernale.
Ma se si fosse costretti o per necessità, o
per obbedienza, o per convenienza, o per non
dar luogo a scandali od a mormorazioni, a
trovarsi spesso con quel compagno, come al-
lora uno si dovrebbe regolare? In questo ca-
so in cui l'occasione è necessaria, per non ca-
dere in peccato alcuno:
a) Attienti rigorosamente a quanto ti sug-
gerirà praticamente il maestro o il confessore
o altro superiore che ti debba dirigere.
b) Astienti bene dal fissare gli occhi so-
pra di lui, dal rivolgergli ancora parole affet-
tuose, dal dargli qualsivoglia segno di affe-
— 321 —
zione. Invece trattalo con poche e indifferenti
parole, con gran serietà e colla maggior pos-
sibile brevità.
c) Procura di tenere sempre la mente ed il
cuore rivolti a Dio. E vieppiù pregando cer-
ca di riempire il tuo cuore di così ardente
amor di Dio, che le fiamme del Divino Amo-
re abbiano a santificare od incenerire ogni
affetto terreno.
Attacchi a cose terrene.
Per quanto riguarda l'affetto disordinato
verso le cose terrene e verso le proprie soddi-
sfazioni, sappi che anch'esse si oppongono
sempre alla perfezione. Rendono l'anima di-
sposta a trasgredire, benché in cose piccole,
la legge di Dio, e quindi facilmente la indu-
cono al peccato veniale, e la rendon restìa a
praticar quello che è di maggior gusto del
Signore. Intorno a ciò ascolta quanto insegna
San Giovanni della Croce: « Queste imper-
fezioni abituali sono per esempio un'usanza
di parlar troppo, un poco di attaccamento
od affezioncella ad alcuna cosa, come sareb-
be verso qualche vestito, libro, cella, tal sor-
ta di vivande, certe conversazioni ed altri gu-
sterelli, il cercar diletto nelle cose, l'esser cu-
rioso di intendere, udire, ed altre simili.
Qualsivoglia di queste imperfezioni a cui
l'anima stia attaccata ed abituata, è di

17.6 Page 166

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— 322 —
tanto danno per poter crescere ed andare in-
nanzi nelle virtù, che se ogni giorno cadesse
in molte altre imperfezioni, che fossero mag-
giori, ma che »non derivano da attacco, non
le sarebbero di tanto impedimento. Perchè
mentre vivrà questo attacco, ancorché di co-
sa minima, è impossibile che possa arrivare
alla perfezione. È il medesimo che un uccel-
lo sia legato da un filo sottile che da uno gros-
so, perchè quantunque sia sottile, ad ogni
modo starà a quello legato, nè mai potrà li-
beramente volare ». « Ed ecco perchè, dice
San Francesco di Sales, dopo tante comunio-
ni che facciamo non arriviamo mai a posse-
dere la santità. Viene il Signore in noi e tro-
va i nostri cuori pieni di desideri, di affetti
e di piccole vanità. Non è quello che egli de-
sidera: li vorrebbe trovare affatto vuoti, per
rendersene assoluto padrone e governatore ».
Impara adunque a mortificarti meglio, di-
staccando risolutamente il tuo cuore da ogn i
cosa terrena, e allora progredirai nella virtù.
Come staccarsene.
Per liberare interamente il tuo cuore da
ogni attacco ed affetto disordinato ti è ne-
cessario attaccarlo più strettamente a Dio e
praticare la perfetta conformità alla volontà
sua. Ciò appartiene alla carità verso Dio.
Questa conformità alla volontà di Dio con-
—3
siste in una felice abitudine, proveniente dal-
la divina grazia ed accresciuta col continuo
esercizio, per cui la volontà, con prontezza
- facilità, resiste continuamente e ferma-
mente ad ogni affetto, desiderio, compiacen-
za, anche minima, che le sorgesse in cuore,
tanto riguardo a se stessa ed a qualunque
persona, quanto riguardo ad ogni altra cosa
:reata. Adoperati tu dunque ad acquistare
siffatta virtù, col formare e stabilire l'animo
ruo a completa indifferenza riguardo ad ogni
tuo bene e vantaggio, comodo e soddisfazione,
riguardo ad ogni oggetto, ad ogni luogo, ad o-
fni ufficio, ad ogni occupazione. E ciò fino al
punto da essere apparecchiato a spogliarti
volentieri di qualsivoglia bene e soddisfazione,
e ad accettare volentieri qualsivoglia cosa di-
sgustosa e ripugnante.
Da che cosa staccarsi.
Le cose attorno alle quali è più da eser-
::tare la mortificazione, dalle quali cioè un
religioso deve essere più distaccato, sono quel-
Se a cui l'umana natura ha maggiore propen-
si >ne, e sono specialmente le seguenti:
a) Dalla vita: Sii perciò pronto a vivere
fi a morire secondo che Iddio disporrà, cioè
m pronto ad accettare dalle mani di Dio la
•sorte, quando, come, dove egli te la darà.

17.7 Page 167

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Anzi fai bene se hai la forza di offrire al Si-
gnore la tua vita, protestandoti che sei con-
tento che egli te la tolga quando, come, dove
a lui piacerà,
b) Dalla sanità: Procura quindi di render-
ti pronto alla sanità ed alla malattia. E bra-
mando solo quello che sarà di maggior gusto
del Signore, sii pronto ad accettare volentieri,
tutte le malattie ed i dolori dove, quando, per
quanto tempo Iddio vorrà.
c) Dalla soddisfazione dell'amor proprio:
Renditi perciò indifferente all'essere onorato
e preferito, o piuttosto disprezzato, posposto,
oltraggiato, perseguitato.
d) Dalle ricchezze e comodità, cosicché
sii indifferente fra l'esser ricco o piuttosto po-
vero: avere comodità od essere soggetto a
stenti e patimenti prodotti dalla povertà. E
questo sia per quanto riguarda te individual-
mente, sia riguardo la casa a cui vieni as-
segnato.
e) Da tutti i doni e qualità di natura: Per-
ciò sii indifferente circa all'avere buone qua-
lità naturali, oppure a non averne di sorta
alcuna. Chi è tardo d'ingegno, privo di abi-
lità, ne sia rassegnato, e, se può, anche con-
tento. Chi ha difetti fisici nei sensi o nelle
membra, o è deforme e brutto nella persona,
parimenti ne sia rassegnato e contento pei
dar gusto alla divina volontà, la quale così
dispose ed ordinò.
f) Dalla propria famiglia, parenti, amici:
Quindi sii pronto a stare in luogo lonta-
no da loro, ad abbandonarli se, quando, per
quanto Iddio lo vorrà.
g) Da tutti gli impieghi, uffizi ed occupa-
zioni: Quindi sii pronto ad avere un impiego,
un uffizio, un'occupazione che ti piaccia, op-
pure ad averne contrarie e ripugnanti. Sii per-
tanto disposto così ad abbracciare quella oc-
cupazione o quella carica che ti si assegna,
come a lasciarla subito e con allegria quando
ti venisse tolta; sempre persuaso che nell'ob-
bedienza imposta, vi è espresso il maggior
gusto e la volontà di Dio.
h) Da ogni luogo: Quindi sii indifferente
all'essere assegnato in un paese od in una cit-
tà, in un collegio o in un ospizio, in una ca-
mera o in un'altra. Non cercare il luogo più
conforme alle tue brame, ai tuoi comodi, ma
quello più conforme all'obbedienza ed al mag-
gior gusto di Dio benché il più ripugnante.
i) Da tutti i comodi e le soddisfazioni: Per-
ciò sii indifferente riguardo al vitto, alle ve-
sti, ad ogni altro oggetto. Riduciti ben presto
a lasciare tutti i comodi e le soddisfazioni,
e ad abbracciare le cose incomode e ripu-
gnanti, appena conosci ritornare ciò più con-
forme al maggior gusto di Dio.
T) Da tutti i diversi oggetti anche minimi
conformi al tuo genio ed al tuo gusto: È bello
ed importante abituarti a far senza, e spro-
priarti di qualche cosa che ti è cara, per ac-
costumare il cuore a simili distacchi.

17.8 Page 168

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m) Dalle consolazioni e fervori spirituali:
Sì, anche da questo devi staccare il tuo cuore,
ed avere una perfetta conformità alla vo-
lontà di Dio.- Parimenti procura di essere di-
staccato dalla tua pace e quiete sensibile, per-
ciò pienamente rassegnato se avrai perturba-
zioni, scrupoli, inquietudini, tentazioni, deso-
lazioni. Perciò sovente offriti al Signore pron-
to e volenteroso di patire tutte le aridità, ten-
tazioni, se, quando, e per quanto tempo pia-
cerà al Signore.
rì) Finalmente sii distaccato dalle stesse
opere sante, intraprese per la gloria di Dio e
per la salute delle anime, e perciò pronto a
continuarle ed a lasciarle come più piacerà
al Signore. Odi l'ammaestramento di San
Francesco di Sales: «Iddio bene spesso per
esercitarci in questa santa indifferenza, ci
ispira disegni molto alti, i quali però non
Ì vuole che succedano. E come allora ci con-
viene coraggiosamente e costantemente co-
minciare e proseguire l'opera più che si può:
così conviene dolcemente e tranquillamente
acquietarci al successo dell'impresa tale qua-
le a Dio piace disporre ».
Ecco le cose principali dalle quali devi
essere distaccato, e circa le quali devi stare
pienamente tranquillo nelle mani del Signo-
re, mortificando te stesso. Procura sempre ve-
dere in esse la volontà di Dio, ed abbraccia-
la volentieri. Sforzati pertanto di arrivare a
2—
questo punto di virtù, e Dio sarà contento di
te, e ti sceglierà per farti santo, e per operare
molte cose alla sua maggior gloria.
CAPO XXIV
DELLA MORTIFICAZIONE ESTERNA
IN GENERALE
Un errore moderno.
Noi viviamo in un secolo di naturalismo
teorico, e soprattutto pratico; ond'è che va
scomparendo sempre più dalle cristiane usan-
ze la mortificazione corporale. Si direbbe che
la si voglia cancellare dal catalogo delle vir-
tù prescritte dal Vangelo. Una moltitudine di
persone che fanno professione di pietà, e per-
sino di religiosi, non ne comprendono il biso-
gno, e neppure sembra che intravvedano i
motivi che a questa ci obbligano. Si ricono-
sce bensì, almeno in teoria, l'obbligo della
mortificazione interna; ma poi. col pretesto
che Gesù ci inculcò di circoncidere il cuore,
e disse che è lo Spirito che vivifica, si vor-
rebbe dedurre l'inutilità della mortificazione
esterna. E con ciò molti si addormentano in
una vita comoda e dolce alla natura, sen-
za accorgersi quanto si celi d'illusione ed er-

17.9 Page 169

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— 328 S —
rore sotto questa speciosa apparenza di ve-
rità. Mons. Gay, nel suo riputatissimo trat-
tato Della Dita e delle virtù cristiane, asse-
risce che è mio dei più comuni errori del no-
stro tempo, questo di voler ridurre tutto alla
mortificazione interna.
Anche la mortificazione esterna è necessaria.
Certamente, come si disse sopra, la morti-
ficazione interna è più eccellente che l'ester-
na, essendo lo spirito incomparabilmente su-
periore alla carne. Ma San Luigi diceva, che
credeva necessario fare una cosa, e non la-
sciar l'altra. Il rinnegar la propria volontà e
il reprimere i nostri movimenti d'orgoglio e
gli affetti del cuore, è d'una necessità assoluta
per acquistare le virtù cristiane, e forma il
combattimento più difficile per noi miseri
mortali. Alle volte ci adattiamo più facilmen-
te a digiunare, a prendere una disciplina, che
ad osservare il silenzio, ad abbandonare una
amicizia particolare, a perdonare un'offesa, a
lavorare con chi ci è di contraggenio, a sop-
portare volentieri una persona molesta, e ad
attendere con perfezione ai doveri che meno
piacciono. Ciò non di meno s'ingannerebbe
in modo strano chi perciò lasciasse la morti-
ficazione dei sensi, mentre essa è necessaria
non solo alla perfezione, ma altresì alla vita
cristiana, e perciò alla salvezza dell'anima.
— 32!) —
Ciò che ne dicono i Santi, la Chiesa e Ge-
sù Cristo.
S. Vincenzo de' Paoli ci ammaestrava di-
cendo: «Chi fa poco conto delle mortificazio-
ni esterne, dicendo che le interne sono mol-
to più perfette, fa ben conoscere che non è
punto mortificato, nè internamente nè ester-
namente » (MAYNARD, Virtù e dottr. spir. del
Santo). E Sant'Alfonso ribadendo questa ve-
rità aggiunge: « la mortificazione sia esterna
che interna è necessaria alla perfezione, ma
con questa differenza: la mortificazione ester-
na deve essere praticata con discrezione, men-
tre la mortificazione interna lo deve essere
senza discrezione e con fervore ». E soggiun-
ge: « San Giovanni vide tutti i beati colle
palme in mano (1). Dobbiamo esser tutti
martiri, o per ferro dei tiranni, o per le no-
stre mortificazioni» (La aera sposa di G. C.).
Bossuet dice press'a poco lo stesso: «Il mar-
tirio della penitenza è inseparabile dalla san-
ta Chiesa. Questo martirio non ha un'appa-
rato tanto terribile come il martirio di san-
gue; ma ciò che sembra mancargli dal lato
della violenza lo compensa con la durata...
In mancanza di tiranni, i santi perseguitano
se stessi» (Paneg. di S. Fr. di Paola). Queste
dottrine al giorno d'oggi paiono sapere di
tròppo agrume; ma tu, mio buon novizio,
(1) « Et palmae in manibus eorum ».

17.10 Page 170

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— 330 —
credi a chi t'ama e ti dice le cose schiette, e
sappi che t'inganna chi ti dicesse altrimenti.
Il sacro Concilio di Trento conferma questo,
soggiungendo che tutta la vita cristiana deve
essere una continua penitenza (1). E tutta
la vita di Gesù ed i suoi ammaestramenti so-
no lì per confermare la stessa cosa. Egli, il
buon Gesù, avrebbe potuto non patire; ep-
pure dal momento della sua nascita fino alla
morte volle che la sua vita fosse un continuo
patimento. Punto fondamentale della sua dot-
trina è questo ammaestramento ed incorag-
giamento a patire. Oltre l'aver fatto dire:
« fate penitenza; se non farete penitenza pe-
rirete tutti », insegna continuamente: « chi
vuol venire dietro di me rinneghi se stesso,
prenda la sua croce e mi segua (2) ». E al-
trove a chi cerca soddisfazione terrena sog-
giunge: «Già ricevesti la tua mercede (3)».
E c'insegna chiaro che la via del paradiso è
stretta e scabrosa, e la porta bassa, e che so-
lo chi sa farsi violenza vi potrà entrare. Ci
ammaestra che la vita deve essere come una
battaglia, che sarà coronato colui che avrà
combattuto strenuamente. E conchiude le sue
beatitudini dicendo beati quelli che patisco-
no persecuzioni per la giustizia. Fa cantar
(1) « Tota Christiana vita perpetua poenitentia esse
debet» (Sess. li, C. 9).
(2) « Si quia vult post me venire, abneget semeti-
psum, et toiiat crucem suam, et sequatur me ».
(3) « Jam recepisti mercedem tuam ».
—3
vittoria ai suoi Apostoli quando riusciranno
ad avere calunnie, disprezzi, battiture per il
suo nome e per la sua gloria. E ci invita
ad esultare per tutte queste cose, al pensiero
che il breve patire su questa terra ci darà
un eterno godere in paradiso.
MOTIVI DELLA MORTIFICAZIONE:
1) Per espiare le nostre colpe.
Ora: per quali motivi dobbiamo noi prati-
care la mortificazione esterna ossia corporale?
Per cinque motivi principali: Anzitutto per
espiare le nostre colpe. Non dimentichiamolo
mai: avendo offeso Iddio, anche solo venial-
mente, abbiamo contratto un debito colla sua
divina giustizia; e questo debito dobbiamo
espiarlo. Ed essendo l'uomo composto di spirito
e di materia, la persona umana tutta, anima e
corpo deve cooperare a questa espiazione. Se
poi non si espiano le colpe in questo mondo,
le dovremo espiare nell'altro. Questa è una
dottrina teologica. Ora non è forse meglio sod-
disfare qui a questo debito, che nell'altra vita,
mentre le penitenze che abbiamo da fare ora
sono leggere, brevi, e, non solo espiatorie ma
ancora meritorie, ed i castighi dell'altra vita
saranno terribili, di lunga durata, e tuttavia
senza alcun merito? Non si temono abbastanza
le pene del purgatorio. Eppure, secondo San

18 Pages 171-180

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18.1 Page 171

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— 332 —
Tommaso, la più lieve pena che si soffre colà
supera ciò che si può sostenere di più terribile
sulla terra (1). E notare che un'ora di quell'a-
troce penare sembra a quelle povere anime in-
terminabili anni! Ben a ragione pertanto i buo-
ni maestri di «pirito ed i santi esortano a mor-
tificarci severamente qui, affine di sfuggire ai
castighi della vita futura. Che fortuna sarebbe
per noi se avessimo anche a patire immensa-
mente su questa terra, ma potessimo andar
subito in paradiso dopo morti!
2) Per evitare il peccato.
Dobbiamo in secondo luogo esercitarci nel-
la mortificazione del corpo affine di evitare
il peccato. San Tommaso d'Aquino c'insegna
che « la carne è la sorgente dei vizi; se noi
dunque vogliamo evitare i vizi, dobbiamo
domare la carne». Non illudiamoci: «quan-
do si rifiutano al proprio corpo i godimenti
leciti, dice Sant'Alfonso, esso non ardisce ab-
bandonarsi a ciò che è proibito. Ma se alcuno
vuole concedersi tutte le soddisfazioni lecite,
cadrà presto in ciò che non lo è » (La vera
sposa di Gesù C., Vili). Le ragioni di questo
sono principalmente tre: 1) Con soddisfarci
sempre nelle cose lecite si creano bisogni fit-
ti) « Poena purgatorii minima, excedit maximam
poenam huius vitae » (Append. ad 9up. g. 2 ad 1).
3
tizi, si eccitano e si soddisfano spesso le cat-
tive passioni. Lo Spirito Santo dice: «Chi
nutre delicatamente il suo servo nell'infanzia,
10 vedrà poi rivoltarsi » (Prov., XXIX, 21) :
e subito dopo: « Il fuoco non dice mai basta »
(XXX, 16), cioè le passioni sono insaziabili.
San Paolo chiama il corpo oppressore dell'a-
nima. 2) Chi non si esercita nella mortifica-
zione, nei momenti difficili non avrà poi la
forza necessaria per resistere alle tentazioni.
3) Non si merita la grazia di resistervi, chi
vuol condurre una vita secondo i sensi, senza
reprimere le male tendenze. Ma soprattutto
questa mortificazione è indispensabile a colo-
ro che han già cattive abitudini. « Fedeli, dice
Bossuet, voi che tanto vi maravigliate per
le frequenti ricadute, non sapete che la causa
di ciò sta in questo, che non vogliamo farci
violenza, e bramiamo soverchiamente le no-
stre agiatezze? ». È ignoranza o follia voler
guarire da mali radicali senza radicali rimedi.
Il male che ha la sede negli organi e nel-
l'eccessivo sviluppo della vita animale, non si
guarisce con mezzi puramente spirituali. È
11 corpo che bisogna anche mortificare, se si
vuole che alla fine l'anima trionfi. Per gli uo-
mini che hanno violente passioni ogni altro
mezzo, se non si prende anche questo, non
potrà mai essere che un palliativo.
Bisogna che ricordiamo sempre il grande
ammaestramento di San Paolo: «Fratelli, non
siamo debitori alla carne per vivere secondo

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— 334 —
la carne. Poiché, se voi vivrete secondo la
carne, morrete; ma se con lo spirito morti-
ficherete le opere della carne, vivrete » (1).
3) Per giungere a perfezione.
In terzo luogo dobbiamo mortificare i no-
stri sensi per giungere alla perfezione a cui
siamo chiamati. Certamente la perfezione
nella sua essenza consiste nell'amor di Dio,
e nel provargli questo nostro amore col fare
sempre e in tutto la sua volontà. Ma per
adempiere bene questa volontà di Dio non si
deve forse rinunziare a se medesimo senza
tregua, non fosse altro che per ubbidire alla
grazia, che inclina di continuo le anime fer-
venti alla mortificazione? Questa mortifica-
zione del corpo non è forse compresa nella
volontà di Dio? E non ci dice l'apostolo San
Pietro, parlando della passione del Divin
Salvatore: Gesù Cristo patì per noi, lascian-
do a voi l'esempio affinchè camminiate sulle
sue orme? (2). Per arrivare alla perfezione
si richiede il fervore; e l'eccitativo speciale al
(1) « Fratres: debitores' sumus non carni, ut se-
o(indura carnem vivamus. Si enim scoliruium carnem
vixeritis. moriemini: si autem spiritu facta carnis morti-
flcaveritis, vivetis » (Barn., V i l i , 12).
(2) « Christus passus est prò nobis, vobis relinquens
exemplum, ut sequamini vestigia eius » (I PIETR., II, 21).
—3
fervore è la mortificazione. Di rado avviene
che fra le agiatezze della carne si sostenga il
fervore dello spirito.
4) Per imitare Gesù.
Dobbiamo in quarto luogo praticare la
mortificazione dei sensi, affine d'imitare No-
stro Signor Gesù Cristo, il quale in tutto il
tempo di sua vita, secondo San Paolo, non cer-
cò mai di soddisfare a se stesso. Anzi fu sem-
pre sofferente ed umiliato, specie poi nella
?ua passione. E noi dovremo fare altrettanto,
per dargli prova del nostro amore con quel
generoso mezzo, mediante il quale i santi già
gli resero testimonianza del loro. Ecco la spie-
gazione delle grandi mortificazioni e penitenze
dei santi; l'amore di Gesù crocifisso ha incli-
nati anch'essi alla croce. Quell'illustre pe-
nitente che fu San Francesco Borgia, soleva
dire che erano i suoi sensi e le membra del
suo corpo che avevano dato la morte a Gesù
Cristo! E che, come colui che avesse per isven-
tura ucciso o ferito la persona che ama so-
pra ogni altra e più giustamente mirerebbe
con orrore quel ferro che gli servì a sì fu-
nesta impresa e lo scaglierebbe anzi a terra
calpestandolo; così avendo la sua carne cor-
rotta crocifisso il Salvatore, non vi doveva
essere trattamento abbastanza duro per essa,
nè castigo che non si fosse meritato.

18.3 Page 173

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— 3361!
5) Per meritare molte grazie.
In quinto ed ultimo luogo dobbiamo pra-
ticare la corporale mortificazione e peniten-
za per le grandi e svaria tissime grazie con
cui Dio si compiace di ricompensarla. La
mortificazione dei nostri sensi esterni è una
miniera di meriti, e ricchezza di grazie per
elevare lo spirito a Dio, per infiammarlo del
suo amore, per ricevere le sue carezze e per
crescere nella sua familiarità. Sono le mor-
tificazioni che ti rendono più inclinato e più
atto alla preghiera, ti dispongono a ricevere
con più facilità le impressioni della grazia.
È per le sue grandi austerità corporali (ce lo
assicura la Chiesa nelle lezioni del breviario)
che il santo apostolo delle Indie e del Giap-
pone, San Francesco Zaverio, meritò di poter
convertire tante anime a quelle spirituali de-
lizie di cui traboccava l'anima sua nella pre-
ghiera. E noi spesso ci priviamo di tutti que-
sti vantaggi, per non sapere adattarci a mor-
tificare i nostri sensi. Il coraggio che si ma-
nifesta in noi facendo dei veri atti di morti-
ficazione, strappa come a viva forza dalle
mani di Dio ciò che si vuole da lui ottenere.
Scrive il celebre padre Faber: « Allorché uno
si lagna di non ricevere grazie, di non saper
vincere i propri difetti, oppure uno si lascia
opprimere dalle tentazioni, o non sa essere
sempre padrone del proprio umore o del pro-
prio cuore, sappia che ciò accade d'ordina-
— 337 -
rio perchè non conduce una vita mortifica-
ta x Ed il santo curato d'Ars, ad un pastore
d'anime che si lamentava con lui per il gran
numero d'anime che gli sfuggiva, senza reti-
cenze rispose: «Avete predicato, avete pre-
gato: ma avete anche digiunato? Avete dor-
mito sulla nuda terra? Vi siete data la di-
sciplina? Finché non avrete operato questo,
non crediate d'aver fatto tutto ». Egli, il san-
to curato, se riuscì a fare tante migliaia e
decine di migliaia di conversioni, oltre che al
lavoro ed alla preghiera, lo deve anche cer-
tamente attribuire alle austerissime penitenze
che faceva.
Non cercar scuse.
Mettiti di buona volontà, e coraggiosa-
mente. Ti dico solo di non voler far capricci
od eccessi, bensì lasciarti guidare adeguata-
mente. Sant'Alfonso, San Giovanni Lasalle,
Santa Teresa asseriscono apertamente, che
una vita moderatamente austera, non solo
non danneggia la salute, ma la corrobora. E
ne è prova evidente la vita dei santi. D'altro
lato, sono innumerevoli le penitenze che un'a-
nima generosa può sostituire a quelle che la
naturale debolezza non permette di esercita-
re. Ordinariamente per non mortificarsi non
è che manchi la salute, bensì il fervore. Ed

18.4 Page 174

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— 338 —-
io posso attestare che vidi tra i nostri molti
ad indebolirsi ed ammalarsi; ma perchè?
Perchè avevano poco spirito di mortificazio-
ne! Perchè nella passeggiata d'estate non sa-
pevano trattenersi dal bere acqua fredda;
perchè arrivati sudati ad un'altura non sa-
pevano moderarsi nei cibi, o non sapevano
astenersi dal mangiare troppa frutta e fa-
cevano indigestioni; perchè d'estate stavano
alla corrente d'aria fredda per provare quel
momentaneo sollievo; perchè nelle feste non
sapevano moderarsi abbastanza nel bere. In-
vece non posso attestare d'aver mai visti tali
pessimi risultati per essersi mortificati trop-
po. Permettimi che a questo riguardo ti citi
anche un tratto di quella grande maestra di
spirito che fu Santa Teresa. « Abbiate per
certo, che, quando noi incominciamo a vin-
cere questo miserabile nostro corpo, esso non
ci affaticherà più tanto. Se non ci risolviamo
a finirla una volta per sempre col timore
della perdita della salute, non riusciremo a
nulla... E se moriamo, che importa? Questo
corpo le tante volte si rise di noi; perchè alla
nostra volta non ci rideremo talora di lui?
Credetemi, tale determinazione è della più
alta importanza; nè ci è dato di compren-
derla appieno. Cominciamo a trattare que-
sto corpo da schiavo; dopo un certo tempo
noi ne saremo padroni. E, vinto questo ne-
mico, noi ci sentiremo un ammirabile corag-
gio per sostenere gli altri combattimenti di
— 339 —
questa nostra vita. Quel Dio che tutto può,
si degni di concederci questa grazia » {Il
cammino della Perfez., XII).
Regola pratica di mortificazione esterna.
Ora conviene venire alla pratica. Qual
regola dobbiamo noi seguire nella mortifica-
zione dei sensi? Un celebre padre carmeli-
tano dà questa norma; « I religiosi fedeli
s'intendano col loro Superiore su di un cer-
to numero di mortificazioni da farsi ogni
giorno, e che costituiranno come un quoti-
diano tributo ch'essi pagheranno poi a Dio
con molta esattezza e perseveranza. Questo
numero determinato sia per esempio di cin-
que o sette lievi mortificazioni. Non recano
nocumento alcuno alla salute, e d'altra parte
sono di grandissimo vantaggio per l'anima,
facendola rapidamente avanzare nella reli-
giosa perfezione ». Cerca pertanto di morti-
ficarti anche tu in tutte le cose che potrai.
Sta' attento a non cercare mortificazioni stra-
ne o fuori d'uso, bensì da' sempre la prefe-
renza a quelle che riguardano la perfetta vi-
ta comune. Segui anche in ciò il consiglio di
Sant'Alfonso. « Le più eccellenti mortifica-
zioni, dice questo santo, le più utili e meno
nocevoli sono le negative, per le quali gene-
ralmente non è neppur necessaria la licenza
speciale del direttore. Siano d'esempio: non

18.5 Page 175

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— 340 —
guardare, non ascoltare cose curiose, non mai
parlare fuori tempo; contentarsi dei cibi che
piacciono poco al gusto, oppure di cibi mal
apparecchiati; dar la precedenza ed i luoghi
più belli ad altri; scegliere per proprio uso
oggetti di poco valore; rallegrarsi nel man-
care anche del necessario; non lamentarsi del-
le intemperie della stagione, dei disprezzi,
delle persecuzioni, delle malattie, e cose si-
mili. Riguardo poi alle penitenze e mortifi-
cazioni molto gravi, e che potrebbero essere
di danno alla sanità, esse non si devono in-
traprendere che per impulso dello Spirito
Santo, e lasciandosi guidare da saggio di-
rettore». Specialmente ti raccomando la mor-
tificazione in tempo di malattia. Abbiti ri-
guardi, ma non eccedere in soverchia deli-
catezza, nè mendicare l'altrui compassione.
Sappi adattarti a qualunque sofferenza, per
amore di Gesù. Non lamentarti; pensa il me-
no che puoi al tuo male. Di' i tuoi incomodi
solo a chi di ragione, accetta i rimedi, ed
aspetta con pazienza l'adempimento della vo-
lontà di Dio.
—3
CAPO XXV
DELLA MORTIFICAZIONE DEL GUSTO
Della mortificazione del gusto.
Veniamo al modo pratico di mortificare
ciascuno dei sensi del nostro corpo. Credo be-
ne non parlare di mia testa; ma portare con
precisione la dottrina dei più celebri maestri
di spirito, e specialmente di San'Alfonso, di
San Francesco di Sales, di San Vincenzo, di
San Leonardo da Porto Maurizio. Per comu-
ne consenso di questi maestri di spirito, fra
tutte le mortificazioni dei sensi la prima che
devesi praticare per giungere alla perfezione,
è quella del gusto.
« Dovete da principio combattere la golo-
sità, dice San Vincenzo Ferreri, poiché se voi
sovra essa non porterete vittoria, invano vi
affaticherete all'acquisto delle altre virtù »
(Trattato della vita Spirituale, VI). San Leo-
nardo soleva dire: «La poca vigilanza nel
mortificare il gusto è quel verme roditore che
a molte persone religiose impedisce di far
progressi nelle vita spirituale. Si riesce a vin-
cersi su tutto il resto, diceva, ma ci si lascia
superare su questo punto. Ed il fervore con-

18.6 Page 176

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— 342
cepito nella preghiera ai piè degli altari si
raffredda del tutto in refettorio ». Comince-
remo adunque a parlare della golosità e del
modo di mortificarla.
Golosità e sobrietà.
La golosità consiste principalmente nel
prendere i cibi e le bevande pel diletto che ne
proviene al senso del gusto. Questo vizio in-
duce ai seguenti: 1) A procacciarsi, o almeno
a desiderare cibi delicati e saporiti. 2) A cer-
care condimenti squisiti nei cibi ordinari. 3)
Ad eccedere nella quantità mangiando o be-
vendo più del bisongo. 4) A mangiare con
fretta e voracità, pel gusto che se ne trova.
5) A mangiar fuori delle ore stabilite per le
refezioni. Noi dobbiamo dunque combattere
con energia questi difetti, ed io vorrei inse-
gnartene il modo pratico. Ma prima mi giova
farti notare, che la mortificazione va più ol-
tre che la semplice sobrietà. La sobrietà con-
siste nella moderazione nel cibo e nella bevan-
da; per cui, cibandosi uno per pura necessità,
di tanto vitto si pasce quanto è necessario
per sostenere la vita; e ciò senza desiderio
di godimento. Non dico che cibandosi sia ma-
le il sentire un certo diletto naturale, che è
indivisibile dal mangiare; ma che si abbia per
fine diretto non la dilettazione ma il biso-
gno. La mortificazione invece priva persino
—3
il corpo di ciò che gli sarebbe in qualche mo-
do necessario ed utile, per ridurlo a servire
meglio l'anima. Noi dobbiamo essere sobri,
cioè fuggire le golosità, sotto pena di peccato;
mentre, invece, il seguire la mortificazione
della gola, per avere i vantaggi che da essa
provengono, non ci è che consigliato.
Necessità della sobrietà.
È proprio molto importante il mortificare
il gusto? Sì, è importantissimo, e per i se-
guenti motivi: 1) Per evitare le tentazioni del-
la carne, e così godere della calma dei sensi
e dello spirito, necessaria all'unione intima
con Dio. 2) Affine di non cadere nei peccati
mortali, perchè: «L'impurità, dice San Tom-
maso, è figlia della gola », cioè uno dei suoi
effetti (2. 2. Q. 148 art. 6). 3) Affine di preser-
varsi da innumerevoli peccati veniali: «L'a-
zione del mangiare, scrive Sant'Alfonso, ri-
torna parecchie volte al giorno, di modo che
chi non si applica a mortificare la gola com-
mette gran numero di colpe ». 4) Per potersi
più facilmente applicare alla preghiera, alle
cose spirituali, al lavoro ed alle opere buone,
poiché leggiamo nel libro della Sapienza:
< Questo nostro corpo che si corrompe, ag-
grava l'anima, e questo terreno abitacolo op-
prime lo spirito ». 5) Per giungere ad elevato
grado di virtù e di santità. « Quelli, soggiun-

18.7 Page 177

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ge Sant'Alfonso, che si studiano di mortifi-
care il gusto fanno continui progressi nella
perfezione, perchè essi acquistano maggior
facilità nel mortificare gli altri sensi, e darsi
all'esercizio delle virtù ».
Le piccole mortificazioni.
Ma tu bada bene a non voler aspettare per
mortiEcarti, che ti vengano occasioni grandi
e straordinarie; devi anzi dare molta impor-
tanza alle piccole mortificazioni. Di queste
hai occasione molte volte al giorno e perciò
acquisti più meriti. E poi, ogni mortificazione
implica anche un atto di amore di Dio, vale
a dire un atto della più eccellente delle vir-
tù. Praticandole, ti meriti quaggiù un aumen-
to di grazia santificante, come pure numerose
grazie attuali, e nel cielo un accrescimento di
gloria per tutta l'eternità. Questa dottrina
è rigorosamente teologica, e i santi furono in
ogni tempo, al pensiero di queste verità, ecci-
tati al sacrificio. Spesso San Leonardo da
Porto Maurizio nelle sue lunghe camminate
sentivasi divorato da un'ardente sete. Ciò
nondimeno sempre invano i suoi compagni
10 tentarono di bere, non fosse altro che un
bicchiere d'acqua, per refrigerarsi. « Non ci
trovo il mio conto, s'affrettava a rispondere
11 santo, nel sacrificare per una goccia d'ac-
qua un grado di merito di più in paradiso! ».
Lo stesso facevano ordinariamente tutti i santi,
che nelle prolungate meditazioni erano venuti
a capire bene queste verità. Ed il nostro caro
padre e fondatore Don Bosco, quando, stan-
co e spossato, era invitato a riposarsi, sog-
giungeva: «Ci riposeremo poi in cielo! Ora
il demonio lavora indefessamente a perdere
le anime, e bisogna che noi lavoriamo infa-
ticabilmente per salvarne quante possiamo ».
Altri modi di mortificazione del gusto.
In che modo pratico mortificare il gusto?
Prima bisogna praticare quanto serva a ri-
mediare ai cinque difetti principali sopra no-
tati, prodotti dalla golosità, e poi procedere
a prendere altri mezzi di sempre maggiore
perfezione. Il tutto può ridursi ai seguenti
punti :
1) Prendere il solo necessario.
E prima di tutto giova un mezzo che direi
preliminare, cioè condurre vita perfettamente
sobria. Consiste questa sobrietà nel mangiare
e bere solamente quel tanto che ci è neces-
sario, in modo che l'appetito non sia mai
completamente soddisfatto, secondo che ci
ammaestra San Girolamo: « Il tuo cibo sia
moderato e non essere mai a ventre pieno ».

18.8 Page 178

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— 346 —
Si deve mangiare per vivere, e non vivere per
mangiare, a somiglianza delle bestie, le quali
mangiano a tutte le ore, ed ogni volta che
ad esse si appresti il cibo. Anzi, continua
San Girolamo, bisogna cibarsi in modo da
potere, dopo la refezione, speditamente occu-
parsi nell'orazione, nella lettura dei libri santi
e nelle opere buone. È specialmente l'apo-
stolo San Pietro, che c'inculca questa so-
brietà, là dove dice: «Siate sobrii e vigilate,
perchè il vostro avversario, il demonio, quale
ruggente leone, gira attorno a voi, cercando
preda da divorare» (1). Il demonio, dicono i
Santi Padri, cerca le anime per farle cadere
nel peccato mortale. Ma esso conosce sì bene
la debolezza nostra, che cerca sempre il no-
stro lato più debole: egli sa che un copioso
nutrimento ha eccitate le passioni! Così, si è
allora che esso tenta, e non è raro, ohimè!
che la vinca. Se vogliamo evitare tentazioni
e forse anche cadute, siamo sobrii. San Ber-
nardo era nel vitto sì parco, che del pane
spesso cibavasi a misura; e perfin dell'acqua,
che era l'ordinaria sua bevanda, usava con
grande parsimonia. San Girolamo giungeva
persino a preferire la sobrietà al digiuno :
« Preferisco un moderato nutrimento, che vi
lasci sempre l'appetito, ai digiuni di tre gior-
(1) » Sobrii estote et vigilate, quia adversarius vester
diabolus, tamquam leo rugiens, circuit quaerens quem
devoret- (IT PETR., V, 8).
—3
ni ». Anche San Francesco di Sales dice esse-
re preferibile una moderata sobrietà, e sem-
pre uguale, ad una violenta astinenza fram-
mista a grandi rilassatezze. La medesima co-
sa ci inculcava Don Bosco, il quale, invece
dei veri digiuni, insisteva sulla rigorosa so-
brietà. Ed aggiungeva in più questa osser-
vazione, cioè di essere sobrii specialmente
alla sera a cena, a fine di avere un sonno
tranquillo, ed evitare le tentazioni moleste.
2) Nulla fuori pasto.
La seconda mortificazione del gusto con-
siste nel non prendere alcuna cosa fuori di
pasto senza sufficiente ragione. San Filippo
Neri non poteva tollerare che alcuno dei suoi
si permettesse di mangiare tra i pasti. E ad
uno di essi che lo faceva, disse: « Voi non
sarete mai uomo spirituale, se non vi correg-
gerete di questo difetto ». San Carlo Borro-
meo, arcivescovo di Milano, avvedutosi che
uno dei suoi cappellani prendeva qualche rin-
fresco fuor di tavola: « Amico mio, gli disse,
non sapete che chi concede ai suoi appetiti
ciò che richiedono, divien loro schiavo? Voi
soddisfate la vostra sete quest'oggi; domani
sarete pronto a farlo di nuovo; più tardi
non sarete più padrone di voi stesso ». Ed
egli era il primo a fare ciò che suggeriva agli
altri. Ancor tu, fuori che per bisogno affatto

18.9 Page 179

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— 348 -
eccezionale, o quando la carità o la conve-
nienza lo richiegga, fa' questa mortificazio-
ne: non prender mai nulla fuori di pasto, e
ne avrai gran merito.
3) Astenersi da certe bevande...
La terza mortificazione del gusto consiste
nell'astenersi abitualmente da certe bevande,
o a non farne uso che con grande moderazio-
ne. Il vino, i liquori, le bevande spiritose in
generale, non sono senza danno della castità,
per la funesta loro azione sul sistema nervo-
so. Perciò conviene lasciarle, od almeno ren-
derle innocue col moderarle molto. Lo Spiri-
to Santo dice chiaro : « Il vino è una scatu-
rigine di lussuria (1). Il vino ha fatto perire
molti» (2). Quindi S. Girolamo consiglia a
fuggirlo come un veleno, soggiungendo (nella
lettera 19°) : « Se io son reputato abile a dar
consiglio, se si presta fede ad un ammaestra-
to dall'esperienza quale son io, di questo so-
pra ogni altra cosa vi ammonisco, di questo
vi scongiuro, a schivare cioè il vino, come
appunto si fugge il veleno. Questa è l'arma
principale di cui si serve il demonio a danno
della gioventù. Vino e giovinezza formano
(1) « Luxuriosa res, vtnnm... quieumque his delec-
tatur, non erlt sapiens » (Prov., X X , 1).
(2) « Multos enim exterminavit vimim » (Eceli.,
X X X I , 30).
— 349 - •
un doppio incentivo di concupiscenza» (1).
San Vincenzo Ferreri dà questo consiglio, ri-
petutoci anche tante volte da Don Bosco :
- Il vostro vino sia così temperato con ac-
qua da perdervi la sua forza ». A San Gio-
vanni Battista De Rossi che metteva molta
acqua nel vino, fu osservato che così lo gua-
stava: «È meglio guastarlo che essere da es-
so guastato », rispose, continuando ad aggiun-
gere acqua. Se questa è dottrina dei santi ap-
plicabile a tutti, essa è applicabile in modo
tutto speciale alla gioventù. Perciò se tu ti
senti ispirato a prender questa risoluzione, di
non voler ordinariamente bere liquori, e di
voler sempre mescolare il vino, eccetto quan-
do si sa che è già molto mescolato, fàllo, chè
il Signore te lo ascriverà a merito.
4) Stare a vivande comuni.
La quarta mortificazione del gusto, che
tutti dobbiamo praticare, consiste nel non vo-
ler d'ordinario che vivande comuni, piuttosto
che quelle delicate o ricercate. Perciò conten-
tati sempre di quelle che nelle comunità son
apprestate. Mangia tutto indistintamente,
quando non te lo impedisca la salute, o una
(1) « Vinum fugiat prò veneno... Vinum et ado-
jescentia duplex incendium voluptatis » (Ep., X X I I ,
i d Eustoch., De custodia virainitatis, n. 8).

18.10 Page 180

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— i350 —
insuperabile ripugnanza. Prendi ordinaria-
mente ciò che ti sta dinanzi, non lagnarti mai
del cibo, e meglio ancora, non parlarne. San
Francesco di Sales dice a questo riguardo:
« Son di parere che è più grande virtù man-
giar senza scelta ciò che vi si presenta, sia
o no secondo il vostro gusto, che a vostra scel-
ta cercare quello che vi è di più cattivo sulla
tavola. Poiché, quantunque questa pratica
sembri più austera, nell'altra vi è meno di
propria volontà. Oltre a ciò questo modo di
mortificare il gusto non è mai manifesto,
non impaccia alcuno, e conviene appuntino a
tutte le usanze della vita ». Egli poi, indiffe-
rente a qualunque specie di cibo, nulla ma:
trovava a ridire, qualunque fosse stato e
comunque preparato. Freddo, caldo, salato,
insipido, tutto era secondo il suo gusto: man-
giava ciò che gli si presentava, senza far mai
la più piccola osservazione. Anche mirabile
su questo punto era Don Bosco, del quale a
mala pena si poteva sapere che cosa più gli
piacesse e che cosa meno, perchè a lui tutti >
piaceva. La madre di San Bernardo, bramosa
di vedere un giorno consacrati al Signore i
suoi sette figliuoli, li avvezzò fin da fanciu)
li a pascersi di cibi comuni ed usuali. Ben sa-
peva questa santa genitrice, il danno che può
procurare ai giovani l'essere nutriti delicata-
mente, e quindi sottraeva ad essi ogni cibi
delicato. E riuscì nel suo intento, poiché tut-
ti i suoi figliuoli, l'uno dopo l'altro, si fecero
— 351 —
religiosi, e si dimostrarono veri esemplari di
sobrietà e di astinenza. San Bernardo che si
fece loro guida, confessa di se medesimo di
aver sempre osservata una esattissima morti-
ficazione, astenendosi dal vino e dalle carni
per essere immune da ogni tentazione e da
ogni caduta (1).
Non dico che tu abbia a praticare tanto
rigore quanto ne praticava questo santo. Ma
almeno non avvezzarti ad essere goloso. E se
già fossi avvezzo, disavvezzati, ti costasse pu-
re molta forza ed energia. Fallo mentre sei
giovane, perchè quanto più aspetti, tanto più
proverai difficoltà in seguito. Avvezza anche
il tuo stomaco ad ogni cibo per quanto sia
grossolano ed usuale, mortificando l'importu-
nità della gola, avida per lo più di ghiottone-
rie. Riducila a contentarsi del solo vitto or-
dinario e comune. E se la vita comune ti è
un po' incomoda, pensa che essa è necessa-
ria. A poveri quali siamo noi religiosi in for-
za della nostra professione religiosa, quando
abbiamo con che sostentar la vita, è suffi-
ciente, come ci ammaestra San Paolo: « Aven-
do gli alimenti e di che coprirci, accontentia-
moci di questo » (2).
(1) « Abstineo a vino, qnia in vino luxuria est;
abstineo a carnibus, ne dum nimis nutriunt carnem,
simul et carnis nutriant vitia » (Serm., LXVI, sub.
Cani. n. 6).
(2) « Habentes alimenta et quibus tegamur, liis
contenti simus ».

19 Pages 181-190

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19.1 Page 181

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— 352 —
5) Rinunciare al piacere del gusto.
La quinta mortificazione del gusto consi-
ste nel privarsi di qualche cosa gradevole. San
Vincenzo Ferreri scrive: « Se la vivanda che
vi si serve è insipida, sia perchè manca di
sale o per altro, non mettetevi nè sale nè al-
tro condimento; resistete alla sensualità per
amore di Gesù Cristo abbeverato di fiele e
aceto. Potete così lasciare di nascosto le sal-
se che non servono che ad eccitare la gola »
('Trattato della Vita, VI). San Leonardo da
Porto Maurizio s'astenne sempre dal far uso,
sulle vivande, di limoni, di cui pur tanta co-
modità aveva nei suoi paesi. E tu prometti
di non assecondare mai in queste cose la
golosità. Te ne servirai solo quando l'appe-
tito avesse davvero bisogno di essere eccitato,
per indisposizione corporale, o la convenien-
za lo richiedesse. Puoi anche privarti in tutto
od in parte, d'una vivanda gradevole o d'un
dolce o simile. Non è poco, dice l'Imitazione
di Cristo, rinunziare a se stesso nelle piccole
occasioni. Ci vuole una bella dose di virtù
per essere esatto e costante nel vincersi così
nelle cose più comuni. Affine di imitare que-
ste anime così virtuose procura anche tu, per
quanto puoi, di privarti ogni giorno di qual-
che cosa di maggior tuo gradimento. Poca
cosa, diceva Don Bosco, ma costante nel poco.
La virtù vera giunge fino a contrariare il
gusto in modo positivo, per esempio prenden-
—3
do il cibo insipido, o masticando disgustose
sostanze, pratica usata spessissimo dai santi.
Con questo spirito di mortificazione astien-
ti volentieri dai cibi che la Chiesa proibisce
in certi giorni, ma soprattutto dalla carne.
< Se la carne t'invigorisce il corpo, dice San
Clemente Alessandrino, indebolisce l'anima,
perchè alimenta ed eccita la concupiscenza »
'Strom., libr. VII). Anche San Bernardo e
Sant'Alfonso raccomandano di non usarne
che con molta moderazione « affine di non es-
sere molestati da tentazioni impure » (S. AL-
FONSO, Vera Sposa di G. C„ Vili). Si sappia
far per virtù ciò che la maggior parte degli
uomini fa per necessità. Tu però alla tavola
comune, dove non se ne dà della delicata,
nè in molta quantità, puoi servirti di quel po-
co dando lode a Dio.
6)... Mortificazione nel modo di cibarsi.
Il sesto modo di praticare la mortificazio-
ne del gusto, sta nel modo di cibarsi; vale a
dire non mangiare con ingordigia, ma con re-
ligiosa posatezza. È insegnamento del mede-
simo apostolo San Paolo, che ogni cristiano
deve riferire a Dio tutte le sue operazioni,
inclusavi anche quella del mangiare e del be-
re. Sia che mangiate o che beviate, o che fac-
ciate qualunque altra cosa, fate tutto a glo-
ria di Dio.

19.2 Page 182

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Molto più un religioso deve andare a men-
sa accompagnato da questo pensiero: egli di
più deve badare a pascere il suo spirito con
buone e sante riflessioni. A tale effetto in
tempo di refezione, si suole nelle comunità
religiose, leggere libri spirituali, le cui massi-
me, mentre tengono raccolta la mente in Dio.
servono a reprimere l'avidità del cibo corpo-
rale. La lettura di libri santi a tavola è dav-
vero un aiuto potente a conservare la sobrie-
tà. Molto più facilmente si praticheranno le
leggi della mortificazione richiamando alla
mente in refettorio pensieri santi, o pie ri-
flessioni, le quali servono d'impulso a prati-
care degli atti di mortificazione, col privarsi
destramente di quelle cose che al palato rie-
scono gradite.
?) Il digiuno.
La settima mortificazione del gusto consi-
ste nel digiuno. « Fra tutte le austerità, dice
San Francesco di Sales, la più grande è il di-
giuno, perchè è quella che mette la scure al-
la radice dell'albero. Le altre non fanno che
scalfire, graffiare, potare ». La Chiesa sanzio-
nò il digiuno sopra ogni altra pratica di mor-
tificazione. Nel prefazio, che si dice nella qua-
resima, ne canta le lodi, dicendo che col di-
giuno corporale si reprimono i vizi, si solleva
ed acuisce la mente, e si acquistano molte
virtù, procurandoci così grande premio (1).
... Suoi vantaggi.
Secondo un grande teologo, il padre Les-
sio, il digiuno produce otto vantaggi. Il pri-
mo è di conservare la salute, perchè le ma-
lattie nascono spesso dall'eccesso di cibo. Il
secondo proveniente dal primo, è di prolun-
gare la vita. Gli esempi di longevità van uni-
ti ad una grande sobrietà nel mangiare. Ri-
cordiamoci dei più celebri monaci nel deser-
to: Paolo, Antonio, Saba, Pafnuzio, Arsenio,
Eutimio, Giovanni il solitario, Romualdo, uo-
mini dati a continui digiuni, vissero tutti più
di cento anni. I certosini digiunano molto e
non mangiano carne neppur nelle più grandi
malattie. Allorché la santa Sede era ad Avi-
gnone il Papa mandò a dire al priore della
gran Certosa che voleva mitigare i loro di-
giuni e permettere l'uso delle carni nelle ma-
lattie. Questa mitigazione fu loro cagione di
tanta pena, che risolvettero d'inviare una de-
putazione al Papa affine di pregarlo di po-
ter conservare nelle loro regole un così an-
tico precetto. Tal deputazione era composta
(1) > Qui corporali jejunio vitia comprimis, men-
tem elevas. virtutem largirla et praemia ».

19.3 Page 183

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— 356 —
di venticinque monaci, ed il più giovane ave-
va ottant'anni, parecchi passavano i novanta.
Appena il pontefice li vide a quella età sì
avanzata, cosi forti, così vivaci, non insistè
di più e li rimandò a continuare la loro vi-
ta mortificata. Il terzo vantaggio che, secondo
il Lessio, proviene dal digiuno, sì è di preser-
vare da numerose tentazioni, privando il cor-
po di ciò che fomenta le passioni. Il quarto
di agevolare la preghiera e lo studio, poiché
lo stomaco carico intorpidisce il cervello. Il
quinto di disporre l'anima a ricevere i lumi
dall'alto e gli altri doni celesti: invero il di-
giuno pone l'anima in una calma favorevole,
le ottiene le consolazioni divine, poiché solo
privandosi dei piaceri del corpo, si meritano
quelli dello spirito. Il sesto è di soddisfare alla
giustiza di Dio per i peccati commessi. Il set-
timo è di ottenere tutte le grazie senza alcu-
na eccezione, come vedesi nella vita dei santi
e l'esperienza insegna. L'ottavo è di acquista-
re grandi meriti quaggiù ed una magnifica ri-
compensa in cielo.
... Norme pratiche.
Essendo sì numerosi e sì grandi questi
vantaggi, non è a meravigliarsi che i santi
tanto abbiano amato e così eroicamente pra-
ticato il digiuno, alle volte fin dalla prima
—3
età. Tu quindi tienti ad una rigorosa sobrietà
nei modi sopra indicati. E riguardo al digiu-
no propriamente detto, fa' quello del venerdì,
-talliiito dalle costituzioni, anche se avessi a
soffrirne. Per fare di più intenditi col mae-
-tro e col direttore dell'anima tua, poiché sei
nella formazione del tuo fisico, e la fantasia
potrebbe accecarti e condurti a fare spropo-
siti. Val più, avanti al Signore, astenersi da
un digiuno per obbedienza, che fare un di-
giuno di più contro l'obbedienza. No, non ti
raccomandiamo cose straordinarie; anzi sono
-tate sempre grandemente disapprovate cer-
te astinenze che derivano da fervori gio-
" anili, non atte ad altro che ad indebolire le
forze, e ad impedire il pieno sviluppo del fi-
sico di chi è ancora nella crescita. Sovente
chi per un po' di tempo vuol fare troppo,
• iene a mettersi in condizioni di non poter
joi fare più nulla per lungo tempo. Invece,
.aspirandoti il Signore di fare a mensa qual-
che atto di mortificazione, fa' come ti dissi
-•pra, privati di qualche cosa più gustosa, e
per te più appetitosa. Procura di far questo
a modo che altri appena se ne avvegga, e
rosi la tua mortificazione sarà più meritoria.
- n frutto, un intingolo, una porzione di vi-
tanda sono mortificazioni a Dio accette, nien-
te pregiudizievoli alla tua sanità, facili al-
'-•wì ad eseguirsi, e molto atte a porre in sal-
: la virtù della sobrietà.

19.4 Page 184

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— 358
Danni dell'intemperanza.
Dopo avere parlato fin qui dei beni che
provengono dalla sobrietà, della mortifica-
zione della gola e del modo di praticarla, mi
resta a dire qualche cosa dei danni dell'in-
temperanza, specie in un religioso.
1) Degradazione morale.
Le brutte qualità e il sommo pregiudizio
che risulterebbero ad un religioso se egli non
rintuzzasse i fomiti dell'intemperanza, non so-
no paragonabili che alle perniciose conse-
guenze che ne risulterebbero se uno fosse in-
continente. Nè parlo solo della intemperanza
nel senso grave e vergognoso, di chi si la-
sciasse andare ad eccessi nel mangiare e nel
bere, tanto da rimpinzarsi e da ubriacarsi:
queste cose sono peccati gravi anche nei se-
colari, e dobbiamo considerarli ,come delitti,
ed impossibili ad avvenire in un religioso. E
se mai fra i religiosi un solo se ne trovasse,
che si lasciasse andare a questi eccessi, sareb-
b'egli senza fallo un mostro sì deforme, che
nessun altro vizio come questo lo rendereb-
be vile e spregevole. Parlo adunque di una
tal quale avidità di mangiare, del cibarsi
principalmente per soddisfare il gusto, per
trarne sensualità e diletto, e dell'eccedere in
qualche modo nella quantità dei cibi. Se que-
— 359 —
-to genere di intemperanza viene interdetto
ii secolari, obbligati anch'essi a praticare nel
itto una cristiana moderazione, quanto più
-arà vietato ai religiosi, che appositamente
ntrano in un ordine od in una congregazione
per far penitenza, per condurre una vita di
mortificazione, per tendere a perfezione? Bel-
ia penitenza invero sarebbe quella di chi in-
ece di affliggere la carne, l'accarezzasse con
pascerla di cibi ben confezionati, e con be-
ande ben eccitanti! Bella virtù accontentar
appetito della gola, compiacerla in tutte le
-ne voglie; bell'astinenza il partire col corpo
-itollo dalla tavola; bella mortificazione il
mangiare non per bisogno, ma per edacità e
er piacere!
- Pericolo d'impurità.
Con tutto ciò il male non sarebbe estremo.
• tutto il danno si restringesse a questo solo;
a v'è anche di peggio assai. L'intemperante
opresso dalla soverchia quantità di cibi, ri-
dasi in un'attuale inazione di spirito. Ora
in quel tempo si pone in moto la concupi-
enza (ed è impossibile che essendo il corpo
• itollo non si susciti nella parte inferiore
mpesta di sensualità), a quali pericoli con-
en dire che stia esposto un intemperante di
• "ccombere a funesti e vergognosissimi nau-
agi? «Li ho saziati e son caduti in peccati
n

19.5 Page 185

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vergognosi», come si lagna Dio del suo po-
polo (1). Io li ho provveduti di vitto, ed essi,
abusando dei doni della mia liberalità, si so-
no dati vergognosamente in preda ad abbo-
minevoli impudicizie, come cavalli sfrenati
Ciò specialmente avverrebbe ad un religioso di
giovane età, in cui il bollore delle passioni è
ancora eccitato dalla vigoria e forza dei
sensi.
3) ... Scandalo al prossimo.
Vedi un po' che orribile scandalo è in un
religioso l'intemperanza, specie nel bere! Ol-
tre alla offesa del Signore, che in un religio-
so arriva più presto a far peccato mortale
per cagione del cattivo esempio, è anche con-
culcato presso i secolari il decoro dello stato
religioso. Oh quanto ripugna, quanto dispia
ce e fa vergogna sopra ogni altro vizio, -que-
sto della intemperanza nel bere! E incredi-
bile qual cattivo effetto faccia il veder com-
parire in pubblico un religioso oltre il solito
rubicondo in faccia, cogli occhi ben rilucenti,
farsi sentire con l'alito avvinazzato, darsi a
vedere fuor del consueto allegro, prorompere
in leggerezze, e dimostrare con altri segni gli
effetti della sua intemperanza. Attienti tu
pertanto ora, e promettilo fermamente con un
(1) «Saturavi eos, et moeehati sunt » ( G e r e m V , 7).
sacro giuramento al Signore, di volere per
tutta la tua vita stare al consiglio suggerito
dall'apostolo San Paolo al suo Timoteo: di far
uso del vino in quanto è richiesto dalla neces-
sità e dalla salute (1); e nulla più.
4) Risveglia passioni ed abitudini antiche.
L'intemperanza è quella che realmente ri-
sveglia le antiche passioni. È essa che spinge
a riassumere i primieri abiti peccaminosi, ria-
prire le vecchie piaghe, anche ad onta di
tanti bei proponimenti, di tante orazioni, di
tanta custodia dei sentimenti, e di tant'altre
buone opere. Temi dunque, o mio buon fi-
gliuolo, questo nemico capitale della santa
purità. È vero che anche la congregazione
nostra in alcune circostanze di tempo o di
solennità, somministra qualche vivanda di
più del consueto, ma non per questo hai a
far oggetto di disordine quel che è onesto
riflesso di caritatevole discrezione. Approfitta
pure di quella carità che ti vien sommini-
strata dalla Divina Provvidenza; ma con mi-
sura, e moderazione. Non oltrepassare mai
i confini della religiosa sobrietà, che è l'ar-
ma più sicura per abbattere il nemico della
-anta purità.
(1) « Modico vino utere propter stomachum tuum
et frequentes inflrmitates • (J Tim., V, 23).

19.6 Page 186

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— 362 —
CAPO XXVI
DELLA MORTIFICAZIONE
DEGLI ALTRI SENSI DEL CORPO
Mortificare il tatto perchè pericoloso.
11 tatto è quel senso che percepisce, ossia
sente tutte le diverse impressioni e sensazioni
prodotte nel nostro corpo dal contatto di og-
getti esteriori. Questo senso precipuamente
fa d'uopo mortificare, perchè, come dice San
Basilio è il più pernicioso (1). «La vista si
limita agli occhi, dice il padre Scaramelli,
l'udito alle orecchie, alle narici l'odorato, il
gusto al palato ed alla lingua; ma il tatto è
sparso su tutta la superficie del corpo. In tut-
te le membra esso tende insidie alla volontà.
È specialmente il mortale nemico della ca-
stità, poiché esso desta la concupiscenza car-
nale, accende nell'anima gran fuoco d'impu-
rità, e con gran forza la seduce e trascina
nel fango della disonestà. Questo senso è
quel formidabile nemico, che, deciso di dal-
l'assalto ad una fortezza, non si limita ad at-
taccare una trincea od un bastione, ma d'ogni
(1) « Omnium sensuum perniciosissimus <•
—3
lato la serra, da tutte le parti l'assale, e spiega
contr'essa tutte le sue forze per rendersene
padrone ». È per questo che San Paolo diceva
schietto di sè, e così lo insinuava a noi : « Io
castigo il mio corpo e lo riduco in servitù,
per timore, che dopo di aver predicato agli
altri, non sia io stesso riprovato (1) ».
... Impedisce la perfezione.
Devesi ancora mortificare il senso del tat-
to per riuscire a condurre vita che tenda alla
perfezione, secondo le esigenze del nostro
stato di religiosi. Ciò che impedisce la mag-
gior parte delle anime di giungervi, è l'af-
fetto agli agi ed al benessere. « È un errore,
dice Santa Teresa, il pensare che Iddio am-
metta alla sua amicizia le persone che cer-
cano i loro comodi ». Ed il padre Faber sog-
giunge: «L'amore del proprio benessere cor-
porale è la rovina della santità: dalla cer-
chia del benessere quotidiano non uscì mai
nulla di grande » (Il Prez. Sangue). E poi
continua: « Sarebbe cosa facile l'esser uomo
spirituale, se a ciò bastasse l'aver rette vedu-
te, elevati sentimenti, o ferventi aspirazioni.
La pietra di paragone della spiritualità è la
(1) «Castigo corpus meum et in servitutem redigo,
ne cum aliis praedicaverim, ipse reprobus efflciar »
(I Cor., I X , 27).

19.7 Page 187

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mortificazione. I mondani divertimenti, la
giornaliera abitudine di far sempre la pro-
pria volontà, sono tutte cose incompatibili
con la santità, » quando sono abituali, e for-
mano il normale ed ordinario andamento
della nostra esistenza. La pena è necessaria
per la santità; il soffrire è essenziale per la
distruzione dell'amor proprio. È affatto im-
possibile che le virtuose abitudini possano
formarsi senza la volontaria mortificazione,
e il dolore deve fecondare la grazia per farle
portare dei frutti ».
COME MORTIFICARE IL TATTO.
1) Rinunciare alle comodità.
Indichiamo ora le principali maniere di
praticarla. La prima maniera di mortificare
il senso del tatto consiste nel rinunciare, an-
che quando si è soli, a quelle comodità, che
impedirebbero d'aver sempre un contegno di-
gnitoso e modesto quale si conviene a chi
sta alla presenza di Dio. Siano come esem-
pio il non istendere od incrociare le gambe
stando seduti, lo stare in piedi senza appog-
giarsi, il non stiracchiarsi, lo stare in mo-
desta posizione a letto, e coperti con molta
decenza, anche nei soffocanti calori estivi;
non sciogliersi i vestiti d'estate per ripararsi
dal troppo calore, non cercare bagni o luoghi
di frescura, o refrigeri anche permessi: in una
parola, non cercar mai i propri comodi. Di
San Francesco di Sales racconta mons. Ca-
mus: «Io non l'ho mai veduto dispensarsi
dalla più esatta regola della modestia: così
solo, come in compagnia, teneva un'egua-
glianza di contegno nel proprio corpo simile
a quella del suo cuore ». La stessa cosa possia-
mo dire del nostro buon padre Don Bosco,
che non si vide mai cercare le sue comodità,
ed in ogni circostanza si comportava così
mortili catamente, da far credere che non si
sia mai presa una soddisfazione corporale per
pura sua compiacenza. Solo a forza di molti
atti di mortificazione, si giunge a questo, ma
non dimentichiamo che per diventar santi
bisogna combattere, e combattere sempre, e
combattere aspramente.
2) ... Cercar quel che più piace al Signore.
Una seconda maniera di mortificare il tat-
to consiste nel cercare sempre, anche nelle
ose esterne, quel che piace di più al Signore,
sebbene costi molti sacrifici. Così ad esem-
pio cerca di pregare in ginocchio, e per quan-
to si può anche senza appoggiarti, col capo
-coperto, in posizione molto rispettosa. Reci-
ta le preghiere del mattino e della sera, fa' la
teditazione e le altre pratiche di pietà in gi-
nocchio avanti al Santissimo, anche se te ne
potresti dispensare, e fa' queste cose per quan-

19.8 Page 188

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— 366 —
to puoi iu comune. Assisti alle funzioni di
chiesa, anche assai lunghe in certe solennità,
e senza lasciar di pregare e senza guardare
attorno; e còsi via.
3) ... Sopportare le intemperie e le veglie.
La terza mortificazione del tatto consiste
nel sopportare pazientemente le intemperie
dell'aria, caldo, freddo, vento, polvere, piog-
gia, non solo senza muover lagnanza ma con
giocondità. È anche mortificazione del tatto
il vegliare. Per te questa deve limitarsi a
star volentieri alzato quando qualche lavoro
di ubbidienza lo richiedesse, come per aiuta-
re in sacrestia, attender qualche forestiero,
nel non prenderti quel po' di riposo che al-
cuni si prendon nel pomeriggio, nell'alzarti
volentieri prima della levata, quando il ser-
vizio delle messe, viaggio, od altra causa lo
richiedesse. Sii sempre puntuale nell'alzarti
alla levata, anche quando stessi poco bene,
o quando per motivi leciti fossi andato mol-
to tardi a letto. Questa mortificazione costa
assai a chi non si è ben accostumato; ma ap-
punto per questo è molto meritoria, e si de-
ve assolutamente praticare per giungere alla
perfezione. Non si saprebbe dire quante gra-
zie segnalate ci procaccia nel corso della
giornata questa prima violenza, e di quante
grazie noi saremo privati nel giorno per la ne-
—3
gligente omissione di questa mortificazione.
Non è da credere mai al fervore di un'anima,
che incomincia la sua giornata con un pec-
cato veniale di pigrizia. San Vincenzo de'
Paoli scrisse appositamente una lettera circo-
lare a tutti i suoi religiosi sul bene di levarsi
puntualmente al mattino, lettera creduta di
tanta importanza da Don Bosco, che la volle
inserita nella edizione tradotta delle nostre
costituzioni. « All'infuori del tempo che si dà
ai vizi, dice San Bernardo, noi non perdia-
mo di più il tempo di nostra vita che dan-
dolo al sonno ». Chi donne molto tempo, di-
ce San Vincenzo de' Paoli, si rende effemi-
nato; così allora appunto giungono le ten-
tazioni.
4) Cercar sedie e letti duri.
La quarta mortificazione del tatto consi-
ste nel non concedersi seggioloni e letti sof-
fici. Anzi conviene che ci abituiamo a letti
incomodi piuttosto duri. Quante volte non si
dice necessario alla salute ciò che propria-
mente non serve che a velar l'amor proprio e
i soddisfare la sensualità! Un morbido letto
-nerva il corpo e per conseguenza l'anima, e
trattiene a riposo più del necessario. « Se un
pagliericcio ti basta per dormire, dice Sant'Al-
fonso, qual necessità vi è di aggiungervi un
materasso? e perchè metterne due? » E San

19.9 Page 189

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— 368 —
Vincenzo Ferreri scriveva: « Vi alzerete non
solo con facilità, ma ancor con gioia, se avete
un duro giaciglio ».
5) Sopportare pruriti e punture.
La quinta mortificazione del tatto consiste
nel sopportare con pazienza, e senza cercar
di liberarsene (salva sempre l'igiene e la net-
tezza), i naturali pruriti e le punture dei mo-
scerini e degli insetti. Sant'Alfonso chiama
questa mortificazione un tormento spesso più
duro dei cilici e delle discipline. Eppure per
fare questa penitenza non vi è bisogno di
chiedere il permesso, e non si è esposti alla
vanagloria! Il ven. padre Lancizio racconta
d'aver conosciuto dei religiosi i quali, per
aver tollerato per più settimane vivissimi pru-
riti cagionati dagli insetti, ricevettero grazie
straordinarie, che fino allora invano avevano
chiesto per molti anni.
6) Le penitenze afflittive del corpo.
La sesta mortificazione del tatto consiste,
nell'affliggerlo con strumenti di penitenza,
come ad esempio col portare il cilicio od una
catenella di fil di ferro, le cui punte sporgenti
s'applicano sul corpo specialmente ai fianchi,
alle braccia, alle gambe; o col darsi la disci-
— 369 —
plina. Il ricordo della crudelissima flagel-
lazione di Gesù Cristo valse assai a porre in
onore tale penitenza: «Non vi è alcun santo,
almeno tra i moderni, dice Sant'Alfonso, che
non l'abbia adoperata assai ». Io non ti sug-
gerisco queste due ultime sorta di penitenza,
senza che ti sia inteso col tuo maestro o col
tuo direttore. Queste cose a noi non sono co-
mandate, e generalmente neppure consigliate:
ma spiritus ubi vult spirat. È certo che veden-
dole praticate da quasi tutti i santi, dovrem-
mo almeno desiderarle, ed ammirare chi,
ben guidato, le adopera. Noi abbiamo e gli
incomodi della vita comune, e la fatica della
continua assistenza ai giovani, e il grande e
non interrotto lavoro, che possono ben farci
acquistare il merito di chi porta il cilicio o
si dà la disciplina, ed anche di più. Eppure,
in qualche circostanza, potrebbe questa sorta
di penitenza esserti ben utile, e quasi neces-
saria, per rintuzzare la petulanza del corpo
che ricalcitra. Però, specialmente in questo,
consigliati con chi dirige la tua anima.
") La nostra pratica penitenza.
Vi è ancora un settimo modo di mortifica-
re i nostri sensi e tutto il nostro corpo, ed è
quello che Don Bosco, senza rigettare nessu-
no degli altri sei modi sopraenunziati, sugge-
riva e praticava sopra tutti; ed è il mortili-

19.10 Page 190

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—3 —
carsi coll'esatta osservanza della vita comu-
ne, e con straordinario lavoro e fatiche. Cer-
to che l'essere costante giorno e notte nell'as-
sistere, ed assistere nelle dovute maniere i
nostri alunni, il dovere costantemente e be-
ne fare scuole diurne e serali e prepararvici
seriamente, e correggere costantemente un
gran numero di pagine; il dover fare questi
continui lavori anche quando sono contro ge-
nio, anche se si ha poca salute, o senza libri
adatti, o con colleghi strani e mal disposti
verso di noi; lo stare in un collegio dove l'a-
ria non ci è propizia, la camera non adatta
per posizione e per ampiezza, orribilmente
fredda d'inverno e calda d'estate: tutto que-
sto, dico, vai ben più del portare cilicio, dar-
si la disciplina, e del fare le più austere pe-
nitenze. Don Bosco a qualcuno che avrebbe
voluto entrare in altro istituto religioso con
lo scopo di fare più penitenza, attestando che
aveva da soddisfare per i peccati della vita
passata, rispose in mia presenza, assicurando-
lo che in nessun luogo avrebbe potuto fare
più penitenze che nella nostra Pia Società,
purché osservasse bene le regole e si occupas-
se seriamente del bene dei giovani, come so-
gliono fare i nostri soci più osservanti; e che
comportandosi egli in questo modo, si pren-
deva lui la responsabilità avanti a Dio della
penitenza che avrebbe dovuto fare per i falli
della vita passata.
Inoltre questo intenso lavoro richiede che,
— 371 —
per esempio, sia pronto a lasciare il pranzo
a metà per un'assistenza imprevista, che stan-
co a morte pur vada a quella tal conferenza,
prenda parte a quella data riunione, ti occu-
pi del collocamento di quel dato giovane, dia
mano a sostenere ancora l'oratorio festivo, ag-
giunga alle molte scuole qualche ripetizione,
aiuti a preparare un teatrino, un'accademia,
e mille cose simili che possono occorrere ogni
giorno. Ebbene! ricordati che si deve fare pe-
nitenza; che chi non ne fa, irrimediabilmente
perisce; e che tu non facendone molte d'altre
sorta, devi fare almeno quella di lavorare
indefessamente, di osservare bene tutte le re-
gole, e di stare, anche con incomodo, alla per-
fetta vita comune. Mettiti pertanto a fare
queste cose volentieri e con cuore generoso, e
Dio ti benedirà.
Della mortificazione dell'udito.
Per la mortificazione dell'udito basteranno
poche parole, appartenendo specialmente al-
la mortificazione interiore le principali ma-
niere di praticarlo Non è mortificato l'udito
quando volontariamente si ascoltassero parole
discorsi malvagi, oppure pericolosi, cioè di
quelli che possono cagionare nell'anima ten-
tazioni o pericolo di peccare. Astenerci da
questo è obbligo assoluto.

20 Pages 191-200

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20.1 Page 191

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—3 —
COME MORTIFICARE L'UDITO.
1) Non ascoltare...
La prima mortificazione dell'udito, consi-
ste nel non "volersi fermare ad ascoltare nep-
pure discorsi semplicemente vani, o musiche
profane, quando ve ne sarebbe occasione an-
che lecita. Le anime che tendono alla perfe-
zione dovrebbero vietarsi le romanze leggie-
re e ascoltate per puro diletto. Noi possiamo
e dobbiamo attendervi alle volte, essendo diret-
te a sollevare i nostri giovani. Ma tu procura
di avere sempre in mente di non volerti so-
lo divertire, bensì, e principalmente, attendere
ad un tuo dovere, cosicché se fossi per qual-
che motivo chiesto altrove, non avesse a di-
spiacertene. Se sentissi parlare di qualche ce-
lebre musicista che viene a dar saggio nella
città, guardati bene di cercare permessi o di
andare ad ascoltarli per pura curiosità. Re-
primiti prontamente e fortemente: e va' so-
lo se la necessità e la convenienza richiedano
che tu vada. Don Bosco da giovane suonava
assai bene il violino, e ne avrebbe trovato di-
letto e sollievo; ma fatto chierico, visto che
gli serviva solo per vanità propria, o per sod-
disfare la curiosità altrui, lasciò risolutamente
quel suono, e non attese a musica se non per
bene dei suoi giovani, e mai per propria sod-
disfazione.
— 373 —
2) Sopportare.
La seconda mortificazione dell'udito con-
siste nel sopportare con pazienza, senza la-
gnarsi, quando non si è tenuti a farlo, ciò
che di natura sua sensibilmente l'affligge, per
esempio: il continuo scricchiolìo di una por-
ta, l'ostinato abbaiar d'un cane, il gracidar
delle rane, il noioso cicaleccio o gridìo di gio-
vani, l'affrettato e pesante e rumoroso passo
di altre persone nei corridoi avanti le nostre
•.•amere, ecc. Le persone nervose possono mol-
to soffrire da queste cose. Si prenda tutto in
-anta pace, e se ne renda grazie al Signore.
Mortificazione dell'odorato.
Il primo modo pratico per mortificare l'o-
dorato consiste nel privarsi assolutamente di
ogni uso di profumi, siano essi naturali od ar-
tificiali. Questa cosa è indegna di ogni reli-
gioso che sa rispettarsi. L'unico caso lecito,
ed alle volte necessario, si è l'adoperare qual-
che cosa che tolga il fetore, per non dare di-
sgusto od essere gravi ad altri. Il secondo
modo di mortificare l'odorato è di non annu-
sare fiori od altro per pura soddisfazione pro-
pria. Fàllo solo per convenienza o per render-
ti piacevole ad altri. Si racconta nella vita di
San Vincenzo de' Paoli, che non annusava
mai fiori: alla loro fragranza preferiva il cat-

20.2 Page 192

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tivo odore degli ospedali o delle camere de-
gli infermi. Altra penitenza a questo riguar-
do consiste nel privarsi del tabacco da na-
so; la quale mortificazione, per chi antece-
dentemente ne fosse accostumato, costerebbe
sacrifizio gravissimo. Non parlo dell'astener-
si dal fumare, perchè questo è già comandato
dalle regole, e perciò necessario a farsi. Quar-
ta mortificazione dell'odorato, consiste nei
sopportare con pazienza e, per quanto si può.
con gioia, tutto ciò che può sensibilmente af-
fliggerlo. « Cercate, dice Sant'Alfonso, di sop-
portare i cattivi odori che regnano spesso
nelle comunità ». Animati dallo spirito di ca-
rità e di mortificazione sopportiamo i cattivi
odori degli ospedali e delle camere degli in-
fermi quanto l'aria profumata dei giardini fio-
riti. Un giorno volendo qualcuno distogliere
S. Francesco di Sales dall'accostarsi ad un po-
vero vecchio infermo, che esalava un orribile
fetore: «Lasciate, disse; i cattivi odori degli
infermi sono come l'odore di rose per me >.
Alcune avvertenze.
Lo spirito di mortificazione e di peniten-
za di cui si parlò, per sè è sempre buono. Ma
può benissimo venire travisato dal demonio,
specialmente introducendovi lo spirito di va-
nità per una parte, di scoraggiamento per l'al-
tra. Il demonio cerea di condurre il princi-
piante all'indiscrezione, e fargli fare più pe-
nitenze di quel che non possa sopportare, af-
finchè, scoraggiato, lasci poi tutto, e alle volte
perfin la vita cristiana. Altre volte lo incita
a grandi penitenze soffiandovi dentro il com-
piacimento di se stesso, o la persuasione di
essere arrivato ad un bel grado di virtù, per
servirsi poi di questo a farlo direttamente in-
superbire, e quindi a rovinarlo. Si riconosce
che lo spirito di penitenza viene da Dio
quando rende l'anima più umile, più pentita
delle sue colpe, e la fa avanzare solidamente
iitlle virtù; e quando in tutto completamente
e volentieri, e con semplicità, la sottomette
all'ubbidienza dei legittimi superiori.
Per far penitenze straordinarie ci vuol
-empre la licenza del superiore; ma per le
mortificazioni ordinarie questa non è del tut-
te necessaria. E sebbene sia cosa consigliata
1 aprirsi completamente con lui anche in que-
ste cose, tuttavia se avvenisse alle volte che
r>on se ne avesse la comodità o l'occasione,
o quando non si fosse ancora conosciuti, o al-
meno non si fosse ancora in intimità spiri-
tuale con lui, per quelle volte se ne potrebbe
fare a meno. Alle volte poi avviene che il Si-
gnore medesimo inspirando anche penitenze
gravi, dispone le cose in modo o che non si
possa, o che nemmeno si pensi di domandarne
licenza. Una buona suora della Visitazione,
in giorno, dopo che si era inciso sul corpo

20.3 Page 193

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con ferro rovente il santissimo Nome di Ge-
sù, quando le si fece osservare la sua impru-
denza pel pericolo di rovinare la sua salute,
e ciò senza domandare permesso di sorta, eb-
be a soggiungere: < Se anche solo mi si fosse
affacciato alla mente che era necessaria la li-
cenza per eseguirla, l'avrei chiesta; ma nul-
la si presentò al mio spirito ». E poi conclu-
se: « Compresi dopo d'averlo fatto, che Iddio
alle volte inspira alcune cose da se stesso, e
che non sempre lascia la libertà di ricorrere a
quelli che ci possono assicurare della sua vo-
lontà ». Nella via dell'ordinaria mortificazio-
ne di noi medesimi bisogna non mai inter-
romperci. Nulla dies sine linea: non dev'esser-
ci nè festa nò vacanza che ce ne ritraggano.
Un ricamatore, un pittore possono tralasciare
la loro opera per qualche tempo, e poi ripren-
derla e terminarla come se non l'avessero in-
terrotta. Ma ciò non accade ad un barcaiolo
che remiga contro corrente; per poco che egli
tralasci di vogare, la corrente trascina la sua
barca indietro. Vi sono certamente certi tem-
pi più propizi a certe mortificazioni più mar-
cate e speciali: il tempo di avvento, di qua-
resima, di passione: gli ultimi giorni di car-
nevale e i venerdì. Ma nello spirito di morti-
ficazione e nelle piccole cose guai se si trala-
scia anche per poco! Subito ci troveremmo
indietreggiati. Tu pertanto fatti coraggio:
mettiti con energia nella via della mortifica-
zione di te stesso. Ascolta con semplicità le rac-
— 377
comandazioni del maestro, specialmente sul-
lo spirito di rinnegamento. Intenditi con lui
sulle mortificazioni ordinarie che ti pare di
poter fare, e non metterti mai da te in mor-
tificazioni straordinarie. Che se sentissi forte
impulso della grazia, dipendi sempre con
semplicità ed umiltà da chi ha dal Signore
l'incarico di dirigerti per le sue vie.
CAPO XXVII
DELLA SANTA MODESTIA
E DELLA MORTIFICAZIONE
DELLA VISTA
Che cosa sia e in che consista.
La santa modestia è quella virtù che re-
gola i sensi, e compone i movimenti, le azioni
esterne e l'ornamento della persona, in modo
che questa non dia occasione veruna a pec-
cato nè a se stessa nè ai prossimi. Essa si
esercita specialmente nel mortificare e custo-
dire gli occhi e il tatto; nel mortificare l'or-
namento esteriore del corpo e le altre esterne
azioni, come il portamento, il gesto, il cam-
minare, il sedere; e nel moderare la lingua.

20.4 Page 194

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Sua, importanza.
Di grande importanza è la mortificazione
del senso della vista, sia perchè questo sen-
so, non ben mortificato, impedisce certamen-
te all'anima l'acquisto della perfezione; sia
poi anche perchè facilmente può impedire
l'acquisto dell'eterna salute, giacché d'ordi-
nario trascina l'anima a molti e gravi pec-
cati. Questo senso ha bisogno di molto fre-
no poiché agisce in un istante, e senza alcu-
na fatica abbraccia in una volta molti og-
getti, e giunge ugualmente ai più lontani.
Esso serve di strumento a procacciare agli
altri sensi ed alle interne potenze i loro pia-
ceri; fornisce all'intelletto ed all'immagina-
zione ciò che appaga la loro curiosità; e
conduce il corpo, servendogli quasi di guida
e di fiaccola, dovunque si porta e qualunque
cosa faccia. Così dalla cura che si adopera
per riformarlo, dipende in gran parte la ri-
forma quasi intiera dell'uomo interno e del-
l'uomo esteriore. Tra gli occhi, la mente e il
cuore corre una sì stretta alleanza che non
appena miratosi dai primi un oggetto viene
immediatamente trasferito ai secondi. Da ciò
conviene certamente dedurre di che gran no-
cumento sia a chiunque l'immodestia degli
occhi. Noi poi dobbiamo essere continuamen-
te applicati al culto del Signore, alle cose
spirituali, ad istruire ed educare cristiana-
mente i giovani, insomma ad esercizi tali che
richieggono ad ogni ora libero il cuore, e to-
talmente sgombra da pensieri estranei la
mente. Ora con quale speditezza potremo
portare i nostri affetti, i nostri pensieri a
quel Dio, cui devono essere indefessamente
rivolte le nostre fatiche e le nostre proprie
riflessioni, qualora siano men che custoditi
i nostri sguardi? Vengono i nostri occhi da
Sant'Ambrogio assomigliati ad una rete. E
siccome quando i pesci son ristretti nella re-
te, non han più libertà d'andare come per
l'addietro guizzando in tutta l'estensione del-
le acque, così il nostro cuore e la nostra men-
te, tenuti raccolti, non vagheranno più tanto,
e saran fuori del pericolo di nuocere all'a-
nima.
Danni della troppa libertà degli occhi.
Considerevolissimi poi sono i danni, che
reca ad un religioso la troppa libertà degli
occhi, per quegli inevitabili cimenti, cui lo
pone la sua libertà di guardare. Nel mondo
altro non vi è che vanità, scompostezza e lus-
so. Tu lo sai, figliuol mio, quel che ti avveni-
va prima che entrassi in congregazione.
Quanti oggetti pericolosi, quanti incentivi,
quanti allettamenti non si trovano ogni gior-
no nel mondo per sedurre la debolezza degli
incauti! Ora come potrà non essere sottopo-
sto agli insulti, soliti a suscitarsi nel cuore

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umano, colui il quale con facilità lascia libe-
ro all'occhio il freno di fissarsi in certi og-
getti, che vibrano saette avvelenate per ferire
mortalmente l'anima di coloro che incauta-
mente li rimirano? Lo sa Davide, dice San
Giovanni Crisostomo, che essendosi posto a
rimirare uno di cotesti oggetti traditori, fu
immediatamente da esso colpito in mezzo al
cuore, ove gli formò una piaga profonda e
mortale. Unitamente a Davide lo sanno tanti
e tanti, che per non aver tenuti ben custoditi
gli occhi, incorsero nelle medesime sventure; o
se non altro sentirono turbarsi l'intiera pace
dello spirito, ribellarsi la parte inferiore, met-
tersi sossopra gli affetti del cuore, porsi in
ardenza la fantasia, funestarsi la mente dai
laidi pensieri, destarsi la volontà a compia-
cenze indegne. E Dio sa quante volte non
dovettero soccombere alla violenza della
passione, risvegliata in loro dalla immodestia
degli occhi. San Girolamo non era mai stato
un religioso di indole immodesta; eppure non
dovette mai soggiacere a veementi tentazioni
più d'allora che posò così di passaggio uno
sguardo, per altro indifferente, su di un volto
sia pure ben composto e venerabile. Allora
fu che sentì farsi guerra alla sua innocenza,
combattersi la sua illibatezza. Allora udì ri-
svegliarsi nel pensiero il funesto ricordo delle
scompostezze, che durante i suoi anni gio-
vanili aveva vedute nei teatri e nelle sale
di Roma. E quanto dovette faticare per to-
gliersi dalla mente così brutte fantasie!
Quanto dovette adoperarsi per discacciare
dalla fantasia le immagini moleste degli an-
tichi oggetti! Quanto dovette insistere per te-
nere a freno i movimenti della concupiscenza,
quantunque fosse ormai d'età avanzata, eser-
citatissimo nella virtù, indefesso nell'orazio-
ne, rintanato in una grotta, estenuato per le
austerità delle mortificazioni, dei digiuni, e
di tante penitenze! Egli medesimo, piangen-
do, lo confessa (1). Ascoltino, ripiglierebbe
qui molto a proposito il Crisostomo, ascolti-
no gli immodesti, i quali non avendo nè la
carne mortificata per le penitenze, come un
"•^an Girolamo, nè essendo come lui intenti al-
l'esercizio continuo dell'orazione e delle vir-
u, nè avendo domato a somiglianza di lui
ìe passioni dell'animo, con tutto ciò girano
jli occhi vagabondi, fissandoli curiosamente
-u qualunque oggetto (2). Se un santo di vi-
ta cotanto austera, di consunta perfezione,
cadente di età, vien molestato, per uno sguar-
do indifferente, da sì gagliarde tentazioni, re-
merai tu poi immune da brutte suggestoni, tu
iie, non essendo santo come un Girolamo,
in pratichi per nulla la mortificazione de-
(1) « Ille igitur ego, scorpionum socius et ferarum.
- ?pe ehoris intereram puellariim: pallebant ora jeju-
s, et mena desiderila aestuabat » (Ep., X X I I , ad
- st., n. 7).
(2) « Audiant curiosi, qui alienam puichritudinem
nsiderant • (In ps. 50, n. 5).

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— 38 —
gli occhi? Ad un giovane qual sei tu, basta
una semplice occhiata per cagionarti nel cuo-
re una grande alterazione, e accendere in te
una gran fiamma di impudicizia. Quindi
non fidarti mai di te stesso; ma, conforme
all'insegnamento dello Spirito Santo, tien sem-
pre ben custoditi gii occhi, per non essere
sottoposto a sentirti molestato da indegne
suggestioni il cuore (1).
Il vedere non è guardare.
Non ti dico qui che debba tenere sempre
fisso a terra lo sguardo, senza mai vedere vol-
to umano: tanto da te non si pretende. Altri
è vedere, ci fa sapere Sant'Agostino, ed altro
è guardare. Il vedere è azione naturale, ma
il guardare può essere criminoso; e però se
avvenga che i tuoi occhi s'incontrino per me-
ra casualità a vedere un qualunque oggetto
pericoloso, non si fermino su di esso, curiosi
e vagheggiatiti. San Francesco di Sales dav
gii stessi ammaestramenti: si può vedere e
non guardare, soggiungeva; ed insisteva che
non si fissasse mai altri in volto. E Don Bosco
ci ripeteva le medesime cose, dicendoci che
neppur nel volto dei nostri giovanetti tenessi-
(1) « Ne circumspicias speciem alienam... ex hoc
concupiscentia quasi ignis exardescit » (Eccli., IX.
8-9).
— 383 —
mo fissi gli sguardi. Questo è uno dei princi-
pali punti di mortificazione, che è richiesto da
chi si fa religioso. Pertanto, riconoscendo tu
necessario l'uso continuo di questa virtù, giu-
dicata il più bell'ornamento di un novello reli-
gioso, a tutti i costi avvézzati a tenere gli oc-
chi bassi, anche quando potresti alzarli sen-
za timore d'incorrere alcun pericolo, affinchè
-ia poi in tuo potere di abbassarli senza dif-
ficoltà nell'incontrarti a vedere qualche og-
getto, che non sia da rimirarsi con occhio
:lsso da un buon cristiano.
Esempio di Gesù e dei Santi.
Ma quand'anche ti si dicesse di tenere sem-
pre le pupille rivolte a terra, non ti si sug-
gerirebbe nè più nè meno di quel che fece
a; ienntorestrovissaemmfraaesntroaimqeunatoggiùGeisnù
Benedetto,
terra. Egli
he fu nostro modello in tutte le virtù, così
fu anche nostro esemplare in quella della mo-
lestia. Gli evangelisti fanno particolare men-
ione come di cosa insolita, che gli occhi im-
peccabili del Redentore, stati sempre corupo-
-ti, qualche volta si alzassero. E ciò affinchè
sparassimo che egli non era solito vagarli
Tua e là; ma che stava sempre composto per
nsegnare a noi di fare altrettanto. Imitarono
-ì bene l'esempio del Salvatore i Santi, molti
:ei quali divennero ammirabili per la loro

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modestia. San Simone stilita tenne talmente
mortificati gli ocelli, che non volle neppure
guardare la propria madre. Ugone, vescovo
di Grenoble, confessò al termine della sua
vita, di non aver mai mirato volto di donna
in tutto il tempo del vescovado, il quale non
fu meno di cinquantanni. San Pietro d'Al-
cantara fu sì mortificato negli occhi, che non
conosceva i Religiosi i quali convivevano con
lui, se non per la voce. E quel che è più mi-
rabile, dopo il corso di un anno, in cui abitò
una cella, non aveva mai osservato di quale
struttura ne fosse il soffitto. Lo stesso si leg-
ge di San Bernardo. San Luigi Gonzaga non
voleva guardarsi i piedi nudi. Cento e mille
altri esempi si potrebbero addurre di anime
sante, celebri per la loro modestia e per l'in-
defessa custodia degli occhi. Ed è pur da
credere che questi santi praticarono sì rigida
mortificazione, non solo per non vedere og-
getti pericolosi ma anche per non perdere
quel raccoglimento interiore sì necessario ai
veri religiosi, e per non porsi a rischio di ve-
der rovinato il santo edificio della perfezione
Non possono stare insieme raccoglimento di
spirito ed immortificazione degli occhi, per-
fezione e licenza nel guardare. Tu pertanto,
o mio buon figliuolo, tieni presentemente ber:
custoditi gli occhi, e fa' promessa seria e fer-
ma di volere continuare, anche professo, que-
sta rigorosità nel custodire la vista. Che non
ti avvenga, come purtroppo avviene, che po-
co alla volta diventi sfacciato e procace.
... Anche solo per mortificazione e buon
esempio sii modesto.
Ma ancorché dall'immortificazione degli
occhi non ti derivasse la serie di mali fin qui
descritti, tu saresti non pertanto obbligato
ad essere modesto in vigore di quella morti-
ficazione che deve essere inseparabile da chi
vuol servire con fervore Iddio. Egli, secondo
l'insegnamento dell'apostolo, dovrebbe ren-
dersi in ogni tempo, in ogni luogo, qual vivo
ritratto di Gesù Cristo (1). Noi religiosi pos-
siamo giustamente dire con lo stesso apostolo
di essere lo spettacolo degli uomini, del mon-
do e perfino degli angeli (2). Ci guarda il
mondo, ci osservano i secolari, e vedendoci
mortificati e ben composti, restano di noi
rrandemente edificati. Non sia peraltro la no-
stra una modestia affettata; ma sia naturale,
incera e divota. Questa è modestia edifican-
te, questa eccita divozione e fa gran colpo
nell'anima di chi l'ammira. Tale era la mo-
destia di Sant'Efrem Siro, che, a relazione
(1) « Semper mortificationem Jesu in corpore nostro
: : rcumlerentes, ut et vita Jesu manifestetur in corpo-
r;bus nostris » (II Cor., IV, 10).
(2) • Spectaculum faeti sumus mundo, et angelis,
et hominibus » (I Cor., IV, 9).

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del Nisseno, muoveva a compunzione chiunque
lo rimirava. Tale era la modestia di San
Francesco di Sales, che si attirava l'ammira-
zione di tutti; di San Luigi, che serve di
esempio al mondo: questa la compostezza di
Don Bosco, che attirava a Dio anche i più
schivi. Fuggì egli ogni esagerazione, ma fu
continuamente modesto e composto, sia in
privato che in pubblico, sia coi suoi giovanetti
come colle persone di mondo, sia in casa co-
me fuori di casa e nelle grandi conversazioni.
Conviene persuadersi che il mondo non ri-
ceve forse da noi maggior edificazione, o
buon esempio, quanto dal nostro modesto mo-
do di comportarci coi giovani. E però l'apo-
stolo vuole che la nostra modestia rendasi a
tutti manifesta: modestia vestra nota sit om-
nibus hominibus. Oh! figliuol mio, che pre-
dica fruttuosa non è mai quella, che al se-
colo si fa dai buoni preti e dai buoni reli-
giosi col buon esempio della mortificazione
degli occhi! La richiede in loro, la gradisce,
la commenda e santamente l'ammira. Ed al-
lopposto resta fuori di modo scandalizzato,
in vedere alcuni religiosi andare per le vie
con tanta sfrontatezza da non cederla ai più
libertini secolari. Lungi pertanto da te questi'
modo di procedere; risplenda invece sempre
nel tuo volto, con la serenità, la compostezza
Legga ciascuno nella verecondia dei tuoi oc-
chi il carattere d'un animo pudico. Traspir:
in te, dalla mortificazione degli occhi, una-
ria d'innocenza; e spera che si conserverà co-
stante nel tuo spirito la bell'opera incomin-
ciata della tua santificazione, se terrai con-
tinuamente fissa in mente questa gran mas-
sima: che la modestia degli occhi non è vir-
tù dei soli novizi, ma è anche virtù conve-
niente e necessaria ad ogni buon religioso di
qualunque età e condizione.
PRATICA DELLA MODESTIA.
1) Colle persone di altro sesso e coi giovani.
I modi principali con cui, sull'esempio da-
toci dai santi, si può mortificare il senso del-
la vista, sono i seguenti. Il primo consiste nel
praticare la modestia nelle relazioni con per-
sone di altro sesso e coi medesimi nostri gio-
vanetti. Lo Spirito Santo ci mette in guardia
contro i pericoli di chi non è riservatissimo
in questi casi : « Non fermate lo sguardo so-
pra un giovane (Eccli., IX, 5); Non rimirate
la beltà della donna» {Ibid., XXV, 28). Voglia-
mo noi dunque evitare le tentazioni? Siamo
modestissimi in tutte le nostre relazioni con
le persone di altro sesso, anche con le più
virtuose. Anzi con le donzelle pie è più da
stare guardinghi, perchè dalle altre la stessa
>ro sfacciataggine ci allontana: mentre ili-
ce l'amore spirituale va soggetto ad oltre-
passare i suoi limiti e diviene facilmente pe-
- :oloso. Anche chi si crede più fermo vigili
L

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su se stesso, e specialmente su questo punto
tenga come rivolto a sè il detto dell'aposto-
lo : « Chi si crede fermo badi di non cade-
re » (1). San Francesco di Sales era mo-
dello in questo, e il nostro buon Padre e Fon-
datore, sarebbesi persin detto scrupoloso in
punto sì delicato. San Bernardo insegnava di
evitare lo sguardo curioso e la familiarità dei
giovanetti (Form. hon. oitae n. 7). E Sant'I-
sacco, monaco siro, grida forte: « Fuggite l'in-
timità coi giovani, come fuggite l'amicizia
col diavolo ». Sì, anche riguardo ai bambini
ed alla gioventù alle nostre cure affidata, bi-
sogna essere d'una riservatezza straordinaria.
Il nostro modo di trattare con essi deve es-
sere pieno di ritegno e di modestia, non per-
mettendoci nè carezze, nè altre testimonianze
di affetto troppo sensibili, proibendoci di con-
versare troppo a lungo con alcuno di essi in
particolare. Rifiutiamo al nostro cuore sino
la più piccola affezione umana, ed osservia-
mo tutti quei riguardi verso i giovani che le
nostre Costituzioni e Deliberazioni ci pre-
scrivono.
2) Non essere curiosi.
La seconda mortificazione della vista con-
siste nel non soddisfare la curiosità. Conviene
(1) • Qui stat, videat ne cadat > (Z Cor., X , 12).
imparare a vincere noi medesimi, ed anche
in cose lecite stare mortificati, privarsi vo-
lentieri di vedere certi giuochi o divertimenti,
pubbliche feste, e generalmente ciò che si dice
gradevole, e che non serve se non a conten-
tare la curiosità. Non affacciarti alle porte
ed alle finestre per vedere chi passa. San Lui-
gi Gonzaga, condotto dal padre a vedere una
magnifica rivista di cavalleria in Milano, stet-
te più indietro che potè, e diresse gli occhi ad
oggetti indifferenti cosicché nulla'vide dello
spettacolo profano. Il cardinal Bellarmino
aveva in Roma un alloggio con magnifica
prospettiva, ma non fu mai visto affacciarsi
alla finestra. San Giovanni Berchmans do-
mandava permesso di stare a fare lavori di
casa, quando tutti uscivano per vedere le ca-
valcate che avvenivano nelle entrate di car-
dinali, di principi, di ambasciatori; e non vi-
sitò mai i giardini e le ville che formano
l'ammirazione di Roma. San Pietro Claver
aveva la finestra prospettante il porto di ma-
re a Cartagena nella Colombia. Al giungere
di qualche flotta l'intera città era in moto,
si suonavano tutte le campane, si faceva una
scarica generale di artiglieria, il popolo, i no-
bili, gli ecclesiastici, i religiosi, tutti accor-
revano verso il porto. Per ben quarant'anni
egli non si lasciò mai vincere dalla curiosità
di affacciarsi alla finestra a godere di quell'in-
nocente spettacolo. I numerosi viaggi offri-
vano a Don Bosco l'occasione e la comodità

20.10 Page 200

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— 390 -
di visitare a piacimento le più grandi rarità
d'Europa; ma non resta memoria che gli
prendesse desiderio di andare, per curiosità,
a vedere un monumento nel suo cammino. Gli
interessi di Dio, l'unico motivo di tutti i suoi
viaggi, talmente assorbivano questo nostro
buon Padre, che tutto il resto lo lasciava as-
solutamente indifferente. Se per caso chi lo
accompagnava richiamava la sua attenzione
su qualche, meraviglia dell'arte o della natu-
ra, il sant'uomo levati gli occhi un istante,
ne prendeva occasione per dire una parola
pia ed edificante. Poi ripigliava quell'atteg-
giamento raccolto, che non potranno mai di-
menticare quelli che lo conobbero. Ed io ri-
cordo che avendolo invitato ad allungare di
pochi minuti la via che si doveva percorrere,
per fargli vedere una rarità, egli mi rispose:
« Siamo venuti qui per il tal affare, e non con-
viene distrarci per vedere rarità ».
3) Letture, libri e giornali.
La ter za mortificazione della vista consi-
ste nell'astenersi dalla lettura di libri curiosi,
giornali, romanzi, poesie leggere ed ogni al-
tra lettura non necessaria ed utile, e solo di-
lettevole. Ogni lettura leggera e divagativa.
benché non direttamente pericolosa, costitui-
sce un serio ostacolo alla perfezione. « Qual
— 391 —
pietà, dice Sant'Alfonso, può avere una per-
sona che legge romanzi, commedie o pro-
fane poesie? Qual potrà essere il suo racco-
glimento nell'orazione e nella comunione? Il
gran male che fanno tal sorta di opere, pro-
segue il santo dottore, è di accendere la con-
cupiscenza dei sensi, di risvegliare sovratutto
la volontà o almeno la rendono sì debole, che
presentandosi di poi l'occasione di concepire
qualche affezione che non è pura, il demonio
trova il cuore pronto a lasciarsi vincere. Io
ti consiglio e ti scongiuro a far proposito se-
rio, duraturo per tutta la vita, di non volere
mai leggere per mera curiosità e per tuo pu-
ro compiacimento, di volere anzi sempre leg-
gere libri veramente utili ed edificanti. Fuori
dei libri scolastici e quelli pubblicamente rac-
comandati, non cominciar mai lettura d'un li-
bro senza domandare il parere del superiore.
San Francesco di Sales si era stabilito una
invariabile regola di condotta, di non mai leg-
gere ciò che non gli fosse utile per il miglior
adempimento di qualche dovere. Non aprir
-ubito le lettere, la cui lettura non è urgente,
e che sai già non contenere che curiosità e
-torielle, nè scrivere lettere che per necessità
convenienza. E non domandare, nè a voce
nè per iscritto, notizie non necessarie dei pro-
pri paesi e dei conoscenti, specialmente se so-
lo cose da te molto desiderate. Ognuna di
queste regole sembra una piccola cosa; ma
14

21 Pages 201-210

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21.1 Page 201

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— 2—
fra tutte, ben osservate, ti metteranno sulla
via della perfezione, ed in quella ti aiuteran-
no a correre con sicurezza e speditamente.
CAPO XXVIII
DELL'INDOLE SUPERBA E DEL MODO
DI CORREGGERLA
In che consista la superbia.
La superbia è una stima disordinata del-
la propria eccellenza ossia grandezza; vale
a dire: un desiderio di grandeggiare e so-
pravvanzare altri. È questo un veleno finis-
simo che penetra insensibilmente nell'anima,
e corrompe, se pur non le distrugge, le più
sublimi virtù. È una malattia mentale che fa
perdere la ragione, conduce alla pazzia, non
essendovi dei più gran pazzi che gli orgoglio-
si. Essi si pascono di vento e di fumo, e per-
dono un premio eterno per quello di un mo-
mento. La superbia è una sorgente avvelena-
ta da cui scaturiscono tutti i peccati. Nota pe-
rò fin da principio, che il peccato di superbia
non sta nel sentirsi la mente piena tutta di
pensieri di stima propria, o nel sentirsi la vo-
lontà trasportata alle grandezze, agli onori,
alla gloria. Tali pensieri della mente ed in-
— 393
clinazioni del cuore sono soltanto la tenta-
zione di superbia. Il peccato consiste nella
volontà, cioè nell'acconsentire con avvertenza
a tali tentazioni; e quindi nel compiacersi
avvertitamente di tali pensieri o avvertitamen-
te concepire e formare tali desideri. Quindi è
che alcuni avranno la mente ed il cuore pie-
ni del continuo di pensieri e tentazioni di su-
perbia, ma non acconsentendovi, anzi dete-
standoli, e procurando di scacciarli, saranno
nel tempo stesso immuni da ogni peccato, ed
anche da ogni imperfezione.
Sua malizia ed effetti.
Essendo pertanto la superbia un desiderio
disordinato, ossia ingiusto, di grandeggiare,
è sempre opposta alla retta ragione ed alla
volontà di Dio. Perciò non solo grandemente
si oppone all'acquisto della perfezione, ma è
il fomite da cui hanno origine gli altri vizi,
e, non repressa, facilmente induce a gravis-
simi peccati e delitti. Perciò lo Spirito San-
to parlando della superbia non mortificata
nei principi, ma lasciata crescere e domina-
re nel cuore, la chiama il principio, ossia la
causa di tutti i mali (1). Infatti dalla super-
bia, quando domina e tiranneggia il cuore
(1) « Initium omnis peccati, est superbia » (Eccli
X, 15).

21.2 Page 202

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— 394 —
dell'uomo, quanti mali e peccati non deriva-
no! La presunzione, l'ostinazione, i puntigli,
le invidie, gli odii, le discordie, le inimicizie,
le mormorazioni, le calunnie, le ingiustizie,
le vendette, le risse, le disubbidienze, l'arro-
ganza, le bugie, l'ipocrisia; ed alle volte per-
sino i sacrilegi col ricevere male i sacramen-
ti, l'eresia, l'apostasia, ossia il rinnegare l i
fede. Giacché appunto il rinnegare la fede
proviene dallo stimare e preferire il pro-
prio giudizio agli insegnamenti della Chiesa.
Diceva quindi Sant'Agostino: «La madre di
tutti gli eretici è la superbia, e la passione
della gloria mondana ». Onde la superbia è
notata come il primo tra i vizi capitali.
Fu il primo peccato.
La superbia fu anche il primo peccato,
con cui il grande Iddio restò offeso dalle sue
creature quali furono gli angeli ribelli. Il de-
monio poi, per non essere solo nella reità del
suo delitto, tentò di trarre anche il primo uo-
mo a commettere lo stesso peccato. Riuscì in-
fatti nei suoi diabolici disegni, e fu allorquan-
do colà, nel paradiso terrestre, proponendogli
idee di divinità, eritis sicut Dei, l'indusse a
disubbidire gravemente, trasgredendo il su-
premo divino comando col mangiare il Erut-
to vietato. Questa medesima inclinazione ab-
— 395 —
biamo, per nostra somma sventura, ereditato
noi tutti, miseri figli dell'infelice progenitore
Adamo. Nutrendo alte idee di noi medesimi,
ci riputiamo qualche cosa di grande, quando
in realtà non siamo che un vero nulla, mi-
sere creature, e un ammasso di debolezze e
d'imperfezioni. Se alcuno crede di esser qual-
che cosa mentre è nulla, egli s'inganna (1).
« Dici d'esser ricco e di non abbisognare d'al-
cuno e non t'accorgi che sei misero, misera-
bile, povero, cieco e nudo » (2). Non è però
meraviglia, che il Divin Creatore altamente
abbonimi nelle sue creature, impasto di mi-
seria, il maledetto vizio della superbia: l'ani-
ma mia odia il povero superbo. E nell'EccZe-
siastico dice: «La superbia è abbominevole
innanzi a Dio e innanzi agli uomini » (3). E
un po' più sotto: «Come uno stomaco fetido
getta puzza, così il cuore dei superbi» (4).
Ma se Iddio abbomina in chiunque l'orgoglio
molto più ha ragione di detestarlo in un re-
ligioso, venuto in religione espressamente per
far professione d'umiltà.
(1) «Si quis extimat se aiiquid esse, cum nihil
sit, ipse se sedueit » (Gal., VI, 3).
(2) « Dicis, quod dives sum... et nullius egeo: et
nescis quia tu es miser, et miserabilis, et pauper, et
eaeeus, et nudus » (Apoc., III. 17).
(3) « Odibilis coram Deo est et bominibus super-
bia » (Eccli., 7).
(4) « Sicut enim eructant praecordia foetentium...
sic et cor superborum » (XI, 32).

21.3 Page 203

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Pretesti della superbia:
1) La nascita illustre.
Tre sogliono essere principalmente le ra-
dici di cui si serve la superbia, derivante <
dalla nascita, o dal talento, o da qualche vir-
tù morale. Può essere che alcuno perclu
trasse da illustre famiglia i suoi natali, creda
di poter essere in religione qualche cosa di
più degli altri, nutrendo sentimenti di stima
di sè o di albagia, che lo fan riputare meri-
tevole di speciale e distinta considerazione.
Sciocche idee ed insulse pretensioni! Solo la
virtù realmente nobilita l'uomo e lo rende de-
gno di rispetto e di venerazione, e solo alle
virtù guarda Iddio! Se il mondo giudica l'op-
posto, non è a stupirsene. Si sa che il mondo
non riconosce Dio, e che le massime del mon-
do sono diametralmente opposte alle massime
di Dio. Persino re e regine, principi e duchi,
conti e marchesi, si chiusero nei chiostri; ma
nessuno si santificò, che non siasi umiliato
e tenuto inferiore agli altri. Il nostro principe
Czartoryski aborriva talmente da ogni pre-
tensione, che si stupiva d'essere sopportato in
congregazione. Il nostro conte Carlo Cavs go-
deva di scoparsi la camera, e d'essere pospo-
sto a tutti gli altri. Guai se entrasse in con-
gregazione distinzione per la nascita più il-
lustre. Quando s'indossa l'abito religioso, <>
nobili o ignobili diventiamo tutti uguali. E
chi volesse pavoneggiarsi della nobiltà di na-
— 397
scita meglio farebbe a starsene nel mondo:
perchè, dopo abbracciata l'umiltà della croce,
commetterebbe un male peggiore volendo an-
cora comparire sopra gli altri. Di ciò ci am-
maestra il dottor San Girolamo: «È molto
più deforme quella superbia, che si nasconde
sotto certe apparenze di umiltà» (1). Pertanto
ricordati sempre, che, essendo venuto per far-
ti religioso, hai detto col real profeta Davi-
de: «Ho preferito esser l'ultimo nella casa del
mio Dio, che abitare nei palazzi dei peccato-
ri (2) ». E giacché hai eletto di vivere in san-
ta umiltà nella casa del Signore, deponi ogni
idea di umana grandezza, e sta' attento che
;on ti escano di bocca parole di disprezzo
lei tuoi compagni e non istituire discorsi che
saltino la tua discendenza. Vi è su tal mate-
ia un altro genere di orgoglio peggiore anco-
a dell'anzidetto. Ed è di chi, pur essendo na-
to povero e d'oscura condizione, arrossisce di
questo, e spinto da una certa vanità di com-
larire, e di essere creduto per quello che real-
uente non è, inventa grandezze, signorie, ric-
hezze, titoli ed altre simili millanterie, che
anno schifo a sentirli. Nota che qui alla va-
nità è unita la bugia. Non par neppure vero
he anche in religione possa venire in mente
anta boria! Eppure se non stai attento, un
(1) « Multo deformior est illa superbia quae sub
uibusdam humilitatis signis latet ».
(2) > Elegi abiectus esse in domo Dei mei, magis
•iam babitare in tabernaculis peccatorum ».

21.4 Page 204

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certo naturai prurito, potrebbe venire anche
a te. Ti raccomando quindi di troncare ogni
filo di vanagloria su questo punto fin da
principio, e proporre di non voler mai neppu-
re menomamente esaltare la tua nascita od i
tuoi titoli. Sii contento di esser nato povero,
e contento ancora che si sappia che sei nato
povero, e che i tuoi vivono molto poveramen-
te. Il far altrimenti indica vera superbia; poi-
ché se è già gran male, dice San Bernardo,
l'innalzarsi anche per poco oltre il vero,
quanto più sarà condannabile l'innalzarsi dei
tutto con impostura e con effettiva menzogna?
Tanto più che questo finto innalzamento vicn
poi sempre scoperto e ti produrrà più grave
umiliazione, disprezzo e scorno. Quando ti
venisse la tentazione di crederti disonorate
per aver tratto origine da oscuri natali, pen-
sa un momento che gli Apostoli non furono
che miseri pescatori, e che tra i più illustri
eroi del cristianesimo abbondano i pastori, e
la gente della campagna. Pensa a Don Bosco
pastore e contadino, che in nessun modo a-
vrebbe potuto fare i suoi studi se non fosse
stato aiutato da altri. È restata famosa nel-
la storia la presentazione fatta da San Vincen-
zo de' Paoli del suo padre, vestito da rozzo
contadino, alla corte dei re di Francia! E di
papa Benedetto XI si narra che essendo visi-
tato (falla madre, la quale in età avanzata.
erasi da Treviso portata a Perugia per aver
la consolazione di vedere suo figlio asceso al
sommo pontificato, perchè riccamente vestita
e ornata alla grande di gemme ed oro, egli
non la volle riconoscere nè ricevere. Essa do-
vette presentarsi a lui nella povera e rozza
veste di una contadina.
2) I talenti avuti da Dio.
La seconda radice da cui rampolla l'or-
roglio suol essere l'aver sortito un talento
per cui uno si distingue in perspicacia ed in
abilità da altri. Se Iddio abbomina la super-
bia, molto più la detesta per questo eccesso,
essendo un vero furto che si fa a lui, autore
d'ogni bene. « Che cosa avete voi, dice San
Paolo, che non abbiate ricevuto in dono dal
Signore? E se tutto quel che possedete è so-
la sua liberalità, con qual fronte ve ne anda-
te superbi e gloriosi, quasi non lo aveste da
lai ricevuto? » (1). Riconosci con umiltà iì
tono ricevuto, e cerca sempre di servirtene in
bene. Questo è impegno che devi aver tu, ve-
dendoti più beneficato da Dio, siccome t'inse-
ma lo Spirito Santo dicendoti: «Quanto più
sei grande, tanto più umiliati in tutto» (2).
« Temi di cadere nell'odio e nell'indignazione
(1) ' SI autem accepisti. quid gioriaris quasi non
•eceperis? ».
Ec(2c)li«., QIulain, t2o0)m. agnus es, humiiia te in omnibus »

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di Dio, arrogandoti con detestabile arditez-
za una cosa da lui avuta gratuitamente» (li-
Che se il Signore non allargò sopra di le la
benefica sua mano con la profusione di grac
talento, devi evitare altro scoglio in cui po-
tresti facilmente cadere, e sarebbe se soffristi
di mala voglia di vederti dagli altri superato
in abilità, provando quindi dispiacere di non
poterli pareggiare, e invidiandone l'ingegno
e la perspicacia. Anche questo sarebbe super-
bia grande, perchè, in fin dei conti, verresti
implicitamente a chiamarti malcontento di
Dio, che non ti fece superiore od eguale ad
essi. Cerca di superare gli altri in virtù e san-
tità, e non invidiare il loro ingegno e la loro
abilità. Le nostre gare, scriveva San Lorenzo
Giustiniani, debbono avere per oggetto il ren-
derci più cari ed amabili al Divino Sposo,
per mezzo di una ben fondata umiltà, invi-
diando quei che sono di noi più umili e che
più di noi amano Gesù Benedetto. Questo
ci consigliò anche San Paolo : « Emulatevi
in umiltà » (2). Cerca di essere più divoto,
più innamorato di Dio degli altri. Allontana
sempre da te i desideri che riguardano i sem-
plici doni di natura. Iddio non ti ha dato
maggior talento perchè forse prevedeva l'abu-
so che ne avresti fatto a fomento della tua
(1) « Abominatio Domini est omnis arrogane >
CProv., XVI, 5).
(2) « Sed in humilitate superiores sibi invicem ar-
bitrantes » (Filipp., II, 3).
vanità. Ha voluto perciò dartene una quan-
tità piuttosto scarsa, affinchè avessi motivo
ii stare maggiormente col capo basso. Con-
tento pertanto del talento che hai, industriati
di coltivarlo tutto a suo servizio ed a sua glo-
ria; e godi che altri più perspicaci di te ac-
creditino sempre più la nostra congregazione.
Con questa umile e sincera rassegnazione en-
trerai a parte dei loro medesimi più distinti
"alenti, poiché vedendoti da altri superato,
c;e dài ugualmente gloria a Dio. Sarai con
iò senza fallo più invidiabile tu con la tua
-earsa dignità, che gli altri col loro elevato
-ugegno.
La vanità nelle virtù.
La terza radice finalmente da cui germo-
glia l'orgoglio è l'invanirsi per qualche virtù
che si abbia, ossia per aver fatto qualche
osa di buono o per divote o sante aspira-
zioni. Non vi ha altra cosa forse più ripetuta
3 file divine scritture, della nostra insufficien-
za alle buone opere. « Ogni cosa buona che è
ci noi, ci dice S. Giacomo, ed ogni opera per-
etta deriva dal Divin Padre dei lumi, datore
ci ogni bene » (1). Ciò posto non v'ha in noi
(1) « Omne datimi optimum, et orane donum per-
feetum desursum est, deseendens a Patre lummum »
"Siac., I, 17).

21.6 Page 206

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alcuna opera buona da cui possiamo trar mo-
tivo d'insuperbirci o d'invanirci. Causa prin-
cipale di ogni nostra opera è Iddio, che ni
illumina la mente, muove il cuore e dà forza
alla volontà, così di evitare il male come d:
praticare il bene. Con tutto ciò il cuore del-
l'uomo è talmente depravato che alcune vol-
te giunge a reputare proprio merito, quello
che in realtà è pura opera del Signore. Si
cerca la gloria, la lode e l'applauso degli uo-
mini, come se la virtù e la santità avesse ori-
gine da noi e non da Dio. Non è quindi me-
raviglia che Gesù Cristo s'accendesse di tant"
sdegno contro gli scribi ed i farisei, ripren-
dendoli con invettive di biasimo, perchè nell
loro buone opere e specialmente nei digiuni
usavano degli artifici, per comparire austeri
e penitenti; e il tutto per conciliarsi la sti-
ma e la venerazione del popolo: ut honuri-
ficentur ab hominibus (MATTEO, VI, 2). Con-
viene dunque dire che sia gran male il fan
il bene per cattivarsi la buona opinione degi:
uomini, se Gesù Cristo così acremente lo ri-
prende nella persona dei farisei. Ed è gran
male davvero per l'onore che si toglie a Dio, e
per il sommo danno che ne ridonda a chi oper<-.
con sì perverso fine. « Esaminate le vostr>
opere, disse al popolo di Dio il profeta Ag-
geo, scandagliatene le intenzioni nell'eseguir-
le, e proverete di aver molto seminato e rac-
colto poco. Avete mangiato e bevuto assa:
senza esservi satollati: avete radunato molle
cose, ma finito per aver poco. E perchè? Per-
chè avete messo tutto in un sacco pieno di
buchi e le cose si dileguarono ». È proprio
questo che avviene a chi fa il bene per ri-
scuotere le lodi umane. Fatica egli, ma senza
guadagnar nulla; e quando si crede ricco di
molti meriti, allora ne è più povero. Quindi
è che il Divin Redentore ci ammonisce di non
far mai le opere buone per esserne veduti e
riportarne plauso e lode, perchè altrimenti
se ne perderebbe ogni mercede (i). Di coloro
che agiscono così, è detto che già hanno ri-
cevuto in questo mondo la loro mercede (2).
E non solo non serviranno di merito al vani-
toso le sue opere buone; ma potranno esser-
gli attribuite a positivo demerito, se fatte di-
rettamente e solo collo scopo di essere veduti,
e per averne qualche vantaggio temporale
di stima e di lucro. Questa è vera ipocrisia,
detestata, biasimata, rimproverata acremente
dal mitissimo e benignissimo Gesù. La radice
che produce il buon frutto delle buone opere,
è il fine retto della gloria del Signore. Su-
bentrando a questo fine, che dovrebbe essere
1 unico, fini puramente umani, esse opere so-
no svelte dalla propria radice, e perciò in-
fruttuose, anzi anche peccaminose e degne
del fuoco eterno. Considera quindi attenta-
ti) « Attendite, ne justitiam vestram faciatis co-
rani hominibus ut videamini ab eis; alioquin merce-
dem non habebitis apud Patrem vestrum ».
(2) • Iam receperunt mercedem suam ».

21.7 Page 207

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—4 —
mente quest'avvertimento del Divin Reden-
tore, e ti serva di norma in tutte le buone
opere che farai, siano esse cose di pietà e
di divozione, siano cose di studi e di lavori.
Indirizza tutto a Dio, e solo a Dio; il quale,
siccome è principio, così deve anche essere
il fine di esse. Qui però ti occorre un ammae-
stramento, affinchè non si abbia a cadere in ti-
mori vani o in scrupoli. Le opere che sei ob-
bligato a fare in comune od in pubblico,
se le veggono gli uomini, non importa: ba-
sta che tu non le faccia col fine di farti ve-
dere, bensì con buon fine, per esempio di da-
re con esse buon esempio ai confratelli, e
gloria a Dio. « Vedano le vostre opere buone
e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli »
(1). Quelle personali poi falle nascostamente
il più che sia possibile, contentandoti che le
vegga solamente Iddio. A lui dirigi le tue in-
tenzioni, le quali siano di piacere a lui solo.
E rammentati sempre ch'egli penetra ogni fi-
ne che ti guida a praticarle. Nell'atto poi di
eseguirle fuggi ogni esteriorità; bada che non
compaia singolarità od ostentazione, che è
uno dei gradì della superbia tanto più occul-
ta. Ma bada a non lasciar opera buona di
sorta pel timore che ti vedano! Se altri vede
senza che tu abbia lo scopo di farti vedere, il
tutto riuscirà a gloria di Dio. C'è qual-
(1) « Videant opera vestra bona, et glorificent Pa-
trem vestrum qui in eaelis est ».
405
euno, dice San Bernardo, il quale nelle opere
buone che fa di sua elezione si dimostra in-
defesso, mentre nelle comuni è molto rilassa-
to. Questo è gran difetto: tienlo ben lungi da
le. Fa' con eguale interesse le une come le
altre, tutto e sempre per Iddio.
Vanità nelle lodi.
Facendo poi del bene con santa e retta in-
tenzione, e sentendoti non di meno lodar da
qualcuno, nonché invanirti, figurati che quel
tale lodi il Signore, che ti ha dato il potere
di fare quel poco. E generalmente senza nep-
pur scusarti, o dir parola di umiliazione se
temi non sia creduta, cerca di lasciar mo-
rire il discorso o parla d'altro. Il santo pro-
feta Davide allora maggiormente si umiliava
e confondeva, quando udiva risuonare all'o-
recchio una qualche lode. Anche tu, in simili
casi, umiliati nel segreto del tuo cuore avanti
a Dio, appresso cui chissà di quante imper-
fezioni e mancamenti sarai reo, anche per
parte di quelle cose di cui altri ti loda. E
realmente quanto sono diversi i giudizi di
Dio da quelli degli uomini! Questi lodano
perchè facilmente si appagano della super-
ficie delle opere di pietà, di virtù, di giustizia.
Ma Iddio che le sminuzza e le svolge per ogni
parte, oh! quanta terra scorge fra l'oro di
queste medesime opere! Quanto loglio fra

21.8 Page 208

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— 406 —
questo grano, che pur sembra tanto purgat ;
e scelto! L'occhio suo penetrante, quanti difet-
ti vi scorge! L'amor proprio è talmente fatto
a noi naturale, che bene spesso si copre sot-
to il manto di divozione e di santità, e ne av-
velena i frutti. Quanta ragione abbiamo
adunque di umiliarci nelle lodi umane, do-
vendo temere anche delle opere virtuose ed
ottime! «Se vogliamo gloriarci, dice l'apo-
stolo, gloriamoci unicamente nel Signore » (1).
«A lui solo diasi onore e gloria» (2), e per
noi resti solo la confusione. Ti aiuterà anche
a non invanirti nelle lodi e nelle opere buo-
ne, il pensare alla caducità del nostro essere,
che può mancare da un momento all'altro e
il pensiero che se Iddio non ti tiene la mano
sul capo puoi diventare un grande scellerato.
Giuda era pure chiamato all'apostolato; ave-
va pur già (come si crede) fatto dei miracoli;
e cadde così miseramente e tanto profonda-
mente! Ario, Lutero, Enrico Vili, che si han
da annoverare tra gli uomini più nefasti del
mondo, pare che abbiano condotto molti an-
ni nella santità della vita. San Filippo Neri
tutti i giorni pregava il Signore che non gli
togliesse la mano dal capo, chè altrimenti
sarebbe caduto nei più orrendi misfatti. Te-
mi anche tu, e non fidarti del po' di virtù che
(1) > Qui gloriato, in Domino glorietur » (II Cor.,
X, 17).
(2) « Soli Deo honor et gloria » (7 Tini., I, 17).
àai scorto in te, e delle poche tue opere buo-
-e già fatte. Temi sempre che per le tue im-
perfezioni e negligenze quotidiane abbia a
-emeritarti i soccorsi della divina grazia, e
abbia a cadere poi in gra vi peccati, e andar
miseramente dannato. Nè potrai addurre al-
-.•ra alcuna scusa, dovendosi attribuire la col-
ta alla tua volontà scorretta nei suoi voleri,
e al tuo cuore disordinato nei suoi affetti. Ri-
conoscendoti tale, starai in un continuo ti-
more di renderti indegno della divina assi-
-:enza negata ai superbi, e data solo agli
-niili (1). In conseguenza di ciò sta' sem-
pre col capo basso, ancorché l'orgoglio, più
radicato nel cuore, tenti di farti innalzare
per qualunque dono o virtù particolare, che
in te risiedesse, o che ti venisse esaltata dalla
cecità umana.
Della presunzione.
Ti devo ancora parlare di un detestabile
•iifetto proveniente dalla superbia. Intendo
di insegnarti a fuggire la presunzione,
the è un credersi capace di fare quello che
- ipera le nostre forze. Questo è proprio di un
aore altero e pretendente, e si esterna in più
maniere. Siccome la presunzione è prodotta
(1) • Deus superbis resistit, bumilibus autem dat
r-atìam . (I PETK., V, 5).

21.9 Page 209

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—4 —
da vana estimazione che alcuno forma di si-
medesimo, così chi è presuntuoso è tratto a
giudicarsi superiore agli altri in sapere, in
perspicacia, in cognizioni, in abilità, ed al-
tre simili prerogative. Fisso perciò su questa
sciocca idea, vuole intromettersi in ogni di-
scorso, in ogni differenza, contraddicendo con-
tinuamente a tutti, a tutti opponendosi, per-
chè tutto vuole che sia a modo suo, persuaso
che egli ha sempre ragione, e che in ogni co-
sa vede sempre meglio degli altri. Quanti con-
trasti, quante contese, quante derisioni, quan-
ti motteggi, quante parole pungenti e morda-
ci non escono quindi in mille incontri dalla
bocca di chi ha un difetto così grave ed in-
veterato !
Essa disdice molto ad un religioso.
Non può mai bastantemente descriversi
quanto sia disdicevole la presunzione in un
servo del Signore, in un seguace del Croci-
fisso! Dovrebbe comparire mansueto ed ar-
rendevole, benigno e piacevole con tutti, e si
fa vedere arrogante, ostinato, insolente! Si fa
sentire a contrastare come le donnicciole nel-
le loro case, o gli sfaccendati del volgo nei
ridotti. Inoltre si rende a tutti odioso, come
distruttore della amichevole unione della co-
munità religiosa, e si aggrava la coscienza
di molte e molte colpe. Lo Spirito Santo, che
— 409
on mentisce, così ci esorta ad estirpare la
rresunzione principalmente con evitare le con-
tese (1). E per verità chi è contenzioso si fa
reo d'innumerevoli peccati e talvolta anche
rravi. Se pertanto, o mio figliuolo, conoscessi
m te inclinazione a contraddire agli altri e
ìd attaccar brighe, devi concepirne aborri-
mento sommo, e subito porti a combatterla
•tnergicamente. Questo sia il tuo stabile si-
-:ema: non esser facile ad intrometterti in
?ni discorso, quasi a far da saputello, da
ìottore in ogni cosa. E dovendo parlare, non
ri ter rompere il discorso degli altri per par-
ire continuamente tu. Guardati specialmente
tal contraddire e ostinatamente opporti a
qualunque proposizione degli altri, perchè
contraria al tuo sentimento. Se poi altri con-
traddice te, non mostrarti testardo in voler so-
- renere ostinatamente ciò che dicesti. Ma se
sei intimamente persuaso d'aver ragione, det-
J il tuo parere, taci senza scomporti, e sen-
ti dar mostra di dispiacere.
Dell'arrendevolezza.
Procura di assuefarti alla docilità, all'ar-
'-ndevolezza, a cedere di buon grado, e pron-
tamente rimettiti in ogni controversia, e per
il) « Abstine te a lite, et minues peccata » (Eccli.,
XXXVIII, 10).

21.10 Page 210

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—- 410 —
assuefarti a sì lodevole arrendevolezza, im-
primiti bene in mente il ricordo dato dal-
l'apostolo San Paolo al suo discepolo Timo-
teo: «Guardati, egli dice, da ogni contrasto,
non convenendo ad un servo di Dio l'esser
litigioso » (1). Ti avvezzerai poi a porre in
pratica questo insegnamento dell'apostolo, se
saprai esser docile anche nei tuoi uffizi ordi-
nari, eseguendoli prontamente, senza mostrar
resistenza alcuna a chi ti ricordasse i tuoi do-
veri. È certamente posa al tutto disdicevole
ad un religioso e contrario alla carità frater-
na, il contrastare per cose da nulla, come fan-
no i fanciulli, facilissimi a litigare per ogni
frivola minuzia. Pieno di ammaestramento è
il fatto di Abramo riportatoci nella Genesi
(XIII). Insorse un disparere fra lui e Lot, e
tra i rispettivi pastori, sopra il pascolo dei lo-
ro armenti. Abramo osservò a Lot che erano
fratelli, cui non convenivano contrasti, e ven-
nero bentosto ad un pacifico accomodamento
cedendo l'uno all'altro l'elezione del luogo do-
ve pascolare le gregge (2). Questo è il modo
di trattare da veri fratelli: rimettersi tostochè
(1) • Noli contendere verbis... servum autem Do-
mini non oportet litigare; sed mansuetum esse ad omnes.
doeibilem, patientem » (II Tim., II, 14, 24).
(2) i Ne, qnaeso, sit jurgium inter me et te, et
inter pastores meos et pastores tuos; Iratres enim Bu-
rnus. Ecce universa terra coram te est... si ad slnistram
ieris, ego dexteram tenebo; si tu dexteram elegeris.
ego ad sinistram pergam ».
— 411 —
insorge un disparere. Cerca di assuefarti ad
esser docile, a cedere volentieri anche nelle
piccole cose, e sarai poi arrendevole in quel-
le ancora di maggiore rilevanza.
Rispetto a tutti.
Essendo poi anche proprietà del presun-
tuoso il non far conto degli altri, anzi di-
sprezzar tutti, sia tua cura premurosa di non
fare, o dire mai cosa che indichi disprezzo
o irriverenza verso chicchessia. Sentirai alle
volte da qualche presuntuoso certi motteggi
che mettono in ridicolo ed avviliscono anche
la stima della persona vilipesa. Anche a te
questi motteggi fanno cattiva impressione!
Guardati quindi assolutamente dal lasciarti
uscire di bocca detti mordaci, pareri pungenti,
soprannomi, ironie o equivoci satirici in al-
trui disprezzo e derisione. Il tuo parlare sia
dolce ed umile, giacché al dire del Savio, il
parlare mordace e disprezzante cagiona dis-
senzioni e liti (1).
Così all'opposto il parlare benigno e dolce
ammollisce la durezza dei nemici, ed accre-
sce il numero degli amici (2). Sia il tuo parla-
re civile e rispettoso, e non trattare coi corn-
ei ) « Sermo durus suscitat furorem • (Prov., X V , 1).
(2) « Verbum dulce multiplicat amicos, et mitigat
mimicos » (Eccli., VI, 5).

22 Pages 211-220

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22.1 Page 211

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— 412 —
pagni così rusticamente da non sembrar fra-
telli. Non usare certi modi di dire talmente
impropri ed incivili, che non farebbero peg-
gio gli irreligiosi ed i maleducati. In questo
modo piacerai a Dio ed agli uomini.
Onora e stima tutti.
Parlando l'apostolo su tal proposito, esor-
ta i fedeli romani a prevenirsi l'un l'altro
con dimostrazioni di scambievole cristiano ri-
spetto (1). E siccome suol dirsi a gran ragio-
ne, che dall'abbondanza del cuore parla la
lingua, quindi, affinchè tutti conoscano quali
sentimenti nutrì nell'interno, dimostra nelle
parole e nei fatti di sentire bassamente di te.
Reputa tutti gli altri meritevoli di ogni sti-
ma, parlando sempre bene di ciascuno e ono-
rando tutti con sincere dimostrazioni di re-
ligioso rispetto.
(1) • Honore invicem praevenientes * (Rom., XII,
10).
— 413 - -
CAPO XXIX
LA VIRTÙ FONDAMENTALE
Importanza dell'umiltà.
Il grande Sant'Agostino ci ammaestra che
il fondamento di tutte le virtù è l'umiltà. E
soggiunge : « Nell'anima dove essa non vi è,
non vi può essere nessuna altra virtù, fuor-
ché di sola apparenza. Similmente essa è
la posizione più propria per tutti i doni ce-
lesti. Ed è tanto necessaria per la perfezione
che, tra tutte le vie per giungere ad essa, la
prima è l'umiltà, la seconda è l'umiltà, la ter-
za è l'umiltà. E se cento volte io fossi do-
mandato di questo, altrettante io risponderei
la stessa cosa ». In altro luogo il medesimo
sant'Agostino soggiunge ancora, che quanto
più si vuol erigere l'edificio della santità, tan-
to più profonde si devono gettare le basi dei-
umiltà. L'umiltà pertanto è da considerarsi,
rome è realmente, la virtù fondamentale, cioè
il vero fondamento su cui s'innalza tutto l'e-
dificio della santità e della vita religiosa. San
Gregorio dice che chi ammassa virtù e me-
" ii senza umiltà, è come colui che si affatica
a raccogliere polvere, che poi lascia esposta
il vento.

22.2 Page 212

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L'umiltà, dice San Tommaso, non è la pri-
ma virtù per eccellenza, ma per importanza,
essendo il fondamento e la custode di tutte,
che tiene, per così dire, serrate. Come l'orgo-
glio è il principio di tutti i peccati, così l'u-
miltà è la sorgente di tutte le altre virtù, per-
chè sottomette l'anima a Dio. S. Bernardo
soggiunge: « Siccome la cera non riceve alcu-
na forma se prima non vien resa molle, così
l'uomo non si adatta alla forma delle virtù,
se prima coll'umiltà non si libera da ogni su-
perbia, asprezza e durezza, e se non sottomette
l'opinione o volontà propria all'altrui parere
e volere». E San Bonaventura soggiunge: « £
di assoluta necessità che tutti quelli i quali
desiderano di essere informati e ammaestrati
nella vita religiosa, sollecitamente procurino
di fondare nei loro cuori la radice dell'umil-
tà ». Noi le sentiamo dire mille volte queste
verità ma non ce ne impressioniamo guari,
perchè spesso non si riflette profondamente.
Io vorrei che questa volta tu ti fermassi con
molta serietà su questo pensiero, e che venissi
a persuaderti intimamente, che non riuscirai
mai a nulla di buono nella vita religiosa che
stai per intraprendere, se non ti fondi bene
in questa virtù. Perciò vorrei che impiegassi
tutte le tue forze per acquistarla. Lo sai che
è nel noviziato dove si deve porre la base
delle virtù, perchè l'anno di noviziato è quel-
lo su cui son fondati tutti gli altri anni della
tua vita. Or sappi che la base essenziale di
ogni virtù è l'umiltà; dunque l'umiltà è la
cosa principale che deve acquistarsi nel no-
viziato. Permetti quindi che ne ragioniamo
un po' più profondamente e più a lungo.
Essenza dell'umiltà.
San Tommaso pone l'essenza dell'umiltà
nella interna depressione, con cui la volontà
raffrena la vogba innata di innalzarsi sopra
il nostro merito, di negare la debita sogge-
zione a Dio e ai nostri prossimi. Di questa
soggezione chi è umile deve dare al di fuori
manifesti segni nelle parole, nei fatti e ne-
.rli atteggiamenti esteriori. E San Bernardo
iefinisce l'umiltà : « virtù per cui l'uomo, con
ma cognizione non falsa, non affettata, ma
verissima delle sue miserie, divien vile a se
stesso e si disprezza ».
Sue specie.
Il medesimo San Bernardo poi insegna
;he vi son due sorta di umiltà, tutte e due
necessarie: la prima sta nella cognizione dei-
intelletto, e l'altra risiede nell'affetto della
volontà. La prima è detta umiltà di mente,
la seconda umiltà di cuore. Coll'umiltà del-
:ntelctto, ossia della mente, conosciamo il

22.3 Page 213

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— 416
nostro niente e le nostre miserie; coll'umiltà
della volontà, ossia del cuore, dispregiando
noi stessi, calpestiamo la gloria vana del
mondo, e, ad «sempio di Gesù, andiamo in-
contro alle ignominie ed agli obbrobri... Lo
splendore di un religioso è questo appunto,
di essere senza splendore; e la sua gloria
consiste nella piccolezza. L'umiltà dell'intel-
letto non consiste già nel non riconoscere in
noi, o nel negare i doni che il Signore ci ha
dati. Anzi San Gregorio vuole che riconoscia-
mo questi doni in noi, altrimenti non avrem-
mo la debita cura di conservarli e di aumen-
tarli. Ma l'umiltà consiste nel non attribuirsi
più doti di quelle che si hanno; e quelle che
si hanno, riconoscerle pienamente come dono
gratuito di Dio, al cui onore e gloria siamo
obbligati ad adoperarle e farle fruttificare.
Neppure fa d'uopo fingere in se stesso mali
e miserie che non vi sono. Basta che la per-
sona venga a conoscersi qual è in se stessa
e quale comparisce agli occhi di Dio, affin-
chè getti subito a terra ogni stima vana e
male fondata che avesse avuto di sè, ed ac-
quisti di sè un concetto basso, dimesso e vile.
In questo appunto consiste tutta l'umiltà del-
l'intelletto. Poiché se uno viene davvero a
conoscersi, scorgerà in se stesso un abisso di
nulla, un cumulo di mali, un mare di miserie,
che lo costringeranno a mutar l'alta idea che
forse aveva di sè, in un'altra abbietta e vile.
Quando si è venuto ad ottenere questa umiltà
— 417 —
di intelletto, si otterrà presto l'umiltà di cuo-
re, cioè un certo abbassamento e disprezzo
di se stesso e delle cose proprie. E davvero
quando uno è persuaso di non aver doti pre-
gevoli o che, se le ha, non son sue ma di Dio,
è certo che più non si cura che queste siano
palesate, ne si terrà in sussiego per esse. L'a-
nima umile è contenta di tutto: non suppone
neppure che le si possa far torto. Essa sente
che nulla è dovuto a lei, che essa deve a tutti,
a motivo del favore che le si è fatto riceven-
dola nella comunità, e di quello che si fa
sopportandola. Ed è felice di mostrarsi rico-
noscente, lavorando e cercando di far piacere
a tutti. Essa non trova alcuna pena ad obbe-
dire ed a sacrificarsi, perchè ha sempre fissi
gli occhi nella grandezza di Dio, e nella pro-
pria nullità!
Considerazioni utili all'umiltà d'intelletto.
1) Siam nulla.
Per acquistare questa umiltà, in pratica
giova specialmente che tu faccia le conside-
razioni di ciò che sei stato, di ciò che sei e
di ciò che sarai per il corpo e di ciò che cor-
ri pericolo di essere per l'anima. Considera
prima di tutto ciò che fosti, o per dir me-
glio, ciò che non fosti per il passato. Secoli
e secoli trascorsero, in cui tu non eri ancora

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— 418 —
al mondo: tu eri un puro niente. Scintillava-
no le stelle, erano in moto il sole, la luna, i
pianeti, esisteva la terra con tutte le sue
meraviglie; vi erano le città con milioni d'uo-
mini occupati nei loro negozi, nei loro studi,
nei divertimenti e tu eri nulla. 11 mondo
camminava benissimo senza di te, e nessuno
pensava a te, e non si aveva bisogno di te.
Fosti pertanto per sì lunghi secoli meno di
una formica, meno di un verme, meno di un
granello di polvere, che esistevan già quando
tu ancora non eri. Anche la sola esistenza è
già un bene, e tra il non essere e l'essere vi è
distanza somma. Ed ora che ci sei non sei
che polvere e cenere. Disse a meraviglia l'Ec-
clesiastico: « Di che ti insuperbisci, tu che
sei polvere e cenere? » (1). Dovresti dunque
nasconderti sotto le stessa polvere, dovresti
sotto la stessa cenere abbassare quei tuoi pen-
sieri, che continuamente vogliono esaltarti e
farti credere un gran che. E ora? Da te sei
un niente e meno di niente, perchè se sei sta-
to un nulla per tanti secoli, non potevi certa-
mente prendere l'essere da te. e da te stesso
venire alla luce del mondo. Vi fu bisogno di
una mano onnipotente che ti traesse fuori da
quel profondo abisso del niente. Fu pur ne-
cessario che quella mano creatrice che ti ha
dato l'essere, ti donasse ancora tutte le pro-
prietà, le doti, e le prerogative che ti adorna-
ci) « Quid superbii terra et cinis? » (Eccli., X, 9).
— 9—
no. Dunque questa vita che hai, non viene
da te; la sanità di cui godi, viene da Dio; la
nascita illustre di cui forse ti vanti, l'ingegno
di cui sei adorno, la facondia, la vivacità, il
garbo, la bellezza, la voce, la vista, tutto ti
viene da Dio. Il dire che in te vi sia qualche
cosa che non viene da Dio è somma empietà.
Se pertanto non hai smarrito la ragione e la
fede, devi pur confessare che in te di tuo non
rimane che il puro niente. Neppure siamo
riguardo a Dio come gli oggetti in faccia ai
loro artefici. Dopo che lo scultore ha fatta
la sua statua, essa sta in piedi da sè, non ha
più bisogno di lui. Dopo che un quadro è
stato dipinto, non abbisogna più del pittore,
e il vaso del vasaio; ma tu abbisogni conti-
nuamente di essere sostenuto e conservato nel-
ressere dalla potentissima mano che ti creò,
altrimenti ritorneresti subito a ricadere nel tuo
nulla. Dunque devo dirti coll'apostolo: clic
cosa vi è in te che non l'abbia ricevuto?
2) Siam peccatori.
Nè solo siamo niente, ma siamo meno di
.iente. Abbiamo, sì, qualche cosa di nostro,
ma è cosa che ci pone in uno stato di mag-
gior abbiezione, e ci rende più vili dello stes-
so niente! Di nostro abbiamo la colpa, il pec-
:ato, cioè la nostra malizia, la nostra pessima

22.5 Page 215

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— 42 —
volontà. Di vero nostro non abbiamo che la
ribellione a Dio, il che ci rende ben più spre-
gevoli del semplice nulla. Gesù disse di Giu-
da, che era meglio per lui, che non fosse mai
nato, che l'essere stato peccatore (1). E la ra-
gione è chiara: perchè se il non essere indica
il nulla, non indica demerito; mentre l'ave-
re il peccato, l'essere nemico di Dio, indica
demerito sommo, e perciò la dannazione eter-
na. Se pertanto il tuo niente deve farti for-
mare un basso concetto di te stesso, il pec-
cato che tutto deriva da te, colla sua malizia,
deve farti concepir idea bassissima e vilissi-
ma e dispregevolissima di te stesso; e tante
volte più dispregevole del niente quante vol-
te peccasti. Ed ancorché ora non facessi più
dei peccati, non dovresti perciò scemare 1.
vile concetto che dovresti avere della tua in-
degnità, perchè hai già peccato. 11 perdonc
ottenuto dei peccati passati è un puro effet-
to della infinità clemenza e misericordia d:
Dio; mentre il peccato fu un prodotto dell:
tua somma malizia, che non potresti mai ÌL
eterno cancellare con le tue forze. E siccome
un suddito che abbia una volta tramato al-
la vita del suo sovrano, benché gli sia state
perdonato il suo tradimento non sa compa-
rire alla presenza del suo principe senza ros-
sore, memore della sua viltà, così tu dev.
— 421
capire anche più al vivo la tua temerità e
malvagità, quanto più il Signore fu magna-
nimo con te nel dotarti di tante prerogative,
e buono nel perdonarti. E nota una cosa, che
a primo aspetto può sembrarti strana: non
solo dobbiamo aver concetto vile di noi stes-
si per i peccati che abbiamo fatti; ma an-
che per quelli che non abbiamo fatti. Il mo-
ivo è molto semplice. Se non cadiamo ad ogni
ora in colpe gravi è benefìzio di Dio, che ci
•egge col suo possente braccio. Poiché sen-
ta questa grazia del Signore ci immergeremmo
sicuramente in ogni specie d'iniquità, tanto
-iamo meschini e vili. Ci dice il profeta Ge-
emia, che nel nostro cuore vi è un abisso
:i malizia sì impescrutabile, che non siamo
apaci d'andarne fino al fondo (1). Invero
lesto misero cuore o è infiammato dallo
-degno, o combattuto dalla lussuria, o agi-
ato dall'odio, o gonfiato dalla superbia, o
Sbattuto dal timore, o sollevato dall'arro-
anza, o prostrato dalla pusillaminità, o do-
minato dagli affetti sensibili e sensuali, o
-pugnato dagli interessi, o assalito dalle ten-
sioni più violente, o esposto al cimento di
ricolosissime occasioni; e spesso molte di
este cose insieme. Se non fosse della gra-
• a del Signore, che ne sarebbe di noi in mez-
a tanti assalti?
(1) « Bonum ernt ei, si natus non fuisset homo ille •
(MATTEO, X X V I , 24).
XVI1I), •9P).ravum est cor omnium et inscrutabile »

22.6 Page 216

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— 422 - -
— 423 —
5) Siamo ingrati.
capire quanta sia la tua meschinità, e quanto
>ia degno d'essere umiliato, disprezzato e te-
Tu poi per capire la tua miseria, non hai
nuto in poco conto! Che se pensi infine che
neppur bisogno di riflettere alle tante colpe la vista, l'udito, la loquela, gli altri sensi
mortali commesse. Basta che pensi alla poca
esterni ti furon dati intieramente da Dio col-
corrispondenza, alle presenti venialità, ed al- lo scopo di avere da te l'ammirazione, il ser-
le tante ingratitudini alle grazie del Signore. vizio tuo; e che tu ti sei servito di quei pre-
Quanto cadi anche presentemente, e coi pen- ziosissimi doni come se fossero cosa tua, e
sieri della niente, e cogli attacchi del cuore, molte volte anche direttamente contro di lui
e colle azioni! Quante mancanze contro Id- adoperandoli per fare dei peccati, che confu-
dio, contro i prossimi, contro te stesso! Quan-
sione non dovrebbe essere la tua!?
te mancanze di rispetto e di fiducia nei tuoi
superiori, almeno col pensiero; quanti dispetti
e impazienze contro i compagni e contro gli
inferiori; quanti atti di orgoglio, almeno se-
4) Non facciam nulla di veramente buono.
mi-avvertiti! Sono venialità è vero, ma sono
continue, e sono molte! Sono talvolta volon-
tarie, e deformano anch'esse l'anima. Santa
Caterina da Genova al vedere la bruttezza
di un peccato veniale mostratole da Dio in
visione, ebbe come a morirne per l'orrore. Tu
poi considera ancora quanti doni Iddio ti fe-
ce, e quanto poco hai corrisposto! Pensa che
Iddio fu tanto buono con te da farti nascere
in paesi cattolici, darti buoni genitori, farti
trovare ottimo collegio, ottimi superiori, nel-
l'averti perdonato centinaia di volte i tuoi
( peccati, nell'essersi degnato di venire già for-
se migliaia di volte ed ora forse tutti i gior-
ni a visitarti, dandosi tutto a te. Se poi con-
Ì sideri che tu, misera creatura, non sei capa-
ce di darti una buona volta tutto a lui, devi
Devi ancora considerare che anche quando
il Signore ti dà grazia di far opere buone,
non sei capace di farle senza lasciarvi en-
trare mille difetti. Se lavori a prò degli al-
tri, lasci entrare l'impazienza o la vanagloria.
Se fai l'ubbidienza, ci fai entrare fini uma-
ni; se preghi, mescoli la preghiera colle distra-
. zioni, coi tedi, colle languidezze; se dai un
buon consiglio o fai la correzione fraterna,
ci fai entrare l'amor proprio; se fai atti di
carità, vi porti l'ostentazione e il poco compa-
timento degli altrui difetti. E ben sovente
anche chi digiuna o fa altre penitenze cor-
porali, vi fa entrare la compiacenza vana,
l'ostentazione, l'indiscrezione. Se pertanto ti
venisse qualche vanagloria per qualche opera
buona che fai, pensa seriamente che la par-
15

22.7 Page 217

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te buona dell'opera è Dio che la fa, dandoti
l'ispirazione e i mezzi e la forza per farla; di
tuo non vi è altro, in tal opera, che l'imperfe-
zione e i difetti nel farla. Se ti viene da gon-
fiarti pel tuo ingegno, pensa che te lo ha dato il
Signore; di tuo non vi è se non questo: che
l'hai adoperato poco bene; non l'hai fatto
fruttare abbastanza, ti sei già servito di esso
in male. Se ti viene la tentazione di vana-
gloria per doni naturali, di bella voce, di gra-
ziose forme, di velocità di corsa, pensa che
meschine cose son queste, e che per niente
son tue.
5) Che cosa saremo?
Pensa infine che cosa sarai. Il tuo corpo
sarà ridotto in marciume; verrai tutto puz-
zolente, rosicchiato dai vermi più schifosi,
tanto da dire con Giobbe: mio padre sono i
vermi, mia madre la putredine (1). E l'ani-
ma tua? Se non avrai fatto più di quanto
hai fatto finora, corri pericolo di divenire un
oggetto di odio a Dio, e un tizzone d'inferno,
oggetto di obbrobrio ai demoni stessi, che con
sogghigno infernale per tutta l'eternità si bur-
leranno di te, e ti tormenteranno orrenda-
mente.
(1) « Putredini dixl: Pater meus es; mater mea
et soror mea, vermibus (GIOBBE, XVII, 14).
Umiltà di cuore e di volontà.
Quando tu abbia così ben conosciuto te
stesso cioè quando avrai ottenuta l'umiltà di
intelletto, farai un passo, e il passo non sarà
difficile, ad acquistare l'umiltà della volontà,
ossia del cuore. E questa, sebbene sia con-
seguenza di quella, in pratica è la più im-
portante, ed ha ragion di fine; mentre quella
non ha se non ragione di mezzo. Tu devi con
atti continui e reiterati cercar sempre di arri-
vare alla vera umiltà della volontà, per cui
ti espongo qui alcuni ammaestramenti.
Soggezione a Dio.
Il primo e principale effetto, dice San
Tommaso, che deve nascere nell'uomo dalla
cognizione propria e dei suoi peccati, che lo
ostruiscono in stato più vile ed obbrobrioso
del niente, dev'essere una riverente ed osse-
quiosa sommissione a Dio. È troppo naturale
he il niente si assoggetti al tutto, l'imperfet-
to al perfettissimo. Questo era tutto il sugo
tutta la sostanza di quell'umile e divota
razione che teneva le notti intiere occupato
. glorioso San Francesco d'Assisi: «Mio Dio
mio tutto, Deus meus et omnia ». Quanto più
grande sei, dice Iddio stesso nell'Ecclesiastico,
t^nto più umiliati in tutto con darne a Dio

22.8 Page 218

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— 426 —
la gloria, e sarai gradito agli occhi suoi (1).
Puoi benissimo riconoscere in te, le grazie che
Dio ti fa nell'orazione, le virtù in cui ti eser-
citi, i progressi che vai facendo nella via del
bene e della perfezione; purché sappia scer-
nere il prezioso che viene da Dio, dal vile che
viene da te; e a lui, come autore di ogni tuo
bene, dia l'onore e la gloria, e che canti con
Davide: Non a noi, o Signore, ma al nome
tuo dà gloria (2). È umiltà interiore di affetto
verso Dio il non cercare onore e lode dagli
uomini per le proprie operazioni, o virtù, o
qualità. Richiama ciò che a questo proposi-
to ho detto sopra.
Sottomissione al prossimo.
L'umiltà di affetto verso le persone del
mondo consiste, secondo che c'insegna San
Tommaso, in un dispregio di se stesso per cui
l'uomo, stimandosi inferiore a tutti, a tutti si
sottomette. Di qui proviene che l'umile, reso
in tal modo soggetto, soffre in pace i dispregi,
le ingiurie, gli oltraggi, le trascurauze e po-
sposizioni, e persino ne gode. Quest'umile sog-
gezione di affetto verso i prossimi nasce an-
(1) « Quanto magnus es, humilia te in omnibus,
et coram Deo invenies gratiam • (III, 20).
(2) « Non nobis, Domine, non nobis sed nomini
tuo da gloriam • (Salmi, CXIII. 9).
ch'essa dall'umiltà di cognizione. Poiché, co-
noscendo tu veramente il tuo niente, la molti-
tudine delle tue colpe, le tue debolezze, non
troverai difficoltà in riputarti peggiore di
ogni altro. Nè hai da temere mai di abbassar-
ti di troppo, perchè, dice San Giovanni Cri-
sostomo: umiltà vera si è di cedere a quelli
che sembrano di noi più indegni. Anzi mai
dovremmo stimare alcuno inferiore a noi nè
più indegno. E questo può e deve sentirlo non
solo chi fu o è molto peccatore, ma ancora
chiunque sia consapevole del molto bene che
ha già operato. Lo sappia bene costui, se non
si tiene l'infimo di tutti, tutte le sue opere
buone non gli saranno di nessun giovamento
(Omelia 33 sulla Genesi). E San Bernardo ti
esorta a non mai temere di esagerare nell'u-
miltà, poiché, aggiunge, se tu avessi a passa-
re per una porta bassa, che non sia propor-
zionata alla statura del tuo corpo, se t'inchini
un palmo più del bisogno, non te ne verrà
male alcuno; mentre invece se ti abbassi un
dito meno del necessario, urterai colla fronte
e potresti fracassarti la testa. Ma in che mo-
do, dal momento che l'umiltà deve essere
fondata sulla verità, puoi tu considerarti da
meno di tutti, mentre vi sono al mondo dei
peggiori di te? Risponde San Tommaso, da
pari suo: «Ciascuno deve considerare in sè
ciò che ha da sè, cioè il niente ed i peccati;
e questo è verità, poiché non ha altro di suo.
Nel prossimo invece si può considerare ciò

22.9 Page 219

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- 428 —
che egli ha da Dio, cioè le virtù e i doni di
natura e di grazia ». E a questo devi di fatto
aver l'occhio, perchè lo richiede la carità.
In questo confronto non vi è mente sì super-
ba, che non debba piegarsi e riconoscersi di
gran lunga inferiore agli altri. Inoltre, sog-
giunge ancora il santo, possiamo e dobbia-
mo crederci e dichiararci con verità più vili
di tutti, poiché se in noi vi è qualche prero-
gativa, per cui siamo superiori ad alcuno,
dobbiamo credere che in esso vi sia qualche
pregio occulto per cui egli sia suDeriore a
noi. Dobbiamo ancora tenerci al di sotto di
tutti per i peccati segreti che in noi conoscia-
mo, e per i doni di Dio e le prerogative spe-
ciali che gli altri possono avere, e che noi in
loro non vediamo. Che sai tu, dice a questo
proposito San Bernardo, se colui che tu repu-
ti il più vile e miserabile tra gli uomini, la
vita del quale hai in abbominio come in som-
mo grado sordida e scellerata, non sia nella
mente del Signore un vaso d'elezione: che cioè,
operando Iddio in lui con la sua grazia on-
nipotente, Saulo non abbia a divenire ben
presto un San Paolo? Dunque anche ai piedi
di un uomo sì perfido devi chinar la fronte,
e a lui riputarti inferiore. Chi sa poi se co-
lui, il quale per la tua superbia ti fa ribrez-
zo, avesse ricevute tante grazie quante ne hai
ricevute tu dal Signore, forse sarebbe già un
s&nto, mentre tu con tante grazie sei sempre
quell'imperfetto ed infedele alle grazie del Si-
- 429 —
gnore quale tu ti conosci, se pure non sei tal-
mente superbo da neppure conoscerti? San
Francesco d'Assisi, che pure era un santo me-
raviglioso, interrogato dal suo compagno co-
me potesse con verità chiamarsi il più gran
peccatore del mondo, rispose: « Io credo a ten-
go per certo che se Iddio avesse fatto al più
infame assassino del mondo le misericordie
che ha compartite a me, quegli lo servirebbe
più fedelmente e sarebbe più gradito agli oc-
chi suoi. Sono ancora persuasissimo che, se
il Signore ritirasse da me la sua santa mano,
cadrei in quelle enormità in cui niuno mai
è precipitato ». Questo è quanto con mille
volte più di ragione devi temere tu di te
stesso.
Per essere più umile.
1) Specchiati in Gesù Cristo.
Per arrivare alla vera umiltà è necessario
tenere avanti agli occhi il nostro amabilissi-
mo Redentore, tanto sprezzato per nostro
amore. Ricordiamoci, dice l'apostolo, che que-
sto grande Iddio si è annientato per noi, e
che si umiliò fino ad assoggettarsi alla morte
più ignominiosa (1). Ovvero come dice il real
profeta, fino al punto di riuscire l'obbro-
(1) « Humiliavit semetipsum factus obediens usque
ad mortem, mortem autem crucis » (Filipp., II, 7, 8).

22.10 Page 220

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— 430 —
brio degli uomini e r abiezione della plebe
(1). E il Signore si umiliò tanto e patì tanto
affinchè noi lo imitiamo. È per seguire l'e-
sempio di Gesù che gli Apostoli andavano
lieti e giubilanti tra le ignominie e i patimen-
ti (2). Così devi cercare di riuscir tu, se vuoi
esser membro meno indegno di un capo, che
ha tanto sofferto e che tanto si è umiliato.
2) Esercitati nelle umiliazioni.
Nota però ancora, che tutto quello detto
fin qui gioverebbe molto poco, se tu, contento
della teoria e conoscendo il tuo nulla, non ti
sforzassi di venire alla pratica e non amas-
si le umiliazioni. Esse pure ti sono necessa-
rie. Dice San Bernardo che la via delle umi-
liazioni conduce all'umiltà. Devi pertanto
cercare di esser umile di pensieri, di parole
ed opere. Per i pensieri vale l'umiltà di intel-
letto detta sopra, e che ancora una volta io
qui ti raccomando, affinchè ne faccia un con-
tinuo tema dei tuoi esami di coscienza e del-
le tue meditazioni. Per le parole è necessario,
ti ripeto seriamente, di non dir parola di te
o delle tue cose nè in lode nè in biasimo. Sen-
tirai altri farlo a tuo incoraggiamento, ma
r ( l ) «Ego autem sum vermis, et non homo: oppro-
brium hominum et abiectio plebis » (Salmi, XXI, 6 .
(2) « Ibant apostoli gandentes a conspectu concili:,
quoniam digni habiti sunt prò nomine Jesu contc-
meliam pati • (Alti, V, 41).
tu hai troppo amor proprio per farlo. Solo in
qualche opportuna circostanza si possono di-
re parole di propria depressione. E ciò spe-
cialmente con iscoprire al proprio confessore
nel sacramento della penitenza, od al proprio
direttore nei rendiconti e fuori di confessio-
ne, sinceramente, non solo i propri peccati ed i
difetti, ma le cattive propensioni, i cattivi
pensieri. Fuori di questi casi S. Francesco di
Sales stima meglio che si taccia, sia il bene
come il male. Soprattutto devi tacere sempre
col non scusarti quando dei tuoi mancamenti
sei dagli altri ripreso. Coi tuoi superiori poi
fai bene a non iscusarti mai, anche quando
sai d'aver ragione. Allontana dal tuo lin-
guaggio ogni parola che sappia troppo di co-
mando, ovvero secca od altèra, e specialmen-
te il brutto vizio di metter sempre il tuo io.
Circa i fatti, in due modi si può esercitare
la virtù dell'umiltà; o col fare spontaneamen-
te azioni umilianti, o con accettarle di buon
cuore quando ti vengono fatte dagli altri. In
quanto al primo modo, io non ti suggerisco
già che per calpestare ogni orgoglio tu abbia
a fingerti stolto, come in tante circostanze
fece San Filippo Neri, e come fecero tanti al-
tri santi. Ma ama l'umiltà nel vestire, nella
alzatura, negli abbigliamenti, nei capelli.
Cerca semplicità nelle camere in cui dimori,
".egli utensili di cui ti servi, nella quantità
ed eleganza di libri che devi adoperare, nei
posti umili in cui vieni stabilito. Non lasciarti

23 Pages 221-230

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23.1 Page 221

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servire per la pulizia della camera, non la-
sciarti lucidare da altri le scarpe, sebbene
avessi qualche grado di superiorità. Cerca
le occupazioni meno appariscenti, gli uffici
più vili e penosi, la scuola che altri rifiuta,
il libro che già è logoro, il tavolo che è già
rosicchiato dai tarli; non voler affatto tap-
peti, nè comodità e riguardi. Non domandar
eccezioni nell'osservanza regolare. Non sogna-
re o desiderare uffici e cariche più appari-
scenti. Ricordati che sei venuto in religione
non per comparire, ma per nasconderti con
Gesù Cristo. Tratta più volentieri coi giova-
netti più poveri, più laceri, più malgraziati.
più sporchi. Se ti capita il destro, fa' azioni
per sè sante, per cui riesca avvilito presso i
mondani che non le capiscono. San Giuseppe
Calasanzio scopava le scuole; S. Girolamo
Emiliani cercava gli animaletti in capo ai
fanciulli, per tenerli puliti; Cesare Baronio
stava a far cucina; San Francesco d'Assisi e
San Benedetto non osarono ascendere al sa-
cerdozio tenendosi per troppo indegni; San-
t'Agostino, San Giuseppe da Copertino non
accettarono il sacerdozio che per ubbidienza;
Don Bosco faceva per i suoi giovani il sarto,
il calzolaio, il cuoco; altri superiori si riser-
vano l'ufficio di suonar la sveglia al mattino,
di pulire i luoghi comuni, di far l'infermiere
ripulendo anche i vasi immondi ecc. A que-
ste cose devi aspirare anche tu, se vuoi che
il Signore ti abbia poi a dare il premio che è
riservato ai veri umili. Oltre a queste umilia-
zioni spontanee, non possono mai mancare
molte umiliazioni non cercate ma arrecateci
dagli altri. Queste sono ancor più atte a re-
primere gli animi nostri inclinati all'innal-
zamento, quanto sono meno volontarie. Non
mancheranno mai, finché si vive su questa
misera terra, mormorazioni, o calunnie, o in-
giurie, o dispregi. Non mancheranno mai gli
rmuli, gli invidiosi che attraversano l'altrui
avanzamento, gli avversari lividi che prendo-
no di mira le altrui umiliazioni. Queste umi-
liazioni, non cercate da te ma occasionate da
maligni, ed in realtà mandate da Dio, sono
anche più meritorie. Nel fuoco, dice l'Eccle-
siastico, si raffina l'oro e l'argento, e l'uomo
virtuoso si raffina nel crogiuolo delle umilia-
zioni (1). Beato chi saprà prendere con tran-
qnillità d'animo tutte le azioni umilianti che
crii verranno fatte dal prossimo, perchè si
stabilirà in un sodo fondamento su cui non
potrà crollare l'edificio della sua perfezione.
5) Sii moderato negli atti esteriori.
Un terzo modo di esercitare l'umiltà per
mezzo degli atti esteriori secondo San Tom-
maso, è quello che pone moderazione ai ge-
(1) « In igne probatur anrum et argentimi; bominea
tcto reeeptibiles in eamino hnmiliationis » (II, 5).

23.2 Page 222

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— 434 —
sti ed al portamento esterno. Questo consiste
in una certa composizione esterna del corpo,
con cui la persona esprime ed indica l'umiltà
interna del Cuore. A questo si riduce il non
ridere sgangheratamente, il non voler figura-
re con concetti arguti, il non far scherzi o
buffonerie indebite, il non voler parlare più
forte che gli altri, o interromper gli altri
per dire la propria ragione, il non questio-
nare con calore o contraddire gli altri, bensì
cedere modestamente; l'andare cogli occhi
piuttosto bassi, tranquilli e mansueti, e an-
datura punto ricercata, non portamento al-
tèro, non modi adulatori degli altri, non esa-
gerazione negli stessi atti di cortesia; il non
cercare d'arrivare il primo; dar la preceden-
za agli altri; così pure far atti di mansuetu-
dine, di pazienza, di ubbidienza completa,
di mortificazione, di abnegazione dei propri
sensi, delle proprie cognizioni e del proprio
giudizio. Appartiene ancora a questo punto di
umiltà il mantenere il silenzio ed il raccogli-
mento, senza però mai essere disgustoso ad
alcuno. Parla con modestia e con ritegno, non
interromper gli altri, taci quando parla un
Superiore, non rispondere se non quando sei
interrogato o chiamato. È anche un atto di
vera umiltà, se per fare il proprio dovere uno
si sottopone all'impopolarità dei giovani, ed
anche ai rimproveri dei Superiori, ed al pe-
ricolo di non essere amato da essi.
— 35
4) Usa rispetto e servitù ai superiori e mag-
giori.
Ai superiori e maggiori usa riguardi e ri-
spetto, quanto è maggiore la loro dignità o
eneranda la loro età. Non usar mii troppa
«dimestichezza con loro, non ridere alle loro
spalle per qualsiasi motivo, ed usa verso di
essi quei titoli aggiuntivi che indicano la lo-
ro dignità in religione. Non mostrarti mai
; tino iato della loro compagnia e conversazio-
ne, nè permetterti mai la minima contesa con
loro.
Se dovessi assegnare gli uffizi, abbi ri-
guardo alla dignità ed all'anzianità. Sèrvili
:on ogni deferenza, non lasciarli fare uffici
.mili o faticosi. Nel camminare cedi sempre
!a parte e più comoda e più degna, porta le
.oro cose, trattienili in umile e rispettosa con-
Tersazione. Previeni i loro desideri, e cerca
on vera sollecitudine ed affetto di far loro
piacere in ogni cosa. Queste cose le osserverai
mche divenendo superiore coi cari nostri
ecchi.
Amali quali padri spirituali, e riveriscili
con somma pietà e sincero affetto filiale. Sii
tento e docile ai loro consigli, obbediscili
on prontezza, esattezza e semplicità anche
iella espressione dei loro desideri. Devi pro-
• ire consolazione nell'avvicinarli ricordando
nò che diceva Don Bosco: Le pecorelle più

23.3 Page 223

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vicine al pastore son le più fortunate, perchè
ricevono spesso qualche manciata di sale o
di erba. Sta' strettamente congiunto ai com-
pagni con vincoli di fraterna carità. Abbi
i! cuore largo con loro. Devi considerarli co-
me immagini di Dio, e negli stessi loro di-
fetti come strumenti della sua azione santi-
ficatrice su di te. Per essi Dio si comuni-
cherà a te, e tu a lui.
5) Ricevi bene le correzioni.
Gran punto pratico per l'umiltà è il ri-
cevere sempre con buono spirito e con pro-
fitto le correzioni e riprensioni. Tu procura
di ridurti a tanta umiltà e docilità di spirito,
che non abbia discaro, anzi brami in tutta la
vita d'essere avvisato dei tuoi errori, dei tuoi
difetti, sia riguardo al tuo carattere come
nella disciplina esteriore; e ciò non solo dai
Superiori, ma anche dai confratelli. A que-
sto debbono indurti molti motivi. Primiera-
mente essendo tutti i religiosi obbligati ad
applicarsi efficacemente per giungere alla
perfezione, debbono altresì desiderare di co-
noscere i propri difetti, e dimostrare d'aver
gusto d'essere avvisati per correggersene, es-
sendo la docilità un segno infallibile d'un'a-
nima candida e sincera davanti a Dio. Per
questo Salomone disse che chi riprende il
savio sarà da esso amato (1). Invece l'osti-
nazione nei difetti e la ribellione contro le
riprensioni, sono i caratteri d'un'anima ripro-
vata, e segni certi dell'essere insidiata dal de-
monio, come disse l'Ecclesiastico: « L'odiare
le correzioni è segno d'essere peccatore» (2).
Fa' adunque di amare le correzioni, e dì ac-
quistare un cuore docile. Per questo di' spes-
so col cuore fervente e pieno di zelo della
propria perfezione: Dà, o Signore, al tuo ser-
vo un cuore docile (3). Da questa prima ra-
gione nasce la seconda, ed è che le corre-
zioni grandemente ci aiutano a emendarci.
Siccome la predicazione dell'evangelo è ne-
cessaria per la conversione degli infedeli, ed
il peccatore ordinariamente non abbandona
i vizi se non gli si dimostra la loro bruttezza
ed orrore; così il religioso non lascerà le sue
imperfezioni se il superiore non gliene fa ve-
dere la gravità e l'importanza di corregger-
sene.
Perciò senza dubbio, chi desidera vera-
mente piacere a Dio, si rallegrerà di essere
corretto, nè mai si sentirà a lamentarsi o
mormorare, come disse il Savio: L'uomo pru-
dente e disciplinato non mormorerà se cor-
fi) « Argue sapientem et diliget t e » (Prov.,' I X , 8).
(2) « Qui odit correptionem, vestigium est pec-
eatoris » (XXI, 7).
(3) « Dabis ergo servo tuo cor docile »rL(S Re, III, 9).

23.4 Page 224

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— 438 —
retto (1). Che se qualche volta la natura su-
perba se ne risentisse, si ricordi che la reli-
gione è luogo di correzione, e le case di reli-
gione come infermerie spirituali, ove Dio ci
ha inviati per guarire le infermità dell'a-
nima nostra. E siccome è necessario bere me-
dicine amarissime per purgare lo stomaco da
cattivi umori, così è necessario ricevere qual-
che volta rimostranze molto acerbe per ban-
dire la superbia e gli altri vizi dal nostro
cuore. Se l'oro non si mette nel crogiuolo non
può depurarsi, e se la lima non passa forte-
mente sopra il ferro, esso non diventerà li-
scio. Così se la correzione non è alcune volte
accompagnata dal rigore, le nostre anime non
si possono render tali quali Dio le desidera.
Il terzo motivo della grande utilità della cor-
rezione è questo: le congregazioni religiose
non si possono conservar in vigore, se non
con l'esatta correzione dei difetti di ciascun
membro. Chi in qualche modo si ribella alle
correzioni, è segno che non ama la vita re-
ligiosa, e incorrerà nelle maledizioni del Si-
gnore. All'opposto mille benedizioni accom-
pagnano il Religioso, che, sebbene non immu-
ne da difetti, si mostra desideroso di correg-
gersi, confessando esso stesso i suoi errori,
e rallegrandosi d'essere corretto, e sopportan-
do volentieri quella penitenza e mortificazio-
(1) « Vir prudens et disciplinatus non murmurabit
correptus » (Eccli., X, 28).
— 39 —
ne che piace al superiore d'imporgli. L'umile,
se si sente innocente nel punto pel quale vie-
ne dal superiore ripreso, si sente però colpe-
vole d'altre cose per meritare tal correzione
e confusione! Tu perciò non pensar mai d'es-
sere trattato con troppo rigore. Al contrario
reputa il rigore una grazia, perchè ti serve a
meritar molto. Prega Iddio per quelli che ti
fanno la carità di farti conoscere i tuoi di-
fetti, e tienli cari come i più veri amici. An-
zi, se proprio desideri molto di progredire nel-
la virtù, farai bene non solo ad accettare le
correzioni quando ti verranno fatte, ma
pregherai il superiore a non risparmiarti, eser-
citandoti e mortificandoti ben bene, quando
e come giudicherà a proposito. Cerca piutto-
sto di rallegrarti di avere un superiore clic
non te le risparmia, anziché d'averne uno che ti
perdoni facilmente. San Giovanni Damasceno,
dopo d'essere stato governatore di Dama-
sco, essendosi fatto religioso, ricevette ubbi-
dienza di portare a vendere al mercato pub-
blico di quella stessa città, certe sporte fat-
te da sè e dagli altri religiosi. Egli l'eseguì
con generosità e semplicità incredibile, met-
tendosi in mezzo al mercato in pubblica
piazza a vendere quegli oggetti, là precisa-
mente dove poco prima esercitava l'ufficio suo
di governatore. Quante grazie non avrà egli
ricevuto da Dio per questa sua profonda
umiltà!

23.5 Page 225

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— 440
AItri avvertimenti pratici.
Stàmpati anche bene in mente quanto dice
San Francesco di Sales : « L'umiltà per essere
vera, deve andar sempre accompagnata dal-
la carità », cioè amare, cercare, o almeno ac-
cettare le umiliazioni per piacere a Dio, per
assomigliare a Gesù Cristo; altrimenti sareb-
be un praticarla ad uso dei gentili! Quell'u-
miltà che per seguire un suo punto di vista
non si lascia facilmente dirigere dai superiori,
o è incomoda agli altri, o si esterna in modo
da allontanare l'affetto od il rispetto degli
inferiori, questa non è umiltà di buono stam-
po. Dopo quanto si disse, che opinione credi
tu si potrebbe formare di un ascritto, che non
si facesse scrupolo di biasimare e lamentarsi
dei superiori; di chi si mostrasse offeso per-
chè non gli usano tutti quei che egli crede do-
vuti riguardi; di chi coi compagni si mostras-
se caparbio e tenace nel suo giudizio, nei
giuochi esigesse sempre la preminenza, nelle
scuole facesse palese la vanità del voler com
parire da più degli altri, nei discorsi delle ri-
creazioni cercasse continuamente di compa-
rire? Che diresti di chi cercasse la preminenza
per la sua regione, per la sua nazione, per la
sua lingua; od a stento s'adattasse a parlare
nella lingua ordinaria di casa e si ostinasse a
voler parlare nella lingua propria? Comprende-
rai che costui non conosce neppure « l'abbici >
dell'umiltà, e che in conseguenza non diverrà
— 441 —
aai un vero religioso. La vera umiltà, sic-
come ci fa diffidare di noi stessi, e confidare
-nicamente in Dio e nella sua bontà, non
leve mai lasciarci scoraggiare quando si
cadesse in qualche difetto o mancanza. Sia
perciò sempre lontano da te lo scoraggia-
mento, ed il timore di non riuscire. Quan-
do non riesci in qualche cosa procura di
umiliarti davanti al Signore. Ma dopo aver
ietto con San Luigi: «La terra ha dato il
sao frutto, terra dedit fructum suum. », ripren-
di nuovo coraggio, aggiungendo con San
Paolo: «Posso tutto in colui che mi confor-
J » (1). Sta' sicuro che con l'aiuto di Dio e
cel tuo buon maestro, potrai alfine diminui-
re le mancanze, progredire nelle virtù, e av-
vicinarti a poco a poco alla perfezione alla
ruale sei chiamato. Il punto dell'umiltà de-
r essere pertanto assai di frequente medita-
**> negli anni della formazione. Colui che ne-
rli anni di prova si mostra superbo, preten-
dente, altero, non potrà mai diventare un
:aon religioso, e tanto meno un buon salesia-
no, secondo lo spirito di Don Bosco. Il no-
stro buon Padre fondò la sua congregazione
all'umiltà, sullo spirito di sacrificio, sulla
^negazione di se stessi; di modo che, senza
i~erne l'apparenza, può dirsi che una carat-
teristica sua sia appunto questa. E tu figurati
1) • Omnia possum in eo qui me confortat >. (Fi-
«HP-. IV, 13).

23.6 Page 226

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che sia Don Bosco stesso che ti rivolge que-
ste celebri parole: «L'umiltà è un evidentissi-
mo segno di elezione; la superbia è eviden-
tissimo segno di riprovazione» (i). E ti sog-
giunga ancora quanto ho udito io dalla sua
bocca: « Chi non è umile non sarà mai ca-
sto ». E siccome nel noviziato non hai occa-
sione di praticare tale virtù in cose molto
grandi e difficili, procura di acquistarne bene
lo spirito e di sottoporti con gioia alle picco-
le umiliazioni che occorrono quotidianamen-
te. Allora il Signore ti benedirà, tu diventerai
un buon salesiano, e su questa base dell'umil-
tà erigerai un grande edifizio di santità.
CAPO XXX
DELL'INDOLE IRACONDA
E DELLA MANSUETUDINE
Che cosa sia l'ira e i suoi effetti.
L'ira, ossia la collera, è un desiderio smo-
dato di vendetta contro qualche persona od
oggetto che ha recato disgusto. Essa inclina
a far male alla persona, od all'oggetto disgu-
(1) « Humilitaa evidentiasimum signum est elec-
tionia: auperbia evidentissimum aignum eat reproba-
ti onis ».
stoso. Anche questo è uno dei vizi capitali
e di quelli più universali e che recano mag-
giori danni. Quando l'iracondo è poco virtuo-
so e poco timorato di Dio, al certo non si cu-
ra di raffrenare questa passione. Ed allora
l'ira e la collera ne acceca la mente, indura
il cuore, perverte la volontà e viene a signo-
reggiare in tal maniera l'anima, che l'induce
a innumerevoli peccati gravi. Infatti la collera
non raffrenata è cagione di tante ingiurie, im-
precazioni, minacce contro i prossimi, di odii,
vendette, inimicizie, che si proseguono per an-
ni ed anni: anzi è cagione delle risse, delle
percosse, dei ferimenti e degli stessi omicidi.
È lo Spirito Santo che ce lo conferma: L'uo-
mo iracondo provoca risse (i). È cagione in-
fine di tante orribili bestemmie, con cui di-
rettamente si viene ad oltraggiare Iddio, la
Vergine SS. e le cose più sante: cagione perciò
della dannazione delle anime. Aggiunge anco-
ra lo Spirito Santo nell'Ecclesiaste, che l'ira
è indizio di stoltezza (2). Se l'iracondo è
persona timorata di Dio, sarà raro il caso
in cui si lasci trascinare ai suesposti eccessi.
Tuttavia, se non pone gran cura per morti-
ficare al tutto questa passione, facilmente dal-
la medesima verrà trascinato a molti peccati
veniali e difetti, e quindi distolto dalla perfe-
zione cristiana. Oh quante sono le anime di-
fi) « Vir iracundua provooat rixas » (Prov., XV, 18).
(2) « Ira in sinu atulti requiescit » (VII, 10).

23.7 Page 227

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— 444 —
vote, anche di religiosi provetti, che non
avendo mortificato abbastanza il loro natura-
le collerico, si lascian trasportare a molti at-
ti d'impazienza interni ed esterni, sempre in-
convenienti e quasi sempre peccaminosi! Poi-
ché alla minima occasione che sorge, ed al
più legger torto che ricevono, tosto si con-
turbano ed inquietano: ammettono entro il
cuor loro sentimenti e avversioni, rispondono
con calore, con alterigia, con arroganza. E
questi ed altri innumerevoli atti venialmente
peccaminosi van commettendo tutto giorno,
anche avvertitamente e deliberatamente.
2c Della mansuetudine.
L'irascibilità pertanto e l'impazienza van-
no combattute con tutte le nostre forze. Es-
se si vincono con la mansuetudine. È questa
una virtù morale, per cui la persona repri-
me tutti i moti disordinati dell'ira, discaccia
dall'anima ogni turbamento ed avversione
contro il prossimo, e mantiene l'animo pieno
di pace, di carità. Chiamasi comunemente an-
che pazienza.
Necessità della mansuetudine.
Questa virtù della mansuetudine è neces-
sarissima per l'acquisto della perfezione, e
— 5—
perciò caldamente ti esorto ad acquistarla.
Non son rare tra noi le occasioni che facil-
mente possono eccitare alla collera. « Non è
possibile, dice San Francesco di Sales, in que-
sto nostro pellegrinaggio, di non urtarci ed
imbarazzarci a vicenda gli uni con gli altri.
Però è necessario avere un gran fondo di
pazienza e di dolcezza, da opporre agli im-
provvisi movimenti della collera ». Gesù,
Salvator nostro, tra le beatitudini dà un po-
sto importante alla mansuetudine: beati i mi-
ri perchè possederanno la terra. La virtù che
Gesù benedetto ci dice d'imparare dal suo
Cuore sacratissimo, prima ancora dell'umiltà,
è la mansuetudine: imparate da me ad essere
miti. E la virtù, che la Chiesa nella sua litur-
gia ci fa chiedere di più alla Madonna, è la
mansuetudine, prima ancora della castità:
mites fac et castos, rendici miti e casti. Noi
abbiamo come titolare San Francesco di Sa-
:es, detto il santo della mansuetudine e della
dolcezza; e per padre e fondatore Don Bosco,
mai visto in collera, e che possedeva il cuo-
re dei suoi figliuoli, tanto era grande la man-
suetudine e la dolcezza che adoperava con lo-
ro. Se vi è nel mondo felicità invidiabile, es-
sa è certamente quella che è prodotta dalla
pace e dalla tranquillità, che si gode nella co-
munità di persone, che convivono in unione
fi fraterno amore. Questi, che sono in posses-
so della giocondità di un concorde convito,
possono dire con ogni verità ciò che dice-

23.8 Page 228

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va il profeta: Quanto è cosa buona e bella
che i fratelli vivano in unità di cuore (1)! Lo
provarono in effetto quei buoni cristiani del-
la Chiesa nascente, convertiti alla fede dal-
l'apostolo San Pietro, dei quali ci narra San
Luca, che vivevano in una tal pace e concor-
dia, che di tanta moltitudine sembrava esse-
re un cuore solo ed un'anima sola (2). Ed es-
sendo uniti con questa carità e mansuetudine,
avevano a un tempo stesso il possedimento
di ogni vero bene. Di sorte così avventurosa
noi religiosi siamo partecipi, tutti uniti in un
sol corpo di fraterno amore, che forma la
sorgente, per così dire, alla nostra terrena
beatitudine.
Male dell'ira nelle comunità.
Una cosa tuttavia è atta ad intorpidire la
limpidezza di questo fonte della nostra feli-
cità, ed è l'indole superba ed iraconda di
qualcuno. È essa che, accecata dallo sde-
gno tronca il bel nodo della fraterna unione
tutte le volte che, trasportata dall'impeto del-
la passione, prorompe in risentimenti, in
querele, in rimproveri, accendendosi or con-
fi) « Ecce quam bonum et quam iucundum h»-
bitare fratres in unum » (Salmi, C X X X I I , 1).
(2) « Multitudinis autem credentium erat cor unum
et anima una» (Atti, IV, 32).
tro l'uno or contro l'altro dei confratelli. Que-
sto è un vizio così cattivo, che nessun altro
quant'esso distrugge le idee e le amorose in-
tenzioni avute da Gesù Cristo nell'unirci in-
sieme in religiosa congregazione. Ed è tal-
mente biasimevole che, per le sue conseguen-
ze, viene ad essere uno dei più perniciosi al-
la concordia religiosa. Le idee di Gesù Cristo
nella fondazione della sua Chiesa furono tut-
te di amore, di benevolenza, di pace e di ami-
chevole armonia. A questa reciproca dilezio-
ne par che fossero unicamente rivolte tutte
le sue mire, di modo che volle stabilirla nei
suoi seguaci con rigoroso precetto che chia-
mò suo e nuovo (1). E gli stette tanto a cuore
questo comando, che obbligò gli uomini ad
amarsi scambievolmente con quell'istesso
amore con cui egli amò essi (2). Nè contento
di ciò stabilì pene contro quanto potesse
rompere questo vincolo così apprezzato. E
siccome è l'ira che più d'ogni altra cosa può
rompere la carità, così minaccia i più gravi
castighi a chi si lascia andare all'irascibilità
G). In forza adunque di questo comando
ioi non possiamo adirarci contro del fratel-
(1) « Hoc est praeceptum meum, ut diligatis invi-
w n » (Giov., XV, 12). « Mandatum novum do vobis,
ss diligatis invicem » (Giov., XIII, 34).
(2) « Diligatis invicem, sicut dilexi vos » (Giov.,
XV. 17).
l3) ' Qui irascitur fratri suo, reus erit iudicio... reus
trix gebennae ignis » (MATTEO, V, 22).

23.9 Page 229

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— 448 —
lo, neppure una sol volta, senza venir a di-
struggere le amorose idee di Gesù Cristo.
Ora che sarebbe se tu, non sforzandoti quan-
to devi per vincere l'indole tua iraconda, ri-
manessi facile a risentirti per ogni minima
cosa, contro dei compagni o contro dei gio-
vani, c ti lasciassi andare a trasporti di sde-
gno? Se, impaziente, disgustassi altri con pa-
role aspre? Se contro gli altri ti inasprissi,
se sdegnoso li mortificassi con oltraggiosi rim-
proveri? Se ne concepissi avversione? Procu-
ra di misurare da te stesso il cattivo esem-
pio che verresti a dare, il male che potresti
produrre, e tra i confratelli e tra i giovani
in mezzo ai quali avrai a trovarti, o coi tuoi
sudditi, se per disgrazia con questa tua indo-
le irascibile, avessi da avere qualche grado
di superiorità sopra altri. Oh! se non ti vin-
cessi dell'irascibilità non saresti certo rico-
nosciuto dal Signore come suo discepolo! Po-
tresti anzi, con questo vizio, mettere in peri-
colo l'esistenza di un collegio e d'una missio-
ne intera, con danno irreparabile tuo, delle
anime e di tutta la congregazione. Gesù vol-
le che l'amore e la reciproca fraterna unione,
fosse il carattere distintivo dei suoi seguaci:
« In questo conosceranno che siete miei disce-
poli, se vi amerete a vicenda » (1). E come
(1) « In hoc cognoscent omnes, quia discipuli mei
estis, si dilectionem habueritis ad invicem • (Giov.,
XIII. 35).
— 9—
poi con questi abituali sentimenti opposti al-
la fraterna dilezione, potrà vantarsi un reli-
gioso di andar distinto con le nobili divise di
suo discepolo? Porterà egli anzi le divise di
satanasso, autore della discordia, delle av-
versioni e del disdegno. Vedi adunque qual
disonore fa a sè stesso un religioso impa-
ziente ed iracondo, svestendosi del carattere
nobilissimo di discepolo di Gesù Cristo, e as-
sumendo quello ignominiosissimo di seguace
del demonio. Basta alle volte un solo confra-
tello d'indole irascibile non raffrenata a tem-
po, per tenere sconcertata una casa intiera,
un numeroso collegio. E chi è, dice il Savio,
cui non riesca insoffribile uno spirito iracon-
do? (1). E conchiude che un uomo facile a
sdegnarsi è cagione di molte liti e di molti
peccati (2). Tu ti stupirai, o mio buon amico,
nel vedere come nelle sacre carte tanto si
stigmatizzi l'iracondia, e forse ti meravi-
glierai che io insista nel farti notare i dan-
ni che da essa ce ne provengono! Ma io
che vidi piangere superiori, e collegi rovi-
nati, e dei religiosi tradotti ai tribunali per
essersi lasciati portare ad atti di violenza
contro qualche giovane, e ciò evidentemente
per causa di chi nel noviziato non si era
(1) « Spiritum ad irascendum facilem, quis poterit
sustinere? » (Prow., X V I I I , 14).
(2) « Vir iracundus provocat rixas, et qui ad indi-
gnandum facilis est, erit ad peccandum proclivic
Prov., X X I X . 22).

23.10 Page 230

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vinto bene su questo punto, temo ancora di
di non aver detto abbastanza. E perciò per
amore di Gesù ti prego a volerti coprire di
quella mansuetudine che esce dal divin cuo-
re, e ti scongiuro a non renderti così indegno
del nome che porti di salesiano e di figlio di
Don Bosco.
Pratica della mansuetudine.
Non prender dunque abbaglio: le morti-
ficazioni, il gran lavoro, le austerità, le pe-
nitenze, le orazioni son cose buone, buonis-
sime, ma han assoluto bisogno di essere ac-
compagnate dalla mansuetudine, del resto
poco o nulla valgono. Bada pertanto atten-
tamente . di non offendere in qualunque mo-
do chicchessia, e offeso non risentirtene. Che
se mai, per umana fragilità, o per diabolica
istigazione, non fossi sì guardingo lasciandoti
alcuna volta trasportare dall'iracondia, corri
subito a smorzare il fuoco coli'acqua dell'u-
miliazione. Questo solamente, al dire di San
Bernardo, è il mezzo più valevole a riparare
l'incendio, che potrebbe quindi sorgere da
piccole scintille di risentimento, che offesero
la carità. Si legge nella vita del glorioso San
Francesco di Sales, come, sorpreso da un il-
lustre cavaliere nell'atto che con l'ago alla
mano stava rattoppando una sua veste, fu
come redarguito perchè si abbassasse a la-
voro sì poco a lui conveniente. Cui tosto ri-
spose il santo: « Signore, non l'ho rotta io que-
sta veste? Dunque la debbo anche rammen-
dare ». Ammirabile sentimento! Io vorrei lo
applicassi a te stesso ad ogni tua mancanza;
ma specialmente tutte le volte che, in qual-
che modo, rompessi la concordia, la carità,
la pace. Umiliati ben tosto, chiedi scusa del-
la tua inconsideratezza. E, se senti ripugnan-
za, di' anche tu: Sono io che ho rotto la
concordia, è ben giusto adunque che io pure
la risarcisca. Nè star sul puntiglio, pensando
a chi tocchi l'umiliarsi prima. Dopo che of-
fendesti Iddio col peccato, chi fu il primo
a chiedere riconciliazione e pace? tu che fo-
sti l'offensore, oppure Iddio che fu l'offeso?
Iddio fu quello, poiché con muoverti il cuore
con la sua grazia eccitante al ravvedimento,
quando tu eri forse più alieno dal pentir-
tene, e talvolta anche più intento ad irritarlo
con le offese, ti si presentava innanzi quasi
in atto supplichevole, prontissimo a porre in
Jimenticanza con un indulgente perdono tut-
ti gli oltraggi che gli facesti. E sarai poi tu
cotanto altero, siccome sogliono alcuni super-
bi secolari, che non arrossisca di metterti sul
puntiglio, che a te non tocca umiliarti pel
primo? Chi è il primo ad umiliarsi acquista
senza fallo maggior merito, merito grande e
rrande assai. Per non perderlo, tosto che co-
noscerai essere in disunione con qualcuno,
Szurati che Gesù Cristo ti parli all'orecchio

24 Pages 231-240

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24.1 Page 231

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— 452 —
intimandoti di eseguire il comando espresso
del Vangelo: Va' prima a riconciliarti col
tuo fratello (1). E tu obbediscilo senza di-
lazione, presentandoti a dirgli dolcemente
la tua discolpa, e a pregar compatimento, se
l'offendesti. E se l'offeso fosti tu, digli ciò che
a Lot già disse il pacifico Abramo: Non vi
sia contesa fra me e te, giacché siam fratelli.
Dissi che senza indugio devi procurare la
riconciliazione, per non contravvenire all'am-
maestramento dell'apostolo, il quale esorta a
star ben cauti di non lasciar tramontar il
sole sopra la nostra collera (2). Altrimenti se
porterai teco a dormire lo sdegno, questo, al
dir di Sant'Agostino, corromperà il tuo cuo-
re (3). Con che vuol dire questo santo dottore,
che se alla rottura non segue una pronta ri-
conciliazione, lo sdegno passerà facilmente in
passione, in astio, in livore, che durerebbe
Dio sa fino a quando, con immenso discapito
della coscienza, e con iscandalo gravissimo
della comunità dei religiosi, se pur non sarà
anche saputa da altri in casa e fuori di casa,
centuplicando il male. Pieno di unzione e di
carità, è l'ammaestramento di Gesù nostro
maestro, quando ci comanda di non acco-
starci all'altare ad offrire il nostro dono, se
(1) • Vade priug reconciliari fratri tuo » (MATTEO,
V, 24).
(2) • Sol non occidat super iracundiam vestram
(3) « Ira corrumpit cor, si in alium diem dura
verit • (Ep., CCX, ad Fclic., n. 2).
— 5—
prima non ci siamo riconciliati col fratello
che ha qualche cosa contro di noi (1). E tu
come oseresti andare alla santa comunione,
se almeno prima d'andarvi non promettessi a
Gesù di umiliarti in qualunque modo, per
fare la pace con quel fratello, che l'avesse
rotta con te? Commovente la liturgia antica
della Chiesa, che disponeva che tutti i cristia-
ni si abbracciassero vicendevolmente dandosi
la pace, prima di andare alla santa comunio-
ne! Approfitta di questi sublimi ammaestra-
menti, fa' propositi seri e duraturi, per tutta
la vita, e ti attirerai le benedizioni del Si-
gnore.
Come riuscire ad essere uniti.
Ti preservi pertanto il clementissimo Id-
dio dalla malnata passione dell'ira, sorgente
funestissima di mille colpe. E tu bada bene
a raffrenarla con ogni sforzo nei primi suoi
movimenti facendo ad essa sottentrare lo spi-
rito della mansuetudine e della dolcezza, la
quale come ti renderà guardingo per non
render disgusto ad alcuno, così ti farà essere
insensibile alle offese che altri ti facesse. In
ogni incontro di dispiaceri esércitati in così
nobile virtù, soffrendo tutto in pace per amo-
re del Crocifisso, che sì begli esempi ce ne
(1) «Vade prius reconciliari fratri tuo ».

24.2 Page 232

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diede. Poniti con molta frequenza a consi-
derare la condotta di Gesù benedetto. Egli è
il vero modello della mansuetudine, la norma
della pazienza, un vero prodigio di tolleran-
za. Osserva quanti strapazzi abbia egli tol-
lerato dai suoi avversari, nei tre anni della
sua predicazione. Calunniato, discreditato,
vilipeso coi titoli oltraggiosissimi di sedut-
tore, d'impostore, di bestemmiatore, non pro-
ferì mai parola di risentimento. Che anzi
trattò sempre con ammirabile piacevolezza i
suoi contraddittori, dispensando a tutti be-
nefizi in contraccambio degli affronti, con cui
lo insultavano. Nei tribunali in quante guise
r,on fu mai dileggiato, strapazzato, vilipeso!
E allorché era moribondo ed agonizzante in
croce, quante bestemmie, contro lui vomitate
dalla bocca sacrilega dei suoi nemici, non
dovette udire? Quanti improperi, quante vil-
lanìe, quanti scherni, quante ingiurie! Avreb-
bero perfin commossa l'inflessibilità dei più
insensibili macigni! Eppure tutto soffrì con
invitta pazienza, scusando, col pretesto del-
l'ignoranza, la malvagità degli autori dei suoi
oltraggi, e interponendosi di più presso il di-
vin suo Padre come mediatore per implorare
ad essi mercè e perdono. Questo sia, o mio
buon figliuolo, il tuo esemplare, da cui devi
prendere lezione di mansuetudine e di sof-
ferenza. Sii dunque benigno, pieghevole, fa-
cile a porre in dimenticanza quei disgusti,
che in qualche congiuntura potranno provenlr-
—4
11 da alcuno dei tuoi fratelli mossi talvolta da
inconsideratezza, talvolta da diabolica istiga-
zione e per lo più da umana debolezza. Com-
patisci, tollera, perdona. Beato te se di gior-
no in giorno, esercitandoti in atti di sofferen-
za, giungerai un dì ad acquistare la virtù
tanto pregevole della mansuetudine! Perchè
con essa conseguiresti pure una immensità
di meriti per l'altra vita.
Pensa all'avvenire...
Preparati all'avvenire: avrai da fare con
giovanetti irrequieti, mal accostumati, forse
anche con qualcuno maligno, che sembra fat-
to apposta per farti indispettire. Che avver-
rebbe se tu ora non acquistassi un carattere
paziente, dolce, mansueto? Come attireresti al
bene cotesti giovani, se ti lasciassi andare al-
la irascibilità? E se andassi missionario? Se
avessi poi cariche importanti? Come riusci-
resti a fare del bene, se non hai acquistato
perfetta padronanza su te stesso, se non hai
domato perfettamente il tuo carattere?
Dolcezza e socievolezza.
Con la mansuetudine devi pure procurarti
la dolcezza, che è come il fior fiore di essa.

24.3 Page 233

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—4 —
E con l'ira devi anche fuggire quella certa ru-
sticità esteriore o naturale durezza, che ren-
de selvatico e ripugnante il religioso. Procu-
ra eli non esser mai tetro nel volto, di non
tenere mai un comportamento ruvido, più
proprio d'un carceriere che di un salesiano.
Oh! quanto questo modo di fare pregiudica
chi lo pratica, tenendogli sempre come intor-
pidito lo spirito, colmandogli la mente di ma-
linconie, il cuore di noia e di tristezza! Ma
oh! quanto pur anche malamente si soffre da-
gli altri, cui troppo rincresce avere un compa-
gno intrattabile e selvaggio! È necessario che
ti formi un carattere sciolto e manieroso. Se
anche i secolari, obbligati a vivere in una me-
desima casa, debbono per ragion di civiltà
ben trattarsi tra loro, quanto più lo dovranno
i religiosi, radunati nel nome di Gesù Cristo,
a vivere in unione di fraternità sotto un me-
desimo tetto!? Sia santo quanto si voglia un
religioso, se è rozzo, insofferente, intollerante
delle consuetudini e persino dell'umore della
comunità, egli è santo, dirò così, di una san-
tità imperfetta. Esser santo, figliol mio, non
vuol dire esser rustico, ma bensì esser carita-
tevole, sapersi accostare fraternamente a tut-
ti. a tutti dimostrarsi affabile, cordiale, amo-
revole, disposto a far dei servizi a tutti. Le
quali cose sono pure segni esteriori di quella
carità ed amore, che ha la sua sede in mezzo
al cuore.
— 457
Cortesia coi forestieri.
Se un religioso dev'essere trattabile e cor-
tese con tutti, deve esserlo specialmente coi
forestieri. Bisogna con loro usare la virtù del-
l'ospitalità, e non temere di incomodarci noi
per render servizio a loro. La condotta tenuta
da Abramo nell'incontro che ebbe con quei
tre angioli, i quali, in sembianza di scono-
sciuti pellegrini, si appressarono alla sua ca-
sa, ci deve esser d'esempio del come dobbia-
mo diportarci e come si devono trattare i
forestieri che vengono a noi. Appena il san-
to patriarca li ebbe veduti, subito sorse di do-
ve stava adagiato, corse ad accoglierli, invi-
tandoli con somma gentilezza e cortesia a fer-
marsi seco per ristorarsi del lungo viaggio,
che avevano fatto nelle ore più calde del me-
riggio. E intanto corse alla mandra per am-
mazzare uno dei più grassi vitelli, ordinò che-
si preparasse loro un buon pane, ed egli me-
desimo li servì a tavola, facendosi un piace-
re di mostrare ad essi la sua cordialità. Ve-
di come questo ottimo patriarca si diportò
con quei giovani stranieri, da lui mai veduti
nè trattati, e di cui non conosceva neppure
il nome? Non si ritirò, nè si nascose; non si
scusò, non fece il ritroso; che anzi prevenen-
do le domande che la necessità avrebbe ob-
bligato quei forestieri a fargli, coll'esibizione
di servirli nei loro bisogni si dimostrò cortese,
benigno, manieroso, amorevole. Porse così a

24.4 Page 234

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— 458
noi un autentico esempio di quella santa
affabilità e cortesia, con cui si debbono trat-
tare e servire gli ospiti. Questa carità e cor-
tesia che ci fu anche tanto praticamente in-
culcata da Don Bosco, abbia sempre ad es-
sere in pregio tra noi salesiani, e tu impara
fin d'ora a praticarla nel modo migliore che
a te è possibile.
...Coi confratelli.
E questa cortesia non deve esser ristretta
ai soli forestieri estranei alla nostra Pia So-
cietà, ma ancora ai nostri soci che sono della
stessa casa, o della stessa provincia o nazio-
ne. Nè deve limitarsi ai soli geniali, e neppu-
re a quei soli che ci han fatto del bene, non
essendo allora virtuosa, ma deve stendersi an-
che agli stranieri, ai fastidiosi e persino agli
antipatici. Affinchè poi questo tratto cortese
di sociabilità sia elevato al merito di virtù,
dev'essere, al dir di San Tommaso, ben ordi-
nato. E sarà bene ordinato quando esso si e-
stenda a tutti indistintamente senza esclusio-
ne di sorta; avendo riguardo speciale ai supe-
riori, poi ai compagni ed estendendosi fino
agli inferiori. Figlia dell'umiltà e della carità,
la cortesia è tutta cuore verso ognuno, tutti
riguarda con occhio sereno, a tutti mostra il
volto ilare, e verso tutti è manierosa. Come è
cosa consolante il vedere in una casa acco-
5—
gliere festosamnete qualche confratello fore-
stiere! il vedere la premura di ciascuno per
non lasciarlo solo, per vedere se manca di
qualche cosa e procurargliela, e fargli ogni
altra sorta di servizi! Mentre, al contrario,
com'è cosa desolante, e come agghiaccia il
cuore, il vedere che non si curano questi fo-
restieri, essendo ciascuno intento solo a cerca-
re le sue comodità, e avendo noi paura di sco-
modarci per rendere servizio agli altri! Mag-
gior rozzezza ancora sarebbe se questo si fa-
cesse a confratèlli venuti da molto lontano,
o che fossero di altra nazione. Questi vanno
trattati anche meglio; e per questi in parti-
colare devi scomodarti, e vedere che riesca-
no completamente soddisfatti dell'ospitalità
nostra. Una cosa di cui ho bisogno che tu
comprenda bene l'importanza è questa: che il
carattere rustico ed intrattabile, se non si cor-
regge in gioventù bene, non si sradica poi più,
anzi andrà sempre peggiorando. Renditi adun-
que molto affabile coi tuoi confratelli, mai
gravoso, mai intollerabile; e tieni come vizio
esecrando un naturale lunatico, tetro, disob-
bligante. Procurati invece un'aria gioviale,
che dimostri buon cuore verso tutti. E per
animarti ad essere trattabile a tutti quei che
convivono con te, basta il rammentarti che
tutti sono tuoi fratelli in Gesù Cristo, a te
uniti in vincolo di carità e di amore. Bisogna
far ciò anche coi fatti e colle opere, aiutando-

24.5 Page 235

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si l'un l'altro nei bisogni senza resistenza, ma
prontamente senza guardare ad incomodo nè
a puntiglio. Nel che consiste propriamente
tutto il merito di questa virtù, al convivere
religioso sì necessaria.
Cortesia e prudenza.
Bada solo che questa deve essere regolata
da un certo prudenziale contegno, onde nei
suoi atteggiamenti amorevoli sia opportuna,
non importuna; naturale, non affettata; limi-
tata, non indiscreta; onesta e santa, non li-
cenziosa. Se l'offerta dei tuoi servizi venisse
fatta in tempo inopportuno, o se si conosces-
se ch'essa non sia cordiale, invece di riceversi
volentieri sarà rifiutata con aria di disprezzo.
Se vuoi farti avanti in tutte le occorrenze che
non hanno relazione alcuna con te, sarai ri-
putato un faccendiere fastidioso. E se la tua
amorevolezza derivasse da genialità, da at-
tacco sensuale, saresti giudicato parziale e
forse anche scandaloso. Régolati pertanto in
guisa tale, che l'esercizio di questa virtù rie-
sca in te, conforme all'insegnamento di San
Tommaso, ben ordinato, com'è dovere; ordi-
nato cioè non solo in quanto alla universalità
delle persone, ma anche riguardo al modo ed
alle circostanze di praticarla. Esercitandola
in questa guisa sarai sicurissimo di riscuotere
meriti presso Dio, gratitudine presso gli uo-
mini, buon nome e corrispondenza di amo-
revolezza, verificandosi il detto comune: amore
1a amore.
CAPO XXXI
DELL'INDOLE ACCIDIOSA
E DELLA DILIGENZA
In che consista l'accidia.
L'accidia consiste nell'abborrire la fatica,
o meglio nel consentire all'avversione e ripu-
gnanza a tutto quello che, con sè, arreca fa-
tica e difficoltà. È tutta neliassecondare l'av-
versione, la ripugnanza e contrarietà alle ope-
re buone e virtuose, e specialmente alle prati-
che di pietà e all'adempimento delle proprie
obbligazioni; e quindi conservar noia, svoglia-
tezza e rincrescimento nell'adempirle; e que-
sto per la fatica e difficoltà che s'incontra nel
praticarle. È chiaro che il vizio non sta nel
carattere o nel naturale pigro ed accidioso,
bensì nella trascuratezza, nella negligenza a
fare quegli sforzi, ed anche ad usare quella
violenza contro se stessi, che è necessaria a
vincere qualunque carattere difettoso. Quan-
do tu pertanto con grande coraggio, risolu-

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— 462
tezza e costanza, faccia dalla parte tua tutto
ciò che puoi, il carattere accidioso che per ca-
so avessi, anziché essere causa di peccato ti
sarà ancora occasione di maggior virtù e me-
rito. Ma se tu ti lasci dominare da esso e
quindi rimani inerte ed inoperoso, tali e tanti
mali ti produrrà l'accidia, da impedirti non-
ché il conseguimento della perfezione, anche
l'acquisto dell'eterna salute.
Il religioso calmo ed operoso.
Sebbene per se stesso lo stato religioso
sia uno stato di quiete, tuttavia esso non è
e non deve essere uno stato inoperoso, una
quiete oziosa. Anzi la nostra Pia Società,
tende alla massima attività. La quiete deve
essere nell'interno; e deve fare la tua felicità.
Ma essa deve mettere in moto ordinatissimo e
tuttavia attivissimo, tutte le tue potenze. Lo
stato religioso pertanto non permette di se-
guire l'inazione di quegli sfaccendati e acci-
diosi secolari, i quali, non avendo che pen-
sare, perchè sufficientemente provveduti di
beni di fortuna, passano i loro giorni in un
tranquillo riposo, in ozio continuato, quanto
•vile, altrettanto indegno ed abbominevole. No,
figlio mio, tu non sei entrato in società per
menarvi una vita oziosa, comoda e piacevole.
L'ozio, che, giusta l'insegnamento dello Spi-
— 3—
rito Santo, è la sorgente d'ogni male, il mae-
sti'O della malizia (1), se è pernicioso a qua-
lunque secolare, molto più è pregiudichevole
ad ogni religioso, per i grandi pericoli cui
l'esporrebbe.
Effetti dell'accidia.
Questa grande operosità ci è anche neces-
saria per evitare le tentazioni e vincere il de-
monio. Chè se ancor quando siamo occupati
egli non manca di fare i suoi sforzi per
farci soccombere alle diaboliche sue sugge-
stioni, che non farà poi il maligno a danno
delle anime nostre qualora ci trovasse oziosi?
Perciò, al dir di Cassiano, era costante pa-
rere degli antichi monaci dell'Egitto, che il
religioso occupato vien tentato da un solo
demonio; ma che l'ozioso è malmenato da in-
numerevoli. Noi in particolare abbiamo in
eredità da Don Bosco il lavoro, che è anche
nostro motto. L'ozio non danneggerebbe noi
soli, ma porterebbe rovina al buon anda-
mento di tutta la casa, e al bene dei giovani.
Avverrebbe cioè nei nostri collegi ciò che nel
Vangelo è raccontato per similitudine di quel
padre di famiglia, che dopo d'aver fatto se-
minare in un suo podere ottimo e scelto gra-
fi) « Multam malitiam docuit otiositas > (Beali.,
XXXIII, 29).

24.7 Page 237

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— 464 —
no, vide spuntarvi gran quantità di zizzania.
Non sapeva egli darsene pace, nè poteva
comprendere .come mai, in un terreno buono,
con una semenza sì purgata, avesse a nascere
tanta copia di sì perniciosa erbaccia. Ma eb-
be per risposta, che mentre gli agricoltori, in-
vece di badare al campo, dormivano, vi fu
un maligno, che introducendosi nel seminato,
vi seminò della ^zizzania (1). Applica questa
parabola all'anima tua individuale ed al col-
legio dove ti trovi, e comprenderai che devi
vegliare. Se dormi, viene il demonio a semi-
nare cattivi pensieri, a fomentare stimoli car-
nali, e tu cadrai. E trascurando i tuoi doveri,
andrà male tutto il collegio. Avverrà come
dice Sant'Epifanio: che se tanta immondez-
za si scorge tra il grano eletto e mondo, se
tante laidezze vengono per la mente di chi
aveva un'anima pura e bella, se tanta mal-
dicenza si trova sulla lingua di chi era sì
circospetto nel parlare, se in una parola tan-
ti vizi si trovano in un cuore già sì puro e
netto, è perchè non si vigila abbastanza; si
dorme, non si lavora alacremente. Non ap-
pena si comincerà a stare qual dormiglioso in
ozio, s'intrometterà nel cuore e nella mente
il maligno tentatore spargendovi la rea se-
menza di molti vizi. L'occupazione, dice San
(1) • Ciim autem dormirent homines venit inimicus
homo et superseminavit zi^ania in medio tritici » (MAT-
TEO, X I I I , 25).
— 5—
Girolamo, allontana da noi i peccati; e per-
ciò egli ci esorta a star sempre impiegati in
qualche convenevole esercizio, affinchè il de-
monio non trovandoci mai oziosi, non abbia
campo d'introdursi nel nostro cuore colle
tentazioni. A noi non mancano mai le occu-
pazioni di dovere; ma chi fortemente vuol
mettere ad usura fin l'ultimo ritaglio di tem-
po, potrà ancora occuparsi in tre cose sug-
gerite dal medesimo San Girolamo, il quale,
nella lettera 125a a Rustico, lo esorta ad ama-
re la lettura spirituale, l'orazione assidua e
lo studio della sacra scrittura. Anche tu per-
tanto, oltre alle altre occupazioni che ti sono
affidate, e che devi eseguire esattamente e
con zelo, abbi sempre questi tre oggetti avan-
ti agli occhi: buone letture, orazione assi-
dua, studio indefesso e specialmente di cose
sacre.
Come si perde il tempo.
E come non avresti da chiamarti in colpa,
se quel tempo che dovresti impiegare nel da-
re all'anima un po' di pascolo spirituale, lo
passassi in frascherie, in ciarle inutili, in lun-
ghe oziosità? Come non ti crederai riprove-
vole se, invece di stare raccolto e occupato,
o nei doveri o in queste letture e studi sa-
cri, ti trattenessi ad appagare la curiosità,
in legger gazzette, in cercar novelle, o tro-

24.8 Page 238

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— 466 —
var pretesto d'uscir di casa per visite dan-
nose, o certo almeno inutili? Oppure se in
casa, passando da un luogo all'altro, da que-
sta a quella camera, disturbassi i compagni
che vorrebbero stare intenti a compire i loro
doveri, ad osservare le regole del silenzio e
del non entrare nelle camere altrui? Questo,
che è un vero vizio, è molto più peccami-
noso in un Religioso e specialmente poi in un
salesiano.
La virtù della diligenza.
La virtù opposta all'accidia è la diligenza.
Essa è quella virtù per cui la persona com-
pie volentieri, e colla maggior premura, esat-
tezza e perfezione che può, tutte le opere do-
verose e convenienti al proprio stato e con-
dizione, e ciò per l'amore e gusto di Dio. È
questa una delle virtù più necessarie, e più
utili alla perfezione. La perfezione infatti
consiste tutta nell'adempimento perfetto del-
la volontà di Dio. Ma che vuole Iddio da
ciascun'anima? Forse che ella compia opere
straordinarie, cioè superiori alle sue forze, al
suo stato, alla sua condizione? No certo, ec-
cetto il caso di particolare e chiara ispira-
zione. Bensì egli vuole che ella faccia vera-
mente bene, ossia eseguisca colla maggior pre-
mura, esattezza e perfezione che per lei si
può, tutte le opere comuni del suo stato, a
lei però convenienti e doverose. È appunto
nel far bene ed eseguire con perfezione le
opere comuni ed ordinarie dello stato pro-
prio, che sta la perfezione cristiana. Queste
opere ordinarie e comuni, si riducono in cia-
scuna persona a tre classi. E sono: 1) l'adempi-
mento delle pratiche di pietà; 2) l'esercizio
delle virtù cristiane; 3) l'esecuzione degli ob-
blighi del proprio stato. Pertanto quando
un'anima esercita la virtù della diligenza, e
quindi in forza di questa compie volentieri,
con premura, con esattezza e perfezione, per
il gusto di Dio, le pratiche di pietà, le virtù
cristiane, e gli obblighi dello stato e della
vocazione sua, ella adempie con gran merito
la divina volontà, ed attende alla perfezione.
Esattezza e prontezza.
La diligenza deve aver due qualità: la
prontezza e l'esattezza. Si devono fare le co-
se con prontezza facendole tutte nel tempo
e nell'ora in cui van fatte, e non differendole
punto, senza giusta causa. Perciò se la natu-
ra pigra ed inerte, la volontà accidiosa e tie-
pida, ripugna al far le cose con prontezza e
puntualità nei debiti tempi e nelle debite ore,
tu con gran coraggio e costanza combatti la
r.atura infingarda, vinci la volontà neghitto-
sa, trionfa così dell'accidia, ed eseguisci subi-
to ciò che devi. Far le cose con esattezza

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—4 —
— 469
vuol dire farle compiutamente, secondo la
loro natura e secondo il fine a cui debbono
servire; cioè farle senza mancanze. Perciò
dicesi esatto, e quindi perfetto quel lavoro
0 quella opera, che non presenta alcun nota-
bile difetto; ma ha tutto quello che è richie-
sto dalla sua natura e dal fine a cui deve
servire.
... 1) Fare una cosa per volta.
ro di esse: perchè, quantunque queste siano
buone per allora, non è però bene pensarvi
adesso. Io vidi studenti, che, mentre si faceva
in classe una spiegazione, facevano qualche
lavoro per la lezione seguente; ed in conclu-
sione non facevano nessuna cosa bene. Intan-
to però commettevano disubbidienze, e si
mettevano in pericolo d'avere osservazioni e
biasimi. Don Bosco era mirabile nel far tut-
to con calma, pur avendo tanto da fare.
Ma non basta conoscere queste cose teo-
ricamente; è necessario che ti proponga al-
cuni mezzi da praticarsi, per eseguire con
_2) Far ogni cosa come fosse l'ultima del-
la vita...
prontezza e con esattezza e quindi con dili-
genza e perfezione, tutte le opere proprie
del tuo stato, della tua vocazione. Questi
mezzi sono specialmente tre. Il primo con-
siste nel far ciascuna cosa come se non si
avesse da farne altre, ma quella soltanto. Men-
tre tu sei occupato in una cosa, che fa il demo-
nio per fartela eseguire malamente? L'astuto,
servendosi della volubilità della tua mente, ti
pone in animo pensieri, desideri, affanni e
brighe di quelle altre cose che devi far dopo.
Perciò, distratto in tali pensieri e affanni, tu
non poni nel fare la cosa presente l'attenzio-
ne, la diligenza necessaria per farla bene e
con perfezione, e ne segue che la fai mala-
mente. Lascia da parte il pensiero delle cose
che han da venire, e non aver adesso pensie-
Il far tutto come se poi dovessi subito mo-
*ire, è il secondo mezzo per far tutto con ve-
-a diligenza. Questo vuol dire che, quando
re attendi a una occupazione, devi domanda-
re a te stesso: se io ora dovessi morire, farei
questa cosa? La farei io in questo modo? Co-
testo è un mezzo molto efficace per far bene
le cose. E, per scuoterti meglio pensa e fa'
tonto ogni giorno come se il giorno di oggi fos-
*e l'ultimo della vita. « Uno dei lacci che tende
demonio per ingannare la gioventù, scrive
- nostro buon padre Don Bosco nel Giovane
rrovveduto, è il presentare alla mente loro:
" Come sarà mai possibile passare tanti anni,
e si spera avere ancora di vita, nella diffì-
•rie strada della virtù, sempre lontani dai pia-
tii? "». Ed io ti dico: non pensare ai molti

24.10 Page 240

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— 470
;un: uè ai molti giorni, ma pensa solo al gior-
no presente. Quindi, come se il giorno pre-
sente fosse l'ultimo di tua vita, eseguisci in
esso tutte le cose proprie al tuo stato, colla
maggior diligenza e perfezione che puoi. In
tal modo, prendendo le cose tutte, giorno per
giorno, poco a poco ti si renderà più facile
il fare il bene, e il farlo con perfezione, anzi-
ché prendendole tutte in una volta.
... 3) Fuggire la fretta e l'ansietà.
Se vuoi far le cose con vera diligenza, ba-
da anche di fuggire la fretta e l'ansietà. Que-
sto è il terzo mezzo che ti propongo, e che
vedrai riuscirti efficacissimo. « Niuna cosa
fatta con precipitazione, dice San Francesco
di Sales, fu mai ben fatta ». Se cerchi di ese-
guire le cose con troppa fretta, certo potrai
porre in esse poca attenzione, poca esattez-
za, onde tali cose saranno molto imperfette
e mal fatte. L'ansietà poi è ardore soverchio
nel fare le cose. Questo ardore disordinato di-
sturba e inquieta l'anima, la dispone alla col-
lera, la priva così di pace, di rassegnazione,
d'unione con Dio. Conviene adunque fare le
cose con calma, con tranquillità e pace, quin-
di con soavità, con dolcezza ed amore. Che
se talvolta ti accadesse, che dopo aver por-
tato molta attenzione e diligenza per fare be-
ne le cose tue, pure, o per la tua incapaci-
— 471 —
tà o per altrui cagione, qualche cosa ti riu-
scisse mal fatta, non dovresti allora distur-
barti o inquietarti punto, bensì con pace e
quiete rassegnarti tosto alla divina volontà,
e benedirla perchè così ha permesso. Anzi
dovresti accettar volentieri per suo amore la
tua propria confusione ed umiliazione.
Accidia nelle pratiche di pietà.
Ma l'accidia non si manifesta solo nella
pigrizia e negligenza nel compiere le azioni
sd opere ordinarie. Essa specialmente influi-
sce e danneggia le pratiche di pietà, e con
zuesto reca danno immenso alle anime reli-
nose. E perciò una delle cose, che tu devi
r'are con maggior diligenza, sono appunto
rueste care pratiche di pietà, che le costitu-
"ioni c'impongono. Uno dei fini principali che
o ha guidato allo stato religioso, fu certa-
mente il desiderio di servire più da vicino
- Signore, di poterti dare di più alla pre-
ghiera ed alle pratiche di pietà. Ora è evi-
dente che colui il quale in religione vivesse
ma vita accidiosa e svogliata nelle pratiche
•£ pietà, non potrebbe essere un buon reli-
gioso. Uno pertanto degli sforzi più grandi
•Ae deve fare un ascritto nell'anno del suo
inviziato, è d'infervorarsi molto nelle cose
ti pietà, e di prendere tale amore per esse, e
abituarsi talmente, e venirle a conoscere così

25 Pages 241-250

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25.1 Page 241

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— 47
profondameli le. che il frutto ne abbia a du-
rare poi per tutta la vita.
Non dico che tu, poco assuefatto a pas-
sare lungo tempo nella meditazione, nelle pre-
ghiere e negli altri esercizi di pietà e di de-
vozione soliti a praticarsi in congregazione,
non ne senta qualche volta rincrescimento e
tedio; ma lo sforzo, o la considerazione del
fine per cui sei venuto alla religione, deve
allora estinguere in te una tal noia passegge-
ra. Sarebbe invece gran male se perseverassi
in essa, senza prenderti pensiero di risve-
gliare il tuo spirito neghittoso e svogliato nel-
le cose del Signore. Sarebbe questo un forte
indizio di un'indole realmente accidiosa, i cui
effetti sono talmente pregiudizievoli al reli-
gioso, che lo indurrebbero non solo a di-
sperare affatto di fare un sol passo nella via
della virtù; ma lo condurrebbero di più con
sicurezza, a fare in Congregazione una riu-
scita assai cattiva. Si viene in società non
solo per servire Iddio ma per servirlo bene.
Ora come egli potrà dirsi ben servito da co-
lui che lo serve con svogliatezza, senza spiri-
to di devozione, e privo affatto di fervore?
Si può tener in conto di buon servitore colui
che eseguisce le domestiche sue incombenze
come per forza, e tutto svogliato? Colui che
se potesse esimersi da quelle fatiche che fa
per il suo padrone, volentieri se ne esime-
rebbe? Riconosceresti in costui affezione, at-
taccamento, buon cuore, impegno di buon
— 473 —
servizio per il suo padrone? No certamente.
Ora tal è un religioso tiepido e indivoto nel
servizio di Dio. Va egli in chiesa, ma di poco
buona voglia e solo perchè il dovere lo co-
stringe: si trattiene cogli altri nella medita-
zione, ma invece di sforzarsi e d'impiegare
quel tempo nella considerazione delle cose ce-
lesti, delle massime eterne, e dei divini mi-
steri, egli si divaga intorno ad oggetti che
possono rendergli meno molesto quell'eserci-
zio per lui assai gravoso. Che ne avviene
quindi? Iddio quando vede un religioso che
non segue rettamente il suo fine, quel fine
per cui gli conferì la grazia della vocazione
alla religione, lo rigetta da sè come servo in-
fingardo. Sant'Ignazio avendo osservato un
suo religioso di questa fatta: A qual fine,
gli disse un giorno, siete voi venuto alla reli-
gione? Son venuto, rispose costui, per servire
Iddio. Non può essere, soggiunge il santo, poi-
ché se foste venuto per servire Iddio, lo ser-
vireste meno accidiosamente e trascurata-
mente. Che padrone vi terrebbe al suo ser-
vizio vedendovi così accidioso e trascurato?
E volete che vi tenga Iddio? Non sapete voi
che Iddio è il monarca del cielo e della ter-
ra, adorato dai serafini, lodato dagli angeli
e dai beati con fervore degno della sua gran
maestà? Egli perciò anziché onorato si ritie-
ne vilipeso da quei servi disamorati che col-
1 accidioso loro servizio dichiarano, se non a
parole, a fatti, non esser degno il Signore di

25.2 Page 242

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— 474 —
essere servito con ispirito di divozione e di
fervore. Or tu deduci, figliuolo mio, qual
riuscita dovrebbe aspettarsi da un novello
religioso talmente disamorato di Dio, indi-
voto e neghittoso nel suo divin culto.
In che consiste la divozione.
Ma affinchè tu intenda bene ciò che su
questo punto io voglio scolpirti fortemente
nell'animo, conviene prima che sappia in che
sostanzialmente consiste la vera divozione. In-
segna l'angelico dottor San Tommaso, altro
essa non essere, che un certo pio trasporto di
volontà ad eseguir prontamente tutto ciò che
appartiene al culto, ossia al servizio del
Signore (1). Conforme dunque a questa de-
finizione data da San Tommaso, affinchè pos-
sa dirsi aver tu una vera e soda divozione,
devi assuefarti a tenere continuamente la tua
volontà disposta ed impegnata a tutti gli
esercizi ed a tutte le operazioni spettanti al
servizio ed al culto del Signore. La divozione
quindi è impegnare la volontà ad avere una
somma premura di tributare alla Divina
Maestà omaggio, onore e culto. Ad ottenere
una tale premura, ossia prontezza di volon-
(1) « Devotio nihil aliud esse videtur, quam vo-
luntas quaedam prompte tradendi se ad ea, quae per-
tinent ad Dei famulatum » (2, 2, q. 82, art. 1).
— 5—
tà. giova primieramente considerare le in-
finite perfezioni di lui e specialmente la sua
bontà e beneficenza. Da ciò deriva il conce-
pire amore verso Dio, e quell'amore è appun-
to lo vera fonte della divozione. Giova poi
considerare la debolezza, la miseria e l'insuffi-
cienza umana, riconoscendo la necessità del
divino aiuto, per allontanare la presunzione
di sottrarsi al servizio e al culto del Signore
(S. Th., id., ibid.). La vera divozione deve es-
sere coltivata da queste due considerazioni.
In pratica.
Devi in primo luogo concepire un gran
desiderio di lodare, di benedire, di onorare e
di ringraziare Iddio, bramando sinceramente
di essere ad ogni momento impiegato al suo
servizio. Questo desiderio desterà nel tuo cuo-
re quella spirituale allegrezza d'animo, che
al dire dell'angelico è l'effetto proprio della
divozione. Procura di poi sopra ogni altra
cosa di esercitarti colla maggiore diligenza
e meglio che ti sia possibile, in tutte le opere
del culto divino, accorrendovi volentieri e
con assiduità! Ama le funzioni religiose e
promuovine il decoro col canto e colle ceri-
monie. Zela la nettezza della chiesa e special-
mente degli altari. Fa' volentieri tutte le pra-
tiche di pietà. Nota però che la divozione

25.3 Page 243

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— 47 —
non consiste in fare molte pratiche, bensì in
fare bene quelle che son prescritte dal-
l'ubbidienza e dai propri doveri, o che sono
nelle consuetudini e vengono raccomandate
dai superiori. Questa pertanto è la differenza
che passa tra il religioso divoto e indivoto:
questi dà culto a Dio, ma senza spirito di pie-
tà, per usanza e materialmente; mentre quegli
l'onora con tutta l'applicazione del suo
spirito.
Nella vita di San Bernardo leggiamo un
fatto, che ci fa comprendere quanto il Signo-
re apprezzi e computi questo spirito di mag-
giore o minore divozione. In una visione il
santo osservò che molti angeli notavano le
varie azioni dei vari monaci con caratteri e
inchiostri diversi. Di quei che trattenevansi
in chiesa colla sola presenza corporale, senza
divozione di sorta, o nulla segnavano, o scri-
vevano colla penna intinta nell'acqua: degli
altri, secondo il grado di divozione, segnava-
no, nel loro libro, con caratteri e inchiostro
ordinario, o con caratteri belli e inchiostro
fino, e di vari con caratteri splendidi e inchio-
stro d'argento e d'oro, e ciò a misura della
divozione con cui lodavano il Signore. Ecco,
figliuol mio, come si distingue la vera dall'ap-
parente divozione, ed ecco come chiaramen-
te si dimostra che è veramente divoto colu:
il quale si esercita nelle buone opere, colli;
maggior perfezione del suo spirito.
— 477
Imitare i fervorosi.
Per destare in te un vero spirito di divo-
zione, voglio qui suggerirti quello che ado-
però per sè San Bernardo medesimo, come
egli stesso ci racconta (Serm. 14 sup. « Cant. »
n. 6). Trovandosi egli nel principio della sua
conversione con cuor freddo, duro, languido
e svogliato nelle cose del Signore, e cercando
altresì affannosamente di ammollire tanta du-
rezza. di sciogliere così gran gelo, di ripara-
re a così tormentosa languidezza, di espelle-
re l'ostinata svogliatezza, per cui struggevasi
di pura pena, non trovò infine mezzo più po-
tente che il porre l'occhio su religiosi fervidi
e diligenti nel divino servizio. E se una volta
-entiva che il suo cuore tornava alla primie-
ra freddezza, per infervorarsi bastava che
tornasse a richiamare alla memoria il fervo-
re di qualcuno di essi, ancorché fosse stato
assente o anche già morto. E tanto era il co-
raggio che riprendeva il suo spirito per il
-ervizio del Signore, che l'anima sua lique-
f&cevasi in dolce pianto. E perchè non farai
"M altrettanto? Forse manchi di esemplari
ferventi, e direi eroici nelle loro virtù tra i
ioi compagni? Perchè almeno non ti prefiggi
i)on Bosco come modello avanti i tuoi occhi?
Perchè non ti fissi nel caro Don Beltrami?
'li! leggi la vita di codesto caro confratello
proponitelo come esemplare! Io ti posso assi-
rare, che vari i quali già se lo proposero per

25.4 Page 244

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— 478 —
modello, ne sentirono un vantaggio immenso
per l'anima loro. Ma bada che San Bernardo
era acceso da una brama ardente di acquista-
re la divozione, perciò cercava con energia
un mezzo che sciogliesse la sua torpidezza.
Senza questo vivo e ardente desiderio, a nulla
sarebbe approdato. Così dico io di te: Se non
procuri d'aver una brama ardente, se non ti
metti con energia, a nulla ti servirebbe osser-
vare il fervore e la diligenza con cui tanti
buoni e perfetti confratelli servono Dio. il
più sta nel desiderio efficace d'imitare il loro
esempio. Senza questo desiderio, l'avere buoni
esempi davanti agli occhi non solo ti servireb-
be a nulla di buono, ma formerebbe ancora
per te un motivo di disprezzo della grazia
del Signore. Ti servirebbe, per parlare con la
frase dell'apostolo (I Cor., Ili, 12). ad accu-
mular fieno, legna e fuoco per l'altra vita.
Perchè non invano si ricevono dal Signore
le grazie più elette, quale questa di poter far
parte di una famiglia santa, di poter abita-
re con chi è pieno di fervore. Eccita pertanto
nel tuo cuore una santa brama di servire Id
dio con quell'istesso amore e fervore di spi-
rito, con cui lo servono i suoi fedeli e veri
servi, per guadagnarti in compagnia loro un
tesoro di meriti e di celesti benedizioni. Le
conseguirai, se di vero cuore ti darai tutto
com'essi al culto del Signore, nel che consiste
la vera diligenza e la soda divozione.
— 9—
CAPO XXXII
DELL'INDOLE LOQUACE
E DELLA SINCERITÀ
In che consista la loquacità, e sua malizia.
La loquacità è il vizio di parlar troppo,
cioè di voler parlare d'ogni cosa, e in ogni
tempo e con chiunque. L'apostolo San Gia-
como parlando della lingua, dice esser essa
un complesso d'iniquità (1). Yale a dire, che
questa piccola parte del corpo umano, suol
essere sorgente di quasi tutti i mali che si
commettono dagli uomini. Bisogna perciò sa-
perla tenere a freno. Colui che non pone al-
cun ritegno alla propria lingua, e parla con
ogni facilità e senza riflessione, non sarà mai
un buon religioso. Lo Spirito Santo ci fa pri-
mieramente sapere che un uomo loquace sa-
rà senza direzione in questo mondo (2). Con
che sembra volerci egli dare ad intendere che
un linguacciuto è per lo più senza giudizio
e senza prudenza, riputato da tutti per uomo
(1) «Lingua ignis
(GIAC., I l i , 6).
(2) « Vir linguosus
mi, C X X X I X , 12).
est...
non
Universitas
dirigetur in
iniquitatis »
terra » (Sal-

25.5 Page 245

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— 480 —
di poco senno, perciò non lo si consiglia.
Aggiunge poi lo Spirito Santo, che l'uomo
prudente prima di parlare prende in mano
le bilance del suo discernimento, e pesa le
parole e detti che deve proferire (1). E se co-
nosce che il suo parlare può essere cagione
di qualche minimo danno, fa morir sulla
lingua le parole, e tacendo si assicura di non
commettere alcun errore. Sta' quindi divina-
mente scritto nel sacro libro dell'Ecclesiastico,
che la lingua dell'uomo sapiente è posta nel
cuore; laddove il cuor del linguacciuto, chia-
mato col nome di stolto, sta collocato sulla
lingua (2). Poiché, da stolto, parlando egli in-
consideratamente, dice senz'altro ciò che gli
viene sulla lingua e non può mancare di dir
degli spropositi e di far del male (3).
Il riferire i fatti e segreti altrui.
Uno di questi mali, ed anche dei più gra-
vi, che contro la carità suol cagionare un gio-
vane loquace, è la facilità di riferire i fatt
altrui o maliziosamente osservati ed investiga-
ti, oppure con segretezza confidati. Nessuni
(1) < Verba prudentium statera ponderabuntur *
(Eccli., X X I , 28).
(2) « I n ore fatuorum cor illorum, et in corde sa-
pientium os illorum » (Eccli., X X I , 29).
(3) « In multiloquio non deerit peceatum » (Pror
X, 19).
e che non veda quanti danni possono sorgere
da questa loquacità. E qual vituperio non è
mai questo d'investigare, spiare, riferire, cen-
surare i fatti altrui? Oltre l'esser ciò un ope-
rare poco onesto ed opposto al carattere di
una persona dabbene ed educata, è cosa af-
fatto disdicevole ad un religioso. Non è forse
una sorgente funestissima di disgusti, di dis-
sapori, che fanno strage della carità in una
comunità religiosa? Ed in conseguenza non è
una sorgente di peccati? Se noi cerchiamo
donde nascono le. maggiori e le più esiziali
turbolenze nelle famiglie religiose, troveremo
derivar sovente da questo biasimevole e ma-
ledetto vizio del parlar male di altri, e mani-
festare cose confidate con segretezza. Ciò si
fa più di frequente di quanto non appare, an-
che nelle comunità più osservanti. Quel po-
vero religioso che vede palesato a tutti ciò
he a gran ragione avrebbe voluto totalmente
icculto, quanto alle volte se ne amareggia!
Quanti clamori non ne derivano quindi, quan-
ri dispiaceri e quanti inconvenienti! Aveva
oroposto Sansone, come si legge nel sacro li-
jro dei Giudici, un misterioso problema agli
abitanti di Tamnata, con il patto di fare un
rrosso regalo a chiunque l'avesse sciolto en-
tro il corso di sette giorni; e di doversi dare
lui un dono equivalente, se l'enigma fosse
masto, dopo tal tempo, indeciso. Correva il
• :timo giorno, quando i Tamniti, non essen-
riusciti ad indovinare nulla, persuasero la

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— 482 —
moglie di Sansone ad interporre presso il ma-
rito i suoi vezzi e le sue preghiere, per farsi
decifrare l'intrigata proposizione. Le riuscì
di fatto a conseguir l'intento; e appena ebbe
noto il segreto, lo rivelò ai suoi concittadini.
Ma che? Accortosi Sansone del tradimento,
arse di sdegno e incollerito ne venne alla ven-
detta. Furono trucidati molti cittadini di quel-
la città, furono incendiati i loro campi già
biondeggianti di messi, fu bruciata la casa,
e colla casa fu arsa colei medesima che ave-
va palesato il secreto confidatole da San-
sone. Ecco le conseguenze di una lingua in-
cauta, facile a parlare anche di quelle cose
che dovrebbero custodirsi con silenzio invio-
labile. Alcuni fatti si raccontano volentieri:
ma poi suscitano grandi fuochi, avversioni
e distruggono la carità. Se tanti mali produ-
ce dunque la lingua non raffrenata, impara,
o figliuol mio, a tenerla a freno, ed a parlar
solo con prudenza e carità.
Il sussurrare.
Forse ti avverrà di sentire taluno parlare
in disfavore di un altro assente. Sii ben cau-
to a non riferirgli mai quanto udisti dir con-
tro di lui, quantunque fosse tuo amicissimo,
attenendoti sempre al consiglio che divina-
mente ti porge lo Spirito Santo: se odi una
— 3—
parola contro il tuo prossimo, fa' che essa
muoia in te (1). Giustificane presso lo spar-
latore la condotta se tu lo conosci innocente,
e scusalo per lo meno se lo conosci colpevole,
secondo le leggi della carità; ma resti sem-
pre in te ciò che udisti contro di lui. Neppu-
re è prudente manifestargli che altri dice le
tali o le tali altre cose sul suo conto, ancor-
ché non palesassi il nome di chi sparlò: poi-
ché, è sempre il Savio che ti ammaestra, an-
che le cose più segrete vengono a sapersi (2).
Un racconto di cosa udita mette facilmente
in cuore il desiderio di sapere chi la disse, de-
sta sospetti, genera diffidenze, occorrendo una
virtù eccezionale per non risentirsi alla no-
tizia del buon credito oltraggiato, avendo cia-
scuno inserito nell'animo l'amore alla propria
stima. Molto maggior male ancora ne avver-
rebbe se il sussurrone fosse un religioso, che
arrivasse a far simili rapporti con animo di
suscitar risentimenti, rotture e dissapori. Que-
sto sarebbe gravemente peccaminoso e diret-
tamente opposto alla carità: cosa odiata per-
ciò da Dio non meno che dagli uomini. Sei
cose, dice il Savio, ha in odio Iddio, e la set-
tima viene da lui sopra tutte le altre dete-
stata, ed è l'ufficio di sussurrone, di colui
(1) « Audisti verbum adversus proximum tuum?
Commoriatur in te » (Eccli., X I X , 10).
(2) « Pareite linguae, quoniam sermo obscurus in
vacuimi non ibit » (Sap., I, 11).

25.7 Page 247

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— 484 —
che semina dissensioni tra fratelli (1). Gran
peccato, prosegue il Savio, commette il sus-
surrone con la malignità dei suoi rapporti,
coi quali lorda sommamente l'anima sua (2).
Procura tu dunque di saper concepire un
grande orrore per questo difetto, e cerca effi-
cacemente di emendartene se lo scorgessi
in te.
Il mormorare.
Un altro vizio, di delineamenti pur defor-
mi, è proprio di chi non sa raffrenare la lin-
gua, e consiste nella mormorazione. Se que-
sto vizio già tanto sconviene ad un seco-
lare, ah! quanto più disdirà sulla lingua di
un religioso! Le sue labbra, che non per al-
tro dovrebbero aprirsi se non per proferire
parole di carità, e per fare discorsi di edi-
ficazione, saranno poi spalancate alla mor-
morazione? Consiste questa nel denigrar la
fama del prossimo e nel discreditare i con-
fratelli, o con attribuir loro qualche man-
canza non vera, o con ingrandirla oltre il
vero, o con palesarla loro quando fosse oc-
li) «Sex sunt quae odit Dominus, et septimum
detestatur anima eius: ... eum qui seminat inter fratres
discordias » (Prov., VI, 16, 19).
(2) « Susurro eoinquinat animam suam • (Eccli.,
X X I , 29).
5—
eulta, o con biasimare le operazioni in loro
avvilimento, o con interpretare in male le
loro intenzioni nell'eseguire opere buone e vir-
tuose. E alle volte si fa questo senza perdo-
narla nè ai vivi nè ai morti, nè a eguali nè
a superiori. Che vergogna! Se mai ti acca-
desse, o figliuol mio, di trovarti presente a
qualche discorso, in cui sentissi sparlar di
qualcuno, riconosci per tuo preciso dovere d'e-
seguire il comando, che unitamente alla leg-
ge di carità t'impone lo Spirito Santo. Metti
una siepe di spine ai tuoi orecchi, non ascol-
tare le lingue cattive (1). Chiudi l'orecchio
a tali discorsi peccaminosi, o con porti in
contegno e stando in silenzio, o con mutar
destramente discorso. Ma intanto impara ad
astenerti dal proferire qualunque parola di
biasimo contro il tuo prossimo, di esage-
razione, di critica che abbia sentore di mal-
dicenza, con scapito della carità e della co-
scienza. Certi discorsi che si fanno alle spalle
del prossimo, certe reminiscenze di ciò che
è accaduto nei tempi addietro, certi rimpro-
veri, certe sferzate, certe proposizioni tron-
che e reticenze, certe ironie, certi segni, sanno
troppo di mormorazione, offendono troppo
la carità e troppo aggravano la coscienza
di peccati.
Questa sia pertanto la tua regola nel par-
ti) Saepi aures tuas spinis, lmguam nequam
noli audire • (Eccli., XXVIII, 28).

25.8 Page 248

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— 486
lare: non dire mai in assenza, ciò che non si
direbbe in presenza. Guardati anche dal far
oggetto di risa, di scherno, di biasimo le al-
trui debolezze, le quali se fossero in te bra-
meresti che fossero oggetto di compatimento
nel cuor d'ognuno.
proferirle. Prendi come dette per te le pa-
role di San Paolo, dove dice che le scurri-
lità non si nominino neppure tra i cristia-
ni (1).
Parla poco.
Non far discorsi o dir parole triviali.
In un altro modo si può mancar colla lin-
gua, quando le si desse troppa libertà nel par-
lare, e si lasciassero uscir di bocca parole non
convenienti alla santa modestia, o parole di co-
se basse e scurrili, o che riescono, sebbene indi-
rettamente, a suscitare cattivi pensieri. Tut-
te queste parole disdicono troppo allo stato
religioso. La lingua del religioso è destinata
a non dire altre parole che di edificazione e
di salute. Si può benissimo faceziare e stare
allegri nel Signore; ma ogni parola, o diret-
tamente o almeno indirettamente, deve con-
durre a Dio ed essere indirizzata a Dio. Or
certi termini, sebbene per sè non cattivi, di-
sdicono nella bocca degli stessi plebei; certe
libertà di parole, certe frasi troppo sciolte,
dinotanti cose schifose, non convengono as-
solutamente a persone che fan professione
di santità. E tu devi emendartene se già fossi
stato inclinato, e proporre sodamente di non
volere, ne ora nè mai, lasciarti indurre a
Per andar adunque immune da tanti mali
è d'uopo raffrenare la loquacità. Oh! quanto
è difficile il parlar molto e non offender Dio
o il prossimo! E come altresì smentisce il
suo nome di religioso uno che non raffreni
la lingua! Chi pensa d'esser religioso senza
raffrenar la lingua, dice l'apostolo San Gia-
como, invano porterà il nome di religioso (2).
Ed a ragione, perchè per diventar un buon
religioso bisogna essere riflessivo, raccolto,
mortificato. Senza di questo è impossibile ten-
der davvero e sul serio alla perfezione. E co-
I me può essere tale il linguacciuto, che da ina-
ne a sera cicaleccia, s'intromette in ogni di-
•corso, va in cerca di tutte le novità del gior-
I no, volendo saper tutto? Dice pur bene San
[ Bernardo, che un religioso ciarlone, special-
mente se è giovane, è agli antipodi della per-
ii) « Omnis immunditia... nec nominetur in vobis,
• ?nt decet sanctos; aut turpitudo, aut stultiloquium,
int scurrilitas « (Efes., V, 3, 4).
(2) « Si quia putat religiosum se esse, non refrae-
" ÌNS linguam suam, huius vana est religio » (GIAC., I, 26).
ir

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fezione. Quegli che con tutta frequenza ha
sulla lingua ridicolaggini, buffonerie, legge-
rezze, ciarle inutili, non si farà mai santo;
anzi non farà mai nulla di buono nelle co-
se di spirito, nè mai farà progresso nelle vir-
tù. Impara seriamente a tacere, per farti un
carattere più riflessivo, che ti aiuti a pene-
trare a fondo nei tuoi difetti, ed a trovar mo-
do di emendartene. Ricorda però che biso-
gna far sempre le cose a loro tempo, poiché,
come ci ammaestra lo Spirito Santo, vi è il
tempo di parlare e il tempo di tacere. Per
riuscire a questa mortificazione della lingua,
a questo saper parlare solo a tempo e a mo-
do, tieni sempre a mente quella tremenda sen-
tenza, che Gesù intima, d'un rigoroso giudi-
zio d'ogni parola oziosa: «D'ogni parola ozio-
sa che avran detta gli uomini, ne renderanno
ragione nel giorno del giudizio » (1). E si
tratta, come spiega San Gregorio Magno, di
di ogni parola che non è necessaria a pro-
ferirsi, nè porta utilità in ascoltarsi (2). Que-
sta è sentenza che ci lasciava anche più volte
l'amato nostro padre Don Bosco, e che noi
dobbiamo scolpire profondamente nel nostro
cuore.
(1) > Omne ver bum otiosum, quod locuti fuerin'
homines, reddent rationem de eo in die iudicii • (MAT-
TEO, XII, 36).
(2) « De omni verbo quod caret necessitate, au'
utilitate ».
La sincerità.
Un'altra gran cosa devo farti notare ri-
guardo l'uso della lingua. Bada di esser sin-
cero nelle cose tue, e che non ti abbia da
uscire di bocca parola mendace. La sincerità
è la prima dote di un uomo onesto. È quella
virtù che rende tanto commendabile un re-
ligioso, quanto la doppiezza lo rende biasi-
mevole. Essendo questa direttamente oppo-
sta a cpiella lealtà, a quella candidezza ed
apertura di cuore che forma il carattere d'una
persona dabbene, non può a meno di appor-
tare disdoro e discredito. Non parlo io qui
di quel fare cavilloso, che con maliziosi ar-
tifizi e con ingannevole scaltrezza s'insinua
nell'animo dei meno accorti, affine di cavar-
ne i segreti del cuore e farne quindi detesta-
bili abusi, poiché costoro non si mostrereb-
bero neppur cristiani, non che religiosi! So-
no tratti degni di Caino, che, meditando di
trucidare il fratello Abele, l'invitò a passeg-
gio. Parlo solo della doppiezza che si oppo-
ne a quell'aperto candore ed a quell'ingenui-
à, che forma una vaga concatenazione fra
e espressioni della lingua ed i sentimenti del
uore. Disdice assai ad un religioso il lasciar-
-i andare a doppiezze e a finzioni; il mante-
ere un certo fare cupo e simulato contro il
irecetto di Gesù: siate semplici come le co-
ambe. Questo candore, deve scorgersi nei
"uoi detti e in ogni tua opera, per conciliar-

25.10 Page 250

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— 490 —
ti anche il buon credito di uomo probo, ed
evitare la taccia di finto, ed il biasimo che
ne deriva. Certo non troverai nessuno che ap-
provi la finzione! Che diresti tu se t'incontras-
si a sentire alcuno lodare in presenza un al-
tro, che vitupera in assenza? Non ne reste-
resti altamente sdegnato? Iddio ti guardi da
tal vizio, che non emendato ben bene negli
anni giovanili, col crescere d'età pianterebbe
radici sempre più profonde nel tuo cuore, e
poi produrrebbe germogli sempre più perni-
ciosi. Ricordati delle parole dello Spirito
Santo: Detesta la bocca a due lingue. Av-
vèzzati ad essere candido di cuore e schiet-
to di lingua, anche nelle cose minime. Sia
sempre sincero il tuo parlare. Così comanda
Gesù Benedetto nel Vangelo: «Sia il vostro
parlare: sì, sì, no, no (1). » Vale a dire come
spiega Alberto Magno, che le parole della
lingua siano sempre uniformi ai sentimen-
ti del cuore.
Ma sii prudente in quel che dici.
Però non credere con questo che ti sia
sempre lecito di dire tutto ciò che ti senti
nel cuore. La sincerità deve essere maneggia-
ta col giudizio, altrimenti ciò che in un incon-
(1) « Sit senno vester: est, est, non, non •. (MAT-
TEO, V , 37).
tro è virtù, in altra congiuntura diventa vi-
zio. Quindi è che il Redentore nell'atto di
esortarci ad avere la semplicità della colomba
simbolo della sincerità, ci suggerisce ancora
di avere la prudenza del serpente, il quale
quando si accorge di essere inseguito corre
tosto a nascondersi nella tana: Siate sempli-
ci come le colombe e prudenti come i serpen-
ti. È un sommo inganno l'agire di taluni, che,
vantandosi di essere sinceri e spacciandosi
amanti della verità, la dicono come l'inten-
dono. Se fosse legittimo il loro vanto, ne ver-
rebbe di conseguenza, che in vigore della van-
tata sincerità sarebbe lecita, anzi virtuosa, la
maldicenza stessa! Ma chi non vede esser ciò
un grande errore? Abbia adunque la sinceri-
tà i suoi confini, affinchè da virtù non dege-
neri in vizio. Il voler dire tutto ciò che si sen-
te in cuore, talvolta è imprudenza, talvolta
è disprezzo, talvolta è temerità ed arrogan-
za, talvolta persino malignità sopraffina. In
atto di esortarti ad essere sincero, non posso
a meno d'insistere affinchè non oltrepassi i
confini di questa virtù, prescritti dalla pru-
denza. Mi dispiacerebbe assai, se per essere
sincero fossi anche imprudente. Questo ridon-
derebbe senza fallo in tuo ed in altrui pre-
giudizio.

26 Pages 251-260

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26.1 Page 251

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— 2—
Vedi anche con chi parli.
Inoltre come non è sincerità ma impru-
denza il dire qualunque cosa, così non è
prudenza il dir tutto a chicchessia. Non apri-
re a chiunque il tuo cuore (1). Questo è av-
vertimento che ti porge lo Spirito Santo, in
forza di cui non devi mai fidarti del primo
venuto. Non è cosa tanto rara, nelle stesse
comunità religiose, che per qualche susseguen-
te disgusto, o per altro impulso, si propali
di poi ciò che si era manifestato in confiden-
za. Ed allora ti toccherebbe il rossore di sen-
tir pubblicato, ciò che avresti bramato che
non fosse saputo.
Che se tal cautela ti è necessaria trattan-
do con altri religiosi, molto più ti sarà ne-
cessaria avendo da trattare con secolari, ai
quali non conviene propalare molte cose ap-
partenenti alla vita religiosa. Sogliono alcuni
di essi esser curiosi di saper il trattamento,
il vitto, od altro; bramano di essere informa-
ti dei costumi, delle regole, dei doveri dell'isti-
tuto; e, quel che più conta, desiderano altre
volte di essere anche ragguagliati degli anda-
menti e delle debolezze di qualche religioso.
Sii circospetto, e fa' uso di lodevole e reli-
giosa prudenza, necessarissima in queste ed
in altre simili circostanze. Rispondi schiet-
(1) « Non omni hoinini cor tuum maniiestes • (Eccli.,
V i l i , 22).
— 493 —
tamente alle loro interrogazioni, che tu
badi ai fatti tuoi, senza prenderti pensiero
degli altrui andamenti. Quanto più insistono,
tanto più sta' guardingo. Non lasciarti fug-
gir neppur la minima parola, che possa sod-
disfare la loro curiosità. Rispondi ad essi, ciò
che disse il cieco nato nel Vangelo a quei fa-
risei, che cercavano di essere da lui informati
della maniera con cui era stato risanato da
Gesù Cristo: Volete forse diventar anche voi
suoi discepoli? (1). Volete per avventura voi
pure farvi religiosi? Ed ancorché ti rispon-
dessero di sì, non scoprir altro; ma soggiun-
gi: Bene, venite, che vi conduco dal diretto-
re e dal maestro, e da lui potrete avere istru-
zione precisa e veder quel che vi convenga
fare. Con questa o con qualche innocente le-
pidezza ti schermirai destramente da ogni ri-
cerca che ti venga fatta dai secolari, delle
cose appartenenti all'interno dell'istituto.
Sii sincero coi superiori.
È invece al tutto necessario, che quella sin-
cerità, che qui ti si è insegnata l'eserciti sen-
za restrizione coi Superiori. Essi devono sa-
per tutto quel che passa in te per saperti di-
rigere. Questa stessa sincerità userai con lo-
ci) « Numquid et vos vultis discipuli eius fieri? •
'Gsov., IX, 27).

26.2 Page 252

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— 494 —
ro quando domandi qualche permesso, o vuoi
ottenere l'aiuto in alcuna tua religiosa indi-
genza. Certi giri, certi artifizi, certe scuse
mendicate, certe finzioni, oh! stanno pur ma-
le in un religioso! Se sei sano, perchè voler-
ti fingere mezz'ammalato? Se conosci aver bi-
sogno di qualche cosa, perchè servirti di fin-
ti pretesti per essere dispensato da qualche
occupazione? Se ti senti un piccolo dolor di
testa che richiede un po' di quiete, perchè ac-
crescere il male affinchè ti si accordino pri-
vilegi speciali, o ti si dispensi dagli atti del-
la comunità? Con queste finzioni verresti a
meritarti di non esser creduto nei bisogui le-
gittimi, nè compatito nei mali veri. Quando
tratti coi superiori fàllo sempre col cuore
alla mano.
Della bngia.
Son troppo affini tra loro la doppiezza e
la menzogna; ed è assai difficile che un uomo
doppio non sia anche bugiardo! La bugia,
come bene sai, ebbe origine dal demonio. Il
maligno, con simulazione veramente infer-
nale, si presentò ad Eva nel paradiso terre-
stre, sotto pretesto di sapere per qual motivo
non si cibasse di quel frutto che stava attual-
mente vagheggiando, mentre aveva realmente
in animo d'ingannarla. E di fatto gli riuscì
con quella famosa bugia, dicendole: No, non
— 5-
morrete, anzi diventerete come altri dèi. Che
se la menzogna sconviene in bocca di un se-
colare, tanto più sulla lingua d'un religioso!
Qual vergogna non ridonda mai ad un uomo
onesto il passare in concetto di bugiardo?
Or che sarà l'essere scoperto per vero e ma-
nifesto menzognero un religioso? Non men-
tire mai anche se avessi mancato, ed anche se
fossi minacciato di qualunque punizione. Non
addurre scuse, non sotterfugi, ma confessa
schiettamente il tuo fallo, e prometti l'emenda
implorandone con umiltà il perdono. Per
quanto sia piccola la menzogna, fa sempre
gran macchia all'anima e all'onoratezza di uu
religioso. Per non venire adunque in tale di-
scredito, e specialmente per non offendere Id-
dio neppure minimamente, renditi familiare
la sincerità, e non avrai mai motivo di pro-
var rossore per esser colto in fallo. Fosse pur
piccolo il fallo e di nessuna conseguenza, non
negarlo mai se vuoi che il Signore ti benedica.

26.3 Page 253

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CAPO XXXIII
LO SPIRITO DELLA NOSTRA
CONGREGAZIONE
Sua importanza.
Di primissima importanza per un religio-
so è l'avere lo spirito dell'ordine o della con-
gregazione a cui appartiene. È quindi di mas-
sima utilità, che nell'anno di noviziato ogni
ascritto procuri di acquistare questo spirito:
poiché difficilmente, specie su questo affare,
ciò che non si acquista nel noviziato si acqui-
sta in seguito. Tu pertanto cerca con tutte le
tue forze di venire a conoscere bene lo spiri-
to della nostra Pia Società, ed a ridartelo
in succo e in sangue, e di connaturartelo in
te, in questo anno di benedizione. È questa
la cosa che io ho cercato e che ancora cerco
maggiormente, in questo Vade mecum: cerco
cioè di farti non solo in generale un buon re-
ligioso, ma specialmente di farti un buon sa-
lesiano. Cerco quindi d'insegnarti le virtù re-
ligiose in quel modo con cui le praticava Don
Bosco, ed in quel modo con cui Don Bosco
voleva che le praticassero i suoi alunni. Ogni
istituto religioso come ha un suo scopo spe-
ciale, così ha pure un modo speciale per cou-
— 497 —
seguir questo scopo; ha, cioè, per così di-
re, una fisionomia, una tinta speciale, con
cui si distingue da altri istituti religiosi. Sen-
za questo spirito si farebbe, anche dai mi-
gliori, la figura di chi, sebbene riccamente
vestito, indossasse l'abito di un altro. Sta'
dunque attento, anche leggendo libri che par-
lano in generale delle virtù religiose, di non
voler imitare tutto letteralmente; ma adatta
le cose all'indole della società a cui appar-
tieni. Pertanto a quello che venni già fin qui
dicendoti, ti aggiungo come in un quadro del-
le cose che più particolarmente riguardano
noi, e procurerò di esporti lo spirito che mi
pare Don Bosco cercasse d'infondere in quel-
li che lo volevano seguire.
1) Zelo delle anime.
San Paolo potè dire di se stesso, che si
fece tutto a tutti per trarre tutti al servizio
del Signore (1). E la Chiesa nell'Oremus a San
Francesco di Sales, applica queste parole al
nostro titolare. Noi non conosceremmo altra
prerogativa che maggiormente abbia distinto
Don Bosco, od altro intento che maggiormen-
te traspiri dalle nostre regole c dalle conti-
nue esortazioni del medesimo indimenticabile
(1) « Omnibus omnia factus sum, ut omnes fa-
leiern salvos » (I Cor., I X , 22).

26.4 Page 254

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— 498 —
nostro padre e fondatore, quanto questa ca-
rità operosa. Questo zelo, nel farsi tutto a
tutti, per attirare tutti a Gesù Cristo, si può
dire che formi lo sfondo dello spirito che de-
ve animare la nostra Pia Società, se vuole star
salda nel seguire gli esempi e gli insegna-
menti di Don Bosco.
2) Dolcezza.
Nè questo basta: è pur necessario che, sen-
za lasciar niente del suo ardore, lo zelo si
esplichi in un modo così dolce e mansueto,
da far risplender in noi l'immagine di Gesù,
di San Francesco di Sales e di Don Bosco.
Parlando l'apostolo della venuta del Divin
Salvatore su questa terra, dice che apparve
«la benignità» (1). Gesù ci insegna ad es-
ser dolci e mansueti; e nella sua grande, di-
vina figura più che tutto compare questa dol-
cezza e mansuetudine. E questo affannoso
correre in cerca della pecorella smarrita, e
l'aspettare a braccia aperte il figliuol prodigo,
e il comando di non perdonare solo sette vol-
te ma settanta volte sette, e il voler non la
morte del peccatore ma che si converta e
viva: tutto ci parla della sua dolcezza. Agli
Apostoli poi, che per zelo volevano far di-
scendere il fuoco dal cielo, egli soggiunge:
(1) « Benignitela apparuit » (Tito, III, 4).
Non sapete di che spirito siete. E tra le bea-
titudini pone il Beati i mansueti: tanto che la
Chiesa ci fa dire, parlando di lui, che mani-
festò la sua potenza, più che in ogni altra
cosa, ncll'aver misericordia e nel perdonare.
San Francesco di Sales e Don Bosco copiaro-
no molto perfettamente questa benignità e
questo spirito di perdono del Divin Reden-
tore. Noi dobbiamo quindi cercare di ri-
durre come in succo e sangue, questo mede-
simo spirito, se vogliamo essere veri salesiani,
veri discepoli di Don Bosco. Credi pure, che
se non ti riduci a questo spirito di dolcezza
e di condiscendenza nell'educazione dei gio-
vani; se non prepari ora l'animo tuo alla per-
fetta esecuzione del sistema preventivo di
Don Bosco, non potrai mai dire d'avere lo
spirito della nostra società. Lo spirito sale-
siano non è austero ed aspro, ma allegro e
condiscendente. Gravità senza esagerazione,
amorevolezza senza sdolcinature, buon tratto
-enz'affettazione, serietà a tempo e luogo; ecco
il nostro contegno. Don Bosco non permette-
va che si usassero coi giovani maltrattamenti,
percosse, parole insultanti, titoli avvilenti.
Non voleva neppure bronci o malumori, e non
rollerava l'eccessiva rigorosità. C'insegnò ad
esser pronti a perdonare, a prevenire e non
reprimere. Questa è la nostra caratteristica
per cui ci distinguiamo da altri religiosi, ed
la nostra tradizione santa. Le regole ci par-
ano di giovani poveri e abbandonati; Don

26.5 Page 255

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Bosco chiamava i suoi giovani « i birichini » :
non pretendere dunque tu che i tuoi assi-
stiti e allievi siano già... santi. Lo eri tu alla
loro età? Ed ora lo sei? Compatisci, prega,
e correggi come vuoi esser corretto. Ciò esige
il rinnegamento di noi medesimi e delle no-
stre comodità, e persino delle nostre private
vedute ed opinioni, per adattarci in tutto
agli altri. E questo lavoro e sacrifizio, che de-
ve essere tutto nascosto e diretto a far del be-
ne agli altri, annientando te stesso, è necessa-
rio sia accompagnato da profonda umiltà.
Pertanto amar lo spirito di sacrificio, di umil-
tà e di rinnegamento di noi medesimi, io lo
tengo essenziale per lo spirito salesiano.
3) Adattabilità.
Altra nota caratteristica della nostra Pia
Società si è che, dovendo noi specialmente
occuparci dei giovani più poveri e abbando-
nati dobbiamo adattarci a tutto, contentarci
di tutto. Deve quindi un salesiano porre spe-
ciale impegno per vincere ogni delicatezza e
schifiltosità nei cibi, ogni ricercatezza negl;
abiti, contentarsi sempre di quello che vi è
e delle cose più ordinarie, non temere di spor-
carsi nel lavoro necessario, desiderare di ser-
vire e non d'essere servito, amare la povertà
in pratica, e sapere all'occasione far senza an
che del necessario. Ed affinchè tutte le surri
ferite cose non indichino solo velleità, pro-
poniti che ogni qual volta andrai a confes-
sarti, oltre alle altre cose, scruterai diligen-
tissimamente se nella settimana hai manca-
to contro questo zelo, contro questa dolcezza,
umiltà, povertà, spirito di sacrificio. E se ti
trovassi mancante, te ne accuserai, te ne pen-
tirai, e prometterai emendazione.
4) Lavoro e temperanza.
In un famoso sogno che fece Don Bosco
nel 1876, gli fu significato, tra le altre cose,
che: il lavoro e la temperanza farebbero fio-
rire la nostra Pia Società. Don Bosco, e con
esempio e colle parole, cercò sempre tal-
mente d'inculcarci queste due cose, che noi
dobbiamo tenerle proprio come fondamentali,
formanti parte principale dello spirito, che
egli cercò di infondere alla sua istituzione.
Tu pertanto preparati bene ad un lavoro in-
tenso, costante, indefesso. Comincia fin d'ora
. non voler perdere briciolo di tempo ed oc-
itpalo con usura, cercando anche di saperti
sbrigare in fretta nelle tue occupazioni, ma
non mai con precipitazione. Sappi anche che
una sorta di lavoro può servir di riposo ad
n'altra; di modo che uno può lavorare sen-
za interruzione, senza danneggiarsi la salute,
a temperanza poi bisogna che ti venga co-
usuale, e che sappia metterti in circostanze

26.6 Page 256

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— 502 —
tali, che neppure, direi così, possa venirti la
tentazione d'infrangerla.
5) Santa purità.
Don Bosco non lasciò circostanza propi-
zia senza cercare d'ispirarci l'amore alla san-
ta purità, e teneva questa virtù come la ba-
se di tutte le altre. Perdonava tutto ai gio-
vani, ma non transigeva con coloro che aves-
sero dato qualche cattivo esempio in fatto
d'immodestia. Questa deve essere come una
tinta che distingue la nostra società; ed è cosa
capitale, per indicare l'attitudine allo spirito
nostro. Chi non si sente portato a sacrificarsi
per il bene dei giovani ma proprio in modo
angelico, non vedendo in loro se non le loro
anime, e il loro profitto spirituale, e non po-
tesse trattenersi da leziosaggini e carezze e
modi che indicano solo un amore terreno, non
potrebbe certo credere di avere lo spirito della
società salesiana.
Don Bosco ci vuole moralmente sicuri su
questo.
6) La divozione.
La divozione deve essere un altro distintivo
nostro; ma non esercitata con molte pratiche
di pietà, o in comune, o esteriori; piuttosto
—5 —
col mantenere il cuore continuamente rivolto
a Dio. Tutto per il Signore, e solo ciò che
piace a lui. Trovarsi davanti al SS. Sacra-
mento tutte le volte che si può, ma non mai
allontanarsi dall'assistenza per andare in
chiesa. Supplire con giaculatorie, e col pen-
siero della presenza di Dio; anche stando in
cortile coi giovani, puoi fare una cara visita
spirituale al SS. Sacramento. Fa' poi servire
di visita a Maria SS. l'innalzare la mente a
lei, figurandoti di gettare il cuor tuo col cuoi-
dei giovani tuoi assistiti nel Cuor suo, e ciò
anche con una semplice aspirazione. Abbi una
confidenza filiale in questa buona nostra
Mamma, e metti nelle sue mani la riuscita
di ogni tua impresa. Procura di saper con-
naturare in te la divozione a Maria Ausilia-
trice, e sappi anche ispirarla ai giovani alle
tue cure affidati; e procura specialmente di
raccogliere esempi edificanti che conducano
a questo fine. £ questo uno dei mezzi sug-
geriti da Don Bosco, e tutto direttamente
secondo il suo spirito. Egli voleva che la di-
vozione a Maria si connaturasse tanto nei suoi
giovani, che riuscisse in loro del tutto spon-
tanea. Ma in particolar modo Don Bosco in-
sisteva sulla frequenza ai santi sacramenti
della confessione e della comunione. Per ot-
tenere questo, dava grande comodità, faceva
molte esortazioni, e specialmente raccontava
esempi atti per ottener questo suo scopo. Ma
non era mai importuno, nè costringeva mai

26.7 Page 257

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nessuno. Ammetteva poi per tempo alla
santa comunione, e promuoveva, con tutti i
mezzi che gli fossero stati possibili, la co-
munione frequente ed anche quotidiana. Ma
non permetteva che si andasse alla comu-
nione banco per banco, in modo che com-
parisse se qualcuno non vi andava. Queste
cose tutte le promosse con tanta prudenza,
ma anche con tanto ardore e costanza, che
penetrarono, e, si può dire, si connaturarono
nell'animo dei suoi allievi, tanto da formar
una caratteristica ed una impronta dello spi-
rito nostro, fino al punto che non mi pare
di potermi figurare un salesiano che non pro-
muova la confessione, e la comunione fre-
quente e anche quotidiana tra i nostri allie-
vi e fra le persone che possono giudicarsi
preparate a questo.
7) Compostezza nei divini uffizi.
Dovresti poi considerare come scritto ap-
posta per te in particolare l'articolo 151 del
capo XII delle nostre costituzioni, dove si di-
ce che: « la compostezza della persona, la
pronuncia chiara, devota e distinta delle pa-
role nei divini uffizi, la modestia nel cammi-
nare in casa e fuori, siano tali nei nostri soci,
che li distinguano da tutti gii altri ». Procura
perciò di accostumarti bene, ora nel novizato,
anche a detta compostezza esteriore nel fare
le pratiche di pietà. Ma bada che non vi en-
tn mai l'esagerazione! Dà molta importan-
za alla gravità delle cerimonie e del canto
sacro. Imparale bene, ma proprio bene; ed
eseguiscile posatamente, tanto da possedere
questo distintivo dei nostri soci.
8) Amore agli oratori festivi.
La nostra Pia Società ebbe origine dai ca-
techismi e dagli oratori festivi. Don Bosco
ci inculcava sempre questo in modo così mar-
cato, che dobbiamo dire formar questo uno
dei distintivi nostri. Per avere lo spirito del
fondatore, certo bisogna amare e zelare que-
sta istituzione. E se tu vuoi davvero diven-
tare degno figlio di Don Bosco, bisogna che
ami di fare il catechismo, che ti adoperi per
gli oratori festivi. Don Bosco diceva che or-
mai se si vuole riformare un paese od una
città bisogna cominciare dal fondarvi un'o-
ratorio festivo, per poter così attirare i gio-
vani, avvicinarli ai sacerdoti, istruirli nella
dottrina cristiana, abituarli alla frequenza
dei sacramenti. Quanti uomini, ci soggiun-
geva il buon Padre, odiano i preti, disprez-
zano la religione, aborrono dai sacramenti
solo perchè non conoscono queste cose, e non
si trovano mai in circostanze favorevoli per
poterle conoscere bene! Si odia il prete in
generale, perchè dai giornali, dai romanzi,

26.8 Page 258

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— 506 —
dai teatri hanno imparato ad odiarlo. Ma se
poi hanno occasione di trattare con qualcuno
di essi, ne partono meravigliati; e dicono:
Questo è un sant'uomo; oh! se tutti i preti
fossero così ! Credono quasi impossibile trovar-
ne un altro simile; e se trattassero con mol-
ti. li troverebbero forse tutti uguali. Han bi-
sogno di avvicinare il prete. Disprezzano la
religione perchè non la conoscono, e credo-
no che insegni cose irragionevoli: se la stu-
diassero, l'amerebbero. Aborrono dai sacra-
menti, perchè non provarono mai le conso-
lazioni che arrecano. Se le provassero qual-
che volta, non li aborrirebbero più. Bisogna
sostener gli oratori festivi; ivi avvicinano il
prete e vedono quel che fa, imparano il ca-
techismo e vengono ad amare la religione,
son condotti ai sacramenti, e provano le dol-
cezze che da essi procedono. Ormai senza gli
oratori festivi si perde la fede nei paesi e
nelle città. E tu impara ad amarli, a render-
ti abile in essi; e così potrai dire di aver su
questo importante punto acquistato il vero
spirito della congregazione.
9) Cura delle vocazioni.
Bada ancora che le nostre Costituzioni ci
raccomandano di coltivar nella pietà e nel-
la vocazione quei giovani, che possono riu-
scire degni dello stato ecclesiastico o religio-
—5 —
so. Perciò fin dal noviziato e dallo studenta-
to impara a desiderare poi dai giovani che
"i saranno affidati, più la riuscita nella vir-
J che nello studio, più il buon esito nella lo-
ro vocazione che negli esami. Non trascura-
- - l'altro, ma attendi più di proposito a que-
-to. E per riuscirvi bisogna che tu sia molto
portato ad insegnare il latino. Perchè, come
ri coltiverebbero le vocazioni ecclesiastiche,
« i giovani si mettessero per la via di scuole
i-eniche o commerciali, od altre? Tu adem-
zirai quelle occupazioni che ti saranno as-
segnate; ma sappi che per gli studi è più con-
forme allo spirito della nostra società sacri-
* care qualunque cosa, ma adoperarsi con tut-
ne le forze ad accrescere il numero dei buoni
siinistri del Signore.
!•) Buona stampa.
La vita di Don Bosco fu in buona parte
•?pesa nel comporre e diffondere buoni libri
«datti ai giovanetti ed al popolo. Passava not-
ai e notti a preparare Letture Cattoliche ed
i'tri libretti popolari ameni ed istruttivi. Si
-accomandava anche ad altri e specialmente
—culcava la cosa a noi. Ma voleva che que-
' pascolo del popolo fosse non solo copioso,
TE a anche adattato. Avrebbe desiderato che
"itti i libri scolastici, istruttivi, divoti ed ame-
"i* fossero scritti od almeno riveduti da perso-

26.9 Page 259

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—5 —
ne attente e delicate, affinchè fosse evitata
anche la menoma parola equivoca od atta a
suscitare pensieri inopportuni alla gioventù.
Volle poi che nelle nostre costituzioni fosse
notato come fine speciale della nostra società
anche questo: di diffondere buoni libri, adat-
ti all'intelligenza del popolo e dei giovani.
Voleva che si badasse alla chiarezza e popo-
larità; e, senza nuocere alla esattezza dei con-
cetti e purità di lingua, voleva che nessuna
parola fosse ricercata, e nessun pensiero fos-
se nebuloso, e si rendesse il libro adatto alle
intelligenze più limitate.
E questa eredità lasciò a noi; in modo che
può dirsi parte integrale dello spirito sale-
siano questo, di occuparci di libri popolari,
semplici, chiari, piacevoli, e spargerli in quan-
tità molto grande tra il popolo e tra i gio-
vani. La medesima chiarezza e semplicità vo-
leva nelle prediche. Ed inculcava ad ogni
propizia occasione di non cercare mai le co-
se eleganti e sublimi, bensì quanto è capito
da tutti e atto a portar frutto. Entra anche
tu in questi sentimenti: prendi decisioni se-
rie in proposito; e poco per volta potrai assi-
curarti di avere il vero spirito salesiano.
li) Le missioni.
Lo zelo di Don Bosco e di San France-
sco di Sales deve spingerci ad amare le mis-
— 509 —
sioni. Gesù Cristo diede la vita per salvare
anime: un'anima costa il sangue di Gesù.
Don Bosco tenne per sè, e lasciò scritto per
noi nei ricordi dei direttori, di non aver ri-
guardo a noi, ed esser pronti a sacrificar tut-
to, quando si tratta della salute delle anime.
Le missioni formarono il sogno di buona par-
te della sua vita. E se noi vogliamo imbe-
verci del suo spirito, non possiamo a meno che
amarle, e amarle come le amava Don Bosco,
servendoci per riuscire a far del bene dei cri-
teri suoi. Egli, anche nelle missioni, voleva
ci attenessimo specialmente alla gioventù; as-
sicurandoci esser questo il mezzo per avere
docili pure gli adulti. E tu comincia fin d'ora
a fomentar nel tuo cuore questo ardore di
consumare la vita nelle missioni, se il Signo-
re dimostrerà voler questo da te. Ma comin-
cia anche subito ad imbeverti di questi sen-
timenti: chè se vuoi riuscire a far poi del be-
ne nelle missioni, bisogna che acquisti grande
carità e dolcezza, e che ti prefigga di cura-
re in essi di preferenza la gioventù.
12) Amore al Papa.
L'attaccamento alla Chiesa e al Sommo
Dontefice dobbiamo anche tenerlo come un
unto fondamentale, che deve distinguere il
-alesiano e formarne lo spirito. Non possia-
mo figurarci Don Bosco se non unito al Som-

26.10 Page 260

▲back to top
— 510 —
mo Pontefice e tutto intento ad aiutarlo, a
consolarlo ed a sostenerne l'autorità e le pre-
rogative. In questo non si dava posa; come
non si dava posa nel trasfondere questi mede-
simi sentimenti in noi. Dovremmo considerare
come la più grande sventura che potesse toc-
care alla nostra Società, se avvenisse che un
salesiano non stesse ben attaccato al Romano
Pontefice! Mi pare di veder Don Bosco, tan-
to mansueto in altre cose, farsi di fuoco in
viso e maledire questo aborto di figliuolo, e
non riconoscerlo per suo. Ecco qual è il no-
stro spirito, ecco quale deve essere ogni sale-
siano in conformità alle nostre regole ed in-
tendimenti del nostro caro padre Don Bosco.
Pertanto se queste cose a te non piacessero,
certamente non saresti fatto per la nostra Pia
Società. Ed allora piaccia a Dio che subito,
senza perder tempo, abbandoni il pensiero di
fare i santi voti nella nostra società.
Mezzi.
Ti gioveranno potentemente ad acquista-
re lo spirito della nostra Pia Società, i mez-
zi seguenti:
a) La pratica completa, costante, esatta
delle nostre costituzioni e dei regolamenti n< -
stri e di quelle raccomandazioni che si con -
sce essere venute direttamente da Don Boscc
come: la prefazione delle Regole, quanto ri-
— 51 —
guarda il sistèma preventivo, e quanto è con-
tenuto nelle lettere circolari ai salesiani di
Don Bosco e di Don Rua.
b) Il leggere volentieri e ripetutamente la
vita di Don Bosco, e quegli scritti che metto-
no in evidenza i tratti speciali delle sue ope-
re, come per esempio: i Cinque lustri e il
Bollettino Salesiano, non che i libri scritti da
Don Bosco medesimo, specialmente il Giova-
ne Provveduto, la Storia Sacra, Ecclesiastica,
d'Italia, e le vite di vari santi e quelle dei
papi.
c) Il sentire a parlare volentieri di dette
cose e parlarne con frequenza con altri; fre-
quentare specialmente quei superiori più an-
tichi che conobbero Don Bosco, e che furono
educati nelle case centrali della nostra Pia
Società.
d) Il leggere la vita degli antichi e miglio-
ri alunni dei nostri collegi, scritta da Don
Bosco medesimo, come quella di Savio Dome-
nico, di Magone Michele, di Besucco France-
-co, e specialmente poi le biografie dei con-
fratelli defunti. Queste devono essere le let-
:ure più ordinarie a tavola e in dormitorio.
e) Il leggere e parlare con frequenza delle
"se che riguardano i nostri missionari e dei-
storia della nostra Pia Società.
f) Attendere bene a praticare con accu-
•itezza i piccoli avvisi, che si dànno la se-
•rednozpeo. le orazioni e specialmente nelle con-

27 Pages 261-270

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27.1 Page 261

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— 512 —
g) Nelle confessioni e comunioni cercare di
prender sempre proponimenti pratici ed adat-
tati a te. Evita i proponimenti strani e troppo
difficili, e prendi propositi che si vedono pra-
ticati dai migliori, o di cose che si udirono
raccomandate dai Superiori.
CAPO XXXIV
DELL'AMORE CHE OGNI ASCRITTO
DEVE PORTARE ALLA CONGREGAZIONE
Missione di Don Bosco nella Chiesa.
Iddio, per il grande amore che porta alla
sua Chiesa, innaffiata, si può dire, col suo
sangue stesso, non le manca mai di aiuto e
di conforto. Anzi, quanto più grandi ne son>
i bisogni e i pericoli, tanto maggiori e più
potenti ne manda gli aiuti. Tutti ora vedono
il baratro in cui è caduta l'umana società,
essendosi riuscito a togliere la fede dal cuo-
re di molti. Chi ne patì di più furono i pò
veri operai e la gioventù. La questione ope-
raia s'impone, e si può dire abbia più che al-
tre travagliato l'ultimo secolo. La gioventù
poi cresce abbandonata nel vizio e senza suf-
ficiente istruzione nella dottrina Cristian.:
Quando fossero padri e madri di famiglia
— 513 —
questi disgraziati, che non studiarono mai
nulla di catechismo, noi vedremmo tem-
pi ancor peggiori. Permetterà il Signore tan-
ta rovina? Certo la Chiesa passa un momento
doloroso; ma è anche certo che non verrà
abbandonata dal suo Divin Fondatore. Egli
non permetterà che il male trionfi completa-
mente; e, come nei tempi passati mandò aiu-
ti poderosi, e tra gli altri molti fondatori di
ordini religiosi adattati ai bisogni dei tempi,
così ora ai maggiori bisogni, maggiori man-
da gli aiuti; e già preparò il rimedio a questi
mali con molte opportune istituzioni. Ma tra
le altre chi non vede nella nostra Pia Socie-
tà la mano della Divina Provvidenza? Chi
non vede in Don Bosco l'uomo mandato da
Dio a mettere argine a tanto allagare di ma-
e? Chi non si sente pieno di gratitudine ver-
ni il Signore, che così mirabilmente provvide
ti bisogni presenti della Chiesa?
Campo d'azione affidato a Don Bosco.
La gioventù, la pupilla degli occhi del Di-
"in Salvatore, forma appunto la porzione
ietta toccata in retaggio alla nostra Pia So-
ietà. Sorsero questi nuovi tempi; l'increduli-
: dilagò e andò facendo breccia deleteria ne-
- i operai e nei giovani, specie nelle città ma
-"ià anche nei villaggi. Tutto sembrava perdu-
qttando il Signore si compiacque rivolgere

27.2 Page 262

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— 514 —
sopra di loro il suo occhio pietoso, e decise di
salvarli. A questo fine tra gli altri suscitò Don
Bosco. Poi a Don Bosco medesimo infuse la
idea della Pia Società Salesiana, e lo aiutò a
fondarla, infondendole lo spirito del Sacro suo
Cuore. Il mondo rimase stupito, vedendo dal
nulla e in breve sorgere tale gigantesca isti-
tuzione, per cui tante e tante anime saran-
no aiutate e salvate! Un grido unanime si ele-
vò per l'uno e l'altro emisfero: Don Bosco fu
l'uomo mandato da Dio! questa è l'istituzione
del tempo! E noi siamo chiamati a prender
parte integrale, attiva, diretta ad opera così
provvidenziale. Come senza soldati non si fa
la guerra, e senza la debita preparazione i
soldati non salverebbero la patria, così sen-
za ministri del Signore, e senza che questi sia-
no coltivati convenientemente, non si salve-
rà la Chiesa. Erano abbandonate le vocazio-
ni: i seminari erano chiusi; lo scoraggiamen-
to era generale, sia nel popolo che nel sacer-
dozio e nell'episcopato medesimo. Fu Don Bo
sco che infuse nuovo vigore; fu la sua con-
gregazione che servì ad incoraggiare i buoni
Fece vedere esser possibile il salvare le ani-
me, educando tanti buoni giovani pel sacer-
dozio. Intanto i preti usciti dalle scuole del-
la nostra Pia Società ascendono a molte mi-
gliaia, e rinforzarono il clero scarsissimo d
molte diocesi. Ormai tutti i vescovi, sull'esem-
pio dei collegi di Don Bosco, apersero piccoli
seminari, coltivarono le vocazioni. Ormai, al-
— 515 —-
meno nell'Alta Italia, non mancano più preti
nè per le diocesi nè per le missioni, nè per
sostenere gli ordini religiosi, che scoraggiati,
anch'essi erano cadenti! Vi era bisogno di
mantenere nel sacerdozio lo spirito della
Chiesa, era necessario rinfocolare l'amore al
Sommo Pontefice, conveniva rimettere la fi-
ducia e la vera nota nella divozione a Maria,
sostenere la frequente comunione: si può di-
re che tutte queste missioni ebbe Don Bosco;
e di tutte queste si occupa direttamente la
nostra umile società.
La nostra congregazione protetta da Dio e
da Maria Santissima.
Il Signore poi si degnò di favorire di gra-
zie tanto numerose e straordinarie il nostro
santo fondatore Don Bosco, che sarà sempre
una gloria per noi l'essere figli di tanto pa-
dre. E volle che la nostra Pia Società, istituita
proprio secondo i bisogni del tempo, trovasse
ovunque tale favore e simpatia, che pare co-
sa senza riscontro negli annali della Chiesa.
L'indimenticabile nostro Padre ci ripeteva
continuamente la nostra Pia Società essere
stata istituita non da lui ma da Maria SS.:
essa gliela ispirò; essa lo condusse sempre
come per mano. Maria cercò sussidi pecunia-
ri affinchè riuscisse nell'impresa, andò in cer-
ca degli individui che dovevano farne parte,

27.3 Page 263

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— 516 —
la sostenne e la difese: la congregazione è tut-
ta opera di questa nostra buona Mamma. Co-
sicché, come può dirsi del tempio materiale
di Maria Ausiliatrice, che Maria si edificò la
casa, cosi può dirsi del tempio suo morale,
la Pia Società Salesiana, che Maria se le isti-
tuita da se stessa.
Maria Ausiliatrice chiamò anche te.
Devi altresì persuaderti essere stata Maria
Vergine SS. che andò a cercare anche te. Ti
prese come per mano, e, quasi a tua insaputa,
ti preparò e poi ti condusse qui sotto il suo
materno manto, ti consegnò ai superiori, ti
fece accettare in congregazione. A questo ag-
giunse un altro privilegio particolare, privi-
legio anch'esso grande: ti chiamò sul fio-
rire della istituzione, quando lo spirito è sem-
pre più fervente e le grazie del Signore più
abbondanti. In questa società poi il Signore
ti fa trovare padri così esperti ed amorosi,
fratelli così affettuosi ed esemplari, mezzi
così potenti di santificazione, che bisognereb-
be proprio essere privi del senso comune per
non approfittarne. Tutto questo insieme di
grazie e di benedizioni dovrebbe farti amare
fino all'entusiasmo questa nostra cara società,
e spingerti a stare ben attaccato ad essa, che
ti favorisce tanto, e tanti mezzi ti dà di san-
— 51 —
tificazione. Ed è così ragionevole questo, che
vari nostri soci, nelle loro private preghie-
re, dopo d'avere ringraziato il Signore d'aver-
li creati e fatti cristiani, non possono tenersi
d'aggiungere: e fatti religiosi e salesiani. Ri-
conoscendo così, che dopo la grazia del
battesimo, come è invero, la grazia della vo-
cazione è la più grande ed apportatrice di
maggiori benedizioni.
La congregazione salesiana è nostra madre.
Se dopo i tre primi precetti che riguar-
dano Dio e il suo servizio, vi è nella legge di-
vina un gran comandamento, esso è quello di
onorare il padre e la madre. E se per ogni
anima ben nata c'è un sacrosanto dovere,
caro al cuore e soave a compiersi, esso è
quello della pietà filiale. Chi dirà fino a
qual punto esso obblighi un religioso verso
la comunità sua propria? Che non le deve
infatti, che non ne riceve ogni dì? E quanti
sudori, quante lagrime, e persino quanto san-
gue ha costato ciò che riceve?! Non parlo
della Passione di Gesù, dalle cui altezze esco-
no primieramente tutte queste sante famiglie:
nè della compassione di Maria, la quale, col-
l'unirsi a questa Passione le ha tutte gene-
rate. Parlo della passione dei fondatori, delle
loro fatiche, delle loro penitenze, delle loro

27.4 Page 264

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— 518
angosce, e di tutto ciò che aggiunsero essi al-
la Passione del Salvatore; poiché le comunità
vivono di ciò che prima le fece nascere. « Pie-
tre vive, diceva Dio al suo popolo, ponete
mente alla rupe donde voi foste tagliate, e al-
la sorgente donde voi foste tratte. Ponete men-
te ad Abramo padre vostro ed a Sara, la
quale vi partorì (1) ». Ricorda tu pure co-
loro cui deve il nome la nostra società, la
regola, lo spirito, l'esistenza insomma di reli-
giosi, e vedi un po' se qualunque cosa faces-
si sarebbe sufficiente a sdebitarti verso di
loro! La nostra comunità è realmente la no-
stra madre! Una madre, la quale, come la
grande Gerusalemme di lassù, di cui parla la
scrittura, « è discesa dal cielo » tutta piena
della paternità, cioè dell'autorità, della fe-
condità e della santa tenerezza di Dio, di
cui è l'espressione e l'organo. Se pertanto la
pietà filiale ha ragion d'essere in qualche luo-
go, è proprio qui. Tu dunque hai l'obbligo sa-
crosanto d'onorare, assistere, servire una tal
madre, di lavorare per la sua prosperità, e di
rallegrarne il cuore. Ingrato e degno delle
maledizioni di Dio sarebbe quel socio che la
compromettesse, che la danneggiasse, che le
arrecasse vergogna colla sua cattiva condot-
ta, e che la coprisse di fango e le procuras-
se lutto, o la spingesse alla rovina coi suoi
cattivi esempi!
(1) Is., LI, 1.
Belle immagini della congregazione.
Persuaditi bene adunque, che per te la
congregazione è la vera arca di salute: co-
me Noè nell'arca si salvò dal diluvio, in cui
furono sommersi tutti gli altri uomini, così
noi dal diluvio di corruzione, da cui il mon-
do è totalmente allagato, siamo salvati da
quest'arca.
È la tavola di salvamento: come nel ma-
re, in un naufragio, è fortunato chi trova
una tavola su cui poter venire a riva, così
fortunati noi che abbiamo trovato questa
vera tavola di salvamento. Essa è fonte per
noi d'ogni bene: come ad un assetato nel de-
serto serve di salvezza da morte il trovare
una fonte d'acqua viva, così a noi in questo
deserto del mondo serve a scamparci dalla
morte questa fonte perenne di consigli, di aiu-
ti, di sostegni, che ci disseta da ogni nostra
ansietà. La nostra Pia Società è per noi quel-
la perla preziosa, per trovar la quale, ci dice
il Salvatore, merita mettere sossopra tutta
la casa, e trovatala è da farne gran festa. E
tu che l'hai trovata, devi fare gran festa in
te, e provarne un godimento grande. Procura,
figliuol mio, di capir bene questa importante
verità in questo anno fortunato di ascrizio-
ne, perchè verranno nella vita momenti di
disgusto, di contraddizione e di persecuzioni.
E se tu non ti trovassi ben istruito e ben COn-
18

27.5 Page 265

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— 520 —
solidato su questo punto, potresti soccom-
bere.
Beni che essa ci procura.
Tutti i beni che tu hai ti provennero, ti
provengono e, quasi direi, ti proverranno da
questa radice. Sono beni materiali, intellet-
tuali, morali. Che saresti tu ora, se la società
nostra non t'avesse amorevolmente aperte le
braccia? Lasciamo i beni materiali, per cui
non ti manca mai nulla e non hai i fastidi
dei mondani, che devono pensare a provve-
dere i cibi, i vestiti, a pagare i debiti, men-
tre tu sei messo in posizione da poter vivere
e lavorare pel Signore, senza altre appren-
sioni. Ma considera i beni intellettuali: Avre-
sti avuto altrove comodità di studi, di mae-
stri, di libri, di biblioteche, di guide, di tem-
po, di luogo, come ne puoi avere in congre-
gazione? E per le comodità di fare il bene?
Richiama a memoria il detto di San Bernar-
do sui beni della vita religiosa, e da Don Bo-
sco spiegato nella prefazione delle sante re-
gole. Aggiungi a questo il merito del martirio
e l'innocenza battesimale che te ne proverrà
facendo i santi voti, e il doppio merito che
avrai per ogni tua opera, quando le faccia
con voto, e vedrai se non devi amare molto
questa cara nostra Pia Società, a cui ti ha
chiamato il Signore; se non devi a ragione
!
— 51 —
vender tutto per acquistare questa perla pre-
ziosa; se è troppo il dire che ti proviene da
lei ogni bene!
Riconoscenza a Dio d'averti chiamato ad es-
sere salesiano.
Pertanto farai molto bene, se tutte le mat-
tine ringrazierai il Signore della vocazione
avuta; e domanderai la grazia della perse-
veranza in essa. San Luigi, dopo d'essere sta-
to sei mesi nel mondo ad aggiustare i pa-
sticci della famiglia, ritornando nelle case del-
la compagnia a Milano, disse al compagno:
« Oh quanta consolazione io sento nel veder-
mi ornai stabilmente in casa nostra! Quella
appunto che sentirebbe uno il quale, freddo
ed agghiacciato, di mezzo inverno, venisse
posto in morbido letto riscaldato. Tale fred-
do mi pareva di sentire trovandomi fuori
delle nostre case, e tale soavità sento ora, es-
sendovi ritornato ». Sarebbe tale il tuo giu-
bilo in simile circostanza? O non vai tu for-
se volentieri, o forse ancora non solleciti tu
stesso i superiori perchè ti lascino andare al-
la casa paterna? Considerando attentamente
le suesposte cose, ciascuno comprenderà be-
ne che il poter essere membro della congre-
gazione non è mai un beneficio che l'indivi-
duo faccia alla società medesima; ma piutto-
sto un dono immenso che il Signore fa all'in-

27.6 Page 266

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dividilo col riceverlo a servirlo più da vicino,
dandogli tanti mezzi di santificazione. E per-
ciò bisogna che tu viva con timore e paura di
perdere la vocazione, se non corrispondi ade-
guatamente a questa grande grazia del Si-
gnore. Anzi ricorda sempre che le grazie più
grandi del Signore vanno custodite accura-
tamente e con grandi sacrifici. Sappi che ap-
pena uno trascura le piccole cose, il Signore
rallenta nelle sue grazie; e così indebolito,
poco per volta si viene fino al punto di per-
dere la vocazione. Quale non fu la fortuna
degli Apostoli d'essere stati chiamati a se-
guir Gesù, e fatti banditori della legge di
grazia! Eppure Giuda, che se ne rese imme-
ritevole, fu ripudiato.
Dobbiamo prediligere la congregazione
nostra.
Noi dobbiamo inoltre prediligere la nostra
cara Società sopra le altre. Li loderemo tutti
gli altri istituti religiosi! Essi sono primo-
geniti nella Chiesa, noi siamo gli ultimi ve-
nuti. Ciascuno ha uno spirito proprio, ispi-
rato dal Signore. Non esca perciò mai dal
nostro labbro parola di biasimo per nessuno,
neppure mai dire che certi Ordini Religiosi
hanno fatto il loro tempo.
Lodiamoli in ogni ragionevole occasione
per il tanto bene che hanno. Tuttavia ci è
permesso d'avere ogni predilezione per la no-
stra Società, perchè essa è nostra madre. Un
figlio rispetterà tutte le madri, ma certo il
suo amore di predilezione, il suo più grande
attaccamento è per la sua; fosse pure la me-
no avvenente, la più povera e meschina di
tutte. « Ogni religioso, dice egregiamente il
nostro San Francesco di Sales, deve venerare
e stimare tutte le altre Società, che promuo-
vono la maggior gloria di Dio, l'edificazione
della Chiesa e la salute delle anime. Non ab-
bia avversione per alcuna; a niuna invidi al-
tra gloria, se non quella di più amare Gesù
e Maria. Anzi, tenendo la propria come la
minima e l'ultima, ceda volentieri alle altre
la preminenza di dignità e di onore. Con tut-
to ciò serbi alla sola sua il privilegio d'un
amore particolare, d'una tenerezza e pietà
filiale, perchè essa è per lui quell'arca viva
di salute, da Dio in eterno preparata per sal-
arlo dal diluvio e dalla corruzione del seco-
o ». Ognuno di noi pertanto ami con tutto
affetto possibile la nostra Pia Società, e la
~eiiga qual madre amorosa, che lo rigenerò
lello spirito, e non lascia di nutrirlo col latte
-pirituale. Nulla al mondo gli sia più caro e
iù prezioso del bene di questa madre. Ognu-
no ancora stia pronto a qualunque sacrifi-
io pel vantaggio spirituale e temporale di
. Goda con lei se gode, pianga con lei se
inge, facendo sue proprie le consolazioni
i .e afflizioni di questa madre, ed aiutandola

27.7 Page 267

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— 524 —
con qualunque sacrificio, in tutto quello che
può. Miri anche con occhio di figlio, e tolleri
con filiale carità le imperfezioni, i nèi e quel-
le miserie da cui niuna umana istituzione si
trova esente, e non abbia mai l'audacia di cri-
ticare il suo andamento o quelli che la gui-
dano, cosa degna solo di un figlio ingrato,
che graffia sua madre, dal cui seno sta suc-
chiando il latte della vita.
Dobbiamo sostenerla.
Ma soprattutto tu farai quanto è in te per
sostenere, e con le parole e con le opere e
coll'esempio, la osservanza delle costituzioni,
lo zelo ed il vero spirito di Don Bosco. Uni-
camente dal difendere ed osservare queste
basi dipende la vera salvezza della nostra
Società, il suo incremento e l'abbondanza
delle superne benedizioni. Nè scordarti mai
di pregare per essa, e specialmente per que-
sti tre fini: 1) perchè essa non abbia mai da
deviare dalla retta via, e possa sempre fare
maggior bene; 2) perchè il Signore mandi
molti e buoni novizi; e intanto tu stesso im-
pegnati, secondo le tue forze, ma proprio to-
tis viribus, per procurarne. 3) Prega per la
perseveranza di tutti i soci; che nessuno ab-
bia con le sue infedeltà a dar disgusti a que-
— 55 —
sta sua buona madre, e non abbia a rendersi
indegno della sua vocazione, od abbia a per-
derla e dare indietro.
Amore ai superiori.
Lo stesso amore della Società cui appar-
tieni deve farti amare molto i superiori della
medesima, posti da Dio a tua guida, e che
giorno e notte si affaticano per il bene co-
mune. Si accolgano sempre festevolmente i
superiori maggiori, si vada a gara a baciar
loro la mano, per dar loro segno della pro-
pria venerazione ed affetto; si circondino per
ascoltar i loro consigli; si cerchi di confe-
rire con loro, facendo un po' di rendiconto
per avere da essi la soluzione di qualche dub-
bio o l'incoraggiamento alla virtù; si parli in
conversazione delle loro opere e del loro zelo.
È da buon figliuolo il ricordare sempre con
gratitudine i superiori ed i maestri degli anni
precedenti, scrivere loro nelle principali cir-
costanze, come del capo d'anno e dell'ono-
mastico; il circondarli di amorose premure
quando venissero nel collegio dove si è, con-
tinuare anche per lettera a dar loro conto
del proprio andamento, domandando loro op-
portuni consigli, e specialmente assicurandoli
Ielle nostre preghiere, e raccomandandoci al-
loro. Chi non sente questa riconoscenza

27.8 Page 268

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— 52 —
per coloro che si occuparono del suo bene,
dimostra cuore poco buono, e sarebbe imme-
ritevole di maggiori grazie del Signore.
Dobbiamo amare le cose della congrega-
zione.
L'amore alla nostra Pia Società ti farà
amare le sue cose; ti farà perciò parlare con
entusiasmo di Don Bosco, dei missionari e
del bene che già la nostra Pia Società operò
nel mondo; della simpatia che si attirò dai
sommi pontefici, dall'episcopato cattolico e da
tutti i buoni; e delle richieste che si fanno di
essa da tutte le parti. Ti farà leggere con
premura il Bollettino Salesiano e tutti que-
gli scritti, sia dei nostri sia di altri, che par-
lano delle sue opere. Nè questo devi fare per
vanagloria, bensì per animarti a divenire
membro sempre più degno di questa fa-
miglia.
Dobbiamo amare le sue opere.
Devi amare e tenere in conto gli scritti, i
libri, gli insegnamenti, le predicazioni, le ope-
re tutte dei confratelli, e specialmente quelle
dei superiori. Ciò che viene dalla madre de-
527 —
ve sempre piacere ed essere lodato dal figlio.
Pertanto non ti avvenga mai di biasimare
qualcuno della congregazione, o libri, o pre-
dicazioni, od opere della medesima, o bronto-
lare dei loro metodi, poiché questo sarebbe
da figlio ingrato. Anzi si adoperino sempre
di preferenza i testi composti dai nostri con-
fratelli, si tengano di preferenza le opinioni
sostenute dai nostri superiori. Il biasimo è
sempre riprovevole, e Don Bosco ripeteva
sovente che il bene nostro bisogna lodarlo,
ed egli lo lodava. Se poi si conosce alcunché
di difettoso in qualche membro di essa o in
qualche casa, si può e si deve bensì cercare
ogni modo di fare evitare quel male, ed av-
visarne i superiori; ma intanto esso si deve
seppellire nel più profondo oblìo. Vuoi tu
rassomigliare a Cam, che, visto nel padre
qualche cosa indecente, lo burlò e raccontò
ancora la cosa ai fratelli perchè lo burlasse-
ro? Bada che Cam venne per questo casti-
gato. Invece furono benedetti Sem e Jafet,
che non solo non presero parte allo scherno
di Cam, bensì ancora coprirono riverente-
mente con il mantello il proprio padre. E tu,
per carità, in ogni circostanza non solo non
voler imitare l'iniquità di Cam, collo scoprire
i difetti della madre congregazione o dei tuoi
confratelli, ma piuttosto imita Sem e Jafet,
e copri sempre col mantello della carità i di-
fetti che in essi trovassi, e non esca mai dal
tuo labbro parola di biasimo verso di loro.

27.9 Page 269

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Come dimostrarle amore.
Impara a dimostrare il tuo amore alla no-
stra Società nei pensieri, nelle parole, nelle
opere. Con i pensieri tienila in gran pregio;
con le parole parlane sempre bene; con le
opere lavora indefessamente nelle cose che ci
prescrive, e procura di farle onore con la
tua vita santa. Quello che di buono dovrà
apparire in te, i tuoi pochi ed eventuali ba-
gliori di gloria, sia di opere come di virtù,
tutto si riversi su colei che ti è madre, e che
dopo averti generato t'ha portato un po' in
alto. Di te appaia solo il salesiano. Eclissati
sempre volentieri per la gloria di Dio e della
nostra cara congregazione, e per questo la-
vora, soffri e prega. Sii riconoscente a Dio
d'averti chiamato tra i figli di Don Bosco.
Questa riconoscenza t'aprirà la vena di tutte
le grazie, mentre la chiuderebbe l'ingratitu-
dine. Ama ed osserva la regola uscita dal
cuore del nostro Padre, codice sicuro di san-
tità salesiana. Approfitta dei santi mezzi di
perfezione che hai tra mano. Così sarai di
conforto ai superiori e di gloria a Gesù.
— 529 —
CAPO XXXV
GESÙ ADOLESCENTE
MODELLO PERFETTO
DEL GIOVANE RELIGIOSO
Gesù adolescente modello del novizio.
In forza della stato religioso che vuoi ab-
bracciare, tu, o mio buon giovane, devi ten-
dere alla perfezione. Non è facile arrivare
ad essa. Nè abbiamo solo bisogno di un
maestro che ci insegni, ma anche di un mo-
dello da imitare. Come si troverebbe felice
uno statuario, un artista, se trovasse già fatto
il modello della statua che egli deve scol-
pire, e se questo modello fosse della più al-
ta perfezione, e che egli non avesse più altro
che ricopiarlo! Ebbene: noi questo modello
lo abbiamo, ed è perfetto. Già lo sai, Ge-
sù è il nostro modello universale. Ma mi pare
che se il modello oltre all'essere perfetto in
sè, fosse anche specificato in modo che tu po-
tessi figurartelo alla tua età, nelle tue cir-
costanze, questo esemplare ti gioverebbe più
efficacemente. Tu sei giovane. Ebbene! Ec-
co l'esemplare completo, specificato, nella
precisa età tua: Gesù adolescente! Te lo puoi
figurare nella tua età, e puoi seguire ogni

27.10 Page 270

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- 530 —
sua orma. Se tu sei artigiano o coadiutore,
puoi figurartelo benissimo come tale, poiché
egli era umile artigianello e lavorava ala-
cremente tutto il giorno per guadagnarsi il
pane della vita. Ma anche se sei chierico, de-
vi capire che nell'umiltà e nella vita nasco-
sta di Nazareth, egli si preparava all'aposto-
lato ed a convertire le anime, precisamente
cerne devi prepararti tu. Ecco adunque Gesù
adolescente, dai dodici ai trent'anni nella bot-
tega di Nazareth; prendilo come tuo modello
speciale e protettore, e cerca d'imitarlo.
Divozione a Gesù adolescente.
Come si ha generalmente molta divozione
a Gesù Cambino, alla passione di Gesù, al
sacratissimo suo Cuore, a Gesù in Sacramen-
to, dovrebbe pure aversi gran divozione a
Gesù adolescente. Eppure questa è meno dif-
fusa. Io pertanto voglio suggerirti di abbrac-
ciarla tu, e farla tua divozione speciale. Vo-
glio cioè inculcarti che procuri di onorare in
modo al tutto particolare l'epoca della vita
di Gesù, che si confà specialmente a te in
questa tua età e in questa circostanza della
tua vita, in cui ti trovi anche tu come in una
santa casa di Nazareth, e in cui puoi e devi
imitare specialmente la vita nascosta di Ge-
sù. Il santo Vangelo ha cura di farci notare
che Gesù nella casa di Nazareth fu sempre
"—"531 —
sottomesso a Maria Vergine ed a san Giusep-
pe; che egli cresceva in saggezza, in età ed
in grazia al cospetto di Dio ed al cospetto
degli uomini. E tu pertanto devi aver sempre
questo esemplare avanti gli occhi. Devi pro-
porti di star anche tu sempre soggetto ai tuoi
superiori, e tutti i giorni crescere in saggez-
za, cioè nella conoscenza di Dio e della sua
amabilità infinita, nella conoscenza di te stes-
so e delle tue miserie, nella conoscenza
di tutto quello che riguarda la tua salute
eterna e i doveri del tuo stato. Devi crescere
in età, cioè disfarti delle miserie spirituali
dell'età passata, come della leggerezza che
iion riflette, della vanità, dell'incostanza pro-
pria dei fanciulli. Infine devi crescere in gra-
zia, cioè nella santità; e questa è per te un'ob-
bligazione di tutti i giorni fino a tanto che
tu non sia arrivato alla pienezza dell'età del-
l'uomo perfetto in Gesù Cristo, cosa che non
si compirà se non in Cielo. E questo cresce-
re in saggezza, età e grazia, deve essere avan-
ti a Dio con la vita interiore, e davanti agli
nomini coll'edificazione dei buoni esempi.
La legittimità di questa divozione a Gesù
adolescente non può essere messa in questio-
ne. Questo periodo della vita di Gesù è il più
lungo: ha adunque diritto alla nostra consi-
derazione e perciò alla nostra adorazione,
ed alla nostra divozione speciale. Infatti la
Chiesa, basandosi sui santi vangeli, ha sem-
pre onorato e proposto alla pietà dei fedeli

28 Pages 271-280

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28.1 Page 271

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— 532 —
l'adorabile mistero della vita nascosta di Ge-
sù a Nazareth. I sommi pontefici, i padri del-
la Chiesa, i dottori, gli scrittori ascetici par-
larono e scrissero molto sugli ineffabili se-
creti della Sacra Famiglia. La Chiesa ha au-
torizzato e arricchito di indulgenze certe pre-
ghiere, istituì delle feste e approvò delle asso-
ciazioni di pietà aventi per oggetto speciale
i misteri di Nazareth. Questo culto alla santa
adolescenza di Gesù è tanto antico quanto la
Chiesa: è adunque un culto dei più legittimi.
Divozione salesiana a Gesù adolescente.
Che sia poi conveniente per la nostra Pia
Società il nutrire e promuovere una divozione
speciale « alla santa adolescenza di Gesù », ri-
sulta chiaramente, mi pare, dalla destinazione
provvidenziale della nostra società stessa. Tra
tutti i misteri della vita del Divin Maestro,
questo più di tutti corrisponde pienamente al
suo fine particolare, alle opere della nostra
predilezione, ai caratteri della nostra vita e
della nostra pietà, al nostro metodo di aposto-
lato. Non pare anzi che la Divina Provviden-
za direttamente ci metta nell'occasione di ab-
bracciare questa divozione? Che ravvicina-
mento facile possiamo stabilire tra Nazareth
e le nostre case salesiane! A Nazareth Maria
e Giuseppe, vergini, si occupano di Gesù; nel-
le nostre case il prete ed il coadiutore, vergini.
—5 —
si occupano dei giovani, mistica continuazione
dell'adolescenza di lui. A Nazareth il Divino
adolescente, oggetto delle comuni sollecitudini
di Maria e di Giuseppe, sotto la cui obbedienza
Egli cresce in età, in scienza, in grazia da-
vanti a Dio e davanti agli uomini: nel novi-
ziato tu, povero adolescente, che sotto la co-
mune sollecitudine dei Superiori devi cresce-
re anche tu in età, in scienza ed in grazia
davanti a Dio e davanti agli uomini. Tu puoi
bellamente rappresentarti Gesù come un gio-
vane studente, come un giovane artigiano, e
come un aspirante allo stato ecclesiastico. Co-
me studente, figurandotelo nel tempio in mez-
zo ai dottori che egli interrogava per imparare;
come apprendista artigiano, essendo egli real-
mente faber et fllius fabri. Che fosse vera-
mente aspirante alla vita sacerdotale ed allo
stato di perfezione si ricava dalla risposta
che egli diede alla Madonna, quando lo ri-
trovò nel tempio: non sapevate che nelle co-
se che riguardano il mio eterno Padre io de-
vo sempre trovarmi? A Nazareth e nelle ca-
se salesiane il medesimo carattere di vita e
di pietà: la medesima unione della vita di
preghiera e della vita d'adorazione, il me-
desimo spirito di famiglia e la medesima po-
vertà; il medesimo abbandono alla Divina
Provvidenza. È sopra Nazareth, è sopra que-
sto tipo perfetto di famiglia cristiana ed
operaia, la cui rigenerazione era l'oggetto del-
le sue costanti preoccupazioni, che il nostro

28.2 Page 272

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-—
Don Bosco fissava di preferenza le sue medi-
tazioni. Era evidentemente questo, fra tutti
i misteri della vita di Gesù, quello della sua
predilezione. È qui che egli studiò e trovò la
soluzione pratica della questione operaia;
questione attuale di cui fu l'apostolo in que-
sti tempi moderni. Anche il nostro metodo di
apostolato coincide col metodo che si teneva
nella sacra Famiglia con Gesù adolescente. Noi
non cerchiamo altro che di cristianizzare e
santificare il fanciullo, e per mezzo di esso la
famiglia e la società. Per ottenere ciò il nostro
buon padre c'insegnò un metodo speciale da
applicare sia tra di noi e tra i nostri fan-
ciulli, come tra i popoli infedeli. E per
realizzare questo programma d'apostolato si
può immaginare una divozione più appro-
priata, un mezzo soprannaturale più efficace,
che la divozione a Gesù adolescente?
Propagare questa divozione.
Conviene adunque che noi ci proponiamo
bene questa divozione, e che cerchiamo di
propagarla tra i genitori, gli educatori ed i
giovani stessi da educarsi, come quella che
pone sotto gli occhi a tutti l'ideale da ripro-
durre. Conviene anche proporla loro come la
sorgente da cui attingere la grazia opportu-
na per realizzare questo ideale, col triplice
accrescimento di cui ha bisogno un giovane
per arrivare alla maturità della vita: cioè il
crescere nella scienza e fisicamente, il cre-
scere nell'apprendimento del mestiere, ed il
crescere nella virtù e nella santità. Ed an-
che di grazia non ce ne vuol poca, per un
prudente discernimento dello stato di vita che
conviene a ciascuno, scelta da cui dipende
l'ordine e per conseguenza la felicità dell'in-
dividuo, della famiglia, della società, della
Chiesa. Ecco l'oggetto di questa divozione, la
quale in tutto e per tutto corrisponde al fine
ed alla missione della nostra Pia Società. È
anche coll'intendimento di propagare la di-
vozione a Gesù adolescente, che i superiori
della nostra Pia Società accettarono l'apertu-
ra della casa di Nazareth, intitolarono a Gesù
adolescente la casa di Oran; inoltre dedicaro-
no a Gesù adolescente l'ispettoria d'oriente.
A tutto questo, per vedere sempre meglio
l'opportunità di questa divozione, occorre ag-
giungere una considerazione, o meglio con-
statare un fatto, che forma l'oggetto delle la-
mentele dei buoni nei nostri tempi. La so-
cietà moderna in generale procede assai male,
perchè la vita di famiglia, fondamento della
vita sociale, è gravemente compromessa, es-
sendo la formazione cristiana della gioventù e
la sua perseveranza divenute lo scopo de-
gli attacchi congiunti dei nemici dell'ordine
sociale. Chi ha la gioventù ha l'avvenire; il
problema sociale si risolve in questa breve for-
mola. Don Bosoo previde e precorse i tempi,

28.3 Page 273

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- 536 —
e si diede a tutt'uomo a rimediare ai mali
presenti e futuri. E coi continuatori della sua
opera è già riuscito a fare del gran bene ed
a riparare grandi mali. Ma è tanta la collu-
vie dei disordini, che bisogna moltiplicare le
forze e ordinarle meglio. E bisogna unirsi
per rimediare a questo male universale, rag-
gruppare tutte le forze per salvare la risorsa
suprema che ci rimane, l'educazione cristia-
na della gioventù. Ed allorché tutte le spe-
ranze umane sembrano fallite, si deve attin-
gere al Cuore di Gesù di Nazareth, dal di-
vino adolescente, questa grazia di rigenera-
zione. Non è forse questa l'opera sociale op-
portuna per eccellenza? Invero chi si vuol
far sacerdote e degno figlio di Don Bosco, e
cooperare alla santità propria cercando di
salvare gli altri, potrà egli trovare mezzo più
potente? Finché il pargolo è nelle mani della
madre e le è sottomesso, la sollecitudine ma-
terna fa evitare immensi pericoli. Ma quan-
do è giunta l'età in cui il fanciullo scivola
dalle mani della madre, quando viene l'età cri-
tica, i pericoli dell'ora presente lo getterebbe-
ro addirittura nell'abisso del male, se non ve-
nisse salvato da mano esperta, dotta, delica-
ta, e se questa mano non venisse aiutata e
sorretta da forza soprannaturale. Oh allora
come ci viene opportuna l'immagine di Gesù
adolescente, da presentarsi all'adolescente
educando, affinchè si specchi in essa, e sia
da essa confortata e l'opera dell'educando e
—53 —
l'opera dell'educatore! E quando i giovani
stanno per scivolare anche dalle nostre ma-
ni, non sarà una suprema risorsa il consacrar-
li a Gesù adolescente, il ricordar loro la fi-
gura di Gesù, nel cui petto palpita un cuore
dai diciotto ai vent'anni? A questo Gesù che
li conosce, e che è lì per divinizzare perfino
le loro tendenze, le loro passioni, i loro ar-
dori, le loro aspirazioni generose; che persino
previde le loro cadute e sofferse per preser-
varli da ricadute? A questo Gesù che amò
tutti gli adolescenti, che non può mirarli sen-
za amarli (1)? A questo Gesù che subito si
commosse alla vista di una povera vedova
che piangeva il suo figlio unico che si porta-
va a seppellire, e che prendendo per la ma-
no l'adolescente lo risuscitò, e lo rese alla
madre? Questo Gesù non sarà più ora, come
in altri tempi, per tutti, ma specialmente per
chi comincia la sua carriera, la Via, la Ve-
rità, la Vita?
Spirito di questa divozione.
Lo spirito di questa divozione si può com-
pendiare in queste parole: crescere e forti-
ficarsi (2). Guidare il giovane perchè cresca
(1) «Jesus autem intuitile eum
dilevit eum » (MARCO, X, 21).
(2) • Puer autem crescebat et
LUCA, II, 40).
(adolescentem)
confortabatur >

28.4 Page 274

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— 538 —
buono, imparando la scienza o la propria
professione, qualunque essa sia, e perchè si
fortifichi colla imitazione di Gesù adolescen-
te e colla sua grazia. Uniamoci coi giovanet-
ti che vengono educati nella nostra casa di
Nazareth. Procuriamo noi, proponiamoci di
insegnarlo in seguito ai giovani alunni, di
lavorare in unione con Gesù adolescente nel-
la bottega e nella casa di Nazareth. Nell'ap-
prendimento d'un mestiere, e nell'applica-
zione agli studi, si cerchi di rappresentarsi
al vivo l'immagine del Divin Nazareno.
Imitare Gesù adolescente.
Ma il più importante di questa divozione
sta nell'imitazione del Divino modello. Per
onore e per amore di Gesù adolescente cia-
scuno si applichi, nella propria condotta, a
farsi un altro lui stesso, ciascuno secondo la
sua condizione e le circostanze in cui Dio
lo mette. Ti raccomando perciò specialmente
queste cose:
a) La sostenutezza e la modestia nel por-
tamento esteriore. Questa è una garanzia e
come un indizio della nobiltà del cuore.
b) Una dipendenza rispettosa, che deve
sempre crescere, verso i parenti, i superiori, i
maestri, e gli anziani, anche consultandoli
nelle cose di qualche importanza.
c) Volontà risoluta di eccellere, e negl
—5 —
studi e nelle occupazioni, cercando di far sem-
pre il proprio bene qualunque cosa ti sia as-
segnata, dando buon esempio.
d) Lotta quotidiana ed energica contro i
propri difetti, specie contro il dominante, ed
una tendenza abituale verso l'ideale della san-
tità stessa di Gesù adolescente.
e) Una confidenza illimitata e tenerissima
nell'infinita misericordia del Cuore di Gesù,
il quale non lascia mai di perdonare un cuo-
re sinceramente pentito.
f) Spirito di proselitismo, o generosa pas-
sione di far conoscere anche da altri la Ma-
donna, la Santa Chiesa, e tirare delle anime
ad amare specialmente Gesù adolescente.
g) Infine, e soprattutto, proporti di usar
sempre una carità delicata coi compagni ed
una unione indissolubile, per abitare con lo-
ro nel cuore dell'Amico comune, Gesù adole-
scente. Figùrati che Gesù adolescente, dalla
cara bottega di Nazareth, continuamente ri-
peta l'invito: Siate dunque perfetti, come per-
fetto è il Padre vostro celeste (1). Tendere
verso questa perfezione e progredirvi di gior-
no in giorno, praticamente ma con perseve-
ranza, è precisamente lo spirito della tua vo-
cazione, è lo spirito della divozione a Gesù
adolescente, del quale è scritto che progrediva
in età e in grazia presso Dio e presso gli uo-
(1) « Estote ergo vos perfeeti, sicut et pater vester
caelestis perfectus est • (MATTEO, V, 48).
>

28.5 Page 275

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— 540 —
mini. Si può domandar molto da un cuore
giovane, e spesso bisogna domandargli molto.
Il suo cuore ha bisogno di amare e di essere
amato, di dare e di ricevere. È importante
somministrare esca opportuna a questo biso-
gno, a questa passione di certe anime, e dar
loro un'occasione di esplicarsi. Certo Don
Bosco domandò molto dal cuore dei suoi gio-
vani; ma, avendo saputo fare, ottenne anche
molto. Egli formò molti veri apostoli, alcuni
già volati al paradiso, alcuni tuttora viventi.
Non credo di domandar troppo a te doman-
dandoti le virtù sopra espresse. Slanciati nel
bene, e vedrai che la riuscita verrà.
Medita i misteri dell'adolescenza di Gesù.
Ti esorto a meditare, e a far meditare da
altri, in libri appropriati, e nei discorsi e nei
circoli di pietà, i misteri della santa adole-
scenza di Gesù in Nazareth. Questi misteri
sono ancora così poco esplorati; eppure il
Divin Maestro ha consacrato a questi il più
lungo periodo della sua vita mortale! E sono
x misteri che presentano ai giovani l'esem-
pio delle virtù, alle volte le più attraenti, li-
più appropriate all'età. Sono quelli che con-
tengono ed apportano loro la grazia opportu-
na, meritata dal Redentore adolescente. Ed
inoltre sono i misteri che più si convengono
alla forma di vita la più parca, alla vita d
famiglia, alla vita di comunità, alla vita na-
scosta, alla vita di chi soffre. Essi suggeri-
scono la pratica di quelle virtù, che a causa
della loro forma modesta, del loro uso co-
mune, della loro facile applicazione, son det-
te le pìccole virtù, quelle che affascinavano
il nostro dolce e forte San Francesco di Sles.
Virtù da imitare.
Venendo a te in particolare, o mio buon
amico, ti dirò che le sublimi virtù pratiche,
che tu in particolare devi imparare dal Gran-
de adolescente di Nazareth, e che devi cerca-
re in ogni modo di imitare, sono special-
mente quattro: 1) Un grande amore al la-
voro ed alla fatica; 2) Un grande amore al-
la povertà; 3) all'obbedienza; 4) alla vita
nascosta. Conviene che le esaminiamo un po-
co insieme, e che ne facciamo insieme l'ap-
plicazione pratica. Io son di parere esser
questa la più gran lezione che devi trarre da
questa divozione. Nello stesso tempo trove-
lai in queste quattro virtù, il riassunto di
tutto quello che si è detto in questa prima
parte del tuo Vade Mecum. Io ti esorto per-
tanto a tenere continuamente lo sguardo fis-
=o sul grande esemplare che ti propongo, si-
uro che esso ti santificherà, se tu farai dav-
vero energici sforzi per riprodurne in te gli
-•empi.
i

28.6 Page 276

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— 542 —
1) Lavoro.
E per primo: la vita di Gesù, per tutto
il tempo che passò nella bottega di Nazareth,
fu una vita di gran lavoro. Ci disse Egli stes-
so per bocca del profeta Davide: io sono
stato nelle fatiche e nelle sofferenze fin dal-
la mia giovinezza (1). Egli maneggiava la se-
ga e la pialla come un povero operaio, e
guadagnava il suo pane col sudore della sua
fronte. Non gli bastava il non perder tempo;
ogni momento della sua vita, salve le inter-
ruzioni che esige la natura, erano impiegate
in un lavoro faticoso ed aspro per il corpo,
senza gusto per lo spirito, senza attraimento
per il cuore. Egli volle applicata comple-
tamente a sè la legge del lavoro, imposta a
tutti gli uomini nella persona dei nostri pro-
genitori: Il pane che mangerete dovrà essere
guadagnato col sudore della vostra fronte.
Hai tu fino ad ora compreso bene questa ve-
rità? E come l'hai praticata? Procura seria-
mente, almeno ora, di accostumarti ad un
lavoro aspro ed assiduo, modellandoti bene
su questo divino esemplare.
(1) Salmi, L X X X V I I , 16.
— 543
Lavoro santificato.
Gesù nella bottega di Nazareth non solo
lavorava, ma ci insegnava a santificare il la-
voro. Egli non cercava da se stesso il genere
di lavoro che più gli piacesse; bensì faceva
con semplicità ciò che San Giuseppe gli pre-
scriveva, e lo faceva nel tempo e nel modo
che San Giuseppe gli diceva. Non stava esa-
minando se il lavoro era confacente a lui o
no, se gli piacesse o no: il lavoro che mi dà
da fare San Giuseppe è quello che è voluto
da Dio, mio Eterno Padre, poiché è voluto
dall'ubbidienza, e basta. Non esaminava se
il lavoro era adattato alla sua condizione, al
suo stato, alla sua età, alle sue forze: Dio,
mio Padre, lo vuole; che posso far di meglio?
Nè contento di fare il lavoro datogli dalla
ubbidienza, cercava di farlo meglio possibile:
senza lentezza, senza precipitazione: non ne-
gligenza, non mollezza che teme la fatica. E
già può dire nella bottega di Nazareth quanto
i popoli diranno più tardi di lui: Egli ha
fatto bene tutte le cose: bene omnia fecit.
Egli poi accompagna il suo lavoro con senti-
menti interiori, che tengono unito il proprio
cuore a Dio. Ben lontano da citi nel lavoro
non si occupa che dell'azione esteriore, sen-
za uno sguardo al Signore, egli al contrario,
senza distogliere l'attenzione dal lavoro, si
occupava principalmente del suo interno: si te-
neva sempre sotto gli sguardi della divina

28.7 Page 277

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— 54 —
maestà. Dentro di lui vi era continuamente
l'intenzione di piacere al suo eterno Padre,
fin nelle più piccole particolarità. Era una
offerta così perfetta di tutto il suo essere e
di tutti i suoi momenti al sovrano dominio di
suo Padre, un'unione così intima, così conti-
nua, così ossequente di tutta l'anima sua al
creatore, che Dio Padre se ne tenne infinita-
mente onorato, e pose in lui le sue compiacen-
ze, siccome dichiarò poi sulle rive del Gior-
dano: Questi è il mio Figlio diletto in cui ho
posto le mie compiacenze. Ebbene! Questo
deve essere il tuo perfetto modello. In que-
sto medesimo modo devi studiare e lavorare:
in questo medesimo modo devi santificare i
tuoi studi ed i tuoi lavori.
2) Povertà.
In secondo luogo dobbiamo imitare Gesù
adolescente in Nazareth nella povertà. Biso-
gna ben dire che la povertà sia una gran bel-
la cosa perchè un Dio vivente sulla terra l'ab-
bia scelta per sè. Egli poteva essere ricco, so-
lo che l'avesse voluto; non dipendeva che da
lui il vivere negli splendori e nell'opulenza,
sorpassare in ricchezza tutti i prìncipi del
mondo. Ma lo splendore della povertà rapì
il suo cuore. Egli vide nella povertà il secreto
della santità. Essa distacca il cuore dagli ap-
poggi e dalle consolazioni della terra, ci di-
— 545 —
spone a ricorrere a colui che si chiama il
padre dei poveri, a pregare con confidenza
colui che è attirato ad esaudire i desideri dei
poveri; ad unirsi a Dio come all'amico più
sicuro, al protettore più ossequente, ad en-
trare così in questa vita di unione divina,
che è la consumazione di tutte le virtù. Ge-
sù pertanto abitava in una bottega povera,
portava abiti poveri, il suo era vitto da po-
vero; volle guadagnarsi il vitto come i poveri
col sudor della fronte. E tu ben capisci che
devi cercare il modo pratico di renderti sem-
pre più simile a lui nella povertà. Yedi un
po' se hai il cuore distaccato da tutto, se com-
prendi quella felicità che Dio attribuì ai po-
veri volontari: Beati i poveri di spirito perchè
di loro è il regno dei cieli. E poi vedi se ami
le camere povere, i vestiti, il vitto, il letto
povero, la fame, la sete, i disagi dei poveri;
e se dài gloria a Dio ogni volta che ti capita
di provare in pratica gli effetti della povertà.
Considera sempre che se ci fosse stato qual-
che cosa di migliore della povertà, Gesù ce
l'avrebbe insegnato coli'esempio e colle pa-
role. Insegnandoci invece la povertà, sebben
noi non lo comprendiamo ora abbastanza, è
segno che non vi è altro di meglio di essa.

28.8 Page 278

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— 546 —
3) Obbedienza.
Lo Spirito Santo ha riassunto in una sola
parola la storia di trent'anni della vita di Dio
fatto uomo, e specialmente del tempo della
sua adolescenza nella bottega di Nazareth.
Egli ubbidiva a Maria ed a Giuseppe (1). È
la terza cosa che devi riprodurre in te, ap-
prendendola dal Divino Esemplare. Scru-
tiamo un momento questo profondo mistero.
Iddio volle star soggetto ad uomini: il Crea-
tore volle ubbidire alle sue creature. E in
che cosa obbedire? In tutto, assolutamente
in tutto. E fino a qual età obbedire? Fino ai
trenta anni non si dipartì d'un punto dalle
prescrizioni di Maria e di Giuseppe. E a
quali comandi obbediva? I comandi erano
delle cose più umili ed ordinarie e di gran
lavoro ed abnegazione. Eppure egli ubbi-
diva come un umile servitore ed obbediva
prontissimamente ed allegramente, consolan-
do con l'ubbidienza i suoi e cercando di ese-
guire anche tutti i loro desideri, ripetendo
nel suo cuore la sua parola prediletta: non
sono venuto per essere servito ma per ser-
vire (2). Egli non ha volontà che per sa-
crificarla all'obbedienza, e non volle far
niente per propria soddisfazione: Christus
(1) « Erat subditus illis > (LUCA, II, 51).
(2) « Fi Un a bominis non venit ministrari, sed mini-
strare • (MATTEO, X X , 28).
— 547 —
non sibi complacuit. Non si dispensò da
cosa alcuna della vita ordinaria, nè perchè
gli piacesse, nè perchè gli ripugnasse. Tutto
il suo gusto era di lasciarsi condurre e gui-
dare dall'autorità dei suoi superiori. È dun-
que agli occhi di Dio una ben grande cosa
il vivere di obbedienza e di vita comune, se
Dio per trent'anni non volle far altro! Oh co-
me noi dovremmo continuamente e in tutto
tener sempre avanti ai nostri occhi questo
Divino modello! Non dovrebb'esserci circo-
stanza della vita in cui non si viva d'ubbi-
dienza. Dobbiamo assolutamente vedere nel
superiore la persona di Dio, nella volontà del
superiore espressa la volontà di Dio. Mera-
viglioso segreto questo, da cui proviene in
noi un'obbedienza senza tristezza e senza
mormorazione, senza ragionare nè discutere,
agli ordini ricevuti; un'obbedienza coraggiosa
nelle cose difficili come nelle più facili;
un'obbedienza infine che non vuole e non de-
-idera niente che il far piacere a Dio, per cui
uno si lascia impastare e sta come l'argilla
nelle mani del vasaio. L'esempio di Gesù
leve inspirarti ed eccitarti. Vivere d'ubbi-
dienza è la più gran fortuna di un'anima
he ha lo spirito di Gesù. Tu pertanto pro-
li ra di obbedire a Dio in tutto coll'abbando-
.'> iutiero di te medesimo nelle disposizioni
'ella sua Provvidenza, coll'assecondare sem-
re le sue ispirazioni, coli'accettare con per-
•*

28.9 Page 279

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— 548 —
fetta rassegnazione quanto possono darti oc-
casione di soffrire le creature, il caldo, il fred-
do, i dispiaceri e gl'infortuni della vita.
4) Vita nascosta.
La vita di Gesù a Nazareth fu una vita di
ritiramento e di separazione dal inondo, una
vita nascosta ed oscura. Contento d'essere
con Dio suo Padre, di contemplarlo ed essere
riguardato, d'amarlo ed esserne amato, non
ha bisogno di nulla di più per essere felice.
Non cerca il mondo, nè le sue feste, o le sue
gioie e le sue glorie, nè i suoi diversivi, e se
ne sta in perfetto ritiro. Nel ritiro s'impara
a conoscere sè medesimi, e perciò ad essere
umili, a conoscere meglio Dio e perciò ad
amarlo di più, a conoscere il mondo e perciò
a staccarsene. Visto troppo da vicino il mon-
do stordisce ed inganna; ma visto a distan-
za si vien meglio a conoscere com'esso è in-
gannatore e insensato, come i suoi giudizi
sono poco da temersi, e le sue lodi poco da
apprezzarsi. È nel ritiro finalmente che si
gusta Dio, e l'anima più libera, più raccolta
entra con lui ili quelle comunicazioni intime
che santificano e consolano. Scandaglia le tue
disposizioni a questo proposito, e metti il tuo
piacere nella vita di comunità e nel ritiro.
La vita di Gesù a Nazareth fu tutta vita na-
scosta ed oscura. Egli passò trent'anni nella
— 54 —
oscurità più profonda. Avrebbe potuto spar-
gere pel mondo uno splendore immenso per
il suo senno, per la sua sapienza, per il suo
potere; ma non volle. Preferì essere appena
conosciuto nel villaggio di Nazareth, e per di
più come un umile falegname, figlio d'un fa-
legname sconosciuto come lui. Vi erano a
quei tempi principi, re, e conquistatori fa-
mosi, che venivano esaltati da tutti e in ogni
luogo; ma Gesù non una parola volle che si
dicesse di lui. Stava nella sua bottega così
ignorato come se neppure esistesse. Ciò per-
chè egli vedeva quanto l'uomo necessitasse di
questa forte lezione, per essere distolto dal
desiderio di comparire e di mostrarsi. Egli
vedeva che tre anni sarebbero stati sufficien-
ti a predicare tutta la sua religione, e che
trent'anni non sarebbero stati troppi per in-
segnare il nascondimento, l'ubbidienza e
l'umiltà. A simili esempi confondiamoci ed
impariamo. Gesù adolescente ti serva, o caro
novizio, d'incoraggiamento e di spinta al be-
ne, ti guidi nelle vie della perfezione, cresca
in te e con te fino alla santa maturità degli
eletti. Guardalo ed amalo nel Tabernacolo,
donde ti segue, ti nutre e ti forma.

28.10 Page 280

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PABTE SECONDA
DELLA PERFEZIONE
E DEI SANTI VOTI

29 Pages 281-290

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29.1 Page 281

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CAPO I
DELLA PERFEZIONE CRISTIANA
IN GENERALE
Tu senti continuamente dire, o mio buon
giovane, che nello stato religioso bisogna ten-
dere alla perfezione, e che non è un vero re-
ligioso chi non tende seriamente alla medesi-
ma. Conviene pertanto che su questo io mi
fermi alquanto più che non su altri soggetti,
e ti spieghi prima in che precisamente con-
sista la perfezione cristiana; quindi in che
consista la perfezione a cui deve tendere il
religioso, ed a cui per conseguenza devi ten-
dere anche tu; poi ti faccia vedere con regole
pratiche e precise il modo da tenere per ar-
rivarvi, e finalmente ti esponga i motivi più
efficaci che ti devono stimolare a slanciarti
nell'impegno di conseguirla con tutte le tue
forze. E bisogna che tu mi segua in questo
con tutta l'attenzione e col desiderio ben fer-
mo di praticare quanto verrò dicendoti, poi-
ché si tratta della cosa più fondamentale del-
la vita religiosa, che tu stai per intrapren-
dere.

29.2 Page 282

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PARTE SECONDA
DELLA PERFEZIONE
E DEI SANTI VOTI

29.3 Page 283

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CAPO I
DELLA PERFEZIONE CRISTIANA
IN GENERALE
Tu senti continuamente dire, o mio buon
-iovane, che nello stato religioso bisogna ten-
dere alla perfezione, e che non è un vero re-
igioso chi non tende seriamente alla medesi-
ma. Conviene pertanto che su questo io mi
Tini alquanto più che non su altri soggetti,
ti spieghi prima in che precisamente con
sta la perfezione cristiana; quindi in che
insista la perfezione a cui deve tendere il
ligioso, ed a cui per conseguenza devi ten-
ere anche tu; poi ti faccia vedere con regole
ratiche e precise il modo da tenere per ar-
varvi, e finalmente ti esponga i motivi più
:'Gcaci che ti devono stimolare a slanciarti
rll'impegno di conseguirla con tutte le tue
-ze. E bisogna che tu mi segua in questo
•n tutta l'attenzione e col desiderio ben fer-
• di praticare quanto verrò dicendoti, poi-
si tratta della cosa più fondamentale del-
vita religiosa, che tu stai per intrapren-
to-re.

29.4 Page 284

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— 558 —
do indubitato che se vorremo essere santi se-
condo la nostra volontà, non lo saremo inai.
Per essere veramente santo, conviene esserlo
secondo la volontà di Dio ». San Bernardo
ci dice e c'inculca le medesime verità: «Si-
gnore, che volete che io faccia? Ecco il vero
contrassegno d'un'anima totalmente perfetta,
quando uno è giunto a lasciar talmente la
sua volontà, che più non cerchi, non pretenda,
nè desideri di fare quel che vorrebbe, ma so-
lamente ciò che vuole Iddio ». Da tutti que-
sti ammaestramenti dei santi, ben possiamo
conchiudere che la perfezione consiste nella
carità, e che il modo vero di praticare la ca-
rità, cioè di avere la perfezione, consiste nel-
la somiglianza, ossia conformità della pro-
pria volontà con la volontà di Dio.
Fare il bene e fuggire il male.
Ora per rendere la propria volontà simile
e conforme alla volontà di Dio. e quindi per
conseguire la perfezione, si richiede che la
persona voglia coll'affetto e adempia coll'upc-
ra tutto quello che vuole Iddio da lei. Percir
ben può dirsi che in pratica la perfezione cri-
stiana consiste nel volere e nel fare tuff
quello che vuole Dio da ciascuno di noi. Or
(piali cose vuole Dio dall'uomo? Due cos>.
—5 —
principalmente, espresse in quel detto dello
Spirito Santo: Fuggi il male e fa' il bene (1).
Vuole cioè il Signore che ci facciamo violen-
za, e comanda assolutamente sotto pena del-
la sua disgrazia e dell'eterna dannazione, che,
non ostante le nostre cattive inclinazioni, os-
serviamo intieramente la sua santa legge.
Comaada quindi la fuga di ogni peccato
mortale. Vuole anche e comanda assoluta-
mente, ma non sotto pena della sua disgra-
zia e dell'eterna dannazione, bensi solo sotto
pene temporali, la diligenza ed esattezza
nell'osservare la sua legge, e quindi la fuga
di ogni peccato veniale. Questo è quello che
vuole Iddio da noi dicendoci di fuggire il
male. Tuttavia ciò non basta, ci vuole la se-
conda cosa, che è di far direttamente opere
buone: et fac bonurn. Questo consiste nel
Praticare, secondo il nostro stato, le opere
li misericordia. Poiché protesta il Signore
li ricevere in paradiso solo quelli cui potrà
ire: Avevo fame e mi avete satollato, avevo
*ete e mi avete dato da bere, ero nudo e mi
copriste, eie. La medesima cosa ci aveva già
itto dire da Isaia: «Dividi con gli affamati
tuo pane » (2). « La vera religione presso
'io e presso gli uomini è: visitare i pupilli
l ) « Diverte a malo, et, fac bonum » (Salmi, X X X I I I ,
•2) « Frange7esurienti panem tuum • ( V i l i , 6).

29.5 Page 285

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— 56 —
e le vedove nelle loro tribolazioni > (2). Colo-
loro che si limitano alla sola e semplice
osservanza della legge divina, e quindi si
astengono soltanto dai peccati mortali, non
hanno che il fondamento ed il principio della
perfezione. Ma chi procura, per quanto gli
è possibile, di osservare anche con diligenza
ed esattezza questa legge divina, e quindi,
d'ordinario, non manca in cosa alcuna, ossia
non commette mai o quasi mai difetti o pec-
cati veniali e deliberati, e fa le opere buo-
ne volute dal Signore, questi certo confor-
ma la sua volontà alla volontà di Dio abitual-
mente, in modo pieno e perfetto, riguardo
tutto quello che Dio comanda; quindi ha la
sostanza della perfezione cristiana.
Tutti son chiamati alla perfezione.
Tutti i cristiani, cioè i discepoli di Gesù
Cristo, in qualunque stato e condizione si tro-
vino, devono procurarsi questa perfezione.
Tutti sono chiamati a questa perfezione, os-
sia, alla santità; poiché tutti sono obbligati
a praticare il Vangelo, che è legge di per-
fezione e di santità. Ed a tutti fu detto dal
(1) « Rolieio mvmda et immaeulata apud Deum
et patrem haec est: visitare pupiilos et viduas in tribù -
latione eorum, eto. » (TAC., I, 27).
— 561 —
Divin Maestro: Siate perfetti come il padre
vostro celeste è perfetto (1). Ed a tutti è indi-
rizzato il precetto dell'apostolo: Questa è la
\\ olontà di Dio, che vi facciate santi (2).
La perfezione è carità perfetta.
La perfezione del Vangelo consiste nella
piena, costante, volenterosa esecuzione dei co-
mandamenti di Dio, compendiati nei due pre-
cetti della carità di Dio e del prossimo. Con-
siste cioè in un desiderio grande, in uno sfor-
zo costante di amare Iddio, e di fare tutte le
azioni in modo che dimostrino costantemente
questo vero amore verso di lui. E questo con
intensità, cioè con tutti i nostri affetti, con
tutte le nostre forze, in tutte le opere della
nostra vita, per quanto è possibile alla nostra
debole natura. Poiché il Signore ci impose
di amarlo con tutto il cuore, con tutta l'ani-
ma, con tutta la mente, e di amare il pros-
simo come noi stessi (3).
(1) « Estote perfecti, sieut et Pater vester coelestis
perfeetus est » (MATTEO, V , 48).
(2) « Haec est voluntas Dei, sanctiflcatio vestra »
(llTessdl.,
IV,|3).
(3) • Diiiges Dominimi Deum tuum ex toto corde
tuo, et in tota anima tua, et in tota mente tua et pro-
ximum tuum sicut te ipsum » (MATTEO, X X I I , 37. 39).

29.6 Page 286

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— 562 —
La perfezione è totale consacrazione a Dio.
Siccome questa carità perfetta porta tut-
to l'uomo al suo creatore, si può dire che la
perfezione è una totale consacrazione, o sa-
crifizio, od olocausto, che l'uomo fa di se stes-
so a Dio, ad imitazione di quanto fece l'Uni-
genito suo Figliuolo, il nostro Redentore Ge-
sù Cristo. Per la quale consacrazione l'uomo
propone di non aver altro scopo in tutte le
sue azioni, tranne che il culto e l'amor di Dio.
e di non fare altra professione, nè cercar al-
tro bene o gusto sulla terra, che non sia in or-
dine di piacere a Dio e di servirlo, in modo
da poter prendere come per suo stemma e
pratica costante il Doler fare sempre tutto ciò
che piace a Dio; mai nulla di ciò che piace
a noi. Mettiti con coraggio e costanza anche in
questo assoluto proposito.
—5 —
CAPO II
DELLA PERFEZIONE RELIGIOSA
E DELL'OBBLIGO DEI RELIGIOSI
DI TENDERVI
Legge e consigli di Dio all'uomo.
Iddio benedetto, creatore e padrone di tut-
te le cose, diede a ciascuna le sue leggi, affin-
chè tutto procedesse nell'universo con ordine
ed armonia.
L'uomo fu il capolavoro della creazione,
dotato di un'anima immortale e ragionevole,
libero e destinato al paradiso. Anche a lui
Dio tracciò la via da seguire dandogli una
legge, cioè imponendogli dei comandi, prati-
cando i quali avrebbe conseguito la vita eter-
na. Oltre a ciò Iddio diede pure dei consigli,
cioè dimostrò dei desideri. La loro pratica non
è assolutamente obbligatoria; ma chi li ese-
guisce piace di più al Signore, ed è grande-
mente aiutato da quelli a procedere nella
perfezione. Questi desideri e consigli lasciati
dal Signore nel Vangelo possono tutti ridursi
a tre: la povertà volontaria, la castità per-
fetta, e l'ubbidienza in ogni cosa che non sia
peccato. Chi pertanto oltre le cose comandate

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— 564 —
osserva ancora i tre consigli suddetti, confor-
ma la sua volontà alla volontà di Dio nel mo-
do più pieno e perfetto che si possa dare.
Perciò avrà i maggiori gradi della perfezione:
poiché l'esecuzione di questi consigli evan-
gelici è atta a farci progredire indefinitamen-
te nell'amor di Dio, rimuovendo dalla mente,
dal cuore e dalla vita del cristiano ogni im-
pedimento all'amore perfetto del suo Dio e
del prossimo.
Perfezione religiosa.
Chi pratica la legge ed anche i consigli
del Signore stando nel mondo, libero di sé,
può bensì avere la perfezione cristiana e por-
tarla anche ad alto grado; ma, non avendo
vincoli speciali, è in pericolo di cedere alla
instabilità della volontà umana. Molti pertan-
to, allo scopo di assicurare meglio la loro sta-
bilità nel tendere alla perfezione, si cercano
come dei puntelli, dei legami che non li la-
scino indietreggiare, anche nei momenti in cui
l'instabilità della volontà umana volesse tor-
nare indietro. Questi legami sono i santi vo-
ti ; e quelli che li emettono si assicurano me-
glio la loro eterna salute. Questo è un punto
di primaria importanza, poiché uno nel tem-
po del fervore promette povertà volontaria,
castità perfetta ed ubbidienza in ogni cosa;
ma sopraggiunta una difficoltà, senza bada-
— 565 —-
re ad altro, fa come vuole. E sebbene rinsa-
vito si trovi poi malcontento, si troverà av-
vinghiato nel nuovo stato che intraprese. Men-
tre invece se si lega al Signore coi santi vo-
ti, nel momento del pericolo resta sorretto dai
superiori e impedito dal passo falso dal le-
garne sceltosi. E dopo passato il pericolo sarà
contento di non aver potuto cedere, e perse-
vererà nello stato nel quale si è messo. Di qui
viene l'utilità dei santi voti e il gusto che
con essi si dà al Signore. Nella professione
di questi tre consigli evangelici consiste quel-
la che si dice perfezione religiosa.
È anche essa carità perfetta.
Anche tutta la perfezione dello stato reli-
gioso in sostanza si fonda nella carità. Ed in-
fatti. come ci insegna l'angelico dottore San
Tommaso, l'unico scopo della perfezione re-
ligiosa è la perfezione della carità (1). Che se
la carità consiste nell'amor di Dio e del pros-
simo, ne segue che la perfezione della carità
viene a restringersi sostanzialmente nella per-
fezione di quest'amore, da procurarsi con ogni
sforzo, da coltivare seriamente senza interru-
zioni, rimuovendo da noi con grande impegno
lutto ciò che vi si oppone, ed esercitandoci
indefessamente in tutto quello che può con-
t i ) « Perleetio charitatis est finis status religionis

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— 566 —
durre al suo conseguimento. I tre consigli
evangelici altro non fanno, che aiutarci ad
arrivare più facilmente e più sicuramente al-
la vera perfezione cristiana. E coi santi voti
non si fa altro che assicurare la costanza e
la fedeltà alla divina grazia. Con detti mezzi
si è posti fuori dei pericoli e si è più aiutati
a conseguire la perfezione dell'amor di Dio.
È d'obbligo stretto a tutti i religiosi.
Il santo edilìzio della perfezione per noi
religiosi non è un'opera nè arbitraria, nè di
mera supererogazione. Forma anzi uno dei
principali nostri doveri. Poiché il fine proprio
del religioso vien riposto nella perfezione, è
giustamente da concludere che siamo stretta-
mente obbligati a fare dal canto nostro quanto
più possiamo per conseguire questofine, impie-
gandovi i mezzi necessari ed utili allo scopo.
Nota solo, a scanso di scrupoli o di timori in-
debiti, che l'obbligo dei religiosi non è di es-
sere perfetti, ma bensì di aspirare a diventar
tali, e porre in opera tutto ciò che può condur-
li alla perfezione corrispondente al loro stato.
In forza adunque di tale dovere, non sta-
rebbe sicuro in coscienza non solo quel reli-
gioso il quale avesse una volontà diametral-
mente opposta alla perfezione, o che fosse af-
fatto spoglio d'ogni buon desiderio d'acqui-
starla; ma quegli ancora che lasciasse inope-
— 57 —
rose le sue brame, non facendo nulla o assai
poco di buono. Opere dunque ci vogliono e
frutti di santità! Guai a chi tiene inoperoso
il talento che il Signore gli diede! E perciò
San Girolamo grida: Guai al religioso che non
produce frutti di santità (1).
Il religioso chiamato da Dio alla religio-
ne col preciso scopo di camminare per le vie
della perfezione, vi è stato chiamato a salvar-
si a questa condizione. E se egli non manda
ad effetto questa condizione, conchiude San
Bernardo, neppur si salverà. « Mi son note le
tue opere, scrisse San Giovanni al vescovo di
Sardi, intiepidito nella carità: tu credi d'es-
ser vivo: ma quel Dio che ti vede, mi ordina
di farti sapere che sei morto dinanzi a lui ».
E perchè? Perchè non trova piene le sue ope-
re al divin cospetto. Vale a dire, come spie-
ga Cornelio a Lapide, perchè le scorge prive
di perfezione, mentre come vescovo era ob-
bligato alla perfezione. Così deve dirsi del re-
ligioso che con facilità commette ad occhi
aperti colpe veniali, e che mai si esercita nella
virtù; di quegli che asseconda le voglie del-
i amor proprio, che sfoga le passioncelle, che
non sa accomodarsi ad una minima mortifi-
cazione.
Che dire poi di colui che, coll'abitudine
(1) « Vae lille, vae, qui non produxerunt germina
^nctitati s

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della sua dissipazione, porge ai suoi confratel-
li motivo di mal esempio; quegli che sebbe-
ne si astenga da colpe gravi, tuttavia trascu-
ra le veniali? Egli no, non sarà vivo avanti
a Dio, ma morto e miseramente morto alla
sua grazia, perchè reo di una omissione gra-
vemente peccaminosa. Tu paventi, figliuol
mio, e tremi alla considerazione di siffatte
cose! Ebbene: temi pure, trema; ma il tuo
spavento sia santo e il timore salutare.
11 Signore ci dice che son molti i chia-
mati e pochi gli eletti (1). Tieni sempre la tua
volontà avida di perfezionarsi, così verrai
ancora ad essere partecipe di quella beati-
tudine che Gesù Cristo promette a coloro
che avranno della perfezione fame e sete (2).
Nello stesso tempo ricordati e prendi lena: il
Signore è con te. Come disse a Giosuè, così
dice ora a te: Io sarò teco, non ti lascerò, non
ti abbandonerò. Non hai a confidare nelle tue
forze, le quali son certamente fiacche; devi
riporre la confidenza in Dio. La sua possanza
sa operare grandi cose anche con deboli stru-
menti. Che vuoi di più? S'egli dunque con
l'averti chiamato allo stato religioso ti chiamò
alla conquista della perfezione, ti darà mano
forte perchè possa riuscire.
(1) «Multi sunt vocati, pauci vero electi ».
(2) « Beati qui esuriunt et sitiunt iustitiam, quo-
niam ipsi saturabuntur ».
Bisogna quindi amare il Signore.
Ma per arrivare alla perfezione bisogna
amare molto, e molto desiderare la carità, che
è l'amor di Dio. Non merita essa tutti i più
accesi desideri, tutte le fatiche, tutti i sacri-
fizi? Qual altra cosa più dilettevole e con-
solante di questo santo amore? Bisogna gu-
starlo, e poi si vedrà quanto sia soave l'amor
di Dio (1). Felice quel religioso che aspira
continuamente ad esso. Entrando egli nell'a-
moroso cuore di Dio, ne gusterà le amabili
dolcezze. E pieno di santo gaudio esclamerà:
Quanto, oh quanto è dolce, o Signore, il tuo
spirito! (2) È proprio vero che lo spirito del
Signore è più dolce del miele! (3). Queste so-
no le vere consolazioni, queste le delizie, che
non conosce se non chi ama veramente Iddio,
e chi cerca almeno di perfezionarsi nel suo
santo amore.
La perfezione esige tempo e fatica.
Questo della perfezione, non è un affare
da condursi a buon fine con tutta facilità, nel
corso di una settimana o di un mese: è cosa
(1) « Gustate, et videte quoniam suavis est Domi-
nus » (Salmo, X X X I I I , 8).
(2) « O quam suavis est, Domine, spiritus tuus ».
(3) « Spiritus tuus super mei dulois, et hereditas
tua super mei et favum ».

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— 570 —
che richiede tempo e tempo, studio e fatica.
Richiede sforzi ed industrie per emendare
ora 1111 difetto, ora un altro, e segnatamente
energia e costanza per sradicare i difetti abi-
tuali e più gravi. Anzi bisogna impiegarvi,
come dice San Girolamo, una somma fatica
ed un continuo sforzo; ed è a proporzione del-
lo sforzo che andrà aumentando l'opera del-
la perfezione (1). Che se, anche con tutte le
applicazioni ed insistenze dello spirito, non
si giungesse a perfezionare noi medesimi,
perchè troppo lenta è l'emendazione dei
propri mancamenti, non è ciò un motivo
di sgomento. Che anzi bisogna raddoppiare
gli sforzi, sempre per altro implorando
con umiltà di cuore gli aiuti del Signore,
senza di cui non è sperabile l'emenda del-
le colpe veniali, secondo l'insegnamento del
sacro Concilio di Trento (Sess. 6, can. 23).
Allorché si avvicinava il tempo della guerra,
comandò Iddio ai capitani del suo popolo,
che, radunati in ordinanza militare i rispet-
tivi battaglioni, ognun di essi parlasse alle
sue squadre: «Chi fra voi è timido di cuore
e facile a sbigottirsi, non è uomo atto pel
combattimento; se ne vada dunque, e torni
a casa sua (2) ». Questa formola ordinata al-
l'incoraggiamento dei guerrieri, era per altro
(1) « Tantum profeceris, quantum tibi ipsi vim
intuleris » (Epìst. ad Eust.).
(2) « Quia est homo formidolosus et corde pavido?
Yadat et revertatur in domum suam ».
— 57 —
preceduta da un'altra che aveva pronunciata
innanzi, d'ordine di Dio, il sacerdote in faccia
all'esercito, concepita così: « Ascoltatemi, fi-
gliuoli d'Israele; essendo voi prossimi ad im-
pugnar le armi contro dei nemici, non vi sgo-
mentate; bandite pur dal vostro petto ogni
timore, sicuri come siete di avere in mezzo di
voi il vostro Dio, il quale combattendo con-
tro gli avversari a favor vostro, vi sottrarrà
colla sua potenza ad ogni pericolo (1) ».
Quindi abbi coraggio e costanza.
Se pertanto con tutto lo studio e la fatica
che tu impiegherai, figliuol mio, per emen-
darti dalle tue giornaliere debolezze, la tua
fragilità ti facesse essere nondimeno incostan-
te, non ritirarti dall'impresa cominciata, non
abbandonar vilmente il campo della battaglia
spirituale, nè deporre le armi impugnate per
debellare i mali abiti. Non arrenderti, io dico,
a queste voci risvegliate nel tuo interno da
pusillanimità, non temere la resistenza dei
tuoi spirituali avversari. Iddio, che ti è pre-
sente, e che sta mirando le tue buone inten-
zioni, la fatica che fai per abbattere i ne-
(1) «Non pertimescat cor vestrum, nolite timere,
nolite cedere; Dominus Deus vester in medio vestri
est, et prò vobis contra adversarios dimicabit, ut eruat
vos de periculo ».

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mici della sua gloria, benedirà i tuoi desideri,
aiutandoti coi soccorsi della sua grazia ad
acquistar di giorno in giorno nuove forze, af-
fili di riuscirne pienamente vittorioso. Dio dai
nostri medesimi mancamenti ritrae sovente
un gran bene, porgendoci motivo di ricono-
scere per mezzo di essi la nostra propria de-
bolezza, e quindi di umiliarci e non confidare
nelle nostre forze ma solo in lui.
Bisogna mortificare le passioni ed eserci-
tarsi nelle virtù.
Al dir di Sant'Agostino, l'aumento della
carità dipende dal saper tenere regolate le
passioni. Quando queste saranno soggette, la
carità nostra sarà perfetta. Ciò si ottiene po-
sitivamente esercitando le virtù opposte, e
non poche volte o per poco tempo, ma sem-
pre ed in ogni occasione. Parlo qui delle vir-
tù morali, le quali, pur infondendosi da Dio
come le teologali, debbono svolgersi coll'eser-
cizio assiduo e costante. Praticando questo,
vengono ad un tratto spesso ad eseguirsi am-
bedue gli insegnamenti prescritti dal profeta,
sopra i quali si appoggia tutta l'opera della
perfezione, che, come sopra ti dissi, consiste
nell'astenersi dal male e nel fare il bene: di-
verte a malo et fac bonum. Questa sia per-
tanto, figliuol mio, una delle principali tue
premure in sì grande opera della perfezione.
Mutivi di tendere alla perfezione.
E per quali motivi abbiamo da indurci ad
attendere con tanto impegno all'acquisto del-
la perfezione? Eccone i principali: 1) Il co-
mando che ce ne fa nostro Signore con quelle
parole: Siate adunque voi perfetti com'è per-
fetto il Padre vostro che è nei cieli (1). E con
quelle altre: Questa è la volontà di Dio clie
vi facciate santi (2). 2) La gloria ed il gu-
sto che si dà a Dio attendendo alla propria
santificazione. Sant'Alfonso dice esser più
gradita agli occhi di Dio un'anima sola per-
fetta, che mille imperfette. Anche Santa Te-
resa dice « che da una persona che sia perfet-
ta si glorifica assai più il Signore che da
molte di ordinaria bontà ». Di modo che se
tu desideri di far cosa molto gradita al Si-
gnore e dargli il maggior gusto che ti sia pos-
sibile. attendi continuamente a perfezionarti
sempre di più; a pulire e ripulire sempre me-
glio l'anima tua. 3) La certezza e sicurezza
inorale di conseguire l'eterna salute, perchè
attendendo alla perfezione, e perciò all'amor
puro di Dio, per mezzo della preghiera, del-
la frequenza ai santi sacramenti, delle opere
(1) «Estote ergo vos perfecti sicut et pater vester
coelestis perfectus est » (MATTEO, V, 48).
(2) ' Haec est voluntas Dei santificalo vestra.
Sancti estote ».

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— 574 —
buone, si otterranno da Dio grazie ed aiuti
specialissimi, e perciò resterà assicurata l'e-
terna salute. 4) La certezza di stare brevis-
simo tempo in purgatorio, se pure non si an-
drà subito dopo morte in paradiso; perchè at-
tendendo alla perfezione ed alle pratiche di
pietà, e così acquistando moltissimi meriti,
espierai nella vita presente le pene a te dovu-
te per i tuoi peccati. 5) L'immensa gloria
che si avrà in paradiso. Questa per te sarà
grandissima, straordinaria; cioè tanto mag-
giore, quanto maggiori saranno i meriti ac-
cumulati. 6) La pace, la contentezza, le con-
solazioni e delizie ineffabili che godrai, de-
lizie affatto sconosciute ai mondani, e le
quali Iddio, non di rado ancor nella vita pre-
sente, porge a gustare alle anime sue spose,
e sono come un saggio, una goccia di quel
gaudio infinito, che per loro tien preparato
nel santo paradiso. 7) Finalmente ti alletti ed
induca alla perfezione cristiana la facilità di
attendervi, ed anche di conseguirla. Poiché,
ti ripeto, non si richieggono opere straordina-
rie, non aspre penitenze, non fatiche intolle-
rabili, ma solo si richiede amore. Sì, amor
grande, amor generoso, amor forte, amor co-
stante verso il Signore! E quindi per amor
suo osservanza esatta della sua legge, adem-
pimento diligente dei doveri del proprio sta-
to, pratica amorosa e costante delle virtù a
lui più care.
— 57 —
Tutto ciò è facile, dolce e soave.
È facile, perchè Gesù colla sua grazia c'in-
fonde la forza di vincere tutte le difficoltà:
è dolce perchè egli riempie di piacere, di con-
tento, di gaudio, le anime che lo seguono: è
soave, com'egli stesso dichiara dicendo: « Il
mio giogo è soave, il mio peso è leggero (1) ».
O mio Dio! mio Dio! per un bene terreno si
fatica, si stenta tanto, e per voi si fa poco
o nulla! E tu ravviva, figliuol mio, continua-
mente su di ciò i desideri del tuo cuore. Espo-
nili sovente a Dio, il quale, guardandoli con
occhio di benignità e di misericordia, li ren-
derà compiuti (2). Non stancarti mai, nè
mai tenerti per contento del progresso fatto:
bisogna farne sempre di più. Nessuno è già
tanto perfetto che non possa essere più per-
fetto (5), come dice San Bernardo. O meglio,
come ci dice San Giovanni: Chi è giusto si
faccia ancor più giusto, chi è santo si faccia
ancor più santo (4).
(1) Iugum meum suave est, et onus menni leve •
(MATTEO, X I , 30).
(2) « Deslderium pauperum exaudivit Dominus ».
(3) « Nemo quippe perfectus, qui perfectior esse
non possit ».
(4) « Qui iustus est, iustificetur adhuc, et sanctus
sanctificetur adirne ».

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— 576 —
CAPO III
MEZZI PER ARRIVARE
ALLA PERFEZIONE
1) Desiderare la perfezione.
Per l'acquisto della perfezione son neces-
sari vari mezzi. Ma il primo è anche la chia-
ve, di tutti gli altri: consiste nell'avere di es-
sa un vero desiderio ed una vera volontà. E
la ragione di questo è che nessuno potrà
mai fare l'acquisto di una cosa, se prima non
la desidera. Onde tu non potrai acquistare
anche solo il minimo grado di perfezione,
qualora non ne abbia un vero desiderio. Ci
vuole violenza grande e continua per arri-
vare a rinnegare noi stessi e per far sempre
ciò che piace di più al Signore. Per renderci
capaci di questa violenza, si richiedono pre-
ghiere e spirito di sacrificio. Bisogna poi pren-
dere costantemente i mezzi opportuni. E e.>-
me si sarà disposti a farsi tanta violenza, ed
a prendere tutti questi mezzi, se non si de-
sidera ardentemente il fine?
— 577 —
a) Desiderarla ardentemente.
Questo desiderio non deve essere un desi-
derio qualunque, bensì un desiderio ardente.
Scrive Sant'Alfonso: «Della perfezione non
basta avere un tal quale desiderio: i desi-
deri deboli son più dannosi che utili, perchè
fanno che uno si adagi e s'addormenti nelle
sue imperfezioni ». Deve pertanto il deside-
rio della perfezione essere grande, generoso
ed efficace. Dev'essere grande, cioè ardente,
intenso, assai forte. In quel modo che quan-
to è maggiore il desiderio che ha un viaggia-
tore di giungere alla patria, tanto più studia
il passo ed affretta il cammino; così quanto
è maggiore il desiderio che un'anima ha di
farsi santa, tanto più si sforza di mettere in
pratica i mezzi necessari per santificarsi, e
procura di crescere nella virtù della mortifi-
cazione. Onde poi per questi suoi sforzi e pre-
mure sicuramente giunge alla santità e perfe-
zione. Deve anche essere grande questo desi-
derio di perfezione perchè incontra alle volte
molti ostacoli e forti difficoltà, posti innanzi
dal demonio e dalle passioni. Ora se la per-
sona ne ha desideri piccoli e freddi, all'aspet-
to di tali difficoltà si spaventa, si avvilisce,
ed abbandona il cammino della perfezione.
Al contrario se ne ha grandi ed ardenti desi-
deri, prende gran coraggio e confidenza in
Dio, e con grande risoluzione e fortezza af-
fronta e vince le difficoltà, trionfa degl'im-
i

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— 578 —
pedimenti, compie i sacrifizi necessari, e co-
sì si fa santa. La nostra natura, guasta com'è,
è sempre contraria al bene, alle virtù e so-
prattutto alla mortificazione. Perciò quando
la persona vuol fare un atto di virtù o di
mortificazione, la natura sempre ripugna, la
trattiene e ne la impedisce. Se tu quindi hai
desideri piccoli e freddi di giungere alla per-
fezione, sta sicuro che dalla tua natura sa-
rai vinto, e giammai ti riuscirà di far nulla
di bene. AI contrario se grandi ed ardenti so-
no i tuoi desideri, certo riuscirai; giacche il
desiderio spiana la via all'opera, e il deside-
rio della virtù facilita l'acquisto della mede-
sima.
b) Desiderarla generosamente.
Il desiderio della perfezione in secondo
luogo deve essere generoso, e ciò vuol dire
che deve mirare a cose grandi e sublimi. Il
religioso non deve contentarsi di una bontà
mediocre e comune come sempre sogliono fa-
re le anime tiepide, ma bensì deve aspirare
con gran coraggio e generosità ad una per-
fezione sublime e non ordinaria, cioè a farsi
veramente santo e gran santo. Scrive Santa
Teresa: « Molto giova il farsi animo a cose
grandi; poiché quantunque l'anima non abbia
subito le forze, dà non di meno un generoso
volo e arriva molto avanti » (Vita, XIII, 70).
— 57 —
E parlando delle anime timide, avvilite e sfi-
duciate, dice di non averne veduta alcuna,
che in molti anni cammini tanto, quanto quel-
le altre animose, in pochi giorni. Di qui con-
chiudi, che per fare un poco ci bisogna de-
siderare di far molto; e per far molto bisogna
desiderare di far moltissimo. Iddio è amico
delle anime generose, quando vadano con
umiltà ed affatto diffidate di loro stesse.
Conviene pertanto sapere eccitare nel nostro
cuore quei desideri ardenti, generosi, immen-
si, che avevano i santi. Bramavano essi di
amar tanto Iddio, quanto egli ne è degno; od
almeno tanto, quanto lo amano la Madre sua
ed i beati comprensori lassù in cielo. Quindi
bramavano con grande ardore di adempir
sempre e in ogni cosa la divina volontà: di
dare a Dio la maggior gloria ed il maggior
gusto possibile. Bramavano inoltre che Egli
fosse conosciuto, amato, servito dalle creatu-
re tutte. Quindi ardevan dal desiderio della
conversione e salvezza delle anime peccatrici.
E per l'amore di Cristo bramando il patire,
cercavano la povertà, le umiliazioni, i disprez-
zi: godevano delle infermità, dei dolori, delle
tribolazioni, e delle croci. Sopra tutto ardeva-
no dal desiderio di porgere a Dio la maggior
prova d'amore col soffrire i tormenti e la
morte, cioè il martirio per la fede. Nè conten-
ti di desideri vaghi, lavoravano a più non
posso per propagare il bene ed evitare il ma-
le. In generale poi, col desiderio di andar pre-

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sto a godere Iddio in paradiso, non temevano
la morte, anzi la bramavano e la domanda-
vano con sospiri e lacrime, e la vedevano ap-
prossimarsi con allegrezza. Sopportavano
quindi con rassegnazione ed anche con alle-
gria le grandi malattie, ed i più crudeli tor-
menti, che per lo più accompagnavano la
morte stessa, e non cercavano comodità e sol-
lievo, persuasi che con le malattie e i pati-
menti sempre più si purificavano, e che con
la morte terminava l'esilio e si arrivava al-
la beata patria, dove si sarebbe amato e go-
duto Iddio per tutta l'eternità. Ecco le bra-
me ed i sospiri dei santi; brame e sospiri in-
fuocati e generosi che devi procurare di ave-
re anche tu, e che ti aiuteranno a progredire
grandemente nei bene, se procurerai che essi
non stiano solo nel cuore, ma che si effettuino
in tutto quello che ti concedono le forze e
le circostanze. Tuttavia non devi temere che,
sentendo il tuo cuore freddo e senza nessun
trasporto e fervore, tu non possa avere questi
ardenti desideri. Tali desideri non stanno nei
teneri o forti sentimenti del cuore, bensì e
unicamente negli atti liberi della volontà. Per-
ciò anche senza sentire nessun trasporto o
fervore, tu puoi benissimo colla tua volontà
concepire e formare brame così ardenti e ge-
nerose. Procura solo di non lasciarti inganna-
re dal demonio, il quale molte volte non cer-
ca per nulla d'impedire questi santi desideri.
Anzi quasi li fomenta, affinchè, contenti di
essi ed invaniti dal loro splendore, trascuria-
mo poi le virtù ordinarie, e lasciamo da parte
i nostri doveri. Bisogna far prima di tutto
ciò che si può per far bene le opere ordina-
rie: fare continuamente tanti piccoli atti di
virtù; e poi aver desiderio di fare sempre
» di più, ed anche cose straordinarie, se il Si-
gnore le vorrà da noi. Sono ben stolti coloro,
scrive San Francesco di Sales, che si diverto-
no a desiderare di essere martirizzati, ed in-
tanto non pensano a ciò che è di loro dovere
secondo il loro stato, e non sanno soffrire con
pazienza le piccole cose che occorrono nella
giornata.
e) Desiderarla efficacemente.
Finalmente il desiderio della perfezione
deve essere efficace; e vuol dire che non de-
ve fermarsi ai soli sospiri, nè finir tutto in
^ole parole. È necessario bensì che diventi una
volontà vera, risoluta, fermamente decisa di
conseguire la perfezione. E questo richiede
the si prendano risolutamente i mezzi per
conseguire il fine propostosi. Alla volontà de-
ve corrispondere subito l'opera e il fatto. Bi-
>ogna cominciare subito, non perdere mai tem-
;)o: Iddio ti chiama adesso, domani forse non
ti chiamerà più. Perciò lo Spirito Santo ci av-
visa: qualunque cosa può fare la tua mano.

30.6 Page 296

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falla sull'istante (1). Dunque fin d'ora usa tut-
ta l'attenzione e vigilanza possibile, per evi-
tare qualunque peccato veniale e difetto de-
liberato. Comincia subito a mortificare i tuoi
sensi, le tue inclinazioni, la tua volontà. Fin
d'ora scaccia da te ogni affetto disordinato,
anzi ogni oggetto e cosa che t'impedisca di
esser tutto di Dio. Lascia tutte le compagnie,
amicizie, occasioni, che, impedendoti il rac-
coglimento e l'unione con Dio, ti rendono dis-
sipato e tiepido. Comincia subito a pratica-
re la frequenza ai sacramenti, l'assiduità al-
l'orazione, a praticare l'umiltà, la pazienza,
la mansuetudine, la carità, la modestia, la pe-
nitenza e le altre cristiane virtù. Se la natu-
ra ripugna, se le passioni si oppongono, co-
raggio e confidenza, che Dio ti aiuta, ti so-
stiene, ti guida! E se ti riesce difficile ed ama-
ro il principio, facile e dolce ti tornerà il pro-
gresso e la fine.
2) Avere la purità d'intenzione.
Altro mezzo essenziale per l'acquisto del-
la perfezione è la purità d'intenzione. Con-
siste in questo, che la persona, quando fa
un'azione qualunque, non abbia nel farla al-
cun fine cattivo e neppure abbia un fine pu-
t ì ) « Quodcunque facere potest manus tua, instan-
ter operare » (Ecclr,., I X , 10).
— 583 —
ramente naturale ed umano; ma sempre un
fine soprannaturale e santo. Dall'intenzione
più o meno buona dipende il piacere l'opera
più o meno a Dio, il farci si o no dei meriti.
Conviene dunque sommamente in ogni azione
purificare l'intenzione, proponendoci sempre
nelle opere un fine soprannaturale. Questo fi-
ne soprannaturale può essere in se stesso di
tre maniere o di tre gradi: 1) derivante dai
timore santo di Dio: ed è quando uno fa ope-
re buone ed atti di virtù per espiare le pene
meritate coi peccati commessi, o per evita-
re l'inferno: e questo fine è buono; 2) deri-
I Dante da speranza; ed è quando uno fa opere
buone pel desiderio di procacciarsi maggior
-rado di gloria nel santo paradiso: e questo
fine è anche migliore; 3) derivante da amore:
ed è quando uno fa le opere buone mosso dal
desiderio di adempiere la volontà di Dio, e
quindi di dargli il maggior gusto e piacere.
)r questo fine è l'ottimo, e più meritorio de-
-li altri due, perchè deriva da puro amore
erso Dio. Domanda qui Sant'Alfonso, se sia
neglio o più sicuro operare per il fine di fa-
I e la volontà di Dio, oppure operare per il
;ne di accrescergli la gloria, cioè di dargli
a maggior gloria e piacere. Ed afferma il
I -anto, esser cosa migliore e più sicura opera-
per il fine di fare ed eseguire la volontà di
ìio. Perchè, dice, così eviteremo ogni in--
l -anno dell'amor proprio. Molte volte noi, col
•retesto che quella cosa sia di gloria a Dio,
2C

30.7 Page 297

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— 584 —
facciamo la volontà nostra: ma all'incontro
quando noi crediamo d'eseguire la divina vo-
lontà e quello che più piace a Dio, non pos-
siamo mai errare. Ed intendiamo bene, sog-
giunge, che nel fare la volontà di Dio è la
maggior gloria che gli possiamo dare (1). Do-
po ciò tu comprendi che per rendere tutte
le opere tue sante e gradite al Signore, me-
ritorie dell'aumento di grazia interna e di glo-
ria in cielo, devi compirle principalmente per
adempire la sua santissima volontà, facendo
sempre quel che maggiormente piace a Dio
e non con l'intenzione di dargli maggior glo-
ria ed il maggior gusto. Secondariamente puoi
anche intendere di scontare le pene dei tuoi
peccati, ed ottenere in cielo maggior gloria
e beatitudine.
Necessità della retta intenzione.
Tornando alla retta intenzione essa è ne-
cessaria per l'acquisto della perfezione. E ciò
per varie ragioni che qui verrò esponendo
alla tua considerazione. Per piacere intiera-
mente al Signore, ossia per conformare piena-
mente la nostra volontà con la sua, e quindi
per divenire perfetto, non basta far tutto
.quello che Iddio ci comanda e ci consiglia.
(1) Monaca santa, cap. X I X , 9.
—5 —
Neppur basta farlo in quel modo che egli
vuole; ma altresì è necessario farlo per quei
fini e con quelle intenzioni, che egli vuole.
Ciò è indubitato e chiaro. Ora qual è il fine,
che Iddio maggiormente gradisce in tutte le
nostre operazioni? Certamente quello per cui
ci ha creati. Iddio ci ha creati per un line
soprannaturale: ci ha dato il dono della fede
e la grazia per conoscere cotesto fine, per de-
siderarlo, per conseguirlo. Egli quindi vuole
assolutamente e comanda che noi procuriamo
di raggiungerlo. Per questo mentre ci proibi-
sce di operare contro tal fine, con qualunque
peccato, almeno desidera, anzi (secondo l'opi-
nione di molti santi dottori) vuole e comanda
che noi operiamo sempre e del continuo per
esso: cioè che al nostro fine soprannaturale
noi dirigiamo tutti i nostri pensieri, affetti,
discorsi, azioni, qualunque essi siano. Però
non è necessario che sempre vi sia attuale vo-
lontà di avvertenza, il che sarebbe cosa im-
possibile, ma è sufficiente l'intenzione vir-
tuale. Pertanto ben vedi come l'aver di mira
questo fine soprannaturale in tutte le azioni
tue, l'aver quindi la purità d'intenzione, sia
mezzo essenziale per adempiere interamente
e in ogni cosa la divina volontà e così con-
seguire la cristiana perfezione. Senza la pu-
rità d'intenzione, anche le opere in se stesse
buone e sante, diventano in certi casi cat-
tive, o di nessun merito, perchè fatte con un
L

30.8 Page 298

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fine cattivo o indifferente; mentre invece con
la purità d'intenzione, le opere anche mini-
me ed indifferenti, e per se stesse nè buone
nè cattive, e quasi inutili al bene dell'anima,
diventano sempre di grande eccellenza e me-
rito. Purifica pertanto le tue intenzioni, esclu-
dendo da esse ogni fine che ti venga sugge-
rito dalle tue inclinazioni e dal tuo amor
proprio. Scrive il Salesio: Il far bene le ope-
razioni consiste nel farle con una intenzione
molto pura, e con una gagliarda volontà di
dar gusto unicamente a Dio. Questa è come
la forma e l'anima delle nostre azioni, quella
che dà ad esse tutto il valore e che le rende
ancora facili e gustose.
Regola dell'intenzione.
Se il fine dell'intenzione è la gloria di Dio,
sua regola è la divina volontà. Essa si mani-
festa ordinariamente per mezzo delle costi-
tuzioni e dei comandi dei Superiori. L'ubbi-
dienza è quindi il sigillo della santità in
tutte le azioni. Ma bisogna che essa intenda
la gloria di Dio e la salvezza delle anime. I
suo sguardo interiore deve tenersi rivolto a
Signore.
La divina volontà si manifesta ordinaria-
mente anche mediante le esteriori circostanze
e le interne ispirazioni; sempre però inteso
che anche in questo sia salva, rispettata e
preferita l'ubbidienza, come tramite più si-
curo delle divine intenzioni. Quando dunque
la volontà dei superiori, o le circostanze ester-
ne, o gli impulsi interni ti portano a qual-
che opera buona, devi intraprenderla ani-
mosamente e volentieri, ed eseguirla con de-
dizione assoluta di tutto te stesso. Gesù ha
spinto il suo sacrificio per la gloria del Pa-
dre e la salvezza delle anime fino agli ec-
cessi del Calvario e del Tabernacolo; e tu
lesinerai e t'arresterai? E sappi che il reli-
gioso gettato nelle faccende dall'ubbidienza,
e sempre più spintovi dalle circostanze e dal-
la carità, diviene maggiore di sè, capace di
cose grandi e difficili, senza nulla perdere
dell'unione con Dio, il cui beneplacito è la
forza del suo volere e l'incanto del suo cuore.
So di un confratello, ritiratosi presso di noi
proprio per ripugnanza alla responsabilità di
parroco, e posto poi dall'ubbidienza a reg-
gere una parrocchia più grande e difficile
della prima. Disimpegno volentieri il suo uf-
ficio, perfettamente tranquillo di tutto. « Pri-
ma, egli diceva, non ero sorretto dall'ubbi-
dienza in modo così particolare; ora conosco
con precisione la volontà di Dio, e vado sem-
pre avanti sapendo che egli vuole così. Vedo
he si fa del gran bene; ma conosco che esso
non dipende per nulla da me, bensì dal me-
rito dell'ubbidienza ».

30.9 Page 299

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— 588 —
Sacrificare le preferenze.
Bisogna stare attenti d'abbracciare le va-
rie opere di carità senza avere per l'una o
per l'altra una volontaria predilezione, che
assecondi il gusto o le viste proprie. Bisogna
rinnegare se stessi, abbracciando solo quel
che piace a Dio, e perchè piace a Dio. Il
nostro confratello principe Don Augusto Czar-
toryski si può dire siasi santificato colla pra-
tica di questo principio. Egli, educato in
un'atmosfera ben diversa dalla nostra ordi-
naria, non avrebbe saputo fare grandi cose
a prò dei giovanetti, secondo il nostro me-
todo. Ma faceva quanto gli si diceva, e nel
modo che gli si diceva, e tutto il suo studio
era nel farlo nel modo più perfetto che gli
fosse possibile. Lasciato alcune volte libero
di fare o di non fare una cosa, di farla più
in un modo che in un altro, mi soggiungeva:
« Ella mi mette in un grande imbarazzo; io
voglio farla nel modo più perfetto che mi
sia possibile: se mi dicono il modo, so che
facendola nel modo che mi dicono è la cosa
più perfetta, se non mi dicono il modo, io
per pensare a quale sia il modo più per-
fetto mi confondo e non so più far nulla ».
E cercando di fare sempre tutto secondo
obbedienza e nel modo più perfetto, in brevi
anni si accumulò un numero di meriti, che
credo farà meravigliare tutti noi nel dì del
giudizio. Operando così anche nelle mag-
—5 —
giori battaglie e nelle faccende più opposte,
tu conserverai sempre la pace e la tranquil-
lità interna. È solo l'amor proprio, o il pro-
porsi qualche fine umano, che reca sempre
qualche po' di turbamento. Quando pertanto
nelle tue occupazioni ti trovassi un po' tur-
bato, esaminati subito per conoscerne la ca-
gione, e verrai in chiaro, che quella fu pro-
dotta o dal far ciò che ti piace, o da una fine
superbia, o da una sensibilità non dominata:
insomma da un inganno del nemico. E allora
tu procura subito di metterti a posto davanti
a Dio.
I doni dello Spirito Santo.
La scienza dei santi di cui t'ho parlato,
è premio degli sforzi nostri e della nostra
mortificazione interiore; ma più ancora è
grazia dello Spirito Santo. I suoi doni agi-
scono nell'anima, l'istruiscono, l'eccitano e la
sostengono nell'attività. Invoca di cuore que-
sti santi doni nel « Veni Creator Spiritus »,
nel « Veni Sancte Spiritus », bellissime pre-
ghiere che ti raccomando di ripetere, di ca-
pire e di meditare. Chiedi l'intelletto con
cui penetrare nelle sublimi verità della fede,
la sapienza con la quale giudicare retta-
mente nelle cose divine, la scienza con cui
giudicare secondo Dio delle cose umane, il
consiglio per dirigerti ed applicare le verità

30.10 Page 300

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—5 —
apprese nelle azioni particolari della tua vita.
Ricorda clie da Dio viene ogni dono ed ogni
lume. La gravità, la consideratezza e la ma-
turità che devono distinguere un religioso, e
di cui tu tanto abbisogni, sono anche grazie
dello Spirito Santo. Invocalo e pregalo.
Nelle azioni indifferenti...
Vi sono molte opere che per se stesse sono
indifferenti, cioè nè buone nè cattive. Anche
esse acquistano grande bontà e merito se
sono fatte con buona intenzione; mentre in-
vece diventano cattive e causa di demeriti,
se fatte con cattiva intenzione. Queste opere,
indifferenti per sè, non possono essere affatto
indifferenti nella persona che le compie, per-
chè essa le compirà sempre con un qualche
fine: e però, come insegna San Tommaso, sa-
ranno tali, cioè o buone o cattive, quale sarà
il fine per cui vengono fatte. Di queste a-
zioni per sè indifferenti, ve ne sono di due
sorta: alcune sono gradevoli, altre invece la-
boriose e disgustose. Le gradevoli sono il
mangiare, il bere, il vestirsi, ii passeggiare,
il conversare, il ricrearsi in onesti diverti-
menti e simili. Ora coteste azioni puramente
naturali, dagli individui, cioè da noi, sono
sempre fatte con un fine. Questo fine può es-
sere indifferente, o cattivo o buono. Se si
fanno indifferentemente non avranno alcun
— 591 —
valore soprannaturale, se si fanno con un
fine buono saran meritorie. Se pertanto tu
compi siffatte azioni senza punto dirigerle
mai a qualche scopo e fine soprannaturale,
ma solo per soddisfare ai bisogni tuoi na-
turali, non avranno nè merito nè demerito.
Se pure è possibile in pratica emetterle sen-
za nessuna intenzione! Che se poi tu mangi
per contentare la gola, vestendoti ti acconci
le robe in dosso con qualche ricercatezza
per vanità, se vai a passeggio con fine di
contentare la tua pigrizia e svogliatezza che
rifugge dal lavoro, se fai ricreazione col
fine di soddisfar la passione o smania dei sol-
lazzi, ben vedi come tutte coteste tue azioni,
indifferenti per se stesse, diventano peccami-
nose per l'imperfezione o malvagità del fine
con cui le fai. Al contrario se tu ti cibi pel
fine di mantenerti nella vita e nelle forze, on-
de adempire la volontà santissima di Dio; se
nel tuo modo di vestire presenti la semplicità,
la modestia, la mortificazione cristiana; se ti
prendi qualche divertimento o vai a passeg-
gio pel fine di sollevar l'animo e renderlo
quindi più disposto allo studio, al lavoro, al-
l'orazione; oppure fai tutte queste cose diret-
tamente per fare l'ubbidienza dei superiori
che lo vogliono: oh! allora sì che tutte le
azioni tue, da indifferenti che sono in sè, di-
ventano in te buone, sante, meritorie di gra-
zia e di gloria, perchè informate da un fine
soprannaturale e santo, cioè di dar gusto a

31 Pages 301-310

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31.1 Page 301

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— 592 —
Dio e di fare la sua santissima volontà! Pro-
cura sempre con grande intensità di propo-
sito di avere in ogni tua azione, anche mini-
ma, il fine retto e l'intenzione purissima di
far tutto per il maggior gusto di Dio, e per
eseguire la volontà sua santissima. Questo è
quello che tanto raccomandava San Paolo scri-
vendo: Sia che mangiate, sia che beviate o fac-
ciate altra cosa, fate tutto a gloria di Dio (1).
Scrive San Francesco di Sales: « Anche le azio-
ni più piccole sono grandi quando son ben
fatte; cosicché riesce più grata a Dio e di sua
maggior gloria una piccola azione fatta con
desiderio di far piacere a lui, che una grande
opera fatta con meno fervore ».
Nella fatica.
Vi sono poi le azioni laboriose e penose
alla nostra natura, come qualunque genere
di lavoro, studio, occupazione che importi
fatica. Da esse non si può esimere nessuno e
meno ancora ti puoi esimere tu. Ebbene: se
in tante laboriose cure e fatiche che ti so-
pravverranno, non ti dài nessun pensiero di
piacere a Dio, e le fai per puro fine umano,
tutte queste fatiche e pene ed angustie saran
gettate al vento, perdute per il santo paradi-
(1) « Sive manducatis, sive bibitis, sive quid aliud
faoitis, omnia in nomine Domini faci te » (I Cor., 31).
—5 —
so. Che se le facessi per fine storto ne acqui-
steresti ancora gran demerito. Mentre al con-
trario se compi coteste opere e sopporti cote-
ste fatiche e pene sempre solo pel fine di fa-
re la volontà del Signore, a lui recar gloria e
piacere, oh! allora sì che le opere tue saran-
no soprannaturali, sante, meritorie e fonte
per te di grande santità interna e d'immensa
gloria in cielo! Oh sappi servirti di questo
mezzo, cioè di farle tutte per piacere a Dio!
Allora diverrai presto perfetto ed ogni opera
sarà per te fonte di merito; ogni istante sarà
per te un tesoro e ti procurerai un posto in
paradiso.
3) Lavorare insieme con Gesù.
Ma eccoci ad un altro mezzo per render-
ti perfetto e santificare colla purità d'inten-
zione ogni tuo lavoro, ogni tua fatica: lavora-
re insieme con Gesù! Gesù, Dio infinito, on-
nipotente, beatissimo, lavorò fino a trent'anni
nella bottega di Nazareth! Lavorò faticando,
sudando, soffrendo umiliazioni, stenti, pati-
menti. Lavorò per espiare i peccati nostri,
mosso da puro amore verso di noi, cioè dal
l'immenso desiderio del divin Cuor suo, di
renderci salvi. Lavorò sempre con perfetta
ubbidienza e sottomissione a Maria ed a San
Giuseppe; sempre pensando al suo eterno Pa-

31.2 Page 302

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— 54
(Ire. Ebbene! Anche tu dalla mattina alla se-
ra lavora insieme con Gesù: ossia, nel tuo la-
voro abbi spesso in mente Gesù. Pensa, ri-
fletti all'umiliazione ed alla penitenza di un
Dio infinitamente santo, per l'amore di crea-
ture ingrate, che l'amano così poco, che l'of-
fendono tanto! E quando fossi affaticato, stan-
co, strapazzato, contraddetto, perseguitato,
pensa e rifletti che Gesù, Dio infinitamente
santo, era assai più affaticato, stanco e di-
sprezzato di te. E va facendo allora molti at-
ti di rassegnazione alla sua santa volontà,
molti atti di offerta delle tue pene e fatiche,
molti atti di amore.
In pratica.
Per non dar mai indietro in questo pen-
sare al Signore nelle tue azioni, e perchè tutte
siano ben offerte al Signore, proponiti quanto
segue: al mattino, appena levato, o appena
sceso in chiesa, prostrati alla presenza di
Dio, protesta di voler fare ogni azione, anche
minima, in tutto il tempo della vita, e spe-
cialmente nel corso della giornata, solo per il
fine di eseguire la santissima volontà di Dio.
di darle tutto il gusto e tutta la gloria che per
te si può, anzi di eseguirla ed adempirla in-
teramente ed in ogni cosa in unione a Gesù.
Escludi così risolutamente ogni fine che il de-
— 595 —
monio e le tue inclinazioni possono sugge-
rire alla tua volontà, e protesta di non voler
far nulla per contentare il tuo amor proprio,
nè alcun'altra tua inclinazione. Quindi offri
bene al Signore tutti i tuoi pensieri, discorsi,
opere, lavori, studi, opere della vita comune,
faccende domestiche, il cibarti, il ricrearti:
in una parola indirizza e consacra ogni cosa
alla maggior gloria e gusto della sua santis-
sima volontà. Prendi in secondo luogo l'abi-
tudine di rinnovare questa protesta ed of-
ferta ad ogni cominciare di una azione qual-
siasi. Almeno, dice Sant'Alfonso, al comin-
ciar delle principali azioni, offri l'orazione,
la comunione, l'assistenza alla santa messa,
lo studio, la scuola, il lavoro, il pasto, le ri-
creazioni, dicendo sempre almeno mental-
mente: « Signore, non voglio cercare in que-
sto il gusto mio, ma solo di fare la vostra
volontà ». Anche nel decorso dell'azione san-
tificala, rinnovando di quando in quando e
brevemente la detta proposta ed offerta, spe-
cialmente ad ogni batter d'ora. E siccome
sei fragile e ti dimentichi facilmente, metti
anche fin d'ora, e rinnovala quando ti ri-
cordi, e se puoi almeno ogni mattina, l'in-
tenzione di far sempre con il Signore ogni
azione. In questo modo, anche quando at-
onalmente ti dimentichi, l'azione ha lo stes-
so valore, perchè l'intenzione perdura vir-
••talmente. Rinnovare molte volte attualmente
questa offerta, è certo il modo migliore; ma

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— 596 —
non è necessario affinchè siano sante e meri-
torie le nostre azioni. Se anche quando at-
tendi alle tue opere vi entrasse qualche cosa
di umano, come un po' di compiacenza di te
stesso, o il desiderio d'essere veduto o un
poco di sensibilità o di irascibilità, non devi
sgomentarti. Quando non lo fai apposta, ed
accorgendoti cerchi di rettificare il fine, hai
ugualmente merito presso Dio.
Meditare gli insegnamenti ed esempi di
Gesù.
L'ultimo mezzo pratico che qui ti sugge-
risco, per arrivare presto e sicuramente alla
perfezione a te consentanea, si è l'attenta e
profonda meditazione. Per conoscere prati-
camente ciò che nella condotta della vita è
più conforme alla divina volontà, e più adatto
all'esecuzione dei consigli evangelici sopran-
notati, devi sempre tenere avanti agli occhi,
e sempre in te stesso meditare lo spirito del
tuo divin Maestro, ed i celesti suoi insegna-
menti, anche nelle più piccole particolarità
della sua vita. Soltanto conformandosi alla
vita di Gesù e praticando quanto insegnò, si
arriva a questa perfezione. Niente perciò gio-
va meglio al religioso che la meditazione della
vita del suo divin Maestro e dei suoi ammae-
stramenti. Poni pertanto uno studio tutto spe-
— 57 —
ciale per riuscire a far bene la meditazione,
ed arriverai più presto e più sicuramente a
quella perfezione religiosa, cui sei obbligato
di tendere, ed alla quale tanto sospiri.
CAPO IV
I RELIGIOSI E LA CHIESA UNIVERSALE
II nostro fine e la Chiesa.
La seconda risposta del piccolo catechi-
smo insegna che Dio ci ha creati per cono-
scerlo, amarlo, servirlo in questa vita e go-
derlo poi in paradiso. Questa è la gloria che
Dio vuole ottenere dagli uomini, esseri in-
telligenti e liberi, fatti a sua immagine e so-
miglianza, figliuoli del suo cuore. In ciò sta
pure tutta e la sola loro felicità temporale
ed eterna. L'incarnazione ci portò Dio, e ce
lo rivelò personalmente. La Redenzione ci ri-
tornò a lui, alla partecipazione della sua vita:
tutto ed in tutti Gesù Cristo. Nell'attuale
Provvidenza tutto quindi si riduce nell'ade-
rire a Gesù con tutto il nostro essere, sot-
tomettergli tutte le nostre facoltà, farlo re-
gnare in noi colla fede e coll'amore, anzi par-
tecipare di lui. Svolgere e sviluppare questa
unione, è la gloria di Dio e tutta la nostra

31.4 Page 304

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— 598
santità. Strumento di questa unione, oltre clic
i sacramenti, è la nostra soggezione alla
Chiesa santa e santificante. Essa è il regno
sociale e visibile di Gesù, il suo corpo mi-
stico, attraverso il quale arriva a noi la sua
azione e la sua vita. La Chiesa è il suo com-
plemento totale, la sua sposa immacolata,
la sua eletta. Lo sviluppo e propagazione della
Chiesa è gloria di Gesù, quindi fine ed in-
teresse dei suoi seguaci. Essa è nostra madre,
il canale della grazia. L'amore di Dio ar-
riva così fino alle anime, e da queste torna
a Dio per lo stesso tramite. E la santità che
cos'è se non amore perfetto? Ecco perchè per-
fezione e zelo sono così inseparabili: non
sono che carità. Chi progredisce in virtù,
cresce anche di pari grado in zelo. E chi ha
un posto speciale nella carità, lo ha pure
nell'apostolato. I religiosi, abbracciando uno
stato di perfezione, s'impegnano ad occupa-
re tutti, in qualche forma, un posto speciale
di lavoro e di combattimento. Scelti da un
amore di preferenza, essi hanno nel Cuore
di Gesù e in quello della Chiesa una posi-
zione di privilegio, con doveri e diritti par-
ticolari. Giustamente si possono gloriare di
essere quindi le truppe scelte della Chiesa, i
suoi campioni, i suoi baluardi, i suoi figli pri-
mogeniti e prediletti. Ecco perchè tutti i santi
furono divoti del Papa e della Chiesa, tra
essi il nostro fondatore, che protestava
spesso d'esser pronto a morire mille volte
— 599 —
per lui. 1 martiri della Chiesa sono martiri
di Gesù, chè la loro causa è unica. Ricor-
dati. o buon novizio, che anche tu vieni per
la Chiesa santa, che per esser santo devi
diventare un apostolo, che santità e zelo non
sono che amore a Gesù e gloria di Gesù.
« Adveniat regnum tuum ».
Chi desidera la santità desidera tutta la
possibile gloria di Dio: desidera ogni cosa
che a Dio sia gradita. Ora, il cristiano sa
per fede, che tutte le compiacenze del Padre
Celeste sono riposte nell'Unigenito suo Fi-
gliuolo Gesù Cristo, e quelle di Gesù nei fe-
deli suoi, che formano il suo regno. TI pri-
mo desiderio pertanto che deve scaturire dal
suo supremo desiderio della santità, si è
quello dell'incremento del regno di Dio sulla
terra, vale a dire che sia prosperata la Chie-
sa di Gesù Cristo, cioè che venga la salvezza
delle anime: adveniat regnum tuum. Non
puoi dunque sbagliare, quando ti proponi
per oggetto dei tuoi affetti, dei tuoi desi-
deri e delle tue azioni l'onore della santa
Chiesa e la salvezza delle anime, poiché co-
nosci con certezza che questa è volontà di
Dio. Si può dubitare circa qualche cosa par-
ticolare se Dio la voglia o no, e se la vo-
glia in un tal modo od in altro. Ma riguardo
al trionfo ed all'incremento della Chiesa di

31.5 Page 305

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— 600 —
Gesù Cristo, ed alla salute delle anime, non
si può dubitare. È certo infatti che la Chie-
sa è stabilita quale il grande strumento ed
il gran mezzo, onde Gesù sia glorificato in-
nanzi a tutte le creature intelligenti. La sa-
lute delle anime formò il motivo impellente
dell'incarnazione del Verbo, per cui volle di-
scendere dal cielo e venire su questa terra.
La Chiesa fu indubbiamente da Dio eletta
ad istrumento della sua gloria per tutta l'e-
ternità. Tu pertanto che ti proponi di asse-
condare la tua vocazione e conseguire la per-
fezione, e che perciò non vuoi far altro che
cercare in tutte le cose la gloria di Gesù
Cristo, devi per necessaria conseguenza oc-
cupare le tue forze a servire unicamente la
Santa Chiesa ed a salvare delle anime. A
questo devi pensare, e per questo spendere
le tue forze e versare occorrendo, il tuo san-
gue, ad imitazione di Gesù Cristo, dei suoi
apostoli e de' suoi martiri.
I tre rami della Chiesa.
Tu sai che la Chiesa di Gesù Cristo si
divide: in quella parte che è nello stato di
via quaggiù in terra, che dicesi Chiesa mili-
tante; in quella che è nello stato di termine
in cielo, e che dicesi Chiesa trionfante; ed
in quella che a questo termine è prossima
nel purgatorio, e che dicesi Chiesa purgante.
Tutte e tre tu devi illimitatamente amare, de-
siderando anche di spargere per esse il sudo-
re ed il sangue.
Per la Chiesa militante.
Per ciò che spetta alla Chiesa militante
tu conosci, per le parole di Gesù medesimo,
che è fondata sopra una rocca incrollabile,
cioè sopra il capo degli apostoli, San Pietro
e sopra i pontefici romani suoi successori, su-
premi vicari in terra di Gesù Cristo. Le forze
dell'inferno non potranno mai prevalere. Ella
non può giammai venir meno. Devi perciò
nutrire per la Chiesa Romana e per il Som-
mo Pontefice, un affetto, un attaccamento ed
un rispetto senza limite. E senza limite do-
vrai amare e procacciare la vera e santa glo-
ria, l'onore e la prosperità di questa prima
parte essenziale della immacolata sposa di
Gesù Cristo. Tu per certo non puoi occu-
parti effettivamente di tutto quanto riguarda
la Chiesa militante! Conosci tuttavia che la
gioventù è come la pupilla dell'occhio di
Gesù Cristo, e che dalla buona o cattiva edu-
cazione di essa dipende la prosperità o le
sventure della Chiesa. Conosci pure che la
nostra Pia Società è suscitata da Dio. e che
ha per scopo speciale la cristiana educa-
zione della gioventù. Non puoi pertanto a-
mare davvero la Chiesa, se non ami di oc-

31.6 Page 306

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—6 —
cuparti con tutte le forze che hai del bene
dei giovani; se non ami con tutte le forze
della tua mente e del tuo cuore la Pia Società,
alla quale Iddio ti ha chiamato, e che tanto
potentemente e direttamente coopera alla
prosperità della Chiesa. La Chiesa militante
non può conseguire il suo completo trionfo
se non con la propagazione della fede per
tutta la terra, e con la conversione dei pec-
catori. Tu pertanto non potrai dire d'aver
un amore vero alla Chiesa, se non t'adope-
rassi con tutto il tuo potere alla propaga-
zione della fede, se non altro desiderandola
ardentissimamente e pregando a questo fine
indefessamente. Devi eziandio desiderare la
conversione dei peccatori e occupartene con
quei mezzi a te disponibili, almeno con una
preghiera incessante e coll'offrire al Signore
le tue operazioni e le tue sofferenze. La Chie-
sa militante poi non può sostenersi se non
per mezzo del sacerdozio. Gesù medesimo ci
invita a pregare, perchè l'Eterno Padre man-
di operai alla sua messe: « Pregate il Pa-
drone affinchè mandi operai alla sua mes-
se» (1). Tu pertanto devi desiderare con tutte
le forze, che si accresca il numero dei mi-
nistri del Signore, e che si aumenti in loro
lo zelo e la santità. E non saresti per certo
un buon religioso, e tanto meno un degno
(1) « Rogate ergo Dominimi messis ut mittat ope-
rarios in messem suam » (MATTEO, IX, 38).
— 603 —
figlio di Don Bosco, se avessi ritrosìa a spen-
dere tutte le tue fatiche, ed anche soffrire
patimenti se occorressero, per procurare alla
Chiesa santi ministri.
Per la Chiesa trionfante.
Per quanto spetta alla Chiesa trionfante,
tu devi continuamente vagheggiarla, e susci-
tare in te medesimo, e continuamente accre-
scere il desiderio che tutti i cristiani possano
arrivarvi. In tal modo verrà il regno di Ge-
sù Cristo, e si aggregherà tutto intorno a
lui, compiendo in cotal guisa la sua gloria
ed il suo trionfo per tutti i secoli dei secoli.
Tale è il beneplacito della divina volontà, e
quello in cui Dio stesso si compiace ab eter-
no. Perciò questo deve essere anche Fimi-
co termine dei desideri del cristiano, e più
del religioso. Ripeti con fervore l'invocazio-
ne insegnata da Gesù: « Venga il tuo regno »,
e che faceva ripetutamente esclamare a San
Paolo il desiderio di morire per essere con
Gesù Cristo. Ma questo termine non può av-
verarsi per te senza che tu muoia, e che il
tuo corpo si converta in polvere. Pertanto tu
non devi paventare la morte, in considera-
zione che essa è il mezzo stabilito da Dio,
perchè tu possa conseguire la pienezza della
divina gloria e il gran trionfo di Gesù in te.
Come adunque tu devi aver sempre presente

31.7 Page 307

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— 604 —
la celeste gloria, così pure devi aver sempre
presente in tutte le tue operazioni la caduci-
tà di tutte le altre cose, il loro repentino pas-
saggio, e la morte coi suoi malanni che ordi-
nariamente reca con sè, come mezzo all'ultimo
celeste tuo riposo. Camminerai adunque in
questa vita come se ogni giorno dovessi ab-
bandonar tutto, come se dovessi morire ad
ogni istante. Tieni nel tuo cuore le parole del
Divin Maestro : « Siano precinti i vostri lom-
bi, e le lucerne ardenti nelle vostre mani, e
voi siate simili a uomini che aspettano il loro
Signore quando se ne torna da nozze; accioc-
ché venendo egli e picchiando, incontanente
gli aprano. Beati quei servi, che il padrone
venendo ritroverà vigilanti! (1) ».
Riguardo alla Chiesa purgante.
Per ciò che riguarda la Chiesa purgante,
devi pensare che quelle anime benedette han
diritto alla gloria del paradiso; ma per man-
canze già perdonate ed ancora da scontare
nella pena, sono legate per un tempo più o
meno lungo, e trattenute in luogo di purifica-
t i ) « Sint lumbi vestri praecinti et lucernae ar-
dentes in manibus vestris. Et vos similes hominibus
expectantibus dominum suum, quando revertatur a
nuptiis; ut, eum venerit et pulsaverit, confestim ape-
riant ei. Beati servi 1111 quos, eum venerit £Dominus.
jnvenerit vigilantes» (LUCA, X I I , 35-37).
— 5—
zione. Il giorno in cui andranno in paradiso
sarà una gloria per il Signore, e un sollievo
immenso per quelle anime. Tu puoi liberarle
pregando per loro, ed applicando loro le tue
indulgenze a modo di suffragio. Chi cerca
ardentemente la gloria di Dio e la salvezza
delle anime, non può disinteressarsi di esse;
anzi non può fare a meno che di occuparsene
con gran cura.
La perfetta conformità alla volontà di Dio
nello zelo.
Affinchè le nostre operazioni siano sempre
rette e guidate alla perfezione dell'amor di
Dio, bisogna procurar sempre di stare in per-
fetta conformità alla volontà di Dio circa
tutto ciò che avviene, pur cercando per quan-
do sta in noi di fare il bene. E perciò a que-
sto riguardo devi riflettere profondamente c
icordar sempre, che essendo Gesù Cristo
uegli che ha la potestà su tutte le cose, tan-
i in cielo come in terra, Egli solo è altresì
uegli che regola con sapienza, potenza e
ontà inenarrabile gli avvenimenti tutti, se-
>ndo il suo divino beneplacito, a maggior
ene dei suoi eletti che costituiscono la sua
filetta sposa, la Chiesa. Pertanto tu devi ri-
osare totalmente nel tuo Signore, e non tur-
arti o smarrirti, per quanto i tempi si faces-
- TO torbidi e gli avvenimenti paressero con-

31.8 Page 308

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—6 —
trari al bene della Chiesa stessa. Devi bensì
gemere e supplicare ardentemente, che si fac-
cia la volontà di Dio: Fiat voluntas tua,
cioè che tutti gli uomini pratichino sulla ter-
ra la sua santa legge di carità; ma poi devi
riposare in Dio, vedendo in tutto la sua san-
ta mano. Tu puoi benissimo e devi, oltre che
gemere e pregare, operare pel trionfo della
Santa Chiesa in ogni modo che sia consen-
taneo al tuo stato, e secondo che ti viene in-
dicato dall'ubbidienza; ma tieni sempre pre-
sente che Gesù Cristo solo è il vero gover-
natore della sua Chiesa. Non v'è cosa a lui
più spiacevole e più indegna del suo disce-
polo, che la temerità di coloro i quali, domi-
nati da cecità di mente e da occulto orgoglio,
presumono di combattere e di operare a bene
della Chiesa secondo le loro private vedute,
senza che sia chiarita la volontà di Dio in
proposito, ed anche contro il parere dei pro-
pri superiori. Il Signore non ha alcun biso-
gno della miserabile loro cooperazione, o
di quella di qualsiasi uomo. Nessuno è ne-
cessario al Divin Redentore per la glorifica-
zione della sua Chiesa! E solamente per sua
gratuita misericordia egli assume quegli che
a lui piace elevare a tale onore, giovandosi
di solito di quanto è più debole e più spre-
gievole agli occhi del mondo, per le opere
grandi. Di qui puoi anche comprendere quan-
to siano biasimevoli coloro che volessero es-
sere assunti al sacerdozio, quando i superiori
— 607 —
non conoscessero in loro le doti necessarie;
quelli che volessero essere missionari, quan-
do i superiori non ve li credessero chiamati;
coloro che volessero darsi al ministero della
predicazione o delle confessioni, mentre i su-
periori non ve li credessero atti; coloro che
volessero, e negli scritti e nei modi, mostrarsi
battaglieri, disaccordandosi anche coi loro su-
periori, che giudicassero altrimenti, coloro che
mormorassero, o facilmente non si adattas-
sero alle prescrizioni della Chiesa e dei pro-
pri superiori. Tutto questo indicherebbe in
loro un attaccamento al giudizio proprio e
deviazione dall'unico principio, che deve es-
ser fìsso in noi, di operare secondo il volere
di Dio, il quale volere ci è manifestato per
mezzo dei superiori. Te lo ripeto, e tu capi-
scilo bene, che il Signore non ha bisogno di
te e dell'opera tua per salvare la gioventù
o la Chiesa, o per procurare la sua gloria.
E solo si compiace di eleggere chi giudica
bene. Nella sua bontà elesse anche te a la-
vorare tra i giovani, e perciò a bene della
Chiesa. Ma vuole che tu ad ottenere questo
agisca nel modo che vuole lui, cioè nel modo
-tabilito dai tuoi superiori, non presumendo
nulla da te stesso, ma ponendo in lui tutta
la confidenza! Oltre a queste cose che riguar-
dano la Chiesa, anche in tutto il resto devi
procurarti la perfetta conformità alla volontà
di Dio. E indubitato che tutte le cose, pic-
cole e grandi, pendono ugualmente dalla ma-

31.9 Page 309

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— 608 —
no del Padre Celeste. Tutto quello che avviene
è disposto da lui al conseguimento degli al-
tissimi suoi fini, pel bene di coloro che confi-
dano nel suo aiuto. I suoi doni, le sue fi-
nezze, le sue sollecitudini, le sue grazie stan-
no in ragione della confidenza che in lui
hanno i suoi ben amati figliuoli. Non vi è
forse altra pratica che più di questa confe-
risca ad ottenere la pace del cuore, e nello
stesso tempo la perfezione religiosa.
CAPO V
DELL'ABBANDONO E CONFIDENZA
NEL SIGNORE
Di tre mezzi per la perfezione.
A conseguire il gran fine della rettitudine
del nostro operare ed a progredire nella via
della perfezione e della santità, aiuteranno
grandemente tre mezzi: 1° Abbandonare noi
stessi nelle mani della divina Provvidenza:
2° Riconoscere intimamente il proprio nulla,
confidando tutto nel Signore: 3° Disporre tut-
te le nostre azioni alla santificazione propria
ed al bene altrui.
Abbandono nella divina Provvidenza.
L'abbandono alla divina Provvidenza pra-
ticato con quella semplicità e generosità di
cuore che esige, semplicità e generosità così
ripetutamente e fortemente inculcate dal no-
stro dolcissimo San Francesco di Sales e dal
nostro ispirato fondatore Don Bosco, più che
ogni altra cosa rende il seguace di Gesù Cri-
sto caro al Celeste Padre. Invero questo mezzo
racchiude un'intera confidenza in Dio, e con-
fidenza in lui solo; un intero distacco da tut-
te le cose della terra per quanto appaiano di-
lettevoli, potenti e illustri; racchiude infine un
tenero amore a Dio, e una fede la più viva
in Lui solo.
Raccomandazione di Gesù a questo riguardo.
Non vi è altra massima che più di questa
abbia raccomandata colle parole e coll'esem-
pio il Divin Maestro. Ecco le confortanti sue
oarole: « Non vogliate lasciarvi atterrire da co-
oro che uccidono il corpo, ma che dopo di
iò non hanno altro che fare! Temete invece
hi. dopo aver ucciso il corpo, ha potere al-
tresì di mandarvi al fuoco (1) ». E poi soggiun-
t i ) « Dico autem vobis amicis meis: Ne terreamini
his qui occidunt corpus, et post haec non habent
implius quid faciant... Timete eum qui, postquam
• •ciderit, habet potestatem mittere in gehennam »
•I.UCA, X I I , 4, 5).

31.10 Page 310

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— 610 —
-611 -
gcva ancora : « Non si vendono forse cinque j
passeri per due monete, ed uno solo di ess
non è dimenticato da Dio? Anche i capeili
stessi del vostro capo son numerati. Non vo- '
gliate temere, voi valete più che molti pas- j
seri» (1). E quindi conchiudeva sì mirabile
discorso con queste parole, degne di tutta la J
considerazione e confidenza : « Non vogliati-
essere solleciti della vostra vita, che cosa man- I
gerete, nè del vostro corpo, di che cosa vesti- i
rete... Considerate i corvi che non seminan<
nè mietono, nè hanno provvigione nel gra-
naio: Dio li alimenta. Quanto più alimenterà
voi, che valete più di essi! E chi mai di voi
per quanto pensi, può aggiungere alla sua sta-
tura un cubito solo? Se dunque voi non po
tete fare neppure la minima cosa, perchè sieti
solleciti delle altre? Mirate i gigli come cre-
scono! Non lavorano e non filano; e io vi as-
sicuro che neppur Salomone, in tutta la glori:
sua, era vestito come uno di questi. Se dun-
que l'erba che oggi è nel campo e domani s
mette sul fuoco, Iddio la veste in tal modo
quanto più penserà a voi o uomini di poc-,
fede? Neppure vogliate cercare che mange-
rete o che berrete, poiché tutte queste cos-
vanno cercando le genti del mondo. Il Padr;
(1) «Nonne quinque passeres veneunt dipondii
et unus ex illis non est In oblivione coram Deo? Set
et capilli capitis vestri omnes numerati sunt. Nolit»
ergo timere; multis passeribus pluris estis vos » (Ib.
id., 6, 7).
vostro sa che avete bisogno di tutto questo.
Cercate pertanto prima il regno di Dio e la
sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno
date in aggiunta ».
Ciò che devi imparare.
Da questo devi imparare molte cose, che
hanno da informare tutta la tua vita. Impara
anzitutto ad amare di più il Signore, ve-
dendo che egli è tanto buono da prendersi
cura di te. In secondo luogo sappi che quanto
è ragionevole abbandonarsi intieramente nelle
mani della Divina Bontà, altrettanto è stolto
confidare in se stessi. L'uomo infatti è de-
bolissimo, e non può alterare neppure in mi-
nima parte il corso che Iddio ha stabilito a
tutte le cose dell'universo. La tua prosperità,
la tua esistenza pende tutta dalle mani di
Dio. E non puoi sottrarti da queste mani, qua-
lunque cosa tu faccia e a qualunque luogo
ricorra, ancorché potessi penetrare nei cieli
o sprofondarti negli abissi. Impara per terzo,
che sebbene ti sia vietato di essere sollecito
delle cose umane, e ti sia consigliato di spo-
gliartene, non ti è però vietato di domandare
il necessario al tuo buon Padre celeste. Anzi
fai bene a domandarlo, ed è Gesù medesimo,
che dopo averti fatto domandare, come si vide
nel capo antecedente: «Sia santificato il tuo
nome, venga il tuo regno, sia fatta la tua

32 Pages 311-320

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32.1 Page 311

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— 612 —
volontà », ci fa domandare il pane nostro quo-
tidiano, con tutto ciò che materialmente ci
abbisogna. Ma tutte queste cose materiali le
devi domandare dopo di aver pregato per il
bene dell'anima, ed in ordine a questo. Dio
medesimo ci anima e comanda di doman-
dare con grande semplicità e fiducia quanto ci
abbisogna. Tu però sta' attento a domandare
con l'unico desiderio che avvenga sempre ciò
che piace di più al Signore. Così trarrai sem-
pre gran frutto dalla preghiera; poiché Id-
dio provvedendoti raddrizzerà nel tempo stesso
la tua ignoranza e grossolanità, se per caso gli
domandassi cose inutili o dannose. Ti esaudirà
dandoti beni veri, e dandoti anche di più di
quello che non domandi, perch'egli è un padre
che sa bene dare ai suoi figliuoli le cose buo-
ne, e non le nocevoli. Impara in quarto luogo
che non solo ti è lecito pregare per avere il
necessario per la vita; ma non ti è vietato
di fare, anzi, il Signore vuole che tu faccia
tutte quelle azioni, colle quali naturalmente
hai da soddisfare i bisogni della vita medesi-
ma. È la sollecitudine, è l'ansietà che ti è
proibita! Questo ti renderebbe inquieto pel
desiderio di ciò che ti manca; e in tal modo
perderesti la pace del cuore e la tranquillità
propria di quelli che in Dio riposano. Devi
perciò, nelle cose che avvengono di giorno
in giorno, riconoscere espressa la volontà di
Dio. Anche quanto alla sanità, all'ingegno,
alle occupazioni, devi avere questa completa
conformità alla volontà di Dio, e allontanare
da te ogni sollecitudine in proposito. Ti è le-
cito gioire di quel poco che hai, godere con
tutta semplicità di questi doni, se Iddio te li
diede, e servirtene ringraziandone lui solo.
Ma è contrario all'abbandono della Divina
Provvidenza la studiosa cura dell'avvenire.
Non devi amare nè voler altro che la volon-
tà di Dio, amando la quale tanto godrai della
privazione, se questo egli dispone, quanto
dell'acquisto. Anche Gesù ci insegnò a cerca-
re prima di tutto il regno di Dio e la sua giu-
stizia, assicurandoci che tutte le altre cose ci
saranno aggiunte; e a non voler essere solle-
citi pel giorno di domani, bastando al giorno
la sua malizia. Quindi le macchie di cui la
coscienza si carica pensando agli interessi del
giorno presente, non si aumentino anche coi
peccati dell'indomani (1).
Esame pratico.
Tu pertanto vieni alla pratica per te stes-
so. Esaminati se manchi a quella piena con-
fidenza, che ti è prescritta, nella provvidente
ura del tuo Padre Celeste. Vedi se nel tuo
uore provi inquietudine circa i beni ed i ma-
i l ) « Quaerite primum regrram Del et iustitiam
ius, et baec omnia adiieientur vobis. Nolite solliciti
-se in erastinum. Crastinus enim dies sollioitus erit
-ibi ipsi: sufficit diei malitia sua » (MATTEO, VI, 33, 34).

32.2 Page 312

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— 614 —
li del mondo; se sei sempre pienamente tran-
quillo, pienamente riposato, ed in ogni av-
venimento a tutto disposto; oppure se vai
soggetto ad angustie, ad inquietudini: e se,
come uomo di poca fede, speri e temi sover-
chiamente, che è quanto dire se continua-
mente ti turbi. Se cosi fosse proponiti seria-
mente di emendarti, ponendo tutta la tua
confidenza nel Signore. Esaminati ancora se
nelle tue occupazioni cerchi la tua soddisfa-
zione, sebbene in sè onesta, o se solo cerchi
il tuo dovere cioè quanto soddisfa Iddio. Chi
non cerca che di piacere a Dio. in qualunque
condizione si trovi, per quanto umile, per
quanto spregevole essa sia e priva di tutto
ciò che amano gli uomini, egli vi rimane con-
tento, nè cerca di cambiare se non gli è noto
che ciò sia il voler divino. Tu pertanto non
cercherai mai di mutar occupazione, di mu-
tar casa, di mutare alunni, o mutare compa-
gni o superiori. È proprio della gente di
mondo il non essere mai contenta nello stato
in cui si trova. Gli uomini di mondo si fanno
una continua guerra per occupare i posti
migliori. La perfezione cristiana richiede al
contrario, che uno sia contento di qualun-
que posto; che uno non si dia altra cura se
non quella di adempiere i doveri del proprio
stato. Ogni cosa del mondo ci deve piacere
ugualmente, purché possiamo riuscir cari al
Signore. Questo ci viene inculcando l'apo-
stolo San Pietro con quelle confortanti pa-
— 615 —
iole: «Ogni vostra sollecitudine gettate in
Dio, poiché egli ha cura di voi » (1). Questa
costanza nel rimanere nella condizione vo-
luta dall'ubbidienza forma quegli uomini che
conoscono a fondo il loro stato, che lo ama-
no, e che ne sanno eseguire tutte le incom-
benze. Il medesimo San Paolo la raccoman-
dava grandemente con queste parole: « Cia-
scuno rimanga costante presso Dio in quel
che è chiamato... e quello che io voglio «i è
che voi siate senza sollecitudine » (2). Ed al-
trove nella sua lettera ai fedeli di Filippi, fa
questa grande raccomandazione: «Non vi af-
fannate per niente, ma in ogni cosa manife-
state a Dio le vostre richieste per mezzo del-
l'orazione e delle suppliche unite al rendi-
mento di grazie. E la pace di Dio, la quale
supera ogni intendimento, sia guardia dei
vostri cuori e delle vostre menti in Cristo
Gesù». Perciò tu non devi nemmanco la-
sciarti inquietare dal desiderio di far meglio,
lasciandoti persuadere che in altri uffici od
altrove potresti far di più per la gloria di
Dio e per la salute delle anime; ma in tutto
aequétati alla Provvidenza di Dio che tutto
dispone soavemente in misura, numero e
peso, secondo c'insegna lo Spirito Santo nel
(X) « Omnem sollicitudinem vestram proicientes in
Tieum, quoniam ipsi cura est de vobis » ( / PETK., V, 7).
(2) « Unusquisque in qua vocatione vocatus est
n ea permaneat... Volo vos sine sollicitudine esse «
I Cor., VII, 20).
21

32.3 Page 313

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— 616 —
libro della Sapienza (XI, 21). Il quale poi
altrove così conchiude: «Adattati adunque a
lui e avrai pace, e da ciò raccorrai ottimi
frutti » (1). Infine esaminati se, come non
devi cercare di mutare luogo ed occupazione
per volontà tua, se, dico, sei disposto con
eguale facilità e contento a mutare, quando
ti si manifesti la divina volontà per mezzo
di quella dei superiori che ne tengono le
veci. Vedi se il tuo animo è sempre costi-
tuito e conservato in quell'aureo stato di per-
fetta conformità alla volontà di Dio, tanto
raccomandato e tanto praticato dai santi, e
specialmente dal nostro caro San Francesco
di Sales, e dal nostro padre e fondatore Don
Bosco. Desiderando tu di servir Dio, non
già secondo il modo scelto da te stesso, ma
secondo il modo prescritto dal Signore, devi
giungere a questa perfetta conformità o in-
differenza a qualunque luogo o collegio, a
qualunque ufficio ed occupazione che ti è
assegnata, ed a stare con coloro con cui hai
da operare. Devi essere indifferente anche
nelle quattro circostanze così ben ritratte da
Sant'Ignazio, che sono le seguenti: 1° alla
sanità, ovvero alla malattia; 2° alle agiatezze
e comodi, ovvero alle miserie della vita;
3° all'onore o al disprezzo; 4° ad una vita
lunga o ad una vita breve, che si convenga
(1) « Acquiesce igitur ei, et habeto pacem, et per
haec habetis fructus optimos» (GIOBBE, X X I I , 21).
—6 —
abbreviare sotto le fatiche ed i dolori. E seb-
bene abbia più bisogno di praticar queste
massime dopo il noviziato, quando ti trove-
rai nella vita pratica della nostra Pia So-
cietà, tuttavia conviene grandemente che fin
d'ora cerchi di prevedere le cose che ti pos-
sono succedere, e cerchi di prendere la forza
ed i mezzi per adattarti poi a qualunque
cosa, con una perfetta conformità alla vo-
lontà di Dio.
Diffidenza di sè e confidenza in Dio.
E per riuscire a questa perfetta confor-
mità alla volontà di Dio, devi riconoscere in-
timamente il proprio nulla, confidando tutto
nel Signore. Devi cioè sempre aver presente
il Signore, per adorarne la grandezza; e sem-
pre aver presente te stesso, per sempre più
penetrare la tua infermità e la tua nullità.
In una parola, è necessaria una umiltà vera,
che produrrà in te due disposizioni, in ap-
parenza opposte, ma che pure si accordano
insieme armonicamente: cioè un grandissi-
mo zelo della gloria di Dio e del bene
del prossimo, ed un sentimento che ti fa
conoscere incapace di ogni bene. Il saperti
inabile a tutto, ti persuaderà a non intra-
prendere cosa alcuna senza la ubbidienza, a
non cercare mutamento della tua propria
condizione sebben umile, ed occupazione seb-
A

32.4 Page 314

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—6 —
— 619 —
ben abbietta, in cui ti paia di poter far poco
bene. Non è possibile che di proprio modo
intraprenda cosa alcuna, quegli che since-
ramente si crede incapace di ogni bene. Devi
cioè imitare l'umiltà di Mosè, il quale tanto
stentò a credere d'esser egli l'eletto a liberare
il popolo di Dio, che a Dio medesimo con
un'affettuosa semplicità e confidenza rispose
di dispensarlo da quel carico. E lo pregò
invece di mandare colui che doveva essere
mandato, cioè il promesso Messia. E ciò seb-
bene Mosè fosse tanto pieno di zelo per la
salute del popol suo. Se tuttavia l'umiltà
ti tiene così in riserbo, il grandissimo zelo
della gloria di Dio e del bene del prossimo,
guidato dall'ubbidienza, ti farà audace. Ti
farà dire con San Paolo: « Posso tutto in
colui che mi conforta » (1). Perciò non guar-
derai più alla tua nullità quando la voce
dell'ubbidienza ti getta nell'apostolato. E spe-
rando tutto da Dio, non vi sarà cosa di cui
ti creda incapace, non difficoltà che non ti
accinga coraggiosamente a superare. E quan-
do tutti si opponessero, tu, guidato dalle pa-
role dell'apostolo dirai: «Se Dio è con noi
chi è contro di noi? » (2). Ti getterai con
questo spirito nelle più difficili imprese, negli
affari più disperati, fiducioso in quel Dio
(1) «Omnia possum in eo qui me confortat • (Fi-
lipp., IV, 13).
(2) • Si Deus prò nobis, quis contra noaì • (Rotti.,
V i l i , 31).
che ti comandò l'opera buona, e la condurrà
a buon termine (1). In tal modo succede che
l'umile e fervente religioso, il quale da parte
sua non sa eleggersi se non una vita nasco-
I sta, venga dalla forza delle circostanze, e
specie dall'obbedienza, tratto fuori dal suo
nascondiglio e condotto ad una vita attiva,
in un infinito pelago di cure, di brighe, di
faccende, di negozi grandi e piccoli, illustri
ed abbietti, per il bene del prossimo suo, se-
[ condo che la volontà di Dio ha disposto,
I siccome tutto dì avviene nella nostra Pia
I Società. E ciò egli allora eseguisce volen-
I tieri, anche con suo grave incomodo, spinto
I dal fervido amore, che non cerca le cose
I proprie, ma pensa sempre al bene altrui,
I -econdo che il Signore dispone. Ei cerca di
I far tutto con quella carità che ha esercitato
I verso gli uomini il nostro Divin Maestro
I Gesù Cristo. Con tale spirito, pieno di ca-
I rità, anche tu puoi diventare, qualora Iddio
I lo voglia e te ne porga le circostanze, mag-
I ziore di te stesso, abbracciare cose grandis-
I ?ime, faticosissime, pericolosissime. Puoi tutto
insomma, purché Iddio lo voglia, cioè i tuoi
I superiori ti mettano nell'occasione, o, tro-
vandoti tu nell'occasione non te lo vietino,
I tu corrisponda con sacrifizi e con sempre
I miglior buona volontà alle divine grazie.
• L 6()1.) « Qui coepit opus bonum, perficiet » (Filipp.,

32.5 Page 315

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— 620 —
CAPO VI
DEI CONSIGLI EVANGELICI
E DEI VOTI RELIGIOSI
L'uomo ha bisogno di essere consigliato bene.
L'uomo ha bisogno di essere consigliato
bene. Egli non lo conosce sempre, ma siffatto
bisogno esiste. La vita è tanto intricata. In
essa si han tanti doveri e sì faticosi; tanti ne-
gozi sì incalzanti, e sì ardui; tante strade s'in-
crociano innanzi a lui! Le cose che ci attor-
niano han tanti aspetti e sì diversi! Tanti ba-
gliori ci possono ingannare! Tante belle ap-
parenze sedurre, tante tempeste spaventare :
E, oltre a ciò, dice lo Spirito Santo: « Chi puc
conoscere il pensiero di Dio? Chi può sapere
che cosa voglia Iddio da noi? Il veder nostre
è sì corto, i nostri pensieri forzatamente sì ti-
midi, e le nostre previsioni sì mal sicure! (1) >
Anche con una coscienza rettissima, ed un
sincero amore del bene, non sfuggiamo al
pericolo di traviare, nè all'angoscia del dub-
bio, nè al vergognoso fardello degli intrighi.
Ora, per sottrarci a tutti questi mali, un con-
siglio è alle volte assai necessario, e spesso
questo consiglio basta. È in questo senso che
lo Spirito Santo dice: « Figliuolo, non far cosa
veruna senza consiglio, e non avrai a pen-
tirti dopo il fatto » (1). E nel libro dei Pro-
verbi dice, che i buoni consigli dell'amico
danno conforto all'anima (2). Dal che ne se-
gue, che una delle migliori e più benedette
opere di misericordia è la limosina del consi-
glio. Ciò fa sì che un vero amico sia un gran
tesoro, e diventi per ufficio un fedele consi-
gliere. L'amico impareggiabile, l'amico che
viene chiamato unico, tanto è maggiore di
ogni altro, Gesù, venendo in questo mondo e
stringendo commercio cogli uomini, poteva
non darci dei consigli? Egli dopo di averci
dato i suoi precetti, ci diede anche dei consi-
gli. Anzi, in ogni luogo del Vangelo, accanto
ai voleri espressi da Nostro Signore, cioè ai
comandi, vi sono pensieri pratici da lui enun-
ciati, e come metodi morali accompagnati
quasi sempre da esortazioni a noi dirette.
(1) « Quis enim homirmm poterit scire consiliun
Dei? aut quis poterit cogitare quid velit Deus! Cogita-
tiones enim mortalium timidae, et incertae prow:-
dentiae nostrae (Sap., IX, 13, 14).
(1) «Fili, sine Consilio nihil facias, et post tactum
-on poenitebis » (Eccli., X X X I I , 2i).
(2) « Bonis amici consiliis anima dulcoratur • (Prov.,
5 XVII, 9).

32.6 Page 316

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— 622 —
Differenza dei consigli e precetti.
Ora è appunto questo che forma il consi-
glio, e lo differenzia dal precetto: mentre il
precetto obbliga, e non si trasgredisce senza
il peccato, il consiglio ci lascia liberi. Senza
dubbio fa d'uopo stimare il consiglio, che
proviene dal Signore! Anzi per noi è un do-
vere il credere e confessare, che tutti questi
consigli sono buoni, sani e salutari agli uomi-
ni. 11 pensarne o parlarne male, sarebbe come
un citare la ragione di Dio al tribunale della
ragion propria; il che sarebbe una gravissima
insolenza. Nell'ottavo libro del suo ammira-
bile trattato dell'amor di Dio, San Francesco
di Sales ha scritto un intiero lungo capitolo
con questo titolo: il disprezzo dei consigli
evangelici è un gran peccato. Ma per ciò che
spetta il regolare le proprie vie secondo gli
avvisi del celeste consigliere, sebbene il farlo
sia incontrastabilmente cosa lodevolissima, e
meriti certamente e infallibilmente una più
bella ricompensa, e conferisca molti altri van-
taggi; tuttavia chi non lo fa non commette
colpa. Ecco pertanto la differenza tra la vita
cristiana ordinaria e la vita di perfezione. Il
Signore disse che chi vuol salvarsi e andare
ili paradiso deve osservare i comandamen-
ti (1). E poi soggiunse: «Se vuoi essere perfet-
to, va', vendi quanto hai e dallo ai poveri e
(1) «Si vis ad vitam ingredi serva mandata».
—- 623 —
vieni e seguimi» (1). Tu custodisci la legge?
Avrai la vita eterna, ci dice Gesù! Ma se
vuoi essere perfetto, se ti piace avere il cen-
tuplo, se vuoi sederti un giorno sovra un tro-
no per giudicare il popol dei santi, e cantar
lassù un cantico sconosciuto agli altri, vatte-
ne, vendi i tuoi beni, dà tutto ai poveri, resta
vergine, seguimi da vicino passo per passo.
Ciò che ti consiglio è senza dubbio il meglio:
beato tu se m'intendi; più beato se pratichi
bene quello che hai inteso! Se non lo pratichi
non incorri nella mia disgrazia; ma non
avrai il premio straordinario promesso sopra.
lì comprendere i consigli è privilegio.
Beati adunque, lo ripeto ancora, coloro che
intendono, ed abbracciano ed eseguiscono
questi consigli! Tutti per vero li sentivano
quando Gesù parlava, perchè egli li esponeva
avanti le moltitudini. Ma non tutti li affer-
ravano in modo da restarne compresi e per-
suasi. Per ottener questo si richiede una gra-
zia speciale. Bisogna che, mentre il Verbo
bussa alla porta dell'anima, lo Spirito Santo
venga ad aprirla, e perfezioni l'opera inco-
minciata dalla parola. Purtroppo è grande il
(1) « Si vis perfeetus esse, vade, vende quae habes,
da pauperibus, et babebis thesaurum in coelo; et
veni, Bequere me » (MATTEO, X I X , 21).

32.7 Page 317

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— 624 —
----- 625 —
numero di coloro, che ricevono cotesta gra-
zia, cioè sentono l'ispirazione divina di segui-
re i consigli evangelici, e non vi corrispon-
dono. Quelli poi che vi corrispondono, non
si arrendono se non perchè Dio fece loro la
grazia di corrispondere. Essi non hanno il
diritto di gloriarsene, poiché fu il Signore,
per pura sua misericordia, che la concesse.
Ma hanno però il diritto di rallegrarsene,
perchè ricevendo questo dono della vocazio-
ne, ricevettero il massimo dono di cui l'uomo
sia capace. Con essa è loro comunicata una
vita del tutto mirabile, ed aperta una sorgente
ad ogni più bella virtù. E tu sappi conti-
nuamente ringraziare il Signore; non sola-
mente perchè si degnò di parlare al tuo cuore,
ma anche perchè ti diede la forza di prati-
care quanto t'inspirò, cioè di metterti effet-
tivamente alla sua sequela. E procura, fa-
cendo ogni sforzo che è a te possibile, di cor-
viene comandato. Ogni virtù ha, per la stes-
sa ragione, il suo corteggio di consigli.
Tra la virtù obbligatoria, esercitata solo
in modo da non cadere nel peccato contrario,
e la virtù eroica tal quale è nei santi, quanti
I gradi, che la libertà umana può varcare, seb-
bene Iddio non li comandi! Tuttavia tutti i
teologi riconoscono, e il Vangelo ne fa fede,
che Gesù Cristo ne diede tre consigli prin-
cipali. E noi vediamo chiaramente che questi
tre consigli, mentre fortificano efficacemente
la virtù di coloro che li abbracciano, metto-
I no anche nello stato di perfezione coloro che
I si obbligano con voto ad osservarli. Questi
tre consigli sono: la povertà volontaria, la
castità perfetta, e l'obbedienza in ogni cosa
f che non sia peccato. Tutta la perfezione, cui
I siamo obbligati ad attendere facendoci reli-
I giosi, si acquista con la pratica di questi tre
rispondere costantemente a quella grazia, e I grandi consigli evangelici. Infatti il male che
meritarti con questa corrispondenza la per- | toglie da noi, o che uccide in noi la perfe-
severanza finale.
I zione e perfin la grazia di Dio, è la concu-
I piscenza. Questa concupiscenza è triplice,
I secondo che c'insegna l'apostolo San Gio-
vanni, dicendoci che tutto quanto è nel mon-
I principali consigli evangelici.
I do è concupiscenza della carne, concupiscen-
! za degli occhi, e superbia della vita (1). Ora
I consigli particolari abbondano nella mo- I ciascun consiglio evangelico è un divino ri-
rale cristiana. Ve ne sono molti per un solo
precetto; giacché vi sono tante maniere, una
fi) « Omne quod est in mundo, concupiscentia
più perfetta dell'altra, per compiere ciò che :arnis est, et concupiscentia oculorum et superbia
I vitae » ( / Giov., II, 16).

32.8 Page 318

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— 626 —
medio, che ha la virtù di guarirne una. La
concupiscenza degli occhi cede alla povertà, i
la concupiscenza della carne alla castità, e
l'orgoglio muore per il colpo onde è percosso
dall'ubbidienza. Chiunque pertanto segue que-
sti consigli, massime se ha fatto voto di se- I
guirli sempre, salva per certo in sè la vita
della grazia, distruggendo nel loro princi-
pio, tutte le forze che le sono contrarie, e
s'incammina agevolmente per la via della
perfezione.
Ragione di questi tre consigli.
La ragione di questi tre consigli è insie-
me evidente e profonda. Ogni vita è nel-
l'amore di Dio: il Primo Amore nel darci
la vita ci comunicò il suo amore, e ci co- ,
mandò di corrispondere ad esso con amarlo
a nostra volta con tutta la mente, con tutto
il nostro cuore, con tutte le forze dell'anima
nostra. I tre consigli evangelici non mirano |
che a preparar l'anima a corrispondere a
questo amore; a guarirne in noi ed allon-
tanare tutto il male che ucciderebbe l'amor
nostro verso Dio; a spezzare tutti i legami j
che potrebbero incepparlo, e proteggerne l'in-
tegrità, aiutandone alla fine il trionfo. Ora
il male che uccide in noi l'amore, lo abbiam I
detto, è la concupiscenza. Questa concupi-
scenza è triplice; e ciascun consiglio evange-
— 627 -
lieo è un rimedio che ha la virtù di gua-
rirne una. Chiunque pertanto segue questi
consigli, salva la vita dell'amore distruggen-
do nella loro radice tutte le forze che le sono
contrarie. Con questi mezzi l'anima si rin-
vigorisce, ed il primo frutto che ne trae è
l'inaugurazione in sè del perfetto regno di
Dio e della vera beatitudine. Chiunque s'im-
pegna a seguirli sempre, si pone sulla via
che mena alla propria beatitudine, giacché
sceglie la via regia della perfezione e della
santità. Oltre a ciò i consigli servono ad ec-
citare sempre meglio l'amor nostro verso Dio.
Di per sè l'amore tende in alto: Dio è il
centro ed il suo focolare, il suo principio ed
il suo ultimo fine. L'amore va a Dio col suo
proprio movimento, ed alle volte senza nep-
pur badarvi. Ma bene spesso si sente trat-
tenuto in basso, come dice San Paolo, da
una legge dei suoi membri, che ripugna alla
legge dell'anima (1). Or che fa l'esecuzione
dei consigli? Mortifica, cioè rattiene questa
tendenza alla parte nostra inferiore, e perciò
stesso dà libertà e permette lo slancio alla
naturai tendenza della parte superiore. Onde
noi vediamo ordinariamente chi segue i con-
sigli evangelici correre avanti animoso come
gigante nelle vie del Signore.
(1) «Video... aliam legem in membris meis, repu-
gnantem legi mentis meae, et eaptivantem me in lege
peccati • (Bom., VII, 23).
i

32.9 Page 319

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Dei voti religiosi.
In vari capitoli separati ti spiegherò un
po' in diffuso quanto riguarda questi tre
consigli, cioè la pratica di queste tre virtù.
Te ne farò anche vedere la bellezza, l'utilità,
ed il modo di praticarle, affinchè più presto. .
più facilmente e più sicuramente possa ar-
rivare alla mèta a cui aspiri, cioè alla per-
fezione. Ma siccome noi consideriamo l'ese-
cuzione di questi tre grandi consigli nello
stato religioso, e quindi nella osservanza dei
voti, così (riservandomi a parlartene più a
lungo in seguito) devo cominciare a parlarti
in generale di questi santi voti. Così com-
prendendo quel che sono, potrai apprezzare
meglio il bene ch'essi producono in te, e ti
metterai sulla via da essi tracciata, che ti ha
da guidare infallantemente al paradiso.
Questa legge delle nostre membra, di cui
parla San Paolo, che tiene in basso l'anima,
e che contraria la legge della mente, è la
concupiscenza. Essa è come un peso che c'in-
clina continuamente al basso; è come un
vincolo, un legame, che ci tiene con forza
legati alla terra. Il nemico dell'uman genere
cerca in tutti i modi di farci allontanare da
Dio, e d'unirci a sè. E perciò soffia in questa
nostra concupiscenza, la suscita con conti-
nue occasioni, con gli scandali del mondo,
con amicizie, ed anche con suggestioni di-
rettamente diaboliche, di modo che troppo
spesso si cade nei lacci del demonio. Coa-
viene che l'uomo sentendosi così proclive ed
avvinghiato al male, cerchi qualche mezzo
efficace, qualche perno a cui attaccarsi, qual-
che punto d'appoggio su cui posarsi, delle
altre funi che lo tengano stretto al Signore,
e così non abbia a cedere ed essere trasci-
nato dalle forze avverse. L'amore di Gesù
è il perno ed il punto d'appoggio del religio-
so, ed i santi voti sono le nuove funi che lo
tengono attaccato alla croce di Gesù.
1 voti sono catene gloriose.
I vincoli che ci vorrebbero tener uniti al
demonio, e come schiavi tenerci aggiogati
al suo servizio, sono ben obbrobriosi! Invece
quelli che tendono a tenerci uniti alla croce
di Gesù, e con santo amore farci figliuoli di
Dio, sono risplendenti e gloriosissimi. Degli
uni e degli altri ci parla lo Spirito Santo
nelle Scritture. Dei vincoli obbrobriosi ci dice
nel libro dei Proverbi: Le iniquità dell'empio
gli tengono luogo di corda; e così il pecca-
tore è tenuto legato con le catene dei suoi
peccati (1). Ed Isaia parlando di Gerusa-
lemme la esorta a spezzare i vincoli che la
(1 ) « Iniquitates suae capiunt impium, et funibus
peccatorum suorum constringitur » (Prov. V, 22).

32.10 Page 320

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—6
tengono come schiava legata pel collo (1).
Quando invece lo Spirito Santo ci parla dei
santi e gloriosi vincoli che ci tengono uniti
a Dio, esulta e ne dice per mezzo di Davide:
« I vincoli, che furono gettati su di me, pro-
curano una bella e carissima eredità» (2).
E l'Ecclesiastico ci invita fortemente a la-
sciarci legare dai legami della Sapienza. « I
suoi ferri, dice, diventeranno per te una po-
tente protezione ed un valido appoggio, ed i
suoi collari ti renderan glorioso, ed i suoi
legami saranno come fasciature salutari » (3).
Invece noi vediamo che le corde e le catene
di cui sono legati i delinquenti, e con cui
sono tenuti avvinti gli schiavi, sono i segni
dei loro delitti e della loro prigionia e schia-
vitù. Invece i collari di cui sono fregiati i
cavalieri ed i grandi signori nelle corti dei
re, e le catene d'oro di cui si ornano le grandi
dame di corte, sono testimonianza della loro
nobiltà, delle loro ricchezze e della loro li-
bertà. I legami che ci provengono dai voti
religiosi, ben lungi dall'essere dei primi, han-
no invece i più alti gradi dell'eccellenza dei
secondi. Li sorpassano anzi senza paragone
(1) "«JConsurge, solve rincula colli tui, captiva
Alia Sion » (la., LII, 2).
(2) « Funes ceciderunt mihi in praeclaris • (Sal-
mi. X V . 6).
(3) Erunt tibi compedes eius in protectionem
fortitudinis, et bases rirtutis, et torques illius in stolam
gloriae... et -rincula illius alligatura salutaris » (.Re-
di., VI, 30-31).
— 631
cmi ogni sorta di vantaggi, giacché innalzano
mirabilmente avanti a Dio ed alla corte ce-
leste quelli che li portano. Conviene pertanto
considerarli più da vicino e riconoscerne
bene l'eccellenza.
Essenza ed eccellenza dei voti religiosi.
Il voto, dicono i teologi, è una promessa
fatta a Dio, con conoscenza, con delibera-
zione e con libertà, d'una cosa buona, e mi-
gliore di quella che le è opposta. Secondo
questa definizione, nè le cose cattive, nè le
indifferenti possono servire di materia di voto.
Anzi neppure tutte le cose buone, come per
esempio il matrimonio, perchè il celibato è
ancor migliore. Questa definizione mostra an-
cora la dignità del voto e i grandi vantaggi
che esso porta, giacché esso prende per. suo
oggetto un bene al disopra dell'ordinario. E
siccome promette a Dio di darglielo, apre
la porta ad una grande gloria ed a ricom-
pense meravigliose. Ora, di tutti i voti che si
possono fare, i tre che formano lo stato reli-
gioso sono incontestabilmente i più nobili e
migliori. Infatti la perfezione del cristiano
onsiste nel rinunziare alla cupidità della
ta, nel mettere il mondo sotto i piedi, nel
- impere tutti i legami che lo tengono suo
- hiavo, e nel legarsi e unirsi a Dio per mez-
• della carità perfetta. Questo è appunto,

33 Pages 321-330

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come abbiam già detto, quanto fa l'esecu-
zione dei tre consigli evangelici. Con essi il
religioso, tagliando ogni altro vincolo, im-
piega tutte le sue forze per prendere con
slancio il volo, onde andare direttamente a
Dio e attaccarsi a lui.
Beni che apportano.
Di qui può vedersi a qual punto di eccel-
lenza questi tre voti elevano l'uomo. Essi lo
applicano intieramente a Dio ed al suo ser-
vizio, ed egli non può che trarne la più gran
gloria. Essendo così asservito alla gloria di
Dio, l'uomo resta grandemente onorato. Es-
so è elevato al colmo di una grande gloria,
quando l'anima sua, il corpo ed ogni suo
bene sono consacrati all'infinita maestà del
Signore. Quali tesori e quali beni non ap-
portano questi tre voti ad un religioso! Do-
nando tutto e donandosi tutto a quel Die
che non si lascia mai vincere in generosità
ed in bontà, il religioso riceverà da lui ben
altri regali, tra i quali il maggiore senz;
dubbio è la grazia e la forza che gli darà (1
slanciarsi così tutto intiero a lui. Oltre .
questo, i tre voti colmano l'animo di gioia
poiché sebbene sembrino essere accompagnai
e seguiti da grandi difficoltà, perchè ess.
contraddicono la natura corrotta, tuttavia
essi aprono all'anima la porta della felicita
Infatti essi legano ed uniscono a Dio, il che
forma il suo contento e la sua fortuna.
San Tommaso d'Aquino insegna, che per
mezzo di questi tre voti l'uomo si sacrifica
nel modo più eccellente a Dio, cioè vi si of-
fre in perfetto olocausto, e gli dona tutto
quello che ha senza riserva alcuna. Poiché
col voto di povertà rinunzia assolutamente
a tutto ciò che è esteriore a lui, dando al
Signore non solo quanto ha, ma ancora
quanto potrebbe avere; col voto di castità
egli consacra il suo corpo, e con quello di
ubbidienza, la sua anima; così non gli resta
più nulla. Di più, per mezzo di questi tre vo-
ti, egli allontana, per quanto sta da lui, non
-olo il peccato, ma anche le occasioni che po-
trebbero indurvelo. Poiché, come ottimamen-
te fa notare San Tommaso, è ben lontano dai
lesiderare o dal pretendere il bene d'altri,
olui che non vuol neppure possedere il suo.
Non si lascerà certo andare ai piaceri illeciti
olui che si risolve ad astenersi persino dai pia-
: -ri leciti: si guarderà bene di preferire la pro-
ia volontà a quella di Dio quegli che per
imore di lui si è persino assoggettato alla
lontà di un altro uomo. Il religioso per mez-
dei tre voti si mette ancora nella necessità
t. servir Dio, e per conseguenza d'essere fe-
:e. Si pone come in obbligo assoluto di pra-
are le virtù, e specialmente le tre teologali
la fede, della speranza e della carità. Ed
'atti è ben necessario credere in Dio e nella

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634
beatitudine avvenire, per rinunziare così al
mondo ed a tutti i beni della terra; sebbene
vari di essi gli siano necessari per il suo vit-
to, per il suo vestito, per il suo alloggio, e per
tutta la vita, la sua sussistenza. E ciò non
può avvenire senza una speranza in Dio tutta
soprannaturale, per cui attende ogni cosa da
Dio medesimo. E deve senza dubbio amar Dio
d'un grande amore colui che, per piacergli,
gli abbandona tutto quello che ha. e che vuol
morire a se stesso. Il poter poi fare i santi vo-
ti, è cosa che ridonda di grande onore al reli-
gioso. Il Signore fa dire che è molto meglio
dare che ricevere, e cioè che è cosa eccellente,
più perfetta, e più onorifica, e che è segno di
maggior amore il dare che il prendere. E in-
fatti dice San Tommaso (2,2, q. 117 ad 4) che
il dare tìen luogo di una causa agente ed il
ricevere quello di una causa materiale; e d'al-
tronde col dare, uno assomiglia di più a Dio
che è datore universale, cui è proprio il dare,
il comunicarsi, l'espandersi, come bene sovra-
no e lume essenziale. Un uomo di bassa con-
dizione è grandemente onorato quando un po-
tente monarca, che può dare a tutti e non ha
bisogno di niente, si degna tuttavia di riceve-
re qualche cosa da lui. Ed è un piacere ben
sensibile, un contento inesplicabile per la per-
sona che ama ardentemente, il poter dare
qualche cosa alla persona amata. Questa gio-
ia è molto maggiore che il ricevere qualche
cosa da lei. L'anima religiosa che si elà soven-
te e tutta intiera al Signore, e che si consacra
per sempre al suo servizio, deve dirsi ben
fortunata, perchè ha tutti i sopraddetti van-
taggi al grado supremo.
CAPO VII
DEI VOTI RELIGIOSI IN GENERALE
E DELLO STRETTO OBBLIGO
CHE SI HA DI OSSERVARLI
Voti c virtù.
Tu, o mio buon figliuolo, sei fortemente
deciso di osservare sempre, per tutta la tua
vita, le tre virtù della povertà, della castità e
dell'ubbidienza. Anzi desideri di consacrarti
a Dio coi santi voti; cioè di promettere a Dio
con voto di conservare la povertà volontaria,
la castità perfetta, l'ubbidienza in tutte le
cose. Bene, fatti coraggio, Dio ti aiuterà! Ma
bisogna capire che cosa voglia dire fare i san-
ti voti, e quali obbligazioni ti apporti que-
st'atto. E prima di tutto sappi che altro è
praticare una virtù, altro è farne voto. Altro
è praticare la povertà, la castità e l'ubbidien-
za, altro è fare il voto di povertà, di castità,
di ubbidienza. Sebbene il voto e la virtù
abbiano un solo e medesimo oggetto, il voto
e la virtù sono tuttavia cose differenti. La

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636
virtù è il fine del voto. Il voto è un mezzo per
arrivare a questo fine, cioè alla virtù. La vir-
tù è un santuario; il voto è un baluardo,
che lo difende e lo protegge. Il voto, come
tale, rimane esclusivamente nella sfera del-
l'obbligatorio, mentre la virtù si estende as-
sai più; e il suo campo è più vasto, tende alla
più alta perfezione. Si può violare la virtù
senza violare il voto corrispondente. Ma, se
si viola il voto, certo si vien meno anche alla
virtù. Il non praticare la povertà, l'ubbidien-
za, il non osservare la castità perfetta indica
che non si tende alla perfezione: il trasgre-
dire il voto che si fece per praticarle, è sem-
pre peccato. Vuoi tu assolutamente pratica-
re le virtù? Ecco un gran mezzo: promettile
a Dio con voto. E, per animarti a questo, tie-
ni sempre ben impresso nella tua mente, che
quanto più è grave il sacrifizio della propria
volontà nel metterti nello stato religioso, al-
trettanto più grande ne è la ricompensa.
Come fare i santi voti.
1) Coscientemente
Chi si è risoluto di consacrarsi a Dio coi
voti religiosi, di legarsi ed attaccarsi a lui
per mezzo di questi tre legami, di inchiodarsi
alla croce del Divin Figliuolo, e di crocifig-
gersi con lui con questi tre chiodi, di fargli
questo sacrifizio di se stesso, sacrifizio che è
—6 —
il più grande che egli possa fare, perchè egli
sacrifica tutto quello che ha; costui senza
dubbio, per poco che abbia di saggezza e di
giudizio, deve fare questa grande azione nel
modo più eccellente e migliore che gli sia pos-
sibile. E se è il buon cuore che nobilita ed in-
nalza il dono, se fa bisogno dare a Dio per-
sino la minima cosa con gran cuore, è eviden-
temente più ragionevole donargli con tutto
il cuore quelle che sono più considerevoli. Ma,
come non si saprebbe dare a Dio nulla di più
grande che quello che gli si dà per mezzo
di questi tre voti, così bisogna fargli questo
dono nel modo più sublime e più perfetto.
Ora questa maniera consiste innanzitutto nel
ben sapere ciò che si vuole dare a Dio, e
quello a cui uno si obbliga. E perciò bisogna
essere ben istruiti specialmente sui punti del-
le regole che riguardano questi tre voti. Noi
vediamo che in un contratto, anche dove non
si tratta che di spendere una piccola somma,
si considera con molta accuratezza quel che
si fa, ed anche si scruta il significato di tut-
le le parole, e persino si ponderano le sillabe
ed i punti. Certo è molto più ragionevole con-
siderare e pesare tutto quanto racchiude il
ontratto che si fa con Dio, tutto quello che
ichiede la carta della promessa che si fa a
Dio per mezzo dei voti, poiché la cosa è di
ina importanza massima, ed ha conseguenze
ncomparabilmente più grandi di ogni altro
I ontratto terreno.

33.4 Page 324

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2) Devotamente.
In secondo luogo, chi vuol darsi così a
Dio, e fargli col voto il sacrificio di tutto se
stesso, bisogna che faccia questo col più gran-
de affetto possibile, con uno spirito di divo-
zione e di consacrazione della propria persona
e di tutti i suoi beni al suo servizio, col de-
siderio di essere suo assolutamente e per sem-
pre. Bisogna pertanto che tu sii pieno dello
zelo della sua gloria, e di riconoscenza e gra-
titudine. Nel rendergli quanto ti ha dato, e
che tuttavia potresti conservare, devi farlo
con un grande rispetto a sua infinita Maestà.
Bisogna specialmente darti a lui con spirito
di amore dicendogli con verità, e più col cuo-
re che colla lingua, che gli offri e gli dài
quel po' di bene che hai, consacrandogli il
tuo corpo e la tua anima. Devi protestargli
che se possedessi dei tesori, dei regni e degli
imperi, se avessi diecimila anime, glieli da-
resti egualmente tutti, e ancor più volentieri,
perchè avresti maggior gloria nel potergli da-
re di più. Bisogna offrirsi a Dio e fare i san-
ti voti coi medesimi sentimenti e con i mede-
simi affetti coi quali la Santissima Vergine
gli fece quello della sua verginità, e col qua-
le gli offerse suo Figlio e se stessa nel tem-
pio, nel giorno della purificazione. Bisogna
offrirsi a Dio coi medesimi sentimenti con i
quali nostro Signore offrì se stesso al suo Eter-
no Padre, al momento della sua incarnazione
——
e poi sulla croce. Bisogna che tu ti unisca a
loro in questa azione, ed unisca i tuoi voti ai
loro, e che faccia i tuoi voti con uno zelo in-
fiammato per la gloria di Dio, con un amore
ardentissimo, con tutta l'applicazione dell'ani-
ma tua; e che perciò pronunzi le parole della
formula dei tuoi voti con questi altissimi sen-
timenti.
Male dell'ignoranza dei propri obblighi.
Se crediamo all'autorità sempre grande del
serafico San Bernardino da Siena, in qualun-
que stato della Chiesa di Dio trovasi un nu-
mero molto considerevole di persone di ogni
età, sesso e condizione, le quali ignorano mol-
te cose che dovrebbero necessariamente sapere
per salvarsi nel proprio stato. Se ciò si avvera
:iei secolari, questo sarà un gran male per
•ssi, obbligati come sono di sapere i doveri
del cristiano, alla cui osservanza s'obbligaro-
no nel battesimo. Maggior male per altro sa-
rebbe se una tale ignoranza si avverasse in
ìoi religiosi, relativamente a quei doveri che
:ie vengono solennemente prescritti nel fare i
-anti voti. Siccome questa ignoranza nei sem-
itici cristiani sarebbe motivo che essi trasgrc-
issero alla cieca i più precisi doveri contrat-
nel battesimo, così sarebbe nei religiosi sor-
.vnte di molte trasgressioni direttamente op-
oste alla sostanza dei voti da essi fatti. Mol-

33.5 Page 325

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—- 640 —
te cose realmente si fanno o si omettono, che
in vigore della professione non dovrebbero
farsi o non dovrebbero omettersi. Queste co-
se vengono senza dubbio imputate a peccato,
perchè, generalmente parlando, l'ignoranza da
cui derivano è gravemente colpevole, essendo
obbligato un religioso ad istruirsi sui suoi
doveri. È pertanto di primissima importanza
per te, deciso come sei di fuggire non solo le
mancanze mortali, ma anche le veniali, che sii
ben sollecito d'informarti esattamente delle
obbligazioni che ti provengono dai santi vo-
ti che desideri fare. A toglierti pertanto dal
pericolo di ignoranza in cosa che sia sostan-
ziale e per toglierti anche ogni scrupolo ed
ogni inganno pregiudizievole alla coscienza,
e a far sì di non essere poi inescusabile nelle
gravi inosservanze dei tuoi religiosi doveri,
ti esporrò chiaramente qui fin dove si esten-
dono le obbligazioni della tua futura profes-
sione relativamente all'osservanza dei tuoi
voti.
Peccati e pene canoniche di chi manca ni
voti.
I voti van fatti unicamente con lo scopo
di servire Dio più perfettamente. Sarebbe già
male anche il solo farli alla leggera. E tanto
più faresti male, se li facessi con l'intenzione
d'ingannare, come per esempio se li facessi
— 641 —
solo per poter essere assunto al sacerdozio e
poi uscirtene. È chiaro che in questo caso nes-
sun teologo potrebbe scusarti da peccato
mortale. Conviene ancora conoscer bene, che
violando poi i voti commetteresti doppio pec-
cato: uno per aver commessa un'azione catti-
va, l'altro per aver trasgredito il voto. In se-
guito è necessario sapere, che l'obbligo di per-
severare nell'osservanza dei voti fatti è as-
soluto, e, dopo fatti i voti, assolutamente non
puoi più tornare indietro. Un decreto di Cle-
mente X, confermato da San Pio V e da Gre-
gorio XII, diceva: « L'abbandonare la vocazio-
ne è come un'apostasia. Chiunque pertanto,
emessi i voti, si allontanasse dall'ordine e tor-
nasse al secolo senza la debita dispensa, o
comechessia si sottraesse all'ubbidienza dei
superiori, sarebbe issofatto scomunicato, e,
se sacerdote, anche sospeso a divinis, e fareb-
be un sacrilegio a celebrare ancora ». Il Ca-
none 2385 del Codice di Diritto Canonico
dice: Il religioso apostata dalla religione, in-
corre « ipso iure » nella scomunica riservata
al proprio superiore maggiore, o all'ordinario
se si tratta di religione laicale, è escluso da-
gli atti legittimi ecclesiastici, e privato di tut-
ti i privilegi della sua congregazione. Anche
ritornando in società, è privato in perpetuo
della voce attiva e passiva, e deve esser pu-
lito dai superiori a norma delle costituzioni,
-econdo la gravità della colpa.

33.6 Page 326

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La professione è contratto.
La professione religiosa si può considera-
re in due modi: come contratto fra la religio-
ne e chi fa i voti, e come promessa, in cui il
religioso si consacra in modo speciale a Dio.
Sotto tutti e due gli aspetti la professione por-
ta con sè delle obbligazioni. Sotto il primo a-
spetto: siccome la religione, nell'accettazione
alla professione, tacitamente si obbliga a
mantenere il professo, questi a vicenda do-
nandosi alla religione, contrae l'obbligo di ser-
virla in qualunque impiego gli venga asse-
gnato secondo la regola, sia esso onorifico o
sia umile. Anzi è tenuto il religioso ad abili-
tarsi, collo studio, colla diligenza e colla fa-
tica, al servizio della congregazione, essendo
fuori di dubbio che chi è obbligato al fine,
resta pure obbligato a porre in opera i mez-
zi. E qui devi fare seria riflessione su te stes-
so. Poiché se passassi il tempo in ozio invece
d'impiegarlo a renderti abile a servire la con-
gregazione secondo lo spirito della regola, e
se per pigrizia o per pusillanimità ti oppones-
si ad accettare le cariche che ti sono assegna-
te, tu peccheresti certamente.
La professione è promessa.
Sotto il secondo aspetto poi, cioè come pro-
messa, la professione religiosa porta l'obbli-
gazione di aspirar e tendere efficacemente al-
l'acquisto della perfezione. Così se un reli-
gioso deponesse l'animo di attendervi o non
usasse alcuna diligenza per acquistarla, sa-
rebbe, anche per ciò solo, in stato di pecca-
to. Questo è il fine di ogni religioso, di tendere
coll'affetto e coll'opera a perfezionarsi, per
quanto è possibile in questa misera vita. Chi
è obbligato al fine, è obbligato ai mezzi. E
mezzi efficaci da praticarsi per adempiere
questa obbligazione sono: una speciale morti-
ficazione dei sensi e delle passioni disordinate,
che, come fonte d'ogni peccato, si oppongono
alla perfezione; un continuo esercizio delle
virtù teologali e morali; l'assiduità all'orazio-
ne, ecc.; ed infine ed in un modo speciale l'os-
servanza delle regole dell'istituto. Coll'uso
costante di questi mezzi tu adempirai l'obbli-
go di tendere alla perfezione.
Quando si pecca per non tendere alla per-
fezione.
Quali sono i casi in cui il religioso pecca
mortalmente contro quest'obbligo di tendere
alla perfezione? In tre casi, dice sant'Alfonso
con tutti i dottori: 1) se trasgredisce le sue
regole per disprezzo, cioè, o perchè le stima
vane, o perchè non vuole a quelle sottomet-
tersi; 2) se col suo esempio è causa di rilas-
-amento alla comunità nell'osservanza religio-

33.7 Page 327

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sa; 3) se assolutamente determina di non fa-
conto della perfezione. Pecca poi venialmente
contro quest'obbligo quel religioso, che poct
attende alla mortificazione delle passioni; chi
non è sollecito all'orazione come gl'impone i.
dovere; che per leggera causa trasgredisce h
regole, e vive immemore dell'obbligo che ha
di tendere alla perfezione medesima. Attenti
dunque, o caro figliuol mio, e mettiti di pro-
posito serissimo a voler tendere alla perfe-
zione. E non solo sta' attento a non voler pec-
care mortalmente, ma neppure venialmente
Impegnati con tutte le forze a perfezionari
te stesso.
l'Israele e me li offrirai per renderli miei, e
dedicarli al mio servizio. Essi pertanto servi-
ranno nel tabernacolo: così tu li purificherai
me li consacrerai, poich'essi mi sono stati
ionati dai figli d'Israele» (Num. Vili, 13).
Queste parole rivolte da Dio a Mosè riguardo
ìi leviti, han ben più forza ancora in riguar-
do dei religiosi, che si sono essi medesimi dati
a Dio per mezzo dei santi voti. Perciò devono
pensare seriamente a praticarli secondo che
si sono essi stessi obbligati.
Bisogna osservare i voti.
Il religioso è di Gesù.
Bisogna che tu ben capisca, che quandi
una persona si è donata e consacrata a Dit
coi santi voti religiosi, non è più di se stessa
ma di Gesù Cristo. Essa non ha più il poteri
di disporre di sè, ma appartiene al Signore, i
quale ne potrà fare tutto quello che gli piace
là per il suo divino servizio. Quando adun
que tu pensi al tuo corpo, o consideri la tut
anima, devi dire: queste mani, questi piedi
questa lingua, questo corpo, il mio intelletto
la mia volontà, la mia anima non apparten-
gono più a me, ma a Dio. Io non ho più nien-
te. Dio aveva detto a Mosè, riguardo ai leviti
« Tu separerai i leviti dal resto dei figliuol
« Fate dei voti al Signore vostro Dio, dice
Davide, ma poi osservateli» (1). «Se qualcu-
no fa voto al Signore di qualche cosa, dice
Mosè, non manchi di sua parola; ma esegui-
sca tutto ciò che promise » (2). Il profeta Isaia
dice anche: «Essi faranno dei voti al Signore.
• saranno solleciti ad adempirli » (3). Così
Davide dice di se stesso: «Io renderò al Si-
gnore quello di cui ho fatto voto» (4).
(1) « Vovete et reddite Domino Deo vestro » (Sal-
mi, L X X V , 12).
(2) « Si quia virorum votum Domino voverit, non
'aciat irritimi verbum suum, aed omnia quod promisit
mplebit • (Num., X X X , 3).
(3) « Vota vovebunt Domino et solvent » (Is.,
XIX, 21).
(4) « Vota mea Domino reddam • (Salmi, CXV, 14).

33.8 Page 328

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— 646 —
Bisogna che l'esecuzione di questi voti sia
esteriore ed interiore: esteriore, cioè che gli
uomini vedano ch'essi sono eseguiti in tutta
l'estensione della loro obbligazione; interiore
poiché bisogna che l'esecuzione sia fatta col-
l'animo, e per spirito di virtù. Senza questo,
e conviene notarlo bene, il voto non è voto,
non è un atto di religione, nè per conseguen-
za un atto gradito a Dio e meritorio per l'uo-
mo. Non vi ha dubbio che quando uno fa un
voto, vuol fare un'azione che piaccia a sua
Divina Maestà, un'azione meritoria e conse-
guentemente un'azione buona e virtuosa: poi-
ché le azioni indifferenti non piacciono a Dio,
e le cattive gli dispiacciono. Ma per rendere
un'azione buona e darle una tinta di virtù, è
assolutamente necessario che non solo essa sia
buona e virtuosa in apparenza, e quindi nelle
sue qualità esteriori, ma ch'ella lo sia nell'a-
nima; cioè prodotta per motivo retto e con
buone intenzioni, ciò che forma l'essenza del-
la virtù. Perciò il religioso che osserva solo i
suoi voti esteriormente, non fa un'azione vir-
tuosa che piace a Dio, e che sia utile alla sua
salute. E per conseguenza si può dire che non
osserva debitamente i suoi voti e non adempie
alle sue promesse. Mentre invece se li osserva
di cuore, e collo scopo di virtù, e con le di-
sposizioni interne dovute, egli adempirà ade-
guatamente i suoi voti, e piacerà a Dio, e fa-
rà il bene dell'anima sua.
Il religioso deve considerarsi come una vit-
tima consacrata.
11 religioso emettendo i santi voti si rende
un'ostia di lode a Dio, e per praticarli bisogna
ch'egli viva in spirito di vittima, sull'esempio
di Nostro Signore, del quale San Paolo dice,
che essendo Sovrano Pontefice, si offerse egli
stesso come vittima immacolata per essere sa-
crificata al suo Eterno Padre (1). Ed in .litro
luogo: « Gesù Cristo ci ha chiamati, e per te-
stimonianza dell'amor suo si è offerto per noi
a suo Padre in odore di soavità s> (2). Egli fu
in questa grande azione e il sacerdote e la
\\ ittima, l'offerente e l'oblazione, come dice
Sant'Agostino. Or egli portò questa disnosi-
zione di vittima per tutta la sua vita, e fece
tutte le sue azioni con questo spirito. Il reli-
gioso deve formarsi su questo eccellente mo-
dello; riguardarsi come una vittima consacra-
la coi suoi voti al servizio di Dio ed al suo-
more. Deve agire in vista di ciò, e fare tutte-
le sue opere con questa impressione e con
uesta intenzione di farsi ostia. Deve render-
ai per amore, come fece Gesù, sacerdote e
ittima. offerendo se stesso, sacrificando se
-tesso. Deve sacrificare a Dio i suoi pensic-
eli « Semetipsum obtulit immaculatum Deo » (Ebrei,
X, 14).
(2) « Christus dilexit noe, et tradidit semetipsum
ro nobis oblationem et hostiam Deo in odorem sua-
-tatis • (Efes., V, 2).

33.9 Page 329

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—6 —
— 649 —
ri, le sue opinioni, la sua volontà, i suoi de- conserva, se non qui, presso il Giudice divi-
sideri, i suoi piaceri, le sue comodità, e gene- I no. Voi siete obbligati di rinunziare al mon-
Talmente tutto, non facendo più niente che do, di osservare la povertà, la castità e l'ob-
come una vittima destinata alla morte per la bedienza; ricordatevene e state attenti ad ese-
gloria di Dio e morendo attualmente a tutto, I guire. Chi avesse promessa una somma di
secondo la mistica parola di San Paolo: io I danaro, pensa continuamente al suo debito ed
muoio tutti i giorni: quolidie morior (I Cor., I
XV, 31). Ecco come un religioso deve esegui- I
re i suoi voti.
alla sua obbligazione. Voi avete promesso a
Gesù la fede che è d'un prezzo ben maggio-
re. Voi vi siete obbligati ad osservare per
amor suo dei voti; ricordatevi continuamente
della vostra promessa, e soddisfate il vostro
La professione è un impegno d'onore.
debito ».
Per animarti fin d'ora ad osservar poi sem-
pre e bene i tuoi voti, bisogna far molta con-
siderazione a tre cose: 1) facendo i voti pro-
metti e dài la tua parola, alla quale un uomo
di virtù e d'onore non manca mai. Tu l'hai
promesso affatto spontaneamente, nessuno ti
ha forzato a farlo: bisogna dunque ora man-
tenere la promessa. Sant'Ambrogio parlando
delle promesse battesimali dice cose che con-
viene riferire, applicandosi ancor più alle pro-
messe fatte da noi coi santi voti. « Ricordate-
vi della parola data, dice egli; essa non vi
passi mai dalla mente. Se voi aveste fatto per
iscritto una promessa ad un uomo, sareste ob-
bligati a mantenerla. E se voi mancaste egli
potrebbe citarvi avanti al giudice, e là facendo
vedere il vostro obbligo fatto in buona for-
ma, sforzarvi a pagare. Considerate dove ed
a chi avete promesso. La vostra promessa si
È un impegno con Dio.
2) Considera poi a chi si promise e si fe-
cero i voti. Sebbene l'obbligazione di una pro-
messa nasca essenzialmente dalla volontà di
colui che si obbliga, tuttavia la qualità di
colui cui la promessa è fatta, la renderà an~
• he maggiore e più indispensabile. Mancar di
:>arola ad un compagno è certo mancare al
proprio dovere, e rende degno di biasimo.
lancar però di parola ad un re, è mancare
Sen più, è violare molto più gravemente il
•roprio dovere; poiché si deve ad un re più
;ran rispetto, e si deve avere ben più paura di
ffenderlo. Colui al quale il religioso fa i suoi
oti e dà la sua parola è Dio, la cui Maestà
infinita. È Dio avanti a cui tutti i re della
'.erra non sono che atomi. Tu, religioso, pon-

33.10 Page 330

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dera bene e giudica da questo come sia obbli-
gato ad eseguirli.
Obbliga sotto pena di peccato.
3) Rifletti ancora sull'importanza della tua
promessa e sulla eccellenza delle cose che hai
promesso. Non dimenticarti che sei tenuto
sotto pena di peccato mortale, della danna-
zione eterna, di soddisfarle. San Tommaso
(2, 2, 9, 88) domanda se si può fare un voto
a Dio che non obblighi sotto pena di peccato.
E risponde che non si può: poiché, se dobbia-
mo attendere ad una promessa fatta ad un
uomo, quando uno glie l'ha fatta, si è molto
più obbligati di attenderla a Dio. È una spe-
cie d'infedeltà il mancarvi. Di più, quando si
promette qualche cosa a Dio, gli si dà dirit-
to sulla cosa promessa; in modo che dopo non
gliela si può più togliere senza fargli un tor-
to e senza offenderlo. Non sei obbligato a fa-
re il voto; ma, dice il Signore, quando tu
avrai fatto un voto a Dio non differirne l'ese-
cuzione, perchè Iddio te lo domanderà come
una cosa che gli appartiene, altrimenti te la
imputerà a peccato (1). Il Savio dice nel me-
di « Cum votum voveris Domino Deo tuo, non tar-
dabis reddere: quia requiret illud Dominus Deus tuus:
et si moratus fueris, reputabitur tibi in peccatum.
Si nolueris polliceri absque peccato eris » (Deut., XXIII.
21-22).
desimo senso: essendo il voto una promessa
fatta a Dio non si deve assolutamente mancare
di eseguirla: dispiacendogli moltissimo anche
il semplice ritardo, che riguarda come colpa
d'infedeltà (1).
Iddio non costringe alcuno al voto; ma
quando si è già fatto, non si può ad esso con-
tavvenirc in verun modo senza commettere
peccato. Meglio è dunque, conchiude il Savio,
non obbligarsi con alcun voto, che dopo es-
sersi obbligati non eseguirlo (2).
Parla qui il Savio delle semplici promesse
ehe a guisa di voto si fanno a Dio. E se que-
ste già vengono da lui riguardate con occhio
di abbominazione, imputando a grave colpa
qualora non si osservino, quanto maggior ma-
le sarà la trasgressione dei voti di povertà,
di castità e di obbedienza, che i religiosi fan-
io ai piedi degli altari, obbligandosi avanti a
Dio di osservarli fedelmente? Il religioso non
:ia dunque debito più stretto nè più sacrosan-
to dell'osservanza esatta di questi tre voti,
u pertanto pensaci seriamente: nessuno ti
ostringe e nessuno ti spinge a farli; ma se li
'ai prendi tutti i mezzi necessari ed opportu-
i per eseguirli poi sempre. Sii disposto, se
(1) «Si quid vovisti Deo, ne moreris reddere; di-
- : licet enim ei infidelis et stulta promissio » (Eccle.,
Y, 3-4).
(2) « Melius est non vovere, quam post votum
romissa non reddere ».

34 Pages 331-340

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34.1 Page 331

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occorresse, a sudar sangue per lo sforzo che
dovessi fare nel praticarli.
la presenza di tutto il mondo i voti che io
iio fatti al Signore: vota mea Domino reddam
oram omni populo eius (Salmi, CXV, 14).
La trasgressione dei voti è un furto a Dio.
Il peccato clic si commette nella trasgres-
sione dei voti è mortale in se stesso, e non vi
è che l'inconsiderazione o la piccolezza della
cosa, che lo scusi e lo renda veniale. Tutti i
dottori s'accordano nel dire che rubare un;
somma vistosa ad un uomo è peccato mortale
meritevole per sempre della privazione del
paradiso, e delle fiamme dell'inferno. Stand
così le cose chi può dubitare, che il togliere a
Dio i beni che gli sono stati promessi col vo-
to di povertà, che rubargli il proprio corp<
e la propria anima, incomparabilmente più
preziosa che tutto l'argento e l'oro del mondo,
e che furono consacrati col voto di castità e
di obbedienza al suo servizio e alla sua gloria,
non sia un peccato ben più grave, un ladro
cinio, un sacrilegio, e che merita le fiamm>
più orribili, tormentose e più rigorose del-
l'inferno? Tormento che deve gettare lo spa-
vento nell'anima del religioso e stornarlo da^
commettere sì gran fallo! Procura dunque d
osservare perfettamente i tuoi voti, sia nel tm
interno che nell'esterno, in modo da poter di-
re con Davide: Io compirò esattamente ed al-
Considerazioni a chi è poco osservante dei
voti.
E quando fossi caduto in qualche inoscer-
anza dei voti, ti metterai davanti agli occhi
a sublimità della condizione a cui t'aveva
chiamato il Signore, la santità del luogo do-
ve il Signore ti mise, la consacrazione del tuo
corpo e della tua anima e di tutta la persona
al servizio di Dio, l'abbondanza di grazia e
a moltitudine dei mezzi che Dio ti diede per
ivere bene e per compiere bene i tuoi Aoti;
• poi la tua sconoscenza e ingratitudine, e
abisso in cui sei precipitato mancandovi. E
ol paragone dell'altezza da cui sei caduto,
la profondità del precipizio in cui ti trovi,
onsidererai la grandezza dei tuoi mancamen-
i. Si, dice San Girolamo, serve molto a farci
apire l'abisso del male che abbiamo fatto
ad accrescerne il dolore, il misurare l'altez-
:a da cui siam caduti. È utilissimo al religio-
so che si è rilassato nella pratica e nell'osser-
anza dei voti, per raffrenarsi e per ripren-
iere un nuovo coraggio, di riguardare in sè
tempio di Dio, cioè il suo corpo e la sua
^nima consacrati al culto ed alla gloria di sua
'ivina Maestà; di vedere la grandezza dei be-
L

34.2 Page 332

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ntfizi e delle grazie che Iddio gli fece in re-
ligione, per concepire confusione delle man-
canze commesse, per averne il cuore tutto ri-
pieno di dolore e di pentimento, e per pren-
dere una risoluzione ferma di correggersi e di
vivere d'ora in avanti con più vigilanza e
con maggior esattezza. Per questo giova ripe-
tere sovente a se stesso quanto ci insegna San
Paolo; ammaestramento ben appropriato al
religioso ed opportuno a noi tutti: «La ter-
ra che è innaffiata dalle piogge del cielo, che
non è ingrata, e che produce erba buona per
colui che l'ha coltivata, merita che le bene-
dizioni del cielo si moltiplichino sopra di lei,
e che essa produca di più in più. Ma quella
che, per innaffiata che sia, non rende che dei
cardi e delle spine, è degna di maledizione
e d'essere abbandonata: essa merita che il
fuoco la bruci e la consumi ». Gioverà anco-
ra che il religioso si rappresenti la ficaia del
Vangelo. Dopo d'averla coltivata con cura, e
concimata tre o quattro volte, il padrone ve-
dendo che non portava frutti non ne ebbe più
cura, anzi le mise la scure alla radice per at-
terrarla. Ricordati e temi nello stesso tempo
il castigo di Anania e di Zaffira. i quali, per
aver ritenuto una parte dei beni che avevano
votato a Dio, furono puniti con la morte
istantanea per le parole di San Pietro: «Per-
chè, o Anania, ti sei lasciato indurre da Sa-
tana a mentire? Prima di promettere, e dopi-
d'aver venduto le tue terre potevi ben farn-.
quel che volevi. Ma dopo che l'hai promesso
a Dio perchè non hai dato tutto?» Così io
dico a te: Pensa molto prima di fare i voti;
ma quando li avrai fatti sappi che devi ese-
guirli completamente, del resto l'ira di Dio
sarà sopra di te.
CAPO Vili
DELLE OBBLIGAZIONI SPECIALI
DEI TRE VOTI
Conviene ora esaminare attentamente qua-
li sono le obbligazioni specificate che ci pro-
vengono da ciascun voto in particolare.
1) Del voto di povertà.
Il voto di povertà consiste nel promettere
a Dio di rinunziare effettivamente alle ric-
chezze, e nel distaccare il cuore dalle medesi-
me: e ciò per amore del bene eterno che è
Dio. Con questo voto pertanto il religioso ri-
nuncia ai beni terreni, di qualunque sorta
-isi siano. Vi son però più gradi di povertà
religiosa; e questi diversi gradi fan sì che vi
- ano varie sorta di voti religiosi. Il più per-

34.3 Page 333

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fetto di questi è quello pel quale uno rinun-
zia assolutamente a tutto quello clie possiede,
e ad ogni diritto di possedere. Con questo vo-
to il religioso professo è reso inabile a riceve-
re, ad acquistare, a rivendicare, a fare in-
somma atto qualunque di proprietà, come se
già avesse abbandonato questo mondo. Que-
sto è l'effetto che produce nel religioso quel
che dicesi voto solenne di povertà.
Benché la legge civile non riconosca più
questa incapacità di possedere nel religioso,
ciò non pertanto essa non può impedirlo. I
voti solenni sono validi innanzi a Dio perchè
definitivamente sanzionati dalla Chiesa, uni-
ca che abbia potere in queste cose, essendo
il voto religioso un atto affatto spirituale, nel-
la sua essenza.
II voto semplice di povertà.
I voti semplici non rendono il religioso
inabile a possedere: solo ne limitano la fa-
coltà. Inoltre per questi religiosi che non
emettono i voti solenni, vi sono molte differen-
ze nel voto di povertà, riguardo all'estensione
della loro obbligazione. Questa è chiaramenn
determinata dalle regole, ossia costituzioni-
di ciascuna congregazione religiosa. Dette co-
stituzioni di ciascun istituto religioso deter-
minano appunto il grado in cui si spoglia il
religioso che vi si obbliga. La Chiesa approvc
tutti questi gradi, perchè tutti sono santi e
santificanti, ed al certo compresi nel consi-
glio dato dal Salvatore. Il minimo di essi met-
te già l'uomo in uno stato incomparabilmente
più elevato di quello dei proprietari, chiunque
siano, quando anche fossero prodighi nelle
loro limosine. San Tommaso l'insegna e lo
prova asserendo che il merito del religioso,
quanto alla limosina sorpassa quello dei se-
colari, come ciò che è universale sorpassa in
estensione ciò che è solamente particolare,
e come l'olocausto sorpassa gli altri sacrifizi.
Il voto di povertà secondo le nostre costitu-
zioni.
Secondo le nostre Costituzioni il voto di
povertà riguarda l'amministrazione di qualsi-
voglia cosa, non già il possesso. Perciò i pro-
tessi nella nostra società potranno ritenere il
dominio radicale, come si dice, dei loro beni:
ma ne è loro intieramente proibita l'ammini-
strazione, come pure la distribuzione e l'uso
delle rendite. Tutto questo si dovrà pure te-
nere riguardo a quei beni che loro perverran-
o a titolo di eredità, dopo fatta la professio-
ne. Le nostre costituzioni prescrivono inoltre
he qualunque cosa i professi avessero acqui-
e t o , o con la propria industria o in vista del-
. società, non si possa attribuire o ritenere
•er sè, ma il tutto si debba rifonder tra i be-

34.4 Page 334

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ni della comunità, a comune vantaggio della
società. Per questo voto, continuano a dire le
costituzioni, ciascuno è obbligato a tenere la
propria celletta nella massima semplicità, e
studiarsi con tutte le sue forze di ornare il
cuore di virtù e non le pareti della camera.
Niuno, nè entro nè fuori della congregazione,
può tener denaro presso di sè, o presso altri,
per qualsiasi ragione. I soci poi seguiranno la
vita per ogni rispetto comune riguardo al vit-
to ed alle vesti; nè alcuno può ritenere per sè
veruna cosa senza particolare permesso del
supcriore. Queste sono le cose essenziali, che,
secondo il capo III delle nostre costituzioni,
si richiedono per l'osservanza del voto di po-
vertà. Questo voto da noi, come si vede, è di
abbastanza facile esecuzione. Ma siccome re-
stringe manifestamente in molte cose l'eserci-
zio naturale del diritto di proprietà, che è la
libera ed intiera disposizione di quanto uno
possiede, così inchiude una vera immolazione,
sicché costituisce il socio nello stato religioso.
Le trasgressioni del voto di povertà.
Qui tuttavia giova notare che i teologi
d'accordo asseriscono il voto di povertà esser
quello che più degli altri è trasgredito dai re-
ligiosi. Perciò quanto più per noi esso è lar-
go e di facile esecuzione, come quello che per-
mette molte cose, tanto più tu devi stare at-
tento a praticare esattamente quelle poche
cose che esso prescrive. Si deve ritenere qui
per regola fondamentale, che uno pecca con-
tro il voto ogni qual volta trasgredisce uno dei
punti sopranotati. Perciò anzitutto chi ha fat-
to questo voto non può tenere danaro, e, sen-
za il consenso del suo superiore, non può più
disporre dei beni di cui non ha regolato l'uso
prima della sua professione. Perciò pecca chi.
senza il consenso del superiore, tiene danaro
o dispone di beni. Se pertanto ti si offre 1 oc-
casione di usare in fatto della proprietà, da
te tenuta in diritto, esponi, se credi, le tue
idee, dichiara anche all'uopo i propri desideri,
li puoi anche appoggiare con buone ragioni,
perorare discretamente ed umilmente la cau-
sa tenuta da te o per più vera o per migliore:
ma non disporre assolutamente nulla di pro-
pria volontà.
La virtù perfezione del voto.
Credo poi conveniente inculcarti, che giac-
ché ci è concessa assai larghezza del nostro
cto, agiresti saggiamente rifacendoti dal lato
della virtù. Dappoiché in diritto siamo meno
spogliati di quello che non sono quelli che
• mettono i voti solenni, in fatto procuriamo
•ti essere più distaccati. Conviene anche che
pensi il meno che puoi ai tuoi beni, in quanto

34.5 Page 335

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6—
te ne resta la proprietà. E, venuto il momen-
to d'occupartene, renditi di tanto più docile
alle decisioni dei superiori, in quanto che es-
si hanno minor libertà di intimartele. Nota poi
bene che nelle costituzioni è detto, in forza di
questo voto come lo facciamo noi, ciascun so-
cio può ritenere il dominio. Ciò non toglie che
uno possa anche disfarsene spogliandosi di
tutto. È certo che chi sente di spogliarsi di
tutto si fa maggior merito. Ed io ti consiglio
ad essere intieramente generoso, ed a spogliar-
tene effettivamente, se sei nell'età convenien-
te e nelle circostanze di poterlo fare. E se non
hai l'età maggiorenne, od hai ancora i genito-
ri, puoi da te stesso promettere seriamente al
Signore di volerti spogliare di tutto, appena
l'età o le circostanze lo permetteranno.
Gravità delle trasgressioni.
Sebbene, come ti dissi, ogni trasgressione
di voto sia peccato, non sempre essa arriva ad
essere peccato mortale. Qui, come dappertut-
to, perchè il peccato arrivi ad essere mortale
è necessario vi sia materia grave, piena cono-
scenza e pieno consenso. Riguardo alla mate-
ria grave è da ritenere che, essendo d'altra par-
te tutte le cose uguali, chi s'impossessa di un
oggetto per usarlo soltanto, non pecca come
— 661 —
-- lo prendesse per appropriarselo. Chi si ap-
ropria qualche cosa necessaria, non comrnet-
v la stessa colpa che commetterebbe se faces
-e sua qualche cosa superflua. Chi dona, o
impresta ad uno di fuori, è più reo di chi im-
presta o dona ad un membro della comuni-
Riguardo poi alla entità della materia per
fare peccato mortale, è regola generalmente
dimessa, che, quello che riguardo al furto
f< irmerebbe materia grave, è pure peccato mor-
tale se in religione uno lo pigliasse senza
verne avuta facoltà. Notano poi che qui si
ommette in più altro peccato per la trasgres-
sione del voto. Qui ancora è da notare che,
-ebbene le nostre regole non obblighino, per
- sotto pena di peccato nè mortale nè venia-
le. quando vi è qua e là una regola che pre-
scrive o proibisce qualche cosa che cada sot-
;•> il voto, per colui che manca a quanto è
da essa regola prescritto, commette un rea-
issimo peccato, non già, ben inteso, per moti-
vo della regola, ma per cagione del voto col
quale esso si è obbligato. Poiché, quando suc-
cede che una regola religiosa comanda un puli-
to di morale, già comandato dalla legge na-
turale, divina od ecclesiastica, è chiaro che non
potremmo mancare a questo punto senza pec-
care. Non è già, ripeto, per ragione della re-
gola considerata in sè, ma per cagione della
trasgressione della legge che si stima oppor-
tuno richiamar a memoria nella regola.

34.6 Page 336

▲back to top
Altri obblighi del voto di povertà.
Per ragioni del voto di povertà, non solo,
secondo che è notato espressamente nelle no-
stre costituzioni, si è reso illecita l'ammini-
strazione dei propri beni e il goderne l'uso
e l'usufrutto, ma anche tre altre cose, cioè il
dare, il ricevere, il ritenere ad uso proprio co-
se temporali, anche piccole, di propria auto-
rità, senza licenza dei superiori. Oltre a que-
sto, il voto di povertà obbliga ancora a me-
nare una vita povera, e a non far spese
sconvenienti alla povertà professata. E pe-
rò si deve bandire il superfluo sia nella quan-
tità, sia nella qualità delle cose di uso, cosic-
ché queste devono essere semplici ed indicanti
la povertà. Povertà e superfluità sono cose che
non possono andare insieme. Cose superflue
nella quantità, si reputano quelle non neces-
sarie al religioso, nè come individuo, nè come
convenienti al suo grado. É da ammettersi la
necessità adatta alla convenienza del grado,
perchè quello che è superfluo per un laico,
può essere conveniente ad un prete; quello
che è superfluo ad un inferiore, può essere
conveniente ad un superiore. Sono superflue
nella loro qualità tutte quelle cose che hanno
del signorile; come sarebbe mobili di valore,
vestiti e panni ricercati, biancherie fini e si-
mili. Ma almeno con licenza dei superiori si
potranno lecitamente avere e tenere cose su-
perflue? No. Il Superiore non ha alcuna au-
torità di accordare il superfluo sia nella quan-
tità, sia nella qualità, perchè il superfluo ri-
pugna alla povertà professata, da cui nessun
superiore può dispensare.
In quanti modi si pecchi contro il voto di
povertà.
Vediamo ora in quanti modi si pecchi con-
tro il voto di povertà. In tre modi il religioso
può peccare: male acquistando; mal ritenen-
do; male usando. Male acquistando: se senza
licenza riceve per sè roba o danari in dono,
) in prestito, tanto da persone estranee,
quanto da confratelli. Solo è da notare che
quando si tratta di cose minute, vi è la ccn-
-uetudine di poterlo fare perchè sogliono i
superiori darne licenza. Pecca pure se senza
icenza si provvede da sè alcuna cosa, ancor-
ché conveniente; e quando, senza licenza, si
appropria cose della casa. Mal ritenendo: se,
senza licenza dei superiori, ritiene danari o
roba, tanto presso di sè quanto presso di altre
persone; se, avendone ricevuta licenza, la tie-
e come cosa propria; se ritiene cose vane o
~uperllue. Male usando: se, senza licenza, dà
regala roba o danari, o suoi o della casa;
M.' senza licenza impresta, permuta o vende
iba sua o della casa, sia dentro sia fuori del

34.7 Page 337

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—6 —
la congregazione; se, sempre senza licenza,
condona o rilascia ciò che gli è dovuto; s.e,
ottenuta licenza di dare alcuna cosa ad una
persona, o di servirsi esso stesso di quella co-
sa per qualche determinato uso, ne dà un'al-
tra o ne fa un altro uso: se spende in cose va-
ne, sconvenienti o superflue; se ha poca cu-
ra della roba di casa, o di suo uso, consu-
mandola indiscretamente, o lasciandola per
negligenza andare a male, smarrire, ecc. E si
noti che in quanti modi si pecca con l'opera,
si può peccare col pensiero, desiderando, com-
piacendosi, ecc... È da evitare accuratamente
uno scoglio: questo riguarda i propri parenti.
Essi potrebbero essere poveri e bisognosi; e
potrebbbero servirci di grande tentazione di
mancare alla povertà da noi professata, per
soccorrerli. Devi notare assolutamente c«ie.
senza il permesso dei legittimi superiori, non
lo puoi fare. Non ti è vietato tuttavia di ricor-
rere ai superiori a questo riguardo, quando
conoscessi che la necessità è proprio reale. L
se tu stesso avessi qualche grado di superio-
rità, e avessi dai superiori maggiori facoltà
di soccorrere indigenti? Allora potrai servili:
di questa facoltà; ma solo conte faresti in si-
mili circostanze per altri. Vigila su questi-
punto su te stesso, perchè, poste circostanzi
difficili pei tuoi, è tanto facile che la pietà
filiale ti faccia eccedere e ti procuri poi un
ragionevole imbroglio di coscienza.
— 665 —
Alcune osservazioni.
Son da notare ancora alcune cose. Per chi
spesso senza licenza riceve o dona o consuma
piccole cose, la materia col moltiplicarsi delle
volte si fa grave. Si pecca quando si nasconde
alcuna cosa, perchè il superiore non la ve-
da e non la tolga. O quando, perchè non si
trovi, si mette in mano a terze persone. Pec-
ca chi con querele impedisce che il superiore
esiga la cosa concessa, o se quando il superio-
re esige, il religioso si lamenta come d'ingiu-
stizia. Non è sufficiente, a far evitare il pec-
cato, la licenza del superiore strappata con
frode; come sarebbe se uno tacesse al mede-
simo ciò che, se fosse noto, non la conce-
derebbe. Il religioso che ha arrecato qualche
danno alla congregazione indebitamente do-
nando, consumando ecc. ecc., è tenuto a rifare
.1 danno, e ciò in tutti i modi a lui possibili.
2) Del voto di castità.
Il peccato che fece cadere dall'originale in-
locenza il nostro progenitore Adamo, fra gli
dtri danni cagionati all'uomo, gli ribellò la
arne contro lo spirito, facendolo divenire
miseramente schiavo dei suoi scorretti appe-
sti. Volendo il divin Redentore porger riparo

34.8 Page 338

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a tal disordine, propagato in tutta la sven-
turata discendenza di lui, obbligò tutti i suoi
seguaci ad assoggettare la carne allo spirito,
impegnandoli per mezzzo di un voto fatto
nell'incorporarli col santo battesimo al grem-
bo della Chiesa, a non più seguirne i pri\\i
desideri. 11 voto di castità, che il Religioso
emette nella sua professione, altro non è che
una solenne rinnovazione di questa promessa,
alla cui osservanza già egli era tenuto come
cristiano, anche nella condizione di secolare,
aggiungendovi il solo debito d'osservarla per-
fettamente. Ma il Signor Nostro Gesù Cristo
nel santo Vangelo, oltre questo grado di virtù,
di tener cioè in freno la concupiscenza in mo-
do da non fare peccati impuri, necessario ad
ogni cristiano per esser veramente tale, con-
sigliò ancora un grado più eccellente, ossia
un modo anche più sublime di conservare la
castità. Consiste esso nel ripudiare volonta-
riamente, per amor di Dio, anche a quei di-
letti dei quali si potrebbe usare sobriamente
in istati meno santi, come sarebbe lo stato
matrimoniale. Questo è quello che forma lo
stato di castità perfetta, la quale, se si è sem-
pre custodita, costituisce quella santa vergi-
nità, che è come la perla preziosa della nuova
alleanza, e vi forma il più sublime legame
dell'umanità con Dio. Perciò vediamo che
tutti i discepoli del Divin Maestro la lodaro-
no, l'esaltarono, la predilessero, e che lungo i
secoli molti fra loro le si consacrarono y.cr
tutta la vita. Ma chiunque ha compreso il te-
soro nascosto in questa virtù, prova il biso-
gno di porlo sotto una buona custodia: e qual
miglior custodia di un voto? Se il voto è già
di tanta convenienza per separare l'anima
dai beni esteriori, quanto più verrà a propo-
sito per difenderla contro le istigazioni e ri-
bellioni della carne! È necessario qui un mu-
ro, e un muro infrangibile. Perciò l'anima
cristiana ne pone il fondamento fuori del
tempo, e mette sul proprio sacrificio come .;n
suggello inviolabile. Si dà per sempre a co-
lui che sempre è. Mentre poi abbandona i pro-
pri beni facendosi povero con voto, col far
voto di castità comincia ad abbandonare se
stesso. L'offerta è dunque migliore, più degna
di Dio, ed eternamente più proficua all'anima.
Tutti i religiosi fanno cotesto voto, nè sono
religiosi se non a patto di farlo; esso è la loro
sicurezza, è il loro onore!
Suoi obblighi.
Chi pertanto emette il voto di castità in
ìeligione, si obbliga con voto a vivere per
sempre in perfetta continenza, cioè a non mai
unirsi in matrimonio. Si obbliga anche ion
\\oto ad evitare ogni atto già proibito dal se-
sto e dal nono comandamento di Dio. Perciò

34.9 Page 339

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—6 —
ogni peccato contro la virtù della castità, è
pure peccato contro il voto; perchè qui l'og-
getto della virtù e del voto è il medesimo.
Tutto quello pertanto che si dice della casti-
tà, vale anche del voto. E tu sta' bene vigi-
lante su te stesso, perchè è in questo punto
che ogni mancanza volontaria è anche contro
il voto, e perciò forma doppio peccato. Se, in
virtù della consacrazione fatta di se stesso nel
santo battesimo, non solo è illecito ad un sem-
plice cristiano di profanare il suo corpo con
qualsiasi immondezza, ed è altresì obbligato
a custodirlo illibato e puro, assai più stretto
oonvien dire che sia un tal debito nella per-
sona d'un religioso, e come cristiano e come
vincolato da un voto speciale. Egli dunque
molto più di un secolare deve considerarsi co-
me una persona sacra, un uomo tutto spiri-
tuale, tutto celeste e divino, le membra del cui
corpo non son più sue ma di Gesù Cristo, co-
me dice l'apostolo San Paolo. Di modo che
non solo qualunque cosa direttamente impura
è di sacrilegio e un oltraggio che si fa allo
stesso corpo di Gesù Cristo, ma è anche un
profanare la consacrazione che abbiamo fat-
ta del nostro corpo a Gesù benedetto. È un ol-
traggiare la santità della consacrazione che
abbiamo fatta del nostro corpo, il voler com-
piacere i sensi nelle loro indebite richieste, il
pascere di profane immagini la fantasia, od
il tenere il cuore occupato nei carnali desideri.
— 669 —
La purità in un religioso.
Parliamo più chiaro ancora. La purità di
un religioso non deve restringersi ad evitare
soltanto quei disordini che sono apertamente
vergognosi. Ma egli deve inoltre tenere ben
custodito il suo cuore da qualunque disordina-
ta inclinazione. Deve tenersi lontano da que-
gli oggetti, dietro ai quali ne vengano delle
ree compiacenze; deve serbare immune la
mente da laidi fantasmi ed immondi pensie-
ri. Che anzi la purità di lui non dev'essere
comune a quella del rimanente degli uomini.
Poiché, essendosi egli consacrato a Dio col
voto di perpetua castità, s'è obbligato a con-
servargli. in una maniera anche più speciale,
illibato il corpo, illibati i sensi, ed illibato il
cuore, di modo che tutto dev'essere illibato e
puro. Ogni discorso perciò alquanto lubrico,
ogni motto scorretto, ogni parola men che one-
sta, ogni occhiata maliziosa, ogni affetto an-
che per poco sregolato, offendono la santità
di questo voto, e contaminano la purezza
d'un cuore consacrato a Dio. In una parola
tutto ciò che ha del profano macchia e scolo-
ra la candidezza di un giglio così delicato qual
è la castità. È necessario pertanto che il reli-
gioso sia casto non solo di corpo, ma ancor
di spirito, nel quale principalmente questa
virtù far deve la sua residenza. Quindi è chi;
tutti i Santi Padri dicono generalmente la pu-
rità dei Religiosi dover essere angelica, sia

34.10 Page 340

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——
simile cioè a quella degli angeli, i quali, es-
sendo puri spiriti, sono per conseguenza im-
muni da ogni carnale sordidezza.
Ond'è ancora che quelli i quali sono perfet-
tamente casti, vengono meritamente rassomi-
gliati agli angeli del paradiso. Oltre di che
un religioso professo non è solamente obbli-
gato ad esser casto di corpo e di spirito, ma
deve comparire anche tale agli occhi degli uo-
mini, tenendo da sè lontano tutto quello che
potrebbe cagionare nell'altrui mente anche il
minimo sospetto di non esser tale. I secolari
in niente altro forse considerano con parti-
colar attenzione il religioso, quanto nella ca-
stità. Quindi è che essi ne esaminano ogni
andamento, ogni proposizione, ogni parola,
ogni inclinazione, e perfino ogni occhiata, per
venire in cognizione di ogni tendenza del-
l'anima di lui. E per poco che ne scorgano lu-
brico il parlare, irregolare il portamento, non
sospendono certo i loro sinistri giudizi, sempre
svantaggiosi al decoro del santo voto, ritenen-
dolo da lui, o conculcato, o facile per lo me-
no a conculcarsi. Se pertanto in tutto il corso
di questo mio Vade Mecum, mi sono, figliuol
mio, adoperato d'inculcarti colla maggior pre-
mura ogni riguardo nella condotta del tuo vi-
vere religioso, in questa materia che è la più
delicata e gelosa, ti consiglio soprattutto ad es-
sere sommamente circospetto e attento. Che
dai tuoi andamenti, dai tuoi discorsi nessuno
possa congetturare d'aver tu un cuore impuro.
Il motivo per cui devi essere tanto riguardato
in queste cose è questo: ogni atto impuro,
quando è direttamente e per sè volontario,
non ammette mai parvità di materia. Ogni di-
scorso osceno, ogni compiacenza, ogni deside-
rio che venga volontariamente coltivato, feri-
sce mortalmente l'anima. Una somma diligen-
za pertanto ti è d'uopo adoperare affine di
preservarti immune da una colpa, di cui non
ve n'ha un'altra, per un religioso, così defor-
me, e che lo reida abbominevole innanzi a
Dio. La castità è un giglio, ma troppo facile
ad essere offu-cato, se non tengasi ben custo-
dito. Ella è un fiore, quanto gentile altrettanto
facile ad illanguidire e perdere il suo bel can-
dore, se non si tenga ben riparato dagli ardo-
ri di tutto ciò che può accendere il fuoco del-
la concupiscenza. È un tesoro assai ricco, ma
facile ad esser rapito, se non si custodisca ben
chiuso e riguardato.
3) Del voto di ubbidienza. È il più impor-
tante.
Poco darebbe a Dio il religioso che nella
-ua professione si contentasse di sacrificargli
-oltanto i beni terreni ed il proprio corpo, coi
voti di povertà volontaria e di castità perpe-
"ua. Sarebbe questo un sacrifizio dimezzato,
riservando per sè la miglior porzione di quel

35 Pages 341-350

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35.1 Page 341

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— 672 —
che possiede. Non è gran fatto, dice San Gre-
gorio Magno, il rinunciare a ciò che si ha:
ma è gran sacrifizio il lasciare ciò che si è:
al primo non si richiede gran fatica, ma mol-
to malagevole è il secondo (1). La cosa che al-
l'uomo è più amabile e cara è la libertà del
suo volere, non si può negare. E questo ap-
punto è quello che deve raggiungere il religio-
so per compimento del sacrifizio di se stesso,
che egli fa al Signore nella sua professione;
vale a dire sacrificare per amor suo la propria
volontà, con sottometterla all'ubbidienza. Al-
lora può egli giustamente dire non aver al-
tro da donargli, avendogli donati insieme coi
frutti anche la pianta. La necessità che egli
ha di legarsi nella sua professione con questo
voto di ubbidienza, vien proposta dal mede-
simo Redentore. Egli ci fa sapere che ad es-
sere suo discepolo, e per camminar dietro le
sue orme, è indispensabile rinnegare la propria
volontà (2). Or dovendo il religioso per obbli-
go preciso del suo stato camminar le vie del
Signore, che sono vie di perfezione, gli è d'uo-
po rinnegar in molte cose la propria volontà.
(1) « Fortasse laboriosum non est homini relin-
quere sua; sed valde laboriosum est relinquere seme-
tipsum. Minus quippe est abnegare quod habet; valde
autem multnm est abnegare quod est < (Hom.il . XXIi
in Evang.).
(2) « Qui vult post me venire abneget semetipsum
(MATTEO, X V I , 20).
— ,673 —
Questa essendo per se stessa scorretta, deve
essere ne' suoi atti raffrenata, affinchè operi
sempre con merito e con sicurezza di non er-
rare. Un tal freno è l'ubbidienza, ch'egli de-
ve quindi riguardare come guida di tutte le
sue operazioni.
Sua essenza ed estensione.
Il voto di obbedienza pertanto: è unti so-
lenne promessa che si fa a Dio di abbandon i-
re il proprio volere e di sottometterlo a quello
del superiore, per ubbidirlo in tutto ciò che
comanderà o proibirà, consentaneamente alle
regole del proprio Istituto. Il comando del su-
periore poi è sempre conforme alle regole
ogni qualvolta riguarda cose che in essa re-
gola si contengono, o espressamente o impli-
citamente. E implicitamente si contengono tut-
te quelle cose che vengono ad essere come
mezzi necessari o anche solo utili a preservar
dai peccati, ad impedire scandali, e a mante-
ere l'osservanza di quelle stesse pratiche
spressamente indicate dalle regole. È propric-
"à della legge che, prescrivendo una cosa, ini-
licitamente ordini anche ciò che può giu-
ncarsi espediente per ben osservarla. In vi-
. 're pertanto del voto di ubbidienza il religio-
- deve essere totalmente distaccato dalla pro-
ria volontà, in guisa tale che non gli è più

35.2 Page 342

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lecito, nelle cose relative all'obbedienza, nè il
voglio, nè il non voglio; essendo strettamen-
te tenuto a sottomettersi ad ogni disposizione
di chi ha l'autorità di comandargli.
Come si trasgredisca.
Veramente per commettere un grave pec-
cato di disubbidienza si richiede il comando
espresso del superiore, e che questo riguardi
una cosa grave. Ma anche in altri modi si può
mancare alla sostanza di questo voto. E sa-
rebbe o quando il religioso, adducendo falsi
pretesti, si esentasse dall'esecuzione del coman-
do; o quando contraddicesse, con manifesta
ripugnanza e con modi impropri, all'obbedien-
za; o quando, per esentarsene, interponesse la
mediazione di autorevoli intercessori. Ed in
maniera più grave ancora peccherebbe, se il
mediatore fosse secolare; come se per esem-
pio, per non essere cambiato di casa, parlasse
con gli esterni in modo che essi si unissero a
far petizione ai superiori perchè non venga
cambiato. Ad essere pertanto immune da ogni
trasgressione, è d'uopo che il Religioso sia
spogliato della propria volontà. Questa deve
essere in tutto e per tutto rassegnata a qua-
lunque disposizione di coloro, cui fu poste
da Dio il comando in mano; purché la cosa
ngiunta non sia nè contro la regola, nè con-
tro i comandamenti. E se il superiore coman-
dasse cose non conformi al proprio istituto?
I teologi, dietro la scorta di San Bernardo,
o-servano che il comando del superiore può
essere o secondo la regola, o contro, ovvero
sopra, o al di sotto della medesima. Ciò posto,
o la cosa comandata è secondo la regola e il
suddito è tenuto ad obbedire; o è contro la
regola, e il suddito deve scusarsi modestamen-
te e ricusar di obbedire. Che se il comando
è sopra la regola, cioè di cosa che aggravi o
• ltrepassi lo statuto o lo spirito della regola,
vvero al di sotto della regola, cioè di cosa
nutile o meno decente, il suddito può non ob-
bedire. Ma se obbedisce, l'ubbidienza sarà di
maggior perfezione, e non già indotta dal vo-
>. Qui però è da notarsi che se il superiore,
er esempio, per placare lo sdegno di Dio in
.ualche pubblica calamità, ordinasse un'inso-
ta penitenza, o la imponesse per pena a qual-
ue delinquente, si dovrebbe obbedire, repu-
indosi ciò virtualmente contenuto nelle rego-
. come i teologi insegnano. E quando si fos-
nel dubbio, se cioè si dubitasse se l'autori-
del superiore si estenda o no alla cosa da
comandata? Si deve obbedire, perchè il
;periore è in possesso certo del diritto di co-
andare, del qual diritto non può essere spo-
- ato per le dubbiezze dei sudditi. Così inse-
gano San Tommaso e San'Alfonso.

35.3 Page 343

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Quando si pecchi mortalmente contro que-
sto voto.
Che cosa si richiede perchè il comando del
superiore obblighi sotto pena di peccato mor-
tale? Per peccare mortalmente di disubbi-
dienza si richiedono due cose: la prima che
la cosa comandata sia di materia grave, non
essendovi legge che obblighi gravemente per
cose leggere; la seconda, che la cosa sia co-
mandata con tali termini e con tale energia,
che dia a divedere la gravezza dello stesso co-
mando e della rispettiva obbligazione. Si può
tuttavia peccare gravemente contro l'obbedien-
za, col non voler eseguire una cosa anche non
comandata formalmente, quando vi interven-
ga il disprezzo. Il caso sarebbe se il suddite
non volesse fare quella cosa appunto perchè
comandata dal superiore, ovvero se in ci*
volesse far conoscere che egli non fa conto de:
suoi ordini, o se si ridesse del suo comando (
della stessa sua persona, o se rispondesse ardi-
tamente, per esempio così: « Non voglio ob-
bedire ».
In questi casi vi interverrebbe il disprezzi
del superiore e dell'autorità, il che difficilmen
te va esente da colpa grave. Queste sono !
obbligazioni che provengono dai santi vot
e le circostanze in cui trasgredendoli si com-
metterebbe peccato mortale. Ma tu procura eh
non contentarti d'evitare il peccato morta't-
ma sii ben deciso di voler evitare anche i
veniale, per quanto puoi. Perciò evita persi-
no le piccole trasgressioni e le piccole man-
canze. Anzi, non stare a lesinare col superio-
re, e discutere tra te e te se una cosa è vera
mancanza o no, per vedere se l'hai da fare
o se la devi lasciare. Mostrati col Signore di
cuor generoso; non voler solo fuggire il pec-
cato, ma pratica la virtù, e poggia alto nel-
la virtù medesima. Così ti attirerai le benedi-
zioni del Signore, proponendo in te continue
ascensioni nelle virtù, e ti procurerai un po-
sto molto elevato in cielo.
CAPO IX
DELLA POVERTÀ RELIGIOSA
'.a povertà è il primo dei consigli evange-
lici.
Il primo dei tre grandi consigli evangelici,
la povertà volontaria. Da questa convieuc
iminciare, poiché essa forma il primo ed il
iù saldo gradino dello stato religioso. Con
ene pertanto che tu, o mio buon giovane,
ìe vuoi consacrarti corpo ed anima al
inoro, cominci a praticare con vero spirito
:anto con questo consiglio il Signore ti in-

35.4 Page 344

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— 678.—
lìca. Esaminiamo insieme attentamente in
che cosa consista questo consiglio, ed in qual
modo pratico puoi e devi seguirlo. Poniamo
come base, che è Dio che ha parlato dandoci
questo consiglio; e che quando è Dio che par-
la, parla la Verità in persona. Perciò la cosa
consigliata non può essere nè falsa, nè esage-
rata, nè d'impossibile esecuzione.
La povertà di tutti i cristiani.
Ogni cristiano per salvarsi, deve in un da-
to senso e fino ad un dato punto, osservare la
povertà. Infatti Gesù benedetto ci ammaestra
che i ricchi vanno incontro alla disgrazia tei
alla infelicità, dicendo: «Guai a voi o ric-
chi! ». Ed asserisce esser più facile che un
cammello passi per la cruna di un ago, che
un ricco entri nel cielo (1). Il pensiero di Ge-
sù è ancor più chiaro ove dice, che chiunque
non rinunzia a tutto quello che possiede non
può esser suo discepolo (2). E ci porta la pa
rabola di Lazzaro, il mendico, che, venuto a
morte, è trasportato dagli angeli nel seno di
Abramo, e del ricco Epulone, che fu se-
fi) « Faeilius est camelum per forameli acus tran-
sire, quam divitem intrare in regnum eoelorum » (MAT-
TEO, X I X , 24).
(2) « Sic ergo omnisex vobis qui non renuntiat omni-
bus quae possidet, non potest meus esse discipulus •
JJLTJOA, X I V , 33).
— 679 —
polto nell'inferno (1). Il ricco non può esser
felice, se non distaccando il cuore dalle ric-
chezze e largheggiando coi poveri. Il real
profeta canta: «Lieto ed avventurato è l'uo-
mo il quale compatisce l'infelice e lo solle-
va» (2). Egli ha sparso i suoi doni sul misero,
la sua giustizia sarà ricordata per tutti i se-
coli e la sua virtù coronata di gloria (3). Ma
perchè vi sia questa rinuncia che è obbligato-
ria per tutti, e per partecipare in qualche mo-
do alla santa povertà di Gesù, basta mantene-
re il proprio cuore libero da ogni attacco alle
ricchezze, pur possedendole, facendo come di-
ce Davide: Se avete ricchezze non vogliate
attaccarvi il cuore (4). O come dice San Pao-
lo: Usar di questo mondo come se non se ne
usasse (5). E, come commenta il Ven. Beda do-
po Sant'Agostino, possedendo i beni di quag-
giù, senza essere da essi posseduti. I primi-
:vi cristiani vivevano in questo modo. L'apo-
-:olo diceva loro: Quando abbiamo da vestir-
ti) «Factum est autem, ut moreretur mendicus,
' portaretur ab angelis in sinum Abrahac. Mortuus
-t autem et dives, et sepultus est in inferno » (LUCA,
IVI. 22).
(2) « Iucundus homo qui miseretur, et commodat; in
- "'-mura non commovebitur ».
'3) « Dispersit, dedit pauperibus, iustitia eius manet
saeculum saeculi, cornu eius exaltabitur in gloria »
Salmi, CXI).
4) « Divitiae si affluant nolite cor opponere » (Sai-
m LXI, 11).
lo) « Qui utuntur hoc mundo tanquam non utan-
- <1 Cor., VII, 31).

35.5 Page 345

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— 680 -
— 681 —
ci e da nutrirci siamo contenti (1). E parlando
negli Atti Apostolici del contegno dei primi
cristiani, così si esprime: Niuno diceva sue
proprie quelle cose che possedeva, ma tutto
mettevano in comune (2).
La povertà religiosa.
ranza o vanagloria, l'affezionarsi alla povertà
per un orgoglioso disprezzo alle ricchezze, o
per farsi un nome, o per affetto ad un siste-
ma. È il fine di piacere con ciò a Dio, che dà
all'atto del proprio spogliamento il carattere
veramente cristiano, gli assicura il suo valore
celeste, e forma la vera povertà inculcata da
Gesù.
L'avere il cuore staccato dalle ricchezze è
povertà richiesta dal Signore a tutti, ed è ob-
bligatoria per tutti. Ma non è ancora l'esecu-
zione completa del consiglio di Gesù; e perciò
non è ancora ciò che forma lo stato religioso.
Il religioso deve fare di più; egli non solo de-
ve staccare dalle ricchezze il cuore, ma deve
distaccarsi da esse realmente. Cioè non solo
deve staccarsene affettivamente, ma anche ef-
fettivamente. E perchè la povertà sia vera
virtù religiosi, non bastano neppure queste
due condizioni; ce ne vuole una terza, ed è
che si abbandonino le ricchezze, ed ogni cosa
terrena, per amore del bene eterno che è Dio:
cioè si faccia questo distacco con lo scopo di
piacere di più al Signore. Non è per certo
abbracciar la povertà di Gesù Cristo, il get-
tare ai mendicanti il proprio oro per noncu-
(1) « Habentes alimenta et quibus tegamur, his
contenti simus • (J Tim., VI, 8).
(2) « Nec quisquam eorum quae possidebat, ali-
quid suurn esse dicebat, sed eraut illis omnia com-
munia > (Act., IV, 32).
In che consista la povertà religiosa.
Voglio spiegarti in modo pratico e preciso
in che consista il distacco effettivo e reale del
cuore dalle ricchezze e dalle cose di questa
terra, in modo da formare la vera povertà
religiosa. Si può stabilire fermamente, che la
sostanza della povertà religiosa consiste in
queste tre forme: 1) in un volontario e sincero
distacco dalle ricchezze e da ogni cosa ter-
rena; 2) in un rifiuto totale di tutto ciò che
viene riputato come superfluo, cioè non ne-
cessario; 3) nel fare delle medesime cose ne-
cessarie solo quell'uso parco, che dovrebbero
fare i veri poveri, cioè adoperar cose tali che
I siano convenienti allo spirito di povertà.
Queste tre cose eseguite volontariamente e
per solo amore di Gesù Cristo, ed il metter-
-i coi santi voti in condizione di non poter
più fare altrimenti, ancorché in qualche cir-
1

35.6 Page 346

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costanza ne venisse la voglia, formano la ve-
ra povertà religiosa. E queste tre cose sono
talmente necessarie, che, qualora ne mancas-
se anche una sola, non potrebbe più dirsi esi-
stere quella virtù che formò in ogni tempo,
e forma tuttora, il fondamento degli ordini
e delle congregazioni religiose.
1) Il distacco del cuore.
E per quanto riguarda al primo capo, de-
ve ognuno talmente distaccarsi dalle ricchez-
ze e da ogni cosa terrena in modo, che non
tenga più nessun danaro, e non consideri più
nessuna cosa come sua; cioè che non si serva
più di nulla senza il permesso del superiore.
Devi considerare tutto come avuto in uso dal-
la casa in cui dimori, in modo da esser sem-
pre disposto a cederla al superiore, ogni qual-
volta quegli ne facesse richiesta. Da ciò ne
proviene la conseguenza non esser lecito oc-
cultare alcuna cosa al superiore, e neppure
mantenere attacco. Vi è da notare che l'at-
tacco che si ha a qualche cosa, per quan-
to sia di piccolo valore, non è mai immu-
ne da colpa. E questa prende il suo giusto
peso non tanto dal pregio della cosa, quanto
dall'affezione ed attacco che si ha verso di
essa. Perciò quanto ritieni devi ritenerlo col
permesso o generale o particolare del superio-
re, sempre pronto a qualunque disposizione
di lui. Per essere adunque ossequente alla po-
vertà religiosa, non devi ricever mai nulla
nè da benefettori nè da parenti, senza licen-
za o espressa o almeno tacita dei superiori,
e questa, o sia particolare da domandarsi ogni
volta, o almeno generale, vale a dire doman-
data una volta per sempre. Occorrendo ac-
cetterai cose non per te ma a nome del supe-
riore, a cui le consegnerai appena tornato a
casa, od appena se ne presenta l'occasione.
Ma essendo il cuore quello che decide dell'af-
fezione delle cose che si tengono anche con le
debite licenze, qualora tu lo scorgessi attac-
cato ad alcuna di esse, benché di poco mo-
mento, dovresti cercare o di disfartene fa-
cendone un sacrifizio a Dio, con rassegnarla
in mano al superiore, oppure protestare in-
nanzi a lui, d'essere prontissimo a privartene
senza alcuna resistenza tosto che te ne spo-
gliasse. Un quadretto, un libro, un temperino,
uno spillo, una catenella, un orologio e cose
simili si direbbero minuzie, è vero; ma, rite-
nute con attacco, rendono il religioso reo di
colpa, e degno, per conseguenza, di pena.
Conviene che ad ogni esercizio di buona mor-
te, od almeno ogni anno negli esercizi spiri-
tuali osservi se hai tenuto possessione o cose
senza permesso e come tue, o con attacco di
cuore, e che te ne disfaccia senza esitazione.

35.7 Page 347

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2) Rinuncia del superfluo.
Pure essenziale alla povertà è che tu cer-
chi assolutamente di togliere e di allontanare
da te ogni superfluo, cioè l'uso delle cose su-
perflue. Il superfluo, lo dice la stessa parola,
e tutto ciò che abbonda oltre il necessario.
Deve pertanto il povero religioso contentarsi
del puro necessario. Tuttavia quando si dice
il necessario, non s'intende solamente ciò che
è strettamente richiesto per non morire, per
esempio di freddo, di sete, di fame; ma si vuo-
le indicare ciò che è conveniente allo stato re-
ligioso. Inteso così questo necessario è eviden-
temente relativo alla Religione che uno ha ab-
bracciato, agli uffici che esercita, alla salute
di cui è dotato, ed anche ai particolari biso-
gni dei quali son giudici i superiori. Quanto
sorpassa tutto ciò, è appunto quel superfluo
che fa d'uopo togliere fedelmente e generosa-
mente a modo degli apostoli. E siccome gli
apostoli si contentavano, al dir di San Paolo,
dei semplici abiti, e del necessario sostenta-
mento (1), così anche i religiosi che vogliono
camminare sulle loro tracce, debbono conten-
tarsi di quello solo che onestamente richiede
l'umana indigenza. In forza adunque di un
tal dovere non ti è lecito esser provveduto
abbondantemente di quelle cose, l'uso modera-
ti) « Habentes alimenta et quibus tegamur, his
contenti simus » (7 Tira., VI, 8).
-
to delle quali non è richiesto da un'onesta
e conveniente necessità. Di fatti che povertà
sarebbe quella di chi non manca mai di
nulla, anzi abbonda di tutto? Di chi non so-
lo non manca dell'occorrente, come degli uten-
sili e dei libri necessari, ma ha la camera ben
provveduta di scaffali eleganti, di libri fine-
mente legati; e pur anche di ninnoli e galan-
terie. di tappeti e di mobili preziosi, nonché
di cioccolatte, di frutta, di bibite? Che razza
di povertà sarebbe questa? Piglia per guida
la santa povertà di Gesù. Alla luce di essa
considera le tue abitudini: vedi se nelle cose
delle quali usi, in quelle che richiedi, sia per
te sia per gli uffici o studi che hai da compie-
re, in quelle ancora che desideri, non vi abbia
nulla di cui possa realmente fare a meno. Ba-
da che la cosa più comoda è superflua, quan-
do basta la meno comoda: la nuova è super-
flua, quando l'antica permette di riuscire al
fine; quella che non deve servire se non più
tardi, è superflua oggi, giacché oggi non se
ne fa uso. È superfluo il sollievo, quando con
un coraggio ordinario si può sostenere la pe-
na che ci affligge. Oh quante illusioni forse
vi lia a questo riguardo! Quante scuse per
domandare! Quante industrie per ottenere!
Quanti sofismi per conservare! Quanti reli-
giosi mancano alla povertà per non conten-
ersi del necessario e per tenere il superfluo!
Senza dubbio non bisogna eccedere in nulla;
• la povertà che ha in orrore i bisogni imma-

35.8 Page 348

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ginari, ha per sorella la semplicità, che fa in-
genuamente confessare i bisogni veri. Ma chi
non sa quanto in materia dei propri interes-
si la natura sia cieca, parziale, esigente?
Quando adunque ti parrà che questa o quel-
la cosa ti sia necessaria, prima di tutto dif-
fida di te, prendi tempo per riflettere, un tem-
po proporzionato all'urgenza del bisogno, al-
la vivezza del desiderio che fece nascere cote-
sto bisogno, all'importanza della cosa che po-
trebbe soddisfarlo, alla difficoltà che vi è
di procacciarsela, all'effetto che potrà produr-
re sugli altri soci la concessione che te ne
verrà fatta. Tranquillissimo allora, e disposto
a cedere piuttosto ai superiori che a te, sot-
tomettiti anticipatamente alla loro risposta.
E se questa risposta è un rifiuto, posto che
non abbia la virtù di gioirne, abbi almeno
quella di startene quieto e rassegnato. Sta
poi molto attento affinchè il demonio non ti
seduca, rappresentando come necessarie, e pe-
rò anche lecite, certe cose che realmente so-
no superflue. È vero che alcuni generi di ro-
ba, che sono ad alcuni totalmente superflui,
possono essere o per qualità o per quantità
ad altri necessari, atteso il grado, l'impiego,
la complessione, la sanità. Ma il tentatore,
proponendo dei titoli speciosi all'amor pro-
prio, cerca di sedurre e d'ingannare anche
in quelle circostanze che sono legittimate dal-
la necessità, col far trascendere i limiti di una
giusta e conveniente moderazione. Sa ben egli,
il maligno, quanto possa a danno della co-
scienza d'un religioso, l'abbondanza ed il co-
modo. Cerca perciò di palliare le più palpa-
bili trasgressioni coi titoli ingannevoli d'equi-
tà di costumi, di consuetudini, i quali sono
come sonniferi che placidamente lo addor-
mentano nel male, e lasciandolo così in una
pace iniqua lo incamminano per questa via
a perdere la vocazione. Quindi è che la pover-
tà può considerarsi come la pietra di parago-
ne e quello scoglio fatale, cui urta buona par-
te dei religiosi. La sua trasgressione ne fa pe-
rire molti nel porto stesso della salute. Un re-
ligioso più è povero e più è assicurato di
coscienza. Per la qual cosa meno egli sarà
provveduto e meno ancora avrà delle interne
agitazioni. Ed allora per conseguenza sarà
più contento, quanto sarà più bisognoso. Im-
primiti bene nel cuore, figliuol mio, questi giu-
sti sentimenti, e, regolandoti secondo essi, non
diverrai reo di violata povertà.
3) Uso del necessario.
Un terzo modo di povertà consiste in far
uso anche nel necessario di cose tali, che
siano convenienti allo spirito di povertà. £
questo un punto forse più obbligante degli
altri due. Come si potrà conciliare la pover-
tà evangelica coll'apparenza di grandezza, di
vanità mondana e di lusso secolaresco? Lo

35.9 Page 349

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stato religioso, destinato a confondere il fasto
del secolo con la povertà e con la semplicità,
non permette lo sfoggio ed il lusso. Noi ab-
biamo bensì bisogno di adattarci ai tempi ed
alle circostanze; ma anche per noi è vero che
chiunque abbraccia lo stato religioso, deve
assolutamente dimenticare ogni umana gran-
dezza, deve deporre ogni ombra di lusso, de-
ve rinunziare ad ogni larghezza propria dei
mondani. Perciò anche noi, pensando che ci
siam fatti poveri per amor di Gesù Cristo,
dobbiamo esser pronti e generosi a segui-
re il Divin Maestro nella squallidità della
grotta di Betlemme e della bottega di Naza-
reth, e fino alla nudità della croce. Con tali
idee deve indispensabilmente governarsi ogni
buon figlio di Don Bosco. E ciò non solo nel-
le cose di maggior considerazione, come negli
edifizi e nelle abitazioni, ma anche nelle co-
se di casa come nei mobili, nelle stoviglie,
nelle posate, negli inviti alle accademie, a
pranzi; in ogni cosa individuale, e di minor
rilievo, e più usuale, dovendo in tutto sem-
pre risplcndere la povertà attorno a noi. Bi-
sogna pertanto che tu pensi seriamente a far
vivere in te questa virtù. E non contentarti so-
lamente di farla vivere in modo stentato, e
quasi solo tanto che non muoia; ma che la
faccia vivere con floridezza, affinchè cresca
di giorno in giorno di più. trionfi e fruttifi-
chi. E tu conosci e devi notar bene, che se tut-
ti i religiosi devono far questo, lo dobbiamo
tanto più noi salesiani. Noi, essendo membri
di una famiglia che ha per scopo primario
l'educazione della gioventù più povera ed ab-
bandonala, non potremmo disimpegnar be-
ne il nostro compito, se non praticassimo per
primi un'alta povertà. Come potremmo, sen-
za l'amore vero e pratico di questa virtù,
mantenerci fermi in questo nostro dovere?
Chi conservasse ancora attacco alle proprie
comodità o alle cose già abbandonate, o mol-
te o poche ch'esse fossero state, che pensasse
ancora agli interessi della propria famiglia,
come potrebbe attendere con disinteresse e
zelo all'educazione dei giovani più poveri ed
abbandonati?
Gradi della povertà.
La povertà religiosa, perchè abbia la sua
vita piena e perfetta, e possa arrivare alla sua
perfezione, deve ancora percorrere vari gra-
di, e fare vari progressi. Passando per essi
noi siamo spinti anche a praticare molte al-
tre cose virtuose, che ci rendono sempre più
simili al divin modello, e perciò più cari a
Dio. E conviene che io qui, alia meglio che
posso, cerchi di farti conoscere queste cose,
affinchè tu, con l'animo tuo generoso, cerchi
di arrivare al sommo di questa virtù, pro-
curandotene la perfezione.

35.10 Page 350

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1) Privazione del necessario.
E prima di tutto conviene che ti assue-
faccia ad amare la privazione momentanea
dello stesso necessario. Gesù diceva agli
apostoli: « Quando vi mandai senza borsa,
senza bastone e senza scarpe, vi mancò mai
nulla? ». E a te, domando io, da quando sei
in società che cosa ti è mancato? Qualche
volta la Divina Provvidenza mette un poco
alla prova i superiori perchè stiano esercitati
nella fede; ma in conclusione non ci è mai
mancato nulla. La Divina Provvidenza finora
non deluse, e son certo che non deluderà mai
la fede di chi in lei confida. Santa Teresa scri-
veva: « Quanto meno abbiamo, tanto mino-
re è l'inquietudine mia. E nostro Signore sa
benissimo che provo maggior pena quando
le limosine vanno oltre al necessario, di quan-
do ci manca qualche cosa. Nè potrei ancor
dire di essere noi state nella necessità, tanto
è pronto di venirci in aiuto l'adorabile Mae-
stro ». Ma e se dovessero avvenire delle reali
privazioni? Ebbene: si sopporteranno. Eh! Che
cosa è mai ciò in confronto della condizione
di coloro, che senza aver fatto il voto di po-
vertà, la praticano per forza?
Qual è il povero, che nel secolo non man-
chi talvolta di pane da sfamarsi, di vesti per
coprirsi, di fuoco per riscaldarsi, di riposo
nelle fatiche, di medici e di medicine nelle
malattie? Or che sarebbe della povertà reli-
giosa, se, lungi dall'esporre a mancar qualche
volta del necessario, offrisse a chi si è fatto
povero volontario per il Signore, maggior si-
curezza ed abbondanza che non avrebbe spes-
so trovata nella propria famiglia? È un'am-
bizione troppo grande voler essere povero e
non riceverne incomodi, dice San Francesco
di Sales, poiché è un voler l'onore della po-
vertà e il vantagggio delle ricchezze (Filotea,
p. 3, c. 16). E Santa Teresa dice chiaro che
questo sarebbe davvero un voler ingannare
il mondo. E San Vincenzo Ferreri soggiunge:
; Oh son numerosi coloro che vanno alteri del
nome di poveri! Ma spesso a quali condizioni?
A quella di non mancar di nulla. E si dicono
amici della povertà; e quando si fanno innan-
zi i veri amici della povertà, cioè la fame, la
sete, l'indigenza, l'umiliazione, essi li fuggono
a tutto potere! » (De vita spirituali, Cap. I).
Tu cerca di non fuggire siffatte occasioni.
Quanto più esse son rare per te, tanto più
quando Iddio le permettesse ne lo dovresti be-
nedire, e con zelo trarne profitto. Richiama
alla mente ciò che diceva Gesù per bocca del
real profeta: «Io sono povero ed addolora-
lo (1) ». Non ti rincresca pertanto se la tua
povertà qualche volta ti sarà dolorosa.
(1) « Ego sum pauper et dolens » (Salmi, LXVIII, 30)

36 Pages 351-360

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36.1 Page 351

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— 62 —
2) Santa libertà nell'uso del necessario.
Ma la santa povertà distacca l'anima perfi-
no dalle cose di cui ordinariamente non si può
far a meno. L'anima povera, pazientemente
coraggiosa, quando manca di una qualche co-
sa, rimane libera e indifferente quando ne usa.
Tutto le serve, nulla la rende schiava. Non
mormora, nè mai si lagna se non le si sommi-
nistra ciò che non ha, se le si toglie ciò che
ha, se si dispone a talento di quanto la circon-
da e della sua persona stessa. Arrossirebbe di
spendere il tempo nel badar a queste cose da
nulla! D'altra parte, come dice San Giovanni
Climaco, chi si è consacrato a Dio deve te-
nersi per donato, alienato, venduto al Signore.
Che cosa possiamo domandare con più ragio-
ne a questo religioso, che egli non ritenga
cosa già data in principio, e la consegni sul-
l'istante, con quella semplicità con la quale
il mercante consegna al compratore la merce
pagata?
3) Distacco da tutto.
È ancora qualità che deve ornare il vero
povero l'aver il cuore distaccato da tutto.
Quando anche, o per aver portato in società
una grossa somma di danaro, o con un lavoro
— 693 —
più attivo e rimunerato, avesse uno recato
vantaggio alla comunità, non se ne dovrebbe
prevalere per nulla, nè pretendere mai, nep-
pure interiormente, maggiori riguardi, cure e
comodi, degli altri. Deve tornargli a grado il
non aver nulla. La vista del proprio spoglia-
mento, lungi dal turbarlo lo incanta. E ripete
volentieri ciò che dice Geremia, o meglio Ge-
sù: io mi compiaccio della mia povertà (1).
Chè la mira tranquillo, la contempla con
amore, e la sostiene non solo con pazienza
ma anche con rendimento di grazie. Egli
canta con Davide: Io son solo e povero (2).
Purché abbia colui che è il suo tutto, nulla
gli importa del resto. Quanto meno egli ha,
tanto più è sicuro di avere il suo Dio. E per-
ciò è tranquillo e contento. Oh vero povero!
oh! la buona e gioconda povertà! Se un pen-
siero più frequente, un più vivo sentimento,
un desiderio più premuroso di avere, un timo-
re di non aver più, lo facessero entrare in so-
spetto di una qualche secreta affezione, egli
volerebbe a confessarlo. E pregherebbe di
venirne guarito, scongiurando esso stesso che
gli sia tolto o negato ciò che per la preoccu-
pazione che ne ha, potrebbe rapire forse a
Dio una particella dei suoi affetti.
(1) «Ego vir videns paupertatem meam'» (Treni
HI. 1).
(2) « TJnicus et pauper sum ego » (Salm., X X I V , 16).

36.2 Page 352

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Qualità della povertà.
Questa vera povertà è attenta. Risparmia
con sollecitudine le cose che le sono affidate,
giacché non solo le considera come affidate,
ma molto più ancora come cose sacre. E però
non le basta risparmiarle: le rispetta, le vene-
ra. Tratta il bene comune come il bene di Ge-
sù: e quindi, salva la proporzione, tratta le
cose comuni come tratterebbe le vesti sacer-
dotali o i vasi del santo sacrifizio. Se ha
qualche uffizio, le sue cure aumentano assai.
Dico le sue cure, non la sua inquietudine c
molto meno il suo disturbo. Checché succeda
guardati dal disturbo, badando a rimanere fe-
dele ai propri doveri, a custodire lo spirito
del tuo stato. Quanto al resto affidati alla Di-
vina Provvidenza. « Dio vuole che abbia fidu-
cia in lui, dice ammirabilmente San Francesco
di Sales, ciascuno secondo la propria vocazio-
ne. Non si richiede che un uomo laico e mon-
dano si appoggi alla Provvidenza di Dio, nel-
la guisa che dobbiamo farlo noi altri eccle-
siastici... Nè gli ecclesiastici sono obbligati a
sperar nella Provvidenza come un religioso ?
(Lett. 45, voi. V, Ed. Migne). E dimostra che
presso i religiosi questa confidenza e speranza
deve salire fino al colmo. Attento in tutto, e
generoso quando occorra, il povero per davve-
ro è anche operoso. Risparmia il tempo, ma
uon la propria fatica. I poveri non lavorano
essi molto ed aspramente? Vanno tanto per il
sottile nelle loro indisposizioni? Si fermano
nei loro languori? La necessità è lì che li in-
calza; vi soggiacciono, e spesso senza lamen-
tarsi. Si farà meno nella nostra Pia Società?
Lo spirito di fede, la volontà di Dio, la regola,
la coscienza, lo zelo della propria perfezione,
l'amore a Gesù Cristo, non sono essi forse co-
me la necessità? Ciò non pertanto non anda-
re all'esagerazione; i riguardi che si giudicano
necessari o davvero convenienti, si devono
usare! 1 superiori lo vogliono; perciò Iddio
lo vuole, e tu usali. Ma sta negli stretti limiti
voluti dai superiori. Attento poi a non lascia-
re le pratiche di pietà per lavorar di più. Da-
ta al lavoro la sua parte, attendi tranquilla-
mente al servizio personale di Dio, e aspetta
da lui soccorso. Le sante lagrime fecondano
la terra al pari dei sudori; e quando la terra
rimane sterile, l'orazione ha il secreto di far
piovere la manna dal cielo. Il vero povero è
costante nello spirito di povertà e perfino nel-
le malattie lo troviamo sempre lo stesso. T
poveri hanno la loro maniera di essere am-
malati, manieia che non rassomiglia a quel-
la dei ricchi. Non dimenticarlo mai nelle tue
infermità. Anche nelle malattie sii contento
del poco: non domandare e neppur desiderare
nè cure troppo particolari, nè rimedi straordi-
nari. Una cura ordinaria è necessaria. Sono i
superiori che la comandano, è Iddio che la
Miole. Ma posti i riguardi ordinari, quanto
meno penserai alla tua cura, tanto più No-

36.3 Page 353

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—6 —
stro Signore benedirà largamente quanto si
farà per tuo sollievo. Oltre a ciò, badalo be-
ne, non si tratta in religione di prolungare la
propria vita ad ogni costo; ma sì di procurare
ad ogni costo la perfezione dell'anima pro-
pria. Ed io non so che altro possa meglio con-
tribuirvi dall'essere fedele allo spirito di po-
vertà anche nelle malattie.
Benefici della povertà.
Ecco che cosa la virtù della povertà ispira,
rispetto a tutti quei beni che diciamo ricchez-
ze, e che formano il campo speciale ed imme-
diato nel quale devi esercitarti! Ma siffatta
virtù è tale, che, togliendo via da noi quello
che ingombrava l'anima, vi produce quella
dilatazione, che, al dire dello Spirito Santo,
dà lo slancio al cuore e rende agili i piedi.
Ciò spinge l'anima a staccarsi, prima interior-
mente e poi esteriormente, secondo che Iddio
gliene dà la grazia e l'occasione, da tutti
quegli altri beni naturalmente cari come
1 onore, la stima, il credito, o l'autorità, l'af-
fezione, la gioia, e la stessa scienza. Non lo
lascia affezionato nè alla propria sanità, nè
al suo ingegno naturale, nè alle sue abitudi-
ni, nè alle sue divozioni, e molto meno ai suoi
uffizi e alle cose che l'attorniano. Non già cer-
tamente che alcuno di sì fatti beni sia male
in sè; chè anzi in un certo senso ognuno va
— 697 —
amato e desiderato, e quindi ricercato! Ma
bisogna esser ben pronti a farne a meno, a
ripudiarli, a fuggirli quando c'intralciassero
nella via della perfezione, e riguardassero so-
lo la terra o potessero piaggiare e nutrire l'uo-
mo terreno. Questo è il caso di certa scienza
che avesse a gonfiarti e darti solamente lu-
stro, o ti spingesse a vane ricerche con nocu-
mento della semplicità del cuore, e con peri-
colo che per quelle venga offuscata la limpi-
dezza di colloquio interiore, che solo perce-
pisce direttamente le cose di Dio.
Bellezza della povertà.
L'anima religiosa deve arrivare a godere
della povertà, a tenerla come una cosa assai
bella, a somiglianza di quanto si legge nella
Sposa dei sacri Cantici: che essa è nera ma
bella. Certo, la povertà è nera; il che fa sì
che, vedendola tale, il mondo se ne spaventi,
se ne scandalizzi e la compianga, quando
non la disprezzi. Ma quanto a ragione può
aggiungere che, se è nera, è anche bella! Sì,
è bella la povertà d'una bellezza tutta divina,
tanto che attirò gli sguardi e le compiacenze
del Divin Redentore, il quale discese dal cielo
in terra per sposarla. È bella della beltà cele-
ste che innamorò la Madonna, San Giuseppe,
in generale i santi, che l'abbracciarono come
madre e sorella. E perchè, non ostante la ne-

36.4 Page 354

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rezza, si può a ragione chiamar bella? Perchè
ciò che l'ha scolorita così ed annerita, è il sole
della divina beltà (1). E noi pensiamo sempre
che è per amore di Dio che ci siam fatti po-
veri, e che se compariremo scolorati in faccia
al mondo, saremo tanto più risplendenti in
faccia a Dio, al sol di giustizia che ci at-
trasse a sè.
Pratica di questa virtù.
Or tu, persuaso di queste grandi verità, di
questi grandi beni che apporta al mondo la
povertà, fin dal tempo del noviziato appren-
dine bene la pratica, sia facendone oggetto
degli esami particolari ed esercitandoviti nelle
piccole occasioni che quotidianamente si pos-
sono incontrare, sia prevenendo e predispo-
nendoti a quei casi che in seguito più facil-
mente potranno succederti. Nè contentarti di
ammirare la virtù in generale: vieni soda-
mente alla pratica anche nella particolarità.
Procura di comprender bene che un ascritto,
il quale nell'anno di noviziato non fosse con-
tento dei cibi della mensa comune e se ne la-
mentasse coi compagni; uno che desiderasse
le comodità nelle piccole cose, che rifiutassi
di ricevere a suo uso libri usati, che sentissi
(1) « Nolite me considerare quod fusca sim, qui
decolorabit me sol • (Cani., I. 5).
vergogna di portare una veste vecchia e rat-
toppata; chi non facesse volentieri quei pic-
coli servizi di cui è capace; chi nei casi di
malattia, pretendesse dei riguardi che la casa
non può usargli, dimostrerebbe di non saper
neppure dove stia di casa questa necessaria
virtù. Ugual cosa sarebbe a dirsi di chi en-
trando in noviziato si rifiutasse di fare, o fa-
cesse eli malavoglia, quei piccoli servizi di cui
è capace; chi sapesse ad esempio fare il sarto,
.1 barbiere, il legatore, l'infermiere, e non si
prestasse volentieri a queste cose secondo il
parere dei superiori. Così di chi volesse es-
sere esonerato da qualunque spesa per il suo
mantenimento, mentre i parenti potrebbero
aria e avesse maggior sollecitudine verso i
-noi che verso la congregazione. Chi è chia-
mato a vivere in una società come la nostra
eve riconoscere nella sua vocazione un dono
-ratuito e singolarissimo della Divina Provvi-
enza; non già credere di far egli un bene alla
'ongregazione, per cui possa ripetere favori e
conoscenza. Non dà quindi prova di affetto
illa Società nostra a cui vuole aggregarsi, chi
dà tanta premura di gravarla di sacrifici.
C iò che suggerisce Don Bosco,
Ricordino anche sempre gli ascritti le parole
nostro caro Padre Don Bosco, il quale notò
c me parte della povertà il non far guasti, e

36.5 Page 355

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l'aver cura dei libri, delle vestimenta, delle
calzature. E c'insegnò che il portar abiti di-
messi, usare cibi dozzinali onora grandemente
chi ha fatto voto di povertà, perchè lo rende
simile a Gesù Cristo. Nota tuttavia che con la
povertà deve sempre andar congiunta la net-
tezza e la pulizia. Il religioso deve bensì sem-
pre fuggire tutto quello che è mondano e va-
nitoso, ma deve anche sapersi adattare alle
oneste esigenze del prossimo. Nessuna ricerca-
tezza, ma grande cura di non aver mai le ve-
sti stracciate, neppur lorde; calzature ordina-
rie, ma sempre pulite. In una parola la pover- .
tà non impedisce le convenienze sociali, anzi I
i superiori vogliono che ciascuno si faccia
scrupolo, come già si è raccomandato altrove,
di osservare con precisione le regole della ci-
viltà e della buona creanza. Si noti finalmen-
te, che quantunque in forza della virtù della
povertà nessuno debba ritenere cosa alcuna
come sua propria, tuttavia ciascuno è respon- I
sabile di quegli oggetti che furono a lui affi-
dati, o rilasciati a suo uso particolare. È I
quindi doveroso il tenerli in conto; ed è affat-
to illecito il prender senza licenza, od usare j
senza permesso, oggetti o libri della comu- I
nità, od affidati a qualche confratello, o com-
pagno. Quella specie di comunismo, che consi- I
ste nel servirsi, senza permesso dei superiori, j
delle prime cose che s'incontrano, sebbene
affidate ad altri, non è secondo lo spirito del-
la povertà. Tieni poi le cose che ti son date
per tuo uso come se le avessi in imprestito:
nulla dare, nulla ricevere, nulla disporre sen-
za licenza. Contentati sempre delle cose co-
muni, ed in queste procura di andare ancora
sempre restringendo. Ama di avere le cose già
adoperate e quelle meno belle. Sii molto cau-
to a non attaccare il cuore ad alcuna cosa,
per minima che sia. Specialmente nell'eserci-
zio della buona morte osserva se hai qualche
cosa di superfluo, o che ti rincresca abban-
donare; e per amore della povertà perfetta
spogliatene, portandola al superiore.
Non è per certo gran povertà, dice San
Vincenzo de' Paoli, il contentarti delle cose
che ti sono necessarie! E perciò, per essere
veramente povero, sopporta pazientemente e
di buon cuore di non aver tutto quello che
ti è necessario. Anzi cerca di dilettarti di ogni
estrema penuria, per quanto la natura potrà
sopportare. E generalmente in tutte le cose
sia del mangiare e del bere, sia degli abiti e
calzature, sia nei libri ed altro, sappi appi-
gliarti sempre a quello clic più conviene alla
povertà. È in questo modo che si avvererà in
te il detto dell'apostolo, che nulla avendo,
ogni cosa possederai (1). Oh se potessi ardere
talmente del desiderio di questa virtù, fino al
punto di cedere volentieri e lasciare sempre
(1) « Nihil habentes, omnia possidentes ».

36.6 Page 356

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agli altri quello clie è migliore e più comodo,
prendendo per te il più vile ed inutile, come
per esempio le vesti più abbiette, il letto più
incomodo, il sito più brutto, la coperta più
vecchia, il libro più usato! Sappi che questo
gioverebbe meravigliosamente, non solo per
acquistare la perfetta povertà, ma anche per
esercitare l'umiltà e la carità, virtù che si de-
vono sempre avere in mira, e senza di cui a
nulla si ridurrebbe la vita religiosa. Se per-
tanto vuoi esser distinto con nobile segno di
predestinato e degno figlio di Don Bosco, de-
vi, figliuol mio, non solamente essere povero
di roba ma di spirito, cioè povero di amore e
di desiderio, per cui goda imperturbabile del-
la povertà, ugualmente che un altro godreb-
be dell'abbondanza. E ti sia questa una virtù
cara e familiare; sia questa la tua gemma
preziosa, il tuo tesoro, la tua eredità. Beato
te, se saprai farti povero in questo modo. En-
trerai sicuramente a parte di quegli eterni be-
ni. al cui possedimento giunsero dopo le corse
di questa vita mortale, unitamente a Don Bo-
sco, tanti poveri, ma fortunatissimi figli d eli a
nostra Pia Società, cominciando da un Don
Alasonatti. venendo a Don Chiaro, al Conte
Cays, a Don Ortuzar, al Principe Czarto-
ryski e tanti altri, già ricchi, e che si santifi-
carono nella povertà nella nostra congrega-
zione. Essi, affidati alle parole di Gesù Cri
sto, fin da quando erano in questo mond
acquistarono il diritto al celeste regno, pro-
messo dal Signore ai poveri di spirito. Anche
tu otterrai altrettanto se saprai coraggiosa-
mente camminare dietro le loro orme.
CAPO X
MOTIVI, MEZZI E VANTAGGI DELLA
POVERTÀ
Motivi: 1) L'interesse della Società.
Per quanti motivi dobbiamo essere zelanti
nella pratica della povertà? Per sei motivi
specialmente, che io desumo, con altri pensie-
ri di questa trattazione dei voti, dal dotto,
profondo e pio mons. Gay (1).
Il primo è l'interesse della nostra Pia So-
cietà a cui ci siamo fatti ascrivere, ed a cui
abbiamo l'onore e la grazia di poter apparte-
nere. È dottrina di tutti i teologi, ed unanime
sentire di tutti i fondatori di ordini e congre-
gazioni religiose, esser la povertà il fonda-
mento e la radice della vita religiosa e come
-uo muro di difesa. La storia è lì per dimo-
(1) « De la vie et des vertus ehrétiennes •, di Mons.
haries Gay.

36.7 Page 357

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— 704 —
strare che essi hanno ragione. Facendo la sto-
ria della povertà o della ricchezza degli isti-
tuti religiosi, fate quella del loro progresso e
della loro decadenza. Se tu pertanto pratichi
con molta precisione questa virtù e cerchi di
condurla in te alla perfezione, tu sei certo che
oltre a fare un gran bene all'anima tua, fai
anche del bene alla nostra società cui appar-
tieni. Dài a vedere che l'ami davvero, sei in
certo qual modo come un benefattore. Che fa
invece in una casa religiosa uno che sia abi-
tualmente infedele alla santa povertà? Ciò
che fanno alle radici delle piante gl'insetti che
desolano gli agricoltori. Egli divora, per par-
te sua, il succo di quell'albero benedetto, di
quell'albero divino che lo ripara sotto l'ombra
delle sue foglie, e lo nutre dei suoi frutti: ne
dissecca lo stelo, lavora a renderlo sterile,
e in questo modo fa l'opera di Satana. È per
questo, che, trattandosi dei trasgressori della
povertà, le grandi anime dei fondatori di or-
dini religiosi, da agnelli che erano, li vediamo
per l'ardente zelo che li animava, farsi forti
ed energici come leoni. Tenendo a mente un
terribile e solenne castigo inflitto da San Pie-
tro ad Anania ed a Zaffira, noi vediamo San
Benedetto e San Francesco d'Assisi mai es-
ser presi da zelo più energico, di quando ve-
devano trasgressioni della povertà. San Do-
menico nel morire minacciò della maledizio-
ne di Dio e della sua, chiunque offuscasse
colla polvere delle terrene possessioni lo
— 0—
splendore della povertà, di cui voleva riful-
gesse l'ordine dei frati predicatori. San Vin-
cenzo de' Paoli maledisse un giorno tre volte
di seguito quelli della sua compagnia, che si
lasciavano trasportare dai sentimenti del pro-
prio interesse. Santa Teresa ha parole di fuo-
co, contro chi rompesse la povertà e soggiun-
geva: « Sia adunque, mie care figliuole, il più
caro dei voti quello di conservare intatta
questa virtù. Tutto corrisponda al glorioso
nostro stemma: le nostre stanze, le nostre ve-
sti, i nostri desideri. Guardatevi soprattutto
dal non innalzare mai sontuosi edifizi: ve lo
domando per l'amor di Dio, e per il prezioso
sangue di Nostro Signore. Se questo vi succe-
desse, il mio voto, che formo in coscienza,
si è che crollino nello stesso dì che verranno
compiuti » (Cammino della perfez., II). Se
San Francesco di Sales si vide una volta ol-
tre il solito rigoroso, fu quando, nei primi
giorni dacché aveva fondato l'ordine della Vi-
sitazione, temette che le sue religiose avessero
mancato su questo punto. Comprendi bene
anche tu da tutto questo, che chi pratica que-
sta virtù fa l'interesse della nostra società;
mentre invece chi la trasgredisce le fa, per
quanto sta da sé, il maggior male possibile.
Sì: chi cerca d'introdurre in congregazione il
superfluo, gli agi, le comodità, può considerar-
ci come un sacrilego assassino della sua pro-
pria madre. Perciò proponiti fin d'ora di vo-

36.8 Page 358

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ler porre sempre un'attenzione e sollecitudine
speciale a conservare la vera e completa po-
vertà.
2) Solleva ad alta perfezione.
11 secondo grande motivo, che deve ispirar-
ci zelo a questa virtù, è l'alto grado a cui
solleva la nostra morale e religiosa perfezione.
Ascoltiamo l'Eterna Sapienza, che, nell'ecces-
so della sua misericordia, fa scuola quaggiù.
Gesù apre la bocca per ammaestrare la mol-
titudine della montagna. È la prima volta che
egli parla alle turbe: quale sarà il primo in-
segnamento in questo primo solenne discorso?
Eccolo: «Beati i poveri di spirito». E bada
che l'evangelista ha cura di farci notare
che è con questa parola che aperse la sua
bocca per ammaestrare il mondo: Aperiens o-
suum. Su questo primo gradino ne porrà set-
te altri; e per mezzo di questi gradi di ascen
sione l'anima salirà sino alla suprema vetta
ove si contempla la faccia di Dio. Ma il gra-
dino della povertà è il fondamento, e soster-
rà tutto l'edifizio. Quando uno avrà post!
questa base, si affezionerà ai beni celesti ii
guisa da non avere, per qualunque altro be-
ne terreno, se non disprezzo e disgusto. Neri'
avrà più cuore se non per Dio; non avrà sa
non un cuore con Dio. E quest'è la fine: ma
il principio sta nello staccare il proprio cuore
dalla terra, nell'essere povero di spirito, cioè
nell'amar la povertà. Fin che non si viva la
vita della povertà, sarà sempre spalancata e
larga la porta alla soddisfazione dei propri
desideri; non solo dei desideri naturali, uma-
ni, terreni, i quali sebbene non illeciti allon-
tanano dalla perfezione; ma anche dei catti-
vi. il che fa sì che essa sia una perpetua ten-
tazione. Gli agi e le comodità che le ricchezze
procurano, sono come una specie di barricata
posta fra l'anima e il corpo, tra la mortifica-
zione ed i sensi, tra i consigli di Dio e le in-
clinazioni corrotte, dalle quali nessun figlio di
Adamo va esente. Questi agi e queste ricchez-
ze favoriscono una certa indipendenza, c'in-
vestono di un certo potere, permettono di
esercitare una certa qual alta protezione, ci
collocano in una certa qual supremazia. Per
conseguenza, alimentano e quasi autorizzano
quell'orgoglio che è la contraddizione e l'im-
pedimento d'ogni virtù. V'è una tale stretta
parentela tra la povertà di spirito e l'umiltà,
he la maggior parte dei Santi Padri spiegano
egualmente dell'una e dell'altra nella prima
ielle beatitudini. E soggiungono che le ric-
:hezze tendono sempre ad esaltare la pcrso-
".alità: la povertà invece tende a ridurla. E
chi non sa, e chi non sente, che è appunto tra
.rfatta esaltazione, e tra siffatta riduzione
Seriore del nostro io, che a noi si affaccia il

36.9 Page 359

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problema della salvezza eterna, e che si svol-
ge la grande lotta tra la carne e lo spirito,
la quale è continua per tutto il nostro vivere?
Questa vita comoda ed agiata è in opposizio-
ne allo spirito del santo Vangelo, è come un
ostacolo alla vita perfetta, come un'ombra,
se non come un muro, tra le anime e Dio.
«Oh! Beato l'uomo che non va dietro a loro,
nè ripone la sua speranza nel denaro e nei
tesori! Chi è costui, dice lo Spirito Santo, e
10 loderemo? Egli farà cose mirabili in vita
sua (1) ». Attàccati adunque fortemente alla
vera povertà per fuggire i tanti pericoli in cui
11 desiderio delle ricchezze ti porrebbe, e per
poter avere il più potente mezzo per ascen-
dere di giorno in giorno meglio la via della
perfezione.
3) Piace al Signore.
Il terzo motivo della povertà è che piace
immensamente al Signore. Essa pone tra Dio
e l'anima relazioni particolari, numerose e af-
fatto ammirabili, fino al punto da far sì, che
Dio direttamente si prenda una cura tutta
(1) « Beatus vir, qui inventus est sine macula, et
qui post aurum non abiit, nec speravit in pecunia, et
thesauris. Quis est hic, et laudabimus eum? Fecit enim
mirabilia in vita sua • (.Ecclesiastico, X X X I , 8-9).
——
speciale del povero. Ascoltiamo quanto ci dice
lo Spirito Santo: « O Dio, gli dice Davide, voi
stesso vi prendete cura del povero (1). Iddio
medesimo tiene come affidati a sè gl'interessi
del povero, e prende in mano i suoi affari.
Dio stesso è il suo rifugio (2). Dio è la fortez-
za del povero nella tribolazione, la sua spe-
ranza nella procella, il suo riparo nell'ardore
del giorno (5) ». Dio, per così dire, non perde
di vista il povero neppure per un istante, e
sembra riguardarlo di preferenza a tutti gli
altri: «Non mancheranno, dice, poveri sulla
terra che tu abiterai; per questo io ti coman-
do di allargar la mano verso tuo fratello ne-
cessitoso e povero, che teco dimora nella stes-
sa terra (4) ». Vedi quanto Iddio ama il po-
vero e come sembra non pensi ad altro che a
lui! E tu conoscendo questo, rallegrati della
tua povertà, osservala bene, e sta sicuro che
Iddio ti benedirà in ogni modo se la prati-
cherai.
(1) « Oculi eius in pauperem respiciunt » (Salmi,
X, 4).
(2) « Et factus est Dominus refugium pauperi:
adiutor in opportunitatibus, in tribulatione • (Salmi.
IX, 9).
(3) « Factus est fortitudo pauperi, fortitudo egeno
;n tribulatione sua: spes a turbine: umbraculum ab
aestu » (Is„ XXV, 4).
(4) « Non deerunt pauperes in terra habitationis
:uae; idcirco ego praecipio tibi ut aperias manum fratri
• uo egeno et pauperi, qui tecum versatur in terra »
Deut., XV, 11).

36.10 Page 360

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—0
i) Imita Gesù Cristo.
In quarto luogo dobbiamo amare molto
questa virtù per imitare Gesù benedetto, il
quale l'amò tanto e la praticò per tutta la
sua vita. Dice San Bernardo, che, sebbene nel
mondo abbondasse per tutto la povertà, il
suo pregio era affatto ignoto al mondo. Ma
Dio l'amava talmente, che non trovandola in
cielo (poiché certamente in cielo non vi è
povertà di sorta), volle scendere egli in ter-
ra per poterla abbracciare, e cosi insegnare
a noi il suo pregio ed incoraggiarci a pratica-
re volontariamente una cosa tanto preziosa
e che arreca tanti benefizi (1).
Di fatto, ricchissimo qual era e padrone
assoluto dell'universo, venendo al mondo ab-
bracciò una povertà non comune ed ordina-
ria, ma la più stretta ed estrema.
Nacque da una Madre povera, in una vi-
le grotta; soffrì il freddo, avvolto com'era fra
poveri pannicelli, adagiato su poca paglia,
riscaldato dal fiato di due vilissimi animali.
Volle essere condotto in Egitto senza avere
nessuna comodità di viaggio, ospitato per ca-
rità. A Nazareth visse nella più squallida
miseria nella casa di San Giuseppe; dovette
lavorare per tutta la vita alacremente e fa-
ti) « Paupertas non inveniebatur in eoeiis, in terris
abundabat, et nesciebat homo pretium eius. Hanc
itaque Dei Filius coneupiseens, descendit, ut eam diligat
sibi, et nobis faeiat pretiosa • (Serm. de Nativ. Virg.).
— 711 —
cosamente per guadagnarsi il pane. Nei tre
nni della sua vita pubblica non ebbe casa
ove potersi ricoverare, nè letto ove posare il
jpo, siccome disse Egli medesimo: «Le volpi
anno la loro tana e gli uccelli del cielo il
ido, ma il figlio dell'uomo non ha dove posa-
• il capo (1) ». Viveva di stenti e di elemosine,
on tenendo neppure un soldo per pagare il
tributo. La sua morte poi fu un vero prodigio
i estrema ed eccessiva povertà, poiché morì
in croce: e per seppellirlo fu necessario tro-
vare un sepolcro ed un lenzuolo per limosina.
Segue la dottrina di Gesù.
In quinto luogo: dobbiamo praticare la
•overtà per seguire gli ammaestramenti di
e-ù medesimo. Egli infatti a dimostrare l'ai-
'a stima che ha per essa, oltre l'esempio, volle
affermarne il pregio coi suoi insegnamenti.
:ece di essa molti elogi, e promise grandi
remi a tutti quelli che l'avessero imitato in
nesta virtù a lui sì diletta. Ben sapeva il
edentore quanto mai venga impedito dalla
cehezza il conseguimento dell'evangelica
•rfezione, e quanto contribuisca la povertà
I ottenerla. Quindi consigliando il giovinetto
(1) « Vulpes foveam habent, et volucres eoeli nidos,
ius autem bominis nou habet. ubi caput reclinet »>
Matteo, V i l i . 20).
J-l

37 Pages 361-370

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37.1 Page 361

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— 712 —
bramoso di farsi suo seguace, nient'altro
gli propose per divenir perfetto che vendere
tutti i suoi averi, distribuirli ai poveri e farsi
anche lui povero (1).
6) Coopera con Gesù alla salvezza delle ani-
me.
Finalmente dobbiamo praticare ed amare
la povertà perchè essa ci associa all'opera di
Gesù nel salvare il genere umano, e ci dà la
virtù di cooperarvi potentemente. L'opera di
Gesù è opera d'illuminazione e di santifica-
zione, opera di conciliazione e di pace univer-
sale nella verità e nell'amore; ed in tutte que-
ste cose è coadiuvato dai suoi poveri.
Il religioso che lascia tutto e non vuole
possedere nulla sulla terra, ripara per parti
sua quel cumulo di iniquità, di cui la ricchez-
za terrena è, e sarà sempre insino alla fine,
l'odiosa ed instancabile produttrice. Oh come
questa verità deve renderci lieve il peso delh
nostre privazioni e di tutte le sofferenze che
provengono da questo spogli amento totale di
tutte le cose! Io son povero e soffro, sì, ma
con ciò, come da uno degli altari cattolici
ove Gesù è tuttora immolato, il mio sacrifizit
sale fino a Dio, per rendergli un poco di quel-
(1) «Si vis perfectun esse, vade, vende quae habes.
et da pauperibus ».
—7
la gloria a lui rapita del continuo dall'idola-
tria dell'oro, e dalla materiale prosperità. E
facendo questo, il povero illumina e san-
tifica gli uomini. Egli fa vedere la sublimità
del Vangelo col professare così palesemente
quanto vi si trova di più rigoroso, e di più ar-
duo, e di più perfetto. Prova la realtà della
grazia, poiché solo un aiuto sovrumano dà il
mezzo di far opere sovrumane, e sovrattutto
di vivere con perseveranza in uno stato in
cui la natura è così sacrificata! Egli onora la
virtù della preghiera e dei Sacramenti, clic
sono manifestamente ed esclusivamente i via-
tici della sua strada, ed i sostegni della sua
forza. Il povero predica: anche nascondendo-
si, anche tacendo annunzia la buona novella
e insegna Gesù Cristo. Egli dice chiaramente
a tutti, che la vera felicità non è là dove
i mondani si ostinano a cercarla! Che invece
possiamo vivere di gaudio senza affezionarci
a nulla di ciò che è sulla terra; che quanto
meno ci affezioniamo alle cose terrene, tanto
maggiore è il gaudio. Egli è il mallevadore
delle divine promesse, ed il testimone antici-
pato delle delizie che si gusteranno in cielo.
I poveri di Gesù Cristo, cioè i poveri vo-
lontari, col loro esempio non hanno mai cessa-
to un giorno di lavorare per la santificazione
universale. Ed ora specialmente, che ferve la
lotta tra il capitale ed il lavoro, ed il sociali-
smo coll'apparenza di voler la parificazione
sociale soffia nelle masse e si sviluppa il più

37.2 Page 362

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— 714 —
orribile degli incendi, quello dell'odio vicen-
devole, viene opportuna l'opera pacificatrice
dello stato religioso con la pratica della sua
povertà volontaria. Non è per nulla che tanto
acremente si scatena in questi giorni un furi-
bondo odio contro i religiosi! Eppure quante
volte i poveri salvarono la Chiesa! Questo ci
dà caparra che anche in avvenire la salve-
ranno. In un sogno riinasto celebre il gran
papa Innocenzo III vide barcollare le mura
della chiesa di San Giovanni in Laterano, che
è tenuta per la chiesa madre di tutto il mon-
do; e gli pareva che il tempio fosse per crol-
lare e sprofondarsi. Ma un uomo, un uomo
solo e di meschina apparenza, sosteneva 1'edi-
fizio. Quest'uomo Innocenzo lo vide ben pre-
sto in realtà; era un povero, il padre di una
infinità di poveri, Francesco, detto per an
tonomasia il Poverello d'Assisi, di cui il Pa-
pa, prima titubante, approvò pienamente la
regola. Se il mondo non lo impedisse, questi
poveri di Gesù Cristo pacificherebbero il
mondo. Non v'è che un male, radice di tutti i
inali, secondochè ci dice San Paolo: la cupidi-
gia (1). Non v'è che un bene, da cui derivano
tutti i beni: la carità. Supponete lo spirito dei
poveri di Gesù Cristo diffuso e vivente nel
cuore di tutti gli uomini: le guerre cessereb-
bero immancabilmente e soprattutto le lotti
(1) « Radix omnium malorum est cupiditas • (Tim..
VI, 10).
sociali; le braccia non servirebbero più agli
uomini se non per aiutarsi a vicenda, e per
abbracciarsi; le classi, pur rimanendo distinte
perchè tale è l'ordine stabilito dal Signore,
sarebbero ciò non pertanto unite come Iddio
vuole e comanda. La vera fratellanza si stabi-
lirebbe per mezzo dell'amore, e la terra, non
ostante i suoi duri lavori e le inevitabili sue
lagrime, diventerebbe il vestibolo del para-
diso. A questo riesce l'oracolo del Maestro:
t Beati i poveri di spirito, perchè di questi è
il regno dei cieli» (1 ).
Mezzi per conservare la povertà.
Veniamo ormai ai mezzi per conservare
questa virtù. Il gran mezzo per conservare la
povertà, mezzo universale, radicale, infalli-
bile, è la vita perfettamente comune. In che
osa consista la vita comune, lo abbiamo con
tutta precisione dallo schema del Concilio
\\ aticano. Esso dice che la vita perfettamente
>mune consiste in questo: che qualunque
bene, reddito, emolumento, e qualunque altra
>sa che sotto qualsiasi titolo provenga ai re-
dosi, vada a bene di tutta la religiosa fami-
- ia, e che lo stesso vitto, vestito e le altre
ose necessarie siano ricevute in comune dal-
i casa; che i superiori non neghino ai reli-
(1) « Beati pauperes spiritu, quoniam ipsorum est
•^jnum coelorum • (MATTEO, V, 3).

37.3 Page 363

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giosi qualunque cosa sia necessaria, e che
i religiosi non esigano nulla che sia superfluo.
Tu pertanto ama la vita comune, ama il cibo
comune, le vesti comuni, i libri, gli arnesi da
lavoro comuni. Ama persino e attienti agli
usi comuni, e prendi parte a tutto quello che
si fa dalla comunità, tranne casi particolari,
verificati dai superiori, nei quali occorra
qualche eccezione. Non fare in nulla il sin-
golare. Non che non possa domandare e in-
tenderti col superiore, per fare qualche cosa
di più che gli altri; ma, accennata la cosa,
sta' subito a quanto il superiore ti dice. San-
t'Alfonso dice: « È bensì vero che non si farà
mai santo chi non fa un po' il singolare.
Perchè, soggiunge, la santità è sempre di po-
chi. e non generalmente delle masse. Perciò
chi vuol esser santo deve scostarsi alquanto
dall'agir comune ». Ma tu capirai che il su-
periore non vorrà mai allontanarti dalla san-
tità, anzi, egli stesso a costo di qualunque
sacrifizio ti somministrerà le norme ed i mezzi
per giungere ad essa. Tu pertanto non devi
volere i mezzi che sembrano a te più atti,
anzi devi capire che il mezzo principale è
la mortificazione della tua propria volontà
e del tuo proprio giudizio. Quando il supe-
riore credesse necessario di farti uscire dalla
via comune, lo farà lui. Ma tu intanto sta
perfettamente alla vita comune, batti fa via
comune, escine solo col far con maggior per-
fezione le cose ordinarie. Avrai con ciò trac-
— 717 —
ciata avanti a te una via ben sicura della
santità. Oh! La eccellente povertà che è mai
quella che è esercitata dal religioso che non
esce nulla dalla vita di comunità! Con ciò
il superfluo si trova tolto per se stesso, e lo
spirito di proprietà resta inchiodato alla
croce; resta impossibile l'illusione, confuso
l'amor proprio. Se, ciò non pertanto, nelle
cose comuni vi ha, com'è quasi inevitabile,
qualche disuguaglianza, lo spirito di questa
benedetta virtù, non dico che ti farà sce-
gliere quanto vi è di peggiore, perchè il po-
vero non sceglie, bensì prende ciò che gli
vien dato; ma inclinerà il tuo cuore a pre-
ferire il meno, forse a domandare a Dio che
ti sia assegnato, anche a far conoscere al
superiore che tu lo accetteresti volentieri. E
se è appunto questo meno che ti è dato, es-
sa ti farà considerare come una grazia sif-
fatto dono, e tu ne ringrazierai il Signore e
ne gioirai come di una buona fortuna.
Vantaggi della povertà.
1 vantaggi che arreca la povertà sono in-
calcolabili. Oltre ai grandi e continui gior-
nalieri meriti già accennati, oltre al contri-
buire al bene generale della società, come
sopra si disse, la povertà religiosa dilegua
in te ogni ombra di timore di non cammi-
nare per la via della santità, distrugge le

37.4 Page 364

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opposizioni, fa scomparire gli ostacoli che
per quel cammino s'incontrano, e costituisce
se stessa come potente mezzo per arrivare al
desiderato fine. Dinanzi ad essa si apre, si
rischiara, si allarga la strada; e la stessa
vita, tolto ogni fardello di cose umane, si
sente sollevata, vivificata, piena di slancio,
come se di tratto avesse messo le ali. Sant'Am-
brogio osa dire invero che questa benedetta
povertà è la madre di tutte le altre virtù (1).
E Sant'Ignazio di Loyola vuole che la si ami
qual madre delle anime nostre (2). La povertà
ti apporterà pure la pazienza e la tranquillità.
Il povero si trova nello stato di chi non ha
alcun diritto. Nè solo non ne ha, ma rinun-
cia ad averne. Soffre senza alcun dubbio, e
talvolta anche molto; ma non si scoraggia,
nè si fa lecito di gemere. Non si può imma-
ginare uno stato d'animo più propizio per at-
tirare l'abbondanza delle grazie celesti. D
più il vero povero è energicamente incammi-
nato per la via della santità, poiché esso <
inevitabilmente umile, pacifico e mansueto,
naturalmente sobrio e casto. San Paolo di-
ceva : Il mondo è a me crocifisso, ed io son
crocifisso al mondo. E la povertà è propri •
una croce posta tra il mondo sensibile e l'an:-
(1) « Generatrix, mitri xque omnium virtutum
Ky. I ad Tini., VI).
(2) « Diligant eam ut matrem ».
ma; o meglio ancora tra l'anima e i suoi sensi
e tutta la vita animale. Là dove il ricco trova
l'occasione del peccato trovandovi l'occasione
del godimento, il povero trova l'occasione di
un'espiazione; e là dove il ricco contrae uu
nuovo peccato, il povero continua ad espiare
i peccati antecedenti. Riguardo a quanto ten-
ta la maggior parte degli uomini, il povero
evangelico è come il giglio della Scrittura,
che serba la sua nettezza e il suo candore
perchè circondato dalle spine. Finalmente chi
osserva la povertà è portato all'amor di
Dio. Come le ricchezze somministrano scuse
per non arrendersi alla voce di Dio, così la
povertà rende atto e pronto ad ascoltarne la
voce, a rispondere alle sue domande, a se-
-itirne i movimenti, a contentarne tutti i de-
•ideri. Il gran Poverello d'Assisi fu dotto in
mesta scienza e visse di questa vita, ond'è
imasto nella Chiesa uno dei più meraviglio-
modelli. La povertà lo diede come in preda
ll'amore. e l'amore consumandolo mise il
'Imo alla sua povertà. Egli passava anche
giornate e le nottate intiere guardando
idio, e con gli occhi fisssi in lui esclamati
: Mio Dio e mio tutto. Ti aiuti sempre
Signore, figliuol mio, a praticare in qua-
lunque tempo e nel modo più perfetto la
0"vertà che sei per professare, perchè così
e proverrebbero tutti i beni, e progredi-
rti fino all'apice della perfezione.

37.5 Page 365

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Mali e pericoli delle trasgressioni della
povertà.
E ti guardi sempre il buon Dio dal tra-
sgredire in qualunque modo questa virtù,
perchè così verresti privato di molte grazie,
e cadresti miseramente prima nelle imperfe-
zioni, poi nel baratro del peccato. Sii pur per-
suaso che così coopereresti alla tua infelicità:
perchè quando s'incomincia a conculcare la
povertà religiosa, oh guai! La trasgressione
delle due altre virtù religiose, cioè della ca-
stità e dell'ubbidienza, pungono tosto coi loro
acerbi stimoli la coscienza, onde questa li
detesta, e così cerca subito di emendarsene.
Non così le violazioni della povertà, le quali
s'introducono senza strepito nell'anima di un
religioso, e si scusano facilmente con vari
ingannevoli pretesti. Esse portano con sè del
comodo e del piacevole, alle cui privazioni
difficilmente sa adattarsi l'amor proprio. Così
si tira poi innanzi anni ed anni, e talora
fino ai giorni estremi della vita, senza darsi
pensiero di emendazione.
Il trasgressore della povertà in punto di
morte.
Rifletti molto seriamente: come ti trove-
verai in punto di morte, tu che hai sempre
cercato di far bella figura, che perciò cer-
cavi di farti fare abiti con panno più fino
e migliore, di farteli fare con forme più belle
e più costose: tu che volevi le scarpe di
cuoio più fino, a forma speciale; che volevi
sempre farti procurare ogni libro utile che
si pubblicasse, e forse anche libri di dubbia
utilità, se non dannosi; che li volevi sempre
ben rilegati e dorati; tu che volevi tavolini
artistici o coperti da tappeto, ornati di gin-
gilli, il tappeto sotto i piedi, e non ti con-
tentavi di coperte da letto grossolane, bian-
cherie ordinarie; che anzi, a scusa del tuo
stomaco debole é del lavoro che dovevi fare,
richedevi vino speciale, uova o latte, ciocco-
latini e dolci lungo il giorno, mentre forse
ti sarebbe bastato per rimedio l'essere un
po' più parco e mortificato? Tu che deside-
ravi ed in qualche modo ti sei procurato
orologio elegante, con rispettiva catenella ap-
pariscente, od anche spillo prezioso alla cra-
vatta se coadiutore? Come ti troverai in
punto di morte, dico, tu che perchè supe-
riore facevi spendere in pavimenti preziosi,
in pitture ricercate, in tendine ricamate per
poi far bella figura al sopravvenire di un fo-
restiero, il quale ben più si sarebbe edifi-
cato dal vedere risplendere in casa la po-
vertà religiosa? Tu che usata un poco una
cosa, ben presto ne cercavi un'altra, perchè
questa piaceva di più. pur potendo servir
quella allo stesso scopo? Tu che facevi viag-
gi quasi solo per piacere, o senza vera ne-

37.6 Page 366

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cessità, o avendo carpito il permesso di farli:
o prendevi i posti da signore, o quasi per
grandeggiare pagavi ancora lo scotto per
altri? Tu che discendevi ad alberghi mentre
forse con un po' di sacrificio avresti potuto
ospitare in casa salesiana; o che non ve ne
era altro più ordinario ed abbastanza de-
cente pel tuo stato? Che infelice morire sa-
rebbe quello che fu preceduto da lunga se-
rie di trasgressioni di questa virtù! Che agi-
tazione non deve mai cagionare ad un re-
ligioso moribondo il rammentarsi di aver cer-
cato per anni ed anni le proprie comodità,
di aver tenuto per tanto tempo del super-
fluo, d'aver cercato di far bella figura spen-
dendo di quando in quando, qua e là, qual-
che somma per procurarsi agiatezze e com-
parire in faccia ad altri; d'aver impiegato
danaro o roba della comunità per aiutare
sotto qualche frivolo pretesto i parenti, o
per togliere altri d'imbroglio? No: il ram-
mentarti di essere stato per tanto tempo tra-
sgressore di sì stretta obbligazione non ti
lascerebbe in pace un istante. Non ti pare
che al lume di quella candela che ti si ac-
cenderà al capezzale accanto al letto di mor-
te (se pure il Signore non giudicherà di chia-
marti in modo improvviso!), ti accorgerai,
ahi! troppo tardi, che molte cose ti erano
parse necessarie ma non erano che appena
convenienti; e molte cose in apparenza con-
venienti, non erano che del tutto superflue?
Ad esser perciò immune da tanta sciagura
abborri sempre la vanità, la grandezza in
ogni cosa di tua pertinenza, scegliendo sem-
pre le cose più povere e modeste, e più con-
venienti allo stato religioso. Ama la povertà
che ti apporta tanti beni, praticala con ogni
sacrifizio, ed essa ti renderà felice qui in
terra dandoti la completa pace dell'anima;
e quel che è più ti renderà eternamente ricco
in paradiso in unione a Gesù, che venne su
questa terra per insegnarci questa virtù, e
che la praticò tanto rigorosamente.
CAPO XI
DELLA CASTITÀ
Il sacro invito.
Lo Spirito Santo ci ammaestra di doman-
largli d'essere attratti da lui; e così attratti
noi ci porremo a correre dietro a' suoi olez-
zi (1). Lasciamoci attrarre dalla soave fra-
granza che esala dalla bella virtù della ca-
rità, e col nostro giglio in mano corriamo
ietro alla chiamata che ne viene dallo Spi-
ti) * Trahe me: post te curremus in odorem unguen-
" rum tuorum » (Cani., I, 3).

37.7 Page 367

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rito Santo. E tu, o mio buon amico, pre-
para il tuo cuore alle soavi emozioni che
ti verranno nel sentir parlare di questa bella
virtù, e sii contento che io mi estenda un
poco a parlartene. Te la farò considerare
nella sua essenza e nella sua bellezza; e
t'ammaestrerò sulla sua eccellenza per far-
tela amare sempre più, e incorraggiarti a
prendere vigorosamente i mezzi che ti aiu-
tano a conservarla illibata sino al fine della
tua vita.
Ragione d'essere della castità.
L'anima è la forma sostanziale, il soste-
gno, la vita del corpo. È l'unione dell'anima
col corpo che forma la vita! Se pertanto vi
è per l'anima umana una relazione necessa-
ria, incessante, prossima, delicata, indubbia-
mente è quella che ha col suo corpo, il cor-
po senza l'anima resta subito immoto cada-
vere, va in putrefazione e si discioglie; e
l'anima senza il corpo non si ferma neppui
più un istante su questa terra: essa vola
subito al suo destino, poiché è creata per fini
soprannaturali. Iddio benedetto creando l'uo-
mo, stabilì un'armonia completa tra il corpo
e l'anima. Non vi era e non vi poteva es-
sere ribellione di sorta in questo re della
creazione, quale era uscito dalle mani di
I Dio! Le due sostanze formanti il composto
imano dovevano sempre stare unite; e alla
I ine dei giorni dell'uomo su questa terra in-
sieme andare in paradiso, a godere eterna-
I nente in unione del Creatore. Ma dopo il
I peccato l'unione dell'anima col corpo per-
lette il proprio equilibrio. Invece di essere
om'era e come doveva essere, il corpo af-
I fatto soggetto all'anima, esso prese il so-
I pravvento, imbaldanzì, e l'anima, indebolita
lagli effetti deleteri del peccato, si lasciò vin-
cere, e restò inclinata verso il corpo; quasi si
iirebbe restò sommersa nel corpo. La vita ani-
[ naie è quella che generalmente si fece do-
[ minante; e la Sacra Scrittura ci dice, con
! ina parola che è spaventosa perchè trop-
I DO vera, che dopo il peccato ed a cagione del
I peccato, l'uomo è divenuto carne, e questa
«tessa carne ha corrotto le sue vie.
Su questo punto, come su tutte le questio-
ù più gravi, il cristianesimo ha dato solu-
zione precisa e perentoria. La rivelazione c'in-
gegna chiaramente quanto riguarda le rela-
iioni dell'anima col corpo; e noi conosciamo
ai primi capitoli della Genesi i misteri della
creazione in grazia, della caduta umana, del-
a conseguente ribellione del corpo e dell'ori-
gine del male. Principale conseguenza fu la
morte, cioè la separazione dell'anima dal
orpo. Questa separazione essendo un ca-
-tigo del peccato, avviane con violenza, ed

37.8 Page 368

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il corpo è condannato a disciogliersi ed a
marcire. Ma la morte stessa non divide l'a-
nima dal corpo se non per un tempo; poiché
l'infinita bontà di Dio verso di noi, sue mi-
sere creature, non permise che la catastrofi
fosse irrimediabile. Anzi riparò esso in buona
parte i danni della caduta, ci richiuse l'in-
ferno, e ci riaperse il paradiso. Ma restò la
ribellione della carne contro lo spirito; e da
allora la vita dell'uomo fu un continuo com-
battimento. Per fortuna nostra tuttavia i:
Divin Salvatore volle che dove abbondò 1
colpa sovrabbondasse la grazia; ed in questa
medesima lotta ci somministra le forze per
vincere, ogni volta che noi prendiamo i mezz
da lui suggeritici. Poiché la grazia di Die
come è lume per scoprire, è al tempo stesse
torza e virtù per operare. Iddio rialzando
prima di tutto il corpo da c-otesta caduta, 1<
guarisce col santo battesimo. Poi poco a
poco lo solleva dal languore in cui lo lascii
ancora la primitiva caduta, con la grazia chi
gli comunica nella cresima. Finalmente io
rrinforza cibandolo del Corpo stesso di Gesù
Cristo; e con la virtù di sempre nuove gra-
zie lo accompagna successivamente m tutti
le condizioni richieste dal suo destino, finch
arriverà ancora glorioso al cielo. Ma la ribel
lione è avvenuta, la lotta esiste, si deve com
battere! Solo sarà coronato in ciclo colu:
che avrà legittimamente combattuto.
Essenza della castità.
Una parola dotta e profonda epiloga l'or-
dine della legge morale prescritta all'anima
nelle sue relazioni col corpo: la parola casti-
tà. Essa nello stesso tempo indica a noi un
dovere ed una virtù. La parola castità viene
da castigare: castitas a castigando, dice l'an-
gelico San Tommaso. Perchè, soggiunge il
santo, come il fanciullo licenzioso ha biso-
gno d'esser castigato affinchè non vada per-
duto dietro stolti capricci, così la concupi-
-cenza del nostro corpo ha bisogno di esser
tenuta a freno: e la virtù che tiene a freno il
nostro corpo e la nostra concupiscenza, si dice
appunto castità. Quindi la castità è da con-
siderarsi come una forza ed un abito, il qua-
le fa sì che l'anima tiene sotto il suo dominio
e in una perfetta sommissione tutti gli atti
del corpo, e perfino i suoi movimenti. È co-
me un'alleanza potente che presta alla ra-
gione e alla fede la propria forza, affinchè
tra tanti organi che vi sono nel nostro corpo,
: quali sì facilmente si lasciano commuovere,
sono così indisciplinati e sempre pronti a ri-
bellarsi, non ve ne sia uno solo che non aspet-
i suoi ordini, o almeno non si assoggetti
uando li ha prevenuti. Ella pertanto, come
si vede, mette l'ordine, e un ordine divino, in
itto l'andamento della vita umana organica:
n quanto almeno siffatto andamento è sotto-
lesso alla nostra libertà, e cade sotto la leg-

37.9 Page 369

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ge morale. Essa diventa in tal guisa come la
mano di Dio applicata al corpo dell'uomo, e
lo governa totalmente, sempre e senza con-
trasto. Se in noi il corpo diventasse il padro-
ne. fosse pure per un solo istante, ne avver-
rebbe un disordine immenso, e lo scompiglio
dell'uomo morale. Ma qui non si possono da-
re questi termini: l'anima umana o conserva
l'impero sul corpo, o perisce. Non entrerà nel
cielo nulla di immondo, dice lo Spirito San-
to! (1) Nè la carne, nè il sangue possono ere-
ditare il cielo (2). E coloro che dalle loro ten-
denze cattive son gettati in balia della carne
e del sangue, sono lasciati a parte e precipi-
tati: Fuori i cani e gli immondi, dirà Gesù
nell'atto del supremo giudizio! (3) Considera-
ta sotto il suo pratico aspetto, la castità pro-
priamente detta non è se non il religioso ri-
spetto in cui l'anima tiene il suo corpo, per
amor di quel Dio cui si è sposata in Gesù
Cristo.
(1) « Nihil coinquinatum in eam incurrit » (Sap.,
VII, 25).
(2) « Caro et aanguia regnimi Dei posaidere non
poasunt » (7 Cor., X V , 50).
,
(3) « Poris canea et impudici» (Apoc., X X I I . 15).
Motivi di religioso rispetto verso il corpo.
1) Siamo proprietà di Dio.
Dio è padrone assoluto di noi come di tut-
te le creature: egli è assoluto padrone del-
l'anima nostra, come del nostro corpo. Come
Redentore poi ha ancora acquistato sopra di
noi un dominio doppio; e perciò noi doppia-
mente apparteniamo a Gesù. Consideriamo
dunque l'uomo come proprietà di Dio, come
oggetto del diritto di Dio, come sua cosa. E
subito si scorge che il nostro corpo riveste
un carattere di elevazione, d'importanza, di
bellezza morale, quasi di maestà, che piega,
o meglio costringe la volontà nostra al rispet-
to, ai riguardi, ai riserbi, insomma a tutti
quei sentimenti ed atti che si collegano colla
castità. Chi disprezzerà, ma sopprattutto chi
pretenderà di appropriarsi l'essere, da Dio
posseduto in proprio? Chi ne userà senza di-
screzione, senza rispetto, senza regola, per
passione, per capriccio, per egoismo? Chi ne
abuserà per fare il male? È cosa indubitata
he ogni colpa contro la castità irichiude, al-
meno in certo grado, un'attuale dimenticanza
he noi apparteniamo a Dio. Ne dobbiamo
conchiudere che una della migliori guarentige
di questa virtù è il pensiero fortemente medi-
tato, che noi non siamo nostri, ma che appar-
teniamo a Dio. San Paolo non ne giudica al-
'rimenti, giacché dopo d'aver detto, non siete
!i voi stessi essendo stati comprati a caro

37.10 Page 370

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- 730 —
prezzo, ne trae questa grave c=onsegue-a: Glo-
rificate pertanto e portate Dio nel
corpo.
2) Siajno amati da Dio.
Ma l'uomo non è solo proprietà di Dio:
egli è anche da Dio amato. È questa per lui
come una seconda investitura, un soprappi ù
di dignità, e per conseguenza un titolo nuovo
per essere sinceramente soggetto ai voleri di-
vini, che sono di rispettare e trattare casta-
mente il proprio corpo. Niuno ignora il prez-
zo che aggiunge alle cose l'affezione. Un non-
nulla che è amato, diventa un bene conside-
rabile. Si aggiunge che col battesimo Iddio
prende un possesso soprannaturale della crea-
tura, e divinamente sequestra, per così dire,
l'uomo a nome di Cristo e dei suoi diritti d'
Redentore. Il battesimo imprime nel fanciul-
lo un sigillo interiore, spirituale, sacro, divino,
incancellabile. E l'uomo perciò è reso sì pro-
prio di Dio, che, posta a pareggio di questa
nuova appartenenza, par più poca cosa la
sola padronanza di Dio su di noi prodotta
dalla creazione.
— 731 —
>) Ci nutriamo di Dio.
Altro ancora si aggiunge che sempre più
ci sublima. Come la vita naturale, anche la
vita spirituale deve essere mantenuta ed è
d'uopo sia nutrita; e perchè l'anima è divina,
divino altresì sarà il suo nutrimento. L'ali-
mento della vita cristiana è Cristo, cioè Dio
mede-imo. Il cristiano nella santa eucaristia
si ciba di Dio, che può, se gli aggrada, rice-
vere ogni dì. L'uomo adunque è un essere sa-
crosanto; e l'abuso del corpo nostro, diviniz-
zato dal cibo spirituale di cui vien nutrito, è
la cosa più esecrabile. La castità pertanto,
quella del corpo e quella dell'anima, è il più
imperioso dei doveri. Dopo che vi è un taber-
nacolo, e al tabernacolo una porta, e dietro
alla porta un'ostia, e innanzi all'ostia una
mensa sulla quale noi ce ne cibiamo, non pos-
siamo più essere meravigliati del numero di
anime che, per amor di Dio, vogliono restar
• ergini. Era questa la visione del profeta Zac-
aria, contemplante i templi del Messia, vale
dire i templi eucaristici, il quale entusia-
sticamente diceva: « Sorgeranno da per tutto
ietre sante (altari) presso questo popolo; ma
he è il buono di lui, e il bello di lui, se non
frumento che produce gli eletti, e il miste-
oso vino che fa germogliare i vergini? » (1).
(1) « Frumentmn electorum, et vmum germinans
-rgines » (ZACH., I X , 17).

38 Pages 371-380

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38.1 Page 371

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4) Siamo tempio di Dio e membra di Cri-
sto.
Eppure vi ha ancora di più. Dalla creazio-
ne, dalla redenzione, dal battesimo, dall'euca-
ristia, da tutto il mistero di grazia, d'amore e
di appropriazione divina, che ne consegue an-
cora? Noi non diventiamo solo creature amate
da Gesù, le immagini di Gesù: ma diventiamo
sue membra e formiamo il suo corpo. Lo dice
chiaro San Paolo: Voi siete il corpo di Cri-
sto (1). E altrove: Non sapete voi che i vostri
corpi sono membra di Cristo? (2). Nel nostro
stato pertanto noi siamo tempio, trono di Dio.
Non sapete voi, continua l'ammirabile aposto-
lo, che le vostre membra sono tempio dello
Spirito Santo che è in voi? (3). Così noi tutti
siamo veri templi, non solo dedicati a Dio.
ma abitati da Dio. In tal guisa tutto l'uomo,
anima e corpo, entra nel mistero e si unisce
al Verbo Incarnato, come in noi il corpo è
unito all'anima. La dottrina dei Santi Padi
a questo riguardo è tanto ardita, che ci empii
di meraviglia e quasi ci spaventa. San Leone
papa dice: « Il corpo del battezzato è divenu-
to la carne del Crocifisso » (Semi. XIV di
(1) « Vos autem estis corpus Christi et membra
de membro]» d Cor., XXI, 27).
(2) « Nesctitls quoniam corpora vestra membr»
sunt Christi? » (Ibid., VI, 15).
(3) « An nescitis quoniam membra vestra templun
sunt Spiritus Sancti qui in vobis est? » (Ibidem, VI, ìy -
Passione). Sant'Agostino commentando l'apo-
stolo San Giovanni: «Ammirate, esclama, e
gioite! Siamo diventati Cristo. Egli è il capo e
noi siamo le membra. Egli e noi siamo un solo
medesimo uomo, l'uomo totale » (Tratt. 21). E
fertulliano insegna: « Questo tempio di Dio
che è il nostro corpo ha una guardia, che è
altresì una sacerdotessa: essa è la castità.
Questa vieta l'entrare a tutto ciò che è impu-
ro e profano ». La castità adunque è quel pre-
zioso fiore di paradiso, che abbellisce tutte le
altre virtù cristiane, e manda sul santo mon-
e di Sion un gratissimo odore. È cosa sopra
natura e di tanta nobiltà ed eccellenza, che
!a l'uomo da terreno celeste, da carnale spiri-
naie, e lo mette a pari con la purissima vita
legli angeli. È la liberazione dalle sollecitu-
lini del mondo; è la sicurezza della mente, la
-anità del corpo, la vita dell'allegrezza. È il
«rofumo della buona fama, la sposa diletta
lei figliuol della Vergine. L'umiltà, l'ubbi-
dienza e la povertà avvicinano a Gesù; ma la
ola castità si adagia e riposa sul suo petto.
ellezza della perfetta castità.
Parlando di questa virtù a te. mio buon
•vizio, che sei chiamato e ti prepari alla
la religiosa, mi giova presentartela nella sua
•mia più perfetta che si dice anche vergini-
Anche a te Gesù ha rivolto l'invito di se-

38.2 Page 372

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guirlo più da vicino, dopo un totale rinnega-
mento di te stesso. La verginità fu il tesoro
nascosto, rivelato solo a miriadi d anime elet-
te, che gli sacrificarono affetti, speranze, gioie
e la stessa vita. È la virtù bella per eccellenza,
la virtù di Gesù, di Maria, di San Giuseppe,
dei più grandi e celebri santi, la virtù della
Chiesa, del suo sacerdozio. È una gemma di
inestimabile valore, che rapisce il cuore di
Dio e degli uomini; è un segreto rivelato sol'
nei tempi nuovi del cristianesimo. È il nuovi
e recondito sacramento che consacra ogni ses-
so ad un mistico sacerdozio, sceglie ed immola
a Gesù, e con Gesù, le vittime più accette ai
trono dell'Altissimo. Le anime vergini som
le ostie viventi, sante, piacenti a Dio. La ca
stità perfetta viene assomigliata al candidi
giglio, al più delicato ed odoroso dei fiori
E siccome il giglio rende più vago ed olezzan
te tutto il giardino entro cui sorge, così la ca-
stità adorna di candore e di fragranza celesti
quel giovane felice che la coltiva e la possie
de. Questa virtù anche naturalmente, conni
nica e trasfonde nell'esteriore sembiante u
candor puro, una modestia angelica. Perciò i
volto, il sembiante, il portamento di un gio
vane casto, è tutto improntato e risplendenti
di angelico fascino. Insomma: un'anima pur=
è cosa più celeste che terrena! Il giglio pr
non è men odoroso, che candido; onde spanti
all'intorno soavissima la sua fragranza. Simil-
mente un giovane puro spande ovunque 1«
flagranza del suo buon esempio, che edifica
quelli con cui si trova. E per quel purissimo
candore che in tutto il suo esteriore è diffuso,
egli si rende amabile e venerabile. Gli stessi
cattivi, benché rotti ad ogni vizio, conoscono
e venerano in un giovane la purità del costu-
me, compresi nel cuor loro da stima e rispetto
per la virtù. Lo Spirito Santo dichiarò (Eccl.
XXVI, 20) non esservi cosa di tanto valore,
che possa paragonarsi ad un'anima casta. La
«ua bellezza è simile a quella di Dio, e non
ha paragone su questa terra. Lo Spirito Santo
ne è rapito, e canta: Oh quanto è bella e glo-
riosa la generazione casta! È immortale la
memoria di lei, giacché è in grandissima sti-
ma innanzi a Dio ed agli uomini.
Gesù e Maria la predilessero.
Gesù poi nella sua vita mortale quanta
redilezione non mostrò per la santa vergi-
ìtà! Ei volle per Madre la più pura delle
•ergini; volle per sposo della sua Madre e
adre putativo il più puro dei vergini; volle
precursore il Battista, perchè sovra ogni
ltro adorno di celeste purità; pose il suo af-
nto speciale sull'apostolo san Giovanni ppi-
sua speciale prerogativa di castità. Qual
poi la stima altissima di Maria per la san-
verginità? Avrebbe persino rinunciato ad
-- 'r Madre di Dio. se l'angelo non l'assicura-

38.3 Page 373

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—7 —
va che sarebbe divenuta Madre di Gesù senza
lasciar d'essere vergine. Immensa ed al tutto
inenarrabile è la stima che ebbero della ca-
stità tutti i più grandi santi. E la Chiesa co-
me meravigliata da tanto splendore, noli en-
tusiasmo esclama: O santa ed immacolata
verginità, non trovo lodi degne di te.
Ciò che fecero i santi per la castità.
Visto che la castità è un tesoro così pre-
zioso, non ci farà più meraviglia se il mede-
simo San Paolo per conservarla castigasse ri-
gorosamente il suo corpo; se per non perder-
la San Benedetto si ravvolgesse tra i rovet:
imporporando le spine col proprio sangue,
se Macario abate camminasse a piè scalzi so-
pra uno spinaio e lacerasse tra quelle acuti
punte i suoi piedi. Non è meraviglia che Sa:
Francesco d'Assisi si ravvolgesse sopra la ne-
ve in mezzo alla notte più cruda; che Sa-
Bernardo si tuffasse in uno stagno gelato e v
rimanesse intirizzito ed esangue; che Sa:
Martiniano entrasse a piedi nudi dentro !•
braci accese, e ne soffrisse intrepido gli a:
dori; che San Luigi si flagellasse anche tr
volte al giorno; che generalmente tutti i saD"
prendessero tante precauzioni ed anche face-
sero tante penitenze. Che meraviglia è ch-
questi eroi invitti facessero del proprio cor,
così crudo strazio per la difesa di questo tesi
— 737 —
ro, che arricchisce di santità chi lo possiede
mentre vediamo che gli uomini mondani, per
I acquisto di frali e caduche ricchezze, espon-
gono tutto giorno a mille disastri la propria
vita ed anche a cimenti di morte!?
Le tentazioni non offuscano il candore della
purezza.
Voglio che tu noti accuratamente una co-
-a: le ribellioni involontarie e dall'anima non
acconsentite, non sono peccati. Sovente l'ani-
ma non è padrona assoluta del suo corpo, e
tanto meno della sua immaginazione. Ma ne-
gando loro ogni discorso, facendo ciò che le
possibile, non solamente non incappa in pec-
cato, ma ne trae occasione di virtù e di meri-
to. Non nel sentire la concupiscenza, ma nel-
acconsentirvi sta il male! Il medesimo San
Paolo era tanto tormentato dalla concupi-
scenza, che più volte pregò il Signore che lo
Oberasse da tanta tirannìa della carne. Ma
i 1 Signore gli fece capire dovergli bastare la
~ua grazia per non cadere in peccato, ed anzi
ielle difficoltà rinforzasse la virtù. Ed egli
«tesso poi si consola, avvertendo che se avvie-
ne in lui ciò che egli non vuole e ripugna,
lon è responsabile di nulla. L'io in noi non
il corpo, ma la volontà! Or se noi non vo-
-liamo questi moti disordinati, non vi accon-

38.4 Page 374

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sentiamo; e perciò non siamo colpevoli, ed
anzi la virtù in questa ginnastica spirituale
si rende più robusta. I più grandi santi sog-
giacquero a tali prove; ma il cuor loro non
acconsentiva mai agli stimoli della carne od
alla sfrenatezza dell'immaginazione. Non tur-
barti adunque, non cader d'animo; fa' quel
che facevano i santi, e ti manterrai puro,
checché al di fuori di te avvenga. — Ma in
qual modo, potrà dir qui taluno di timida
coscienza e fortemente tentato, in qual modo
saprò io se ho acconsentito o no? — Ecco la
risposta dei teologi: quando tu ti allontani
a tutto tuo potere dalle occasioni prossime,
vigili sopra i tuoi sensi e non fai nulla con
cattiva volontà cioè sapendo di far male,
puoi star sicuro che, non ostante lo scapestra-
mento dell'immaginazione e gli assalti di vio-
lentissime tentazioni, il tuo cuore e la tua
volontà non ebbero parte nelle sensazioni im-
pure. Tu sei innocente e puoi conchiudert
che devi star tranquillo, e puoi con tutta ra-
gione ripetere con San Paolo: se fo quel che
non voglio, non son io che lo fo, ma la con-
cupiscenza che abita in me. E allora rassicu-
rati, rasserènati, riconfortati, perchè se cedi
alla malinconia od allo scoraggiamento, po-
trebbe il demonio approfittarsene per farti
cadere. Poiché nulla meglio cerca satana cht
di turbar le coscienze per vincerle nel tur-
bamento o almeno scoraggiarle, e in questa
modo allontanarle dalla via del bene.
Meravigliosa efficacia della castità.
Essa, più che ogni altra virtù morale, gio-
va a farci santi. Questa è la volontà di Dio.
dice l'apostolo, che vi facciate santi (1). E
acciocché non rimanga alcun dubbio in che
consista questa santificazione, che, per volere
di Dio, deve da noi procurarsi con somma
cura, l'espone con termini chiarissimi lo stes-
so santo apostolo soggiungendo subito: La
vostra santificazione ha da consistere nell'aste-
nervi da ogni impudicizia e da ogni passione
di desiderio immondo. Ma come? Non sono
tutte le virtù che santificano l'uomo? Sì, ri-
sponde Cassiano; ma l'apostolo vuole clic
questo sia pregio speciale della castità. Vuole
che a questa in modo particolare si appar-
tenga recare onore al corpo e santità allo
spirito. Ed il medesimo San Paolo poco dopo
torna a dare a questa virtù l'illustre titolo di
santificazione (2). Scrivendo poi agli Ebrei
dice lo stesso: Procurate la pace con tutti e
la santità, senza la quale niuno mai giun-
gerà a veder Dio. E poi spiegando in che con-
sista questa santità che ci purga l'occhio del-
a mente e lo rende abile a vedere le divine
bellezze, dice che consiste in una totale esen-
ione dalla fornicazione e da ogni immonda
Tes(s1.), •IVH,ae3o). est voluntas Dei santiflcatio vestra »
(2) « Non enim Deus vocavit nos in immunditiam,
: ì in sanctificationem ».

38.5 Page 375

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—7 —
profanazione (1). Altrove lo stesso apostolo
esortando le vedove a conservarsi celibi, e le
fanciulle a conservare intatto il candido gi-
glio della loro verginità, arreca loro per mo-
tivo, che mantenendosi caste giungeranno ad
esser sante nel corpo e nello spirito (2). Nè
ciò rechi alcuna meraviglia; perchè è con-
statato da migliaia di fatti, che la castità
quanto più allontana l'uomo da ogni immon-
dezza, tanto più purifica il suo spirito, e lo
illustra, lo adorna, lo fa santo. E qui non
posso fare a meno di avvertire, con San Gio-
vanni Crisostomo, che San Paolo di nessuna
cosa parla con tanta veemenza ed energia,
quanto di questa bella virtù. Di questa ragio-
na in tutte le sue lettere, o scriva a persone
private come a Timoteo, o scriva pubblica-
mente alle chiese, come agli Ebrei, ai Romani,
ai Tessalonicesi. ai Corinti. Poi arrecando il
medesimo santo dottore la ragione, per cu
l'Apostolo delle Genti parla con tanta fre
quenza e con tanto ardore di questa nobili
virtù, asserisce esser questa: cioè la perdizir
ne che universalmente porta alle anime i
vizio contrario, sia perchè le tiene a guisa c
animali immondi immersi nel fango di mil!
laidezze, sia perchè è esso un male che diffi-
cilmente si cura. Se dunque, inferisco io, l'in:
(1) « Ne quis fornicator et profanila » (Ebr., X I I , 15
(2) « Mulier innupta et virgo cogitat quae Domir
ennt, ut sit sancta corpore et spiritu » (I Cor., VII, 34
741
pudicizia e la rovina universale delle anime
che cadendo nelle panie di questo vizio si
perdono, ha ragione San Paolo di tornare
tante volte a ripetere che la virtù opposta,
quella della castità, è delle anime la vera san-
tificazione (1).
Ci assomiglia agli angeli.
Nello stato di verginità la parte inferiore
dell'uomo non ha azione alcuna sensuale: ri-
mane tutta mortificata, oppressa, e come an-
nientata. Quindi è che essa tiene lungi e se-
parata affatto la mente, il cuore, la volontà,
e l'anima tutta dagli oggetti carnali e terreni.
Raccoglie e concentra in Dio solo e nelle cose
dello spirito i pensieri, gli affetti, i desideri
dell'anima. In tale stato, rimasta la concupi-
scenza come assopita e la sensualità come
estinta, la persona vien sollevata sopra la
••tessa sua natura, ed in un certo modo spiri-
tualizzata. Così il vergine non somiglia più
ad essere umano cinto di carne e di sensi:
bensì ai purissimi spiriti del cielo. Egli è un
angelo in carne, perchè ha il corpo come se
non lo avesse, sdegna e calpesta gli affetti, le
)iame. le cose tutte terrene. Solo al cielo so-
ci) »0 quam pulera est casta generatio cum clari-
:ate: immortalis est enim memoria illius quondam et
-pud Deum nota est et apud homines » (Sap., IV. 1)

38.6 Page 376

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—7 —
no rivolte le brame, gli affetti, i sospiri del
cuor suo; e del continuo è tutto inteso a pen-^
sare, ed amare e servire il Re degli angeli.
Gesù stesso lo dichiarò: saranno come gli an-
geli di Dio in cielo (1). —- In conferma di ciò
odi ciò che ne dicono i santi padri. San Gre-
gorio Nazianzeno chiama la verginità « emu-
la della gloria degli angeli ». Sant'Ambrogio
dice: «La castità fece gli angeli- Colui che la
conserva è un angelo: colui che la perde è
un diavolo». Sant'Agostino: «La purità ver-
ginale è una proprietà degli angeli » e San
Cipriano: « Voi, o vergini, siete uguali agli
angeli». San Bernardo: «La castità fa dr.-
l'uomo un angelo; solo differenti in ciò: che
l'angelo è beato e l'uomo è virtuoso ». Infi-
ne San Girolamo ci dice: «Appena il Figliuol
di Dio fattosi uomo entrò su questa terra, si
formò una nuova famiglia, affinchè egli, che
nel cielo era adorato dagli angeli, avesse al-
tri angeli che lo adorassero in terra ». Ma
San Giovanni Crisostomo va ancora più avan-
ti ed afferma, che i vergini sono cosa più
bella, più meravigliosa e più stimabile che
gli angeli stessi! «Poiché, soggiunge, se gli
angeli sono puri ed immacolati, che meravi-
glia? Essi non sono impastati di carne e di
sangue, non si aggirano fra mille sozzure
di questa terra, non sono agitati da incentivi
di accesa concupiscenza, non possono venire
(1) « Erunt sicut angeli Dei» (MATTEO, X X I I , 30).
— 743 —
ommossi ed allettati o dai dolci suoni, o
ai canti molli, o dai seducenti aspetti. Essi
uindi sono purissimi; ma senza sacrifizio,
perciò senza merito. Or non sarà dunque
iù bello, meraviglioso e stimabile dagli an-
geli stessi, chi, a loro somiglianza, se ne vive
'tirissimo ed immacolato, benché in mezzo
violente tentazioni e pericoli infiniti che lo
ircondano, e perciò con tante fatiche, sacri-
zi e vittorie, e quindi con grandissimo me-
nto? Quanto adunque questo stato di vergi-
nità è incomparibilmente più eccellente, per-
fetto e santo delle nozze terrene! Mentre que-
-te, per la corruzione dell'umana natura, de-
primono l'anima fino alla terra, quello la su-
!ima fino agli spiriti nobilissimi del cielo!
>i, termina San Giovanni Crisostomo, questo
-tato di tanto supera in eccellenza lo stato
•pposto. di quanto il cielo s'innalza sopra
la terra! ».
i unisce intimamente a Dio.
Gesù parlando degli angeli ha detto: « Es-
- vedono perpetuamente il volto del Padre
"nio che è nei cieli ». Chi perciò, conservando
a perfetta castità, diviene simile agli angeli
'r purezza, divien pure simile agli angeli
r la contemplazione ed unione con Dio.
lic-hè, se quanto più l'uomo s'ingolfa nella
ateria tanto più s'allontana da Dio che è

38.7 Page 377

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7—
745 —
puro spirito; così chi si separa dalla carne e
dalle cose naturali divien tutto spirituale, e
vieppiù atto a contemplar Dio, a vederlo per
lume di fede, e a possederlo per ardore (li
carità. Disse quindi Gesù: Beati quelli che
hanno il cuor puro, perchè essi vedranno
Dio. Cotesta unione con Dio significò San Gio-
vanni nell'^pocaZisse, dicendo che i vergini
seguono l'Agnello ovunque vada (1).
Rende l'anima sposa di Gesù.
Gesù chiama tutti quelli che lo amano col
nome di fratello, di sorella, anzi di madre. Dis-
se infatti: Chi fa la volontà del Padre mio.
questi è mio fratello, mia sorella, mia ma-
dre (2). Ma col nome di spose chiamò solo
le anime caste che a lui si consacrano: « Veni,
sponsa mea ». Or questo non basterà per
tutto infiammarti di ardente amore per 1(
stato della perfetta castità?
Rende felici in vita e in morte.
Chi conserva il bel giglio della castità
sarà anche più felice in vita. Poiché è bcus:
(1) « Sequuntur agnum quoeumque ierit » (XIV, t>.
(2) « Quieumque fecerit voluntatem Patris mei, qui
in coelis est, ipse meus frater et soror et mater est -
(MATTEO, X I I I , 50).
vero che neppure nello stato religioso non
mancano le tribolazioni, non si deve lasciare
di fare gli sforzi, e tutti dobbiamo portare
la nostra croce, che talvolta è anche dolo-
rosissima e duratura, tanto da importare co-
me un continuo martirio; tuttavia queste cro-
ci medesime sono ai Religiosi rese soavi, leg-
gere e dolci dal pensiero e dall'amore del lo-
ro Sposo Crocifisso. Quanto perciò tra le
croci ed i travagli sono essi sereni, contenti
e lieti per l'interna pace e quiete dell'anima:
pace continua che nasce dalla pazienza, dal-
la rassegnazioné, dalla virtù! Per tutto ciò
non godono quindi in questa terra quella fe-
licità, che certo la maggiore non può trovarsi
in questa valle di pianto? Nello stato di per-
fetta castità, l'anima sarà ancor più beata
in morte. È preziosa al cospetto del Signo-
re la morte dei suoi santi, canta Davide,
Preziosa sarà perciò la morte del casto. Dal
suo letto di dolore esso vede e guarda la vita
passata, e questa lo riempie di speranza e
di consolazione! Egli si ricorda come già fin
dai teneri anni rifiutò la vanità ed i pia-
ceri del mondo; che potendo soddisfarsi nei
beni leciti che il mondo gli offriva, prescelse
ed elesse per unico suo bene e sposo Gesù
Crocifisso. Ben si ricorderà allora di tut-
to quel tempo che passò ai piedi degli alta-
ri, e di quegli slanci infuocati onde a lui
tutto si offriva! Ora, tali pensieri e rimem-
branze di quanto conforto e di quanta alle-

38.8 Page 378

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746 —
grezza non riempiono quell'anima avventu-
rata?! Nel sentirsi poi imminente l'istante
di presentarsi al cospetto del giudice divi-
no, pensa tosto che egli è altresì lo sposo
amantissimo dell'anima sua; onde tutto con-
fidato nell'infinita sua pietà, anziché venir
conturbato da crudeli timori, sente sorgersi
in cuore vivissima brama di presto vederlo,
contemplarlo, possederlo in eterno. Ma vi è
ancora di più. Poiché Sant'Alfonso de Liguo-
ri è persuaso, e a noi Don Bosco lo diceva
con frequenza, esser pia credenza che la Re-
gina dei vergini, la Madre delle misericordie,
il potente Aiuto dei cristiani, Maria Imma-
colata, visibilmente si mostri in morte a quel-
le anime le quali l'imitarono in quella virtù,
che fu a lei sovra ogni altra carissima, cioè
nella verginità, ed a questa congiunsero quel-
le altre eccelse virtù che formano la corona
dello stato religioso. Perciò qual dev'essere
in punto di morte la consolazione e la gioia
di queste anime, nel vedersi vicina la stessa
Madre di Dio, la loro Madre, la Vergine Ma-
ria? Qual conforto, qual gaudio sentirsi da
lei invitare al paradiso! Ecco quanto beata
sarà la morte di quelle anime fortunate, che
calpestando il mondo e le nozze terrene, si
elessero per unico sposo dell'anima loro Ge-
sù benedetto, il Redentor nostro dolcissimo'
Procura un premio speciale in cielo.
Infine: nello stato di perfetta castità l'ani-
ma sarà più beata in cielo, cioè godrà di
una gloria e beatitudine speciale. Ce lo inse-
gna l'apostolo San Giovanni. Questa maggio-
re e speciale beatitudine consisterà nel se-
guire l'Agnello ovunque vada, cantando in-
nanzi al suo trono un nuovo e dolcissimo
cantico, che altri non possono cantare. Que-
sto santo, rapito al cielo, racconta d'aver ve-
duto l'Agnello che stava sul monte Sionne, e
un gran numero di anime lo seguivano, can-
tando un cantico, che nessun altro poteva
imparare, se non quelli che gli stavano d'ap-
presso. E domandato chi fossero questi tali,
gli fu risposto essere i vergini, e godere di
quel privilegio appunto pel motivo che si
conservarono vergini (1). Su questo punto San
Bernardo sfoga tutto il suo entusiasmo. Giova
ascoltarlo: c O Vergini felici! Oh! anime le
più felici della corte celeste! Voi canterete
alle nozze eterne dell'agnello quel cantico
nuovo, che nessuno potrà cantare. Vi ascolterà
e si compiacerà la moltitudine dei beati, di
cotesto onore tutto proprio a voi e cotanto
eccellente. Ma voi cantatelo, e più felicemente
esulterete e più giocondamente godrete! Oh.
olii potrà spiegare questa felicità! Clic se i
(1) ' Hi sunt, qui eum mulieribus non sunt coin-
.uinati, virgrines enim 6unt » (Apoc., XVI, 4).

38.9 Page 379

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78 —
vergini tutti scioglieranno questo cantico, for-
se che non lo canterà per la prima la Vergi-
ne delle Vergini? Sì, ella lo canterà; e tanto
più dolcemente lo canterà, quanto più pura
ed immacolata ella si fu sovra ogni altra!
Ma forse che non canterà altresì lo stesso
Sposo delle Vergini? Sì, canterà egli pure.
E quella giocondissima voce del Verbo eterno
del Padre si ascolterà da tutti e sovra tutti.
Oh festa senza paragone giocondissima e sem-
piterna! Chi non sospira di giungervi? Chi
negherà di fare ogni sacrifizio, e di porre
ogni sforzo per giungere colà, dove ascolterà
il nuovo e dolcissimo canto di tanti vergini:
ove sentirà la voce della Madre dell'Agnello
sollevarsi mirabilmente sopra il canto delle
altre vergini: ove sentirà altresì il piissimo
e dolcissimo Agnello frammettere fra tanti
cantici un cantico d'infinita armonia?».
Conseguenze morali.
Quale pertanto sarà la conseguenza inora-
le rigorosa, immediata ed indeclinabile di tut-
to quanto si disse fin qui? Tutti devono com-
prendere, che essendo noi membri di Gesù
Cristo, e templi vivi dello Spirito Santo, l'at-
to del vizio impuro oltre che è una trasgres-
sione della legge di Dio, perciò grave pecca-
to, riveste pure la qualità di sacrilegio, per-
- 749 —
thè appunto profana gravemente una cosa
consacrata a Dio.
Dobbiamo ancora conchiudere clic tutta
la grazia del cristianesimo termina nella
castità; e che perciò chiunque professa la cri-
stiana religione professa similmente continen-
za e castità. Che dire poi del religioso, il qua-
le la consacra a Dio con voto? Come egli è
assicurato di piacer molto al Signore con-
servandola. e perciò acquista continuamente
tesori inesauribili di grazie; così trascuran-
dola e mancando contro essa, commette mol-
to maggior peccato di quel che non faccia
un semplice cristiano. Ed ogni volta che vi
mancasse, trasgredirebbe ancora gravemente
il voto fattone a Dio, e si renderebbe imme-
ritevole di ogni ulteriore grazia dal Signore.
Sforzati pertanto di comprendere meglio la
-tupenda dignità cui t'innalza la grazia del
Signore. E così comprenderai anche maggior-
mente con qual cura severa tu devi custo-
dire siffatta virtù, e con qual perfezione la
devi praticare. Ricordati sempre che questo
un tuo sacrosanto clooere, essendo stato fat-
to cristiano. Ora poi, volendo tu essere rcli-
-ioso, cioè volendoti vincolare a Gesù coi
santi voti, ti assumi, in forza di questi, altro
lovere di essere casto-, puro, vergine, santo e
veramente divino in tutto che sei, in tutto
lie pensi, in tutto che ami, che vuoi, che dici,
he fai. T'assumi il dovere di non operar
:nai. sì esteriormente che interiormente, sotto

38.10 Page 380

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l'ascendente delle sregolate passioni, di esse-
re tutto e sempre e ad ogni costo docile al-
l'ispirazione divina; il dovere insomma di non
operar mai se non in Dio, cioè partendo da
Dio nostro principio, terminando in Dio no-
stro fine, e mantenendoci esattamente in Dio
nei pensieri, nelle parole, nelle opere. È que-
sta definitivamente la perfetta castità: quel-
lo stato costante dell'anima, che mai non sot-
tomette ciò che è superiore a ciò che è in-
feriore, ma che invece fa del precetto divino
l'invariabile legge dell'uomo. E ricordati che,
per assicurarti di non cadere in seguito, bi-
sogna che pratichi questa virtù in modo tut-
to speciale nel noviziato e nello studentato.
Poiché senza questo lungo e sicuro esercizio,
questa virtù correrebbe poi gran rischio nel-
le molte prove che aspettano il socio salesia-
no nel difficile campo della vita attiva, che
ha da durare fino al termine dei suoi giorni.
CAPO XII
MEZZI PER CONSERVARE LA CASTITÀ
Necessità di questa virtù.
La virtù che sopra le altre Don Bosco cer-
cò d'inculcare in noi, e che lasciò come per
eredità ai suoi figli, è appunto questa, la ca-
stità. Essa in vero è la più bella delle virtù,
le cui doti la Chiesa medesima non sa come
encomiare, ed entusiasmata esclama: O San-
ta ed immacolata verginità, non so con quali
lodi degne celebrarti (1). Ma qui per la pra-
tica non occorre aggiungere guari a quanto
è notato nelle costituzioni, nelle deliberazioni
c nella prefazione di Don Bosco alle regole.
Piuttosto la cosa che giudico essenziale in-
culcarti è, che tu procuri seriamente di non
lasciare quei santi ammaestramenti come let-
tera morta. Osservali costantemente e fedel-
mente fino all'ultimo apice, e in tutte le cose
cerca Dio e niente altro che Dio. Fin d'ora
pertanto persuaditi, che ad ogni salesiano,
nell'esercizio della sua missione, è necessario
un abito di castità superiore all'ordinario. E
sappi bene, che gli uffici che ti verranno affi-
dati saranno per te una responsabilità ed un
pericolo. Devi perciò prepararti ad eseguirli
con timore e tremore (2). Don Bosco vuole che
chi non ha fondata speranza di mantenere
questa virtù nei pensieri, nelle parole, nelle
opere, non si faccia ascrivere alla nostra Pia
Società. Ciò vuol dire che non devi osare avan-
zarti se il confessore ed il maestro, dopo di
esserti tu fatto conoscere molto a fondo, non
(1) • O sancta et immaculata virginitas quibus te
1 audibus efferam nescio ».
(2) « Cum timore et tremore ».

39 Pages 381-390

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39.1 Page 381

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—1752 —
consigliano di farti avanti. Fatti adunque
conoscere completamente, e poi sta' a quanto
ti si consiglia.
Cautela da usare.
Ricordati poi sempre che è qui dove la
piccolissima scintilla può suscitare un grande
incendio! Abbi perciò cura grandissima di
conservare questa virtù sopra le altre; di con-
servarla nel corpo e nel cuore, intiera, pura
ed immacolata. Venendoti alla mente qualche
disonesto pensiero, o qualche voglia cattiva,
scacciali prontamente, con ogni diligenza, co-
me se fossero carboni accesi dell'inferno, che
ti cadessero addosso. Nè combattere contro di
loro, ma allontanati senza farne conto. La
medesima cautela devi avere nel conservare
il cuore libero da ogni affetto sensibile. Guai,
quando il cuore comincia a lasciarsi prende-
re da qualche simpatia per qualcuno, o da
qualche affetto particolare! Quando si arri-
vasse alle carezze od a tratti di mano un po'
liberi, ben può dirsi che il precipizio non so-
lo è vicino ma già vi si è dentro. Giacché se
queste cose avvengono nel noviziato e nello
studentato, dove si hanno tanti mezzi, tante
precauzioni e tante spinte al bene, si può ben
giudicare che la battaglia è vinta dal demo-
nio, che il demonio è riuscito a scovare il tuo
lato debole, ed egli non mancherà per tutta la
— 753 —
vita di tiranneggiare la sua vittima. Perciò la
cosa più importante a questo riguardo è la fu-
ga delle occasioni pericolose. Portiamo, dice
l'Apostolo, questo prezioso tesoro in vasi di
fragilissima creta (1). Ci vuole con ciò espri-
mere che, siccome i vasi formati di creta ma-
teriale non si conservano lungamente intatti se
vengono esposti ad urto di corpo solido, così il
pregevole tesoro della castità non si conserverà
incontaminato, se i vasi dei nostri sensi, del
nostro cuore e del nostro corpo non si tengano
ben riguardati da tutto ciò che può infran-
gerli e farci perdere la preziosa gemma. È
assai difficile, per non dire impossibile, che
esponendo la fragilità della nostra carne a
ricevere gli urti della concupiscenza e degli
scandali mondani, non s'infranga e non si
perda insieme la ricca gioia della castità.
Nemici e pericoli della castità.
Il numero dei nemici che ci assediano per
rapircela è pressocchè infinito. Quello che ab-
biamo dentro di noi, vale a dire la concupi-
scenza della carne, non può negarsi che sia
molto potente. Tu perciò obbligati a fargli
una continua guerra. Ritieni tuttavia che
quando la volontà, avvalorata dalla grazia
(II (1)Co«rH., aIbVe,m7u)s. thesàurum istum in vasis flotiiibus»

39.2 Page 382

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7—
divina, virilmente gli resiste, si vince e si
trionfa delle sue forze. Riguardo poi ai ne-
mici esteriori, il più implacabile che è il de-
monio, resta sconfitto e confuso tutte le vol-
te che ricorrendo a Dio, alla protezione di
Maria, e all'aiuto del santo Angelo Custode,
ci fortifichiamo contro i suoi assalti. Non
accadrebbe però così qualora venissimo a ci-
mentarci con tanti altri nemici, che stanno con
la mano armata di duri sassi, per colpire la
fragilità della nostra carne, e rapirci il ricco
tesoro della castità. Farlo delle morbidezze
con cui si accarezza il corpo, delle intempe-
ranze del mangiare e del bere con cui si sa-
zia il ventre, delle immodestie con cui si
appaga la curiosità degli occhi. E parlo so-
prattutto del conversare con persone di dì-
verso sesso, e di quelle segnatamente, che
non avendo nè compostezza, nè riguardi, nè
modestia, nè pudore, vibrano colpi fatali, lan-
ciando pietre contro l'umana nostra fragilità,
dalla lingua, dagli occhi, dal volto, dai gesti,
dispensando buone grazie e cortesie per as-
sassinare un incauto religioso, e fargli per-
dere o in una maniera od in un'altra la no-
bil gemma che possiede. Se anche quando la
castità si custodisse colla lontananza di tali
pericoli, alcune volte uno si sente tuttavia
stimolato da quel fondo di pravità che vi è
dentro chiunque veste carne umana, a qual
manifesto pericolo non esporrà la sua virtù
colui che si mette nelle occasioni? Può essere
755 —
che per allora non vi ceda, ma nei momenti
di riposo, nella solitudine della notte, tornan-
do poi a suscitarsi le fresche immagini im-
presse nella mente dagli antecedenti oggetti,
cederà facilmente. Oh! quanto le suddette ri-
membranze funestano il pensiero, e quanto in-
torbidano la tranquillità del cuore, con gran-
de pericolo di soccombere! Bisogna pertanto
che ti metta con ogni vigoria, e con estrema
forza, a fuggire e ad allontanare da te ogni
occasione pericolosa e cattiva. Non può essere
che uno si metta in quelle e non ne trovi dan-
no; dunque ad ogni costo bisogna evitarle!
Occasioni pericolose.
Si dicono occasioni pericolose quelle circo-
stanze o di persone, o di cose, o di luoghi, le
quali, attesa l'umana fragilità e corruzione,
destano e accendono nella persona le passio-
ni; e con ciò le eccitano e spingono a cadere
in peccati, od almeno la raffreddano nel fer-
vore spirituale, e la rendono dissipata e tie-
pida. Bene spesso lusingano e seducono la vo-
lontà, accecano la niente in modo, che d'ordi-
nario spingono le anime nell'abisso del pec-
cato. Perciò ben può affermarsi, che la per-
sona, la quale volontariamente si espone alle
occasioni pericolose, è moralmente impossibi-
le che non cada primieramente in dissipazio-
ne e tiepidezza, e poi d'ordinario in pec-

39.3 Page 383

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cati gravi. Lo Spirito Santo ci convince di
questa verità. Esclama nei Pronerbi: « Può
un uomo nascondersi in seno del fuoco, sen-
za che si abbrucino le sue vesti? Ovvero
camminare sopra gli accesi carboni, senza
scottarsi il piede? » (1). Come tutto ciò è im-
possibile. così è impossibile che posto nell'oc-
casione non cada.
E ciò conferma neìl'Ecclesiastico colla se-
guente similitudine: Chi tocca la pece si spor-
cherà di pece, e chi conversa col superbo si
attaccherà la superbia (2). E per indurci a
fuggire le compagnie pericolose dice: Partiti
dall'uomo perverso, e sarai libero dal male.
Le occasioni necessarie.
Yi sono due sorta di occasioni pericolose:
le une si dicono necessarie, le altre volontarie.
Le necessarie sono quelle nelle quali de\\ i
trovarti contro tua volontà, e da esse non puoi
esimerti senza grave incomodo o danno, come
per esempio, se fossi costretto andar sotto li
armi, ove di frequente sentissi discorsi osee-
(1) «Numquid potest homo abscondere ignem in
sino suo, ut vestimenta ìllius non ardeant? Aut ambu-
lare super prunas, ut non comburantur pianta® eiusì »
(Prov., VI, 27).
(2) « Qui tetigerit pieem inquinabitur ad ea et
qui oommunioaverit superbo, induet superbiam • (Ec-
cli., XIII, 1).
ni od eccitamenti al male; o come se dovessi
lavorare con chi ti è di pericolo senza poter-
tene allontanare. Le volontarie sono quelle
nelle quali uno si mette senza necessità o
giusta causa. Molte volte potrà avvenire di
trovarti nelle occasioni necessarie, dalle quali
ti è assolutamente impossibile il fuggire. Al-
lora Iddio, il quale non comanda mai costì
impossibili, ti aiuterà in modo anche straordi-
nario. Ma tu resti obbligato a praticare i
mezzi necessari per non cadere in peccato.
Essi sono: l'orazione, la frequenza dei sacra-
menti, cercar direzione esponendo al superio-
re il pericolo, e specialmente il procurare di
rendere remota l'occasione. Questo si fa col
non fermarsi mai appositamente nel pericolo,
col mantenere un contegno grave e severo,
ed anche, occorrendo, con usar modi aspri c
simili.
Occasioni volontarie.
Invece vi è vero obbligo di l'uggire tutte,
assolutamente e senza tergiversazione, le oc-
casioni volontarie, quando non vi sia alcuna
causa o ragione di esporsi alle medesime.
Epperò chi si mette in qualche occasione pe-
ricolosa senza giusta causa, posto pure (nota-
io bene) che non acconsenta a verun male, pu-
re, con il solo esservisi esposto volontaria-
mente, commette già peccato. Il qual pecca-

39.4 Page 384

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to potrebbe anche essere mortale, se l'occasio-
ne si conosceva di tanta forza sulla persona
da cagionarle tentazioni cosi violente, che si-
curamente l'avrebbe fatto consentire a pecca-
to grave. Perciò, sebbene tu non avessi alcu-
na intenzione cattiva, non dovresti esporti al-
le occasioni pericolose senza qualche giusta
eausa. Poiché l'occasione non cessa d'esser
seducente o pericolosa, e quindi le tentazioni
infallibilmente ti assalirebbero, e tu facil-
mente potresti darvi consenso, e cadere in
peccato. Oh! Quante anime semplici si espo-
sero ad occasioni pericolose senza malizia,
anzi colle migliori intenzioni, eppure nell'oc-
casione rimasero sedotte e vinte! San Pietro,
quando entrò nella casa di Caifa, aveva for-
se intenzione di rinnegare il suo Divin Mae-
stro? No certamente: eppure per ben tre vol-
te lo rinnegò! Ma non potrei espormi a qual-
che occasione, per buon fine, quando per
esempio avessi speranza di convertire un'a-
nima? Questo invero non ti sarebbe imputato
a peccato, anzi per sè si potrebbe prendere
per zelo. Ma ascolta il consiglio di San Fi-
lippo Neri, il quale diceva non esservi cosa
tanto pericolosa ai principianti, quanto il vo-
ler far da maestro e convertire altri. Egli vo-
leva che prima attendessero a consolidare se
stessi, ed a stare umili, perchè sembrando loro
di aver fatto qualche cosa, non incorressero
così nella superbia. Nota ancora tu, inesper-
to, che il demonio, al dir di San Paolo, si tra-
smuta bene spesso in angelo di luce, per
trarre più facilmente le anime in inganno e
quindi in peccato ed alla perdizione. E ciò
con oscurare la mente, e indurla a giudicare
che non vi sia peccato ove realmente vi è oc-
casione di spirituale rovina. Bisogna pertan-
to con tutta cura fuggire le occasioni, se
uno vuol conservare la perfetta castità. Af-
finchè i gigli si mantengano candidi ed illi-
bati nel loro vigore, è necessario che il giar-
dino sia custodito da ana robusta siepe, è
necessario circondarli di spine. Tolta questa
custodia tutti possono entrare in quel giardi-
no, e persin gli animali domestici e le fiere
possono calpestare o almeno sporcare il can-
dore del bel fiore. Ricordati che tu devi cu-
stodire te stesso. Tu medesimo devi crearti la
siepe e le spine. Anche con grande energia se
occorre, devi allontanare da te ogni occasione
pericolosa. È pieno il mondo di chi non vor-
rebbe cadere, non vorrebbe avere neppure le
tentazioni, e poi si mette nelle occasioni e ca-
de. Ed anche i religiosi, che si ritirano ap-
posta dal mondo, vanno di giorno in giorno
aprendo nuove brecce, cercando di uscire o far
visite, od invitando in casa persone pericolose.
Certamente fin che sei nel noviziato e nello
studentato non andrai osposto a questi peri-
coli; ma io ho bisogno di premunirti per l'av-
venire. In una cosa di così capitale importanza

39.5 Page 385

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7—
guai se non incominci fin d'ora a prendere
propositi fermi e rigorosità! Senza queste pre-
cauzioni la siepe è dilapidata, il giglio av-
vizzisce, o forse è calpestato ed annientato.
Del trattare con persone d'altro sesso.
Pensa antitutto a tener lontano le perso-
ne pericolose. Fuggi accuratamente l'incontro
e le conversazioni con persone d'altro sesso.
« Non ti mettere, dice lo Spirito Santo, a
trattare familiarmente con loro, perchè mol-
ti per questa cagione sono andati in perdi-
zione». Nè ciò ti sembri strano: perchè, con-
tinua lo Spirito Santo, il loro aspetto e le
loro parole sono come fuoco con cui la con-
cupiscenza si accende in fiamme d'impurità.
San Bernardo, parlando di ciò a religiosi, ag-
giunge un'espressione che ha da farti pensa-
re bene. Dice adunque, che trattare familiar-
mente con persone d'altro sesso e non lordare
con grave macchia la candida stola della
purità, è miracolo maggiore che richiamare
i defunti da morte a vita. Poi soggiunge con
enfatica espressione: Tu non puoi risuscitare i
morti che è meno, e poi vorresti ch'io cre-
dessi che trattando tu continuamente con quel-
le persone non abbi a cadere in colpa grave,
il che è molto più difficile?
761 —
Ciò che dice San Girolaimo.
San Girolamo atterrisce questi audaci, che
senza tema di cadere si espongono tutto gior-
no a tali cimenti, coll'esempio di molti eroi
ricordati nella Sacra Scrittura, che perciò
precipitarono anch'essi in gravi eccessi. San-
sone, dice il Santo, più forte di un leone e
più duro di un sasso, che solo e disarmato
aveva combattuto contro mille persone, la-
sciandone quali ferite e quali trucidate sul
campo, trattando poi con dimestichezza con
Dalila, perdette la sua fortezza. Davide, fat-
to secondo il cuor di Dio, eletto qual trom-
ba profetica per pubblicare a tutto il mondo
il futuro messia, ad un semplice sguardo ver-
so Bersabea, precipita nell'abisso di un adul-
terio e di un omicidio. Salomone, che con la
sua mente sublime disputò dal cedro del Li-
bano all'Issopo che spunta nelle pareti, per
la cui bocca parlò la Divina Sapienza e pa-
lesò le sue grandezze, col poco cauto conver-
sare con donne, se ne invaghì pazzamente, ed
arrivò a voltar le spalle a Dio, ed offerire in-
censi profani ad empie divinità, per compia-
cere a quelle. E perchè nessuno si fidi, continua
il santo dottore, della familiarità colle perso-
ne parenti e congiunte del sangue, si rifletta
alla caduta di Ammone che, conversando
troppo liberamente con Tamar sua consan-
guinea, giunse a quegli eccessi che fanno

39.6 Page 386

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sbalordire la natura. Se dunque cadono i ce-
dri incorruttibili del Libano, e cadono le co-
lonne inconcusse della santa fede, si potrà
credere che tra simili pericoli staranno in
piedi quelli, che a guisa di canne fragili si
piegano all'urto di ogni tentazione? Chi mai
potrebbe dormire tranquillo vicino ad una
vipera, che, se non ti avvelena coi morsi, ti
tiene certamente in gran timore di essere av-
velenato? Assicùrati fuggendo energicamente
l'occasione, e allora non perirai. E dicendo
qualcuno a San Girolamo stesso, che era me-
glio vincere esponendosi alle occasioni che
fuggire da esse, il Santo rispose dicendo:
« In questa specie di combattimento la vitto-
ria è sempre dubbia anche ai più valorosi;
la vittoria è certa fuggendo; ed è da stolto,
in cosa di tanta importanza, lasciare il certo
per attenersi al dubbio ».
Ciò che ne dicono gli altri Santi Padri.
Concordano perfettamente con San Girola-
mo negli stessi sentimenti gli altri Santi Pa-
dri, che con ugual fortezza di espressione stig-
matizzano gli imprudenti che si mettono vo-
lontariamente nel pericolo di peccare. Sant'A-
gostino parlando al suo popolo dice, che con-
tro gli incentivi della libidine dobbiamo dar-
ci alla fuga, se bramiamo riportare vittoria.
e che non dobbiamo riputare disonorevole il
fuggire in tali battaglie, se desideriamo otte-
nere la palma gloriosa della castità. Se poi
alcuno, sèguita a dire, poco curante della sua
salute eterna, ardisce continuare nelle fami-
liari conversazioni con persone d'altro sesso,
pur volendo custodire tutto il decoro della
sua castità, questa è una presunzione infelice
e troppo pericolosa. Molti son quelli che in
mezzo a tali pericoli speravano vanamente di
vincere, ed alla fine sono rimasti bruttamen-
te vinti. San Basilio dice, che come non è
possibile che la paglia torni spesso ad avvi-
cinarsi al fuoco e non si accenda, e che l'ac-
qua vada a mescolarsi con la terra e non se
ne formi mai fango, così non è possibile la
familiarità di quelle persone senza suscitare
o incendio o fango. E il Santo ne reca an-
che la ragione. Dice egli che più facilmente
si superano quei mali che vanno congiunti
coll'orrido, coll'aspro, col malagevole, quali i
patimenti, gli oltraggi, le persecuzioni, il mar-
tirio; che non quegli altri mali che vanno
uniti col dolce del piacere; perchè quelli la
natura umana li scuote da sè come penosi;
ma questi li abbraccia come dilettevoli. È per
questo che i Santi Padri dicono unanimemen-
te. non esservi altro rimedio contro un male
osi pernicioso, che fuggire dalla presenza di
queste vipere, che ti attossicano l'anima col
irò dolce veleno.

39.7 Page 387

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Pratica per noi.
Poste queste cose, comprendi la ragione di
quanto dobbiamo star attenti noi per evitare
occasioni così pericolose. Ed in pratica tieni
per te come molto pericoloso l'usare familiarità,
anche solo conversando senza vera necessità,
con persone d'altro sesso. Ancorché ciò fosse
con parenti pie e divote, se son giovani non
è possibile che non vi sia pericolo. Anzi il pe-
ricolo alle volte è ben maggiore con il trattare
con queste persone pie e divote, che non col
trattare con gente cattiva ed empia. Così pure
è occasione pericolosa >1 lasciarle entrare nelle
nostre cucine, infermerie, cameroni da guar-
daroba. Vi è perciò obbligo di evitare per
quanto si può queste cose, perchè vi è obbligo
di coscienza di tener lontani i pericoli. Varie
di queste cose non appartengono a te ora. ma
te le dissi perchè conviene che fin d'ora ne sii
istruito, e perchè possa poi ricordarle quando
faranno per te. Data l'occasione, sii in grado
di suggerirle parlandone con gli altri.
L'andata in famiglia.
Altra pericolosissima occasiono per un re-
ligioso è l'andata in famiglia. Ti ripeto in par-
ticolar modo le parole di Don Bosco riguardo
queste andate in famiglia, ed il passare le va-
canze presso i parenti o gli amici del secolo:
son sempre pericolose ed occasioni da evitarsi.
Anzi: questo nostro buon padre insistette tan-
to su questo punto, che qualcuno lo credette
persino importuno ed esagerato. Ciò non per-
tanto egli, in una circolare mandata a tutti
i superiori nel primo giorno della novena del-
la Immacolata dell'anno 1880, ripete questo
avviso, e dice queste andate a casa per pas-
sarvi le vacanze « officina di ogni male » (1).
E nelle deliberazioni che si presero nel secon-
do capitolo generale, dopo d'aver messo: «e
specialmente non si vada a passare il tempo
delle vacanze in casa dei parenti », volle si
inserisse quest'altro articolo: « quelli cne non
si sentissero di sacrificare questa andata nel
secolo, danno indizio di non esser chiamati
allo stato religioso ». E nella prefazione alle
costituzioni, parlando dei mezzi per conserva-
re la bella virtù, insiste sul fuggire con gran-
de premura i luoghi, le persone, e le cose del
secolo e poi conchiude: « Io non mi ricordo
d'aver letto o di aver udito a raccontare, che
un religioso siasi recato iu patria sua e ne
abbia riportato qualche vantaggio spirituale.
Al contrario se ne annoverano migliaia e mi-
gliaia, che, non mostrandosene persuasi, volle-
ro farne esperimento. Ma ne provarono amaro
disinganno; anzi non pochi rimasero vittime
(1) « Satagant superiores ut omnino elaudatur
omnium malorum officina, qualis est feriarum tempus
apud parentes aut amicos transigere » (Lettere Circolari
di don Hnsco e di don Rua).

39.8 Page 388

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— 766 —
infelici della loro imprudenza e temerità ».
Credi tu che Don Bosco avrebbe insistito
tanto su questo punto, se non avesse avuto ra-
gioni ben forti?
Altre occasioni pericolose.
Ti noto ancora qui alcune altre occasioni
pericolose, che noi dobbiamo costantemente e
rigorosamente fuggire, e che per lo più sono
segnalate nelle nostre deliberazioni, e nei con-
sigli che ci dava Don Bosco: il far inerendole
fuori pasto, il tener vino o bibite in tua came-
ra e a tuo uso, l'uscita di casa senza permesso
e senza compagno, l'andar a trovare parenti
od amici nelle passeggiate senza speciale per-
messo. È specialmente pericoloso l'andare a
visitare musei o pinacoteche senza speciale
permesso, il legger libri leggeri o vanitosi, o
tenerne di quelli che si sa il superiore non
esserne contento; il condurre o lasciar entrare
giovani nelle nostre camere o nelle nostre cel-
le; il trattenere giovani da soli a soli nelle
scuole; il passeggiare con loro tenendoli per
mano; l'avvicinarsi di notte nei dormitori ai
letti dei giovani. — o comecchessia anche tra
voi, nelle strette tra letto e letto, — fosse
pure con buon fine; l'introdurre od anche
solo permettere di penetrare qualche giova-
netto nella propria cella, sia di giorno chi
di notte, ancorché non avvenga altro inconve-
— 767 —
niente. Altra occasione pericolosa è il tener
quadri, statue, immagini, cartoline un po' in-
decenti ed immodeste. Nè dirmi che tu non
ne fai caso: ne farà ben caso il demonio! Cliè
se non riuscì a fartene avere cattive impres-
sioni subito, saprà richiamartele alla fantasia
più tardi, e metterti anche in grave pericolo
di cadere in peccato mortale. Fuggi anche
varie altre cose che sono contrarie alle regole
o furono dai superiori espressamente proibite,
perchè forse anche lontanamente pericolose.
Se tu ugualmente fai qualcuna di queste co-
se, oltre a commettere una mancanza di disub-
bidienza, ne commetti anche una seconda in
quanto che ti metti in un pericolo, ossia in
un'occasione pericolosa. E bada bene che an-
corché nel fatto non cada in altro, cioè non
sia avvenuto realmente nessun atto cattivo,
hai già fatto male, perchè ti sei messo in peri-
colo. Ama pertanto lo stare a casa e non l'u-
scita; il trattare coi tuoi giovani e non con
altre persone, i libri scientifici e quegli scola-
stici di testo, e non libri leggeri e di poesie,
di commedie o di romanzi. Fuggi gli spetta-
coli, i luoghi di gran concorso e i convegni
rumorosi, e non ti troverai mai malcontento.
Pregare e mortificarsi.
Ma veniamo agli altri mezzi. Oltre al te-
ner lontane le occasioni pericolose, due gene-

39.9 Page 389

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rali ce ne raccomanda il Signore, dicendoci
che questo genere di demoni non si scaccia se
non coll'orazione e col digiuno. Intendi che
con la parola orazione viene a comprendersi
ogni pratica di pietà, specialmente i sacra-
menti, l'udire o leggere la parola di Dio, e
in generale ogni cosa che elevi la nostra men-
te a Dio, come già ti spiegai altrove. Con la
parola digiuno poi s'intende ogni sorta di
mortificazione, specialmente degli occhi, della
gola e del tatto. Tieni pertanto altamente fis-
so nell'anima tua che chi non è ben fondato
nella pietà e nello spirito di mortificazione
non sarà forte nella castità, per quanto al
presente sia libero da cadute, od anche da
tentazioni. Non ti spiego qui questi due gran-
di mezzi speciali ed efficaci per la custodia
della castità, perchè della mortificazione te
ne ho già parlato a lungo, e dello spirito di
preghiera te ne parlerò ancora in luogo ap-
posito. Qui solo ti raccomando caldissima-
mente di praticare quanto già sai a questo
riguardo. Ti noto però la cosa che giudico
per te la più utile, ed è che ti tenga costan-
temente alla presenza di Dio. Pensa cioè che
Dio ti vede; e perciò, a modo di Giuseppe
il casto, di' anche tu nei momenti di tenta-
zione: « Come commetterò tal cosa al co-
spetto di Dio? >. Riguardo poi allo spirito di
mortificazione mi giova ricordarti, che, seb-
bene non ti suggerisca penitenze ordinarie, in
certe circostanze della vita un po' di peni-
-—
tenza esteriore ed afflittiva della carne, s'im-
pone, e si rende come necessaria per attutire
la baldanza della carne. Per questo la Chie-
sa comanda di tanto in tanto il digiuno: per
questo il nostro mitissimo e tollerantissimo
San Francesco di Sales faceva egli e sugge-
riva ad altri la disciplina in varie circostan-
ze, e ne lodava l'ammirabile efficacia ed il
tanto buono effetto. Ma, ti ripeto: non si ri-
chiede che tu faccia ordinaiiamente grandi
mortificazioni. Piuttosto è necessario che t'im-
pegni grandemente ad acquistare l'abito delle
medesime, esercitandoti a superare con gau-
dio le continue piccole mortificazioni che oc-
corrono continuamente.
Essere umile.
L'umiltà, come mezzo assai valevole per
conservare la bella virtù, ci è proposta in mo-
do speciale dal gran dottore San Gregorio.
Non sarà mai casto il corpo, se non prece-
da l'umiltà della mente (t). L'umiltà adun-
que è il mezzo efficace e necessario per man-
tenersi casti. Difatto chi è veramente umile,
conoscendo la propria meschinità derivante
da quel fondo di corruzione che tende a far
cadere in orribili precipizi, non sta mai si-
d i « Nulla est castitas carnis, quam non com-
mendai humilitas mentis

39.10 Page 390

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-
curo di se medesimo; ma vivendo in un con-
tinuo timore, fugge da tutto ciò che può
esporlo a qualche pericolo di cadere. Quindi
è ch'egli, penetrato da questo timore saluta-
re, vigila continuamente, e si insospettisce di
qualunque cosa. Ci serva di sprone l'esem-
pio di Maria SS., che nè in umiltà nè in puri-
tà ebbe l'eguale. Quantunque Essa fosse esen-
te da ogni cattivo movimento di concupiscen-
za, tuttavia, avendo consacrata la sua vergi-
nità al Signore, se ne stava ritirata nella sua
umile abitazione, segregata affatto da ogni
umano consorzio. Fu ella così pavida e così
gelosa del suo candore verginale, che non es-
sendo solita a veder facce d'uomini, quando
le si presentò innanzi in sembianza umana il
santo arcangelo Gabriele si adombrò, le tre-
mò il cuore e si riempì di turbamento. Non
fa stupire ciò, dice San Bernardo, atteso che
le anime veramente caste diffidano sempre
di se medesime, stanno in un continuo timo-
re, nè mai son sicure di sè pensando alla pro-
pria debolezza. Così è, figliuol mio: quegli cui
preme di conservare illibata la castità, te-
me sempre di perdere una cosi ricca e pre-
ziosa gemma. Sia questo un documento pratico
per te, affinchè non abbi mai a fidarti di te
stesso, esponendo la tua fragilità ad alcun ci-
mento. Chiudi le orecchie ai discorsi perico-
losi, atteso che questi sensi sono le finestre
per cui entra la corruzione del cuore e nell'a-
nima la morte. Ti ripeto: non fidarti della
7—
tua fortezza. La nostra fortezza quanao uno
si mette nelle occasioni, vien rassomigliata
dal profeta Isaia ad un poco di stoppa so-
pra cui cada una piccola scintilla; questa è
sufficiente ad accendere un fuoco inestin-
guibile. Ed ancorché, continua il profeta,
avessimo una fortezza uguale a quella delle
querce, diverremmo non pertanto fiacchi; e
ardendo di concupiscenza rimarremmo ince-
neriti. Altrove poi il medesimo profeta ci fa
sapere che la nostra carne è come fieno, che
al sole si dissecca, langue e muore.
Sì funeste disavventure sono effetti della
umana debolezza, permessa da Dio in casti-
go della temeraria inconsideratezza nostra.
Quando noi non facciamo da parte nostra
quel che possiamo, egli sottrae da noi i suoi
divini aiuti, e così è reso fiacco anche chi
era forte. Qui non si tratta di un punto di
perfezione; si tratta bensì di un voto, che
per essere osservato in tutta la sua estensio-
ne, esige indispensabilmente una somma cit--
cospezione.
Lavorare.
Riguardo al molto lavoro, tutti i dottori
sono d'accordo nel dire, ch'esso è un preserva-
tivo potentissimo contro le brutte tentazioni.
Don Bosco ci lasciò il gran lavoro e le con-
tinue occupazioni, come suo ricordo in morte.

40 Pages 391-400

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40.1 Page 391

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Noi con questo otterremo doppio frutto: di
operare molto a prò dei giovani, del che vi
è tanto bisogno, e di tenere la nostra testa
scevra da cattive inclinazioni e tentazioni nel-
l'impossibilità di nuocerci, essendo noi sem-
pre molto occupati. Vari santi hanno procu-
rato d'assoggettare la carne orgogliosa con
la stanchezza di esorbitanti fatiche. San Ma-
cario, abate di Alessandria, per sedar la ri-
bellione della carne si caricava le spalle di
un sacco d'arena ben pesante, e lo portava lun-
go quei luoghi ermi e solitari. Altri traspor-
tava con grande fatica e sudore un mucchio
di pietre da un luogo ad un altro. Noi però
non abbiamo generalmente bisogno di appli-
carci a fatiche per se stesse infruttuose: a noi
non manca mai un cumulo immenso di occu-
pazioni, se vogliamo davvero faticare. Imi-
iiamo perciò piuttosto San Girolamo. Egli
s'ingegnò d'abbattere il corpo tumultuante
con una veemente applicazione allo studio e
ad un lavoro assiduo nel sacro ministero. Ne-
gli eremi della Siria, dove menò la prima
volta dopo che partì da Roma la vita solita-
ria, per difendersi dai cattivi pensieri e dai
bollori della concupiscenza, che non lo lascia-
vano per un momento vivere in pace, si die-
de allo studio della lingua ebraica. E con-
tinuò tanto alacremente questo studio, che.
sebbene non fosse più giovane, la imparò
così a fondo, da potersi servire di essa per
tradurre molti libri dell'Antico Testamento
nella lingua latina, traduzione che fu di tan-
to giovamento alla Chiesa e che ancor noi
adoperiamo; e che non avremmo avuto senza
un'applicazione così tenace durata lunghi
anni.
Rifugiarsi nelle piaghe di Gesù Cristo.
Che se poi, ad onta di tutti i riguardi che
adoperi a custodire incontaminata la bella
virtù, ti sentissi nondimeno trascinare o dal
tentatore o dal domestico nemico che è il fo-
mite del peccato a commettere cosa atta a
macchiarla, non tardare di applicarti all'usa-
to costume della colomba, la quale, se si yede
inseguita dai predatori tosto sen vola al suo
nido, per ritrovar lo scampo e porsi al sicuro.
Il rifugio delle caste colombe sono le piaghe
del Redentore. In esse devi ricoverarti come
luogo di sicurezza al primo assalto d'impuri-
tà. Impugna tosto il Crocifisso, stringitelo dol-
cemente al seno, imprimigli dei teneri baci,
riconfermagli la tua fedeltà e si estinguerà
ogni cattivo ardore.
Questo era il mezzo che usavano general-
mente in simiglianti casi i santi, e questo spe-
cialmente era il mezzo di cui si prevaleva
San Bernardo. Pigliava egli il Crocifisso in
mano, e dopo di avere seco lui sfogati i senti-
menti del pudico suo cuore, guardando atten-
tamente le sue amorosissime piaghe: Ah! di

40.2 Page 392

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eeva tra consolato e mesto, il mio Signore sta
per me confitto in croce, ed io sarò cotanto
ardito che abbia a darmi in preda ai vietati
diletti? Frenavasi con questo mezzo la rea
passione di questo santo; e si frenerà anche
la tua in ogni circostanza di ribellione della
tua carne, se come lui correrai a nasconderti
nelle piaghe di Gesù, rifugio di sicurezza a
tutti coloro che vogliono di proposito serbare
illeso il bel candore della santa purezza.
CAPO XIII
DELL'UBBIDIENZA IN GENERALE.
PREGI DI QUESTA VIRTÙ
E VANTAGGI CHE APPORTA
Ragione ed essenza dell'ubbidienza.
Uno degli effetti più dannosi prodotti dal
peccato originale fu l'avere introdotto in noi
un amore disordinato alla propria libertà e
indipendenza. Questo suscita nell'uomo il de-
siderio di scuotere ogni soggezione, ogni auto-
rità, ogni superiorità, e d'assecondare le pro-
prie inclinazioni, i propri voleri e capricci.
Questa sfrenata libertà porta ad ogni piacere
e disordine, perchè quello che è secondo i
-
propri voleri ed i propri capricci contraria
facilmente le disposizioni divine, ostacola an-
che la libertà del prossimo. Se questi a sua
volta reagisse farebbe insorgere continue liti,
risse, guerre; renderebbe perciò la terra tea-
tro di ogni infelicità e condurrebbe l'uomo al-
la disperazione. Al contrario, effetto princi-
pale della Redenzione fu di stabilire la liber-
tà vera, quella appunto di cui ci parla San
Paolo, come portataci da Gesù Cristo. Essa
mette un argine alla sfrenata libertà che ci
porterebbe al male, alle risse, alle discordie,
alle liti, alle guerre. Il Signore insegnando a
tutti la soggezione alla legge eterna, alla vo-
lontà di Dio, riduce l'uomo ad amare e rispet-
tare il prossimo, procura l'unione e la concor-
dia fra tutti, e perciò l'unione e la felicità uni-
versale. Ma per questo ci vuole la soggezione
da parte dell'uomo, il che è appunto sotto
forma d'ubbidienza. Questa si può definire:
la virtù che sottomette prontamente ed in
ogni cosa la propria volontà a qualunque vo-
lere e comando del superiore, perchè egli tie-
ne le veci del Signore.
L'ubbidienza, esempio e precetto di Gesù.
Pel fatto stesso che la Persona del Verbo
venne ad incarnarsi per fare la volontà del
-no Eterno Padre, moralmente parlando tutto
per Gesù si riduceva all'ubbidienza. Ed in

40.3 Page 393

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quella guisa che la Scrittura ci dice che il
Verbo si è fatto carne, ci dice pure che Gesù
Cristo si è fatto obbediente (1). Essersi fatto
earne è la sua costituzione; essersi fatto abbi
diente è la sua condizione; l'una esce dall'al-
tra, e questa si poggia su quella. Questa ub-
bidienza è adunque il carattere principale
della vita di Gesù; ma è ancora la virtù ri-
paratrice ed edificante per l'uomo. Gesù sal-
dando i debiti nostri, riedifica le rovine. E
ciò che la ribellione del vecchio Adamo aveva
fatto per la morte, dice San Paolo, la sommis-
sione del nuovo Adamo lo fa per la vita.
L'ubbidienza adunque è il grande esempio da
Gesù propostoci, il gran segreto da lui rive-
latoci, la via reale apertaci, e il dovere prin-
cipale prescrittoci. Sicché nella morale evan-
gelica, tutto, possiam dire, si compendia nel-
l'ubbidienza; poiché l'amore stesso non ha va-
lore pel cielo, se l'ubbidienza non vi ha messo
il suo suggello e fatto scorrere in esso il suo
succo. Ecco perchè Gesù ordina l'obbedienza
a tutti e ne inculca dappertutto l'obbligo rigo-
roso. La legge è universale e non ammette
dispensa: ubbidire ed essere cristiano, ubbidi-
re e vivere secondo che vuole Dio, è una sola
e medesima cosa. Il cielo cesserà di esistere,
prima di aprire la porta ad un disubbidiente.
(1) « Factus obcedlens usque ad mortem » (Filipp.
II, 8).
L'ubbidienza, consiglio.
Ma qui, come altrove, vi ha la virtù neces-
saria ed elementare, che corrisponde al pre-
cetto e stabilisce la giustizia comune dei cri-
stiani; e vi è la virtù più alta, che, sorpas-
sando lo stretto dovere, incammina alla perfe-
zione coloro che l'abbracciano e vi si eserci-
tano, e finisce per render santi coloro che vi
sono consumati. Non è possibile che i mem-
bri non siano invitati a praticare in maniera
eccellente quell'ubbidienza, nella quale il Ca-
po si era tanto distinto. L'esempio di Gesù
era più che sufficiente ad attrarre il fiore del-
le anime umane, e ad attirarne alcune irresi-
stibilmente. In vari santi si può dire che l'ub-
bidienza fu così connaturata, che avrebbero
provato immensa difficoltà nell'allontanarsene
anche solo di un apice. A questo punto fece
arrivare le anime amanti ed umili l'esempio
di Gesù. Gesù ebbe a dire: Non sono venuto
a fare la volontà mia, ma quella del mio Pa-
dre. E soggiunse ancora: «In capo al libro
è scritto di me che io faccia la volontà di co-
lui che mi ha mandato ». In questa medesima
guisa vari santi non vivevano e non vissero
se non per l'ubbidienza. Di Gesù si legge che
faceva sempre il beneplacito del suo Eterno
Padre. E di molti santi può ripetersi, che fa-
cevano sempre quel che fosse di maggior gra-
dimento di Dio e dei superiori. All'esempio

40.4 Page 394

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che ci diede, Gesù si degnò di aggiungere la
parola. E siccome aveva consigliato di rinun-
ziare, per amor suo, alle ricchezze temporali
ed alle seduzioni della carne, così consigliò
ancora di sacrificargli la propria indipenden-
denza, e quel potere che la natura dà a tutti
di dirigere da se stessi le proprie ragionevoli
volontà, ed i propri legittimi gusti. Gesù ha
nascosto questo consiglio nell'ultime parole
dette a quel giovane che si era profferto di
seguirlo: «Una co-?a ti manca... vieni e segui-
mi » (1). E con ciò gli apriva la via alla santa
ubbidienza. Seguir Gesù infatti non significa
solamente, come scrive San Girolamo, imitar-
lo e camminare sulle sue orme, ma ancora
come insegna il Suarez, dopo San Tommaso,
darsi assolutamente a lui come discepolo, far-
si della sua compagnia, e porre per sempre in
lui il governo della propria vita e dell'anima
propria, per essere da lui istruito, formato e
santificato (SUAREZ, De Statu Rei. Lib. X, ca-
pi I-XI). E da questa parola, piena di grazia,
e rischiarata dalla vita intera del Salvatore,
è uscita tutta la teoria di questa ubbidienza
eminente, la quale, già praticata in sostanza
dagli apostoli, non ha cessato un sol giorno
di essere in onore nella santa Chiesa, e vi è
restata base immortale del magnifico ed im-
perituro stato, che è detto lo stato religioso.
(1) «Veni, sequere me » (MARCO, X, 21).
— 779 —
Potere, e legge di Dio.
Yi sono due forme, due manifestazioni, due
azioni della sovranità: la prima è il potere, la
seconda è la ragione. Sotto ciascuna di queste
forme essa richiede l'ubbidienza. Si deve ub-
bidire al potere legittimo, ed alla legge fatta
legittimamente da questo potere. Dio è l'esse-
re assoluto, ed ogni cosa viene da lui, ed
ogni altra cosa è dinanzi a lui come se non
fosse. Egli che ha fatto tutto, ha il potere le-
gittimo e assoluto su tutte le cose. Ed in
quanto impone un ordine, questo prende il
nome di legge. E siccome Iddio non obbliga
l'uomo se non per santificarlo e salvarlo, così
vuole che l'ubbidienza sia libera affinchè sia
meritoria, e così avvenga quel che ci fa dire
lo Spirito Santo: Chi ama la legge sarà da
lei ripieno (i). Così la legge rende buoni tutti
coloro che la custodiscono, e li illumina su
quanto devono fare. La ragione eterna ed in-
finita di Dio, che è la regola essenziale di tut-
te le cose, si formula per noi nella legge: essa
prende corpo e si acconcia ai nostri usi. La
legge ci viene non solo dalla potenza di Dio.
ma ci viene pure dalla sua sapienza e dalla
sua bontà. La grazia accompagna regolar-
mente le opere di Dio; e perciò Iddio non in-
tìnta alcun ordine all'uomo, senza dargli un
(1) « Qui quaerit legem, replebitur ab ea » (Eccli.,
XXXII, 10).

40.5 Page 395

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— 780 —
soccorso per comprenderlo, gustarlo e sotto-
mettervisi. La legge in sè, e solo perchè divina,
possiede una virtù che attrae. Non solo per-
suade lo spirito, ma alletta il cuore e soggio-
ga la volontà: non basta certo la volontà
istintiva, animale, chiamata dalla Scrittura
carnale, che è un appetito anziché una volon-
tà: ma la volontà superiore, dalla grazia resa
spirituale, dopo che la natura l'ha fatta ra-
gionevole. E così nulla di più ragionevole che
l'ubbidienza e la sottomissione alla legge; co-
me nulla di più dolce e di più facile, purché
uno faccia quanto dipende da lui per assecon-
dare la grazia di Dio, che è sempre unita alla
legge. E ciò perchè Dio non ci dà legge, senza
porvi accanto la grazia di eseguirla per chi
ha buona intenzione.
Autorità e gerarchia di cause seconde.
Ma Iddio si compiace di adoperare in ogni
cosa le cause seconde. Cioè, in certo qual mo-
do, deifica le sue creature, e le adopera come
cooperatrici dell'opera sua. Fra tanti doni che
Iddio ci ha fatti, dice l'Areopagita, non ve n'è
alcuno più divino, che l'assumerci a coopera-
le con lui al bene generale. Fra lui, potere su-
premo, e gli esseri più umili, affinchè questi
seguano la loro via regolare e pervengano al
loro fine, Iddio pone diversi ordini di potenze.
Queste, investite da lui di una porzione dei
suoi diritti, partecipano al suo vigore, si asso-
ciano alla sua azione e contribuiscono per
parte loro al buon esito dell'impresa. Fra Dio
e il bambino nato testé, vi sono il padre e la
madre che gli hanno dato la vita. Nella stessa
guisa tra Dio, sovrano dominatore, e noi, gli
ultimi di questa creazione intelligente che
tutta gli è soggetta, vi sono autorità costituite,
poteri d'ordine e di carattere svariato, altri
invisibili e puramente spirituali come gli an-
geli, altri sensibili ed umani come i pontefici,
i vescovi, i re, i principi, i prelati, i magistra-
ti, insomma i superiori d'ogni ordine e d'ogni
nome. In una parola Dio pone fra lui e noi la
gerarchia, cioè, come spiega mirabilmente San
Dionisio, un sacro e divino sistema, in cui
l'ordine e la scienza e l'energia che sono emi-
nentemente in Dio, pigliano per sua volontà
una esistenza creata, affine di propagare re-
golarmente e soavemente in tutto l'universo
quel movimento luminoso, santificante e bea-
tifico, che, sotto l'azione dell'amore, parte eter-
namente dal seno del Padre, per ricondurvi e
porvi per sempre le creature purificate, illu-
minate e diventate perfette. È questa la gran-
de dottrina di San Paolo, espressa quando fe-
ce manifesto per tutti i cristiani il dovere
dell'ubbidienza. « Ogni anima, così egli, sia
-oggetta alle potestà superiori; perchè

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- - 782 —
non vi è potestà se non da Dio; e quelle che
vi sono, son da Dio ordinate» (1).
Da ciò deriva che i poteri creati sono veri
e santi, e richiedono da tutti un rispetto re-
ligioso, ed un'ubbidienza fedele. Da ciò final-
mente deriva, che, secondo l'espressa dichia-
razione dello Spirito Santo, chi ad essi si op-
pone resiste alle ordinazioni di Dio e si com-
pera la dannazione (2).
Teoria religiosa dell'ubbidienza.
Tali essendo i poteri, è cosa naturale che,
come la sovranità divina dalla quale emana-
no, e di cui sono imitatori, abbiano, ciascuno
nel proprio grado, e per il fine a cui è diret-
to, tutti gli essenziali attributi del potere.
Hanno adunque anch'essi il diritto d'intimar
ordini, possono fare vere leggi. Di qui deri-
vano tutte le leggi umane, sia ecclesiastiche
come civili; e di qui deriva l'obbligo che tut
ti hanno di praticarle, per quanto loro con-
cernono. Dal che deriva ancora, ed è questa
la conclusione consolante e gloriosa di tutto
quanto riguarda la teorica dell'ubbidienza,
(1) « Omnis anima potestatibus subiimioribus sub-
dita sit: non est enim potestas nisi a Deo: quae autem
sunt, a Deo ordinatae sunt » (Rom., XIII, 1).
(2) « Qui resistit potestati, Dei ordinationi resistiti
qui autem resistunt, sibi damnationem acquirunt »
(Rom., XIII, 2).
- 783 —
che in fin dei conti non v'è che un potere ed
una legge; e che, sottomettendoci liberamente
a tante volontà create che hanno l'incomben-
za di reggere la nostra, noi, come dice San
Tommaso, non facciamo mai se non la volon-
tà di Dio, sola regola suprema dei nostri atti,
come ne è il principio colla sua potenza, co-
me ne è il fine col suo benefico amore. Tale
è la teorica cristiana, e quindi la teorica vera,
esclusivamente vera del potere. E tale per
conseguenza è il fondamento della ubbidien-
za, sì cristiana come religiosa: tali i princìpi
che la rischiarano e ne debbono invariabil-
mente regolare la pratica.
Importanza dell'ubbidienza.
Nulla pertanto vi è di più importante, nul-
la di più necessario e sacro, che il riconoscere
praticamente l'autorità: e perciò nulla di più
importante, necessario e sasro che l'ubbidien-
za. Essa è che lega la terra al cielo. È la for-
za che porta il mondo, è l'arca santa del ge-
nere umano, l'anima della società e delle fa-
miglie, il segreto della vita di tutti e di cia-
scuno. Toccar malignamente l'autorità, solle-
varsele contro, contestarla, negarla, e spe-
cialmente volerla distruggere, è la grande
empietà dei nostri giorni. E ciò non si può
fare senza negar praticamente Iddio. E dalla
Sacra Scrittura si ricava che nessuno è di so-

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lito più severamente da Dio punito, dei pub-
blici indocili, e degli autori di ribellioni.
San Pietro (Ep. Il, li, 9) dichiara, che, fra
i tanti colpevoli dell'inferno, nessuno è pi Ti
furiosamente tormentato dei dispregiatori del
potere, degli indisciplinati, dei sediziosi, e, per
dire la parola ormai più in uso e più giusta,
dei rivoluzionari. Questo spirito d'insurrezio-
ne, disprezzante e violento, è, d'altra parte,
uno dei contrassegni comuni dei reprobi. Per
contrario, è necessariamente il contrassegno
dei buoni, dei giusti, dei santi, la docilità e
l'amore. San Pietro li chiama col vero loro
nome dicendo i veri cristianifigliuoli dell'ob-
bedienza (1).
L'ubbidienza religiosa.
Ora tra questi cristiani, tra questi figli
d'obbedienza, se ne trovano di quelli, che
avendo di questi misteri un'intelligenza più
perfetta, concepiscono per la giustizia una fa-
me più appassionata. E cedendo che la giusti-
zia dell'uomo sta soprattutto nell'obbedirc,
dell'ubbidienza hanno fame. Le forme divine
del potere e della legge li incantano. Vedo-
no Dio raggiare attraverso ad esse e per esse
operare, quel Dio che vorrebbero servire
quand'anche non ne avessero alcun prò. An-
(1) « Quasi filli obeedientiae » (I PIETRO, I, 14).
che la vista del mondo li spinge. Tante ri-
bellioni insensate di cui sentono la storia,
quando non ne sono i testimoni, accendono
nel loro cuore lo zelo delle sante riparazioni.
E l'ubbidienza fino al sacrifizio non è più
per loro che una soave, e forte tranquillità.
Soprattutto considerano che Gesù sulla terra
non ha obbedito a Dio solo. Egli si è scelto
superiori umani, ha reso obbedienza a Maria
ed a Giuseppe; anzi si assoggettò ad ogni
potere e ad ogni autorità, per quanto cattivi
fossero coloro che l'esercitavano, e non ostan-
te l'abuso che ne facevano. Si assoggettò an-
che alle minuziosità della legge mosaica, fino
a non trasgredirne neppure un « iota ». Sif-
fatte mire decidono coteste anime a non con-
tentarsi più dei poteri comuni, delle leggi ge-
nerali. E perciò si cercano guide più partico-
lari, leggi più stringenti. Richiedono ordini
più numerosi e più pressanti, comandi che
indichino persino le più minute particolarità
dei loro fatti, precetti, insomma, che racchiu-
dano tutta la loro vita ed il loro essere in
quella reticella stretta e forte che la Scrittu-
ra ci mostra formata dalla Sapienza, e che
dice una rete di salute. Scelgono adunque una
regola, si mettono sotto un superiore, e così
si fanno veri e definitivamente religiosi. Que-
sto è l'apice dello spogliamento cui si possa
ridurre un essere libero, come altresì il sacri-
fizio più elevato che si possa offrire a Dio.
Poiché avendo già il religioso consacrati e

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— 786 —
dati i propri beni a Dio ed anche il proprio
corpo coi voti di povertà e castità perfetta,
col fare quello di ubbidienza gli consegna
interamente la propria volontà, il che è un
dargli tutta l'anima, di cui questa volontà
è la cima. È questa l'ubbidienza religiosa, ter-
mine e corona dell'ubbidienza cristiana. Lo-
devole pertanto è la povertà, lodevolissima la
castità; ma ciò che forma l'essenza dello sta-
to religioso, e che ci porta all'apice della per-
fezione, è questa rinuncia alla propria vo-
lontà. « Tutta la perfezione religiosa consi-
ste nella sottomissione della propria volontà,
(SAN BONAVENTURA) ». Perciò se tu vuoi sul
serio camminare per la via della perfezione,
devi sopra tutto attendere a domare la pro-
pria volontà, ed a sottometterla in tutto al
volere di Dio espresso dai tuoi superiori. Deb-
bono pertanto i novizi, segue San Bonaventu-
ra. per far molto profitto nelle virtù cristiane,
con grande studio e diligenza assoggettare e
domare bene la propria volontà. E di che gio-
vamento può esserti l'aver lasciate le tue so-
stanze se tuttavia non lasci la tua volontà?
Pregi dell'ubbidienza.
Ora, prima di spiegarti i numerosi doveri
dall'ubbidienza imposti, onde animarti a far
sempre meglio e sempre più volentieri l'ub-
bidienza, conviene che ti esponga qui i prin-
787
cip ali pregi di questa virtù. Conviene che ti
dica qualcosa delle grazie divine che da essa
provengono, nonché degli incomparabili van-
taggi che da essa ci vengono assicurati. I
pregi di questa virtù si riducono ordinaria-
mente a sette: 1) L'ubbidienza è migliore e
più meritoria di tutti gli altri atti delle virtù
inorali. E ciò per la ragione che con essa si
fa a Dio il sacrificio del massimo dei suoi clo-
ni, cioè della propria volontà. £ questa la dot-
trina di San Tommaso, il quale scrive: « Per
se stessa è più lodevole l'ubbidienza, con la
quale per amor di Dio si calpesta la propria
volontà, che non le altre virtù morali, con le
quali per amor di Dio si disprezzano gli al-
tri beni ». 2) L'ubbidienza è il mezzo sicuro
per far la volontà di Dio. Infatti, ogni supe-
riore tiene la propria potestà da Dio solo, e
non da se stesso o da altri; perciò comanda
ed ordina solo in nome di Dio, e per parte di
Dio. Quindi dice San Paolo: chi resiste alla
potestà, ossia al superiore, resiste agli ordini
di Dio (1). Dunque al contrario: chi ubbidi-
sce al superiore non ubbidisce ad un uomo,
nè fa la volontà di un uomo, ma ubbidisce a
Dio e fa la volontà di Dio. 3) Il vero obbe-
diente non avrà da render conto a Dio di ciò
che fa o che lascia per l'obbedienza. Quindi
per aver seguito l'obbedienza non si avrà ries-
(1) « Qui resistit potestati, Dei ordinationi resistit »
(Rom., XIII, 2).

40.9 Page 399

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78 —
suna colpa o castigo, ma solo merito e premio.
Poiché la responsabilità di tutto ciò che i
superiori comandano di fare o di lasciare,
cade tutta sopra di loro. Perciò dice San Pao-
lo: che essi debbono render conto delle ani-
me dei fedeli loro soggetti (1). 4) L'ubbidienza
rende sante e meritorie le azioni per sè indif-
ferenti. Il mangiare, il bere, il dormire, il
camminare, l'affaticarsi, il divertirsi, sono
operazioni per sè indifferenti, che non hanno
nessun splendore di virtù; eppure fatte per
ubbidienza diventano virtuose, soprannatu-
rali, meritorie e degne di eterno premio. Per-
ciò se tu brami accumular meriti, procura di
dipendere dai tuoi superiori anche nelle cose
più indifferenti. 5) Il vero ubbidiente trionfa
di tutti gli assalti del demonio; perchè il ne-
mico non può resistere all'umiltà, che si rac-
chiude nell'ubbidienza. Dice perciò lo Spirito
Santo, che l'uomo obbediente canterà sempre
vittoria. 6) L'ubbidienza dimostra e prova se
la persona abbia o no lo spirito di Dio. Poi-
ché, se essa è disposta ad obbedir sempre e
in qualunque cosa, è certo che la sua condot-
ta e la sua vita è mossa da spirito di umiltà
e di mortificazione, cioè dallo spirito di Dio.
Invece è evidente, che se essa è disposta a
preferire la propria volontà a quella dei su-
(l) « Ipgi enim pervigilant quasi rationem prò ani-
mabus vestris reddituri » (Ebrei, XIII, 17).
789 —
periori, è certo che è posseduta dallo spirito
di superbia e quindi mossa da spirito diaboli-
co. 7) Infine: L'ubbidienza rende l'uomo per-
fetto imitatore di Cristo. Poiché Gesù Cristo
fu obbediente al suo Padre celeste, e agli uo-
mini stessi, e obbediente fino al punto di ac-
cettare e subire la morte di croce. E se tu
non mancherai mai nell'ubbidienza, sarai si-
mile a Gesù; il che vuol dire che salirai fino
ai più alti gradi della perfezione.
Vantaggi dell'ubbidienza.
Avvicina l'uomo a Dio.
Al lume delle dottrine suddette si vedono
chiaramente le grazie ed i vantaggi che con-
tiene per noi l'obbedienza; grazie insigni, van-
taggi mirabili, che essenzialmente sono gli
stessi e pei cristiani in genere e per i religiosi;
ma che sono per costoro molto più considera-
bili. Il primo di questi guadagni celesti è
quello, che l'obbedienza avvicina sensibil-
mente l'uomo a Dio, e pone fra Dio e la crea-
tura relazioni più intime e di un valore pres-
soché infinito. Il più grande privilegio del
popolo ebreo, e fonte degli altri privilegi, era
la residenza speciale che Dio teneva sempre
in mezzo a loro. L'arca santa, il tabernacolo,
e più tardi il tempio, erano il soggiorno per-
sonale di Dio. Quivi Iddio poneva le sue com-
piacenze e dichiarava trovarvi il suo riposo.

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-
Di là regnava sul suo popolo. E per certo che
Dio è il Dio di tutti; ma le sue compiacenze
speciali erano sul popolo d'Israele. Ed Israe-
le, col cuore tutto pieno del sentimento d'una
sollecitudine particolare, e d'una tenerezza
tanto palese, esclamava con gran tripudio:
No, Dio non ha fatto così con tutte le nazio-
ni, nè ha manifestato ad essi i suoi giudizi (1).
E Mosè aveva già detto: non vi è certo sotto
il cielo altra nazione, per grande che ella sia
e gloriosa, la quale per reggerla, tanto vicini
a sè abbia i suoi dèi, come il Dio nostro (2).
Ma se gli Ebrei avevano già il diritto di glo-
riarsi così, qual ragione non ne hanno i cri-
stiani! Nè solo per la presenza reale che Ge-
sù volle regalarci nella SS. Eucaristia, il che
forma la gloria principale dei cristiani, e la
fonte inesauribile dei loro lumi, della loro
santità, delle loro delizie, l'ardente e inestin-
guibile focolare della vita della Chiesa; ma
ancora per la presenza reale che vuole tenere
in mezzo a noi, per mezzo dei superiori che
fanno a noi su questa terra le sue veci.
(1) «Non fecit taliter omni nationi: et iudicia sua
non manilestavit eis » (.Salmo, CXLVII, 9).
(2) « Neo est alia natio tam grandis, quae habeat
Deos appropinquantes sibi, sicut Deus noster adest
ounotis obsecratlonibus nostris » (Deuter., XV, 7).
Dio presente nel superiore.
Se vogliamo meditarvi sopra, ognuno si
convincerà agevolmente che la ^pratica del-
l'obbedienza, e specialmente quella che in-
chiude il voto che se ne fa in religione, pone
tra Dio e l'anima una comunicazione che se
non è più intima che l'eucaristia, è certo più
intelligibile, ed assai più frequente. Nel giorno
in cui, secondo la forma prescritta dalle co-
stituzioni. un superiore qualunque è stato re-
golarmente posto nel suo ufficio, in nome di
Dio, fonte di tutti i poteri, in nome del sovra-
no pontefice, vicario di Gesù Cristo in terra,
principio di ogni giurisdizione e primo supe-
riore di tutti i religiosi, e pei superiori locali
in nome del rettor maggiore dell'istituto, è
avvenuto un non so che di mistico, analogo a
quello che avviene sugli altari nel momento
della consacrazione. Voglio dire, che come
nell'istante in cui il sacerdote, che tiene il pa-
ne, compie la sacra formola, Gesù Cristo pren-
de il posto in questo pane, e si rende sostan-
zialmente presente sotto le specie sacramen-
tali; così dal momento che tutte le condizio-
ni canoniche della elezione o della nomina si
trovano compiute, Dio si è reso presente real-
mente, di una presenza tutta particolare nella
persona del superiore eletto. Sia in un caso
come nell'altro, ciò è stato pel senso umano
un puro mistero di fede: inisteriumfidei; ma

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41.1 Page 401

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— 792 -
in questo caso come in quello, ciò è stato in
sè ùna realtà tutta divina.
Il superiore è una specie di sacramento.
Richiama a memoria ciò che il Signore di-
ceva a Salomone il giorno in cui si celebrò
la dedicazione del tempio: « Io ho esaudita la
tua orazione e accolta la tua supplica; e però
ho santificato questa casa edificata da te libe-
ramente, affinchè ella porti in sempiterno il
mio nome, la mia autorità, la mia sapienza:
e gli occhi miei e il mio cuore saran fissi su
questo luogo in ogni tempo». Ogni superiore
religioso è anch'egli un tempio; il giorno in
cui è stabilito superiore, è come quello in cui
questo tempio fu dedicato. Iddio pone in lui
il suo potere, la sua ragione, la sua forza. Fis-
sa in lui i suoi occhi e il suo cuore: gli occhi
per vegliare su tutte le anime che gli affida,
il corpo per chinarsi verso di loro; gli occhi
per guidarle, il cuore per amarle. Ogni supe-
riore diviene così una specie di sacramento
umano, le cui apparenze, è vero, rimangono
come quelle dell'eucaristia piccole, fragili e
miserabili; ma che, come quelle del pane con-
sacrato, contengono realmente Dio, per tra-
smetterlo agli uomini. Dio è nell'acque del
battesimo per rigenerare l'anima e comunicar-
le la vita spirituale. È nel sacro crisma per far
— 793 —
crescere quest'anima e renderla divinamente
virile; è nella sentenza del sacerdote per ri-
mettere i peccati a chi viene a confessarli col-
le debite disposizioni; è sostanzialmente sotto
le specie del pane e del vino per mantenere la
vita della grazia, dataci dal battesimo, e dalla
penitenza riparata dopo che dal peccato è
distrutta. Tu credi tutto questo sulla parola di
Gesù: credi dunque, sulla stessa parola, che
per la stessa virtù, cui nulla è impossibile,
Dio è presente in quella creatura investita del
potere. E comprendi bene che il fine di que-
sta presenza di grazia è quello di formarti alla
santità, e di condurti sicuramente nel cammi-
no della perfezione, cui ti obbliga lo stato che
hai abbracciato o che sei per abbracciare.
Analogie tra la Eucaristia e l'autorità.
Il mistero cresce di meraviglia sotto ai no-
stri occhi. Per mezzo dei superiori Dio ti par-
la ancor più intelligibilmente, più pratica-
mente, più umanamente che non per mezzo
dell'eucaristia. L'eucaristia è il pane di vita,
l'autorità è il pane di luce. L'eucaristia so-
stiene la vita, l'autorità addita la via; l'eu-
caristia è la manna ed il pane degli angeli,
l'autorità è l'angelo stesso di Dio, o meglio è
Dio stesso nella persona di un angelo, che

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7—
prende l'uomo per mano e lo conduce al fine.
L'uomo ha bisogno di ricorrere a Dio in tutte
le cose. È vero, egli va a fare una visita al
SS. Sacramento, o meglio va a fare la santa
comunione, e vi riceve mille grazie; ma le
orecchie dell'uomo materiale son dure, e se
egli non avesse che l'eucaristia per rischia-
rare i suoi dubbi, forse venti volte contro una
lascerebbe l'altare nello stato d'incertezza con
cui vi andò. Gesù infatti non sta lì per risol-
vere difficoltà e decidere casi di coscienza:
ma, conoscendo le nostre difficoltà, è premu-
roso di provvederci, e perciò ha fatto in cia-
scuno dei superiori una specie di eucaristia
parlante. E allorché, come Saulo sulla via di
Damasco, tu gli rivolgi la domanda: Signore
che volete che io faccia? Egli ti risponde co-
me al futuro apostolo : « Va' a trovare quel-
1 uomo che si chiama Anania », mio sacerdote,
mio rappresentante, mia bocca umana: «egli
ti dirà tutto ciò che hai da fare ». Va' va'
dunque o mio buon figliuolo, va' a trovare
il tuo supcriore, il mio rappresentante; esponi
il tuo imbroglio, il tuo dubbio, il tuo bisogno,
egli ti aiuterà ad uscirne. Quel che io voglio
ed aspetto da te, quello che per riuscirmi gra-
dito tu devi ora pensare, volere, fare, te lo
dichiarerà lui. Chi ascolta lui ascolta me.
Chi a lui ubbidisce, ubbidisce a me; sì che
facendo la sua volontà tu sei sicuro di fare,
la mia.
- 795 —
L'ubbidienza ci comunica con Dio.
L'ubbidienza ci reca un secondo grande
vantaggio: non solo ci ravvicina a Dio, ma ci
fa anche comunicare con Iddio. Davide espri-
me una legge universale quando dice che la
vita sta nei fare la volontà di Dio (i), e che
da questa volontà nacquero tutti gli esseri. Il
secreto della vita del mondo consiste nello
star dipendente dal proprio creatore, perchè
tutto serve a Dio, e tutto ubbidisce alle sue
ordinazioni (2). Senza Dio non si vive: e chi
trovasse pesante il suo servizio e cercasse di
eliminarlo dalla sua presenza, farebbe come
colui che per liberare il corpo volesse segre-
garlo dall'anima. Il corpo senz'anima non
resterebbe più che un misero cadavere; così
succederebbe al mondo, se si allontanasse da
Dio e cessasse di obbedirgli. Ora, siccome la
sommissione fatale degli esseri irragionevoli
ai voleri del loro autore è ciò che li fa vive-
re in vita loro propria, così l'ubbidienza de-
gli esseri liberi è la rigorosa condizione del-
la vita superiore, destinata loro dalla muni-
ficenza di Dio. Da ciò deriva che peccare
vale quanto uccidersi. Chi invece, obbedisce,
apre il suo essere alla vita. Lo Spirito San-
to ce l'insegna in moltissimi luoghi della Sa-
cra Scrittura. « Chiunque avrà osservato i
(1) « E t vita in voluntate eius » (Salmi, X X I X , 6).
(2) « Ordinatione tua perseverat dies, quoniam
omnia serviunt tibi • (Salmi, CXVIII, 91).

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7—
comandamenti vivrà per questi stessi coman-
damenti » (1). E altrove: «Sta unito con Dio,
e siigli sottomesso, e vedrai nell'ultimo gior-
no quanto sarà accresciuta la tua vita» (2).
Ed ecco il perchè si può dire che l'ubbidienza
è una vera comunione. Ciò che è la fede ri-
spetto alle verità da Dio insegnateci, l'ubbi-
dienza è rispetto alla vita da lui propostaci.
Noi mangiamo divinamente quando obbedia-
mo; poiché, scrive il Savio, i precetti di Dio.
sono un convito, e chi li osserva si siede ad
una mensa ove si ha per davvero una vita
divina (3). I conviti terreni sono di breve du-
rata, questo può essere continuo, chè un cri-
stiano, e molto più un religioso, può non ces-
sare d'ubbidire. Questo appunto sapeva ed in-
segnava l'ammirabile San Vincenzo De' Paoli
quando diceva ai suoi religiosi: «Dio è una
perpetua comunione per l'anima che fa la sua
volontà ».
I superiori sono nostre vittime.
I superiori come tali sono altrettante vit-
time che si consumano a prò dei loro suddi-
t i ) « Custodite leges meas atque iudicia, quae fa-
ciens homo vivet in eis » (Lev., X V I I I , 5).
(2) « Coniungere Deo et sustine ut crescat in novis-
simo vita tua » (Eccli., II, 3).
(3) « In mandatis ejus epulabuntur » (Eccli., X X X I X ,
37).
797 —
ti, come Gesù nell'eucaristia è vittima che
si consuma per noi. Noi invero possiamo ve-
dere che i nostri superiori sono le nostre vit-
time, essendo prima di tutto vittime di Dio.
Ma colui che per l'amore degli uomini si è
sacrificato e per primo immolato, colui che
non temette di comperare col prezzo di parec-
chi milioni di martiri l'evangelizzazione uni-
versale e la conversione dei popoli alla fede,
acconsenti similmente, che, per la santificazio-
ne e salute dei suoi cari religiosi, vi fosse
sempre dappertutto nelle comunità una crea-
tura sacrificata, che_ ridotta allo stato di
ostia, sia data, quasi direi, in comunione agli
altri. E così, a loro spese, ma non senza gran
merito, i nostri superiori sono tra noi il sa-
cramento di Dio, e si dànno essi stessi in ci-
bo a noi. La vita eterna passa nell'anima del-
l'obbediente, la penetra, se la fa simile, e,
direi, la deifica per quanto è possibile. Que-
sto è il termine e il frutto di ogni vera comu-
nione come di ogni vera obbedienza.
Ci rende quasi... impeccabili.
Ora di quali beni non sarà per noi fonte
l'ubbidienza? È chiaro che l'ubbidienza ci fa
compiere tutta la giustizia cristiana, salvan-
do l'anima da ogni peccato. Non si pecca se
non disubbidendo. Chi ubbidisce, lungi dal

41.4 Page 404

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798 —
peccare, esercita una virtù. Una volontà doci-
le a Dio è per necessità una volontà regolata,
cioè un'anima pura ed innocente. Nell'inferno
non si ubbidisce mai, perchè colà le volontà
sono apertamente ferme in una radicale op-
posizione a Dio. Nel cielo invece si ubbidisce
sempre, perchè Dio quivi regna senza con-
trasto e senza limiti, e perchè l'amore ornai
perfetto forma tra la volontà divina e quella
dei beati una perfetta armonia. Sopra la ter-
ra possiamo a talento nostro ubbidire e disub-
bidire; ma se ubbidiamo, se siamo fermi nel-
l'ubbidir sempre, se soprattutto ne facciam
voto, ci poniamo, per quanto è possibile
quaggiù, nello stesso stato del cielo. L'ubbi-
diente non solo non commette peccato, ma
possiamo dire che si pone quasi fuori della
possibilità di commetterlo, poiché, per quanto
lo comporta la miseria umana, inaridisce la
sorgente del peccato nell'anima propria. In-
fatti, dando totalmente in balìa di Dio l'ani-
ma nostra, essa viene sottratta alle male cu-
pidige. agli influssi perversi della carne e del
sangue, alle passioni, ai capricci, alle debo-
lezze, all'orgoglio, insomma alle potenze con-
giurate del mondo e del demonio. Da qual
parte entrerà il male in un'anima così ripara-
ta contro tutti coloro che le possono far guer-
ra? Noi siamo concordi nel dire che la pro-
pria volontà è il principio di tutte le nostre
colpe, e, alla perfine, di ogni dannazione. Ora
questa propria volontà è uccisa dal voto di
ubbidenza, dice San Gregorio (Moralia, lib.
25°, cap. VI). Questo voto è come il sacer-
dote che immola la volontà propria. Anzi fa
di più che immolarla, la seppellisce, dice San
Giovanni Climaco. Così il religioso rinnega
praticamente tutto ciò che nella propria natu-
ra potrebbe indurlo al male; e soprattutto ri-
nunzia a quella proprietà di se stesso, che è
l'anima di ogni iniquità.
Ci fa praticare tutte le virtù.
Si capisce adunque quello che insegnano
unanimi i padri ed i dottori, essere l'ubbi-
dienza in qualche maniera la madre e la cu-
stode di tutte le altre virtù (1). Essa sola ha
il secreto di inserirle nell'anima, per mante-
nerle poi e farle fruttificare (2). L'ubbi-
dienza suppone e corona l'ordine intiero del-
le virtù, poiché tutte le virtù, secondo l'os-
servazione di San Tommaso, appunto perchè
comandate da Dio si uniscono a questa: sic-
ché, per far tutto bene e sempre bene, basta
davvero ubbidire. Essa costituisce un atto
eminente di religione, secondo che sta scrit-
ti) « Obedieiitia in creatura rationali mater quo-
dammodo est omnium, custosque virtutum » (Sant'A-
ÌOSTINO, De Civ. Dei, l i b . 1 4 ° , c a p . X I I ) .
(2) • Obedientia sola virtus est quae virtutes cae-
teras menti inserit, insertasque custodit « (San GBE-
;ORIO, Moralia, lib. 25°, cap. XII).

41.5 Page 405

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8
to : più vale l'obbedienza a Dio, che offerirgli
vittime (1). Chi obbedisce alla legge fa con
ciò a Dio molte oblazioni (2).
Essa ci guida alla perfezione, fomentando
in noi la carità, cui l'ubbidienza è così stret-
tamente unita, da parere che formino una
cosa sola. Chi dice che conosce Dio, insegna
San Giovanni, e non osserva i suoi comanda-
menti è bugiardo, e non è in costui la verità.
Ma chi osserva la parola di lui (cioè chi ob-
bedisce alla parola di Dio) in questi vera-
mente è perfetta la carità di Dio (I, 10; XI,
4). E perchè? Perchè, dice San Tommaso, è
proprio dell'amore fare tra coloro che si ama-
no uno stesso volere e uno stesso non volere.
Ci rende liberi figli di Dio.
Un'obiezione mi giova scioglierti, che va-
ri ti potrebbero fare e forse passò già per la
tua mente. L'ubbidienza non contraddice alla
libertà, o almeno non la restringe di molto?
È questa oggidì gran questione, che diventa
per molti un argomento di assalto contro la
Chiesa, e specialmente contro la stato religio-
so. Non temere, mio buon figliuolo, l'ubbi-
dienza non toglie la libertà, anzi la perfezio-
(1) • Melior est enim oboedientia quam victimae »
(I Re, X V , 22).
(2) « Qui conservat legem multiplicat oblationem •
(Eecli., X X X V , 1).
801 —
na. Senza dubbio tra il suo libero arbitrio
ed il male che quaggiù può naturalmente
scegliere e fare, il religioso, che fa voto di
ubbidienza, scava un profondo abisso! Ma,
nota bene: facendo egli atto da sovrano, e di-
mostrando con questo atto fino a qual punto
Dio gli permette di esser signore di se stesso,
egli costringe liberamente il suo arbitrio a
proteggersi di per se stesso contro i travia-
menti e le debolezze di cui è capace. Ed è
questo un distruggere il libero arbitrio od an-
che solo sminuirlo? Chi non vede, al contra-
rio, che con ciò si gaarisce e si salva? Il libero
arbitrio, dice San Tommaso (2, 2, quest. 114
art. 1 ad 1), non è dato all'uomo perchè gli
sia lecito seguire le proprie fantasie o soddi-
sfare tutti i suoi capricci; bensì perchè, a diffe-
renza degli esseri irragionevoli, egli non ope-
ri costretto da una necessità naturale, ma per
libera elezione, procedente dall'esercizio rego-
lare delle proprie facoltà. Il fine ultimo del
libero arbitrio è dunque di procacciare al-
l'uomo quella gloria e quella beatitudine colla
quale Dio ha promesso di compensare le no-
stre virtù. Ed il suo fine prossimo è quello di
costituirci e di mantenerci in uno stato tale
la libertà, da non essere più, per quanto è
possibile, nè trattenuti, nè ritardati nella no-
stra via verso i propri destini e per conse-
guenza di sottrarci a tutte le servitù che ci
provengono dalle nostre cattive tendenze e

41.6 Page 406

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82 —
dagli ostacoli esteriori. Forse l'uomo che pec-
ca si affranca? Forse, specie dopo di aver pec-
cato, è libero? È vero: l'atto insensato che fa,
suppone e prova che è libero, come l'atto
di chi si uccide suppone e prova che è vivo!
Sì il suicidio è l'atto di un vivo; ma atto che
piomba per sempre quel vivo nella morte. E
così il peccato è atto di un essere libero, ma
uu atto che precipita quest'essere in un'orren-
da schiavitù. Chiunque fa il peccato, dice Ge-
sù. è servo del peccato (1).
Il giusto al contrario, cioè l'ubbidiente, non
è avvinto da queste catene. E se ne fu avvin-
to, le ruppe col pentimento e con la confes-
sione. Egli è libero della libertà da Cristo a
noi meritata e data, di quella santa, raggian-
te e giuliva libertà, che è come l'aurora di
quella del cielo, e che la Scrittura chiama la
libertà dei figliuoli di Dio. Ed il religioso, che
va più innanzi e fa molto di più, il religioso
che non la rompe solo col male che è il
mondo, il religioso che nega praticamente tut-
to ciò che nella propria natura potrebbe in-
durlo al male, il religioso è molto più libere
ancora del cristiano del mondo. Se costui ha
piedi, quegli ha ali; se l'uno cammina per le
vie diritte e piane, l'altro spicca il volo in
un'atmosfera immensa, luminosa, aperta. Nes-
suno è come lui in grado di andar sempre e
(1) « Omnia qui facit peccatum servus est peccati »
(Giov., V i l i , 34).
803 —
unicamente e tutto alla mèta dei suoi desideri,
al centro del suo riposo. Nessuno è in diritto
come lui di dire: O Signore, voi avete spezza-
to le mie catene, e vi sacrificherò ostia di lo-
de (1). Io sono dunque libero, per quanto lo
possa essere uomo che cammina sopra la ter
ra. Mi ha liberato la verità dalle catene dei
miei errori e pregiudizi. Godo di quella liber-
tà della quale mi ha liberato Cristo. Il religio-
so esercita la libertà in grado tale, che vien
da essa sottratto da mille impicci cui sono
sottoposti i mondani, schiavi delle loro pas-
sioni; e vien messo sulla via della vera feli-
ità. Nessuno come il religioso è in grado di
andar sempre e unicamente e tutto con tutti
suoi movimenti, e con tutti i suoi atti a Dio.
mèta dei suoi desideri, e centro del suo riposo,
r.gli è libero nelle sue operazioni, e fa quel
• >ene che vuol fare. Invece generalmente il
inondano è schiavo delle sue passioni e delle
-ue cattive inclinazioni. E mentre vorrebbe
:are una cosa, dalle inclinazioni è portato
:d altro; e non fa quel bene che vorrebbe,
•ensì cade in quel male ehc vorrebbe evi-
.re. Tu rifletti bene a tutte queste cose, e
roponiti di abbracciare con tutto il tuo cuo-
ia santa ubbidienza. Amala come madre,
ienila come guida, e come salvaguardia con-
io ogni pericolo, come quella che ti farà pro-
d i • Dirupisti vincula mea; tibi saorificabo ostiam
ridia, et nomen Domini invocabo • (Salmi, CXV, 7).
J

41.7 Page 407

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gì edire in ogni virtù e ti dara quella vera li-
bertà dei figliuoli di Dio, procurataci da Ge-
sù benedetto colla sua incarnazione, colla sua
passione e colla sua morte.
CAPO XIY
QUALITÀ CHE DEVE AVERE
L'UBBIDIENZA
L'ubbidienza sia divina nella intenzione.
Spiegata la teoria dell'ubbidienza, i suoi
pregi, ed i vantaggi che ci apporta, conviene
che io venga più alla pratica, e che esponga
le qualità che deve avere affinchè sia vera ub-
bidienza religiosa e produca quei frutti di vi-
ta eterna, che sempre arreca quando è prati-
cata a dovere. E prima di tutto bisogna start
al fatto, che Dio comanda per mezzo dei su-
periori e per mezzo delle regole. Come a Die
fa adunque d'uopo ubbidire loro. Anche ogn:
semplice cristiano è tenuto a ciò. Servi, di«
San Paolo, e voi tutti che avete dei padron
secondo la carne, ubbidite loro nella sempl:
cità del cuor vostro, come ubbidireste a Cr -
sto... Serviteli pensando che con questo fate li
volontà di Dio, vedendo in essi non l'uomo,
ma il Signore (1). Stando il fatto che è Dio
quegli che comanda per mezzo dei superiori,
è d'uopo mantenersi nella disposizione di
ubbidirli secondo l'estensione del diritto dato
loro da Dio di comandare. L'ubbidienza deve
pertanto essere divina nella sua intenzione.
Il veder Dio nella persona dei superiori è un
dovere certo. E bada che non si tratta qui di
una pratica supererogatoria, che concorra al-
la perfezione dell'atto che accompagna, ma
bensì di una pratica che ne interessa l'essen-
za. Sì: il guardare a Dio è una cosa essenziale
all'obbedienza. Togli dall'obbedienza il pen-
siero di Dio, ed essa nonché religiosa, non è
più neppur cristiana. La vita religiosa inchiu-
de una relazione continua e perfetta della
creatura con Dio; è una forza, che ci lega a
Dio, come al nostro eterno principio, ed al-
l'ultimo fine cui deve assiduamente tendere la
nostra libertà. Come pertanto diremo essere
da religioso un atto che non confina se non
on l'uomo? Adunque l'ubbidire al superiore
come a Dio è un dovere certo ed indispen-
-abile.
(1) « Servi obedite dominis carnalibus... in sim-
licitate cordis vestri sicut Christo... Cum bona vo-
intato servientes, sicut Domino, et non hominibus »
Efes., VI, 5, 7).

41.8 Page 408

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— 806
Motivi umani d'ubbidienza.
Ohimè! In pratica come avviene? Quanto
spesso si ubbidisce ai superiori perchè sono
savi, buoni, piacevoli; perchè se ne teme i.1
biasimo o se ne brama l'approvazione: talvol
ta anche per un interesse più o meno masche-
rato d amor proprio, per ottenere da loro, se
non riguardi particolari, almeno stima e pre-
dilezione! Anche supposto che non si faccia
per amor proprio o per politica, è troppo
manifesto che cotali sentimenti guastano tut-
to. Quando si parli solo dei sentimenti che
possono contentare e dare una soddisfazione
legittima, questi quando servono semplice-
mente per aiuto ad obbedire non sono cattivi,
e possono anche accompagnare le opere di uu
huon religioso. Ma se all'occhio perspicace di
Dio questi motivi fossero trovati i soli che
ti spingono, se anche sono i principali, non
potresti essere soddisfatto della tua ubbidien-
za. Lo ripeto: non avresti fatto nulla di buo-
no, nè che sia proprio del tuo stato. San
Francesco di Sales insiste molto su questo
punto, e rimprovera chi ubbidisce solo per
fine umano: « Voi obbedite ai vostri superio-
ri perchè vi sentite inclinati verso di loro e
perchè rispettate le loro persone. Ohimè! Non
fate nulla di più che i mondani: anch'essi ub-
bidiscono a coloro che li amano » (Tratten..
XI).
- 807 —
Stando così le cose, quante diminuzioni
nei nostri meriti, e quante mancanze nelle no-
stre virtù! Ricorda sempre ciò che ti dissi
già più volte, ma che si attaglia specialmente
all'obbedienza. Le virtù sono abiti; gli abiti,
almeno in quanto sono acquistati, non si pos-
sono mai formare se non per atti ripetuti:
quale è la natura di un'azione, tale è altresì
la natura dell'abito da essa formato. Se adun-
que quando ubbidisci segui umani alletta-
menti, se, invece di sottometterti a Dio per-
chè è Dio, cedi semplicemente all'uomo per
umane ragioni, il tuo atto, che non è religio-
so, potrà costituire nell'anima tua un abito o
una virtù religiosa? Non avrai scandalizzato
i compagni; li avrai anche forse edificati,
giacché dal solo esteriore proviene l'edifica-
zione e lo scandalo. Avrai potuto anche esser
gradito al superiore e averne guadagnato l'af-
fetto; cose tutte per sè non cattive. Ma la tua
obbedienza non fu obbedienza religiosa, fu
obbedienza senza merito; e in fin dei conti tu
non hai operato da religioso. Il santo vescovo
di Ginevra conchiude: « Io dico che se il reli-
gioso non obbedisce da religioso, non avrà
nessuna virtù, perchè l'obbedienza volontaria
è ciò che lo rende principalmente religioso,
essendo questa la virtù propria e particolare
del suo stato ». Questo punto è adunque im-
portante e richiede da te la massima atten-
zione. Procura di vedere sempre Dio nei tuoi
superiori. Dio vuole che abbi cotesta fede: te
27

41.9 Page 409

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ne dà incontrastabilmente la grazia, e pren-
de una meravigliosa compiacenza nel vedere
che gli corrispondi.
Perchè Dio spesso lascia difetti nei supe-
riori.
Sai tu perchè Iddio bene spesso lascia dei
difetti in quelli che comandano? Primiera-
mente perchè istituire un superiore non vuol
dire fare un miracolo; e perciò Iddio anche
costituendo un superiore, non gli toglie la sua
indole e le sue qualità. Poi perchè cotesti di-
fetti riescono generalmente assai vantaggiosi
a coloro che li hanno. È Dio stesso che lo at-
testa: la virtù si perfeziona nelle infermi-
tà (1). La virtù vive di umiliazioni, e l'umiltà
non si acquista senza l'esperienza delle pro-
prie miserie. Queste imperfezioni specialmen-
te quando sono notevoli, visibili a tutti, e
soprattutto ostinate, sono, all'esaltazione in-
teriore che possono produrre le cariche, un
contrappeso felice, e talvolta necessario. Ma
più ancora, questi difetti sono per gl'inferiori
un potentissimo mezzo di perfezione. Ubbi-
dire ad uno che vi va poco a genio, il cui na-
turale vi dispiace, i cui modi vi dànno ai
nervi, non suppone forse maggior virtù che
l'ubbidire ad una persona nella quale tutto è
(1) « Virtus in infirmitate perflcitur » (.II Cor., XII, 9).
cortesia? Se una comunità avesse per superio-
re un angelo, sarebbe essa, rispetto all'ubbi-
dienza, in grado di diventar più perfetta di
quella, la quale, è diretta da un poveruomo?
No: anzi nel primo caso correresti rischio di
ubbidire per entusiasmo, facendoti pochi me-
riti; mentre nel secondo, dovendo far violen-
za alle tue cattive inclinazioni, se ubbidissi ti
faresti maggiori meriti. E perciò dovresti con-
siderare che se i tuoi superiori, pur conser-
vando sempre nel loro cuore la mansuetudine
e la dolcezza del Salesio, mettessero talvolta
alla prova la tua ubbidienza per mezzo di
comandi aspri e difficili, si vedrebbe se l'ub-
bidienza che loro presti è divina od umana,
naturale o religiosa. Se pertanto a te capitasse
che qualche superiore, o per indole sua, o
anche appositamente ti trattasse con durezza,
con modi aspri, con certe parzialità che ti
sembrerebbero ingiustizie, e se questo durasse
anche moltissimo tempo, e dovessi passare per
prove sopra prove, non avresti ragione a sco-
raggiarti. Armati invece di fortezza, e di'
sempre: Dio dispone così, Dio vuole così, è
Dio che opera così; e Dio sia benedetto.
Considerare Dio nel superiore.
Quando ti appressi a coloro che ti reggono
procura d'accostumarti e parlare come se
avessi Iddio avanti a te, e parla con tale rive-

41.10 Page 410

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— '810 —
renza e umiltà, che si veda anche all'esteri!"
il tuo rispetto. Qui sta il nerbo dell'ubbidien-
za. Se tu ti figuri sempre Dio nel superiore,
quanto saranno rischiarati i tuoi passi, quan-
to fermo il tuo procedere, quanto rapidi i
tuoi progressi, quanto presto diventerà per-
fetta la tua ubbidienza! Come sarà fruttuosa!
Ecco due che vanno successivamente a trova-
re il superiore, o che sono successivamenn
dal superiore chiamati per ricevere qualclr
ordine. Perchè uno se ne torna rischiarati
tranquillo, contento, ha compreso e gustati
il comando o l'ammaestramento, o l'osservazio-
ne e colla luce portò con sè dalla camera de;
superiore l'unzione, la grazia e il coraggio'
Perchè l'altro se ne ritorna vuoto, perduti
d'animo, turbato e fors'anche inasprito? Con-
sidera a fondo le cose, e vedrai che uno and<
dal superiore pieno di fede pensando di pre-
sentarsi a Dio e ricevere la sua parola, men-
tre l'altro procedette umanamente e non pen-
sò se non all'esterno dell'uomo che gli parla-
va. Poniamo pur anche il caso, che davvero
quelli che ti comandano e dirigono fossei'
impari al loro compito, non rappresentassero
a sufficienza la parte di Dio, fossero nel et
mandarti più umani di quello che non si con-
venga ad un superiore. E con ciò? Non tocca
a te portarne il giudizio! Il tuo dovere in ogn;
caso si è di non illuderti rispetto a loro, ri
considerare soprattutto, e non ostante tutto
il loro carattere divino, di contemplare in loro
Gesù, e di ubbidire loro come ubbidiresti a
Dio medesimo.
Quando disubbidire?
In un caso solo dovresti e potresti ribel-
larti: quando ti comandassero un'azione aper-
tamente e certamente cattiva, una cosa certa-
mente peccaminosa. Allora vi è Dio che co-
manda chiaramente una cosa, ed un uomo
che comanda un'azione contraria! Su questo
punto non vi è dubbio: si deve ubbidire più
a Dio, che non all'uomo. E se un superiore
ti comandasse cosa che giudichi troppo gra-
ve per te, e superiore alle tue forze? Ecco al-
lora quanto ti dice San Bonaventura: «Ac-
cetta con ogni mansuetudine il comando, ma
senza superbia e contraddizione, senza alcu-
na mormorazione, senza contraddire meno-
mamente; però con pazienza ed opportunità,
manifesta al superiore le cause per cui giudi-
chi la cosa per te impossibile. Che se tuttavia
il superiore sta ancor fermo nella sua opinio-
ne, sappi certo che così è a te espediente. E,
confidando nell'aiuto di Dio. sforzati quanto
puoi di ubbidire. Poiché Gesù Cristo fu per
noi obbediente fino alla morte e morte di cro-
ce. Chiese egli bensì al suo celeste Padre che
allontanasse da lui il calice della Passione;

42 Pages 411-420

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42.1 Page 411

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1
— 812 —
nondimeno subito soggiunge: Non la mia, ma
la tua volontà sia fatta. E si assoggettò alla
passione e alla morte. Non aver paura: Id-
dio ti aiuterà anche avesse a fare dei mira-
coli; o disporrà che il superiore venga a co-
noscere l'impossibilità tua e cambi in seguito
il comando. Mettiti volenteroso a voler ubbi-
dire anche quando credi l'ubbidienza impos-
sibile; e ti farai dei meriti straordinari per la
vita eterna ».
— 813 —
agli indiscreti (1). Sant'Ignazio aggiunge al-
cune parole a questo riguardo: « In quella
guisa, che non si deve obbedire ad un supe-
riore perchè è prudente, buono, fornito di
belle doti, o arricchito di cloni divini; così
se un superiore non ha se non uno scarso giu-
dizio, ed una prudenza mediocre, non è que-
sta una ragione per prestargli un'obbedienza
meno perfetta. Chiunque egli sia. rappresenta
colui la cui sapienza è infallibile; e Dio sup-
plirà per voi a quanto fosse per mancare nel
suo ministro».
Universale in estensione.
Ubbidienza a tutti i superiori.
Divina nella intenzione, fa altresì d'uopo
che l'ubbidienza sia universale nella estensio-
Inoltre nelle comunità non è mai ima soli
ne; che cioè il religioso si sottometta ad ogni
persona che ha incombenza del governo. Co-
persona rivestita dell'autorità, a tutto ciò clic
questa persona gli comanda legittimamente,
ed in qualunque maniera glielo comandi. E
prima di tutto bisogna ubbidire ad ogni per-
sona rivestita della legittima autorità. Capi-
sci bene: ad ogni persona; qualunque sia la
sua età, sì naturale che di religione; qualun-
que sia altresì il suo carattere, qualunque la
sua esperienza; qualunque la sua virtù, secon-
do che ci ammaestra lo Spirito Santo là do-
I ve fa dire per mezzo di San Pietro a tutti i
fedeli: Siate soggetti ai padroni con ogni ti-
1 more, non solo ai buoni e modesti, ma anche
me i superiori maggiori sono direttamente de-
legati dal Papa, dopo eletti nelle radunanze
generali, così essi stessi delegano autorità su-
balterne. Il potere che risiede nei superiori
più alti passa negli altri senza lasciar coloro
da cui deriva; e vi passa nelle proporzioni
richieste dalle dignità che furono loro con-
ferite, o degli uffizi cui vengon deputati. Ora,
in qualunque grado una persona sia a parte
del potere, essa è, nella esatta misura di sì
fatta partecipazione, altrettanto divinamente
(1) • Subiliti estote in olimi timore dominis, non
tantum bonis et modestis, sed etiam dyseolis » ( / PETRI,
II, 18).

42.2 Page 412

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8—
degna di rispetto quanto quella che lo pos-
siede integralmente. Così si deve proporziona-
tamente la stessa ubbidienza all'ultimo dei
delegati come a quello che delega, come a
Dio stesso, principio di ogni delegazione. Su
questo punto facilmente si falla. E perchè?
Sempre per mancanza di fede. Obbedire al
superiore della casa sembra cosa naturale e
molto semplice; sembra invece che uno sia
disonorato se ha da cedere a qualche altro
potere, specie quando si ha da sottostare ad
uno più giovane, meno anziano di religione,
e tanto più quando si resta sottoposti ad uno
cui prima si comandava. Chi ragiona così
rassomiglia a coloro che avessero minor ri-
spetto al crocifisso che tengono al collo per-
chè più piccolo, che al crocifisso che sta so-
pra il tabernacolo perchè più grosso. O come
colui che avesse più divozione all'eucaristia
quando venisse portata da un prete dotto, che
se fosse portata da un prete meno dotto, op-
pure da un diacono, come può succedere
straordinariamente, o anche da un laico co-
me accade per necessità nei tempi di perse-
cuzione.
Ubbidienza in tutto.
Estendendosi ad ogni persona legittima-
mente costituita in potere, la vera ubbidienza
si estende anche a tutto ciò che coteste per-
815 —
sone comandano legittimamente. E questa ob-
bedienza deve estendersi a tutto, al tempora-
le e allo spirituale, all'esterno come all'inter-
no; agli atti di comunità come a quelli indi-
viduali, a ciò che si deve fare come a ciò
che si deve omettere; a ciò che piace come a
ciò che dispiace. Vi sono delle anime buone,
che vogliono l'obbedienza, ma han troppo
timore quando loro s'impongono o cariche
onorifiche, o qualche eccezione, o riguardi
speciali, sia perchè malaticci, sia per altro
motivo. Alle volte si teme che un uffizio, an-
che imposto dall'ubbidienza sia contrario alla
propria perfezione, come sarebbe quello di
prefetto od economo, o quello di attendere a
viaggi o ad udienze di esterni, quello di con-
fessar certe persone, o simili. Brulicano le
ragioni per provare che coteste cariche son
dannose alla loro anima, e la mente ne è
assediata. Bisogna capire che coteste sono
tutte illusioni; se vi fossero in realtà, i supe-
riori non comanderebbero: se comandano è
segno che le difficoltà si potranno superare,
e che certamente le supererà chi fa quanto
sta da sè. Chi ubbidisce prega abbastanza;
chi ubbidisce fa abbastanza penitenza.
Il non lavorare quando il riposo è coman-
dato, vale fare quanto si deve; e fosse anche
passar le notti in orazione, disciplinarsi, la-
vorare tanto da uccidersi, quando questo fos-
se contro l'ubbidienza approderebbe a nulla,
per un'anima; sarebbe anzi di danno spiri-

42.3 Page 413

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tuale. Fuori della volontà di Dio significata
in qualche modo dai superiori, tutto è vano
come una nube, e pericoloso come un preci-
pizio; mentre tutto quello che si fa con ub-
bidienza è santificato e meritorio.
Ubbidire esattamente.
Oltre al fare tutto quello che ti è regolar-
mente comandato, devi ancora farlo nel modo
comandato; cioè nel luogo, nel tempo, nella
misura, insomma, in tutte le contingenze nelle
quali conviene che si faccia l'atto prescritto.
Non credere che queste siano minuzie, op-
pure sappi che è il complesso delle minuzie
che forma la cosa accetta al Signore. Quanto
sono care all'amore le minuzie! Non son esse
i fili dei quali si compone il tessuto della
vita? Togli le minuzie, che resta della tua
vita pratica? Sta adunque attento a quanto
suol chiamarsi minuzia, e non disprezzare
neppure le minime cose; il senso umano in
molte cose ti suggerirà che quella è una solo
minuzia da non badarvi: rispondi arditamen-
te che invece è delicatezza. Sai tu quanto vale
l'usar delicatezza tra gli amici? cento volte
più dei grossi servizi. Essa forma il fior del
cuore ed il profumo delle affezioni: da' a
Dio questo fiore; offrigli questo profumo! Sii
diligente in ogni piccola cosa, ed egli ti farà
sentire il gradimento che prova nel ricevere
le tue delicatezze. Oh no! 11 Signore non si
lascia vincere in generosità! Abbi cura di
tutti i tuoi atti anche minimi, specie in ma-
teria di santa modestia e di obbedienza. Gesù
non fece così? Abbi sempre sotto i tuoi occhi
il suo esempio, e seguilo. Egli non ritardò
nulla, non anticipò nulla, non aggiunse nulla,
nulla sottrasse, nulla trascurò finché la sua
obbedienza nell'opera immensa affidatagli dal
suo Eterno Padre non fosse compiuta. Non
cessa finché, potendo vedere che la sua obbe-
dienza era stata universale, potè esclamare,
tutto è consumato: Consummatum est.
Ubbidire in qualunque modo si comandi.
Finalmente rendendo ubbidienza a tutti e
in tutte le cose, rendila ancora qualunque sia
la forma od il grado del comando. Senza
dubbio, quando l'ordine non è formale, si
può non assecondarlo senza trasgredire il
voto. Quando palesando il suo volere il supe-
riore non intende obbligare la coscienza, po-
tresti non seguire quella cosa senza caricarti
la coscienza di una disobbedienza. Ma anche
là dove non vi è peccato contro il voto, vi è
mancanza contro la virtù. Tu poi non devi
accontentarti di non offender Dio, devi cer-

42.4 Page 414

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8—
819 —
care di fargli piacere in ogni cosa che puoi,
tendendo alla perfezione. Una volontà pruden-
temente presunta sia per te come una volontà
dichiarata: ti basti il consiglio per eseguire la
cosa. Così tosto che il precetto od il semplice
desiderio del superiore è espresso, conviene
che tu l'eseguisca come se fosse un vero co-
mando. Sant'Alberto Magno dice che l'obbe-
diente vero eseguisce come se fosse precetto,
quello che crede essere secondo la volontà del
superiore (1). Questo forma la totalità della
sottomissione, che, ben praticata, porrà il col-
mo alla perfezione della tua obbedienza. Da-
vide diceva a se stesso: Non sarà adunque
soggetta l'anima mia a Dio, mentre da lui di-
pende la mia salute? (2). La mia salute di-
pende da lui: tutto ciò che posso desiderare .e
concepire di bene, ha la sua sorgente in colui
che mi comanda, e che fa della mia ubbidienza
la condizione della mia felicità. Non gli sarò
dunque sottomesso senza riserbo e sempre? Ri-
terrò io, per usarne a suo malgrado, qualche
particella della mia volontà, qualche poco del
mio giudizio, qualcosa delle mie potenze cor-
porali? O Dio mio! Mio Salvatore! Vi sarà in
me un nonnulla che non vi sia sottomesso?
(1) « Nunquam expectat, sed solam praelati volun-
tatem sciens vel credens ferventer exequitur prò prae-
cepto » (De virt., III).
(2) « Nonne Deo subiecta erit anima mea? Ab
ipso enim salutare meum » (Salmi, LXI, 1).
' Esecuzione esterna dell'ubbidienza.
Questo è quanto, specialmente in religione,
I ciascuno deve dire a se stesso. E per venire
I ai particolari: l'ubbidienza deve primieramente
I essere fedele, esatta, puntuale, fervente nell'e-
I steriore, cioè nell'esercizio dell'atto comandato.
I Non si deve resistere, nè si deve dar luogo a
I ripetere un ordine. Oh! Quanto poco amore
I ha colui, che sentendo l'amico battere alla so-
I glia della casa, non gli apre al primo colpo e
I Io costringe ad aspettare. Un superiore che ti
I intima un ordine, od anche ti esprime solo un
I desiderio, che cosa è per la fede se non l'ami-
o che ti dice: Ecco che sto alla porta e pic-
I hio? (1). E dice all'anima tua: Sorella mia,
I amica mia, sposa mia, aprimi (2)? Gesù ci
I disse del suo cuore: « Picchia e ti sarà aper-
I io s> : sarà vero del tuo, che quando picchierà
I I Signore non aprirai subito? Dunque non
I mai queste ubbidienze contrastate o sgarbate,
I he fa d'uopo portar via conte d'assalto col
I mezzo di formali precetti, o almeno contratta-
I e con innumerevoli parole ed istanze infinite.
Quando suonerai una volta sola la tromba.
:isse Dio a Mosè, verranno a te i prìncipi ed
I capi del popolo. Se vuoi invece mettere in
(1) « Ecce sto ad ostium et pulso » (Apoc., I l i , 20),
(2) « Aperi m'fbi soror mea, amica mea, columba
I nea, immaculata mea • (Cani., V, 2).

42.5 Page 415

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— 820 —
moto la folla farai sentire suoni più prolun-
gati » (1). Eletta schiera di Gesù, anime reli-
giose, miei buoni confratelli: un solo suono,
una sola parola ci basti! Si obbedisca al pri-
mo cenno senza timore, senza indugio, senza
tiepidezza, dice mirabilmente San Benedetto:
senza timore perchè Dio è con l'anima docile,
e perchè forte di questa docilità l'obbediente
non procede se non passando di vittoria in
vittoria. Si obbedisca senza indugio, perchè la
parola di Dio è veloce nel suo corso (2), e
vuol veder correre coloro altresì che preten-
dono seguirla; senza tiepidezza infine, perchè
obbedire a Dio equivale a fare un dono a lui
e Iddio ama chi dona con gioia (3). Nella ub-
bidienza non ci vogliono questioni, non esame.
Non obiettar mai che devi fare su questa o
quella cosa: la campana che suona, la regola
che parla, il superiore che fa cenno, è Gesù
che dice voler quella cosa. Che si ha da fare
se non obbedire? I nostri antichi maestri, sog-
giunse mons. Gay, si compiacciono di parago-
nare i religiosi agli uccelli. Anche quando
stanno in terra, gli uccelli vi stanno appena
posati, in modo che al minimo rumore posso-
(1) «SI semel elangueris, venient ad te principe;
et capita multitudinis Israel. Si autem... etc. » (Num..
X, 4-5).
(2) « Velociter currit sermo eius » (Salmi, CXLVII, 4 '.
(3) « Hilarem enim datorem diligit Deus » (II Cor.
IX, 7).
— 821 - •
no spiccare il volo. In qualunque luogo sii,
qualunque cosa tu faccia, sii anche tu appena
posato e non radicato in nessuna parte. La
radice è un affetto sregolato alla casa, al luo-
go. elle persone od a quanto stai facendo.
Quanto più facilmente ubbidiresti se il tuo
cuore fosse sempre in alto! Non ti rincresce-
rebbe neppure cambiar tutti i giorni occupa-
zioni. Vedi i santi, un Àbramo, un Samuele,
un Giuseppe: essi sono pronti di notte come
di giorno. Il sonno dei loro occhi, lascia il loro
cuore sveglio. Dio parla, essi sono in piedi:
Dio finisce di parlare, ed essi già stanno ese-
guendo i suoi comandi. Ricordandosi di loro
San Bernardo scrive: « Il vero obbediente non
conosce gl'indugi, ha in orrore il domani, non
-a che sia impedimento, previene il comando:
tiene gli occhi attenti, tese le orecchie, la lin-
gua pronta a parlare, le mani disposte a fare,
i piedi liberi per muoversi: è tutto raccolto
per tutta raccogliere, appena potrà, la volon-
tà di colui che governa» (Serm. XLI). Ancora:
il vero obbediente quando ha conosciuto la
volontà di Dio, non solo la eseguisce sul mo-
mento, ma non la dimentica. Ogni prescrizio-
ne, ogni decisione, ogni intenzione espressa
dai superiori si stampa incancellabilmente
nella sua memoria, e non lo lascia credere,
che, per non essere di bel nuovo ed incessan-
lemente richiamato, un regolamento cada in
disusanza.

42.6 Page 416

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— 822 —
Interna soggezione della volontà.
Dunque prima di tutto fedeltà, puntualità,
prontezza nell'ubbidenza esteriore! Ma poi, e
soprattutto, sommissione sincera della volon-
tà, e adesione piena e cordialissima alla vo-
lontà che comanda! È questa l'anima dell'ob-
bedienza e là sua vita. Dio non si ripaga con
ostie morte. Se l'interno della coppa non è
puro che importa l'esterno? Quando anche
piegassi le ginocchia, se l'anima rimane al-
tera qual ossequio avresti reso? Quando si di-
ce di esser docili come uno strumento, ciò non
s'intende di un'ubbidienza meccanica, ma
d'una ubbidienza che ha la sua sorgente nella
volontà. Lo strumento qui prima di tutto è
l'anima, e la libertà deve in tal modo assog-
gettarla. « Ubbidite di cuore, ex animo », dice
San Paolo. Ogni altra obbedienza non è de-
gna di essere chiamata virtù. Quando adun-
que fai un'opera comandata, chinati avanti al
superiore, àpplicati, costringiti a volerla, ad
amarla, e farla solo perchè comandata. Metti
la tua volontà sotto quella del superiore, co-
me il cavallo è sotto il cavaliere che lo caval-
ca e lo guida. Rendi attaccato il tuo cuore al
precetto, come si attacca la barca alla nav
che la rimorchia. Sii lealmente, profonda-
mente, totalmente dipendente, ricevendo dal-
l'autorità ogni tuo movimento, come Gesù
riceveva il suo dal Padre. Se l'opera comanda-
ta ti torna a diletto, bada bene, dice SaE
- 823 —
Gregorio, di non lasciarti trascinare da essa
solo dall'allettamento. Opera per virtù, non
mai per sola inclinazione, o solo per uso. Che
se l'opera ingiunta ti riesce faticosa, sostieni-
la energicamente. Là dove si tratta di soffrire,
la tua ubbidienza abbia la gloria di perfezio-
narsi fino ad amar quella pena, che sarebbe
sufficiente accettare con pazienza. E là dove
Dio prescrive ciò che può solleticare il tuo
amor proprio, la tua indifferenza ti faccia
dominare il piacere, e lasci alla tua ubbidien-
za tutto il suo merito, e tutta la sua purezza.
Temi qui per altro una facile ed assai fre-
quente illusione. Voglio dire quella in cui uuo
cade, quando per via di sagaci osservazioni,
di sofismi più o meno coloriti, di lamenti, di
preghiere, o di qualche altra industria, indu-
ce i superiori a comandare, od a consigliare
ciò che esso desidera. È questo un rovesciare
tutto l'ordine, falsare l'obbedienza, e render-
la per lo meno sterile. Ascolta l'ammaestra-
mento di San Bernardo: « Se, desiderando una
cosa, secretamente o apertamente vi date
attorno perchè vi sia comandata, non spe-
rate di ubbidire in questo: non fate che se-
durvi. Chi governa in questo non è più il
vostro superiore, siete voi ».

42.7 Page 417

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— 824 —
Soggezione del giudizio.
Finalmente: quando Iddio formulò il suo
gran precetto, la perfezione, la pienezza del-
la sua legge, disse: « Tu amerai il Signori-
Dio tuo, con tutta l'anima tua, con tutta il
tuo cuore, e con tutta la mente tua». Hai vi-
sto come amare Iddio, per un religioso, pra-
ticamente vuol dire ubbidirgli. L'amore è un
fuoco, l'ubbidienza ne è la fiamma; l'uno non
va senza l'altra. Dio adunque dice in modo
equivalente: «Tu ubbidirai con tutta l'ani-
ma tua, con tutto il tuo cuore e con tutta la
tua mente». L'ubbidire con tutta l'anima, o,
come sta scritto altrove, con tutte le forze,
equivale ad eseguire prontamente, valorosa-
mente e costantemente ciò che è comandato.
L'ubbidire con tutto il cuore, equivale a sot-
tomettere la propria volontà alla volontà di
colui che comanda. L'ubbidire con tutta la
mente, equivale manifestamente a far cedere
il proprio giudizio a quello del proprio su-
periore, ubbidire cioè con umiltà. E infatti
questo è il punto culminante della ubbidien-
za. Tutti in religione sono tenuti ad obbedi-
re fino a questo punto, e sì fatto obbligo è
essenziale. Se vien meno l'ubbidienza del giu-
dizio, addio perfetta ubbidienza, addio sem-
plicità, addio umiltà, addio coraggio e for-
za. addio insomma tutto il vigore, tutta l'ef-
ficacia, tutta la dignità di questa grande vir-
tù. O noi mentiamo alla nostra professione
— 82
o siamo veri olocausti, cioè dobbiamo tutta
per intero consumare la nostra vita pel Si-
gnore. Ora chi pretende d'immolarsi a Dio
per intero deve necessariamente consacrargli
non solo la propria volontà, ma ancora il pro-
prio intelletto, sì che non abbia più coi supe-
riori che un solo e medesimo vedere, come
non ha con loro se non un solo e medesimo
volere. Senza dubbio non si tratta qui della
prima estimazione, che la mente fa delle co-
se al momento stesso che le vede! Questa è
piuttosto un'impressione che un atto. In ogni
caso non è un atto abbastanza libero per ca-
dere sotto la legge. Si tratta di un'estimazione
considerata, volontaria e definitiva, in una pa-
rola di un giudizio. Ora ti dico, che, eccettua-
to il caso, su per giù chimerico, di un erróre
manifesto contro la fede o di un comando im-
morale, l'inferiore deve sempre giudicare che
il superiore ha ragione e che la cosa che co-
manda è buona. Chi persiste nel voler disap-
provare il superiore, ascolti le parole di San
Paolo: «Se alcuno tra di voi si tien per sa-
piente secondo questo secolo, diventi stolto,
affine di essere sapiente davvero » (1). E pri-
mieramente, se sei nella verità, e non sei in
es.sa se non a patto di esser umile, diffide-
rai molto del tuo proprio giudizio. Esso è
(1) « Si quia videtur inter vos sapiens esse in hoc
saecuio, stultus fìat ut sit sapiens » ( / Cor., I l i , 18).

42.8 Page 418

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— 826 -
debole, limitato, e mille passioneelle mal re-
golate gettano frequentemente, senza che tu
lo sappia, delle ombre nella tua mente, per
quanto sii tu perspicace. Non appoggiarti sul-
la tua prudenza, dice il Savio (1). Cotesta le-
zione è per tutti. Inoltre avessi pure il vedere
altrettanto sicuro quanto ti sembra, ciò non
ostante essendo inferiore, non sei in posizione
da poter giudicare; che dall'alto e con visio-
ni unite si possono più rettamente stimare le
cose. Così le giudicano i tuoi superiori. Essi
possono avere per abbracciare questo o quel-
l'altro partito, venti motivi d'interesse genera-
le, che per forza a te rimangon nascosti. Ag-
giungi che, di solito, essi hanno maggior sa-
pienza e maggior esperienza. E se l'apostolo
vuole che ciascun cristiano stimi i suoi fra-
telli a lui superiori, sino a qual punto si do-
vrà estendere il dovere di rispetto ai supe-
riori di ufficio? Considera infine le grazie
speciali da Dio loro accordate per governa-
re, grazie che sono prima di tutto lumi, e che
mancano a te, essendo unite alle cariche, e
dette grazia dello stato. Quante ragioni accu-
mulate onde persuaderti, che in ogni occasio-
ne i tuoi superiori abbiano davvero ragione,
e per obbligarti quindi nel caso di un dissen-
so a preferire al tuo il loro giudizio! Bada che
lo Spirito Santo ci dice, in modo che sembra
(1) « Ne innitaris prudentiae tuae » (Prov., I l i , 5).
— 827 —
assoluto: Non giudicare contro il giudice, per
chè egli giudica secondo la giustizia (lì.
I superiori possono sbagliare.
Ma, finalmente, potrebbe ancora obiettare
qualcuno contro questa sottomissione del pro-
prio giudizio al superiore: anche i superiori
possono sbagliare, anzi non sono infallibili!
E posto che essi possano ingannarsi, anch'io
posso vedere che s'ingannano. E se davvero lo
vedo, come costringere la mia mente a trovare
assennatezza in un ordine insensato? Ed io
ti risponderei prima di tutto: dove sono le
anime semplici ed ingenue, che formano la
delizia del cuor di Gesù? dove sono i disce-
poli del presepio, i perfetti obbedienti che
strappano le grazie al Signore, e formano la
delizia degli angeli? Ma ancora una volta vo-
glio accondiscendere a parlarti ragionatamen-
te. Tu, non ostante il tuo buon volere, non
ostante i tuoi sforzi, non puoi non vedere che
quel tal comando che ti viene intimato non è
ragionevole. Ebbene: ciò non ostante, esegui-
scilo. Ciascuno è padrone dei suoi movimen-
ti: sforza il tuo corpo ad ubbidire. Poscia
conforma la tua volontà a quella del superio-
re; anche questo lo puoi certamente, purché
(1) • Ne iudices contra iudieem, quoniam secundum
quod iustum est iudicat • (Eccli., VIII, 17).

42.9 Page 419

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82 —
lo voglia; poiché (qualunque cosa dica la
mente) si vuole efficacemente ciò che si vuo-
le. Infine, poiché la tua mente non può tratte-
nersi dal giudicare qui qualche cosa, lascian-
do che l'ordine resti qual è, giudica che pra-
ticamente la miglior cosa per te, la più ra-
gionevole perchè la sola conforme allo spirito
e agli impegni del tuo stato religioso, è
l'ubbidire anche là dove il comando non sem-
brasse ragionevole. « Al superiore il discerni-
mento, all'inferiore l'ubbidienza », diceva San
Bernardo. Dio domanderà all'uno come ab-
bia governato, all'altro come si sia lasciato
condurre. Una volta formato questo pratico
giudizio, attienti ad esso assolutamente, e per
tema di formarne un altro viètati di pensare
alla natura dell'atto comandato. E se ritorna,
come può avvenire, lotta contro di esso come
si lotta contro una tentazione, nè deporre le
armi finché non l'abbia compiutamente vinta.
Bada che in questi casi così eccezionali, in
cui non puoi persuadere la tua mente che il
superiore abbia comandato giustamente, non
ti dico di veder bianco ciò che vedi nero, o
anche solo di sforzarti di veder bianco; ma
ti dico schietto: non guardare. Per questo non
si richiedono poi sforzi straordinari; si può
fare da chiunque! Segui pertanto questa re-
gola, nè dipartirtene mai; e in questo modo
praticherai l'ubbidienza di giudizio anche in
questi casi più rari e straordinari. E così la
tua mente sarà sacrificata a Dio come il tuo
829 —
cuore, e non mancherà nulla di essenziale al
vero olocausto, che offrirai di te medesimo
aalltruSiig. nore, per il bene proprio e pel bene
L'incomparabile Sant'Ignazio di Antiochia
scriveva al popolo di Efeso: «Siate premuro-
si di obbedire al vescovo. Uniti e d'accordo
con lui sarete uniti e d'accordo coi vostri
illustri sacerdoti, davvero degni di Dio. Tut-
ti insieme sarete corde attaccate ad una li-
ra. Entrate tutti in così fatta armonia, affin-
chè legati e d'accordo in quest'unità, che è
la musica di Dio, non abbiate tutti se non una
voce per cantare al Padre celeste il santo inno
di cui Gesù è il corifeo. Il Padre vi sentirà, e
giudicandovi sopra le vostre opere buone, vi
riconoscerà come i veri membri del Eigliuol
suo •?•. Mio buon giovane, cui ho parlato finora
della cara virtù dell'ubbidienza; se con for-
tezza e costanza sarai attaccato alla tua rego-
la, sottomesso ai tuoi superiori e unito in co-
testa sottomissione ai tuoi confratelli, riusci-
rai a formare ana musica magnifica avanti
all'Altissimo, e Dio metterà necessariamente
in te le sue compiacenze, perchè gli fai sentire
stilla terra l'armonia che sente in cielo.

42.10 Page 420

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— 830 —
CAPO XV
LA PRATICA DELL'UBBIDIENZA
Rendere libero il superiore.
Ma veniamo sempre più alla pratica. Sa-
puto che l'ubbidienza consiste nel sottomette-
re la propria volontà alla volontà di un altro,
sforzati di renderti sempre flessibile ai voleri
dei superiori, trattabile sotto ogni aspetto e
non mai difficile od importuno nel domandali'
che ti siano concesse eccezioni. Abbandonati
totalmente e senza alcuna riserva od eccezio-
ne al superiore; e sii sotto la sua potestà, in
modo tale, che egli possa con tutta libertà
comandarti o proibirti schietto e franco: fa
questo, fa quello; e non sia necessario usar
raggiri di parole, ovvero aspettare il tempo
opportuno per comandarti le cose che soglio-
no esser gravi e noiose, e vietarti le grate e
dilettevoli. Ch'egli possa in ogni luogo e in
ogni tempo comandare liberamente, con una
parola o cenno, quello che crederà meglio nel
Signore. E tu ubbidiscigli prontamente e con
allegrezza, e non con difficoltà e malavoglia.
— 831—
affinchè anche i superiori, come dice San Pao-
lo, possano comandare con gaudio e non con
gemiti (i).
Morte della propria volontà.
Un buon autore, parlando dell'ubbidienza
a cui deve assuefarsi il novizio, porta questo
paragone: Ricordatevi quando eravate piccini,
e v'insegnavano a scrivere. Vi dicevano di la-
sciarvi guidare la mano, senza seguire altro
movimento che quello che le si dava dalla
mano del maestro, per abituarla a formar be-
ne le lettere. Senza questo, voi lo sapevate
bene, non avreste fatto altro che scaraboc-
chiare sulla carta. Ebbene, per formarvi ad
essere buon religioso vi si dice a un di presso
la medesima cosa. Applicando il detto alla
volontà, rendetela morta, e non abbiate più
che quella del vostro superiore. Senza questo
la vostra virtù non sarà altro che una specie
di sgorbio spirituale. Astienti soprattutto da
ogni sorta di lamento o mormorazione anche
solo in te stesso, e da qualunque benché mini-
mo sospetto riguardo ai propri superiori. Non
vi è cosa che più possa ritardare, per non dire
del tutto impedire, il tuo progresso nella vita
spirituale quanto questa mormorazione. Essa
(1) « Obedite praepositis vestris, et subiacete eis...
ut cum gaudio boc faciant et non gementes » (Ebrei,
XIII, 17).
k.

43 Pages 421-430

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43.1 Page 421

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sola basta per spogliarti e privarti di tutto
quello, che con le tue fatiche e stenti già ti |
sei acquistato.
Tre gradi dell'ubbidienza.
Usa ogni industria per praticare i tre gradi I
che all'obbedienza assegnano San Bernardo e '
Sant'Ignazio. Il primo consiste nell'eseguir
sempre subito, ed in ogni cosa la volontà del I
superiore. Il secondo nel cercar di volere tutto (
ciò che il superiore vuole, cioè l'ubbidienza
sia fatta così spontaneamente come se vera-
mente fossi tu che volessi ciò che la regola
ordina e ciò che il superiore stabilisce. Il
terzo nel saper entrare nel pensiero del supe-
riore, vedere con gli occhi del superiore; sot-
tomettere cioè il proprio intelletto, persua-
dendoti che ciò che è ordinato dalla regola
o dal superiore, ed il modo con cui è ordi- I
nato, è proprio la cosa che deve sempre or- I
dinarsi ed il modo con cui va ordinata. Cerca I
di aver sempre una perfettissima conformità
ed armonia con la volontà e le disposizioni
del maestro, del direttore e degli altri supe-
riori; in modo tale, che sii persuaso esser
gran male il fare o lasciare alcuna cosa ben-
ché minima, proibita o comandata, o anche
solo che sia contro il tacito consenso, volere
o desiderio del superiore, o contro il suo
modo di vedere.
Come la regola vuole la nostra ubbidienza.
Tutte queste cose sono come ricapitolate
nell'articolo 44 del capo quinto delle nostre
costituzioni, dove si assegnano le qualità del-
l'ubbidienza. Poiché quivi è detto: ognuno
obbedisca al proprio superiore, considerandolo
in ogni cosa qual padre amantissimo, e ob-
bedendogli senza riserva alcuna, prontamente,
con animo ilare e con umiltà; persuaso che
nella cosa comandata gli è manifestata la
stessa volontà di Dio. Qui pertanto, posto
l'ammaestramento di considerare il superiore
come padre amantissimo, son notate le quat-
tro qualità della ubbidienza: 1° senza riserva
alcuna, cioè l'universalità dell'ubbidienza;
2° prontamente, cioè la puntualità della me-
desima; 3° con animo ilare, cioè la sponta-
neità, o il far le cose tutte volentieri; 4° con
umiltà, cioè la cecità dell'ubbidienza, assog-
gettando non solo la volontà, ma anche l'in-
telletto, ossia il proprio giudizio, al parere
del superiore. Finché si ragiona se la cosa
comandata è più o meno buona, e le circo-
stanze volute sono più o meno opportune, no
vi è mai ubbidienza vera. E infatti in con-
clusione si cerca di sottomettere il parere
del superiore al nostro, mentre l'ubbidienza
vuole che si sottometta il nostro a quello del
-uperiore. E tutte queste qualità sono pog-
giate sul punto soprannaturale, necessario,
assoluto, che cioè dobbiamo ubbidire persua-

43.2 Page 422

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8—
si che nella cosa comandata è manifestata
la stessa volontà di Dio. Senza questa so-
prannaturalità dell'ubbidienza, noi pur ub-
bidendo non eserciteremmo che un atto uma-
no, il quale sarebbe al tutto destituito di me-
rito, mentre poggiando sul principio sopran-
naturale riesce un atto grandemente meri-
torio avanti a Dio.
Le eccezioni e i permessi.
È della perfezione dell'ubbidienza, il pro-
curare di non domandar mai delle eccezioni
o dei permessi speciali senza vera e chiara
necessità. E quando questa necessità è reale,
non domandarli mai a mezzo di parole co-
perte, in termini oscuri, come se avessi pau-
ra d'essere compreso. Non ritornar mai alla
carica con importunità in modo di strappare,
come si dice, un permesso che non ti si vor-
rebbe accordare. Nè dar ad un permesso ac-
cordato più estensione che non ne abbia real-
mente: nè per il tempo, nè per il luogo, nè
per le circostanze. Ogni volta che credi op-
portuno domandare un permesso, mettiti pri-
ma nella disposizione di ricevere con calma
un rifiuto. Compi poi scrupolosamente, ma
senza inquietudine, e con quello spirito af-
fettuoso che non cerca altro che di piacere
a Dio, ciò che ti viene accordato.
835 —
Rendersi abili ai ministeri nostri.
È parte dell'ubbidienza il renderti abile
ai vari ministeri della Pia Società cui appar-
tieni: imparare volentieri quanto concerne il
metodo di educazione dei giovani; renderti
abile a fare catechismi, a lavorare negli ora-
tori, far bene le assistenze, insegnar bene le
scienze, le arti ed i mestieri. Studia anche
assai e renditi abile a subire gli esami pub-
blici, per procurarti qualche titolo d'inse-
gnamento. Impara le lingue e acquista molte
cognizioni, le quali possano poi servirti a
far maggior bene. San Giovanni Berchmans
era fiammingo, e non sapeva nulla di fran-
cese . quando entrò nel noviziato. Conosciuto
che la lingua francese gli sarebbe stata utile
per far poi maggior bene, non esitò un mo-
mento a rinunziare all'attaccamento natura-
le che si ha alla propria lingua. Non lasciò
passar giorno senza studiare un po' di fran-
cese, e fare traduzioni in quella lingua. E
appena potè, la parlò nelle varie ricreazioni
e tempi opportuni. E questo, diceva egli,
lo faceva molto volentieri, sempre con il pen-
siero che quello era secondo obbedienza, e
che con quello diveniva più abile ai mini-
steri della Compagnia, e perchè neppure
un'anima avesse poi ad avere qualche sca-
pito dalla sua ignoranza d'una tal lingua.
Procura anche tu di far cosi: non tralasciar
nulla che pos<-a renderti utile alla Società.

43.3 Page 423

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— 836 —
E se ne sei in occasione o puoi procurar-
tela, impara varie scienze e varie lingue, e
vedi di impararle bene. I vari missionari as-
sicurano che si può fare un bene molto più
grande, se s'impara la lingua del paese adot-
tivo tanto bene che quei del luogo quasi
non possano accorgersi esser noi forestieri.
E Don Bosco ebbe a ripetere, per animarci
a studiare varie lingue, che uno vale tanti
uomini quante lingue sa. Se tu pertanto hai
comodità, per esempio nelle vacanze, di po-
ter imparare qualche nuova lingua, od hai
comodità d'impararne avendo a trattare con
compagni d'altre nazioni che possono istruir-
tene con facilità, dimostreresti poco zelo, po-
co amore alla nostra Pia Società, ed anche
poco spirito di obbedienza, se, incoraggiato
a questo dai superiori, te ne mostrassi ritroso.
Lasciarsi guidare come i bambini.
È ancora della perfezione dell'obbedienza
il vedere talmente Iddio nei superiori, e il
rinnegare talmente ogni tuo giudizio per stare
al giudizio dei superiori, che non ti permetta
di fare alcun disegno sopra te stesso per le
occupazioni della vita futura. Lasciati gui-
dare come piace a loro, e lascia ai superiori
la libera disposizione di te, lasciandoti gui-
dare come fossi un bambino d'un sol giorno.
Non ti è vietato il far conoscere le tue abi-
—8
lità e le tue propensioni naturali, ma è an-
che più perfetto il credere che i superiori le
studino senza che te ne accorga neppure, e
che sappiano quali sono le tue abilità e di-
sposizioni. San Francesco di Sales ripetè più
volte, che egli aveva già pochi voleri e po-
chi desideri, e che anche in questi era poco
tenace; ma che se avesse avuto a nascere
un'altra volta, si sarebbe lasciato portare tal-
mente dalla Divina Provvidenza, come se
non avesse neppure un desiderio o inclina-
zione propria. 11 Cireneo aiutò Gesù Cristo
a portare la croce; ma se tu ti abbandoni
completamente alla Divina Provvidenza, Gesù
medesimo farà da Cireneo a te, e ti aiuterà
a portare la tua. Per riuscire a questo, non
hai che a figurarti sempre di vedere nella
persona del superiore la persona stessa di
Dio; nella volontà sua espressa la volontà
stessa di Dio: e così ubbidire, quasi direi, con
divozione, pensando direttamente che con
quell'atto fai un atto di ossequio a Dio, più
caro ancora che qualunque preghiera e qua-
lunque sacrificio. Così non solo ubbidirai vo-
lentieri, ma ancora con avidità ed allegrezza
e gaudio spirituale, desideroso persino che
comandi ripugnanti alla natura nostra ven-
gano con frequenza, per avere frequenti oc-
casioni di farti dei preziosi meriti pel para-
diso. E questa ubbidienza sia anche altret-
tanto perfetta per quanto riguarda la tua

43.4 Page 424

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— 838 -
direzione interna. Gli scrupoli e le meticolo-
sità sono per lo più conseguenza e castigo
del non acquietarsi con perfezione alla volon-
tà di Dio espressa per mezzo dei superiori.
Chi si persuade praticamente che il superiore
è Dio medesimo, supererà facilmente ogni
scrupolo, e acquisterà questa ubbidienza per-
fettissima. Andrà alla santa Comunione o la
lascerà, secondo che gli indica il confessore,
senza insistenza. Starà tranquillo nelle confes-
sioni passate o presenti, quando il confessore
dice di star tranquillo. Non sofisticherà nel
credere che vi sia il vero consentimento o non
vi sia, riguardo ai pensieri cattivi; che vi sia
o non vi sia sufficiente dolore o proponimen-
to, quando il confessore dice di star tranquil-
lo; nè temerà della integrità della confessione
o di far sacrilegio andando alla comunione.
Tutto questo, dico, è vinto dalla perfetta ub-
bidienza. Mentre invece se qualcuno comincia
ad impappinarsi su questi pensieri, e non è
ubbidientissimo al superiore come a Dio, egli
finirà per guastarsi la testa, e non più ren-
dersi atto nè per sè nè per gli altri, e Dio non
voglia che venga a perdere la vocazione e
persia la fede, come avvieie alle volte agli
scrupolosi.
Fiducia nell'ubbidienza.
Non esser pusillanime nell'obbedienza, te-
mendo di fare quello che ti è comandato, cre-
dendo che ecceda le tue forze, o ti sia perico-
loso al corpo o all'anima. Al perfetto ubbi-
diente appartiene di fare ogni sforzo per ub-
bidire, anche nelle cose che sembrano impos-
sibili quando gli fossero comandate. La divina
bontà si compiace grandemente di quegli sforzi,
perchè indicano un grandissimo e giocondissi-
mo sacrifizio. Essa poi molte volte aiuta in
modo, che quello che per sua natura sarebbe
stato impossibile, diviene possibile. Così il
divino aiuto, confermando l'ubbidiente con
una certa forza celeste, rimuove ogni pericolo
secondo che definisce il sacrosanto Concilio di
Trento, il quale asserisce che Dio non coman-
da le cose impossibili; che perciò quando co-
manda vuole si faccia ciò che si può, che si
domandi ciò che non si può, ed Egli aiuta,
perchè 'i possa (1).
Ubbidire nelle cose inutili.
Bisogna che ti assuefaccia persino a ubbi-
dire non solo nelle cose che si conoscono uti-
li e ragionevoli, ma anche in quelle che del
(1) « Deus impossibilia non iubet; iubendo monet
facere quod possis, petere quod non possis, et adiuvat
ut possis ».

43.5 Page 425

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8—
tutto paiono inutili ed inconvenienti purché
non siano peccati manifesti. Il merito e l'ec-
cellenza della obbedienza, non consistono
nell'utilità e grandezza della cosa che si fa
dall'ubbidiente, ma nella sommissione del-
l'intelletto e del cuore. E questa umiliazione
si esercita molto meglio quando si ubbidisce
nelle cose ripugnanti, o che sembrano irragio-
nevoli, che non nelle altre. Dobbiamo seguire
l'esempio di Gesù, che fu obbediente fino alla
morte e morte di croce, e aveva detto poco
prima di essere catturato: voi fate come ho
fatto io (t).
Rompere la propria volontà.
In una parola: sforzati con ogni tuo potere
a raffrenare e rompere la tua volontà, in tal
maniera, che a guisa di cavallo ben domato
possa ad un minimo cenno dell'ubbidienza
correre dovunque sia guidato, pieghi facilmen-
te in qualunque parte, e possa arrivare fino al
punto che non compaia neppure qual sia il
desiderio tuo, o qual cosa non desidereresti;
ma l'unico desiderio sia fare la volontà di
Dio, espressa nella volontà del superiore. Ri-
duciti in modo da poter dire continuamente
come Samuele: Parlate, o Signore, il vostro
(1) « Exempium euim dedi vobis, ut quemadmo-
dum ego feci vobis ita et vos faciatis » (Giov., XIII, 15).
841 —
servo vi ascolta. E con Saulo, ormai converti-
to in San Paolo: Che cosa volete da me, o Si-
gnore? Procura d'arrivare al punto, da non
aver a rallegrarti, ma piuttosto a contristarti,
quando il superiore asseconda la tua volontà,
e studiati di fare tutte le cose secondo il vo-
lere altrui. Impara a non mai fermarti a ra-
gionare sul motivo, sull'opportunità, sulla na-
tura del comando che ti vien fatto. Se non ve-
di lo scopo che si propone chi ti comanda,
che importa? Tu non devi che accettare ed
operare. È vero: la perfetta sommissione della
volontà costa fatica e sacrifizi! Si videro uo-
mini pronti a far grandi penitenze corporali,
a far lavori al tutto superiori alle loro forze,
fino a rovinarsi la salute: e tuttavia non saper
assoggettare abbastanza a Dio, perciò ai suoi
rappresentanti, la propria volontà. Umiliati
avanti a Dio, e Dio non si lascerà vincere in
generosità. Per ogni sforzo che tu farai, egli
ti donerà tesori di grazie e gaudi imperituri.
Utili riflessioni sull'ubbidienza.
Eccoti ancora alcune semplici riflessioni
sulla ubbidienza. Se Gesù Cristo si rendesse
a te visibile e ti parlasse, al primo suono della
sua voce non lasceresti tu ciò che ti occupa
attualmente, per quanto urgente ed utile ti

43.6 Page 426

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82 —
sembrasse? Aspetteresti tu, ad ubbidire, che
ti parlasse chiaramente; e dal momento che ne'
suoi occhi o da qualche segno potessi indo-
vinare la sua intenzione, esigeresti che si spie-
gasse meglio? Se Gesù Cristo si rendesse a te
visibile, metteresti differenza tra le grandi e
le piccole cose che ti ordinasse? Oseresti dir-
gli: Questo è troppo difficile, mi costa troppa
pena, arrischierei la mia salute? Oseresti an-
che solo fermati a pensare tra te e te: Egli
esige troppo da me: ad altri non comanda
cose così difficili? Se Gesù Cristo si rendesse
a te visibile lo annoieresti per farlo venire
del tuo parere, o non cercheresti piuttosto su-
bito di abbracciare il parer suo? Insisteresti
presso di lui finché ti avesse cambiato di casa
o di occupazione, o non ti avesse collocato
con un altro superiore, o con altri compagni,
in altra aria od in altre circostanze? O ti la-
menteresti finché non ti avesse collocato ad
arbitrio della tua volontà o del tuo gusto, o
non ti avesse dato quel che reclama la tua
suscettibilità piuttosto che la tua necessità?
Cercheresti di guadagnarlo alla tua causa a
forza di ragionamenti, o a forza di gentilezze
fatte per una specie d'ipocrisia? Se Gesù Cri-
sto ti si rendesse visibile, mormoreresti con-
tro i suoi ordini quando tu non ne vedessi
perfettamente la giustizia e l'opportunità? Fa-
resti difficoltà nel credere che egli potesse ave-
vere delle ragioni migliori delle tue, quantunque
843 —
tu non le comprendessi? Non penseresti piut-
tosto che tutto ciò ch'egli comanda è santo, è
buono, è utile, e che tu devi sempre e in tutto
ubbidirgli? Non saresti felice di essere sotto i
suoi ordini, ed essere scelto da lui per eseguire
i suoi voleri? Ebbene! Tu lo sai che è Gesù
Cristo che ti comanda quando ti comandano
i superiori; che è a Gesù Cristo che si ubbi-
disce quando si ubbidisce ai superiori. Oh co-
me a questo pensiero ben compreso, cessereb-
be ogni pena nell'ubbidienza, ogni ripugnan-
za, ogni tiepidezza! Mio Dio, aiutatemi a com-
prenderlo, ad amar sempre l'ubbidienza, ed
a lasciarmi guidare sempre da essa!
Motivi d'ubbidienza.
E perchè dobbiamo obbedire? Per quattro
motivi principali: — 1) Per l'eccellenza di
questa virtù. Essa sorpassa tutti i sacrifici che
si potrebbero offerire a Dio, perchè la nostra
volontà che gii si sottomette è qualche cosa
di più grande e di più perfetto, che tutte le
vittime del mondo. È lo Spirito Santo che ci
fa notare appositamente che avendo Saulle
riservato i migliori animali per offrirli a Dio.
contro il comando che ne aveva ricevuto, Id-
dio ne fu sdegnato e gli fece dire per mezzo
di Samuele, che il non obbedire era come un

43.7 Page 427

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8—
apostatare da Dio; e che l'ubbidienza valeva
meglio che tutte quelle vittime. — 2) Per i
meriti maggiori che fa acquistare all'ubbi-
diente; poiché essa dà molto valore a tutte le
azioni della giornata. Anche le più piccole
pratiche fatte per ubbidienza, fanno acqui-
stare maggior merito, che se si facessero an-
che grandi cose, senza l'appoggio dell'ubbi-
dienza. Per esempio, il piccolo digiuno del
venerdì, che da noi si fa per obbedienza, es-
sendoci imposto dalla regola, è più meritorio
che grandi digiuni fatti spontaneamente. —
3) Per la sicurezza che da questa virtù di fare
in tutto la santa volontà di Dio. Chi ubbidisce
è sicuro di non ingannarsi mai dinanzi a Dio.
e di fare una cosa molto gradita a questo no-
stro sovrano maestro.
Invero Dio disse ai superiori: Voi siete
dèi. Ed altrove: Chi ascolta voi ascolta me.
Ed altrove ancora: Obbedite ai superiori vo-
stri e state loro soggetti. — 4) Per seguire
l'esempio di Gesù Cristo. Egli fece come suo
cibo della obbedienza, e dal principio alla
fine della sua vita stette sotto l'ubbidienza.
E dopo d'essere stato sempre così ubbidiente,
c'ingiunge d'imitarlo: cóme ho fatto io così
dovete fare anche voi. Imitiamo adunque Ge-
sù: ubbidiamo sempre, facciamo anche noi
nostro cibo la volontà dei superiori, e tutto
ci riuscirà a vantaggio immenso dell'anima
nostra.
845 —
Ciò che dice San Bonaventura della ubbi-
dienza.
Giova ancora ascoltare San Bonaventura,
che riepiloga, si può dire, le cose fin qui
scritte, e le riconferma. « La prova della vo-
lontà soggetta ed obbediente, dice il Santo,
consiste in due cose: sommessamente fare le
cose che sono da farsi, e in queste cose or-
dinarie che sono da farsi pensare a farle per
ubbidienza. La grandezza del merito presso
Dio nel fare, l'ubbidienza, dipende dallo spi-
rito con cui si eseguiscono le cose comandate.
Tutto quello che comanda il superiore, si deve
del tutto accettare, ed eseguire come se fosse
comandato da Dio stesso. Niuna cosa ci pro-
cura maggior merito avanti a Dio, perchè
niuna cosa gli è più gradita del dono della
santa ubbidienza. Nè alcuno si trova così
pronto, libero e spedito nel correre veloce-
mente pel sentiero della cristiana perfezione,
come il vero ubbidiente. Per la qual cosa se
vuoi esser dedicato a far sempre il volere di
Dio, bisogna che ti assoggetti per suo amore
alla volontà del superiore, e che perciò total-
mente ti doni all'obbedienza. Anzi il perfetto
obbediente non aspetta mai la parola od il
comando, quando sa quale sia la volontà del
superiore. E questo reputo essere l'ottimo
ìrado dell'ubbidienza, quando il suddito ac-
cetta ed eseguisce l'opera a sè commessa, con

43.8 Page 428

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——
10 stesso animo e desiderio col quale dal su-
periore gli vien comandata. E così dalla vo-
lontà di colui che comanda, dipende l'inten-
zione di chi eseguisce il comandamento J>.
Pertanto « il vero obbediente, prosegue San Bo-
naventura, non deve presumere di giudicare
l'opinione o la determinazione dei superiori.
11 suo ufficio è di obbedire e mandare in ese-
cuzione quanto è comandato, come ad essi
superiori si appartiene il comandare. Se tu
pertanto vuoi fare gran profitto in questa
virtù, conviene che tra te stesso, con costante
deliberazione, proponga di voler sempre ed
in ogni cosa divotamente obbedire ». Senza
l'ubbidienza nemmanco le opere buone sono
buone, secondo che insegna San Bernardo.
Questi scrivendo sul cantico di Salomone,
dice: Certo è un gran male la propria volontà,
per cagione della quale avviene, che i beni
che tu fai non siano buoni. Poiché dice il
Signore che se nel giorno del tuo digiuno si
trova la tua volontà, tal digiuno non è grato
a Dio. Pertanto i nuovi discepoli di Gesù
Crocifisso in tutte le cose che sono per fare,
cioè nelle opere, nelle parole, nei desideri,
nell'uso di qualunque cosa, debbono atten-
dere, desiderare e seguire la disposizione ed
il beneplacito dei superiori, e non la pro-
pria volontà. E non solamente devono i veri
ubbidienti ubbidire ai superiori maggiori,
ina anche a tutti quelli che hanno qualun-
que benché minimo grado di superiorità, e
perfino agli eguali ed inferiori a sè; non sti-
mando nessun altro minore di sè, ma piut-
tosto maggiore e superiore. Perciò conviene
che, sull'esempio di San Paolo apostolo, ti
faccia servo volontario di tutti; e. che così
tutti siano scambievolmente (come è scritto
dal medesimo Apostolo) soggetti l'uno al-
l'altro nel timore di Cristo. E conchiude San
Bonaventura, e con questo chiudo anch'io
questo capitolo: «Tutto ciò che il religioso
fa o dice di bene conforme a quanto desi-
dera il suo superiore, non è defraudato dal
merito della vera ubbidienza. Questa è tanto
più meritoria e grata a Dio, quanto è più
volontaria e libera, e parte da un cuor magna-
nimo, leale ed allegro, il quale ha già do-
nato e spesse volte ridona tutto se stesso,
per amore al suo fedelissimo amatore Gesù
Crocifisso; e per lui si sottomette a' suoi
ministri in terra, e ad ogni creatura. E ben
felice e più che avventurata è tale sommes-
sione e tal servitù, anzi gloriosa libertà. Per
essa il religioso, vendutosi e dedicatosi ad
una reale servitù, determinando che Iddio
ed i suoi vicari piuttosto che se stesso re-
gnino sopra di sè, rifiuta totalmente e sprez-
za la sua propria volontà, come quella che
già sempre lo ha ingannato e inclinato al
male, e condotto molte volte nella servitù
di Satana ».

43.9 Page 429

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8—
CAPO XVI
DELLA DISCIPLINA RELIGIOSA
E DELLA INDISCIPLINATEZZA
A compire questa trattazione dell'obbe-
dienza, bisogna parlare anche dell'ordine, ossia
regolarità esteriore che è da aversi in ogni
comunità ben ordinata, cioè della disciplina.
A molti può sembrare che la disciplina e la
regolarità esteriore sia una virtù piccola. Ma
in realtà come l'indisciplina al religioso è sor-
gente di grande discapito, così la disciplina-
tezza è d'indicibile vantaggio, e deve tenersi
dal religioso in gran conto. Tu pertanto propo-
niti seriamente, ora che sei giovane, di aborri-
re l'indisciplinatezza cagione di molti disor-
dini, e di abbracciare con slancio di cuore la
vera disciplina religiosa apportatrice d'edifi-
cazione e d'ogni bene.
Importanza dell'ordine esteriore.
L'ordine è necessario in ogni cosa, in ogni
tempo, in ogni luogo. Quando l'ordine natura-
le dell'universo fosse violato, verrebbe la fine
della creazione, il caos. Così quando quest'or-
dine venisse violato nelle cose morali, ne ver-
849 —
rebbe lo sfacelo della società, delle congrega-
zioni, dell'umanità. Come l'ordine è quello che
rende forte ed invincibile un esercito, così è
quello che rende salda e potente la Chiesa,
fiorente e tranquilla una congregazione reli-
giosa. Finché la nostra Pia Società sarà ordi-
nata, ed i suoi membri ben disciplinati, essa
prospererà. Dal momento che entrasse in noi
l'indisciplinatezza, essa andrebbe in sfacelo.
Vedi tu pertanto di quanta importanza sia
questo argomento di cui ti parlo, e àpplicati
con tutte le tue forze a fuggire l'indisciplina-
tezza, e ad acquistare sia l'interiore che l'este-
riore spirito di ordine e di disciplina.
Che cosa è la disciplina.
Secondo la bella definizione di San Cipria-
no la disciplina, considerata nel suo primo e
generale significato, è: «L'ordinata correzione
dei costumi, e l'osservanza delle regole lascia-
teci in eredità dai nostri maggiori ». In prati-
ca si prende per l'esecuzione delle norme di-
rettrici della vita esterna di comunità, e for-
matrici del carattere di uomo, di cristiano
perfetto, di osservante religioso. La parola di-
sciplina include sempre l'idea di ordine, e si
può dire che della parola ordine sia sinoni-
ma. Infatti la disciplina non può essere qua-
le si conviene se non è ordinata, nè l'ordine
può essere tale veramente se non è disciplina-

43.10 Page 430

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to. Può anche tenersi la disciplina per la gran-
de maestra del vivere sociale, che, quale ri-
spettata e potente regina, deve reggere ogni
istituto religioso. La disciplina adunque ri-
guarda tutto l'esteriore portamento del reli-
gioso, e ne forma il suo migliore ornamento.
Necessità della disciplina.
I mondani non possono vedere le virtù in-
terne dei religiosi, fossero pur esse esimie e
praticate in modo eminente. Essi non vedono
se non quanto compare all'esterno, e perciò
ne ammirano la concordia, la regolarità, l'or-
dine esteriore. E sarebbero assai scandalizzati
se scorgessero nel religioso o nella comunità
discordia, disordine, indisciplinatezza. È per-
tanto ben importante, che l'esterno, sia del-
l'individuo che della comunità, appaia ben or-
dinato e regolato. E noi siamo obbligati a dare
questo esempio agli uomini ed al mondo. San
Paolo conoscendo quanto bene proviene da
questo buon ordine in ogni cosa, lo raccoman-
da e si rallegra coi Colossesi, perchè lo aveva
ammirato tra di loro. E traendone da questo
buoni auspici, scrisse loro congratulandosene,
e mostrandosi di loro molto contento (1). In-
vece egli si trova molto malcontento dei Co-
ti ) «Videns ordinem vestrum et firmamentum
eius » (Coloss., II, 5).
liuti, nel timore di trovare tra loro dissen-
sioni (1). Nè solo la vera disciplinatezza è or-
dine esteriore o necessario perchè edifica i
profani; ma anche perchè serve mirabilmente
di buon esempio e di conforto ai nostri me-
desimi soci e confratelli. Occorre adunque
che l'esterno tutto sia in te ben regolato. Al-
lora esso è come uno specchio da cui traluce,
agli occhi e degli esterni e degli interni, l'im-
magine delle tue virtù. Giova moltissimo a
formare nell'altrui concetto l'impressione di
virtù e di religiosa probità nel religioso, ed
a far apprezzare dagli esterni la vita religiosa,
e la società a cui appartiene. Il quale buon
concetto ognuno è tenuto a procurare per
quell'amore che deve portare al proprio isti-
tuto, cui deve far onore, e cui deve procurare,
dal canto proprio, tutta la stima ed il buon
credito, che un buon figliuolo è tenuto a pro-
muovere colla nobiltà delle sue azioni, al de-
coro ed alla buona opinione della sua casa.
Ciò che ne dice la Sacra Scrittura.
Il Savio chiama amore la cura della disci-
plina e la custodia delle sue leggi. E lo stesso
Savio a guisa di un padre, che, bramando
istruire i suoi teneri figliuoli, istilla in essi
(1) «Ne forte contentiones... diSBentiones... sint
inter vos » (II Cor., X I I , 2).

44 Pages 431-440

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44.1 Page 431

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sentimenti di morigeratezza, e porge loro do-
cumenti di saggia, onorevole ed edificante
compostezza, tutti esorta i giovanetti ad an-
dar da lui, per apprendere fin dalla tenera
età i tratti di una buona disciplina, volendo
loro dispensare con essa un dono assai prege-
vole. Perciò li esorta dicendo: Accettate la di-
sciplina e non vogliate rigettarla (1). Ascol-
tate o figliuoli la disciplina del padre, ed io
vi darò dei bei regali. Onde col crescere degli
anni, crescendo sempre più l'ordine e la com-
postezza, si aumenti pure il decoro proprio
e l'altrui, nel che tutta si restringe in sostanza
la civiltà del vivere (2). Quando non vi ha
disciplina si va di male in peggio (3). Ma se
all'opposto un religioso, specialmente novello
e giovane, non curando affatto la disciplina,
la rifiuta e la disprezza, egli sarà il disonore
di sè e di tutta la società cui appartiene. Han-
no ricusato di sottomettersi alle giuste pre-
scrizioni della disciplina, direbbe il profeta
Geremia (X, 3), e hanno perciò costoro fatto
un volto duro più dei macigni. Or vedi, fi-
gliuol mio, se l'indisciplinatezza sia quel male
da nulla, che viene falsamente riputato! Vedi
se la disciplina sia quella virtù, che si giudica
di sì tenue rilevanza! Ad inserir pertanto ne!
(1) « Accipite disciplinam et nolite abiicere eam ».
(2) « Tene disciplinam, ne dimittas eam, custodi
illam: quia ipsa est vita tua » (Prov., IV, 13).
(3) « Est processio in malis viro indisciplinato »
(Eccli., X X , 9).
tuo animo un santo scrupolo e una religiosa
delicatezza, ti proporrò alcune cose in cui
principalmente conviene che osservi una per-
fetta disciplina.
Pratica della disciplina: levata e silenzio.
Risplenda anzitutto ordine e buon modo
disciplinare nell'osservanza esatta anche este-
riore di tutte le costituzioni e le obbedienze di
casa. Procura, cominciando dalle prime opera-
zioni del mattino, d'essere esattissimo nell'al-
zarti dal letto, far ogni cosa con modestia,
pulirti bene le mani, il volto, il collo, ravviare
i capelli, assettar bene il tuo letto, vedere che
gli abiti e le scarpe non siano inzaccherate.
Questo primo punto di disciplina della gior-
nata ti aiuterà a proseguire bene tutto il gior-
no. Bada bene che la levata comune è uno dei
punti principali pel buon ordine di una comu-
nità, e lo è pure il silenzio in tutti i tempi sta-
biliti, specialmente, come c'inculcò Don Bosco,
dalla sera dopo le preghiere fino al mattino
dopo la santa messa. Se tu pertanto trasgre-
dissi o la puntualità nella levata, o il silenzio
durante la medesima, saresti bene a ragione
detto indisciplinato, e non potresti esser tenu-
to per un buon religioso.

44.2 Page 432

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— 854 —
— 855 —
Puntualità ed esattezza dell'orario.
Altro punto di disciplinatezza è di trovarti
sempre a tempo a tutti gli uffici della comuni-
tà; mai arrivare con minimo ritardo, nè alle
pratiche di pietà, nè agli studi ed alle scuole,
nè al refettorio, nè alle ricreazioni o alle pas-
seggiate, nè specialmente alle varie assistenze-
di cui fossi incaricato. Che disordine sarebbe
se si lasciassero i giovani senza assistenza,
per attendere a conversazioni inutili; se si ab-
bandonasse l'assistenza del dormitorio, per
andar a prender aria, o a far cicaleccio con
altri fuori del medesimo; o, peggio ancora,
per unirti ad altri a far scherzi, merenduole o
simili! È vero inconveniente in una comunità
il vedere qualcuno che arriva sempre un po
in ritardo. L'esecuzione esatta, puntuale di
tutto l'orario della giornata è un altro dei punti
essenziali per il buon ordine di una comunità.
Se non ti accostumi ad una assoluta esattezza
ora che sei giovane, e che sei in una comunità
ben regolare, sta' sicuro che in seguito saresti
poi un assistente negligente, un negligente
maestro, e Dio non voglia che, se ti si affi-
dasse questa carica, non avessi a riuscire un
superiore negligente.
Disciplina nella chiesa, studio, scuola.
Deve poi risplender la tua diligenza e la
tua disciplinatezza nel comportamento tuo e
in chiesa, e nello studio, e specialmente nelle
scuole. Procura in chiesa di non farti mai
vedere annoiato, ma fervoroso; mai sdraiato,
o malamente appoggiato, ma molto ben com-
posto; non sbadato guardando qua e colà, os-
servando chi entra o chi esce, o sbadigliando,
bensì raccolto e divoto. La disciplinatezza nel-
lo studio, oltre all'arrivar sempre a tempo e
al non parlare e stare in una compostezza de-
cente di corpo, richiede pure che non si perda
briciolo di tempo, non si facciano rumori, si
rispetti chi assiste, non si abusi per nulla
quando egli si assentasse, si tengano i libri
ordinati, non si straccino gli orli, nè si scara-
bocchi alcun libro o quaderno, e si badi che
non vengano in alcun modo macchiati. Nelle
scuole più che tutto è necessario la disciplina.
Bada a stare con riverenza avanti a chi t'in-
segna, e ben attento alle spiegazioni. Non leg-
gere o fare altro al tempo di qualche spiega-
zione: il silenzio deve essere completo. Non
ti è lecito interrompere la spiegazione, do-
mandare spiegazioni ad altri, far domande
inopportune; e tanto meno poi rispondere
se sei ammonito di qualche cosa. La mede-
| sima disciplinatezza ti vieta di brontolare
I

44.3 Page 433

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— 856 —
— 85 —
dei libri di testo rivedendo le loro bucce, Nelle conversazioni.
del metodo d'insegnamento, dei tuoi profes-
sori, o di mormorare comecchessia di essi.
Risplenda ordine e buon modo disciplinare
nelle tue conversazioni. Conviene che ti faccia
molto socievole indifferentemente con tutti i
confratelli, e coi giovani coi quali avessi a
Non uscire senza motivo e permesso.
trattare. In quelle ore ed in quelle circostanze
pertanto in cui si ha da conversare od a far
Introdurrebbe il più grande e rovinoso di-
sordine nella comunità, e perciò darebbe se-
gno di massima indisciplinatezza chi uscisse
di casa senza permesso, o senza permesso si
recasse a visitare parenti od amici; chi accet-
tasse inviti a pranzi od a divertimenti: chi si
lasciasse indurre a fumare, andare a bettole,
a caffè. Chi poi per star fuori mancasse alle
pratiche ordinarie della comunità, od arrivas-
se a casa alla sera ad ora tarda, commettereb-
be addirittura una indisciplinatezza imper-
donabile. Questo punto dell'uscita libera,
ricreazione, conviene che ti mostri allegro, che
vada un po' con tutti, cioè con chiunque con
cui abbia da fare, senza distinzione. Conserva
quel contegno e quel rispetto, che viene pre-
scritto dalla religiosa civiltà. Ma bada che
non ti è lecito trattare nè coi confratelli nè
coi giovani con quella certa scioltezza di trat-
to, che potrebbe piuttosto dirsi dissolutezza,
i Certi scherzi licenziosi, se ripugnano anche
ai secolari, molto più disdicono ai religiosi.
Da costoro debbono essere affatto escluse le
profanità, le sciocchezze che possono farli
comparire dissoluti di lingua e forse anche
mancare a pratiche comuni o arrivar tardi, dissoluti di cuore. Una importuna serietà è
non parrebbe neppur possibile in una ben or biasimevole in noi; ma è altresì e molto più
dinata comunità. Tuttavia tra noi, con tante biasimevole una vivacità che avesse del licen-
occupazioni, con una vita tanto attiva, con zioso. Questa adunque deve essere frenata e
tanti disparati uffici ed impieghi, la cosa non ristretta, tra i confini di una ben regolata
sarà nuova. Quel che è al tutto indispensabile moderazione. Lo stesso e molto più deve pra-
si è che ogni cosa sia regolata dall'obbedien- ticarsi alla presenza degli scolari esterni, tut-
za; che tu cioè, nè ora, nè in seguito, non ti te le volte che la necessità o la convenienza
prenda mai di tuo arbitrio di queste libertà
tanto pericolose a ciascun individuo ed al-
l'ordine della comunità.
richiegga di trattare con loro. Una persona
savia e disciplinata, dice l'apostolo San Gia-
como, deve far vedere, dalla sua buona ma-
I

44.4 Page 434

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niera di conversare, la qualità delle sue opere.
11 secolare si forma subito il concetto del reli-
gioso, particolarmente giovine, dalla sua ma-
niera di conversare. Se lo scorge serio, ben
composto, rattenuto, circospetto nelle parole,
nei gesti, nelle azioni, rimane di lui edificato,
formandosene buona opinione. Ma se all'oppo-
sto l'osserva sguaiato nell'allegria, se lo vede
troppo franco nel prendersi delle indebite li-
bertà, ne perde subito ogni stima, e meravi-
gliato dice nel suo interno: nulla essere in lui
di buono.
II rispetto a tutti.
È inoltre un punto di buona disciplina es-
ser nel tratto rispettoso verso tutti, non esclu-
si ancora gli eguali e gl'inferiori. Molto più
per altro deve praticarsi il rispetto coi supe-
riori e con i soci più anziani e provetti. Alla
loro presenza non è lecito essere insolente, o.
contro l'avvertimento dello Spirito Santo, il
far molte parole, nè mostrarsi presuntuoso (1).
Non è certamente tollerabile il vedere un no-
vello religioso senza rispetto, senza civiltà,
-enza creanza, trattar con tutti colla medesi-
ma libertà e confidenza. È non solo da ardito
(1) «In medio magriatorum non praesumas, et ubi
sunt senes, non multum loquaris » (Eccle. X X X I I , 13).
ma da sfacciato il non dimostrare il dovuto
rispetto a proporzione del grado e dell'età
sempre venerabile presso gli uomini.
Disciplinatezza nei lavori manuali.
Risplenda anche la tua disciplina nei vari
lavori manuali che avessi a compiere. È buo-
na usanza nei noviziati e negli studentati di
far compiere dagli alunni la maggior parte
dei lavori manuali che occorrono per la casa,
sia per la pulizia, sia per l'apparecchio dei
refettori, come anche per gli altri lavori di ca-
sa o di campagna. Queste cose sono anche ge-
neralmente utili per la sanità. Il buon ordine
vuole che tu adempia volentieri queste occu-
pazioni, che le faccia bene, e che le compia
con buono spirito, cioè proprio pensando di
compiere un dovere che davanti a Dio è me-
ritorio quanto e più di qualunque altro. Sa-
resti al tutto biasimevole se le compissi con
mal garbo e malamente, come per esempio
scopando suscitassi gran polvere o gettassi
la scopatura tra i piedi altrui; se preparando
i refettori ti lordassi sbadatamente le vesti,
rompessi i piatti, dimenticassi qualche po-
mata o simili; se mettendo inchiostro, inzac-
cherassi o facessi cadere i libri. Accostùmati
per tempo a far bene anche le piccole cose
•nateriali, e ti troverai poi contento.

44.5 Page 435

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— 86 —
Uso d'una data lingua e rispetto alle nazio-
nalità altrui.
Occorre anche in vari casi, dove vi sono
novizi e studenti di differenti lingue, affin-
chè nessuno perda l'abitudine di parlare la
propria, ed anche affinchè tutti imparino be-
ne quella del luogo in cui sono, si diano nor-
me di parlare nella data lingua in ore o in
circostanze particolari. Appartiene alla buo-
na disciplina ed al buon ordine che tu fac-
cia come è prescritto, e che lo faccia esat-
tamente, con semplicità, con buona volontà.
Qui è il caso e l'occasione di farsi dei meriti.
Il mancare all'obbedienza in queste circo-
stanze, il mostrarsene ritroso, è uno dei con-
trassegni più dannosi della indisciplinatezza.
Uguale e maggior biasimo meriterebbe chi
suscitasse questioni di nazionalità o dicesse
parole di qualche disprezzo per altra nazio-
ne, o si lasciasse sfuggire motti o facezie me-
no che delicate e caritatevoli a questo ri-
guardo. Alle volte queste piccolissime scin-
tille sono atte a suscitare grande incendio, e
capaci a distruggere affatto la carità, ad in-
torbidare la pace in qualche individuo, e a
produrre un'indisciplinatezza completa in una
comunità. Ti ripeto una seconda volta, e te
lo ripeto una terza: trattandosi di sentimenti
nazionali, sii guardingo fino all'eccesso nelle
parole che dici, e delicatissimo in ogni tuo
portamento ed espressione.
- 861
Il portamento esteriore.
Risplenda poi la disciplina nell'esteriore
portamento. « Dallo sguardo, si conosce l'uo-
mo, e dall'aspetto della faccia si conosce il
sensato, e il riso ed il portamento dànno in-
dizio di lui» (1). Se dall'aspetto esteriore
dunque si distingue la qualità della persona,
se dalla compostezza del volto si viene in co-
gnizione della sensatezza dell'uomo, se la fog-
gia del vestire, la maniera del ridere, la guisa
del camminare, formano il carattere del suo
interno, una grande avvertenza si richiede e
un sommo studio in un religioso, affinchè
tutto l'esterno sia posato e ben composto.
Tanto più che da ciò molto dipende l'edi-
ficazione di chi l'osserva ed anche il profitto
di chi lo pratica, dal momento che se sarà
ben ordinato l'esterno anche l'interno sarà ben
composto. Di qui quella premura che si ha
generalmente, e che si dovrebbe avere anche
di più dai vari istituti religiosi, di accostu-
mare i novelli soci fin dall'anno del loro no-
viziato in questa sì eccellente esteriore com-
postezza. Da questa risulta ad essi un bene
spirituale grande, e un decoro a tutta la Con-
gregazione cui appartengono. All'opposto ne
deriva un detrimento ben grande allo spirito
e un gran disdoro alla comunità, dalla scolli-
ti) • E x visu cognoscitur vir, et ab occursu faciei
cognoscitur sensatus... et risus dentium, et ingressus
homlnls enuntiant de ilio • (Eccli., X I X , 26-27).

44.6 Page 436

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postezza dell'esterno comportamento di qual-
cuno. Un camminare impetuoso, un occhio
sempre in giro, le mani in saccoccia, l'abito
mal disposto, il cappello posto a sghimbe-
scio, la mantellina gettata a tracolla, sono
cose disdicevoli ad un religioso. In occasione
di passeggio indicheresti poco buon ordine,
poco buona disciplina, se ti facessi aspettare,
se le tue vesti non fossero in ordine, se ti
sbandassi, se cercassi di andare più in fretta
o più adagio degli altri, se camminassi trop-
po grossolanamente. Un tratto troppo confi-
denziale con qualche persona che s'incon-
trasse pei luoghi pubblici, sarebbe di disdoro
ad un religioso. Oh qual trista impressione
formerebbe in chi vedesse in noi siffatti an-
damenti. che sono purtroppo indizi manife-
sti di un cuor leggero, d'un animo mal edu-
cato ed indisciplinato! Così si avvilirebbe l'i-
stituto nell'opinione del pubblico. Ah! figliuol
mio: se ti preme il decoro della nostra so-
cietà e il tuo buon nome, guardati sempre da
tali leggerezze, o a meglio dire, da tali di-
fetti perniciosi. Alla disciplina del portamen-
to si appartiene ancora la compostezza del
sedere, per cui è disdicevole l'abbandonare
il corpo a un lato del sedile, il tenere distesi
le gambe, o tenerle a cavalcioni ponendone
una sopra l'altra. A questo punto stesso di
disciplina appartiene specialmente il tenere
i capelli corti, ben pettinati; ma non mai
colla spartita o col ciuffo, cose tutte secola-
resche. È disciplina l'esteriore mondezza, non
solo degli abiti, ma ancor della persona, del-
la camera, del posto di studio, e di tutto ciò
che appartiene al religioso. Su di che, per
non mancare e nello stesso tempo per non
andar negli eccessi, si osservi il nobil avver-
timento, dato su tal proposito da San Giro-
lamo a Nepoziano: la ricercatezza e la sor-
didezza sono parimenti da fuggirsi, altrimen-
ti si cade nel ridicolo e nel disonore. Gli oc-
chi del più schifiltoso mondano non scor-
gano in te alcuna cosa, che abbia del sor-
dido e del ributtante. Ma non vedano neppu-
re alcuna cosa che disdica alla povertà! Sia
povera la tua cantera, ma sia pulita; siano
poveri i mobili di casa, ma siano netti come
uno specchio; siano pur poveri e già adope-
rati i tuoi libri, ma non siano scarabocchiati
o sudici.
Osservanza dell'urbanità.
Qui ancora mi giova rammentarti che è
parte importante della disciplinatezza religio-
sa, di cui devi fare gran conto, l'osservanza
esatta delle regole di urbanità, ossia di gala-
teo, che ti vengono insegnate. Ogni inosser-
vanza di quelle regole è un difetto contrario
alla disciplina religiosa. Osservale, osservale
tutte e sempre, in pubblico e persino da te
in privato, per accostumarvi^ bene. Così ti

44.7 Page 437

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— 864 —
farai grandi meriti in faccia a Dio, richieden-
do l'osservanza di ciascuna di quelle o un at-
to di rinnegamento di te, o un atto di umil-
tà, o uno di carità fraterna. Inoltre farai an-
che un buon nome alla nostra Pia Società;
e attiràti da questo buon nome, molti genito-
ri ci affideranno i loro figliuoli, e perciò mol-
to maggior bene si farà alle anime.
Importanza della disciplinatezza.
Le cose sin qui dette paiono piccole, ma
sono importanti. Rimane tuttavia a dire del-
la cosa più grave che riguarda la discipli-
natezza, la quale, se eseguita, forma il perno
dell'ordine, e se trasgredita, il maggior disor-
dine in una comunità, vuoi civile c vuoi re-
ligiosa. Quando è emanato un ordine genera-
le, bisogna che tutti d'accordo si pongano ad
eseguirlo. Non si possono ammettere scuse e
pretesti; come non fi possono ammettere in-
dugi e ritardi. Non è più il tempo di ragio-
nare sull'opportunità o meno di quell'ordine,
sulla sua bontà o sconvenienza: è il tempo
di eseguire.
Che ne avverrebbe di un esercito se gli
ordini d'un generale capo, non che dei vari
generali, ma anche dei capitani e degli altri
ufficiali, invece di essere eseguiti fossero tra-
sgrediti, od anche solo discussi? È la parola
d'ordine: anche solo per la disciplina dell'e-
- 865 —
sercito si deve pretendere che ogni ordine
sia eseguito. Applica questo alle cose eccle-
siastiche ed a quelle che riguardano gli isti-
tuti religiosi, e vedrai che dall'osservanza in-
tiera e compatta verrà la prosperità ed il po-
ter riuscire a far del bene. Invece dall'inos-
servanza viene ogni disordine ed ogni ma-
le. I danni dell'indisciplinatezza non avvengo-
no solo negli istituti religiosi; ma anche nel-
la Chiesa e nella civile società. Noi non po-
tendo di più, dobbiamo almeno dare buon
esempio. Quante volte il medesimo Sommo
Pontefice vede non eseguiti immediatamente
i suoi ordini, ma li vede discussi, stiracchia-
ti ed interpretati a modo proprio da molti,
e che siedono in alto e che siedono in basso!
Da questo vengono inconvenienti per tut-
ta la Chiesa, o per qualche nazione in parti-
colare. Quante volte i vescovi vorrebbero in-
trodurre qualche buona pratica o sradicarne
qualcuna cattiva, e vi è, anche tra i guardiani
d'Israele, tra coloro che dovrebbero aiutarlo,
chi fa opposizione o aperta o anche solo mu-
ta! Questa è indisciplinatezza. Quante volte,
in fatti gravi, come di elezioni, di azione cat-
tolica, si ha da deplorare che non vi è unione
anche tra i buoni, e perciò non .si può fare
del bene! Che cosa è questo? È pura indisci-
plinatezza nel senso alto della parola. Intanto
si vedono le cose che van male: comuni ro-
vinati, posti a guidare paesi cattolici i più
scamiciati nemici del cristianesimo. E perchè?

44.8 Page 438

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—8 —
Perchè non vi è unione fra i cattolici; perchè
il demonio della superbia ed indisciplinatezza
è entrato anche nel campo, del Signore. Que-
sto è il massimo danno dell'indisciplinatezza:
e non vi hanno parole abbastanza ardenti per
stigmatizzarlo, nè lacrime abbastanza cocenti
per piangerlo.
Grave male dell'indisciplinatezza.
Parrebbe che questo sia l'estremo male,
pure vi è ancora una cosa di più, ed è la
aperta ribellione all'autorità. La radice è ben-
sì sempre la superbia; ma la base è l'indisci-
plinatezza. Ario, Calvino, Lutero e tutti si
può dire gli eretici, non furono che demoni
d'indisciplinatezza. E tu, per te e per il
nostro caso pratico, pensa che nel nostro pic-
colo possono accadere le cose più gravi che
abbiano da far piangere a lacrime di sangue
il corpo intero della nostra società. Questo
avverrebbe quando si contraddicesse aperta-
mente agli ordini dei superiori: quando, da-
tosi un ordine pubblico in casa od in colle-
gio, si vedesse un socio salesiano a trasgre-
dirlo per primo; e specialmente quando si
facessero capannelli per suscitare malconten-
ti, incitare altri, brontolare in crocchi, com-
binando insieme sul modo di mettersi tutti
d'accordo per porre come un muro resistente
alla volontà dei superiori; e più, poi, venire
ad aperte ribellioni o non volervisi adattare.
— 867 -
Ciò che vediamo altrove, può avvenire anche
tra noi. Oh! preghiamo il Signore che ci dia
l'umiltà, che sradichi in noi la superbia chc
è sempre la radice più perniciosa di ogni in-
disciplina. Diciamo sempre al Signore ciò che
Davide ci fa dire nel Salmo 118, e che la
Chiesa fa recitare frequentemente ai suoi sa-
cerdoti nell'ora di terza: Insegnaci, o Signo-
re, la bontà e la disciplina. Per imprimerti
meglio i principi esposti in questo capitolo,
pòrtati col pensiero ai gemiti disperati di
quell'infelice che, secondo il detto dello Spi-
rito Santo nei Proverbi, per aver disprezzato
la disciplina e le cose piccole, cadde nelle
gravi e fu sepolto nell'inferno. Quivi pian-
gendo le sue eterne sventure si rammenta
della ragione prima di tanti suoi guai, ed
esclama confessando la sua colpa: «Ho dete-
stato la disciplina, non mi sono adattato ai
rimpoveri, non fui docile alla voce dei supe-
riori! » (1). Fu il disprezzo della disciplina
che lo trasse al fondo di tante colpe, e che lo
trascinò infine alla perdizione. Per non in-
contrare adunque sciagure così luttuose, ama
la disciplina, torna a dirti il Savio; non al-
lontanarla da te, anzi custodiscila bene, che
essa è la tua vita (2). Fa' adunque sempre
(1) • Detestatus sum disoiplinam, et increpationibus
non acquievit cor meum, neo audivi vocem docentium
me, et magistris non inclinavi aurem meam » (Prou.,
V, 12-13).
(2) • Tene disoiplinam, ne dimittas eam, custodi
illam, quia ipsa est vita tua ».

44.9 Page 439

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gran conto delle buone leggi della disciplina,
da cui in gran parte dipende la tua eterna
salvezza.
CAPO XVII
DEL RIVEDER LA VOCAZIONE
L'esame di vocazione.
Un sapiente decreto ecclesiastico: Regulari
disciplinae vuole, che il novizio il quale crede
sentirsi veramente chiamato allo stato reli-
gioso, circa due mesi prima che termini l'an-
no di noviziato, venga accuratamente esami-
nato dai superiori. Costoro devono diligente-
mente esplorare la sua volontà, per certifi-
carsi se fu in qualche modo sforzato o se-
dotto. Devono vedere anche da quale spirit'
sia animato, se capisca bene quello che fa.
e se conosca bene le regole e le obbligazion.
dello stato religioso. Questo momento è im
portantissimo e si può dire decisivo per te
Perciò io ti consiglio fortemente a prender
questa circostanza per fermarti un moment'
sopra te stesso, e rivedere la tua vocazioni
Fa' coi compagni, se il maestro lo crede or
portuno, una novena al Sacro Cuore di Ges.
mettendo come intercessori presso cotes:
Cuore Sacratissimo il patrocinio di Maria
Ausiliatrice Immacolata e di Don Bosco. Pre-
gali istantemente che t'ispirino a fare ciò
che è secondo la volontà di Dio, ed il mag-
gior bene dell'anima tua. Scopo di questa
novena sia il rifarti nella vocazione, e con-
solidarla meglio, studiandola più a fondo
alla luce divina.
Esamina le tue forze.
Non basta che tu ti sia assicurato, in prin-
cipio, che la vocazione ci fu. Il gran punto
sta nel vedere se vi sono la forza e le qua-
lità adatte ad un religioso salesiano, e se per-
ciò ti senti di andare avanti sino alla morte
in questo genere di vita. Io ti ho espressa-
mente edotto nei primi capitoli di questo
Vade Mecum, che il noviziato, per quanto
riguarda te, fu stabilito perchè avessi tempo
a provare. In questi capitoli precedenti poi
ti esposi con precisione gli obblighi che pro-
vengono dai santi voti. Ora hai provato e
;ei stato ammaestrato: ti senti davvero le
forze? Hai le qualità per andare avanti con
-icurezza di te stesso? Se in questo tempo
del noviziato ti sei occupato a ben corrispon-
dere, ora non avrai più dubbio. O ti senti
non ti senti. In caso positivo fai la tua
ìomttnda, in caso negativo non la fai e te
e esci, o almeno preghi e provi, dato che

44.10 Page 440

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— 870 —
abbiamo il privilegio di prolungare ancora il
noviziato per provarti meglio.
Già te lo dissi, ed è da capir bene che
molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti.
Sanile fu scelto da Dio ad essere il re d'Israe-
le, e fu consacrato tale dal profeta Samue-
le; ma, non avendo corrisposto alla grazia,
fu riprovato. La vocazione di Giuda all'apo-
stolato fu veramente buona, essendo venuta
direttamente da Gesù; tuttavia, non avendo-
la consolidata colle buone opere, non solo
non perseverò, ma venne a commettere il più
gran delitto del mondo tradendo Gesù; e fi-
nalmente si disperò, e morì impiccato. Dopo
sì terribili esempi, qual religioso oserà stare
senza trepidazione, dicendo a sè stesso: Io
son sicuro di me: non temo di essere infe-
dele alla mia vocazione? Tu hai già bensì
studiata la tua vocazione prima di doman-
dare d'essere ascritto alla nostra Pia So-
cietà, ma allora non conoscevi ancora abba-
stanza bene le cose. Allora potevi ancora
avere dei fini umani, quasi senza accorger-
tene; e non conoscevi ancora le tue forze,
poiché forse non avevi mai riflettuto molto
e seriamente su te stesso. Ora è il tempo di
ritornare sui tuoi passi. Ora che sei verso
la fin del tuo noviziato, e che cominci a pen
sare alla professione religiosa, è necessario
che rientri in te stesso, e con molta rifles-
sione, preghiera e consiglio ristudi profon-
— 871 —
demente la tua vocazione, e prenda l'ulti-
ma formale risoluzione, per non metterti in
pericolo di fare leggermente il gran passo.
Mezzi: 1) Riflessione.
Si richiede dunque prima di tutto, molta
riflessione. Ornai devi averla fatta, quasi sen-
za avvedertene, in questi vari mesi passati,
sentendo spiegare le regole e parlare degli
obblighi e delle qualità richieste. Tuttavia
concèntrati ancora un poco in te stesso: da
una parte rifletti sui pericoli che ti capite-
rebbero uscendo; dall'altra considera se ti
senti le forze per osservare sino al fine della
vita i santi voti e le regole. Piuttosto di es-
sere poi un religioso inosservante, è meglio
che non ti faccia religioso. Vedi specialmente
i progressi fatti nei mesi passati. Non stare
alle parole ed ai desideri umani; vedi se
proprio, colla grazia del Signore, hai pro-
gredito: se. durante il noviziato hai prati-
cato bene le virtù che sei per promettere con
voto; se no, non converrebbe lusingarti. Quelli
che dicono: «Nel noviziato non mi sono sfor-
zato. ma dopo mi sforzerò », son quelli clic
finiranno per rovinare se stessi e la congre-
gazione. Ricorda le parole dette dal Santo
Pad re Leone XIII al nostro indimenticabile
Don Bosco: «Si faccia calcolo delle virtù
acquistate, e non su quelle da acquistarsi ».

45 Pages 441-450

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45.1 Page 441

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—8 —
Se non ti sei sforzato finora non lusingarti
oltre; non ti sforzerai di più in seguito. Ma
la tua riflessione bisogna che si aggiri spe-
cialmente sulla durezza della vita che vuoi
abbracciare, e sulla difficoltà per condurre
una vita perfettamente religiosa. Procura di
non farti illusioni. Quando, in molte cir-
costanze, nelle prediche e nelle conferenze
hai udito parlare della felicità dello stato
religioso, può essere che te ne sia fatto idee
molto umane, come se si parlasse di vere
felicità terrene. Saresti in un grande errore!
Non hai inteso bene se ti sei rappresentata
la vita religiosa come una vita dolce, esente
da ogni pena e libera da fastidi e da cure
terrene. Parrebbe con questo che il religioso
non abbia nulla a soffrire, nulla a soppor-
tare, che nulla gli manchi, tutto gli sorrida,
e tutto gli abbia poi a succedere secondo i
suoi desideri. Niente più falso di questo, se
s'intende in modo umano e letterale. Gesù
Cristo nel Vangelo non insegna così: ma
che bisogna portare la croce, e che chi vuol
seguirlo deve condurre vita di rinnegamento.
Se tu entrassi in congregazione persuaso i'i
trovarvi la felicità terrena, e di potervi con-
durre la vita senza aver da soffrire, trove-
resti per tutta la vita un amaro disinganno,
e condurresti la vita più infelice che si possa
condurre sulla terra. Il grande vantaggio
della vita religiosa è l'abnegazione cristiana,
è la mortificazione dei sensi, la croce. In
— 873 —
ligione devi avere imparato a soffrir con
pazienza, e tenere il tuo occhio fisso in Gesù.
Devi esserti abituato a sopportare con pa-
zienza, e forse a gioire nei sacrifizi e nelle
umiliazioni, e a desiderare di aver molti pa-
timenti e contraddizioni, e persecuzioni, per
poter essere un po' più simile a Gesù, tuo
maestro e sposo dell'anima tua. Chè se non
ti fossi accostumato a patire in questo modo
per amore di Gesù ed a trovare la tua feli-
cità nelle croci, come diceva San Paolo, che
soprabbondava di gaudio in ogni sua tri-
bolazione, allora puoi ben tornare indietro,
che sarà meglio per te.
2) Preghiera,
In secondo luogo si richiede molta pre-
ghiera. Il conoscere bene e con certezza la
propria vocazione, ed avere la forza di se-
guirla è la grazia più importante, la grazia
più grande da ottenere. Se da noi non siamo
capaci di fare anche l'azione minima senza
la grazia del Signore, saremo capaci di fare
questa scelta, e poi star costanti in essa? Se
il Signore concede ordinariamente le sue gra-
zie secondo le preghiere, quanto devi pre-
gare per ottenere questa di sì capitale im-
portanza! Tu sei per legarti indissolubilmente
al Signore. Per ottenere questa grazia, e per
esserle poi perseverante per tutta la vita, bi-

45.2 Page 442

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— 874 -
sogna che non finisca di piegare. Ma son
persuaso che tu hai già pregato tutto l'anno
ed ora conosci perfettamente la necessità
della preghiera. Non aggiungo qui altro a
questo proposito, riserbandomi di parlarti an-
cora della preghiera in altra parte.
3) II consiglio.
Non meno importante è il consiglio. Uno
non può mai essere abbastanza rassicurato
da sè solo. E poi molti, per quanta riflessione
facciano, non sanno mai decidersi bene. Av-
viene cosi che i migliori son timorosi e non
osano andare avanti; mentre i mediocri, co-
noscendo poco se stessi e non sapendo dare
il giusto prezzo alle cose, si possono spin-
gere all'impazzata in qualche grave imbro-
glio, credendosi sempre capaci di tutto. Perciò
è assolutamente necessario il consiglio. Qui
però il consiglio non consiste più nel doman-
dare a varie persone. Appositamente la Chie-
sa ha deciso che un saggio e prudente maestro
dei novizi dirigesse questi principianti nelle
vie del Signore. E vuole che questo maestro
si occupi continuamente di loro, e che vi sia
il direttore della casa e gli altri superiori che
vigilino continuamente sui novizi. Se tu sei
schietto, essi verranno a conoscerti completa-
mente e nell'interno e nell'esterno, e potranno
—8 —
dare il loro parere sicuro, saggio, illuminato.
Con loro devi adunque consigliarti. E se il
maestro ti dice: «Va' avanti», non aver timo-
re, Iddio sarà con te, farai dei miracoli. E se
ti dicesse: « Non sei preparato », non fare pia-
gnistei. Vedi nel consiglio suo espressa la vo-
lontà del Signore. Taci, aspetta per prepararti
meglio, se ti si dà tempo; parti, se sei giudi-
cato inet!o. Qui non è il tuo posto: faresti del
male a te ed alla congregazione. Il Signore ti
aprirà fuori una via, e camminando su quella
ti salverai. Questo consiglio del maestro e del
superiore è talmente necessario, che non po-
tresti andare avanti tranquillo senza di esso.
I segni della vera vocazione.
Or qui, per aiutarti meglio a questo esame
ultimo, più serio sulla tua vocazione, ti met-
terò sott'occhio alcune considerazioni, perchè
non vorrei che ti trovassi malcontento dopo.
Sono due i casi che devi considerare bene: o
vi sono i caratteri della vera vocazione, o non
vi sono. Se vi sono, sei obbligato a seguirla; se
non vi sono devi dare indietro. Il carattere
più autentico d'una vera vocazione, secondo
San Francesco di Sales, è una volontà ferma
e costante dì servire Iddio in religione. Que-
sta volontà non dev'essere eccitata da motivi
umani, carnali e terreni. Dio ne deve essere

45.3 Page 443

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86 —
il principio ed il fine. E se sul principio della
vocazione sei stato mosso da qualche motivo
più o meno imperfetto, di cui Dio talvolta si
serve, questo motivo ora deve essere comple-
tamente allontanato, ritrattato, annientato.
La volontà non deve attualmente essere mossa
ed eccitata ad entrare in religione, se non dal
desiderio di servire Iddio. Questo desiderio
può essere eccitato in tre diversi modi, tutti
e tre buoni. O proviene direttamente dal di-
vino amore: e questa è una vocazione d'at-
trattiva e di sacrifizio. O si è spinti ad entra-
re in congregazione da forte desiderio di
espiare le colpe passate con le austerità della
vita religiosa: e questa è una vocazione di
penitenza. O vi si è spinti con l'intenzione
di mettersi al sicuro dall'infezione del mondo:
e questa è una vocazione di preservazione.
Ma anche un'altra cosa è di assoluta neces-
sità, affinchè tu possa essere sicuro di aver
davvero la vocazione; ed è il vedere se vi so-
no le doti o qualità, e le virtù necessarie per
lo stato che stai per abbracciare. Non tutti
hanno le qualità per trattare conveniente-
mente e con profitto coi giovani, come è no-
stro scopo principale. Non tutti hanno le doti
che si richiedono per il sacerdozio, a cui tu
aspiri. Non tutti hanno le virtù che si richie-
dono per non cadere in peccati, pur trovan-
dosi nei pericoli nei quali ci troviamo noi.
Ma per questo ordinariamente pensano i su-
877 —
periori. Purché tu non abbia tenuto nulla di
nascosto, se vieni ammesso non hai nulla da
temere su questo punto. Quel che è importan-
te si è che tu segua, senza la minima recrimi-
nazione, il consiglio di chi ti guidò tutto l'an-
no, e che dopo non tralasci di prendere e
praticare i mezzi che dal medesimo ti sono
suggeriti.
Non scoraggiarti.
Quando questi caratteri di vera vocazione
vi sono, devi andare avanti e non lasciarti
scoraggiare. Alle volte il novizio si disanima,
e si persuade ch'egli non ha vocazione per-
chè sente qualche pena nella vita religiosa.
E per questo vorrebbe uscire di congregazio-
ne! No, per queste contrarietà non hai ragio-
ne di abbatterti e disgustarti della vocazione.
È da ricorrere a Dio colla preghiera, ed ai
superiori per consiglio. Ricordati che sei ve-
nuto apposta a farti religioso, per combattere
e farti dei meriti. Invece di scoraggiarti, do-
vresti ringraziare il Signore che ti abbia po-
sto nell'occasione di fare così un po' di peni-
tenza, e riportare in conseguenza molti me-
riti. Persuaditi che colla grazia del Signore
le tribolazioni ti si faranno amabili, e non ti
saran ornai più di pena. « O non si soffre, o si
ama la stessa sofferenza », dice Sant'Agostino
di chi soffre per amor di Dio! Devi anche ben

45.4 Page 444

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guardarti dal voler troppo provare te stesso,
per vedere se la vocazione è proprio vera. Ab-
bi timore, dubitando troppo della propria vo-
cazione, di mancare di fedeltà alla medesima.
Se è un male l'entrare in congregazione senza
esservi chiamato, è pure uu gran male l'uscir-
ne quando uno entrò con vocazione. Vi è in
questo una disubbidienza a Dio, un disprezzo
alle sue grazie, ed un pericolo per la propria
salvezza, a causa della malizia del mondo,
contro la quale non troveresti preparato soc-
corso di sorta. Così noi vediamo ordinaria-
mente che coloro i quali lasciano la congrega-
zione senza ragioni vere, conducono in segui-
to vita poco edificante nel mondo, e arrivano
alle volte a cadere nei più gravi disordini. Si
osservò pure che sovente essi fanno una triste
fine, disprezzati dagli uomini e abbandonati
da Dio.
allora sarai in salvo. Prega perciò istantemen-
te il maestro, e, per le viscere di Gesù Cristo,
umilmente supplicalo di avvisarti, ed anche
di fortemente riprenderti qualunque volta ve-
da che ti rallenti nel fervore, o nella osservan-
za delle regole. Domandagli pur anche alme-
no ogni mese, per esempio, in occasione del-
l'esercizio di buona morte, o nel primo vener-
dì del mese, che in punizione della tiepidezza
ordinaria avuta, e per i falli contro la regola
o le altre istruzioni, e pel torpore nel mettere
in pratica i consigli avuti, e per infonderti
maggior vigore nel fuggire il peccato, ti dia
qualche penitenza, o ti permetta qualche pra-
tica straordinaria di pietà, o ti suggerisca
qualche mezzo speciale che serva a scuoterti
una buona volta, e ti aiuti a camminare con
maggior fervore nel servizio del Signore.
Come consolidare la propria vocazione.
L'infiacchimento nella vocazione e la per-
dita della medesima avvengono, per lo più, o
per la poca pietà, o per l'inosservanza delle
regole, o per le replicate cadute nei peccati.
Proponi pertanto di affaticarti in ogni modo
per consolidare ognor più la tua pietà, e ren
derla vera. Cerca di non trasgredire neppure
la minima regola. Va' anche assolutamente
guardingo per non cadere più nei peccati, ed
Nel mondo si soffre di più.
Potrebbe anche essere, essendo tu entrato
assai giovane in comunità, e non avendo an-
cora per nulla provato i disinganni del mon-
do, t'immaginassi che solo in congregazione
vi è da patire, e che venendoti a trovare in
difficoltà ti disaffezionassi della vita religiosa.
Grande errore! Nel mondo vi è ancor più da
soffrire: opposizioni da parte del prossimo,
discordie d'ogni sorta, malignità una sopra
l altra, mormorazioni, calunnie, odii, disprez-

45.5 Page 445

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— 880 -=
zi da parte dei malvagi quando si vuol fare
il bene, discordie nelle medesime famiglie,
persecuzioni d'ogni genere. Provare delle pene
è cosa comune a tutti i figli di Adamo, in tut-
ti gli stati. La differenza sta in quesito: i
mondani soffrono per forza, col lamento sul-
le labbra ed il dispetto nel cuore; e non si
fan dei meriti, anzi dei demeriti nei loro pa-
timenti, che si accrescono in questa vita, e
che si rendono poi eterni ed indicibili nel-
l'altra; i buoni invece soffrono con rassegna-
zione, si esercitano persino ad amare le sof-
ferenze, e così si fan dei meriti incalcolabili.
Dunque se tu sei entrato nella nostra società
con buon fine, fatti coraggio, va' avanti, e
dopo che ti sei fatti gli sforzi necessari, e do-
po la riflessione, la preghiera ed il consiglio,
credi che la vocazione viene dal Signore. Va'
avanti, persevera, non temer nulla: Dio ti aiu-
terà.
Come diportarsi nei dubbi sulla vocazione.
Ciascuno sia cauto nel metter in' dubbio
se la vocazione sia veramente venuta da Dio
o no. Avendo tu agito con buona intenzione
devi credere fermamente d'essere sulla buo-
na strada. I timori ed i dubbi ordinariamen-
te vengono a molti, o perchè credono d'esse-
re stati troppo corrivi ed inconsiderati nel
deliberarsi d'entrare in religione, o per non
— 881 —
avervi abbastanza attentamente pensato sopra,
o perchè prima d'entrarvi non esaminarono a
sufficienza le proprie forze, o perchè entra-
rono mossi da fini puramente umani od an-
che per inganno, od ancora perchè, essendo
stati importuni in domandare d'essere am-
messi, credono che l'accettazione sia stata lo-
ro acconsentita solo per appagarli, ovvero
perchè a ciò furono indotti e quasi forzati
da qualche temporale necessità, o per qualun-
que altro motivo. Ciascuno ha da tener per
fermo, che, quantunque vi sia stato qualche
motivo sbagliato e cattivo in radice, se egli
ora rettifica il fine e toglie gl'impedimenti che
si opponevano, può andar avanti tranquillo.
La sua vocazione è del benignissimo Iddio,
al quale deve diligentemente e con animo ret-
to e semplice ubbidire. Ogni volta che cotesti
o simili pensieri ti venissero in mente, subi-
to devi scacciarli, come vipera velenosa e
pestifera, mandata per tuo danno e rovina
dal crudelissimo demonio. Con la stessa pron-
tezza giova rinnovare con premura il pro-
posito di perseveranza, stando sicuro d'esse-
re stato chiamato alla vita religiosa dal mi-
sericordiosissimo Signore, qualunque sia stato
il mezzo, purché ora si siano completamente
rettificati i fini. Se per avventura stimi esser-
vi in congregazione qualche regola o cosa
eccedente le tue forze e a te impossibile ad
osservare, pensa che ciò è veramente se solo
hai riguardo alla debolezza della tua natu-

45.6 Page 446

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— 882
ra. Ma se consideri che hai da aspettare le
forze dalla divina grazia, certo non è così.
E lascia la cura ed il pensiero di tutto ai
superiori, i quali vedranno e giudicheranno
se tu sia per esser atto e buono per la con-
gregazione o no.
Inganni del demonio.
C'è anche da stare attenti agl'inganni del
demonio. L'astutissimo serpente, essendo es-
so tutto tenebre, spesso per ingannare l'uo-
mo si trasfigura in angelo di luce. Dal che
può nascere che per suo artificio il novizio
cada in errore sotto specie di bene. Ricorda
ciò che ti dissi parlando delle intenzioni dei
novizi: non prestarti ai suoi inganni. Il de-
monio sa che se riesce a far dubitare o va-
cillare qualcuno comecchessia nella voca-
zione, ha già riportata vittoria; poiché fa-
cilmente conduce poi il poveretto dove più gli
piace. Pertanto sappia ciascuno, come San
Bernardo e molti altri santi dicono, che è co-
sa di grandissimo pericolo il dubitare o va-
cillare nel proposito. Questa leggerezza e in-
costanza d'animo, è come un gran sasso, o
scoglio nel mare, e si deve evitare con somma
cura. Afferma lo stesso San Bernardo aver
egli più volte posto mente e notato, che que-
sti tali che da una congregazione sono andati
ad un'altra, non hanno fatto altro, con tale
— 88 —
mutazione, che lasciare scandalo alla abban-
donata congregazione e portarne a quella ove
andarono. E non solo non hanno fatto pro-
fitto nella virtù, come falsamente si erano
persausi; ma han perduto anche quel poco,
che già pareva avessero conseguito. Nè alcuno
dica leggermente essere il tempo della pro-
bazione fatto apposta per studiare se la con-
gregazione piace o no, se è fatta per noi o
no. Può essere un grande inganno, vedendo
il rinnegamento necessario per seguire la vo-
cazione, credersi di poterla lasciare se così
piace, e ritornare al secolo. Sebbene non si
sia ancor legati coi vincoli dei voti, non si
è forse obbligati ad ubbidire al Signore che
ci chiama, e camminare costantemente per la
via della perfezione, nella quale una volta si
è stati posti? Non v'è cosa più pericolosa, che,
dopo d'esser uno entrato in una via, il dipar-
tirsene. Sarebbe fare come la moglie di Lot,
la quale, essendo per benefizio di Dio e mi-
nistero degli angeli stata liberata dall'incen-
dio di Sodoma, avendo voltati gli occhi indie-
tro, restò subito immobile e convertita in una
statua di sale. E si vede ogni giorno per espe-
rienza, che coloro che abbandonano la con-
gregazione per pusillanimità o per futili mo-
tivi, quantunque non ancora astretti con vo-
to alcuno, vengono il più delle volte, per
pena di tanta loro codardìa e instabilità, ad
incorrere in siffatta durezza di animo. Così
nulla più curando nè gustando le cose ce-

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— 884 —
lesti e divine, passano miserabilmente tutto
il resto della loro vita immersi nel fango
delle cose fragili e caduche. Ciascuno final-
mente si rammenti di quello che disse par-
lando il Redentore dell'albero infruttuoso,
cioè: Tagliatelo dalle radici; perchè ancora
occupa la terra? Temendo pertanto di essere
albero infruttifero, èccitati con ogni studio
e diligenza, ed usa ogni industria per accura-
i amente corrispondere alle grazie del Signore
ed alle cure dei superiori. Supplica spesso il
Cuore Sacratissimo di Gesù con infuocate
orazioni ad aiutarti. Ed aggiungivi, per più
facilmente impetrare quanto domandi, l'in-
tercessione della gloriosissima Vergine SS.ma
potente aiuto dei Cristiani e di noi salesiani
in particolare, nonché quella dell'indimen-
ticabile, amabilissimo nostro caro padre Don
Bosco. Questo nostro santo se già tanti segni
diede della sua potenza in cielo per ogni or-
dine di persone, tanto più la dimostrerà ver-
so di noi che vogliamo farci suoi degni fi-
gliuoli.
Quando bisogna lasciare la via intrapresa.
Queste cose ti dissi per animarti, e perchè
non creda troppo presto ad ogni parvenza di
dubbio. Ma ti dico schiettamente, che, se do-
po il consiglio del superiore, ti accorgi che
vocazione vera non ne hai, devi abbandonare
— 885
in stato intrapreso. È bensì vero, come ti dis-
si, che il fine storto può rettificarsi; ma è an-
che vero, che nella maggior parte dei casi
non si rettifica così radicalmente, che non ab-
bia poi di nuovo a venir fuori nei momenti
di tiepidezza e di scoraggiamento. Qualora
pertanto non fossi sicuro di te, e vi fosse fon-
dato timore che i motivi umani antichi po-
tessero di nuovo sorgere, tu saresti obbligato
a dare indietro. Ciò avviene specialmente
quando già si avessero avute perverse inclina-
zioni; quando uno si fosse fatto ascrivere so-
lo perchè non sapeva altrimenti come campa-
re la vita, o perchè in congregazione si godo-
no maggiori comodità, oppure perchè si era
molestati in famiglia, o semplicemente per ac-
contentare i genitori, o solo con lo scopo di
compiere gli studi od il tirocinio dell'arte e
poi uscirsene, o perchè non si sarebbe potuto
essere ordinati sacerdoti altrove, e si è venuto
solo per raggiungere questo scopo. Succede
questo ancora se vi fosse qualche disordine
grave nella vita passata, che non si rivelò a
chi era incaricato di giudicare sulla voca-
zione, e che renderebbe l'individuo indegno
dello stato che vuol abbracciare; e se uno
non avesse manifestati in antecedenza impe-
dimenti. che potrebbero rendere invalida od
almeno illecita la sua professione; come se
avesse commesso delitto infamante, se aves-
se debiti, o da render ragione dei denari al-
trui. se fosse epilettico, o avesse già avuto

45.8 Page 448

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— 886
— 88 —
accessi di pazzia, o fosse soggetto ad altre
malattie contagiose. Se disgraziatamente fos-
si entrato con qualcuno di questi fini storti,
e non avessi osato manifestarlo nei mesi an-
tecedenti, devi palesarlo ora con franchezza
e semplicità. Più si aspetta, più si perde tem-
po, e più si fa poi difficile il palesarlo. L'an-
dare avanti con questi fini storti sarebbe fa-
re una professione sacrilega, e metterti da te
stesso il capestro alla gola. Devi anche con-
siderare gli ostacoli che possono derivare dai
parenti, o perchè non vogliono e tu sei mi-
norenne, o perchè sono in grande necessità.
Su questo punto conviene che sia bene istrui-
to: attendi adunque. La critica situazione
dei genitori può essere un ostacolo legittimo
ad entrare in religione. Gli autori tengono
comunemente che non è permesso ai figli dì
abbracciare lo stato religioso, quando per
questo i genitori fossero ridotti alla miseria
grave, ed a più forte ragione se all'estrema
miseria. Vi sono però tre cose da osservare:
1) La povertà dei parenti non sarebbe
d'ostacolo alla lecita entrata dei figli in re-
ligione, se. pur stando nel mondo, questi non
avessero la speranza di poter venire effica-
cemente in loro aiuto. 2) Se vi sono altri
fratelli e sorelle che possono aiutare, allo-
ra non sei più obbligato tu. 3) Si deve dire la
stessa cosa quando, stando nel secolo, i figli
fossero esposti al pericolo prossimo e ben fon-
dato di cadere in peccato mortale. Quanto ai
rateili e alle sorelle, non vi è obbligo di sta-
re nel mondo per aiutarli, che quando essi si
trovassero in necessità estrema. Quando per-
tanto si tratta di cose cui non si possa rime-
diare, è giocoforza conchiudere che non vi
è vocazione. Nè è da disperarsi; il Signore
aprirà un'altra via: vuoi tu stare dove il Si-
gnore non ti vuole? Varie volte basterà do-
mandare l'ingresso in un altro ordine che non
sia addetto all'educazione della gioventù, e
colà si potrà essere accettato. E questo spe-
cialmente quando qualcuno si trovasse con
abitudini cattive d'impurità, o avesse fatti
disordini gravi nella vita passata. D'altronde
è meglio un buon secolare che un cattivo re-
ligioso. Nemmeno nel deporre l'abito non bi-
sogna avere rispetto umano. Se qualcuno si
burlasse di chi lo depose, esso dovrebbe di-
sprezzare le loro burle. In fin dei conti che
vergogna si ha da avere, e qual fallo si è
fatto con l'aver passato qualche mese tra per-
sone eccellenti e aspiranti alla perfezione'
Al contrario, avendo cercato d'abbracciare
una vita di sacrificio, essi dovrebbero essere
j lodati per la generosità dei desideri. Col con-
tinuare la prova per un po' di tempo, essi
i hanno acquistato sulle virtù cristiane lumi
I che saran loro sempre utili; e ritirandosi non
I ostante il loro disgusto interno, e le difficoltà
I esterne che incontrano, essi dan prova di for-
I tezza e di saggezza. La vita del semplice cri-
I stiano, quantunque meno perfetta per se

45.9 Page 449

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— 888 —
stessa, li condurrà più sicuramente verso la
salvezza dell'anima loro che la vita religiosa
seguita senza le doti necessarie. Così Davide
fece la prova di servirsi dell'armatura di
Saulle per combattere Golia; ma dopo aver
conosciuto che quella non gli conveniva, la
lasciò senza rispetto umano, riprese i suoi
abiti primitivi, arditamente si armò d'una so-
la fionda e di alcuni ciottoli ed il gigante non
di meno cadde ferito a morte.
CAPO XVIII
PREPARAZIONE PROSSIMA
AI SANTI VOTI
Sua necessità.
— 889 -—
formeranno la preparazione immediata. È ben
giusto che in fine si faccia qualche cosa più
del solito, secondo il detto che deve avve
rarsi non solo nelle cose fisiche, ma anche
nelle morali: il moto in fine viene ad essere
più veloce: rnotus in fine velocior. Sì: è ben
giusto che almeno questi due ultimi mesi
siano del tutto consacrati a procurarti quel
progresso nella virtù e quella perfezione di
animo, che sono necessari per renderti piti
degno della vocazione alla quale sei da Dio
chiamato. È ben giusto che essi siano al tut-
to consacrati a prepararti ad un sì grand'atto.
che ha conseguenze tanto importanti per tutta
la vita, e si può dire per tutta l'eternità. É
ben necessario che ti prepari con straordi-
nario impegno ad un atto che ha effetti così
salutari per chi lo fa bene, mentre sarebbe
dannoso per chi lo facesse senza la dovuta
preparazione.
Tutto l'anno di noviziato è disposto a que-
sto fine: che l'ascritto si prepari a fare il
meno indegnamente che può la sua completa
consacrazione al Signore coi santi voti. Per-
ciò il noviziato intiero si può dire prepara-
zione alla professione religiosa. Tuttavia con-
viene che i due ultimi mesi almeno, cioè quel
tempo che corre dopo che si fece la domanda
dei voti, sia regolato in modo che possa ser-
vire di preparazione prossima. Questa deve
poi terminare cogli esercizi spirituali, che ne
Disponi le tue cose materiali.
Pertanto, lasciato da parte ogni altro pen-
siero, mettiti tutto su questo: di preparar-
viti prossimamente. Bisogna che preveda ogni
i cosa, e combini il tutto in modo, che dopo i
I santi voti non abbia più a pensare ad altro
I che ad amare di più, ed a servir meglio Id-
I dio. Comincia dal dare uno sguardo alle cose
| esterne, ed a regolare a dovere quanto ri-

45.10 Page 450

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— 890 —
guarda le tue cose temporali e finanziarie.
Se non l'hai fatto prima, conviene faccia ora
quanto è prescritto nelle nostre costituzioni
al capo III. E se hai ancora qualche accor-
do speciale da prendere coi parenti, o con
qualche altra persona, conviene lo faccia su-
bito. Alle volte prima di fare i voti non si
pensa abbastanza a disporre quanto riguarda
il voto di povertà, e si hanno poi pene di co-
scienza. È meglio stabilire ora ogni cosa con
precisione. La spiegazione che il maestro o
il direttore della casa avrà certamente dato
in pubbliche conferenze, e quanto ti verrà
privatamente consigliato da chi di ragione,
siano la guida delle tue determinazioni. Io
qui non posso discendere ai particolari. La
mia insistenza sta su questo: che pensi bene
prima, e che disponga bene ora, affinchè
dopo fatti i voti non abbia a trovarti in pe-
ricolo di non eseguirli. E fa' che avvicinan-
doti ogni dì più ai voti, non abbia altre cose
a cui pensare, se non a quelle dell'anima.
Preparazione interna.
Il più consiste nel preparare l'interno. In-
dirizza pertanto le tue preghiere, le medita-
zioni, le visite ed altre pratiche di pietà allo
scopo di prepararti meglio ai voti. Riuscire
degni Salesiani, degni figli di Don Bosco, è
tutto: è conseguire il fine prossimo per cui
— 891 —
sei entrato in congregazione. Se tutto l'anno
hai dovuto essere esatto nel praticare gli
esercizi e le regole della nostra società, in
questi due ultimi mesi devi esserne esattis-
simo. Vi son sempre di quelli che credono
tutto facile, nia intanto non sono esatti nelle
piccole osservanze. Costoro, venuto il mo-
mento difficile cadono miseramente. Tu sap-
pi, che, se la osservanza dei voti è parago-
nata al martirio, è segno che chi vuol poi
osservarli tutti ed esattamente deve davvero
essere forte nel bene. Perciò tu fa' ora pro-
positi molto efficaci per riuscire in seguito.
Esami dei requisiti necessari.
Devi poi, in fine del noviziato special-
mente. esaminare se sei abbastanza distac-
cato dalle cose del mondo, per abbandonare
tutti i beni terreni ed abbracciare la povertà
con tutto il suo rigore; sei hai il cuore ab-
bastanza puro per osare di far voto di ca-
stità; e se hai l'animo abbastanza docile per
sottometterti in tutto e sempre ai superiori,
conformemente al voto d'ubbidienza; se ti
sei ridotto ad un naturale abbastanza dolce
e pieghevole, per adattarti ai caratteri ed
agli umori differenti e alle volte fra loro
contrari, quali s'incontrano nelle comunità;
se sei abbastanza caritatevole e mortificato
1

46 Pages 451-460

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46.1 Page 451

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— 892
per rinnegarti ad ogni tuo compiacimento e
comodità, per attender continuamente al bene
dei giovani che verranno alle tue cure af-
fidati ed alla salvezza delle anime. Se non
avessi questi requisiti, faresti meglio a diffe-
rire l'emissione dei voti e domandare ai su-
periori che si degnino prolungarti il tempo
della prova, affinchè abbia tempo a prepa-
rarti meglio.
Letture utili.
Sarebbe anche cosa buona che ti procu-
rassi, secondo il parere dei superiori, qualche
libro ascetico tra i più pregiati, che abbia
a servirti di sollievo morale negli sconforti
della vita. Puoi servirti della Filotea o del
Teotimo di San Francesco di Sales, della
Pratica di amar Gesù o Del gran mezzo
della preghiera di Sant'Alfonso, della Imi-
tazione di Cristo del Gersen, dello Scupoli
Il combattimento spirituale, del Faber Tutto
per Gesù, o di altri che ti possa suggerire
il maestro come a te più adatti. È molto con-
veniente avere uno di questi libri da leg-
gere più e più volte, in modo da poterlo ri-
durre in succo ed in sangue. Basterebbe an-
che il servirsi a tal effetto di questo Va de
Mecum.
—8 —
Considerazioni sull'interrogatorio della pro-
fessione.
Ora prendi in mano il libro delle costitu-
zioni, e vedi in fine l'interrogatorio che ti
farà il superiore nell'atto della emissione dei
voti. Vi sono in esso ammaestramenti della
più alta importanza, che devi conoscere, e
considerare, per trarne molti vantaggi
spirituali. Il superiore ti domanderà se hai
già messe in pratica le nostre costituzioni.
E tu devi poter rispondere: ho fatto quello
che ho potuto per praticarle nel tempo del
mio noviziato. E se non avessi fatto quanto
hai potuto, sarebbe questa una bugia bell'e
buona. Se caso mai fossi stato trascurato per
una parte dell'anno, procura che almeno di
questi due mesi possa proprio dillo con tutta
coscienza: che hai fatto quanto hai potuto.
Tuttavia per evitare scrupoli, sappi bene che
se il maestro (posto, come spero, che gli abbia
sempre aperto tutto il tuo cuore) ti dice di
andare avanti perchè ti trova abbastanza
preparato, tu devi star tranquillo, e fare i
santi voti senza esitazione e senza timore.
Vuol dire che lo stretto necessario vi fu, e
questo è il superiore che deve deciderlo; tu
procurerai poco per volta di ottenere, coi
tuoi sforzi e colle tue preghiere, il resto.
Poni specialmente attenzione dove il supe-
riore ti domanderà se hai ben compreso che

46.2 Page 452

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— 894 —
voglia dire fare i Doti. Pondera parola per
parola ciò che hai da rispondere. Devi dire
prima di tutto che l'hai compreso. E ti spie-
ghi chiaramente da te stesso, asserendo com-
prendere tu benissimo che facendo i voti pro-
metti a Dio di aspirare alla santificazione
dell'anima tua. intendi di rinunziare ai pia-
ceri ed alle vanità del mondo, di fuggire
qualunque peccato avvertito, di vivere in per-
fetta povertà, in esemplare castità e in umile
ubbidienza. Protesti inoltre di rinunziare a
tutte le comodità ed a tutte le agiatezze della
vita; che sei deciso di consacrare al Signore
ogni tua parola, ogni tua opera, ogni tuo
pensiero, e ciò per tutta la vita... Oh se ben
ponderassi queste parole, che pure tu pro-
nunzi solennemente al cospetto non solo di
Dio e dei santi, ma anche al cospetto di tutti
i superiori e confratelli radunati, ti si ve-
drebbe progredire di giorno in giorno nel
bene! E non avverrebbe più che qualcuno
scioccamente, e certo colpevolmente, domandi
poi lo scioglimento dai voti, colla ridicola
ragione che egli fece i voti senza capire quel
che facesse. Ripeti a te stesso dieci, cento
volte questa risposta, e se non ti senti in
cuore la forza di eseguir bene quanto in
essa prometti, dà piuttosto indietro fin che
sei in tempo. E se vai avanti, sappi che Id-
dio ti abbraccia e ti terrà sempre per suo
diletto: ma sappi ancora che tu resti obbli-
- 895 —
gato ad osservarla, e non potrai più svin-
colartene, e che, se ti svincolassi per forza,
Iddio ti rigetterebbe da sè.
Impegnati di passare tutta la vita nella
congregazione.
Altro punto devi considerare attentamente,
poiché fai solo i voti triennali. Bada bene,
che con solennità, e al cospetto di Dio e
dei superiori, all'interrogazione che il supe-
riore ti fa « se desideri di fare i voti perpe-
tui o triennali », tu rispondi schiettamente
che hai ferma volontà di passare tutta la
vita in questa congregazione; che se fai solo
i voti per tre anni, non è che per osservare
le regole le quali così richiedono. La spie-
gazione di tali parole è questa: che la re-
gola, per timore dell'instabilità umana, e per-
chè possono sopravvenire sode ragioni men-
tre si è minorenni, richiede che per due volte
i voti si facciano solo triennali, affinchè,
verificandosi proprio siffatte ragioni, tu pos-
sa con coscienza sicura, servirti di questo
privilegio di poter uscire dopo tre anni. Ma
bada, che se cotesto ragioni non sovraggiun-
gessero, tu non potresti senza alcuna colpa
uscire. Che se poi tu facessi appositamente
i voti triennali per qualche fine umano, ed
avessi, già nel farli, l'intenzione di uscire
dopo di averli terminati, tu faresti un grave

46.3 Page 453

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— 896
inganno alla congregazione, e non saprei qual
teologo possa scusarti d'avere peccato. E di
più, uscendo dopo questo formale inganno,
saresti obbligato per giustizia a rifare la
società delle spese che sostenne per te, fa-
cendoti studiare quei tre anni. Non parlo di
chi facesse anche i voti perpetui con quesli
fini umani, o per poter ricevere le sacre ordi-
nazioni, mentre avesse già deciso di uscirne
in seguito. Costui sarebbe nè più nè meno
che un sacrilego, e le lagrime di tutta la vita
non sarebbero sufficienti a lavare sì grave
colpa e scandalo, e vi sarebbe pericolo che
lo aspettasse la sorte di Giuda. Neppure, no-
taio bene, non ti scuserebbe il dire che tu
in quegli anni rendesti qualche servizio alla
congregazione, per esempio con qualche as-
sistenza o qualche scuola; perchè non cessa
per questo d'esservi l'inganno, e inganno in
cosa grave. Avendo poi quei fini, cioè es-
sendo già deciso di voler uscire dopo, quasi
sicuramente non adempiresti con edificazione
quegl'impegni ed uffizi, di modo che sareb-
be più il male che il bene che faresti. Posto
pure che facessi bene in tutto, questo certo
non basterebbe per corrispondere alle spese
che la congregazione fece per te. E final-
mente chi potrebbe assolverti dallo scandalo'
—8 —
Gli ultimi ammonimenti dell'interrogatorio.
Oh come devi poi tenere preziose quelle
ultime parole che il superiore ti dirà! Do-
vresti scrivertele in mente, affinchè non aves-
se a passar giorno della vita senza ponde-
rarle. « Ricordatevi spesso, ti dirà, della gran-
de mercede che piomette il Divin Salvatore
a chi abbandona il mondo per seguire lui.
Egli ne riceverà il centuplo nella vita pre-
sente e la ricompensa eterna nella futura ».
E termina: «Se poi qualche volta l'osser-
vanza delle nostre regole vi tornasse di pena,
allora ricordatevi delle parole di San Paolo,
che dice: Sono momentanei i patimenti della
vita presente ma sono eterni i godimenti
della vita futura; e che colui il quale pa-
tisce con Gesù sopra la terra, con Gesù sarà
un giorno coronato di gloria in cielo ». Im-
parale a memoria, te ne prego: ripetile tanto
da rendertele familiari. E specialmente nei
momenti difficili, nelle circostanze critiche,
quando il demonio soffiasse forte nel tuo
cuore, ripetile e ne avrai sollievo e vittoria.
Se in quelle circostanze più difficili le dimen-
ticassi, correresti pericolo di naufragare nel-
la vocazione.

46.4 Page 454

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— 898
Fa' la confessione generale.
Preparati a fare la confessione generale,
sebbene già fatta sul principio dell'anno:
sono le costituzioni che lo richieggono, e non
si è mai purificati abbastanza per un atto
così solenne e di tante conseguenze.
L'osservanza delle regole.
Mi rimane ancora una parola da dirti, ed
è, che preparandoti ai santi voti, devi capir
bene la dichiarazione con cui si chiudono le
nostre, e quasi tutte le regole delle congrega-
zioni religiose; che cioè le costituzioni non
obbligano sotto pena di peccato. Certo que-
ste parole come le altre regole, ti furono già
spiegate nelle conferenze, e le capirai bene.
Tuttavia parmi conveniente richiamarti qui
a memoria ciò che già ti dissi altrove, ed
avvisarti bene con le parole di Sant'Alfonso,
che, sebbene le regole non obblighino per
sè sotto peccato, neppur veniale, quasi mai
la trasgressione volontaria di esse, fatta sen-
za sufficiente motivo, va esente dal peccato,
o per ragione dei mezzi dei quali ti privi, o
per ragione dei pericoli che sopravvengono
quando quelle non si osservano, o per ragion
dello scandalo che con la detta trasgressione
ne avviene. Tu pertanto facendo i santi voti
proponiti seriamente di voler osservare esat-
—8
tamente e sempre, una per una, tutte le re-
gole e le deliberazioni dei capitoli generali,
debitamente approvate da Roma, che hanno
forza di regole. Così ti troverai sempre con-
tento della consacrazione di te stesso fatta a
Dio, e ti troverai poi in fin di vita con un
cumulo di meriti, che non ti verrà meno per
tutta l'eternità e che ti renderà per sempre
felice.
CAPO XIX
DELL'EMISSIONE DEI SANTI VOTI
Il giorno solenne.
Che giorno importante non è mai per
l'anima religiosa quello, in cui, ammessa alla
professione religiosa, va a pronunziare i santi
voti, e promette, e giura a Dio di praticare
i tre grandi consigli evangelici e così si lega
a nostro Signor Gesù Cristo, con le più for-
tunate e gloriose catene che si possano im-
maginare! Sì, il giorno è solenne, il momento
è sublime! Sono fortunate quelle catene che
ti legano al Signore, poiché non sono quelle
degli schiavi, bensì quelle che uniscono lo
Sposo alla sposa, l'anima a Dio. Perciò, per
niente al mondo l'anima le vorrebbe vedere

46.5 Page 455

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rotte. E lungi dal pesare sul tuo cuore, de-
vono formare il tuo sollievo e la tua mag-
gior consolazione. Da lungo tempo l'anima
tua aspettava questo momento, e aspirava a
darsi in questo modo al Signore. I tuoi de-
sideri sono compiuti. È con gran cuore, che,
vittima volontaria, godi di andare all'altare
per immolarti a colui che non ebbe timore
di sacrificarsi sulla croce per te. Nutri bene
in te questi pensieri, e fa' che non siano mo-
mentanei e passeggeri, ma duraturi.
11 sacrificio perfetto.
Ed eccoti al punto di poterli emettere:
ecco che cominci già gli esercizi spirituali in
preparazione! Concèntrati: ripensa al grande
atto che sei per fare. La professione religio-
sa offre a Dio un sacrificio perfetto. A Dio
solo è dovuto l'onore del sacrificio, poiché
egli solo è l'arbitro sovrano della vita e della
morte. Fin dal principio del mondo nella
legge di natura si cominciò a rendergliene in
gran numero. Fra i sacrifizi l'olocausto è il
più perfetto, perchè in esso la vittima resta
tutta distrutta, per affermare che Dio solo
è tutto e merita tutto, e che la creatura e
niente. Or la professione è un perfetto olo-
causto poiché, come dice San Tommaso, vi
è olocausto, quando si offre a Dio tutto ciò
che uno ha. Ora per mezzo dei tre voti,
— 901 —
l'uomo offre a Dio tutti i beni che egli ha e
che può avere. I sacrifizi che offrono a Diti
gli uomini del mondo sono sempre imper-
fetti, perchè parziali. Ma quello che si of-
fre col farsi religioso è perfetto perchè to-
tale. Si offre al Signore con il voto di po-
vertà tutto ciò che si possiede, cioè tutto ciò
che è esterno a noi. Col voto di castità Gli
si offre il nostro corpo; col voto di ubbidien-
za la nostra volontà, cioè l'anima nostra:
dimodoché più nulla ci resta da offrire. I
mondani con troppa frequenza agiscono co-
me Faraone, che era loro figura, agiva con
gli Israeliti, quando domandavano d'uscire
dall'Egitto per andare nel deserto a sacri-
ficare al Signore. Egli prima permise loro di
sacrificare a condizione che ciò si facesse
nell'Egitto: «Sacrificate al vostro Dio in que-
sta terra ». Dopo permise loro di andare a
sacrificare nel deserto; ma a condizione che
non vi andassero che gli uomini, e che i fan-
ciulli e le gregge stessero in Egitto: « Anda
te solo voi uomini e sacrificate al Signore ».
Finalmente permise di andare nel deserto a
sacrificare al Signore coi loro figliuoli, ma a
condizione che stessero in Egitto le gregge:
Andate e sacrificate al Signore, ma il vo-
stro gregge e gli armenti rimangano ». In
questo medesimo modo si diporta il mondo
riguardo ai cristiani che al mondo stesso re-
stano attaccati. Il mondo non proibisce asso-
lutamente d'offrire a Dio qualche sacrificio.

46.6 Page 456

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— 902
poiché la sua empietà non è sempre consu-
mata. Ma vuole che lo facciano senza ab-
bandonare il secolo, ed allora i loro sacri-
fizi sono mescolati ed imperfetti a causa del
benessere, del rispetto umano, delle preoc-
cupazioni, delle massime corrotte che regna-
no nel suo seno: sacrificate in questa terra.
Se loro permette qualche volta di allonta-
narsi da lui, egli vuole che essi gli siano sem-
pre attaccati con qualche legame sensibile.
Questo attaccamento del cuore li impedisce
di darsi intieramente al Signore, e li fa ri-
tornare al più presto a ciò che pareva aves-
sero abbandonato: le vostre pecore e gli ar-
menti rimangano. Tutti questi sacrifizi sono
imperfetti, divisi, e perciò poco accetti a Dio.
Mentre invece i religiosi, nel sacrifizio della
loro professione non entrano in nessun patto
col mondo, e non accettano nessuna condi-
zione nella loro consacrazione al Signore. Si-
mili a Mosè essi dicono coraggiosamente al
inondo ciò che il santo legislatore rispose a
a Faraone: Noi non possiamo sacrificare nel-
l'Egitto, poiché noi dobbiamo immolare al Si-
gnore nostro Dio le abbominazioni degli Egi-
ziani, e se noi distruggiamo in loro presenza
ciò che essi adorano essi ci lapiderebbero, f!
per questo che noi vogliamo andare nel de-
serto a sacrificare al Signore nostro Dio come
egli vuole, e noi vi andremo con tutto quello
che possediamo: non ne rimarrà neppure
l'unghia. I religiosi devono pure essi immo-
lare al Signore le abbominazioni del mondo,
cioè le ricchezze, i piaceri, gli onori, l'attac-
camento alla propria volontà, cose tutte che
il mondo adora. Essi adunque agiscono sag-
giamente con l'uscire dal mondo e col riti-
rarsi nel deserto della religione, per offrire
il loro sacrifizio in pace, e per evitare tutto
quello che ne diminuirebbe la perfezione.
Ma conviene che abbandonando il mondo lo
si abbandoni intieramente, e non si stia at-
taccati ad esso per nulla, nemmeno per le
cose più piccole. Così la loro professione
sarà un vero olocausto; e le loro azioni, at-
taccandosi alle promesse della professione,
parteciperebbero della sua eccellenza e sa-
rebbero come altrettanti atti di religione co-
me dice Sant'Agostino: I religiosi sono colo-
ro che si consacrano totalmente a Dio come
olocausto.
Il secondo battesimo.
È per questo che i Santi Padri chiamano
la professione religiosa un secondo battesimo.
Invero, con la consacrazione intiera che in
essa si fa, uno si spoglia intieramente del-
l'uomo vecchio per non viver più che del-
l'uomo nuovo, e vi riceve la remissione di
tutti i suoi peccati. In modo che, come c y
loro che vengono dal ricevere il battesimo^/sg
morissero entrerebbero subito in paradiso sen-
za passare per le fiamme del purgatorio, I'CQSÌ

46.7 Page 457

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— 904
quelli che fanno professione con le dovute
disposizioni, ottengono la remissione di tutti
i loro peccati e delle pene loro dovute, ed
andrebbero diritti in paradiso se la morte
li prendesse subito dopo. La stessa grazia
conseguono coloro che entrano in religione
come quelli che si battezzano, dice San Tom-
maso riassumendo e confermando l'opinione
degli altri Santi Dottori.
Il martirio incruento.
I teologi ed i Santi Padri paragonano an-
che la professione religiosa al martirio, per-
chè essa fa morire il religioso a se stesso, e
l'immola continuamente a Dio. Il martirio
è l'atto il più eccellente della carità, e per-
ciò cancella tutti i peccati e tutte le pene,
ad essi dovute, conducendo il testimone della
fede direttamente in paradiso. Nello stesso
modo l'oblazione, che il religioso fa di se
stesso a Dio con la professione dei santi voti,
è così eroica, che non se ne può avere altra
maggiore, visto che non resta più nulla a
dare a chi ha dato tutto ed anche se stesso.
Io ho bisoguo, mio buon ascritto, di animarti
alla perseveranza nella tua vocazione. Ma
non con lusinghe, con promesse non esegui-
bili, sebbene con dirti in antecedenza: Bada
che la professione religiosa è un martirio; ti
senti? sei disposto al martirio? In caso affer-
illativo io ti dico: Coraggio, avanti, Iddio è
con te. Se ti piace la gloria del martirio bi-
sogna che ne abbracci con animo generoso i
patimenti.
So che mi rispondi: Ma io non lo vedo
questo martirio; sono al termine del mio no-
viziato, e non trovo che gioie e consolazioni;
e nei medesimi soci professi che conosco non
scorgo per nulla traccia di martirio. È vero:
il buon Dio cosparge molte volte di consola-
zione la vita religiosa. Ciò non toglie che per
sè non sia una vita di grande sacrifizio, ed
anzi vita di martirio. Tu ora sei, come si
dice, nella luna di miele; tutto ti torna a
bene: hai buona volontà, e Iddio ti dà gli
zuccherini delle consolazioni. Finché farai
ogni cosa con slancio, sta' sicuro che sarai
sempre allegro e contento, come allegri e
contenti erano i martiri nel martirio stesso.
Ma appena si rallentasse in te il fervore,
subito sentiresti il peso del sacrificio. Non
vorrei poi che ti venisse di non sentire il
peso dello stato religioso, pel motivo che non
osservando bene le regole non senti tutto il
peso delle medesime. Questo sarebbe il se-
gno vero della tiepidezza, che rovinerebbe
tutto l'edificio della tua santificazione: le re-
gole vanno osservate, anche quando la loro
osservanza richiede sacrifizio. Occorre ancora
notare che gli sforzi devono essere grandi
per sradicare i difetti. Uno è orgoglioso, al-
tri è collerico, altri pigro o geloso. Questi di-

46.8 Page 458

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fetti non son compatibili con un buon re-
ligioso. È giocoforza sradicarli. Ma lo schian-
to costa alle volte sudor di sangue! Li sra-
dichi tu con quanta violenza occorre, o te
li tieni? Se vuoi esser vero religioso devi sra-
dicarli, e sradicarli ad ogni costo, ti costasse
qualunque sforzo. Fa' coraggio, non cedere,
sradica bene ogni difetto, e vedrai che ot-
terrai la gloria come del martirio.
Il martirio dei religiosi, che è un marti-
rio di perfezione, ha ancora sul martirio del-
la fede il vantaggio della durata, poich'esso
dura tutta la vita, mentre l'altro finisce spesso
con un sol colpo di spada. Ha pure il van-
taggio di una scelta pienamente volontaria,
ossia d'una spontaneità completa. Poiché,
mentre i martiri sono alle volte nella ne-
cessità di fare il sacrifizio della loro vita
per non apostatare e dannarsi, i martiri della
professione religiosa si decidono all'immola-
zione spontaneamente, senza esservi costretti
da nessuna legge, da nessuna circostanza, da
alcuna necessità; sono spinti solo dall'amore.
Fortunate queste vittime sempre pronte ad
essere immolate al Signore dalle mani dei
superiori!
Fortunata necessità!
Nel medesimo tempo che la professione,
considerata in rapporto a Dio, è un sacrifi-
zio completo, essa considerata in rapporto
all'uomo, gli apre una sorgente di meriti spe-
ciali in tutte le sue azioni. Quest'obbliga-
zione che i religiosi contraggono per mezzo
dei loro voti, non diminuisce per nulla la
loro libertà, come fa notare San Tommaso;
al contrario essa la perfeziona. Se uno con-
sidera la libertà in ciò che essa ha di meglio,
tal quale si trova in Dio e negli angeli, essa
si compendia nella facoltà di poter fare il
bene. Ora la proprietà dei voti è precisa-
mente di confermare la volontà nel bene, e
di metterla nell'occasione di praticare la per-
fezione. Fortunata necessità, dice Sant'Ago-
stino, che obbliga a fare ciò che è il meglio!
Non pentirti adunque mai d'aver fatto i voti!
Anzi al contrario rallegratene sempre, per
non aver più il potere di fare ciò che non
avresti potuto fare che per tua sventura.
Catene gloriose.
Se pertanto i voti sono in qualche modo
delle catene, lungi dall'esser catene vergo-
gnose e da schiavi esse sono catene gloriose,
poiché esse fanno onore al coraggio dei reli-
giosi, e sono i contrassegni della loro perfe-
zione. Esse sono catene fortunate, poiché rom-
pono la disgraziata servitù del peccato, e
vincono gli attacchi insidiosi del mondo. Sono
catene salutari, poiché rendono fissa l'inco-

46.9 Page 459

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— 908 —
stanza naturale, fortificano le risoluzioni, le
sostengono nelle tentazioni, e confermano il
religioso nel bene, come dice San Tommaso:
per il voto la volontà si rafforza nel bene.
Esse sono finalmente catene di amore, che lo
elevano più presso a Dio, e gli apportano un
ornamento, non un peso, come dice molto
bene Sant'Ambrogio parlando del giogo di
Gesù Cristo.
I voti rendono meritori tutti gli atti dei
religiosi.
I voti che pronunziano i religiosi danno
ancora un merito particolare a tutto quello
che essi fanno. San Tommaso lo prova con
tre ragioni che riguardano la qualità degli
atti, la loro quantità e la perfezione della
volontà che li emette. Quanto alla qualità
degli atti, un'azione è tanto più eccellente e
più meritoria quanto più appartiene ad una
virtù più nobile e più elevata. Ora per mezzo
dei voti tutte le azioni di chi li emise ap-
partengono alla virtù della religione, che è
la più eccellente di tutte le virtù morali. Così
queste azioni hanno due meriti: l'uno della
virtù a cui appartengono per se stesse, l'al-
tro della virtù della religione, della quale
assunsero il carattere. Per esempio la morti-
ficazione della maggior parte dei sensi ap-
partiene alla virtù della castità; ma per mez-
zo della professione ogni atto si onora an-
cora della dignità d'atto di religione, essendo
le nostre persone consacrate al Signore. E
quest'ultima eccellenza secondo Sant'Agostino,
è ben maggiore dell'altra. Poiché, dice egli;
la verginità è molto stimabile, ma non tanto
perchè essa è verginità, quanto perchè essa è
consacrata a Dio. Per quanto concerne la
quantità di merito e di donazione, le azioni
che il religioso fa con voto dànno più a Dio
che quelle ch'egli compie di suo proprio im-
pulso, senza esservi obbligato in modo alcuno
Invero, il religioso per la sua professione non
offre solo le sue buone opere ma ancora tutto
il potere che aveva di farle o non farle, di
compirle per un dato tempo e di lasciarle in
seguito. Esso si mette volontariamente nel-
l'impossibilità d'interrompere quelle opere
sante che egli votò a Dio (1). Ora questa of-
ferta acquista agli occhi di Dio un valore con-
siderevole, primieramente a causa dell'atto di
rinuncia definitiva di noi medesimi che esso
racchiude; in seguito a causa del lato positi-
vo e fecondo dei suoi risultati. Invero i voti,
lungi dall'incatenare le nostre forze, chiama-
no a rassegna tutte le risorse della nostra ani-
ma, per metterle d'una maniera completa e per-
petua nelle mani di Dio, e potere per mezzo lo-
ro e in loro fare qualche cosa di costante e
(1 ) • Subicit se Deo, non solimi quantum ad actum,
sed etiam quantum ad potestatem, quia de coetero
non potest aliud tacere ».

46.10 Page 460

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di grande. Infine se si vuole considerare l'azio-
ne sotto il rapporto del merito, questo è tanto
maggiore quanto esce da una volontà più per-
fetta; poiché la bontà degli atti esteriori di-
pende anzitutto dal principio da cui essi ema-
nano. Ora le azioni che si fanno in virtù dei
santi voti, nascono da una volontà più per-
fetta che le azioni le quali, contenendo pure
la medesima qualità e la medesima quantità
di bene, son fatte senza voto, e perciò pro-
durranno molto maggiori meriti. Invero la
volontà è tanto più perfetta quanto è più fer-
ma, più costante e più invincibile. Ed è prin-
cipalmente proprietà dei voti di dare alla
volontà questa stabilità e questa energia invin-
cibile per il bene, come dice San Tommaso.
Il medesimo dottore angelico spiega ancora
questa medesima cosa con i suoi contrari,
dicendo: Come un peccato commesso con una
volontà risoluta di peccare e con vera mali-
zia è un peccato più grande, perchè denota
una volontà più cattiva, ed un'anima più de-
pravata, che se essa fosse stata fatta per
debolezza o per il subito impeto di qualche
passione, così un atto di virtù che procede da
volontà ben determinata e ben ferma, è più
grande che se ella procedesse da una volontà
fiacca e languente.
— 911
Sii riconoscente e fedele a Dio.
Quanti vantaggi riuniti nella professione!
Quanto è buono Dio di farne parte alle ani-
me che hanno fame e sete di giustizia e di
perfezione! Quanto fu buono nell'aver atti-
rato anche te a far parte di questo numero,
e di averti aperto senza misura i tesori di tut-
ti questi beni. Oh come è bello poter offerire
a Gesù tutto quello che abbiamo ed essere
sicuri ch'egli lo accetta e lo gradisce! Tu
però cerca di prepararti affinchè realmente
riesca ad offerir tutto non ritenendo proprio
nulla per te. Come Gesù sarà contento di que-
sta tua generosa offerta, e come te ne com-
penserà se la farai volentieri e completa! Oh
mio amatissimo figliuolo: la morte piuttosto
che essere infedele alle solenni promesse che
fai! Fa' questa risoluzione: di morire piutto-
sto che separarti dalla croce di Gesù, alla
quale ti leghi coi santi voti. Tutti gli anni
da noi si rinnovano i santi voti; ma tu ascol-
ta il mio consiglio, prometti fin d'ora di rin-
novarli tutti i giorni dopo la santa comunione.
San Francesco Saverio, li rinnovava tutti i
giorni, e fu per lui uno dei mezzi più grandi
per farsi santo, e diceva di non conoscere mi-
glior preservativo contro gli attacchi del de-
monio che viene tutti i giorni a tentarci. Pro-
metti di fare il medesimo anche tu, e te ne
troverai contento.

47 Pages 461-470

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47.1 Page 461

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- 912 —
Il momento prezioso.
Il momento dell'emissione dei voti è tanto
opportuno per domandare grazie speciali, e
per fare speciali promesse, che abbiano a du-
rare per tutta la vita. Io ti suggerisco qualche
grazia speciale da domandare e qualche pro-
messa da fare in questa circostanza; e tu ag-
giungi poi quelle altre che troverai più utili
per te in particolare, o che ti saranno sugge-
rite dal superiore. Prendi pertanto, tra le al-
tre, questa risoluzione, e sta' certo che te ne
troverai contento: Non mai lasciare un giorno
senza fare la santa comunione; rileggerti tut-
ti i mesi di tua vita, in occasione dell'eserci-
zio di buona morte, i proponimenti fatti ne-
gli esercizi preparatori ai santi voti, facendo-
vi mese per mese quelle piccole aggiunte o
modificazioni che le circostanze suggeriranno;
e questo potrà farsi in modo tutto speciale
negli esercizi spirituali annuali. Prometti an-
cora di non voler passare un giorno della tua
vita senza fare un qualche ossequio al Cuore
Sacratissimo di Gesù, a Maria Ausiliatrice,
ed anche a Don Bosco, e procura di concretiz-
zare qual ossequio vuoi fare, e fallo appro-
vare dal superiore.
Grazie da chiedere.
Chiedi poi qualche grazia speciale: spe-
cialmente quella di non aver più con qualche
— 913 —
nuovo peccato avvertito a perdere la stola
dell'innocenza riacquistata coi santi voti,
quella di poter fare del gran bene, di poter
salvare molte anime. Ed a questo fine offriti
a Gesù, pronto a soffrire quanto egli dispor-
rà, anche moltissimo e in ogni modo, purché
ti scelga a salvare molte anime. Domanda, se
lo vuoi, la grazia di poter essere missionario;
di poter morir martire, se non di sangue al-
meno di fatiche; quella di poterti occupar
molto in bene della nostra Pia Società, procu-
rando molte vocazioni, o consolidandone mol-
te. Un altro gran pensiero deve aiutare a ciò
chi è nella via del chiericato. È cosa buona
che cominci fin d'ora a pensare alle sacre or-
dinazioni. Lo Spirito Santo ci fa appunto di-
re per mezzo di Davide: Chi sarà degno di
ascendere al monte del Signóre, cioè al sacer-
dozio, o chi starà nel luogo suo Santo? (1).
E risponde: L'innocente di mani e chi ha il
cuore mondo. Bisognerebbe essere innocenti
e mondi di cuore. Ebbene; tu di' a te stesso:
Sebbene io abbia già avute delle disgrazie spi-
rituali per il passato, ora ho potuto riacqui-
stare l'innocenza. Oh! voglio conservarla que-
sta seconda stola candida, che il Signore per
sua bontà mi diede ancora, avendo avuta la
(1) • Quis ascendet In montem Domini, aut quia
stabit in loco sancto eius? Innocens manibus et mundo
corde ».

47.2 Page 462

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disgrazia di perderla prima! E con questi
pensieri animati a fare qualunque sacrifizio,
pur di non offendere più il Signore.
CAPO XX
I PRIMI MESI DOPO 1 SANTI VOTI
Sono mesi pericolosi ed importanti.
I primi mesi che seguono immediatamente
dopo il noviziato sarebbero mesi grandemente
pericolosi per te, se non stessi in guardia so-
pra te stesso. Il demonio non lascia di tentare,
anzi arrabbiato perchè gli sei sfuggito, con
gran furore ti assale ancor più fortemente.
Alle volte poi ai santi voti succede un tempo
di crisi, da cui può dipendere la vita intiera.
Sii perciò attento e vigila sopra te stesso, e
raffermati nel proposito di volere non solo
non tornare indietro, ma bensì continuamente
ed alacremente progredire nell'esercizio delle
virtù religiose. Devi pensar sempre che ora
sei tutto di lui. Devi applicare a te quelle pa-
role che lo Spirito Santo applica ai giusti, che
essi cioè tutti i giorni procurano di ascende-
re e di andare sempre più avanti (i). Lo Spi-
ti) « Ascensiones in corde suo disposuit » (Salmi,
L X X X I I I , 6).
rito Santo ci avverte inoltre, che colui il qua-
le ben comincia è a metà dell'opera. Giova
pertanto che tu, il quale or ora hai fatti i
santi voti, cominci veramente bene la vita
nuova che hai intrapresa; che ti metta con ani-
mo generoso per continuare bene. La via da
percorrere fu ben preparata nel noviziato;
ma tuttavia ti riesce quasi nuova nella prati-
ca. Uscendo dal noviziato devi essere ben per-
suaso che la tua virtù è ancora ben poco so-
lida, che il minimo pericolo e le piccole prove
possono esserti ben funeste; e che non puoi
conservarti virtuoso che a condizione di una
vigilanza sostenuta, e della più grande fedeltà
alle prescrizioni delle nostre sante regole.
Attento al demonio.
Ricordati anche sempre dell'altro avviso
dello Spirito Santo, il quale dice dover prepa-
rare l'anima sua alla lotta chi s'incammina
al servizio di Dio. Non crederti, no, di non
aver più bisogno di vigilar tanto sopra te stes-
so, nella persuasione che il demonio ti tenterà
meno ora che ti sei legato al Signore coi san-
ti voti. Generalmente il demonio tenta ancora
di più; e, rabbioso d'essere stato scacciato da
te, dice il Vangelo, va a cercare altri sette
demoni peggiori di lui, e riviene ad un assal-
to anche più feroce; perciò vigila. Sta' tran-
quillo: il demonio non può nulla se tu fai la

47.3 Page 463

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— 916
p.ftb tua, perchè il Signore in conseguenza
dei saliti voti ti aiuta anche di più. Ma se tu
dopo ^'grazia così segnalata non facessi la
parte tua, il Signore potrebbe permettere al
demonio un assalto disperato, e tu, già resoti
debole con la poca corrispondenza, cadresti
miseramente.
Non dormire nelle consolazioni.
Talvolta invece Iddio concede al novello
professo per un tempo notevole un'epoca di
tranquillità, di pace, di consolazione. In que-
sto caso sappine ringraziare il Signore. È un
dolce che ti concede, affinchè tu sia sicuro del
gradimento della tua offerta. Ma neppure in
questo caso pensa di addormentarti sui tuoi
allori. Attento, chè questa stessa tranquillità
può essere un laccio del demonio, affinchè
lasci di vigilare, per poterti quindi sorprende-
re all'improvviso, impreparato.
Primi raffreddamenti: 1) Nella pietà.
Ciò che mi fa più paura in te dopo i voti
si è, che poco per volta ti lasci andare al
raffreddamento. Ciò avviene ordinariamente
su due punti: si trascurano un poco le pra-
tiche di pietà, e non si bada più tanto alle
piccole cose, lasciandosi sfuggire di tanto in
— 1—
tanto le piccole mancanze. Attento a questi
due lacci. Ordinariamente le rovine anche
grandi cominciano da una di queste due ra-
dici, o meglio da tutte e due insieme, perchè
per lo più sono correlative. Se comincia il
raffreddamento nelle pratiche di pietà, co-
minciano pure le piccole mancanze; se co-
minciano le piccole mancanze, comincia pure
il raffreddamento nella pietà. Il primo punto
di raffreddamento, per ordinario, avviene nel-
le visite al Santissimo Sacramento, e nelle
meditazioni. Io ti raccomando, per quanto so
e posso, che tu non ne lasci alcuna di queste
visite che facevi nel tempo del noviziato, e
che cerchi di non diminuirle nè nella dura-
ta nè nell'intensità della divozione. Per la
meditazione dovresti mettere anche maggior
impegno. Devi cercare di riuscirci anche me-
glio: s'impara a meditare meditando. Se per-
tanto ti vedi a riuscir meno, sappi subito
scuoterti e prendere mezzi energici per prò
gredire.
2) Nelle piccole cose.
11 secondo punto di raffreddamento deri-
va dal non tener più tanto conto delle picco-
le cose. Qui sta il gran pericolo: Chi non fa
conto del poco, un po' alla volta cadrà. Le
. randi cadute per lo più non vengono repen-
tinamente, ma son sempre preparate da ne-

47.4 Page 464

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gligenze e cadute piccole. Sta' sull'avviso. An-
zi bada che il non progredire è già un ma-
le. Perciò, appena ti vedessi di non far pro-
gresso, rifletti subito sopra te stesso ed al
pericolo che sei per correre, e fa' proposito
di badar di più alle piccole cose e di fuggire
le piccole mancanze.
3) Nell'umiltà.
Terza causa del raffreddamento è la su-
perbia. Si comincia col dire: «Oh ma adesso
non son mica più novizio! ». Sì sì, considerati
sempre come novizio, giacché invero lo siamo
sempre nella via della perfezione! Non volere
qualche privilegio sugli ascritti, nè a tavola,
nè in occasione di feste, nè altrimenti. Il
Signore richiede che chi è primo si conside-
ri come l'ultimo; ed egli ce ne diede l'esempio.
Animo adunque! Se vuoi conservare il fervo-
re, fatti umile, sta' umile, rintuzza tutti i de-
sideri di comparire, di figurare, di primeg-
giare. Cerca di primeggiare nell'abbassarti.
D'altronde sai quali sentimenti dovrebbe a
buon diritto suscitare in te quel dire: Ora
non son più novizio? Non sei più novizio;
perciò devi già essere bene istruito negli ob-
blighi religiosi. Se prima potevi scusarti al-
legando l'ignoranza, ora non lo puoi più. Non
sei più novizio; dunque devi essere più avan-
ti, più spedito nella via della perfezione. Sa-
rebbe una vergogna per un allievo, essere
più indietro al fine di un anno di studi che
sul principio. Medita bene questa verità e
sappila valutare pel suo peso. Umiliati nel
vedere che dopo vari mesi di professione sei
forse solo come prima, e forse più indietro
di prima, ed adopra decisamente tutti i mez-
zi per progredire. Facendo i santi voti hai
rinunziato a te stesso, ed hai promesso di far
vivere in te Gesù; dunque non devi più cer-
care quanto ti piace, ma quel che piace a
Gesù. Alle volte avviene che, fatti i voti, uno
crede, come si direbbe, d'essere uscito di mi-
norità e di tutela. Tu non lusingarti con ta-
le idea, che sarebbe un inganno ed un laccio
troppo insidioso. Bisogna farsi piccoli, e te-
nersi piccoli per tutta la vita. Per poco che
ci innalziamo, noi non siamo più degni di
quel Gesù che abbiamo eletto di seguire e
imitare. L'intenzione della Chiesa si è, che
il primo triennio dopo i voti sia considerato
come un prolungamento ed un perfeziona-
mento del noviziato. Entra in questa inten-
zione della Chiesa, e considerandoti ancor
sempre novizio procura di non lasciar la mi-
nima pratica che facevi al noviziato.
4) Nella semplicità.
Quarta causa di raffreddamento nel bene
proverrebbe dal non essere più così semplice
nei tuoi rendiconti come eri prima, credendo

47.5 Page 465

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— 920
che non sia più tanto necessario; ed alle volte
si arriva ad avere meno stima dei superiori.
Bada che questo è inganno del demonio. La
confidenza e schiettezza, credo doverti dire,
deve essere uguale, quasi maggiore se fosse
possibile, perchè entri in un periodo di crisi.
Il direttore è stabilito specialmente per te: sta'
pur sicuro che continuerà a dirigerti bene, se
tu ti apri sempre con lui. E se fosse un diret-
tore nuovo, da te non conosciuto, sappi che
per te non deve mai essere nuovo. Quello che
avevi prima teneva le veci di Dio: questo
ugualmente tiene le veci di Dio; perciò, avan-
ti tranquillo nelle mani di Dio.
Due raccomandazioni speciali.
Che se la terza prova, che è quella dei voti
triennali, si facesse unitamente ai novizi, due
cose in particolare ti raccomanderei: 1) Pro-
cura di essere agli ascritti di buon esempio.
Questo servirà loro per mettersi subito di
buona volontà, e la casa prenderà subito l'a-
spetto di vera casa religiosa. E servirà anche
molto a te, poiché cercando di essere di edifi-
cazione agli altri, starai in guardia su di te
stesso e non farai nessuna azione biasimevole. I
2) Associati subito con tutti: non voler stare
solo coi più anziani. Anzi mortificati e va'
subito con chi vedi meno atto, meno attraen-
te, più solitario. È con questo che devi inco-
— 1—
minciare a dar saggio di essere degno figlio
di Don Bosco, e che ti avvii ad essere poi un
buon assistente, un buon educatore.
Avvertimenti di San Bonaventura ai nuovi
professi. — 1) Non lasciare l'osservanza
ed il maestro.
Or tu godrai, se ti aggiungo ancora alcuni
buoni ammaestramenti che dà San Bonaven-
tura a questo proposito. « Devono i novelli
professi, dice egli, avere grandissima cura di
non rilasciarsi dalla cominciata osservanza.
Per quanto ti sia perfezionato nel tempo del
noviziato, fossi pur arrivato a gran perfezio-
ne, devi stare attento ed usar diligenza ed
energia per non cader mai con l'opera o con
il pensiero in alcun minimo difetto. Perchè
se non sei ben risoluto di voler emendare le
piccole colpe; a poco a poco insensibilmente
ingannato piglierai ardire di commettere an-
che le colpe maggiori. Il prudente religioso
non rifiuta mai nè getta da canto quegli am-
maestramenti, che ricevette al tempo della
sua prova del noviziato. Neanche subito lascia
il suo maestro, come quasi presuma di essere
già sufficiente a se stesso. Che se il novizio
ha bisogno di guida, anche chi è giovane
professo ha bisogno di chi l'ammaestri e go-
verni nel suo profitto spirituale. È vano e fin-
to religioso, colui che subito uscito dalla cu-

47.6 Page 466

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— >922 —
ra del suo maestro diventa insolente, prende
le corna della superbia, si fa presuntuoso ed
audace, e come giovenco lascivo, trova da di-
re contro chi l'istruì e va mancando dalla pri-
mitiva sua osservanza, e intiepidendosi nello
spirito di preghiera, e con la trascuratezza
delle piccole regole va dimenticandosi di se
stesso. Lasciando gli accurati esami di co-
scienza, senza dubbio ne avviene che appaia
mondo agli occhi propri, ancorché più non
lo sia; e mentre inghiotte le colpe, viene as-
sorto dalla dimenticanza di esse. E intanto le
colpe si moltiplicano, e non ci si bada, mentre
così moltiplicate impediscono ed oscurano la
vita interiore. E siccome i suoi difetti non so-
no da lui veduti, non si emendano, e poco per
volta si diventa sommamente viziosi quasi
senza accorgersene. In tal modo, dice la Sa-
cra Scrittura (Eccli., XXII), va sempre dimi-
nuendo e peggiorando. Mentre invece chi con-
tinua ad amare chi lo istruì, ed a praticare
anche nelle piccole cose quanto imparò, va
sempre avanti nel bene sino alla perfezione.
— 923 —
miltà e della povertà, la spogliazione degli
affetti e delle cure terrene, l'esercizio della
carità e l'attenzione del considerare, la quale
abbraccia ogni cosa. È dunque una somma
virtù del religioso l'umiltà, la quale lo sana
da ogni infermità spirituale, lo fa perfetto, e
lo conserva; mentre senza umiltà niuna virtù
e niuna perfezione si acquista nè si mantiene.
Poiché l'umiltà è un certo buono e stabile
fondamento nella virtù: in modo che se ella
manca, senza alcun dubbio il cumulo di vir-
tù non è altro che rovina. E siccome l'umilia-
zione è la via che fa scorta all'umiltà, perciò
i religiosi uon debbono vergognarsi delle cose
umili e basse; essendo che chi si umilia per
Iddio, sarà esaltato. Nè debbono cercare di
procurare che facciano altri gli uffici umili
che fossero loro commessi. Fuggi pertanto ac-
curatamente ogni presunzione. Ed ai confra-
telli che sono avanti a te nella religione devi
rendere onore, e sempre in comparazione di
loro devi riputarti inferiore.
2) Umiltà e distacco.
« Or dunque quei che sono professi, faccia-
no professione di far profitto spirituale cam-
minando innanzi nella via delle virtù, e sban-
discano da sè ogni presunzione. A ciò molto
gioverà loro la perseverante costanza dell u-
3) Non visitare spesso i parenti, o immi-
schiarsi negli affari loro.
« Neppure debbono i nuovi professi spesso
andare a visitare i propri parenti, nè intricar-
si nelle cure o nei loro negozi esteriori; ma,

47.7 Page 467

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ricordevoli della loro salute, attendere piutto-
sto a far penitenza. Non mai esca dalla mente
loro la professione fatta; ma sempre pensino
a che fine siano venuti alla religione. Conside-
rino invece quel che di alcuni ragiona San
Gregorio, dicendo: Alcuni spesse volte lasciano
manifestamente le vie della iniquità e pren-
dono l'abito della santità; ma subito che han-
no toccati i principi del ben vivere, scordan-
dosi di quel che già sono stati, non vogliono
poi, per la penitenza delle perdonate loro scel-
lerataggini, sentire alcuna afflizione, anzi de-
siderano di essere lodati, e bramano anche di
essere superiori ad altri.
4) Fuggire le soverchie familiarità.
« Inoltre i nuovi professi devono fuggire le
soverchie familiarità. Se la lamiliarità sarà
ordinata, non sarà mai nè lusinghevole nè
adulatrice, nè fanciullesca e leggera. Ma se
non è ordinata si cade in scurrilità, e per l'af-
fetto ad uno si disprezza un altro, e per ca-
gion dell'amico si offende il prossimo (1). Non
si deve poi mai cercare di acquistarsi la gra-
zia od amicizia di alcuno con regalucci.
(1) «Noli Aeri prò amico mimicus proximo » (Ec-
rii., VI, 1).
— 925 —
5) Servizi di carità.
« Stiano attenti i novelli professi a far vo-
lentieri quei servizi che richiede la carità, la
quale quanto più si esercita tanto più fa de-
bitori chi l'usa. E se ella si deve usare anche
verso i nemici, come mai si potrà rifiutare
agli amici? E devi amare e pregare anche
molto per quelli che attendono agli esercizi co-
muni nella casa. Essi con l'umile servitù lo-
ro sollevano gli altri. Tutti devono pregare per
quelli che si affaticano per la comunità. Con-
viene che nei beni spirituali Marta partecipi
con Maria, giacché certamente sono sorelle.
Ed è cosa giusta ed equa che sia uguale la
porzione di quello che va alla battaglia e di
quello che resta alla guardia dei bagagli, in
modo che ugualmente tra loro dividano le
spoglie. Perciò quelli che ci fanno servizi ma-
teriali è giusto che partecipino con noi nei
beni spirituali a loro necessari ».
Molti altri avvisi pone San Bonaventura
ai nuovi professi. E tu praticando questi qui
sopra esposti procura di sostenerti bene nella
via della santità e di progredirvi ogni giorno.

47.8 Page 468

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CAPO XXI
DEL SANTIFICARE
GLI STUDI ED IL LAVORO
Necessità per noi di veri studi.
La nostra Pia Società, animata com'è dal-
lo spirito di carità verso il prossimo, deve cer-
care tutti i mezzi che possono aiutarci a gio-
vare al medesimo. Oltreché un buon sacer-
dote deve essere sale della terra con la scien-
za, dovendo catechizzare, predicare, confessa-
re, dirigere anime, il nostro istituto ha anco-
ra per scopo speciale l'educazione della gio-
ventù e la diffusione della buona stampa. Co-
me potremo noi conseguire questo fine nostro,
se non si facessero tra noi gli studi, e studi
seri? Ciò è portato pure dalla necessità dei
nostri tempi, in cui gli studi son tanto pro-
grediti e la stampa cattiva dilaga pel mondo.
Vi è di più; i genitori non ci affiderebbero
più i loro figliuoli se non si istruissero bene;
e nessuno più leggerebbe i nostri libri, se non
fossero scritti a dovere. Questa è una ra-
gione di più per noi di attendere seriamente
agli studi. La vita del salesiano ecclesiastico,
da più a meno, dovrà sempre essere in mezzo
agli studi.
— 927 —
Obbligo di studiare.
Gran conto dovrebbe rendere a Dio un
trascurato salesiano, che non impiegasse come
dovrebbe il suo talento, defraudando colla
sua peccaminosa oziosità le premure dei su-
periori, le sante sollecitudini della congrega-
zione, e l'aspettazione della Chiesa, bramosa
di operai che si affatichino con intelligenza
nella porzione della vigna del Signore che è
a noi affidata. Tu conosci benissimo ciò che
accadde a quel servo neghittoso del Vangelo.
Costui per aver tenuto ozioso il talento dato-
gli dal padrone affinchè lo trafficasse per
trarne vantaggio e lucro, fu condannato co-
me servo infedele ed inutile ad essere gettato
nelle tenebre esteriori, a piangere la sua ozio-
sità e colpevole pigrizia. Questa è una para-
bola, è vero. Ma non è solo parabola bensì
una realtà, che tanti e tanti ignoranti reli-
giosi al tribunale del Signore saranno con-
dannati a pagare il fio della loro trascura-
tezza e vergognosa ignoranza. Avrebbero po-
tuto fare del gran bene trafficando conve-
nientemente i loro talenti, e per essere stati
neghittosi formano il disonore e l'ignomi-
nia dello stato da loro abbracciato. Non te-
nere, figli noi mio, sepolto nell'ozio quel ta-
lento che Iddio ti ha dato! Proponi di traf-
ficarlo, quando sarà tempo, in grande mi-
Mira, e di non voler perdere neppur un bri-
iolo di tempo. Tieni come se fosse detto di-

47.9 Page 469

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— 928
!
rettamente a te dallo Spirito Santo: «Nes-
suna particella del buon dono sia da te
sprecata ». Come fece Sant'Alfonso in mezzo
alle cure immense dell'episcopato, e come
fondatore e superiore generale dei Redento-
risti, a comporre tante e sì poderose opere?
Egli aveva fatto voto di non perder mai un
momento di tempo. Come fece San France-
sco di Sales, in mezzo a tante cure e solle-
citudini, a scrivere tanti libri, e così belli
e sapienti? Con tenere da conto ogni rita-
glio di tempo. Come fecero tanti uomini il-
lustri, come fece Don Bosco ad operare tante
cose ed a trovar tempo di scrivere tanti li-
bri? Noi sappiamo con che usura occupasse
anche i più piccoli ritagli di tempo. Procura
anche tu d'imitare cotesti sì gloriosi esem-
plari.
Anche per i coadiutori.
Questo che dico dello studio per i chie-
rici, va detto dell'applicazione allo studio ed
al lavoro per i coadiutori. Nè basta ,il non
stare oziosi; noi abbiamo bisogno di un la-
voro intelligente, serio, costante! Molti no-
stri coadiutori devono divenire abili nei vari
mestieri e nelle arti, tanto da saper sostenere
laboratori, tipografie, librerie. Altri devono
imparare a condurre macchinismi, impianti
elettrici, cantieri, fabbriche. Altri occorre che
siano esperti nei negozi, nelle compere, nelle
vendite; che sappiano sostenere uffici di re-
gistrazione e di contabilità: vari anche de-
vono essere esperti professori e maestri. In
questi impieghi non si può riuscire senza fa-
tiche e continue esercitazioni. Chi perdesse
tempo, dovrebbe rispondere al Signore, oltre
che del tempo perduto, anche del minor bene
che viene atto a fare. Energia pertanto e
fortezza nel rendere usufruibili tutte le fa-
coltà compartiteci dal creatore!
Santificare lo studio.
Ma l'occupar bene il tempo e lo studiar
molto non basta. È di necessità assoluta d'im-
parare a santificare questi studi e questi la-
vori, chè diversamente per fare del bene agli
altri trascureremmo noi, o peggio, ci farem-
mo del male. Niente di più nocivo della
scienza, quando non è ben indirizzata. San
Paolo ci mette sull'avviso chiaramente: la
scienza gonfia (7 Cor., Vili, 1). Don Bosco
poi vide che gli sforzi maggiori dei demoni, che
.cercano in ogni modo di rovinare la nostra
Pia Società, sono rivolti ad assalirci dalla parte
' degli studi, facendo rendere profani gli studi,
facendoci studiare per fini di vanagloria, e
facendo dare maggior importanza agli studi
che alla pietà. È quindi di massima impor-
tanza per te il trovar modo di santificare i
tuoi studi ed i tuoi lavori.

47.10 Page 470

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Mezzi: 1) Preferire gli studi sacri.
Io credo che gli studi non ti saran di no-
cumento, anzi ti serviranno di gran bene, se
tu li santificherai appigliandoti ai mezzi, che
io qui verrò suggerendoti. E prima di tutto
prometti di volerti dare più volentieri agli
studi sacri che non ai profani. Noi abbiamo
bensì bisogno degli studi profani, e perciò tu
devi attenerti anche ad essi a titolo d'obbe-
dienza. Posto ciò attendivi molto volentieri,
entrando nell'idea dei superiori che devono
comandare tali studi per necessità, essendo
un mezzo a noi indispensabile per far del
bene. Ma per conto tuo aspira più alle di-
scipline sacre che alle profane. Così se hai
qualche tempo libero, anche per contrapporre
un antidoto alla proclività naturale che ci
porta a conoscere le cose profane, procura
di studiare o di leggere qualche trattazione
d'istruzione religiosa, di apologetica o pole-
mica cattolica; studia qualche trattato di sto-
ria ecclesiastica, di ermeneutica sacra. E spe-
cialmente poi dedicati, quando ne sarà il
tempo, con assoluta alacrità alla sacra teo-
logia. Fanne una promessa solenne, di voler
a tutti i costi aspirare alla teologia, e di vo-
ler poi studiarla bene con tutte le tue forze
a suo tempo. Quando le vacanze te lo per-
mettessero, o circostanze speciali te ne des-
sero agio, prendi volentieri il consiglio di
San Girolamo: Occupati a studiare a memo-
ria il Salterio: discatur psalterium ad oer-
bum. Ad ogni occasione possibile manda a
memoria qualche salmo, quelli principalmente
che si recitano con maggior frequenza; e
procura anche di capirli, facendone uno stu-
dio apposito. San Girolamo racconta che ai
suoi tempi fin gli agricoltori di Betlemme,
dov'egli passò vari anni, imparavano a me-
moria i salmi, che poi cantavano in tempo
delle loro faccende di campagna (1). Che ver-
gogna per noi religiosi, che alle volte ci la-
sciamo prender la mano nell'amare e bene-
dire il Signore dalle vecchierelle e dai buo-
ni campagnuoli! Il sacerdote, secondo che lo
vuole il Signore, deve essere istruito, deve
darsi alla scienza, per poter poi diffonderla
al popolo; ed il popolo deve venire da lui
per essere istruito, secondo quanto dice la
Sacra Scrittura (2).
Anzi il Signore minaccia fortemente, e ri-
getta quel sacerdote che non cura la scien-
za (3). Il nostro San Francesco di Sales vuole
che il sacerdote studi molto, e chiama la
scienza l'ottavo sacramento pel sacerdote. In-
(1) « In Christi villula tota rusticitas, et extra psal-
mos silentium est. Quocumque te verterle, arator sti-
vam tenens alleluia decantat, sudans messor psalmis
se avocat, et curva tondens vitem falce vinltor aliquid
Davidicum canit ».
(2) • Labia... sacerdotis custodient scientiam et
legem requlrent ex ore eius » (MALAC., II, 7).
(3) « Quia t u scientiam repulisti, repellam te, ne
sacerdotlo fungaris mihi » (OSEA, IV, 6).

48 Pages 471-480

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48.1 Page 471

▲back to top
— 932 —
siste nel dimostrare che il male prodotto dai
cattivi, e specialmente la così rapida dif-
fusione del protestantesimo, avvenne perchè
l'arca santa della scienza, sfuggita dalle ma-
ni sacerdotali, era caduta in mani profane.
Tu dunque che tendi al sacerdozio, devi im-
primerti bene questi detti nella mente, e darti
sodamente agli studi, se vuoi che il Signore
ti aiuti a compiere un dì la missione a cui
egli ama eleggerti.
2) Non perdere tempo.
Proponiti in secondo luogo di non perder
un momento di quel tempo che dalle regole
è assegnato agli studi. Il tempo si può per-
dere in due modi: o collo stare ozioso, o con
occuparti in materie non attinenti agli studi
imposti. Proponiti di non voler perdere nep-
pure un briciolo di tempo, neppure un mi-
nuto. Ricordati sempre del proverbio che dice:
ogni momento di tempo è un tesoro. Non
credere questa una esagerazione; è una real-
tà per tutti; ma una realtà tanto più grave
per gli ecclesiastici e per il religioso. In quel
momento perduto hai forse lasciato una co-
gnizione che ti avrebbe poi giovato grande-
mente a fare del bene, che forse t'avrebbe
aiutato meglio a salvare un'anima.
3) Avere intenzioni soprannaturali.
Ti aiuterà in terzo luogo a santificare gli
studi, il non lasciar insinuare nessun motivo
umano nella loro esecuzione. Non parlo a te
di lasciar entrare il desiderio di soppiantare
altri, il desiderio di comparire, far bella fi-
gura, ecc., che sono indegni al tutto di un re-
ligioso! Ma neppure devi lasciarti guidare
dal sentimento di curiosità, da quello solo d)
contentare i professori, di riuscire negli esa-
mi, di avere un onesto avanzamento, di stu-
diare perchè gli studi ti piacciono. Questi
motivi sono troppo bassi e naturali; tu devi
mirare più in alto, assorgere al soprannatu
rale. Motivi soprannaturali sono: il desiderio
di meglio conoscere Dio e le opere delle sue
mani, per venir più in chiaro delle divine
sue perfezioni; innamorarti sempre più di
lui, della sua bellezza, delle sue grandezze:
studiare perchè è tuo dovere, cioè perchè è
Dio che te lo comanda; perchè con questo
la congregazione ne avrà un bene: studiare
pensando che lo studio è un mezzo per far
del bene alle anime. Studia per questi motivi
soprannaturali, e ribatti assolutamente quan-
to può penetrare di vanagloria, di curiosità.
0 di semplice soddisfazione. Questi, che sono
1 fini propri di un religioso, sono altresì i
motivi che obbligano l'Autore della sapienza
ad aprirti meglio la mente, ed a benedire col
profitto degli studi la tua applicazione.

48.2 Page 472

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Pietà nello studio.
E per venire sempre più al pratico, io ti
esorto a studiare pensando che stai alla pre-
senza di Dio, che ti osserva. Pertanto pensa
direttamente a dar gusto a Dio collo studio.
Oltre alYActiones ben detto al principio e
l'Agimus al fine, converrà che lungo lo stu-
dio sappia elevare il tuo spirito con qualche
giaculatoria. Pensa a rinnegare ciò che ti
piace per far quel che piace al Signore. Da'
ad ogni studio quel tempo che merita, secondo
la sua importanza. Studia di più quelle ma-
terie che ti piacciono di meno. Tieni qualche
immagine sacra, come per esempio quella
del Crocifisso, del Sacro Cuore di Gesù, o
della Madonna, avanti agli occhi, affinchè ti
servano di richiamo. Sappi da cose materiali
sollevarti a pensieri soprannaturali, e nelle
difficoltà guarda con fiducia al Crocifisso,
come faceva San Tommaso d'Aquino. Egli
protestò d'aver imparato più ai piedi del
Crocifisso, che dai libri. O come San Fran-
cesco di Sales, che nelle difficoltà invocava
subito Maria SS. quale Sede della Sapienza.
Non lasciarti prendere mai dall'impazienza
quando non puoi capire o quando non puoi
ritenere qualche cosa, nè disturbare comec-
chessia quando manchi l'assistenza. Non te-
nere i compagni in poco conto, nè dar loro
alcun titolo spiacente. Non ti avvenga mai
nelle scuole di star disattento. Tanto meno
attendi ad altro studio quando il professore
spiega una cosa. E meno poi ancora mostrati
superbo coi professori, non acquietandoti
alle loro ragioni. Peggio di tutto poi sarebbe
se rispondessi ai medesimi.
Non voler immergerti in maniera tale negli
studi, che per essi abbia a trascurare la coltu-
ra del tuo spirito; onde non si converta in
detrimento dell'anima tua, una occupazione
che è diretta al tuo maggior profitto. Già San
Paolo ci ammoniva scrivendo ai Romani, a
non voler sapere più del necessario (1); e a
non voler saper cose alte, ma di accordarsi
cogli umili (2). Attienti perciò al pratico in-
segnamento che da un angelo fu dato al san-
to abate Antonio. Un giorno in cui questo
santo sentivasi colmo l'interno di moleste agi-
tazioni nella sua solitudine, gli comparve un
angelo in sembianza di monaco. E questi si
fece vedere per qualche spazio di tempo al
lavoro manuale, che interrompeva poco dopo,
mettendosi a pregare; indi tornava al lavoro
e poi all'orazione. Ed infine, esortando an-
che lui a far lo stesso, sparve pronunciando
le parole: Fa' così e sarai salvo. Lo stesso
dobbiamo fare noi. Si diano le ore prescritte
allo studio, e in quelle si studi alacremente.
\\la si diano anche le ore all'orazione, e in
(1) « Non plus sapere, quam oportot sapere, sed
sapere ad sobrietatem » (Rcnn., X I I . 3).
(2) « Non alta sapientes, sed humilibus consentien-
tes » (76., XII. 16).
31

48.3 Page 473

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quelle si preghi ferventemente. In questa
maniera tu obbligherai Iddio a non privarti
di quegli aiuti che ti son necessari, onde per-
severare nella vocazione e nello zelo di fare
il bene.
Fa' quello che puoi e sii umile.
Che se non avessi sortito dalla natura un
ingegno aperto per le scienze, sii almeno di-
sposto a fare quello che puoi, raddoppiando
l'applicazione, affinchè alquanto più di fa-
tica supplisca al difetto di natura. E se non
verrai ad imparare cose molto sublimi, impa-
rerai quanto è necessario per far del bene
tra i poverelli. Ma sta' sicuro che se tu sa-
rai veramente umile e ti adatterai a tutto,
e ti occuperai con vera alacrità e pazienza,
i superiori sapranno trovarti un'occupazione
in cui possa fare non meno bene che un
dotto. Perchè agli umili il Signore abbonda
di grazie; e ciò che non potranno fare colla
•dottrina, lo faranno colla santità, come av-
venne al santo curato d'Ars, Giovanni Battista
Vianney. Fuggi adunque sempre l'ozio. Ap-
plicati agli studi che più si adattano alla tua
capacità, senza pretendere di volar sublime.
E se non si potrà dire che sarai un uomo
di gran dottrina, sarai almeno un religioso
erudito nella scienza dei santi.
— 937 -
CAPO XXII
DEL PASSAGGIO DAL NOVIZIATO
O STUDENTATO
ALLE ALTRE CASE
Punto importante e pericoloso.
Uno dei punti più importanti e più pe-
ricolosi nella vita religiosa è certamente il
passaggio dal noviziato o dallo studentato
alle altre case. Fin che si è nelle case di for-
mazione, ciascuno ha da pensare a se solo,
al suo perfezionamento, a far progresso nella
virtù, nello studio e nel lavoro. Nei collegi
o negli ospizi si ha da pensare anche agli
altri, e si ha da sorvegliare i giovani e la-
vorare in loro favore. Nelle prime si è gui-
dati quasi per mano, nelle seconde si devo-
no guidare gli altri. E pertanto necessario
che ti prepari bene a questo passaggio, e
che prenda varie precauzioni, affinchè il mu-
tamento non ti arrechi danno, anzi ti abbia
a tornare di tutto vantaggio spirituale.

48.4 Page 474

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— 938 —
Giusto concetto della tua missione di edu-
catore.
E primieramente, affinchè nel lasciare il
luogo dove hai sempre pensato a te solo per
recarti dove sarai in dovere di pensare an-
che agli altri non abbia ad incespicare ed a
far mala prova, è importante che durante lo
stesso noviziato, e specialmente nello studen-
tato, acquisti un giusto concetto della mis-
sione di educatore della gioventù, a cui è
specialmente destinata la nostra Pia Società.
Educare (secondo l'etimologia stessa della
parola, educere, estrarre), vuol dire sviluppar
nei giovanetti le loro facoltà fisiche, intel-
lettuali, e morali, prima non esistenti in loro
che in germe. Vuol dire far prender buone
abitudini ai propri alunni, e correggere le
abitudini cattive a chi già ne avesse con-
tratte; formare degli uomini buoni e mori-
gerati. Vuol dire insomma far cambiare, poco
per volta, la faccia della società, render fe-
lice l'umana famiglia anche su questa terra,
e, quel che è più, preparare veri adoratori
a Dio e felici abitatori del paradiso.
Compito difficile.
Ma oltre ad una giusta idea della subli-
mità della tua missione, devi altresì scolpirti
altamente nell'anima, che il compito che ti
verrà assegnato, quanto più è sublime ed
importante, tanto più è difficile. L'arte del-
l'educare vien detta dai sapienti l'arte delle
arti, e pochi sono quelli che sanno eserci-
tarla bene. Sì, la missione che ti attende è
sublime, ma è pur piena di difficoltà e di
pericoli, a superare i quali non è sufficiente
il tuo senno e vigore. È missione onorifica
avanti a Dio ed avanti agli uomini, ma è
aggravata da un'enorme responsabilità; mis-
sione efficace ma che serba i suoi premi solo
a coloro che sanno sacrificarsi per Iddio e
per i giovani; Non credere perciò di potere
poi farne un campo di ambizione o di vanità
personale. Non credere di poter poi a tuo sen-
no guidare le cose, ed essere lo spauracchio
dei giovani, nè che tutto abbia poi a pie-
garsi al tuo volere. Pensa invece che quel-
l'ufficio che ti verrà assegnato è una re-
sponsabilità ed un pericolo, e che l'avrai ad
esercitare con timore e tremore, nel modo
che è prescritto dalle regole, e sotto la guida
dei superiori. E non avvenga mai che, pieno
d'una cieca presunzione, pensi a servirti del-
l'occupazione, che ti venne affidata, per sod-
disfare la tua ambizione e la tua vanità od
il capriccio. Nè credere di poter a tuo senno
dominare o tiranneggiare. E non lusingarti
d'avere a trovare nella missione che ti sarà
affidata un paradiso di delizie e di trionfi.
Sappi anzi che avrai a lottare contro te
stesso, poiché nuove passioni cercheranno

48.5 Page 475

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— 940 -
d'insorgere, sia coi nuovi compagni e supe-
riori, poiché il demonio seminatore di ziz-
zania saprà ben far sorgere pretesti di di-
scordia ed occasioni di ribellarsi; sia ancora
con le passioni ed ostacoli esterni, e con
l'indole proterva di certi giovani. Sono male
incamminati coloro che si credono furbi, e
tali si vantano ancora coi confratelli e in
faccia ai giovani. Questi tali avvisati dei
loro mancamenti non faranno caso alcuno
degli avvisi, e continueranno a seguire l'in-
clinazione della loro volontà, e poi la sba-
glieranno della grossa, e rovineranno tutto.
Se ti lasci guidare dalla presunzione, non av-
vezzo alle fatiche ed alle privazioni, non pa-
drone di te stesso, non pratico perchè non
hai ancora avuto occasioni di lottare colle
passioni e cogli ostacoli esteriori, ti confon-
derai e ti avvilirai alle prime difficoltà. Quan-
te difficoltà nuove e non mai pensate ti si
faranno innanzi! E come ti potrai disimpe-
gnar bene in ogni cosa?
Mezzi di preparazione.
Compreso della sublimità, dell'importanza
e della difficoltà dell'ufficio che ti sarà asse-
gnato, devi fin d'ora prepararviti nel racco-
glimento, nello studio, nella preghiera. Devi
fin d'ora esercitarti con l'energia del lavoro e
—1
con l'esercizio della pazienza. Vi son poi tre
mezzi da prendere, ch'io credo i più efficaci
e che qui intendo proporti. Questi tre grandi
mezzi per riuscir bene nelle case sono: confi-
denza in Dio; docilità nel seguire il sistema
educativo insegnatoci da Don Bosco e nel la-
sciarti dirigere dai superiori; spirito di sa-
crifizio da parte tua. Con queste tre cose spero
riuscirai; senza queste perderesti te e perde-
resti altri.
1) Confidenza in Dio.
Ed anzitutto occorre illimitata confidenza
in Dio, operando in tutto con spirito di fede.
Procura di capir bene, che nell'educazione
della gioventù la parte principale deve esser
fatta dal Signore. Devi pertanto tutto sperare
da lui. E tu con umiltà non intralciare l'ope-
ra di lui immaginandoti che tutto dipenda da
te! Ricordati sempre che è indispensabile la
grazia di Dio. Ed il buon volere in te non
sarà mantenuto che dalla più schietta pietà,
fortificata dalla meditazione quotidiana ben
fatta, e dalla frequenza alla santa comunione.
Ti è necessario un attento esame di coscienza:
è questo che farà conoscere bene te a te stesso,
e ti aiuterà ad estirpare i tuoi difetti, cosa fon-
damentale per venire poi in aiuto ad altri.

48.6 Page 476

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— 942
Retta intenzione.
La vera confidenza in Dio ti farà operare
con purità d'intenzione, e manterrà in te Io
spirito di fede nell'operare. Nelle nostre azio-
ni, dice Sant'Agostino, bisogna distinguere due
cose, il corpo e l'anima: il corpo che è come
il fondo dell'azione, e l'anima che è come il
motivo di essa. Se non vi è l'anima, per Iddio
non vi ha nulla; l'intenzione ed il motivo son
quelli che procurano la sua gloria. Questa
retta intenzione, mentre accrescerà a dismi-
sura il merito delle tue azioni, ti aiuterà ad
acquistare la semplicità, e sarà la più sicura
salvaguardia contro i pericoli che potrai in-
contrare al principio della tua missione.
Spirito di fede.
Lo spirito di fede, cioè il pensiero e la per-
suasione che tu sei uno strumento nelle mani
del Signore, e che i tuoi superiori ti mani-
festano la volontà di Dio. ti riempirà l'animo
di coraggio. Esso allontanerà da te lo spirito
di pusillanimità, ovvero quella falsa umiltà
e sfiducia vile di te stesso, per la quale taluno
non osa slanciarsi nel bene. Allorché ti è af-
fidata un'obbedienza, un'occupazione, met-
titi con tutto l'animo attorno ad essa, come se
l'esito dipendesse totalmente da te. Ma intanto
confida tutto in Dio, sapendo che ogni cosa
dipende da lui.
— 943 —
Riflessione e prudenza.
Evita tuttavia quella prontezza materiale
nel fare quanto ti è prescritto, che pur cono-
scendo qualche inconveniente nell'ordine ri-
cevuto non ti lascia parlare, coll'idea che
l'ubbidienza deve essere cieca. In questo ca-
so conviene far vedere l'inconvenienza del-
la cosa, purché tu sia sempre disposto a sot-
tometterti con semplicità e prontezza quan-
do il superiore vede diverso, persuaso che la
cosa riuscirà ancorché non combini colle tue
viste particolari. Soprattutto evita l'inconve-
niente di chi manifesta agli altri, o almeno
lascia trasparire il suo disparere coi supe-
riori. Neppure in caso di cattiva riuscita non
voler far palese l'errore di chi ti diede l'or-
dine, quasi per giustificare la tua condotta
dinanzi ai giovani ed agli esterni. Questo
manterrà in te l'umiltà, nella casa la carità,
dinanzi ai giovani ed agli esterni l'amore
e l'onore della congregazione.
.Non aver prevenzioni.
Una cosa direttamente contraria a questo
spirito di fede è l'andare in una casa con pre-
venzioni. Bisogna che stia premunito contro il
contagio delle mormorazioni, sull'andamento
di qualche casa, o sul modo di fare di qual-
che confratello, e persino di qualche superio-

48.7 Page 477

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re. Questi malaugurati pregiudizi sulla qua-
lità delle case e delle persone fan sì che «i
vada in quelle già mal disposti, e se uno è
già di poco spirito va con perenne malconten-
to e celato disgusto, e questo sarebbe princi-
pio di fatali traviamenti. Se tu vai nelle case
con vero spirito di fede, poco t'importano le
chiacchiere di chicchessia. A te poco importa
che la casa abbia una posizione invece che
un'altra; non darai ascolto a chi ti dirà che
nella casa i confratelli non hanno buon spiri-
to, che non potrai adattarviti. Tu va' deciso
di far sempre e in tutto il tuo dovere, e sicu-
ro che Iddio ti aiuterà. Parimenti procurerai
di tener lontano qualsivoglia pregiudizio ri-
guardo il carattere dei giovani che ti saran-
no affidati, degli uffici che dovrai disimpe-
gnare. Disponiti a lavorare unicamente per
Iddio, e non fermarti affatto, per quanto sta
da te, sopra queste umane considerazioni.
Non preoccuparti.
Le preoccupazioni sono un altro male, che
deriva anch'esso dalla mancanza di spirito di
fede, e che ti può essere sommamente perni-
cioso. Non lasciarti preoccupare di nulla.
Non andare nelle case con mille progetti per
la testa, e non fabbricar castelli in aria, che
non potranno mai verificarsi. Va' con tutta
semplicità, disposto a lasciarti dirigere, e si-
curo che il Signore ti aiuterà. La preoccupa-
zione produrrebbe cattivo effetto, nello stesso
disbrigo delle tue occupazioni. Pensando a
quel che ti potrà succedere in avvenire, se
potrai conseguire quello che aspetti, vivresti
inquieto e disturbato. Non lasciarti preoccu-
pare da pericoli futuri, pensando come potrai
superarli considerando la pochezza del tuo in-
gegno, la scarsezza delle tue facoltà. È il de-
monio che suscita in te questi timori! Egli non
tralascia di fare la parte sua; se tu non con-
fidi in Dio, ti metti in pericolo di perdere il
coraggio, e giungerai persino a dubitare della
tua vocazione.
Non spirito profano.
Alla mancanza di spirito di fede va attri-
buito lo spirito profano, che alle volte si ac-
quista appena andato in una casa. Vi è chi,
a modo dei mondani, riguarda la vita religio-
sa come una carriera, e si propone il conse-
guimento delle varie cariche ed uffici come
una promozione dovuta. E persino si attendo-
no gli ordini sacri, come una ricompensa dei
servizi resi. No: l'ubbidienza, togliendo e do-
nando, è sempre onorifica; e non devi cercare
l'avanzamento che nelle virtù! Il sacerdozio,
uotalo bene, non lo devi considerare come
premio delle fatiche, dell'ingegno e degli stu-
di, ma solo corona di provate virtù. Se non

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— 946
procedi con questo spirito di fede, tu non ot-
terrai niente avanti al Signore; non edifiche-
resti i compagni, non riusciresti a fare del
bene e ti troveresti a mani vuote nel dì del
giudizio.
2) Docilità al sistema di Don Bosco e ai su-
periori.
Devi inoltre proporti d'essere docile nel se-
guire il sistema educativo insegnatoci da Don
Bosco, e nel lasciarti dirigere dai superiori.
Salomone domandava al Signore un cuor do-
cile, ed io dico a te, che una delle cose a cui
devi maggiormente attendere, è di farti doci-
le, lasciandoti guidare volentieri da chi di ra-
gione. 11 primo atto di docilità consiste nel
seguire le tracce lasciateci da Don Bosco. Egli
nel suo mirabile si-stema preventivo per l'edu-
cazione della gioventù, ci tracciò in poche pa-
gine una via da seguirsi; noi dobbiamo te-
nerci attaccati a quello come polipi allo sco-
glio, sia perchè ci viene dal padre e perchè
assolutamente buono, sia per l'uniformità di
metodo in tutta la congregazione, sia ancora
perchè, essendoci proposto dai superiori, sa-
remo benedetti dal Signore se lo pratichere-
mo. Nè basta proporsi di seguire in generale
il sistema propostoci. Vi son mille pratiche
applicazioni di questo sistema che sfuggono
alle menti anche più acute. Il modo di ap-
plicazione del sistema nelle sue particolarità,
adattandolo alla qualità della casa, dei gio-
vani, delle circostanze, dev'essere indicato dai
superiori. Pertanto è necessario che tu vada
nella nuova casa che ti è assegnata, con lo
slancio bensì della buona volontà, ma spoglio
di ogni presunzione. E sebbene abbia già avu-
to molte cognizioni teoriche riguardo all'edu-
cazione, e forse anche abbia già esercitato que-
sta arte con qualche tirocinio, devi andarvi
profondamente convinto che solo con l'umiltà,
con la docilità, con la fedele guida dell'espe-
rienza dei maggiori, e man mano colla pro-
pria esperienza, riuscirai fin da principio a
far qualcosa di bene. Invece con la stolta
presunzione non farai nulla di bene, e riu-
scirai anzi a guastare l'opera altrui. Molti
credono di sapere troppo, più di quello che
non sanno; e perciò giunti nelle case non solo
non accettano con docilità i consigli dei su-
periori, ma la pretendono a maestri e rifor-
matori. Questo è quello che rovina tutto, sia
perchè così si privano del potente aiuto che
possono somministrare i superiori, sia perchè
questa presunzione è per Io più in ragione
diretta con la loro ignoranza.
Lasciati guidare minutamente.
Uscito testé dalle cure quasi materne del
noviziato e dello studentato, e gettato nel
campo del lavoro, hai bisogno, anche per quel

48.9 Page 479

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— 8—
che riguarda te privatamente, di ua padre
che ti compatisca, ti ami, ti consoli. Guidato
finora quasi per mano nell'andamento dei tuoi
doveri religiosi, ed avvezzo ad essi quasi per
consuetudine, ed attiratovi dall'esempio dei
compagni, se ora non ti fai guidare molto
particolareggiatamente dal nuovo direttore,
corri pericolo di cadere nella tiepidezza e nel
languore. È di assoluta necessità che una ma-
no esperta, una voce benevola tenga ognor
desto in te il fervore, e t'insegni ad operare
a modo. Fa' pertanto con assoluta regolarità
il rendiconto, affinchè il direttore possa ben
conoscere gli andamenti ed i bisogni tuoi, e
ti possa esser largo di consigli e degli aiuti op-
portuni. Non far distinzione tra direttore e
direttore, ma avvèzzati a vedere in lui col-
loccMo della fede il rappresentante di Dio.
Non pretendere troppo.
Non credere tuttavia che il direttore del-
le case particolari abbia da fare per te tutto
ciò che per te faceva il maestro dei novizi,
od il direttore delle case di noviziato o di
studentato. Ciò è impossibile. Nelle case di
formazione l'unica cura dei superiori è di
pensare a formare voi; nelle altre si ha an-
che da pensare ai giovani, ed il direttore de-
ve contare sulla tua formazione già in parte
compiuta. Egli sa che sei giovane, e che abbi-
— 949 —
sogni ancora di molte cure; ma sa pure che
le basi della tua formazione sono già poste,
che tu devi già in molte cose sapere soste-
nerti da te. Tu pertanto procura di porre in
te fin d'ora un fondo di virtù sode, e di pru-
denza pratica, che t'aiuti poi in quelle circo-
stanze nelle quali non potrai consultare il tuo
direttore. E persuaditi, che nel disimpegno co-
stante del tuo dovere e nelle pratiche di pie-
tà, troverai abbondantemente tutti i mezzi e
sostegni che avevi nel tempo del noviziato e
studentato.
Lasciati guidare nel trattar coi giovani.
Nè meno grave è il bisogno che hai di sor-
veglianza e di direzione, per trattare coi gio-
vani che ti saranno affidati. Anche dopo aver
studiato pedagogia, anche dopo aver letto il
regolamento del tuo ufficio, chi ti scioglierà
le difficoltà che incontrerai nella pratica, se
non il direttore e gli altri superiori locali?
Riconosci bene, che, per quanto tu sia di buona
•volontà, sei inesperto; e che perciò la tua riu-
scita dipende specialmente dal farti guidare.
Devi, in modo particolare in questi tuoi prin-
cipi, molto, frequentemente comunicare coi
superiori. Gèttati pertanto a corpo perduto
nelle mani del direttore, rivolgiti molto fre-
quentemente al catechista, al consigliere sco-
lastico. Informati umilmente presso gli altri

48.10 Page 480

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— 950
professori ed assistenti più anziani. Senza
questo incorreresti in mille sbagli, prima di
arrivare ad orizzontarti bene nel nuovo tuo
ufficio. Felice chi si fa cauto dall'esperienza
degli altri, e non a proprio scapito. Special-
mente nel primo anno tienti in continua re-
lazione col maestro del noviziato o col diret-
tore dello studentato. Esponi loro le tue dif-
ficoltà, affinchè essi che già tanto bene ti co-
noscono, possano aiutarti nelle varie diffi-
coltà che eventualmente potresti incontrare. A
tale effetto sappi che è secondo le nostre con-
suetudini che, quando un chierico od un coa-
diutore parte dalla casa di noviziato o di stu-
dentato per recarsi nei collegi a compiere
qualche ufficio, pel primo anno il maestro
od il direttore della casa da cui parte si ten-
ga in relazione coti lui rispondendo alle sue
lettere, e dandogli gli opportuni consigli e
conforti, e sciogliendo le difficoltà, per ren-
dere così meno sensibile, e perciò meno peri-
coloso il cambiamento di vita avvenuto.
Tu pertanto sappi servirti di questa buo-
na norma, e tienti in relazione, e domanda
consigli, ed anche i conforti di cui abbiso-
gnassi, dall'antico tuo maestro o direttore.
3) Spirito di sacrificio.
Il terzo gran mezzo, che devi prendere fin
d'ora per riuscire poi a far del bene nella
casa dove sarai inviato, consiste nel procu-
— 1—
rarti un vero spirito di sacrificio. La vita
dell'uomo non può andare esente da pati-
menti. e nessuno mai riuscì in cosa alcuna
senza fare dei sacrifizi. Ma l'educazione della
gioventù richiede sacrifizi perseveranti e con-
tinui, ed alle volte ben grandi. Se uno non è
pronto ai sacrifizi, anzi se non acquistò già
l'abito di far sacrifizi, non riuscirà mai un
educatore. Senza grandi sacrifizi non si è mai
riusciti a ridurre al bene certi caratteri ri-
belli e neghittosi. Questi sacrifizi sono mul-
tiformi, e si presentano a noi sotto vari
aspetti.
Perfetta osservanza regolare.
Si richiede anzitutto molto spirito di sa-
crificio per mantenerti nella perfetta osser-
vanza della vita religiosa. Diametralmente
opposta a questo spirito di sacrificio è l'ac-
cidia e la trascuratezza nelle pratiche della
comunità. Molti sanno esigere dai giovani la
regolarità, il silenzio e la disciplinatezza; ma
poi essi stessi non praticano quello che rac-
comandano. Non si fanno scrupolo di perder
tempo, o lo impiegano a leggere libri inu-
tili, o giornali, che disseccano lo spirito e lo
rendono fiacco, nauseato della vita spiritua-
le e della regolare osservanza. Tutto questo
è deleterio; com'è deleterio il non stare alle
regole comuni, il cercar sempre dispense ed

49 Pages 481-490

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49.1 Page 481

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eccezioni. Vi è chi pretende dai giovani; poi.
per futili motivi, egli stesso non si trova pun-
tuale nell'assistenza, manca nelle ricreazioni,
non si prepara adeguatamente le lezioni, non
corregge i compiti dei giovani, esce di casa,
o vuol far giochi a sè. Sta' attento ad evitare
questi difetti, se vuoi riuscire bene nel nuovo
compito tuo.
Vittoria su se tessi.
Grandi sacrifizi ti son necessari per vin-
cere te stesso. Per riuscire ad educare bene
è necessario aver grande carità, mansuetu-
dine e dolcezza nei modi; andar sempre di
buon accordo con tutti, non offendersi mai
con nessuno. Vi abbisogna umiltà coi su-
periori, cordialità con gli uguali, pazienza e
zelo con gl'inferiori. Occorre uno spirito di
castità e d'imparzialità da superare l'ordi-
nario; distacco da se stessi, dagli studi ge-
niali e dalle letture amene e divagative, e
studio indefesso di cose serie. Come acqui-
sterai tutte queste qualità e praticherai tutte
queste cose se non hai acquistato grande spi-
rito di sacrificio?
È poi di certo assai commendevole, giova
ripeterlo, lo zelo ed il desiderio di lavorare
molto in mezzo ai giovani. Ma sarebbe in-
tempestivo e male ordinato, qualora, pel vano
pretesto di lavorare per gli altri, desiderassi
ili accorciare il tempo del tuo ritiramento e
degli studi, o del tuo tirocinio pratico, per
esercitarti più presto a prò degli altri. Si
farà molto più in pochi anni da uno che
esce dallo studentato ben preparato, che non
in molti anni da uno che non abbia atteso
nel debito tempo a consolidarsi bene. A que-
sto riguardo è bene richiamarti alla memo-
ria, che col non dimandare o ricusare nulla,
si fa più sicuramente e con maggior merito
la volontà di Dio.
Attento al mal esempio.
Avverti in ultimo di scansare uno scoglio
pericolosissimo, in cui potresti urtare se non
vegliassi su te medesimo: è il mal esempio.
Iddio alle volte, per mettere alla prova la no-
stra virtù, permette che vi sia qualcuno di
non regolare condotta. Ma tu cammina di-
ritto per la tua via, segui gli ammaestra-
menti del direttore e gli esempi di molti
buoni confratelli. Qualora ti avvedessi che
qualcuno si mostrasse mormoratore, o che
facesse partiti, non lasciarti adescare. Ab-
bandona recisamente quella compagnia, ti co-
stasse anche sforzi gravi! I partiti, anche se
suscitati con buona intenzione, fanno sem-
pre del male. In tali circostanze stattene sem-
pre inflessibilmente col direttore, e tutto ti
riuscirà bene.

49.2 Page 482

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— 954 -
CAPO XXIII
I RICORDI DEL NOVIZIATO
II mazzolino dei ricordi.
Eccoti adunque arrivato sul campo del
lavoro. Tu hai desiderato molto di poter la-
vorare nella vigna del Signore, stavi nascosto
volentieri e ti preparavi là nello studentato
alle lotte. Sapevi quel che dice il Vangelo,
che se il grano di frumento non è gettato
sotterra e non muore, resta infecondo; che
se è gettato sotterra e muore, renderà gran
frutto (1). Tu adunque sei stato nel noviziato
e nello studentato nascosto e sepolto, e ti sci
preparato. Ora è il caso di render frutto.
Va' adunque, va' tranquillo: gettati con co-
raggio a far del bene nella vigna del Si-
gnore; molti aspettano da te la salute. Ma
affinchè il lavorare a prò degli altri non ab-
bia ad essere di danno a te stesso, fa' coinè
un mazzo delle principali cose che ti dissi
fin qui, e, secondo le parole di San Francesco
di Sales, adoperalo con frequenza, e ti serva
come ricordo che porti dal noviziato.
(1) « Nisi granum finimenti cadens in terram mor-
tuum fnerit, ipsum solum manet; ai autem mortuum
fuerit, multimi fructum alfert » (Giov., X I I , 24-25).
Conserva la tua vocazione.
Ricorda sempre anzitutto che la vocazione
è una grande grazia, e come una perla pre-
ziosa che devi custodire fino alla morte. Ógni
tua opera sia indirizzata ad ottenere la per-
severanza nella medesima. Disgraziato te, se
facessi pur miracoli, ma intanto perdessi la
vocazione. Certamente che anche a Giuda il
Signore diede il dono dei miracoli, ma non
corrispose alla vocazione e si perdette. Nè
cercar solo di conservarla in generale; ma
datti ad amare la vocazione tua particolare.
Ama molto la nostra Pia Società, a cui ti
sei incorporato. Pensa ad onorarla; rifletti
sempre che sei figlio di Don Bosco, e questo
sia tenuto da te come una gloria. È questo il
nostro titolo, il solo titolo di nobiltà che ab-
biamo, e nobiltà obbliga. Non avvenga mai
che quasi non osi professarti tale! Ricorda
che la vocazione non si conserva senza il
sacrifizio. La tua vocazione è certo il mag-
gior bene che abbia ricevuto dopo il batte-
simo; così a conservarla devi esser pronto a
fare i sacrifizi anche più grandi. Che se per
conservare la fede si deve esser pronti, oc-
correndo, a subire anche il martirio, dovre-
sti esser pronto al martirio stesso, per con-
servar la vocazione. E poiché non verrà forse
il martirio nel senso assoluto della parola,
tieni che se dovessi sopportare un martirio
di umiliazione, un martirio di persecuzioni,

49.3 Page 483

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— 956
un martirio di sforzi, sei obbligato a sop-
portarli. Applica a questo, quanto San Paolo
diceva ai fedeli che trovavano dura l'osser-
vanza della legge di Dio (1) : « Avete voi
già forse resistito fino al sangue? No: dun-
que avanti, pronti a resistere fino alla effu-
sione del sangue! ».
Rinnega te stesso.
Ricordati sempre che l'essenza dello stato
religioso è riposta in quelle parole del Divin
Salvatore: « Chi vuol venire dietro a me,
rinneghi se stesso» (2). Devi rinnegarti, non
devi più viver secondo il mondo. Devi esser
affatto un altro da quel che è il mondano.
Se non rifai completamente te stesso e se
collo spirito non mortifichi le opere della
carne, finirai per non essere un religioso de-
gno di tal nome: finirai per morire alla re-
ligione. Bada che la grande opera da com- i
piere, che è la completa trasformazione di
te fino a vincere totalmente il tuo carattere,
non è cosa che si compia tutta nel novi-
ziato, e neppure nello studentato; è opera
di anni ed anni: è opera che può dirsi di
tutta la vita. Bisogna che, specialmente quan-
do cominci ad esser più padrone di te, quando
(1) «Nondum usque ad sanguinem restitistia • I
(Ebrei, X I I , 4).
(2) « SI quis vult post me venire, abneget seme-
tipsum » (MATTEO, X V I , 24).
cominci a comandare un poco, ad avere qual-
che carica tu stia attento a rintuzzare forte-
mente le corna della superbia, della sensua-
lità, della irascibilità, dell'accidia, dell'infin-
gardaggine e dell'invidia, appena cominciano
a scattar fuori. Energia in questo! Guai se
la superbia ti cornicia a mettere in contrad-
dizione con qualche altro superiore, e la va-
nità ti fa cercare di comparire! Guai se la
sensualità ottiene da te che cominci a de-
siderare il mangiare od il bere meglio, od a
porre la tua affezione più ad un giovane
che ad un altro. Guai se l'irascibilità ti vince
e ti fa trattar male i giovani, e ti porta a
qualche violenza contro di loro; o se l'ac-
cidia nelle cose spirituali o l'infingardaggine
cominciano a farti indifferente nelle cose di
pietà o negligente nei tuoi doveri! Tu sare-
sti perduto. Attento ad attutire i princìpi
delle passioni. Prenditi per stemma: Niente,
mai ciò che piace a me; tutto, sempre ciò
che piace al Signore. Con questo principio
tu non troverai scoglio di sorta nella vita re-
ligiosa. Ti troverai anzi sempre contento e
farai del bene, del gran bene, perchè da
Gesù sarai eletto a strumento della sua glo-
ria. Ma questo principio non sia teorico; ri-
ducilo alla pratica. Giorno per giorno, azione
per azione, specialmente nelle principali, in
ogni evenienza e circostanza sappi ripetere:
Niente, mai ciò che piace a me; tutto, sem-
pre, ciò che piace al Signore.

49.4 Page 484

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— 958
Carità e pazienza.
Procura d'andar di buon accordo con tutti.
Ciò non si ottiene mai senza sacrifizi da
tutte le parti. Tollera, cedi, sopporta, per-
dona; anzi cerca di neppur accorgerti di
certe sgarbatezze o freddezze, o piccole ma-
lignità di qualcuno. Dopo sarai contento: che
se tu stai sopra i piccoli puntigli, e cerchi
le piccole vendette, avrai continui dispiaceri
e disgusti. Se tu fossi di quelli che si so-
gliono chiamare caratteri forti, ma che altro
non sono che caratteri duri e testardi, e
avessi ad incontrarti con altro carattere si-
mile al tuo, la pace sarebbe al tutto sbandita
da quella casa; e quella che doveva es-
sere per te e per tutti casa di benedizione,
sarà casa d'inferno. Anche dai giovani avrai
tante occasioni di esercitare la pazienza e
la carità. Alle volte saranno importunità o
sgarbatezze, impertinenze e perfino provoca-
zioni che fanno ribollire il sangue, altre volte
malignità di più grave genere che turbano e
vorrebbero eccitare allo sconforto ed allo sde-
gno. No, caro, non sdegnarti! Non colle esor-
bitanze e colle escandescenze, non coi pun-
tigli e coi risentimenti della natura, ma con
la soavità della grazia e colla grande carità
dobbiamo promuovere, zelare il bene del pros-
simo. È proprio dell'uomo, è vero, in questi
casi sentirsi alterare; ma deve pur essere
proprio del buon religioso, il rendersene su-
periore, e reprimersi e tacere nell'impeto della
passione, e contrapporre la carità a chi l'ha
violata. Per riuscire a meglio padroneggiarti
in tali eccitazioni ti varrà il pensare su-
bito alla passione del Signore; sarà questo un
gran mezzo per scontare a tua volta le offese
che tu stesso hai fatto al Signore. Considera
nello stesso tempo che questo è anche un mez-
zo di gran merito per te, costandoti esso tanto
sacrificio. Più che tutto, pensa a ritrarre la
mansuetudine di Gesù e di Don Bosco nostro
padre.
Osservanza e studio.
Abbi poi sempre in mente che la regola è
regola, e che tu hai abbracciato le regole
per osservarle; e che è la loro osservanza che
forma il religioso. Non cominciare a tenerne
qualcuna in poco conto o trasgredirla: fatto
il primo strappo, non mancherà motivo di
fare il secondo, e tu saresti rovinato nella
tua vita religiosa. Qui applica il « principiis
obsta ». Guai se si comincia a trasgredire
qualche regola; guai se si comincia! Per qua-
lunque occupazione tu abbia, non dimenti-
care mai di fare qualche studio sacro: non
fosse che di qualche quarto d'ora. Ma non
dimenticarlo; anzi da' ad esso tutta l'impor-
tanza che si merita. E negli altri studi oc-
cupati solo per necessità e per ubbidienza,

49.5 Page 485

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e solo fino a quel punto che la necessità e
l'ubbidienza richiede. Ricordalo questo avvi-
so! Non ti sembrerà di troppa importanza,
eppure può essere l'avviso più importante,
quello che ti salva.
Due scogli da evitare.
I due scogli maggiori che puoi incontrare
saranno: nell'interno delle nostre case, le mor-
morazioni; per l'esterno, gli inviti dei pa-
renti ad aiutarli. Io ti prego e ti scongiuro
per quanto hai di più caro al mondo: fa'
guerra assoluta alle mormorazioni, non fre-
quentare chi mormora; e non solo non farlo
tu, ma non voler sentire altri mormorare. Il
malcontento è tanto facile ad insinuarsi; è
tanto facile il venire a perdere la stima di
qualcuno; noi siamo tanto fragili! Che se in
casa vi fosse qualche partito, come sopra di-
cevamo, tu non cedere a prendervi parte, e
mai contro il direttore, per nessun motivo.
Se conoscessi qualche cosa di grave rivolgiti
all'ispettore, o direttamente al rettor mag-
giore; ma non palesare mai ad altri quel
che tu sapessi di male di qualche superiore.
Ai parenti hai rinunziato: la tua famiglia è
la congregazione. Non bisogna che ti im-
mischi più nelle cose loro; procura di nep-
pur sapere i loro interessi. Non interrogarli
mai nè a voce nè per iscritto in proposito: è
già troppo se stai ad ascoltarli quando te li
contano, senza che tu li interroghi. Questo
è un sacrifizio grande: ma è necessario.
Rendiconto e sistema preventivo.
Abbi confidenza. Fa' sempre bene i tuoi
rendiconti; falli con schiettezza infantile. E
se ti capitasse qualche grave disgrazia mo-
rale con altri, sappi che solo il direttore può
salvarti; va' subito a lui, esponi tutto, fa'
quanto ti dice. Se per timore taci, può ve-
nirne gran danno a te, e gran danno all'Isti-
tuto dove sei, e forse alla intiera congrega-
zione.
Il sistema preventivo è il sistema della
carità. È certamente il Signore che lo ispirò
a Don Bosco. Non ascoltare chi ti consigliasse
d adoperare altro sistema coi giovani. Ol-
.rechè non otterresti i buoni frutti che si
iesiderano, allontaneresti anche la benedi-
nne del Signore da te. Perchè non saresti
hbediente alle cose volute da Don Bosco e
.nculcate da tutti i superiori. E poi semine-
esti la ribellione in casa, e con questo l'in-
elicità tua, e l'infelicità di altri.

49.6 Page 486

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— 962
1 Jivozione al Sacro Cuore ed a Maria San-
tissima.
Abbi una divozione grande al Sacro Cuore
di Gesù ed una tenerissima a Maria Ausi-
liatrice. Queste saranno le ali, con cui po-
trai veramente volare nella via della perfe-
zione e librarti sicuro fino al paradiso. Ma
l'una e l'altra divozione siano pratiche: fa'
quindi frequenti visite in chiesa; di' ancora
più frequenti giaculatorie, massime nelle cir-
costanze e nei casi più gravi; fa' frequenti co-
munioni, sia sacramentali che spirituali: e
sempre, in tutto, una confidenza, un ricorso
illimitato a sì buon Padre e a sì buona Ma-
dre Celeste.
Confessione e meditazione.
Non lasciare la confessione settimanale:
fìssati bene il giorno e sii costante in esso.
Non cercare altro confessore fuori degli sta-
biliti. E, sceltone uno, procura di non più cam-
biarlo se non per ragionevoli motivi. Credi
a me: fa' sacrifizi anche eroici se occorrono,
suda sangue se è necessario; ma non cercare
altri confessori. Il Signore saprà premiarti:
lo sforzo che dovrai fare ti sarà ben com-
pensato con altri vantaggi e consolazioni. E
la meditazione? Quanti sforzi farà il demo-
nio per stornartene! Sii costante, e costante
— 963 —
non solo nel farla sempre, ma costante negli
sforzi per farla bene. Le rovine spirituali
pei religiosi cominciano quasi sempre di qui.
Uno si intiepidisce nella meditazione, comin-
cia ad arrivar tardi, poi a stare mal com-
posto; poi si lascia svagare apposta la mente
a pensare ad altro, poi qualche volta trala-
scia affatto la meditazione. La rovina è bel-
l'e terminata.
Evita le piccole mancanze.
Bada molto a quelle che si dicono piccole
mancanze. Non uscire senza permesso; uscen-
do con permesso, non andar a trovare cono-
scenti, amici, parenti. Anche in casa non sta-
re a perder tempo con chi venisse solo per
contare le cose di fuori. Non scrivere assolu-
tamente, neppure una volta, lettere senza far-
le passare pel tramite del superiore. Non en-
trare nelle camere o celle altrui; e assoluta-
mente non permettere che altri entri nella ca-
mera o cella tua. Non tener bibite e comme-
stibili: sii costante ad alzarti alla levata co-
mune. Sono tutte cose che sembrano piccole
e son grandi. Ricorda che non ti è lecito tener
danari; se ti lasciassi vincere su questo pun-
to, non mi stupirei neppure della tua apo-
stasia.

49.7 Page 487

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— 964 —
Attento ai libri ed alle idee!
Non lasciarti prendere dalla curiosità o
velleità di voler leggere ogni sorta di libri.
Ora vi è la smania delle idee nuove, e si vor-
rebbe legger ogni nuovo libro che esce. Guar-
dati! San Paolo ci avvisa di essere guardin-
ghi prima di dare ascolto alle idee nuove (1).
Ed altrove ci previene di non voler sapere
più del necessario (2). Stiamo col Papa, coi
superiori e non si sbaglierà. Ma il voler leg-
gere libri curiosi e su ogni sorta di idee è
una delle cose che maggiormente ha servito
di rovina a vari dei nostri, e che potrebbe se-
durre anche te se non te ne guardassi bene.
Tieni questi come ricordi che porti con te par-
tendo dal noviziato, e il Signore ti benedirà.
(1) • Doctrinis variis... nolite abduci » (Ebrei, X I I I , 9).
(2) « Non plus sapere quam oportet sapere, sed sa-
pere ad sobrietatem • (Rom., X I I , 3).
PAETE TEBZA
DELLA PIETÀ

49.8 Page 488

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CAPO I
DELLA VERA PIETÀ E DIVOZIONE
Necessità della pietà.
Lo Spirito Santo inculca a tutti di eserci-
tarsi nella pietà. perchè essa è utile a tutto,
e per le cose della vita presente, e per quelle
della vita futura (1). Essa nella vita spiritua-
le è necessaria, come è necessario l'olio nella
lampada perchè sia mantenuta la fiammella.
Nello stesso modo che la lampada si spegne
mancando d'olio, così le nostre virtù illangui-
discono e vengono meno se non sono corro-
borate dalla pietà. La pietà adunque è la mol-
la generale, che ci fa progredire nella virtù,
e ci rende degni del nostro stato. È essa che
ci rende abili ad osservare prontamente, com-
pletamente e costantemente tutte le regole e
gli ammaestramenti dei superiori. Senza di
essa è impossibile esser costanti nell'osservan-
za delle nostre Costituzioni e dei nostri dove-
ri, e divenire buoni religiosi.
(1) « Exeree te ipsum ad pietatem. Nam pietas ad
omnia utilis est, promissionem habens vitae, quae mine
est, et futurae • (I Tim., IV, 7, 8).
32

49.9 Page 489

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Come dev'essere.
Ma la pietà e la divozione non devono es-
sere superficiali o fittizie, bensì profonde e so-
de. Devono informare tutto il cuore del reli-
gioso, ed occuparlo tutto, affinchè egli possa
corrispondere alla sua vocazione. È da notarsi
bene, che come non tutti quelli che dicòno:
Signore, Signore, sono giudicati da Dio atti
pel regno dei cieli, così non tutti quelli che si
dicono divoti posseggono la vera divozione.
Sarà pertanto necessario spiegare qui in che
cosa consista la vera divozione, ed il vero fer-
vore nella medesima, per non cadere in abba-
glio in cosa di tanta importanza, e non la-
sciarsi stornare, come purtroppo avviene mol-
te volte tra le persone poco istruite, da un
esteriore di pietà malintesa. Quindi la terza
parte di questo Manualetto consisterà nell'in-
segnare ai nostri cari ascritti e giovani sale-
siani in che cosa consista la vera divozione,
ed indicare, una per una, come vadano ese-
guite le pratiche di pietà che le Costituzioni
ci propongono, affinchè siano fatte in modo
che conducano alla vera divozione, e non so-
lamente ad un'apparenza della medesima.
Quando la tua pietà sarà ben soda, le tue
pratiche, quale incenso odoroso, ascenderanno
al trono dell'Altissimo, e attireranno sopra di
te le celesti benedizioni. E queste entrando
nel tuo cuore, quale aroma fortificante, ti aiu-
teranno in tutte le circostanze a fare il bene,
ad evitare ogni male, ed a perseverare nella
tua vocazione: in una parola ti formeranno
e ti manterranno degno figlio di Don Bosco.
In che consista la divozione.
Richiamando ciò che dissi al capo XXXI
della I parte, la divozione, secondo San Tom-
maso, è una certa volontà disposta a praticare
con prontezza le cose relative al culto ed al
servizio di Dio (1). Pertanto tutta l'essenza
della divozione consiste in questa prontezza
della volontà nel fare atti relativi al culto ed
al servizio del Signore, cioè nell'aver voglia
grande e desiderio ardente di fare atti che
diano onore e gloria al Signore, e contribuisca-
no al suo servizio. Ora da questa prontezza
della volontà al bene, alle volte ridonda nella
parte inferiore dell'uomo un certo affetto, che
muove ai sospiri ed alle lacrime. E quando
ancora non arrivi a cagionare nei sensi este-
riori tali effetti, almeno si fa sentire nel senso
interiore con una certa dilettazione piacevole,
la quale, se cresce molto, diviene tanto dolce,
che non si cangerebbe con qualunque diletto
(1) « Devotio est voluntas quaedam prompte tra-
(d2e,nt2i, 8s2e). ad ea quae pertinent ad Dei famulatum •

49.10 Page 490

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— 970
terreno. È questo che si dice fervore sensibile.
Noi dobbiamo ringraziare il Signore quando
ce lo dà: ma nello stesso tempo si ha da rite-
nere, che questo fervore sensibile non è parte
essenziale della divozione. Quindi non si ha
ragione di scoraggiarci quando non l'abbiamo,
e si deve ben capire che non è un male quan-
do avviene che la nostra volontà muovendosi
con prontezza agli atti santi, lo fa in modo
che la parte inferiore nulla sente degli effetti
sopraindicati. Anzi avvenisse pure che la vo-
lontà provasse ripugnanza, tedio, rincresci-
mento, nell'atto stesso che opera il bene con
celerità e con prontezza, non avremmo da
sconcertarci. Piuttosto allora sarebbe da ricor-
darsi che la divozione, essendovi per la parte
sostanziale, sarebbe di buona tempra. E lo
ripeto perchè voglio che tu comprenda bene
che la sostanza, il succo, e quasi il midollo
della divozione, sta tutto in quella decisione
ferma e prontezza di volontà nel fare quegli
atti e quelle operazioni che danno onore a
Dio, e coi quali gli si presenta il debito culto,
quantunque la natura ripugni, sia restìa, e
ricalcitri. L'affetto sensibile, grato e gustoso,
che si prova nel cuore, è solo una conseguen-
za accidentale della divozione, e non la di-
vozione stessa. E perciò l'uomo è divoto, se,
ad onta delle ripugnanze del senso, persiste
colla volontà pronta a fare atti relativi al
culto ed al servizio di Dio.
— 1—
Esempio di Gesù.
Il medesimo Gesù Cristo, nella sua bontà,
per nostro ammaestramento ce ne volle dare
un chiaro esempio. È certo che nell'orazione
che Egli fece nell'orto del Getsemani, non eb-
be nessun fervore sensibile. Anzi vi ebbe te-
dii, tristezze, timori, affanni e mortali malin-
conie. Eppure è certissimo che nel tempo stes-
so v'era nella sua volontà una somma divozione
verso il suo eterno Padre, perchè, non ostante
le resistenze del senso indevoto, fu pronto ad
assoggettarsi alla volontà di lui, ed abbracciò
con prontezza di volontà flagelli, spine, croci,
obbrobri, strazi e morte cotanto dolorosa.
Dovere di divozione.
Tutti i cristiani sono obbligati ad atti di
divozione, perchè col santo battesimo si sono
consacrati al servizio di Dio. Ma i religiosi
hanno bisogno di averla in un grado molto
più elevato. Essi infatti devono abituarsi a
seguire con prontezza non solo i comanda-
menti di Dio ma anche i consigli evangelici,
e devono tendere a perfezione, essendo impie-
gati in modo permanente agli esercizi del cul-
to divino. Essi devono procurarsi una vita
interiore, raccolta in Dio per quanto si può,
ed abborrire dalla vita puramente esteriore e
mondana. Tu devi capir bene questo, e cer-

50 Pages 491-500

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50.1 Page 491

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care con tutte le tue forze la vita interiore.
E non hai da crederti buon religioso finché
non l'abbia acquistata.
La vita interiore.
Condurre la vita interiore vuol dire vivere
abitualmente alla presenza di Dio. Essa abi-
tua a riguardare il cuore come un tempio in
cui Dio risiede. Ed è in presenza di Dio che
l'anima pensa, parla, agisce e compie tutti i
doveri che le sono imposti. Essa è il regno di
Dio nelle anime: è la vita della Santa Vergine
sulla terra, e quella che Gesù Cristo stesso
conduceva nella bottega di Nazareth. È la vita
di cui parla San Paolo dicendo: vivo io, ma
non io, bensì Gesù Cristo vive in me. Tutti i
santi vissero e vivono di questa vita, ed il
grado della loro santità è in rapporto alla
perfezione della loro unione con Dio. Come
l'anima dà vita al corpo, così Gesù Cristo dà
vita all'anima. In questo modo le anime si
elevano a poco a poco al disopra delle pene
e delle miserie della vita. Sia pur l'universo
in preda a tutte le calamità, avvenga pure
checché possa avvenire, le anime interiori son
sempre unite a Dio. I principali atti della vi-
ta interiore sono sei: — 1) Vedere Dio, cioè
tenersi abitualmente alla presenza di Dio; —
2) Ascoltare Dio, cioè essere attenti alle sue
ispirazioni, alle sue proibizioni, ai suoi con-
sigli. Egli parla con le parole del Vangelo
che ci vengono a memoria, con i buoni pen-
sieri che illuminano d'un tratto l'intelligenza,
con le parole pie e pie esortazioni che si odo-
no nelle prediche, dal confessore, da buone
persone, oppure che si leggono in buoni li-
bri; — 3) Parlare a Dio, cioè trattenersi con
lui piuttosto col cuore che colla bocca, con
la meditazione, con le preghiere, con le gia-
culatorie, e frequenti visite al Santissimo Sa-
cramento; — 4) Amare Iddio, cioè attac-
carsi a Lui e a Lui solo; non amare altri se
non in unione a Lui; — 5) Pensare a Dio,
cioè rigettare qualsiasi pensiero che esclu-
desse quello di Dio, e fare ogni cosa in unio-
ne con Dio; —• 6) Lavorare per Iddio, cioè
con lo scopo diretto di piacere a Lui, occu-
parsi continuamente del proprio dovere e non
d'altro, compirlo con quella perfezione di cui
si è capaci; non perdere un minuto di tempo,
pensando che esso ci è dato da Dio affinchè
con quello possiamo guadagnarci l'eternità.
Qualità della vera divozione: 1) forte.
San Francesco di Sales, ci dà in propo-
sito questo bell'ammaestramento: «Durante
il noviziato, si cerchi di fortificare il cuore
on la divozione, ma non con una divo-
ione vaga, tenera e piagnucolosa, bensì con
na divozione forte e coraggiosa, umile e con-

50.2 Page 492

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— 974 —
fidente ». Queste qualità pertanto deve avere
la tua divozione. Sta' attento che essa non
sia vana e piagnucolosa, contenta solo di sen-
sazioni tenere. Questa non è la pietà maschia
che voleva Don Bosco! I sentimenti più te-
neri e troppo ricercati durano poco, e quan-
do passano, restando l'anima secca e inari-
dita, viene con facilità lo scoraggiamento, per
cui uno si crede abbandonato da Dio, e fi-
nisce per lasciare ogni preghiera. Invece
quando la divozione è forte, umile e confi-
dente, non si scoraggia mai e s'irrobustisce
sempre più anche nelle difficoltà e nelle ari-
dità. Divozione vuol dire ossequio, e l'osse-
quio non consiste in un atto che piace o
lusinga, in una preghiera che commuove, in
una lettura che fa versare lagrime; ma nel-
l'accettazione piena ed intiera dello stato nel
quale Iddio ci vuole e nell'adempimento per-
fetto del dovere imposto. Ciò, non ostante
le ripugnanze della natura, le difficoltà este-
riori che s'incontrano, e il disagio procurato
dall'immaginazione. Tu devi pregare, comu-
nicarti, confessarti perchè Dio lo vuole, per-
chè senti che questo è un mezzo di farti più
buono, per acquistar maggiori grazie, e non
perchè provi un certo piacere ed un sollievo
in queste pratiche. San Francesco di Sales
scriveva ad un'anima tribolata che lo con-
sultava: «Voi fate molto bene a continuare
i vostri esercizi di pietà in mezzo alle aridità
ed ai disgusti. Non volendo servir Dio che
per amor suo, ed essendogli più gradito il
servizio che gli rendiamo nell'afflizione e nelle
aridità di quello che gli rendiamo nelle dol-
cezze, ne segue che, dal canto nostro noi
dobbiamo gradirlo di più, almeno con la vo-
lontà superiore. E benché, secondo il nostro
proprio gusto e secondo l'amor proprio, le
consolazioni ci riescano più dolci, pure, se-
condo il gusto di Dio e secondo il suo amore,
le aridità ci riescono di maggior profitto ».
La vera divozione è forte, e perciò ti aiuta,
come dice San Francesco di Sales: 1) a sop-
portare le tentazioni, che non mancano mai
a chi vuol servire bene Iddio; 2) a soppor-
tare la varietà degli spiriti che si trovano
nelle Congregazioni; 3) a sopportare ogni
propria imperfezione, a non inquietarsi di
vedervisi soggetto; 4) ti rende forte a com-
battere le proprie imperfezioni; 5) a disprez-
zare le parole ed i giudizi del mondo, che
non manca mai di tartassare i religiosi; 6) a
tenerti indipendente dalle affezioni, dalle ami-
cizie particolari affine di non vivere secondo
gli impulsi della natura, ma secondo le ispi-
razioni della grazia: 7) li aiuta a tenerti indi-
pendente dalle tenerezze, dolcezze e conso-
lazioni che ci vengono tanto da Dio che
dalle creature; 8) ad intraprendere una guer-
ra continua contro le cattive inclinazioni,
umori, abitudini e propensioni per violente
che esse siano.

50.3 Page 493

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— 976
l'I Nell'obbedienza.
Fin dalla tua entrata in noviziato, rinun-
zia alle tue divozioni particolari, per atte-
nerti a quelle che si praticano dai compa-
gni, secondo le regole e le costituzioni nostre,
e fuggi accuratamente ogni divozione singo-
lare, ed ogni singolarità nelle divozioni. Que-
ste singolarità clan negli occhi degli altri,
dànno occasione al demonio di tentarti di
vanità, e di portarti al disprezzo, o almeno
alla disistima degli altri, e turbano l'armonia
della comunità. Non importi alcun impegno
di divozione senza aver preso consiglio dal
tuo Maestro, qualunque sia l'attrattiva che
questo impegno abbia per te. Ama sempre
gli esercizi fatti in comune, ancorché tu ti
senta più raccolto facendoli da solo perchè
il Signore abbonda maggiormente nelle sue
grazie nel primo caso, avendo detto: « Quan-
do sono due o più congregati nel nome mio,
10 mi trovo in mezzo a loro ». Non cercare di
far molte pratiche di pietà, bensì di fare
molto bene e con perseveranza quelle di re-
gola e quelle che dopo maturo consiglio hai
abbracciato. Ma San Francesco di Sales non
vuole che sia talmente schiavo delle tue pra-
tiche, da non saper lasciarle senza pena,
quando l'ubbidienza, la carità o anche la
convenienza lo esigano. Senza dubbio avrai
11 tempo necessario per compiere i tuoi do-
veri religiosi. Ma se un giorno ti toccasse per
— 977 —
esempio di abbreviare il tuo ringraziamento
dopo la Comunione, che ti si tolga una parte
delle solite preghiere, che ti si proibisca il
digiuno prescritto al venerdì, resta tranquillo
egualmente. Sappi bene che onori più Id-
dio adattandoti all'obbedienza, alla carità,
alla convenienza, che colle preghiere che
avresti fatto, o con le privazioni alle quali
ti fossi sottomesso seguendo il tuo parere.
I libertini del mondo alle volte si lamen-
tano della divozione, e condannano le per-
sone divote, perchè, invero, alcuni sedicenti
divoti sono superstiziosi, taccagni, inquieti,
incomodi agli altri. Ma questo è ingiusto,
perchè la piccolezza di spirito di qualcuno,
e i difetti di certi altri provengono non da
vera ma da falsa divozione, e non dan diritto
ad estendere alla divozione in generale ciò che
è difetto di qualche individuo che la snatura.
In minori proporzioni bensì, ma anche nelle
case religiose si dà talvolta lo stesso caso.
Anche tra noi talvolta potrebbe avvenire che
un confratello derida un poco la divozione,
perchè un compagno fa qualche atto di pietà
con un po' di esagerazione o con certi con-
torcimenti affettati, come può avvenire che
questi divoti cadano in qualche difetto este-
riore che ecciti assai ammirazione. Ma pren-
dere occasione da questo per burlarsi della
pietà, è assolutamente irragionevole. Lo sai,
che anche i migliori son soggetti a manca-
menti e ad eccedenze; e chi è perfetto in

50.4 Page 494

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— 978
questo mondo? Tu pertanto invece di deri-
derli devi compatirli dei loro piccoli difetti,
mentre essi nella loro bontà, ben di cuore
compatiscono in te quel molto in cui tu
manchi.
3) Fondata sulla fede.
La divozione, perchè sia vera e sostan-
ziale, deve essere fondata sullo spirito di
fede. Questo spirito richiama l'anima sulla
grandezza, sulla bontà e sopra le altre per-
fezioni di Dio, e fa comprendere l'onore che
è il servire Iddio con affetto. La divozione
fondata sullo spirito di fede, cresce in noi
l'amore verso Dio, e con questo eccita nel
nostro cuore un desiderio ardente di ren-
dere all'Onnipotente il culto sovrano che gli
è dovuto, e ci anima al sacrifizio interiore
ed esteriore di tutto il nostro essere, di tutti
noi stessi. Yi è chi si dice divoto, ma che
non prende le mosse da questi alti principi,
e fa bensì le pratiche di pietà nel loro este-
riore, ma il cuore non è di Dio: questa non
è divozione vera. Tu sta' attento a fare le
tue pratiche di pietà in modo da rendere
a Dio il culto che gli è dovuto, riconoscen-
dolo davvero come sovrano signore e pa-
drone; e bada che tali pratiche non siano
puramente esterne, bensì che partano dav-
vero dal cuore.
4) Fondata nell'amor di Dio.
Perchè la divozione sia di buona qualità è
necessario anche che sia fondata sull'amor di
Dio, che cioè l'anima non cerchi se non gli
interessi e l'onore di Dio, conseguendo un
completo distacco ed un disprezzo profondo
delle viste e degli interessi propri. Con que-
sto principio l'anima deve regolare saggia-
mente i diversi doveri di pietà nel loro este-
riore, quali le preghiere vocali, le adorazioni,
le genuflessioni, gli inchini, i digiuni, le al-
tre mortificazioni dei vari sensi, cioè tutte
le pratiche esteriori di virtù. Se tu proce-
dessi a rovescio, se cioè dessi la primaria
importanza alle esteriorità, e non pensassi al
distacco da te stesso, dalle tue comodità; e
peggio ancora se facessi queste pratiche este-
riori non con lo scopo diretto di dar gloria
a Dio, ma per qualche fine umano d'inte-
resse, di vanagloria, di compiacimento pro-
prio, od altro, la tua pietà non varrebbe
nulla, ed il Signore ti rigetterebbe sdegnosa-
mente da sè, dicendoti sepolcro imbiancato,
e applicando a te quel che diceva al popolo
giudaico, che esso lo onorava con le parole,
ma non col cuore (1).
(1) » Populus hic labiis me honorat, cor autem
eorum longe est a me • (MATTEO, XV, 8).

50.5 Page 495

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5) Solida.
Quando la divozione è ben fondata sulla
fede e sull'amor di Dio, allora diventa solida.
Essa comincia ad attaccarci ai comandamenti
di Dio; poi ci stringe alla pratica delle virtù,
e specialmente agli esercizi propri della no-
stra vocazione. Essa preferisce sempre l'es-
senziale all'accessorio, il precetto al consi-
glio, il necessario alla convenienza, l'utile al
dilettevole, quello che è stretto dovere a ciò
che è di supererogazione. Per il compimento
dei suoi doveri essa sormonta le difficoltà
con coraggio, mettendo la sua confidenza in
Dio e nei superiori; in Dio, il quale saprà
addolcire tutti i travagli intrapresi pel suo
servizio; nei superiori, che gli insegneranno
la via per arrivarvi sicuramente. Sta' at-
tento che sarebbe falsa la tua divozione se
mancassi nelle cose principali per occuparti
in quelle meno necessarie; se ti dispensassi fa-
cilmente dagli esercizi della comunità per
darti a pratiche tutte tue particolari; se ti
mostrassi bizzarro, cambiando le tue prati-
che ad ogni tanto; se fossi infedele ai tuoi
esercizi di pietà al minimo ostacolo che s'in-
contra. Sarebbe ancor falsa la tua divozione
se fossi così attaccato alle tue pratiche par-
ticolari, da resistere quasi ai superiori, quan-
do ti confidassero qualche occupazione che
non te le lasciasse fare. Manca in tutti questi
casi la vera e solida base di pietà, che è
riposta nel desiderio di piacere unicamente a
Dio, compiendo anzi tutto ciò che egli si
degna comandarci per mezzo delle Regole e
dei superiori.
6) Disinteressata.
La vera divozione è disinteressata. Essa
risplende e giganteggia nelle aridità, nel di-
sgusto, nelle tenebre, e nella ripugnanza della
natura. Il contento del vero divoto consiste
tutto nel sapere che le sue pratiche di pietà
piacciono a Dio. Per sè poco gl'importa di
far sacrifizi e contrariare la propria natura;
purché Iddio sia contento. Invece vi sono
delle persone che si credono divote, e non
sono mai in pace. E quando non sentono
consolazioni sensibili, temono subito che il
loro agire non piaccia a Dio. Qualche volta,
è vero, questa paura proviene da semplice
timidità, e allora non è male. Ma il più delle
volte deriva dall'amor proprio, che si com-
piace nelle dolcezze, e non trova il suo conto
nelle aridità. Sta' attento su te stesso, per-
chè certo, se così fossi anche tu, saresti an-
cora ben lontano dalla vera divozione, che
fa dimenticare se stesso per cercare unica-
mente l'interesse di Dio e delle anime.

50.6 Page 496

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— 982
7) Umile e dolce.
La vera divozione è umile e dolce, poiché
essa proviene dalla carità, che, secondo l'apo-
stolo San Paolo, è il complesso di tutte itì
virtù, il vincolo della perfezione (Coloss.,
Ili, 14). Il religioso quindi deve aver paura
di se stesso e temer di cadere senza accor-
gersi nelle illusioni. Egli deve sempre essere
pronto a far del bene con grazia e buon umo-
re, poiché la gioia della buona coscienza che
regna nel suo cuore si esterna nelle sue azioni.
Egli tuttavia non ha per nulla falsa compia-
cenza per se stesso, nè alcun rispetto umano.
È sempre fedele a compiere esattamente tutti
i suoi doveri. E se si crede obbligato di av-
visare o correggere altri per impedire l'of-
fesa di Dio, egli procede in ciò con gran pru-
denza, moderazione ed umiltà. Indichereb-
bero invece di avere una divozione falsa co-
loro che facessero mostra di disprezzarsi come
se fossero i peggiori degli uomini, ma poi si
offendessero, s'indispettissero e andassero fuori
di se stessi, per le più piccole umiliazioni, e
se ne mostrassero avviliti, e fossero esclusivi
e personali nelle loro divozioni, non stimando
in altri se non quella divozione che è con-
forme alla loro. Darebbero ancor segno di
divozione falsa coloro che si mostrassero im-
pazienti, insofferenti, inquieti, al punto da
rendersi insopportabili a tutti; e quando il
loro zelo aspro comparisse fin nelle corre-
— 8—
zioni fraterne, se si può alle loro correzioni
dar questo nome, e facessero così disprezzare
la virtù e pietà vera degli altri. Iddio ti
guardi da una divozione sì malintesa.
8) Energica.
La vera divozione, sebben dolce a riguar-
do degli altri, non cessa di essere energica,
muovendo guerra accanita alle proprie cat-
tive inclinazioni. Essa non è soddisfatta, se
non quando vede l'anima in cui è penetrata
simile a Gesù benedetto, che continuamente
condusse vita dura e crocifissa. Nello stesso
tempo la vera divozione ci fa amare quella
stessa fatica e quelle pene a cui dobbiamo
sottometterci per correggerci completamente
dei nostri difetti, perchè l'idea di far cosa
gradevole a Gesù addolcisce tutto. Se tu ami
una divozione egoistica e comoda, che non
ti fa vigilare su te stesso, e non ti fa severo
contro di te, o che ti fa parere gran cosa
ogni sforzo che fai per farti buono, o ti fa
subito parere che fai grandi sacrifizi quando
ti devi sacrificare un poco, o ti fa parere pe-
sante il giogo del Signore e grave il peso
della legge di Dio: allor sappi che la tua divo-
zione non può esser buona. E se questo è
già vero per tutti i cristiani, lo è special-
mente per un religioso, che è obbligato a
maggior santità, che deve applicarsi più alla

50.7 Page 497

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985
lettera il detto di San Paolo, dove dice che
Gesù non cercò mai il compiacimento pro-
Come ottenere la vera divozione.
prio: « Christus non sibi placuit » (Rom.,
XV, 3).
E come governarsi in pratica, per ottenere
questa vera e soda pietà, e per farne costan-
temente bene tutte le pratiche? San Bernardo
c'insegna quattro cose, che alimentano e fan
9) Libera e tranquilla.
crescere in noi la pietà soda. Io non fo che
accennartele, e tu fanne oggetto di sode ri-
La vera divozione, per ultimo, serve Iddio
con libertà di spirito e pace interiore, poiché
essa non cerca se non quanto piace al Sovra-
no Maestro. Ora il piacere di Dio è di essère
servito come un padre, cioè con buonissima
volontà e animo allegro. Vi son di coloro che
servono il Signore con ansietà di spirito, col
cuore turbato, con inquietudine di coscienza.
Queste paure e questi imbarazzi tolgono loro
la pace interiore, e sono di ostacolo al pro-
gresso spirituale. Tal difetto proviene ordina-
riamente da un'immaginazione inacerbita, da
una timidità mal combattuta, da mancanza
flessioni, e ricorri a questi mezzi quando ti
sentissi illanguidire in essa. Queste quattro
cose sono: a) il ricordo dei propri peccati pas-
sati, il che deve renderci umili; b) la memo-
ria dei Novissimi, e specialmente della Morte,
del Giudizio, e dell'Inferno, che devono ren-
derci forti e stimolarci a lasciare il peccato
e a fare il bene; c) il pensiero dell'eternità,
considerando che la vita non è che un pelle-
grinaggio; il che deve renderci solleciti, e por-
tarci a disprezzare le cose materiali; d) il pen-
siero della bontà di Dio, o desiderio della vita
eterna, che deve renderci amanti, animarci
alla perfezione e tenerci cauti, affinchè non
di retto giudizio. Alle volte proviene anche
da mal diretta riflessione sulla propria con-
'
cdriaeamtuorem. ai la volontà propria in balìa delle
dotta, da un incaponimento nelle proprie opi-
nioni, o da amor proprio che li impedisce cL
conoscere se stessi. La semplicità, l'abbandono ,
filiale nelle mani del superiore, e l'umiltà, sono
i rimedi che dovresti prendere per liberartene
se ne fossi affetto, e ciò formerebbe la tu»
salute e la fonte della tua allegrezza.
/

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987 —
ci fanno agire con grande ardore. Questo fer-
vore lo si prova specialmente quando si comin-
cia a servire Iddio. Ma per lo più non dura a
CAPO II
lungo; esso a grado a grado si va attenuando.
Ciò perchè è come un dolce, un latte spiri-
DEL FERVORE NEL SERVIZIO DI DIO
tuale, che Iddio ci dà per farci dimenticare
E DELIA TIEPIDEZZA
il mondo, e in appresso deve essere surrogato
da un nutrimento più solido. E poi esso è pro-
dotto dalla novità delle cose che colpiscono
Che cosa è il fervore.
i principianti, e che a poco a poco, diven-
tando loro familiari, cessano di esercitare su
Il fervore è un desiderio ardente ed una
loro tanta impressione. Infine Iddio, il quale
volontà generosa di piacere a Dio, facendo la
loro diede queste consolazioni per incorag-
sua santa volontà in tutte le cose. Questo giarli, le ritira quando minacciano di riuscire
desiderio, dice San Tommaso, ha la sua sor- un alimento alla loro vana compiacenza od
gente in un grande amore; poiché l'amore fa un ostacolo al proprio rinnegamento. Vi è
sempre desiderare di piacere a colui che si un'altra sorta di fervore, che si dà tra le per-
ama, conformandosi alla sua volontà. Il fer- sone più avanzate nella perfezione. Esso pro-
vore ha molta rassomiglianza con la pietà: viene da una virtù solida e coraggiosa, e so-
ma si distingue da essa in questo : che la divo- prattutto da una carità più ardente di quella
zione riguarda in particolare le pratiche di- che non si trova nella maggioranza degli uo-
rette al culto di Dio, mentre il fervore riguar- mini. Questa carità porta ad intraprendere,
da in generale le cose che piacciono a Dio. per piacere a Dio, tutto ciò che si conosce
cioè le virtù.
poter contribuire alla sua gloria ed alla pro-
pria perfezione, anche quando non si ricevono
consolazioni sensibili e si vive in grande ari-
Sue specie.
Vi sono due specie di fervore. L'uno s;
chiama fervore sensibile, di cui già ti parlai
E consiste in consolazioni e gusti aggradevoli
e che ci fan sopportare con piacere le peni
provenienti dalla pratica dei nostri doveri, t
dità interna. Perchè, dice San Basilio, è pro-
prio del vero fervoroso di far la volontà di
Dio con ardente affezione, con desiderio insa-
ziabile di piacergli, e con assidua diligenza.
Oppure come il medesimo santo dice altrove:
Il vero fervore consiste nel desiderio di pia-

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cere a Dio in tutte le cose con desiderio vee-
mente, stabile e costante (1). Come ben devi
capire, o mio buon figliuolo, il fervore sen-
sibile è come uno zuccherino che Iddio ti dà
quando lo crede bene per animarti alla virtù.
Perciò tu lo devi ringraziare, essere contento
nel vedere che il Signore usa con te tante de-
licatezze e riguardi. In vista della tua debo-
lezza, puoi anche domandarlo ardentemente
al Signore, nel timore che mancandoti quella
attrattiva non abbia forze sufficienti a perse-
verare nella vocazione. Ma devi capire ancor
più, che questo fervore non è necessario per
inoltrarti nella via della perfezione. E perciò
quando il Signore te lo togliesse, non devi per
nulla scoraggiarti o vivere malinconico o di
mal animo. Anzi, devi capire questo essere se-
gno che Iddio vuol già trattarti come uomo
più maturo, e darti cibo bensì men dolce, ma
più sostanzioso pel tuo organismo, che oramai
deve essersi consolidato e fatto robusto.
Sforzati al vero fervore.
Tutto il tuo sforzo invece deve consistere
nell'acquistare e non perdere mai il vero fer-
vore. Esso, come ti dissi, consiste tutto nel
cercare ed intraprendere con grande energia
tutto ciò che piace a Dio e che giova al bene
(1) « Fervorem esse existimo cupiditatem vehemen-
tem placendi Deo in omnibus ».
delle anime. Sebbene tu non senta nel tuo
cuore soddisfazione o piacere nelle azioni che
fai, se tu le fai sempre con lo scopo diretto
di piacere a Dio,-di perfezionare te stesso, di
prepararti per fare poi del bene alle anime,
sta tranquillo: sebbene ti senti freddo inte-
riormente, tu hai il vero fervore, tu piaci a
Dio. San Tommaso dice che per mezzo del fer-
vore. la carità si rende molto attiva. Essa fa
molte cose, e erede d'aver fatto pochissimo:
compie cose grandi e crede sempre ed è per-
suasa che esse son piccole (1). Coraggio adun-
que! Procurati anche tu questa carità ferven-
te, e sta sicuro che, sebbene ti sembrino po-
che le cose che fai, saranno molte, e sebbene
ti sembrino piccole, saranno grandi agli oc-
chi di Dio.
Pensa ed ama il buon Dio.
Mezzo che direi onnipotente ed infallibile
per acquistare il vero fervore, si è di far le
cose pensando che Dio è presente. Egli è infi-
nito, onnipotente, nostro creatore e conserva-
tore. È niente quel che noi possiamo fare per
lui, anche facendo tutto il nostro possibile.
Egli è immensamente buono, e merita tutto
il nostro amore. Egli ci fece i più grandi be-
nefizi, e trova sua delizia nello stare in mezzo
(1) « Charitas operatur multa et reputat. pauea,
operatur magna et reputat parva ».

50.10 Page 500

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a noi. Egli viene sovente, forse tutti i giorni a
trovarti nel tuo cuore, nella santa comunione.
Oh dunque, cerca direttamente di fare tutto
per piacere a Lui! Cerca di rinnegar sempre
ciò che piacerebbe alla tua natura corrotta
0 poco mortificata. Abbi sempre avanti agli
occhi ciò che piace a lui, e così sarai vero fer-
voroso e diventerai perfetto. Oh se conoscessi
1 meriti immensi che ti puoi fare operando
sempre con lo scopo diretto di piacere a Dio!
Oh si scires dormiri Dei!
Fuggi la tiepidezza.
Oh certo! se conoscessimo il gran bene che
è l'amare Iddio con fervore, non ci lascerem-
mo mai cadere nella tiepidezza, difetto che
direttamente si oppone al fervore. La tiepi-
dezza come sai è un languore della volontà
per il bene, un rilassamento nel servizio del
Signore, senza vera risoluzione di adoperarsi
per correggersene. Bisogna p e r t a n t o che fi
p e r s u a d a bene, che quanto più piace a Dio il
fervore, tanto più gli dispiace la tiepidezza.
Il Signore dice chiaro che essa gli dispiace
enormemente, e minaccia il tiepido di cacciar-
lo lontano d a sè (1). Il tiepido fa le cose del
Signore negligentemente, per cui Iddio lo ma-
l i ) « Quia tepidus es, incipiam te evomere de ore
meO> (Apoc., I l i , 16).
— 991
lediee (1). Sta solo attento a non confondere
la tiepidezza vera come te la definii, con la
aridità nelle pratiche della divozione, o con
quel languore nelle cose di pietà, che alle vol-
te ti può sorprendere senza tua colpa, languo-
re che tu detesti e che t'adoperi con sforzi
per iscacciare. Questa non è vera tiepidezza,
e tu non devi disanimarti se ti sopraggiunge.
Quando tu, interrogando te stesso, puoi ri-
spondere: io faccio quanto posso per pratica-
re esattamente i miei voti, per dare buon
esempio, per far bene le cose di pietà; è vero
che riesco poco, ma se sapessi qualche mezzo
che mi aiutasse per riuscirci lo prenderei ben
volentieri, fosse pure un mezzo aspro e ne
avessi pure a soffrire... allora sta tranquillo:
sotto le apparenze di tiepidezza, tu sei fervo-
roso, ed il Signore è contento di te. Invece se
hai solo parole; se vi è in te un certo qual de-
siderio, una velleità di scuoterti; ma intanto,
sapendo come fare per risorgere, non prendes-
si i mezzi dovuti per iscuoterti davvero, allora
ci sarebbbe la tiepidezza vera; e tu saresti in
vero pericolo di perdere a poco a poco e vo-
cazione ed anima, ed il Signore comincerebbe
a rècerti e gettarti lontano da sè.
gent(e1r) « Maledietus homo qui laeit opus Dei negll-

51 Pages 501-510

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51.1 Page 501

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— 2—
— 993 —
Obbligo della preghiera.
CAPO III
DELLA PREGHIERA
Ciò clie ne dicono le costituzioni.
Prima di venir a parlare delle pratiche di
pietà in particolare, secondo che ci sono pre-
scritte dalle nostre Costituzioni, conviene an-
cora dar qualche cenno della preghiera in ge-
nerale, della sua necessità, della sua efficacia
e del modo di farla bene. Le regole nostre
non ci ordinano molte preghiere e pratiche
di pietà. Anzi ci dicono espressamente, che
la vita attiva cui tende la nostra Pia Società
non può ammetterne molte in comune. Tut-
tavia, oltre all'inculcare anche le orazioni vo-
cali. là dove volendo farsi strada a parlare
dell'orazione mentale, dicono: « Oltre le ora-
zioni vocali attenderà per ÌIOJI meno di mez-
z'ora all'orazione mentale», insistono ancora
aggiungendo: «La compostezza della persona,
la pronuncia chiara, divota e distinta delle pa-
role nei divini uffici devono essere tali nei no-
stri soci, che li d i s t i n g u a n o d a t u t t i gli altri ».
Asseconda tu adunque quanto le nostre Co-
stituzioni richiedono, e procura davvero che
la compostezza interiore e la pronunzia divo-
ta delle preghiere formi un tuo distintivo.
Tutti gli uomini sono obbligati a pregare:
senza la preghiera non si può essere cristiani;
come si potrebbe adunque essere religiosi? La
nostra professione stessa richiede molta pre-
ghiera. Anche la gente di mondo parlando del
religioso dice quasi per disprezzo: Non sanno
fare altro che pregare! E gli amici ed i buoni
si raccomandano ai religiosi dicendo: Almeno
voi pregate per noi. La preghiera è il pane
dell'anima, la chiave del cielo. L'anima senza
preghiera è come un pesce fuor d'acqua; e
l'uomo che non prega è come un corpo sen-
z'anima. San Giovanni Grisostomo dice che
chiunque non prega è moi'to.
Necessità della preghiera.
Dobbiamo fondarci bene fin da principio,
sulla base della necessità della preghiera. Da
noi siamo capaci a nulla (1). Senza l'aiuto
della grazia di Dio non siamo neppur capaci
a respirare, a sollevare una festuca da terra;
non possiamo neppur concepire un buon pen-
siero: tutto ci viene da Dio. Ora Iddio è buo-
no, e ci vuol bene e ci vuol fare molte grazie
di cui abbiamo bisogno; ma vuole che gliele
(1) « Sine me nihil potestis lacere » (Giov., XV, 5).

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domandiamo, che ci ricordiamo di Lui, che
comprendiamo bene che tutto viene da Lui;
vuole che preghiamo.
Precetto di Gesù.
E ce lo raccomandò in mille circostanze:
« Domandate e riceverete, cercate e troverete,
bussate e vi sarà aperto ». E ci fa le più lu-
singhiere e assicuranti promesse: Tutto quello
che domanderete a mio Padre in nome mio.
Egli ve lo accorderà (1) ; e il divin Salvatore
finisce col dirci, che bisogna sempre pregare
e mai lasciar di pregare (2). E San Paolo insi-
ste: Senza interruzione pregate (I Thess.
Y, 17). Il corpo per vivere respira senza desi-
stere mai: la preghiera è il respiro dell'anima.
Si sta così bene all'aria buona! Si sta meglie
ancora intrattenendosi continuamente nella
preghiera con Dio!
ìri passione? Pregava e pregava giorno e not-
te (1). Che fa in cielo e nel tabernacolo? Pre-
ga e vive in eterno per intercedere per noi (2).
La vita della Madonna è una copia della vita
di Gesù. E dopo di loro ed a loro esempio, la
preghiera fu il pane quotidiano degli eletti.
I deserti si riempirono di anacoreti, che pare
non vivessero che per pregare. Sant'Antonio
al mattino si lamentava col sole, chè veniva
troppo presto a disturbarlo dalla preghiera,
durata tutta la notte. San Francesco Saverio,
dopo essersi logorato tutto il giorno pel bene
delle anime dei suoi poveri indi, passava la
maggior parte della notte nel pregare. Altret-
tanto faceva San Carlo Borromeo; tutti i san-
ti pregarono molto, e nessuno si fece santo
senza pregare. Per arrivare al paradiso biso-
gna prendere la via battuta dai santi. Corag-
gio adunque; tu pure datti per davvero alla
vita di preghiera.
Esempio di Gesù e dei santi.
Nostro Signore ed i santi ci insegnano a
pregare col loro esempio. Che faceva Gesù e
nella sua vita privata, e nella pubblica, e nel-
Bisogno nostro di pregare.
Noi abbiamo bisogno di preghiera, perchè
senza di essa non si ha la vita eterna. Tutte
le creature domandano a loro maniera ciò di
(1) « Si quid petieritis Patrem in nomine meo, dalli: ' VI, (11)2)«. Erat pernoctans in oratione Dei" (LUCA,
vobis • (Giov., XVI, 23).
(2) « Oportet semper orare et non defleere > (LCCA.
(Heb(2r.), •VSIeIm, p2e5r). vivens ad interpeliandum prò nobis »
XVIII, 1).

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cui abbisognano: le piante domandano il ca-
lore, la luce, l'aria, l'umidità; i fiori la rugiada ladro vigoroso ed armato: impossibile difen-
ed il sole, le erbe disseccate la pioggia; il dersi. Che mezzo gli resta? L'unico è il grida-
mendicante si rivolge a tutti quelli che pas- re, chiamare aiuto; senza questo colui è per-
sano per avere la limosina; i fanciulli doman- duto. Il demonio è questo ladro, questo assas-
dano senza posa. Ciascun essere ha un ele- sino, più forte e più scaltro di te. C h i a m a
mento fuori del quale muore: l'uccello ha l'a- dunque in soccorso Iddio, la Vergine, i santi,
ria; l'angelo Iddio. L'uomo essendo un essere deulmtoe.no con giaculatorie: senza questo sei per-
intermedio tra l'animale e l'angelo, ha biso-
gno esso pure della sua aria e dei suoi alimen-
ti per la sua natura animale, ed ha bisogno
di Dio per la sua vita soprannaturale. Colui
che non volesse mangiare, muore. Colui che
V e hai b i s o g n oa n c h e o r a .
non vuol pregare è perduto. Comprendi bene
da questo quanto importi pregare, specialmente
E bada bene di non illuderti, credendo di
per te che hai bisogno della perseveranza nella non averne più tanto bisogno ora che ti sei
vocazione e di tanta forza per osservare le -llontanato dal mondo, e che ti sei dato a
sante regole ed i voti; che hai bisogno di ten- Dio. Ne hai bisogno più di prima. Gli ebrei
dere alla perfezione; che pur stando nel mon- appena usciti d'Egitto e traversato il Mar Ros-
do, devi vivere da vero religioso; tu che ha: 50, come tu uscito dal mondo e traversate tan-
nel cuore di provvedere non solo alla salvezza te difficoltà, si trovarono attaccati dagli Ama-
tua, ma che devi abilitarti a far del bene £ -citi. Come poterono liberarsene? In nessun
tanti giovani, a salvare tante anime. Cora tro modo che con l'azione vigorosa e la
vuoi che Iddio ti scelga a salvare tante anime
se il salvarle è tutto frutto di preghiera e d
sacrificio, qualora tu non pregassi, rendendot
così anche inabile a fare dei sacrifici? Ricòr
dati poi del grande obbligo che hai di pregar
specialmente nel tempo dei pericoli e deli-
più violente tentazioni. La notte camminano
senz'armi in una foresta, uno è assalito da u:
: reghiera costante. Mentre i soldati combat-
* vano tutti vigorosamente, Mosè ascende il
onte e prega. Ed il Signore volle far capire
;ne che la vittoria era frutto della preghiera,
rchè mentre Mosè teneva le braccia elevate
pregava i soldati suoi vincevano, e quando
: lesti le abbassava un qualche momento per-
ivano. Attàccatelo all'orecchio questo esem-
:io, e sappi trarne profitto.

51.4 Page 504

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Bisogna pregar sempre.
Non solo il Signore ci comanda di fare
orazione, ma di farla continuamente, di pre-
gar sempre (1). Ed i santi Padri riconoscono
tanto necessario l'uso continuo di questo eser-
cizio, che senza di esso asseriscono non poter-
si vivere vita di grazia, nè conseguirsi perciò
vita eterna. Come pertanto avrai da gover-
narti in pratica per adempire bene quest'ob-
bligo stretto della preghiera? Io ti consiglio
a fare due cose, che sebbene possano sembrar-
ti difficili da principio, tanto maggior frutto
produrranno in appresso. La prima si è che
cerchi di abituarti al pensiero della presenza
di Dio; la seconda di offerire bene, con buon'
spirito, direttamente a Lui tutte le azioni del-
la giornata.
Della presenza di Dio.
Il pensiero della presenza di Dio è una del-
le pratiche più raccomandate dalla Sacru
Scrittura, ed uno dei mezzi più potenti pe-
larci arrivar presto alla perfezione. « Cantini
na alla presenza di Dio e sarai perfetto ». die
il Signore (2). Per abituarti al pensiero dell-
(1) «Semper..., ornili tempore..., sine intermissione
(2) «Ambula coram me, et esto perfeotus • (Gei
X V I I , 1).
presenza di Dio non è necessario, come ci
ammaestra San Francesco di Sales, di fare
sforzi di mente: è un pensiero che deve venir
tutto naturale. Iddio è sempre presente a noi,
perchè egli in tutte le cose risiede per essen-
za, per presenza o per potenza. Ora, la pre-
senza di Dio di cui ti parlo non è altro che
il ricordare questa sua presenza- è cioè un
pensiero o ricordo di Dio, con cui in tutti
i luoghi ed in tutti i nostri affari Lo rimiria-
mo presente, ed a lui ci rivolgiamo coi no-
stri affetti.
Modi di questa presenza.
Ma in pratica come si fa a star sempre
alla presenza di Dio? Vi sono due modi: il
primo consiste nel rappresentarti colla fantasia
Dio presente mentre sei occupato in opere
esteriori. Per riuscire a ciò, bisogna figurarte-
lo come visibile, immaginandoti di vedere
l'amabilissimo Redentore in quelle sembian-
ze, in quegli atteggiamenti che ti conciliano
maggior divozione e interiore raccoglimento.
Puoi renderlo presente osservandolo in croce,
e che ti presenti il suo Sacro Cuore. A ciò
può aiutarti l'avere appeso alle pareti o espo-
sto avanti ai tuoi occhi un crocifisso, un'im-
magine del Sacro Cuore o di Gesù Bambino
od altra che attragga di più la tua divozione,
affinchè la vista di essa te lo rammenti di
3

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— 1000 —
tanto in tanto. Ed anche quando esci di ca-
mera o di casa, figurati ancora di rimirare
quegli oggetti divoti e, assorgendo dal figura-
to alla realtà, sfogati in affetti verso Gesù;
indirizzagli le tue operazioni, riferisci a Lui
ciò che vedi, o ascolti, od operi: cerca in tut-
te le cose il suo beneplacito. Il secondo modo
di stare alla presenza di Dio si fonda sulla
pura fede, indipendentemente da uno studio
particolare d'immaginazione, ricordando che
Iddio ci sta intorno, per ogni parte ci circon-
da, e con occhio penetrantissimo mira ed os-
serva ogni nostra azione secondo l'espressione
di San Paolo: Noi viviamo, ci muoviamo, e
siamo in Dio. Altro non si richiede per aver
Dio presente in questo modo, che rammen-
tarci di ciò che la fede c'insegna circa l'im-
mensità di Dio, e prestarle un semplice ed
affettuoso consenso. Con questo pensiero ter-
rai l'anima tua in timore ed amore filiale,
cauta, guardinga e circospetta, attenta ad
ogni sua operazione per non offendere gli
occhi di quel gran Dio che ti sta rimirando,
senza mai rimuovere da te per un momento
lo sguardo. Il terzo modo è il considerare
Dio nelle varie creature, e così dalle cose visi-
bili innalzare continuamente il tuo cuore alla
contemplazione delle cose invisibili. Si può
considerare Dio vivente nei superiori, nei
compagni; lo si può considerare come mo-
tore della terra e delle stelle, lo si può con-
— 1001 —
siderare nei fiori, nelle erbe, nelle piante. Lo
si può considerare come fonte della luce, del
calore; nelle proprietà degli animali, nelle
azioni degli uomini; negli avvenimenti pro-
speri e negli avversi che possono accadere
nella giornata; e da tutto prendere, come fa-
ceva San Francesco di Sales e come faceva
anche Don Bosco, occasione per atti di amore
al Signore. Il quarto modo di formare la pre-
senza di Dio è dentro di te stesso. Dice San
Paolo che noi siamo templi di Dio, e che lo
Spirito Santo abita in noi. Sebbene Iddio si
trovi dappertutto e sia in qualunque luogo
presente, ha però alzato il trono nelle nostre
anime, e in esse come in suo tempio risiede
per esservi specialmente onorato da noi. Egli
sta adunque nel mezzo del tuo cuore, e quivi
con presenza più speciale che altrove. A lui
adunque rivolgiti, mirandolo nel tuo tempiet-
to, tutto per te. Quivi ascolterà le tue pre-
ghiere, quivi udirà i tuoi colloqui, quivi gra-
dirà i tuoi affetti, quivi si comunicherà inti-
mamente al tuo spirito, e quivi sarà più libe-
rale a concederti i suoi doni. Dentro di sè, di-
rò con San Basilio, si ritiri ogni anima che
brama essere sposa di Gesù. Anche nei più
grandi tumulti e nelle più grandi agitazioni
e divagazioni del mondo si troverà il più
completo raccoglimento. Santa Cecilia in mez-
zo ai canti profani ed ai suoni lascivi, con-
tinuamente teneva il cuore innalzato a Dio

51.6 Page 506

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— 1002 —
e gli cantava lodi (1). Santa Caterina da
Siena, vedendosi tolta dai suoi genitori ogni
comodità di ritirarsi nella sua cella per ivi
pregare, così istruita da Gesù medesimo, si
fabbricò nel suo interno un'altra stanza, cioè
si figurò che il suo cuore fosse come un tem-
pietto entro cui stava Gesù. In questo tem-
pietto mentre lavorava e mentre aveva mille
distrazioni esteriori, essa se ne stava sempre
ritirata con Dio in amorosi colloqui. Fa' an-
che tu così; e giocando e studiando e uscen-
do. e nei gaudi e nelle tribolazioni rivolgi lo
sguardo al tuo cuore, al tuo tempietto inte-
riore. Offri tutto a Gesù, ed egli ti benedirà,
e tu farai progressi da gigante nelle vie del
Signore.
Il religioso ne ha più bisogno.
Sì, adopera energicamente questi mezzi.
Se quanto più è ardua un'impresa, tanto più
validi si richiedono i soccorsi per riuscirvi,
un religioso, obbligato ad uno stato di per-
fezione, per giungere alla quale si richiedono
speciali e sempre nuovi aiuti della divina gra-
zia, si darà egli a credere non essere necessa-
rio a lui in particolare l'uso continuo dell'ora-
zione? Se poi la vita in generale, al dir del
Santo Giobbe, è una continua battaglia (mili-
(1) « Cantantibus organis, corde suo Deo decan-
tabat ».
— 1003 —
tia est vita hominis super terram), la vita
del religioso sarà una vita meno esposta a
combattimento? Sarebbe dunque error mas-
simo se poco pregasse il religioso. Egli invece
dovrebbe continuamente stare prostrato in un
angolo del santuario ad impetrare assistenza,
difesa, e vittoria contro i nemici della pro-
pria perfezione, contro i nemici del popolo di
Dio. Non è tempo, figliuol mio, di star ozioso
quando si deve impetrare da Dio forza per
ben combattere e trionfare non solo contro il
mondo, il demonio e la carne, che anche nei
religiosi portano all'anima i loro fieri assalti;
ma anche contro le passioni del cuore, contro
i mali abiti, contro le cattive inclinazioni,
tutti nemici capitali dello spirito e dell'eterna
salute.
Aspirazioni e giaculatorie.
Nè occorre per pregare sempre star di
continuo genuflesso in chiesa o altrove, in
atto di orazione. Che anzi Don Bosco rac-
comandava di non sopraccaricarsi di divo-
zioni, per giungere poi a compier le quali ne-
cessiti lasciare altri doveri, od a fare quelle
divozioni strapazzandole frettolosamente e
senza fervore. Ti dico che l'assiduità nel-
l'orazione raccomandata da Gesù medesimo
consiste nell'elevare con frequenza la mente a
a Dio, anche in mezzo alle occupazioni del

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— 1004 —
proprio stato, come appunto facevano quei
santi Maccabei, che nell'atto di guerreggiare
contro Nicànore, maneggiavano con le mani
le armi e con il cuore porgevano suppliche
al Signore (1). Possono benissimo eseguirsi
le opere dall'ubbidienza ingiunte, si può anzi
prendere anche un onesto sollievo, e nello
stesso tempo fare orazione; purché in queste
opere materiali la mente sia elevata a Dio,
e che di tanto in tanto con qualche infuo-
cato sospiro o qualche divota giaculatoria,
con qualche pia aspirazione ti unisca a Dio,
assicurandolo che fai tutto per piacergli.
Obbligo che hanno i Salesiani.
Un motivo impellente a pregar molto ab-
biamo noi Salesiani, ed è l'obbligo che c'in-
combe di pregare per i benefattori delle no-
stre opere e per i cooperatori nostri. Essi ci
aiutano a fare il bene, e sostentano i nostri
buoni giovani colla caritatevole generosità
delle quotidiane loro limosine. Se, al dir di
San Tommaso, per legge di necessità, siamo
in obbligo di pregare per noi, e per titolo
di carità siamo obbligati a pregare per i
prossimi, per quelli che ci han fatto del bene
non ci stringe altresì debito di giustizia? Ci
(1) • Manu quidem pugnantes, sed Dominimi cor-
dibus orantes » (Mac., XV, 57).
- 1005 —-
somministrano essi, dice San Bernardo, doni
temporali e noi dobbiamo contraccambiarli
con doni soprannaturali.
Ammonimenti circa le preghiere vocali.
Ecco ora alcuni ammonimenti per le pre-
ghiere vocali fatte in comune. Nelle pre-
ghiere in comune procura di star sempre ben
composto, anche esteriormente, ricordandoti
che sei alla presenza di Dio. Pronunzia le
parole come dice la regola, con voce chiara e
distinta. Non dire mai le preghiere con pre-
cipitazione, ma adagio affinchè possa effet-
tuarsi quanto il catechismo c'insegna, di se-
guire le parole con l'attenzione della mente
e l'affetto del cuore, poiché invano si prega
colla bocca se il cuore non partecipa (1).
Sta' fisso su questo punto, di non voler mai
precipitare le preghiere. Ponga mente a que-
sto specialmente chi le guida, nè mai co-
minci l'orazione seguente se non è ben finita
da tutti l'antecedente. Non si lasci trascinare
dalla corrente, qualora vari andassero troppo
in fretta. La tiepidezza nelle cose di pietà
molte volte comincia da questa premura nel
recitare le orazioni comuni. Ecco alcuni av-
visi pratici, che dà San Bonaventura, spe-
cialmente per le preghiere in privato: « Bada
(1) « Si cor non orat in vanum lingua laborat ».

51.8 Page 508

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— 100 —
anche, quando sei con altri, a non far tu-
multo col mormorio della voce, con l'impor-
tunità dello sputare o dello spurgarti il naso,
ovvero con l'impetuoso e indiscreto movi-
mento del corpo o delle sedie. È anche da
dirsi disordinato e leggero chi non sa raf-
frenare la sua veloce lingua. Sappi bene che
si deve evitare l'orazione che sibila, quella
cioè che nel dirsi sotto voce manda fuori dai
denti alcuni zufoli che molestano gli altri. È
sciocca quell'orazione la quale, detta da un
solo, molesta e impedisce molti; e spesse volte
essendo la peggiore e la più tiepida, dà im-
pedimenti alle migliori e più ferventi ».
Questi sono mezzi esteriori per pregar
bene; ma se ne richiedono altri più impor-
tanti, che occorre adottare accuratamente. Il
Signore infatti ci avvisa che per lo più se
rton si ottiene ciò che si domanda nella pre-
ghiera, è perchè non si prega bene. La cosa
principale nell'orazione, dice San Bonaven-
tura, è la retta intenzione e purità del cuore
di chi la fa. Bisogna che tutta l'intenzione
della mente sia separata dalle cure e dai
negozi esteriori e sia applicata e dedicata
alla vigilanza dell'orazione, in modo che l'a-
nimo non pensi ad altro se non a quello che
in quell'orazione si domanda o si desidera.
Perciò dice Sant'Isidoro che l'orazione non
appartiene alle labbra, ma al cuore. E bi-
sogna che quelli che pregano considerino se
stessi come se fossero presenti innanzi alla
maestà del Signore; perchè le preghiere ne-
gligenti e tiepide certamente non possono ot-
tenere quello che vogliono.
Formati profonde convinzioni a questo ri-
guardo.
Per conoscere bene le altre qualità che
deve avere la preghiera, perchè sia ben fatta,
leggi Sant'Alfonso: Del gran mezzo della pre-
ghiera; o qualche altro libro simile. Ma leg-
gilo accuratamente, leggilo anche più volte
e riducitelo in sangue. Mi pare che non possa
mai divenire un buon religioso chi non co-
nosce a fondo la necessità della preghiera, e
perciò non ne acquista lo spirito. Sebbene al
momento ti vedessi di buona volontà, te-
merei troppo che, non essendo molto impres-
sionato dalla necessità della preghiera e delle
qualità che deve avere, alle prime gravi dif-
ficoltà, che non possono non avvenire nella
vita religiosa, tu abbia a cadere gravemente,
e poi abbia a perdere la vocazione, forse an-
che dopo d'aver dato scandalo a chi per
tuo uffizio dovevi edificare col buon esempio
e salvare. Occorrerebbe dire molte altre cose
sulla preghiera, ma mi rimetto alla certezza
che leggerai, ed anche ripetutamente, il so-
vra indicato libro od altri che trattino di
questo argomento. L'importante è che sia per-
severante nelle tue pratiche di pietà. Più per-

51.9 Page 509

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severi e più ne prenderai gusto, al contra-
rio delle cose umane, secondo che dice San
Gregorio: «Le cose umane più si provano e
più annoiano, le cose divine più si praticano
e più si gustano ».
Parole consolanti.
Credo cosa buona terminare questo sog-
getto con alcune parole di conforto. Avviene
alle volte, che uno ami molto le preghiere,
e si eserciti in esse con tutte le sue forze
perchè ne conosce l'importanza; ma poi cade
come scoraggiato vedendo che non riesce a
pregar bène, perchè non sente fervore, anzi
è in preda a continue e persistenti distra-
zioni ed aridità. Il Signore non è come i pa-
droni della terra, che osservano se il lavoro
è riuscito bene, e non varrebbe nulla presso
di loro che l'artista od il suddito protestasse
d'aver impiegato quanto era da sè per riu-
scirvi, se poi l'opera resta imperfetta. Il Si-
gnore è buono, vede il cuore, e non guarda
la riuscita bensì gli sforzi fatti, i mezzi ener-
gici presi, il desiderio di far meglio, costasse
pure dei sacrifizi. Se pertanto hai fatto tutto
quello che potevi, hai da star tranquillo; il
Signore è contento di te, sebbene la preghiera
sia passata tra continue e gravi distrazioni.
Io vorrei soltanto che non illudessi te stesso,
col dire che hai fatto ciò che potevi solo
perchè le distrazioni non furono direttamente
volontarie. Nò, ciò non basta: bisogna che tu
prenda i mezzi necessari, quelli specialmente
che il superiore ti suggerisce. Bisogna che sia
energico, e anche se occorressero dei sacrifizi
un po' gravi devi esser disposto a farli. Ma
quando davvero avessi fatto ciò che potevi,
non fosse stata la tua preghiera che il pas-
saggio da una distrazione all'altra, ti dico
franco: Sta' tranquillo; la tua preghiera fu
buona; il Signore è contento di te.
CAPO IV
ORDINE DELLE COSE DA CHIEDERSI
A DIO NELLE PREGHIERE
Già ti ho accennato quali sono le cose più
importanti nella vita cristiana e religiosa per
arrivare a quella perfezione che Iddio vuole
da te. Ma tu sai che nulla possiamo da noi
soli; perciò tutte queste cose dobbiamo do-
mandarle a Dio. Qui pertanto conviene com-
pendiare e disporre come in un quadro le
principali da domandare a Dio, comin-
ciando dalle più importanti e venendo alle
altre di minor importanza, affinchè tu venga
a conoscere da quali si convenga incomin-
ciare e come debba proseguire nelle tue pe-
tizioni all'Altissimo.

51.10 Page 510

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— 1010 —
Prima cosa da chiedere è la carità, cioè la
santità.
Il fine del religioso, abbiamo detto, è Ji
eseguire nel modo più perfetto possibile la
santa volontà di Dio in tutte le cose, e in
conseguenza di raggiungere la santità, cioè la
perfezione dell'anima propria. È quel che
dice l'apostolo: Questa è la volontà di Dio,
che vi facciate santi. La santità, abbiamo
anche detto, consiste nella carità: nell'aver
noi per unico e semplicissimo oggetto degli
affetti nostri Iddio. Tanto la carità come la
beatitudine può dirsi fine dell'uomo; la ca-
rità è il fine che l'uomo deve proporre a se
stesso; la beatitudine è il fine che Dio si è
proposto creando l'uomo. Dal che consegue
che la nostra preghiera principale ed essen-
ziale e continua dev'essere quella che chiede
incessantemente la carità, cioè la salate e
perfezione dell'anima propria, e di farci ognor
più buoni e più santi. Per comprendere sem-
pre meglio questa verità e penetrarne l'im-
portanza, procura di capir bene, e di stam-
parti nel più profondo del cuore questa gran-
de verità: che nella giustizia e nella san-
tità dell'anima propria ciascuno possiede ogni
bene, perchè possiede Iddio, bene infinito, ol-
tre al quale non può estendersi alcun desi-
derio. Anzi non v'ha desiderio di creatura,
che possa arrivare ad esaurire mai e poi mai
quel bene, che è l'essenza del bene, e perciò,
— 1011 —
come dicevamo, è ogni bene. E dimmi, tu
che hai fede, e credi fermamente in Dio,
qual bene può mancare a colui che ha la
carità cioè la grazia di Dio? Gesù disse in-
fatti: Cercate prima il regno di Dio e la
sua giustizia e tutte le altre cose vi saranno
aggiunte (1). E San Paolo a sua volta: Sap-
piamo che a quelli che amano Dio, tutte le
cose cooperano a bene (2). E l'apostolo con-
chiude: Che dunque diremo? Se Dio sta per
noi, chi è contro di noi? Non avendo l'Eterno
Padre nemmanco _ perdonato al proprio Fi-
glio, ma avendolo dato per tutti noi. in che
modo può essere che insieme con lui non ci
abbia donate ancora tutte le cose? (5)
Pregare per questo non è egoismo.
Pensando a nient'altro che a farsi santi,
potrebbe affacciartisi questa obiezione: « Se
penso a farmi santo io solo, non sarò un ego-
ista? e la salute altrui non è altrettanto pre-
gevole quanto la mia? ». Rispondo comin-
ciando da questa seconda domanda. La sa-
(1) « Quaerite primum regnum Dei et iustitiam
eius et haec omnia adiieientur vobis ».
(2) « Diligentibus Deum omnia cooperantur in bo-
num • (iJom., V i l i , 28).
(3) « Quid ergo dicemus ad haec? Si Deus prò nobis
qui contra nos? Qui etiam proprio Filio non pepercit,
sed prò nobis omnibus tradidit illuni, quomodo non
etiam cum ilio omnia nobis donavit? » (26., V i l i , 31, 32).

52 Pages 511-520

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52.1 Page 511

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— 10
! Ti degli altri rispetto ad essi è certo pre-
gevole e necessaria quanto la tua rispetto a
te. Ma come ad essi non gioverebbe che tu
ti salvassi se essi si dannassero, così a te non
gioverebbe se essi si salvassero e tu ti dan-
nassi. L'anima tua non può redimersi con le
anime degli altri fratelli tuoi che si salvano.
Tu pertanto comincia a farti santo per sal-
vare l'anima tua, e poni tutti i tuoi sforzi in
questo. E intanto prega Iddio che aiuti ef-
ficacemente anche gli altri a salvare la loro,
e con questo tu puoi star sicuro d'aver ope-
rato secondo la più perfetta ed ordinata ca-
rità. Quanto poi al primo dubbio, che la
massima su espressa senta d'egoismo, questo
è un non averla intesa. L'avidità delle cose
terrene è certo cagione ed effetto di egoi-
smo, poiché, prendendomi per me le cose di
questa terra, gli altri non possono più averle.
Invece il farsi santi non è che un ardentis-
simo desiderio di dare a tutti il proprio, ed
esser a tutti buoni, a tutti generosi, a tutti
senza fine benèfici. Perciò la santità propria
importa una carità universale; e il pregare
che io fo che Iddio mi renda santo e gran
santo, è pregare implicitamente per tutti i
miei prossimi, nessuno eccettuato. Poiché io
con ciò non solo non tolgo nulla a nessuno,
ma di più prego Dio che mi renda ottimo con
tutti, e mi conduca a fare a tutti tutto quel
bene che è secondo il divin beneplacito, coope-
rando all'infinita carità sua verso il mondo.
1013
Questa è la preghiera più esaudita.
Gesù disse a Maria: Vi ha una cosa sola
necessaria (1). Oh, eleggiamo per noi questa
parte, e sta' certo che il domandare la tua
santità è la cosa più eccellente e più neces-
saria che tu possa fare! Come questa ora-
zione domanda la cosa che solo è necessaria
e sulla quale la volontà di Dio è palese; così
essa è anche la sola petizione che viene con
ogni certezza esaudita, non potendo mai es-
ser privo di effetto il desiderio sincero della
giustizia e della santità. Di questo Gesù dis-
se: Beati quelli che hanno fame e sete della
giustizia, perchè saranno satollati (2). Perciò
in questa domanda trovasi la pace ed una si-
curezza interiore di piacere a Dio facendola.
Invece nelle domande delle cose non neces-
sarie, possiamo stare in timore di sentirci
rimproverare da Gesù Cristo con quelle pa-
role: Voi non sapete che vi domandiate.
Falso zelo.
Alle volte il falso zelo, che va accompa-
gnato da segreta presunzione, non ci lascia
vedere l'eccellenza altissima di questa ora-
ti) > Porro unum est necessarium. Maria optimam
partem elegit » (LUCA, X, 42).
(2) « Beati qui esuriunt et sitiunt iustitiam, quo-
niam ipsi saturabimtur » (MATTEO, V, 6).

52.2 Page 512

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— 1014 —
zione. Alle volte cioè potrebbe avvenirti, che,
dimenticando te stesso, come se non avessi
gran bisogno di andare avanti nelle vie dello
spirito, desiderassi solo d'affaccendarti per la
salute dei prossimi. Ciò avverrebbe se tenessi
perduto il tempo del noviziato e della vita na-
scosta, o, dopo il noviziato, tenessi come per-
duto il tempo che darai alla preghiera ed
alla meditazione, e, tutto occupato degli altri,
ti sottraessi al pesante e molesto lavoro di
conoscere e vincere i propri tuoi difetti; e
che andassi lusingandoti che tutto consista
nel far del bene ai prossimi, e che questo
tuo zelo tenga per te le veci di tutte le virtù;
e che difendessi questo tuo giudizio col pre-
testo della gloria di Dio. Questo, o caro fi-
gliuolo, è un grande inganno del demonio, il
quale purtroppo guadagna molti non lascian-
doli pensare alla propria santificazione, col
pretesto del bene altrui.
Prima cosa che Dio vuole da ognuno.
Bisogna anzitutto che tu comprenda bene,
che la prima cosa che Iddio vuole da te è la
tua propria santificazione; e che perciò non
piacerai a Dio se prima di tutto non pensi a
santificare te stesso. E poi devi capire bene
che tu da te non sei capace a nulla, assoluta-
— 101
iri -1re a nulla; e solo puoi far qualche bene
agli altri se il Signore ti aiuta. E credi tu che
ti aiuterà, se non cominci a contentarlo nella
cosa essenziale, in quella cioè che più gli sta
a cuore, che è la tua santificazione? Ed anco-
ra; ha forse bisogno Iddio della gloria che tu
vuoi dargli contro sua volontà? Dico contro
sua volontà, perchè su di un punto solo sap-
piamo la precisa volontà di Dio, e questo è
sul volere la nostra santificazione. Non si sa
inoltre, generalmenle parlando, quando e co-
me voglia servirsi dell'opera tua, per la santi-
ficazione del prossimo. Se tu fai con zelo
quanto ti è comandato, allora quanto fai per
il prossimo diventa un dovere per te, e perciò
diventa parte della tua stessa santità; ma get-
tarti negli affari, nei pericoli, mentre Iddio
non domanda da te questo, è un voler perire
in essi (1). E un voler annegare te stesso per
salvare un altro, il che non è carità ben or-
dinata.
Rimane adunque ben fermo che la cosa
principale cui dobbiamo attendere, e che dob-
biamo continuamente domandare a Dio, è la
nostra santità, abbandonandoci poi nelle mani
di Dio stesso quanto ai mezzi che Egli possa
impiegare al fine di comunicarci questa sua
santità e giustizia.
(X) • Qui amat periculum in ilio peribit • (Eccli.,
I l i , 27).

52.3 Page 513

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— 106 —
Chiedere la salvezza di tutte le anime.
Questa prima domanda è complessa e ne
indica una seconda di non minore importan-
za: ed ecco quale. Ciò che noi vogliamo è la
santità e la giustizia; dunque implicitamente
dobbiamo anche volere e domandare tutto ciò
che è giusto e santo. Ed è per questo che il
Signore nell'orazione che c'insegnò ci fa do-
mandare al Padre, che sia santificato il suo
nome, che venga il suo regno, che si faccia la
sua volontà; perchè appunto in queste cose
sta la nostra santificazione. E per noi stessi
ci fa domandare il nostro pane quotidiano
soprasostanziale, la remissione dei nostri de-
biti e la liberazione dalle tentazioni e dal ma-
le: cose tutte che si riferiscono alla nostra
santificazione. E con questo domandiamo an-
che la salvezza e la santificazione di tutte le
altre anime. Queste cose tutte adunque dob-
biamo domandare con ogni insistenza e conti-
nuamente al Signore, senza timore d'insistere
mai troppo.
Pregare per la Chiesa.
La terza cosa, che sopra tutte le altre noi
dobbiamo domandare, si è la glorificazione,
l'esaltazione, l'estensione della santa Chiesa,
che è la sposa prediletta di Dio. Dobbiamo
domandare che essa produca il maggior frut-
1017
to e la massima gloria di Dio. Per la Chiesa
trionfante non preghiamo direttamente per-
chè non abbisogna più di nulla, ma bensì in-
direttamente, affinchè sempre maggior nume-
ro di fedeli vada a prenderne parte. Per la
Chiesa purgante deve effondersi tutto il no-
stro zelo, essendo quelle anime da una par-
te già certe della loro salvezza, e perciò in di-
ritto d'andare in paradiso; dall'altra parte es-
sendo impotenti a meritare e dovendo soddi-
sfar tutto col patire, noi possiamo sollevarle
con le nostre preghiere, con le nostre morti-
ficazioni, con le indulgenze che acquistiamo
in loro suffragio. Per la Chiesa militante fa-
remmo bene a pregare prima per i moribondi,
che si trovano nel momento più pericoloso e
più importante, poi per la perseveranza dei
giusti e per la conversione dei peccatori, e co-
sì pei più bisognosi, e per tutti gli altri.
Pregare per la Congregazione.
Dopo la gloria di Dio ed il bene della
Chiesa, facciamo bene a domandare la pro-
sperità, l'incremento della nostra Pia Società,
nella persuasione che questo conferisca mol-
to alla gloria di Dio ed alla salute delle ani-
me. Tutte queste cose sopraccennate sono ap-
punto quelle che continuamente faceva il no-
stro impareggiabile confratello Don Andrea
Beltrami. Egli, con animo risolutissimo e fer-

52.4 Page 514

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— 1018 —
missimo, incominciò a porre per base di ogni
sua azione e preghiera la propria santifica-
zione, ed a questo tese per tutta la sua vita
con un'energia immensa. Poi cercava con pari
zelo tutto ciò che è giusto e che è santo, cioè
quanto Gesù Cristo ci fa domandare nel Pa-
ter noster; quindi quanto può giovare alla
Chiesa, specie alla Chiesa purgante. Per la
liberazione delle anime del purgatorio non
solo fece l'atto eroico di carità, suggerito dal
S. P. Pio IX, ma si offeriva pronto a soffrire
tutti i patimenti possibili a soffrirsi nel mon-
do. Quanto alla Chiesa militante si propose
continuamente di pregare e soffrire pei mori-
bondi e per i poveri peccatori; e poi in modo
tutto speciale per la perseveranza dei giusti,
e per tutti e singoli i confratelli della nostra
Pia Società. Imita anche tu questo carissimo
confratello che Iddio ci diede per esemplare,
e vedrai che anche il tuo progresso nel bene
sarà grande, e più grande l'onore e la gloria
che ne proverrà a Dio.
Pregare per le anime affidateci.
Dobbiamo poi domandare la salute delle
anime che sono da Dio affidate alle nostre cu-
re. Poiché se Dio ci affidò quelle anime, noi
abbiamo il dovere di pregare per esse, chè que-
sto è il più efficace mezzo di poter loro essere
utili. E ciò è conforme all'esempio datoci da
— 1019 —
Gesù, il quale nell'orazione che fece dopo
l'ultima cena, pregò in particolare per quelli
che gli erano stati affidati, soggiungendo:
«• Padre santo, salva nel nome tuo quelli che
tu mi hai dato », e per essi domandò grazie
spirituali ed in grado sommo, acciocché fos-
sero una cosa sola con Dio (1).
Regole nella preghiera per gli altri.
Gioverà tuttavia tenere, pregando per gli
altri, queste due regole principali: che cioè
prima di tutto si metta l'intenzione di pregare
per la loro salute eterna, secondo quella legge
che è pure del Vangelo: « Qualunque cosa vo-
lete che facciano a voi gli altri, e voi fatela
a loro (2). » E quell'altra: Che cosa giova al-
1 uomo se guadagna il mondo universo e poi
perde l'anima sua? (3). La seconda regola è
che pregando pel bene di una o più anime in
particolare, s'intenda pregare implicitamente
pel bene di tutto il corpo della Chiesa, cioè si
preghi affinchè la vigna di Cristo produca il
massimo frutto, e ciascuna anima abbia da
(1) « Ego prò eia rogo... Pater sanete, serva eos
in nomine tuo, quos dedisti mihi, ut sint unum, sicut
et nos > (Giov., XVII, 9, 11).
(2) • Quaecumque vultis ut faciant vobis homines,
et vos facite illis » (MATTEO, VII, 12).
(3) • Quid prodest homini si mundum universum
lueretur, animae vero suae detrimentum patiatur? »
(MATTEO, X V I , 26).

52.5 Page 515

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— 10 —
produrre il massimo frutto che possa dare al
padrone, stando in questo la gloria del Padre.
Ciò si fa per esempio col Pater noster, nel
quale uno applicando la preghiera anche per
sè individualmente, prega in essa per tutta la
Chiesa, dicendo a Dio in plurale: Padre no-
stro, cioè Padre di noi tutti quanti siamo in-
corporati in Cristo, Padre di tutti i membri
della Chiesa, Padre di me e di tutti i miei
fratelli.
Pregare per le proprie incombenze.
Ciascuno poi deve pregare affinchè ogni
incombenza ricevuta, e perciò annessa al pro-
prio stato, sia benedetta da Dio, cioè rie-
sca bene a salute dell'anima propria, a gloria
di Dio, ed a vantaggio delle anime altrui, sia
chiedendo lumi e forze per poter ese-
guire perfettamente quel dovere o incomben-
za, sia chiedendo che l'opera stessa in tutte le
sue circostanze venga protetta dalla divina
bontà. Non è mai abbastanza inculcata questa
verità, che noi non possiamo fare nulla da
noi, e perciò non possiamo eseguire i nostri
doveri bene, se non è Iddio che ce ne dà la
forza. Ogni nostro sforzo non approda a nul-
la se non è il Signore che lo benedice e che lo
fa produrre. Dunque non contentiamoci
mai di fare; ma preghiamo continuamente,
1021
affinchè quel po' che facciamo sia benedetto
da Dio, e riesca a produrre quel bene che ci
proponiamo nel farlo.
Pregare per i superiori e benefattori.
Intanto ciascuno in quanto è soggetto deve
pregare pei superiori; e prima per il sommo
Pontefice e per tutto il regime della Chiesa
universale, poi per le altre autorità, eccle-
siastiche e civili, attesa l'influenza grandissi-
ma che queste autorità possono avere nel
bene della Chiesa, ed a salvezza anche spiri-
tuale del popolo. Dalla legge naturale stessa
deve essere mosso ciascuno a pregar pei suoi
benefattori tutti, e spirituali e corporali, e
non solo per i benefattori vivi ma anche per
i defunti. E qui conviene anteporre i geni-
tori, come quelli da cui ci venne l'esistenza
che è condizione di tutti i beni sì spirituali
che temporali. Quelli poi cui dobbiamo be-
nefizi spirituali, vanno innanzi agli altri cui
dobbiamo solo benefizi temporali.
Ordine da seguire per i vincoli spirituali e
naturali.
Tutte le su esposte grazie dobbiamo do-
mandarle a Dio in forza dei nostri doveri,
della nostra condizione. Ma vi sono cose che

52.6 Page 516

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— 10 —
dobbiamo domandare al Signore pel nostro
prossimo, suggeriteci dalle esterne circostanze.
Queste esteriori circostanze sono specialmente
due: il nesso o vincolo spirituale che abbiamo
con essi, e il nesso naturale. Quanto al nesso
spirituale, prima convien pregare per quelli
che attualmente pregano con noi. Giacché
pregando essi attualmente per noi, hanno con
noi il nesso spirituale più intimo. Davanti
a Dio sono un cuor solo, un'anima sola: è
una sola voce di un solo corpo, che s'éleva
al trono della divina Maestà da quelli che
pregano insieme. In secondo luogo, ciò che
ci deve muovere a pregare per i prossimi, è
la dimanda che essi stessi ne fanno, ricono-
scendo nella loro istanza un invito della prov-
videnza ad esercitare verso loro la carità,
secondo un onesto e buono loro desiderio.
Oltre a ciò vi è un nesso spirituale, il quale
essendo ragionevole vien come santificato dalla
grazia, e ci deve essere di eccitamento a pre-
gare. Questo è il nesso della compassione. Ogni
moto di compassione, come pure ogni altro ra-
gionevole affetto naturale, può riguardarsi da
noi come uno stimolo della divina provvidenza
ad usare carità al prossimo, anche col pre-
gare per esso. E tutto questo è pur secondo
l'esempio di Gesù, che pianse e pregò al se-
polcro di Lazzaro, che risuscitò il figlio della
vedova di Naim, preso da compassione per
quella donna che tanto piangeva. Questi ec-
citamenti non devono tuttavia essere quelli che
1023
direttamente ci abbiano a muovere alla pre-
ghiera; ma solo quelli che ci indicano più
determinatamente la materia della preghiera.
Poiché la mossa principale a pregare deve ve-
nirci da un impulso dello Spirito Santo, il
quale ubi vult spirai (Giov., Ili, 8).
La formula più efficace e fondamentale.
Ma l'orazione nostra non errerà giammai,
se rimarremo costanti nelle petizioni neces-
sarie e fondamentali, di cui sopra si parlò, con
qualunque formula si voglia. Riconosciamo
tuttavia che nessuna formula è più eccellente
ed efficace di quella che Gesù stesso si com-
piacque d'insegnarci, il Pater noster. E perciò
a questa orazione essenziale e fondamentale,
come alla più sublime di tutte, sia portato il
più sovente possibile lo spontaneo moto delle
nostre anime. Essendo quella suggeritaci da no-
stro Signore direttamente, essa ci dà maggior
certezza d'incontrare il suo divino benepla-
cito.

52.7 Page 517

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CAPO V
LE DIVOZIONI DEL NOVIZIATO
Le pratiche di pietà prescritte e permesse.
Gli ascritti devono adempiere esattamente,
e, per quanto si può, in comune tutte le pra-
tiche di pietà specificate al capo XII delle no-
stre Costituzioni, e all'articolo 294 dei Regola-
menti, e quelle raccomandate dai superiori ed
introdotte nel noviziato da una santa con-
suetudine. Ma nessuno, sebbene privatamente,
se ne imponga delle nuove senza il consenso
del maestro. Ed in comune non s'introduca
nessuna pratica nuova, senza l'espressa ap-
provazione dei superiori maggiori. E tu metti
la tua applicazione non nel crescere il nu-
mero delle pratiche, bensì a fare con più
grande impegno, divozione e profitto quelle
che ti sono o comandate o consigliate.
L'unione con Dio.
Don Bosco, come già sopra si disse, venne
definito dal Cardinal Alimonda, l'unione con
Dio. Dunque anche tu, che vuoi essere fedele
imitatore di questo nostro caro padre, pro-
cura di tenere continuamente il cuore rivolto
a Dio. Questo non porta via tempo, e non
richiede molte pratiche di pietà in comune
od esteriori, bensì attenzione interna su dì
te, affinchè non faccia alcuna azione che
non sia diretta alla maggior gloria di Dio.
Anche qui devi poter dire: Niente di ciò che
piace a me, tutto e sempre quel che piace
al Signore. Don Bosco raccomandava il pen-
siero della presenza di Dio come uno dei
più potenti preservativi contro il peccato, e
voleva che in molti punti della casa vi fos-
sero appesi cartelli con la scritta: «Dio ti
vede ».
Divozione a Gesù Sacramentato.
Fa' quante più puoi visite al SS. Sacra-
mento. È vero che il salesiano quando si
trova sul campo del lavoro, occupato nel-
l'assistenza od in altri uffici, non potrà molte
volte recarsi ai piedi di Gesù Sacramentato
lungo il giorno! Ma egli potrà tuttavia sup-
plirvi con le frequenti e fervorose giacula-
torie, potrà trattenersi spiritualmente in in-
timo colloquio col Sacro Cuore di Gesù e
con Maria SS. Per riuscire a questo è neces-
sario che nell'anno di noviziato tu ti assue-
faccia a simili aspirazioni e giaculatorie du-
rante le tue occupazioni, ed anche a fare
frequenti visite a Gesù Sacramentato, spe-
cialmente nel tempo delle ricreazioni più
lunghe.

52.8 Page 518

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— 1026 —
Il segno di croce.
Ciascuno faccia il segno della santa croce
servendosi dell'acqua benedetta, non solo nel-
l'entrare e nell'uscire di chiesa, ma ogni volta
che entra od esce dagli studi, dalle scuole,
dai dormitori, presso la porta dei quali è
collocato l'acquasantino con acqua benedetta.
E tu procura di fare questo segno del cri-
stiano con vera divozione, e proprio come
insegna il catechismo, e come ci è inculcato
dal regolamento delle case. Porta anche sem-
pre sulla tua persona, e tieni appeso al collo
qualche oggetto benedetto, come crocifisso,
medaglia, o scapolare. Abbi poi sempre con
te la corona per la recita del santo rosario.
Atti esteriori di culto.
Eseguisci esattamente, divotamente, posa-
tamente, e secondo le regole stabilite, tutti
gli atti esterni di religione, quali le genufles-
sioni, gli inchini, le cerimonie e tutto quanto
può giovare alla divozione. Anzi proponiti di
voler dare molta importanza, ora e sempre,
all'imparare adeguatamente ed eseguire esat-
tamente e posatamente e divotamente tutte
le cerimonie della Chiesa. Addestrati anche
a rendere più divote le sacre funzioni col
—— 1027 —
canto gregoriano. Così pure, quando si deve
stare in piedi sta' ben diritto, mai appog-
giato al muro, e se inginocchiato sta' in de-
bito modo.
Divozione al Sacro Cuore.
La divozione al Sacro Cuore di Gesù fu
quella che sopra ogni altra Don Bosco rac-
comandò alle case di noviziato e di studen-
tato: tu pertanto procura che essa sia la di-
vozione tua principale. Unisciti con grande
impegno e spirito di divozione agli altri com-
pagni nel consacrare in modo speciale ad
onore di cotesto Cuore Sacratissimo il mese
di giugno, che terminerà con una festa so-
lenne, ed una accademia divota, ordinata a
farne conoscere meglio le meraviglie, e ad
accrescerne in tutti la divozione e l'illimi-
tata fiducia. Impègnati a praticare qualche
divozione speciale in onore di questo Cuore
adorabile, specialmente quella così detta dei
Nove Uffici e l'altra della Guardia d'Onore
cercando che queste divozioni non consistano
in sole preghiere vocali: ma ti servano d'in-
citamento a sode virtù e ad acquistare vero
spirito di sacrificio. Ricorda sempre in modo
particolare il primo venerdì del mese. In tal
giorno sono stabilite nei noviziati alcune pra-

52.9 Page 519

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— 10 —
tiche speciali in comune, e tu falle con gran-
de spirito. Ed in privato domanda di poter
fare di tanto in tanto l'ora santa, o qualche
piccola penitenza. Specialmente non dimen-
ticar mai la comunione riparatrice. La divo-
zione al Sacro Cuore di Gesù dev'essere come
incarnata nella divozione al SS. Sacramento.
Perciò animati molto a questa divozione, ed
a tale scopo, oltre alla visita comune a Gesù
sacramentato datti gran premura di farne
altre lungo il giorno. E quando non potrai
recarti in chiesa fa' frequenti comunioni spi-
rituali. Di' con frequenza delle infuocate gia-
culatorie, ed assisti alla sera con gran divo-
zione alla benedizione che si dà col SS. Sa-
cramento. Proponiti in particolar modo di
voler sempre correre subito ai piedi di Gesù
nei momenti delle grandi afflizioni, nelle ten-
tazioni, e quando qualche forte passione agita
il tuo cuore. Di qui deve sempre cercarsi la
vera forza, come il vero conforto.
È caldamente raccomandata agli ascritti
la comunione frequente, e per quanto si può,
quotidiana; mai però senza il consenso del
confessore. Procura di essere zelante in que-
sto, e sia una delle grazie speciali che con
maggiore intensità e costanza domandi al
Sacro Cuore di Gesù, quella di non avere a
tralasciarla neminanco una volta e di poter
sempre farla meglio e con maggior profitto
per l'anima tua.
1029
Divozione a Gesù Crocifisso.
Una gran divozione a Gesù Crocifisso deve
farti parere cosa da poco il digiuno del ve-
nerdì e le altre piccole mortificazioni ed umi-
liazioni, a cui fossi assoggettato. Ti farà an-
che abbracciare volentieri tutte le croci che
il buon Dio vorrà mandarti, le ingiurie che
per caso ti venissero fatte, le persecuzioni a
cui dovessi soggiacere; e ti farà anche desi-
derare di poter far grandi sacrifizi, per poter
cooperare con Gesù nell'opera della salvezza
delle anime. Invoca l'incomparabile nostro
confratello Don Beltrami, tanto desideroso di
patire, affinchè dai patimenti di Gesù tu
pure possa informarti a quel vero ed eroico
spirito di sacrificio, ed anche a quel grande
amore ai patimenti che è caratteristica delle
anime sante, e mezzo indispensabile per po-
ter poi zelare la salute delle anime.
Sarà anche buona cosa, che di quando in
quando domandi qualche penitenza o il per-
messo di fare qualche mortificazione, sia in
espiazione dei peccati passati e delle trasgres-
sioni giornaliere, sia per assuefarti acl una
vita rigorosa ed un po' meno dissimile da
quella di Gesù e dei santi. Ma non dimen-
ticare mai che le mortificazioni interne, il
perdono delle ingiurie, il sopportare le mole-
stie del compagno, il mostrarti grazioso con
chi ti offese, e specialmente il sopportare con
gaudio e buon esempio il peso della perfetta

52.10 Page 520

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— 1030 —
vita comune, e l'osservanza perfetta delle re-
gole, è la penitenza più gradita a Gesù, e che
porta maggiore utilità all'anima tua. Perchè
il pensiero della passione di Gesù resti più
impresso nel tuo cuore, fa' con quella fre-
quenza maggiore che ti sarà permesso, l'eser-
cizio della Via Crucis. Specialmente domanda
di poter fare più volte questa divota ed uti-
lissima pratica, dopo che fossi caduto in qual-
che disgrazia spirituale.
Divozione a Maria Santissima.
Una divozione soavissima, che è mezzo
di perseveranza e ad un tempo segno di pre-
destinazione, è la divozione verso Maria SS.
Tu pertanto ti applicherai ad amare questa
nostra buona madre celeste, ad imitarla nelle
sue virtù, a farle molti ossequi, e specialmente
a ricorrere a lei in ogni occorrenza.
Proponiti con San Giovanni Berehmans,
e col nostro Don Beltrami di non acquietarti
finché non sia riuscito ad avere una divozione
profonda e tenera verso sì buona madre, no-
stro conforto e nostro grande aiuto in ogni
tempo ed in ogni circostanza della vita. San
Francesco Borgia, come riporta Sant'Alfonso
nelle sue mirabili glorie di Maria, una volta
richiedendo ad alcuni novizi a qual santo
avessero più divozione, si accorse che alcuni
non avevano una special divozione a Maria.
— 1031 —
Avvertì il maestro dei novizi, che tenesse gli
occhi sopra quei disgraziati; ed avvenne che
quasi tutti quelli che non dimostrarono spe-
ciale divozione alla Madonna, perdettero mi-
seramente la vocazione e se ne uscirono dal-
l'istituto.
Divozione a Maria Ausiliatrice.
Per ogni salesiano deve essere caratteri-
stica la divozione a Maria SS., invocata come
Aiuto dei cristiani. Con questo titolo la in-
vocava Don Bosco, in suo onore erigeva la
grande chiesa in YaldoccO, coniava meda-
glie, stampava immagini. Di questo titolo vol-
le fregiare la famiglia di suore che egli fondò,
denominandole appunto Figlie di Maria Au-
siliatrice. La Beata Vergine dimostrò e dimo-
stra tuttora quanto gradisca di essere invo-
cata sotto questo glorioso nome, concedendo,
un numero infinito di grazie, come si ricava
dai volumi delle grazie ottenute, stampati in
proposito da Don Bosco, e da quelli che in
altri fascicoli e nel Bollettino si pubblicano-
anche oggi. Ai Salesiani si può dire che la
Madonna stessa affidò questa divozione e noi
vediamo con immensa consolazione, che essa
è ornai estesa fino agli ultimi confini della
terra. Tutta l'Oceania in una radunanza di
vescovi fu consacrata a Maria Ausiliatrice.
Varie diocesi presero a titolare Maria Ausi-
34

53 Pages 521-530

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53.1 Page 521

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— 1032 —
liatrice; molte chiese già si consacrarono e
molte se ne vanno consacrando, anno per
anno, alla Madonna sotto questo augusto ti-
tolo. Già possiamo contarne oltre trecento, se
comprendiamo le chiesette private di collegi,
educandati e case religiose... Tu pertanto fi-
gurati che anche a te Don Bosco raccomandi
questa speciale divozione, e ricorri a lei in
ogni propizia circostanza. Parla di lei, rac-
conta le sue grazie, e propagala quanto sta
in te. E proponi fin d'ora di voler poi fare
l>en di più quando ti troverai in grado di
farlo. Ora specialmente, che per insigne fa-
vore il Santo Papa Leone XIII volle che a
suo nome e autorità fosse coronata la sua
grandiosa icona in Torino nel suo santuario
principale, tu devi accenderti del desiderio
di confidare sempre più nel suo potente aiuto
e di volerne propagare la divozione fino agli
alitimi confini della terra.
Pratiche di questa divozione.
A questo fine di volerla onorare, consa-
crerai alla Madonna l'intiero mese di maggio
ed i sabati di tutto l'anno, e farai divota-
mente tutte quelle novene e feste che, se-
condo i luoghi, occorreranno con la maggior
solennità. Si solennizzi poi da tutti in modo
speciale la novena e la festa dell'Immacolata,
essendo in quel giorno che Don Bosco co-
— 1033
minciò l'opera sua in prò della gioventù. E
siccome questa festa si suole terminare con
una divota accademia in suo onore, tu vi
assisterai con gran divozione e ti preparerai
a fare qualche cosa, che in qualunque modo
possa contribuire a rendere sempre più so-
lenne, e per te più divota questa festa. Abbi
anche molta divozione alla Vergine Addolo-
rata, recitando, quando ti sarà possibile, la
corona dei suoi sette dolori, ed a lei sappi
raccomandarti specialmente nei momenti di
grandi ambascie e di grandi tentazioni.
Vi è ordinariamente una statua od un'im-
magine di Maria Ausiliatrice in cortile, sotto
i portici, per le scale, nei corridoi, nelle scuole,
nelle camere. Tu proponiti di onorarla toglien-
doti rispettosamente la berretta passandole
davanti, e rivolgendoti a lei con numerose
e ferventi giaculatorie come meglio ti sarà
possibile. E, se ti sarà concesso, proponiti an-
che o di prenderti cura della pulizia o degli
addobbi nelle principali solennità, o di cir-
condarla di fiori, o di accudire il lumicino
che fosse da tenersi acceso avanti a lei in
varie circostanze. Questi benché piccolissimi
atti di ossequio, se fatti con cuore ardente e
generoso, servono ad accrescere la divozione
ed attirarti molte grazie da questa buona
Mamma dei Salesiani.
Prima di andare a riposo recita, inginoc-
chiato accanto al tuo letto, tre Ave Maria,
per ottenere la grazia di conservare sempre

53.2 Page 522

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— 1034 —
e perfettamente la purità di mente, di cuore
e di opere, e non ti alzerai di ginocchio senza
fare divotamente il segno della santa croce
dicendo: Nos curri prole pia benedicat Virgo
Maria, figurandoti di ricevere la benedizione
della Madonna stessa.
Divozione a San Giuseppe, ed altri Santi.
Si deve pur onorare con divozione tutta
speciale il glorioso San Giuseppe, stabilito
come uno dei principali protettori della no-
stra Pia Società. A tal fine solennizzerai le
sue feste nel miglior modo possibile, consa-
crando inoltre a lui il mese di marzo e tutti
i mercoledì dell'anno, affinchè, come fu cu-
stode di Gesù Bambino, così voglia essere
anche custode nostro, bambini come siamo
nella via della virtù. Tu inoltre prega anche
con tutto il cuore questo gran santo, maestro
speciale della vita interiore, affinchè ti aiuti
ad avere raccoglimento, a fuggire le distra-
zioni nelle preghiere, ed a far bene la me-
ditazione. Anche San Francesco di Sales, no-
stro titolare, merita i nostri speciali ossequi.
Tu quindi parteciperai con amore al triduo
solenne che si suol fare in preparazione della
sua festa, per ottenere da lui una grande
umiltà, mansuetudine, carità e zelo per la sa-
lute delle anime. Nel mese che precede la fe-
sta, od almeno nella novena, approfitterai del-
— 10 —
la lettura che in refettorio o nei dormitori si
fa della sua vita e delle sue virtù. San Luigi,
protettore in generale della gioventù, è protet-
tore speciale dei chierici novizi e studenti. Lo
si deve perciò festeggiare solennemente facen-
do precedere alla sua festa le sei domeniche e
la novena. Tu fa' tutte queste pratiche con lo
scopo di ottenere da lui un'obbedienza vera-
mente religiosa, una castità perfetta e spirito
di preghiera e di penitenza. Anche a San
Tommaso d'Aquino debbono divozione spe-
ciale i chierici. In suo onore si fa un'accade-
mia scientifico-religiosa. Tu in sì bella occa
sione domanda a lui una scienza vera indi-
rizzata a buon fine, unita a quell'umiltà pro-
fonda che caratterizzò questo santo, affinchè
la scienza non abbia mai in te a produrre
raffreddamento nella pietà ed affievolimento
nella virtù.
Divozione agli Angeli.
Abbi poi grande devozione ai Santi Angeli
e proponiti di ascoltare in modo speciale le
ispirazioni del tuo buon Angelo Custode.
Onora in particolare San Michele, per ottene-
re da lui la fortezza contro i nemici di Dio e
dell'anima tua; San Grabriele, affinchè t'in-
segni ad onorar meglio la Madonna; San Raf-
faele affinchè ti serva di guida e ti preservi
dai pericoli negli anni difficili del chiericato.

53.3 Page 523

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— 103 —
Divozione alle anime purganti.
A sollevare le anime del purgatorio, se non
l'hai ancora fatto, fa' volentieri l'atto eroico
di carità, tanto raccomandato dal Santo Padre
Pio IX e da lui arricchito di moltissime indul-
genze, e fa' altre preghiere pei defunti. Nè la-
scia mai di adempiere, con grande cuore,
quelle pratiche comandate dalle regole per
sollievo dei fratelli già da Dio chiamati al-
l'eternità.
Divozione a Don Bosco.
E posso io tralasciare di raccomandarti an-
che in particolare una confidente divozione ed
una speciale fiducia nel nostro santo Fonda-
tore Don Bosco? Ora che la Chiesa ha parlato
e tutto il mondo celebra le virtù e la potenza
d'intercessione del nostro Santo, la divozione
verso di lui è un dovere più certo e più stret-
to, cui assolveremo con fede ed amore di figli.
Egli è grandemente potente in cielo, come ne
fanno fede le innumerevoli grazie e miracoli
ottenuti per sua intercessione. Egli ama la Pia
Società da lui fondata, e non se ne può du-
bitare. A lui adunque ricorriamo con fiducia
e senza esitazione, e offriamo quegli atti di
divozione che dai superiori ci sono inculcati
o prescritti. Procura di dedicargli il martedi,
il giorno della sua morte, con qualche pia
— 1037
pratica personale; contraddistingui la Com-
memorazione mensile l'ultimo giorno del mese
con qualche devoto atto di pietà; celebra con
filiale tenerezza e speciale devozione il Tri-
duo prescritto e la solennità della sua Festa;
e tutti i giorni pregalo che ti renda suo de-
gno figliuolo, e ti aiuti ad imitare le sue virtù
e le sue opere. Generalmente, per ottener gra-
zie interponi lui come media ire, e prega lui
stesso che s'inginocchi un mo.iento per noi
ai piedi della Madonna e le strappi quelle
grazie di cui tanto abbisognamo, e che tanto
ci stanno a cuore.
Circoli di pietà.
Mezzo potentissimo per progredire nelle
virtù sono anche i circoli di pietà, in cui cia-
scuno s'ingegna di ripetere con qualche buon
compagno, scelto di comune accordo con il
maestro o col direttore, le cose udite nelle pre-
diche, nelle conferenze e negli avvisi datisi
alla sera. In questi circoli ciascuno s'impegni
a dare buoni suggerimenti ai compagni, ed a
praticare i buoni suggerimenti che dai mede-
simi riceve. Tu cerca di essere tra i più ze-
lanti in questa pratica. Procura di farli, se
puoi, un poco tutte le sere, e troverai in essi
un mezzo potentissimo per conservare il fer-
vore, per progredire nelle virtù e riuscire un
po' più degno figlio di Don Bosco. Ciò riusci-

53.4 Page 524

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— 10 —
rà specialmente se prenderai questo compagno
come tuo monitore secreto, pregandolo che
senza riguardi umani ti avvisi dei tuoi difetti:
e se poi con umiltà prenderai le sue ammoni-
zioni, e con risolutezza procurerai di vincer-
tene.
Ciò in sottordine alle pratiche di pietà pre-
scritte.
Nota però bene che tutte le sopraddette di-
vozioni non devono impedir l'esecuzione co-
stante e perfetta delle pratiche di pietà pre-
scritte dalle nostre Costituzioni, e delle quali
ti parlerò in seguito; anzi le presuppongono.
Chi trasgredisce quelle per eseguir queste od
altre a suo talento, sarebbe fuor di strada.
Prima le cose prescritte e poi le cose consi-
gliate. Solo quando alle prime si fan seguire
queste altre, tu potrai dirti divoto in modo
ben ragionevole, e ti attirerai copiose le bene-
dizioni del Signore.
CAPO VI
LA CONFESSIONE
Si è parlato fin qui della divozione e delle
pratiche di pietà in generale; ora conviene
discendere a spiegare in particolare, una per
1039
una, quelle prescritte dalle nostre Costituzioni
Sarebbe cosa bella e confortevole poter fer-
marsi a lungo su ciascuna, e dimostrarne l'ec-
cellenza. la necessità, i beni che da essa
derivano; ma questo porterebbe troppo a lun-
go. Qui devo limitarmi ad insegnarti il modo
pratico di compierle, e le cose più importanti
che le riguardano. Ciò spero sarà sufficiente
per animarti a farle tutte con assiduità e fer-
vore, se tu prenderai queste poche cose che ti
dirò con animo docile, e procurerai di far ca-
dere la semente su terreno ben preparato.
La confessione settimanale.
La prima pratica di pietà che le Costitu-
zioni ci indicano è la confessione. Essa deve
essere settimanale e fatta da confessori, che
siano autorizzati dal Rettor Maggiore o dal-
l'Ispettore ad esercitare questo ministero verso
dei soci. La parola settimanale Don Bosco la
spiegava in questo modo: non è da stabilirsi
da nessuno per regola ordinaria la confessio-
ne più volte la settimana; ma ciascuno può
secondo le circostanze andare anche altre vol-
te. Ciò per esempio quando uno ha qualche
dubbio, quando ha qualche tentazione straor-
dinaria, quando si ha timore di far la santa
comunione senza confessarsi, e sempre quando
si fosse commesso qualche peccato grave av-
vertito, e quando il confessore stesso racco-

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— 100 —
mandasse per motivi speciali e per un dato
spazio di tempo di andare due o più volte nel-
la medesima settimana.
Fissarsi il giorno della confessione.
Come non sono da moltiplicarsi, per rego-
la ordinaria, le confessioni, così è da non la-
sciare mai passare la settimana senza confes-
sarsi. Per questo è raccomandato di fissarsi
il giorno e tenerlo costantemente tanto da po-
ter dire: questo è il mio giorno. E quando per
qualche circostanza una volta si dovesse cam-
biare, subito dopo si torni al giorno stabilito.
Pare questa una cosa di poca importanza; ep-
pure chi è pratico, la trova di somma impor-
tanza. E tu proponiti di voler accostarti tutte,
assolutamente tutte le settimane a questo san-
to sacramento, senza lasciarne una. Chi co-
nosce i grandi vantaggi che provengono dal
sacramento della Confessione non si priverà
mai di questo potentissimo mezzo di salute, e
lo praticherà con precisione secondo la regola.
Pensa che esso è stato stabilito da Dio non
solo per ottenere il perdono dei peccati, ma
per cancellarne persino le tracce, per rimet-
tere almeno in parte la pena ch'essi meri-
tano, affievolire le cattive propensioni, abbel-
lire l'anima e riacquistare il merito di tutte
le buone azioni, che era come sospeso e an-
nientato dal peccato mortale.
Confessori della casa.
La seconda cosa che prescrive la regola è
che la confessione sia fatta da confessori che
esercitano questo ministero col permesso del
superiore. In ogni casa vi sono uno o più con-
fessori stabiliti dagli ispettori e approvati dal
Rettor Maggiore, notati nel catalogo della
nostra Pia Società. La confessione fatta da
confessori non designati dal superiore resta
bensì valida: ma il farla così è contro la re-
gola, e perciò devi proporti che in via ordina-
ria questo non ti abbia a succedere.
Efficacia di questo sacramento.
Accostandoti alla confessione procura di
riflettere bene, che questo è il sacramento del-
le misericordie, quello che dà la pace alla co-
scienza, produce la concordia nelle famiglie,
e la felicità nei popoli. Esso è necessario per-
chè è l'unico mezzo ordinario che il Signore
abbia stabilito per il perdono dei peccati; es-
so è mezzo convenientissimo, perchè ci fa ri-
flettere su di noi e ci fa conoscere meglio noi
medesimi. Esso ci umilia salutarmente, secon-
do il nostro bisogno, perchè come origine
d'ogni male fu ed è la superbia, così origine
d'ogni bene è l'umiltà. Esso è al tutto confor-
me alla natura umana, che ha bisogno per
una parte di esternarsi con un buon amico e

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— 1042 —
qui lo troviamo, ed ottimo, nel confessore; e
per un'altra parte si ha bisogno di essere as-
sicurati dei perdono, il che non può avvenire
se non da una parola assolutamente autore-
vole, quale è appunto quella del confessore,
che è buon padre, mentre è pure vero giu-
dice. Il peccato vulnerò l'anima nostra, la
quale perciò resta piagata e come ammalata;
nella confessione noi troviamo il medico adat-
to a curare le piaghe. Se i denigratori di
questo sacramento istigati dal demonio (che
nulla teme di più della confessione, poiché
è lì dove il peccatore gli rompe le corna),
blaterano contro di essa e dicono essere dif-
ficile e pesante, tu pensa invece che non vi
è nessun sovrano o padrone del mondo, che
offeso dia perdono così sincero e completo,
richiedendo sì poca soddisfazione. Bisogne-
rebbe conoscere com'è grande la maestà di
Dio che viene offesa, e come è davvero vile
l'uomo che l'offende, conoscere quanto è più
grande la bontà di Dio nel crearci, redimerci,
perdonarci già tante volte, e venir persino
tante volte in persona a visitarci; e quanto è
grande la nostra ingratitudine e malizia, nel
non voler servire un Signore sì buono ed
anzi nel servirci dei doni che ci fece per ri-
bellarci a lui così ingratamente, per così ca-
pacitarci che è nulla quel che richiede da
noi per darci il perdono e riconciliarci con
lui.
— 10 —
Importanza di prepararci.
Ora importa prepararti bene a questo gran
sacramento. Bisogna che metta una grande
applicazione per adempiere un sì sublime
atto; poiché i frutti che può produrre una
buona confessione sono meravigliosi. È bensì
vero che il sacramento opera per sè, o, come
dicono i teologi, ex opere operato, e che per-
ciò basta non porre impedimenti, e appor-
terà sempre il perdono dei peccati mortali;
ma esso può produrre anche altri innume-
revoli e specialissimi vantaggi; e questi non
si arriva ad ottenerli che ponendo al loro
conseguimento tutta l'attenzione possibile, e
facendo quanto i maestri di spirito c'inse-
gnano. Apprendi a confessarti veramente bene
ora nel noviziato, e allora riuscirai facilmente
a fare confessioni buone per tutta la vita.
Dell'esame.
Per riguardo all'esame di coscienza, trat-
tandosi della confessione settimanale, non oc-
corre gran tempo. Prendi questo metodo: dopo
breve preghiera, e dopo un ricorso ardente
alla Madonna, ricerca in particolare quanto
ti sembra aver commesso di male contro
Dio, contro il prossimo e contro te stesso, e
ciò in pensieri, desideri, parole, azioni, omis-
sioni, cooperazione. Bada ancora, esaminan-

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— 10 —
doti, che se per disgrazia avessi commesso
peccati mortali, devi cercare di conoscerne
con precisione il numero. Questo esame può
esser fatto in pochi minuti, perchè non trat-
tandosi che di una settimana, e supponendo
che tu sia diligente nel fare tutti i giorni il
tuo esame di coscienza, ti ricorderai presto
dei tuoi mancamenti.
Della contrizione.
La cosa più importante nel sacramento
della Confessione è la contrizione, tanto neces-
saria che senza di essa non si può ottenere
la remissione di nessun peccato. È neces-
saria quanto l'acqua nel battesimo. Nep-
pure il Signore potrebbe perdonarti il pec-
cato, se tu non fossi pentito d'averlo com-
messo, e non lo detestassi con tutto il cuore.
E neppure i peccati veniali vengono cancel-
lati senza questo dolore, mentre essi, anche
senza l'assoluzione, si cancellano con la con-
trizione. Tuttavia noia bene per la pratica,
che questo dolore dei peccati deve bensì es-
se sommo, cioè il peccato ci deve dispiacere
più che non ogni altro male temporale, nel
quale noi avessimo potuto incorrere, poiché
il peccato in verità è il più grande di tutti
i mali, o piuttosto l'unico e vero male; ma
non è necessario che il dispiacere sia sen-
sibile. Il dolore è un atto della volontà, e la
1045
volontà è una potenza spirituale elevata al
disopra dei sensi; non è pertanto da stupire
se i sensi non trovano il dispiacere e la pena
che è nella volontà. D'altronde la stretta
unione dell'anima col corpo fa sì che l'anima
senta più vivamente l'impressione degli og-
getti corporali che non quella delle cose spiri-
tuali. Questa osservazione è necessaria per
rassicurare quelli che hanno una coscienza
troppo timorosa, e gli scrupolosi, che temono
di far sempre cattive confessioni per man-
canza di contrizione sufficiente. In pratica
basta che la contrizione ti decida a non voler
più fare peccati e a volerli fuggire più che
tutti gli altri mali temporali.
Mezzi di contrizione:
1) L'accusa dei peccati della vita passata.
Molte volte riesce difficile eccitarci alla
contrizione non avendo a confessare che le
piccole miserie della settimana; ma io ti
esorto, per riuscirvi, a far due cose. E prima
di tutto conviene aver dolore dei peccati della
vita passata, ed accusarti di qualcuno di essi
in particolare. Mio caro: se tu non avessi
commesso che un solo peccato mortale in vita
tua, avresti ben grave motivo di piangerlo
per tutta la vita. Perchè, per quanto fu da
te, con quel peccato ti sei chiuso per sempre
il paradiso e meritato per sempre l'inferno.

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— 1046 —
Tutte le preghiere dei cento anni che avessi
ancora a vivere, tutte le penitenze di tutti i
santi, tutta l'intercessione della Madonna con
tutti i suoi meriti, non sarebbero sufficienti
a riaprirti il paradiso e a chiuderti l'inferno.
Ci volle il sangue di Gesù. Tu adunque sei
stato davvero il carnefice di Gesù; tu sei
stato il manigoldo che l'hai legato, trascinato,
flagellato, coronato di spine, sputacchiato, di-
sprezzato in ogni modo e confitto in croce,
secondo quanto dice San Paolo, che il pec-
catore è come se rinnovasse la crocifissione
di Gesù (1). Sia pure che l'abbia crocifisso
una volta sola, tu devi per tutta la vita ri-
cordare che sei stato un manigoldo, un carne-
fice, e peggiore di quelli che han crocifìsso
Gesù. San Pietro rinnegò una volta sola
Gesù; ma pianse il suo peccato per tutta la
vita. Davide commise quel sol delitto, ma di-
ceva: Ho sempre presente il mio peccato. E
tutte le notti piangeva, e le sue lagrime gli
irrigavano il capezzale (2). E tu forse ne
avrai commesso più d'uno, e perchè è pas-
sato già un po' di tempo, perchè l'hai già
pianto qualche volta, te ne stai ora impas-
sibile?
(1) « Ruraus crucifigentes sibimetipsis fllium Dei"
(Ebr., VI, 6).
(2) « Fuerunt mihi lacrymae meae panes die ac
nocte... » (Salmi, XLI, 3). « Lacrymis meis stratum meum
rigabo » (ibid., VI, 7).
— 10 —
2) Considerare la gravità del peccato veniale.
La seconda cosa è il considerar meglio il
gran male che è il peccato veniale. Poniamo
pure che tu non abbia commesso peccati mor-
tali; ma non hai tu mai meditato un po' pro-
fondamente che cosa sia il peccato veniale?
Dopo il peccato mortale, è il più gran male
del mondo. Se non dà la morte all'anima, la
ferisce, l'imbratta, la piaga in modo da ren-
derla la cosa più orrida e puzzolente che
possa immaginarsi. Se non diede la morte
a Gesù, l'ha tuttavia disgustato, offeso, vili-
peso, maltrattato; e questo abbandono e vili-
pendio di Gesù parte da chi non solo fu
amato e tanto beneficato, ma coperto di be-
nefìci e confuso pel grande amore.' Sei tu che
l'hai offeso; tu, che formi come la pupilla
dell'occhio suo, cui ha già perdonato mille
altre volte, mille altri peccati veniali, tu cui
si comunica tutti i giorni, tu chiamato a se-
guirlo cosi da vicino, tu trapiantato nel suo
giardino più eletto, coltivato da Lui con cura
paterna! Non solo il vero peccato veniale do-
vrebbe inorridirti, ma le leggerezze, le più
piccole trascuratezze, le piccole freddezze con
un Signore sì buono, dovrebbero tormentarti.

53.9 Page 529

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— 10 —
Orrore dei santi per il peccato.
Non è da credere esagerazione l'umiltà
dei santi che si credevano grandi peccatori,
degni di ogni disprezzo, degni solo di essere
messi sotto i piedi degli altri, immeritevoli
di alzare lo sguardo verso il cielo. Ciò che li
rendeva tali è il conoscere l'immensità di
Dio, la sua infinita bontà con noi in parti-
colare, e il vedere come egli trova sua deli-
zia nello stare tra noi. Il vedere che Egli ar-
rivò al grado, quasi direi, di pazzia d'amore
volendo sacrificarsi per noi e subire tanti
strapazzi e la morte stessa; e voler stare per-
sonalmente sempre con noi nel SS. Sacra-
mento. ove il suo Cuore Sacratissimo non la-
scia un minuto di palpitare per noi, e per
amor nostro si sottopone continuamente a
sconoscenze, a profanazioni ed a sacrilegi;
e poi veder se stessi sì delicati, sì suscettibili,
sì fréddi, sì poco curanti di lui! Oh se i
santi avevano un orrore sì grande pei loro
peccati, che erano sì rari e sì piccoli, qual
dolore dovremmo avere noi delle nostre ve-
nialità. che forse non saranno nè sì piccole,
nè sì poco numerose?
3) I tre pellegrinaggi della contrizione.
Vuoi tu un mezzo pratico per procurarti
il vero dolore dei peccati? Fa' tre peregri-
nazioni. Spicca con la tua mente un volo
1049
fino al paradiso, e vedrai che esso è chiuso
inesorabilmente a chi ha il peccato mortale. E
tu rifletti che di questi peccati ne hai fatti,
che perciò senza l'infinita misericordia di Dio
che venne ad incarnarsi e morire per te, esso
ti sarebbe chiuso per tutta l'eternità. Male-
detto peccato, che mi chiuse il paradiso! Re-
cati quindi alle porte dell'inferno, e lo tro-
verai colla bocca spalancata per ingoiarti ed
eternamente tenerti in quelle voragini or-
rende. É il peccato che te lo aperse sotto i
piedi, ed è solo per estrema misericordia di
Dio se non vi sei precipitato. Ci volle il san-
gue di Gesù per chiuderlo. Maledetto pec-
cato, che ci mise in pericolo così imminente
di precipitarvi dentro! La terza peregrina-
zione sia al Calvario. Vedi Gesù penante,
agonizzante, straziato in ogni modo, disprez-
zato, deriso, fatto ludibrio delle genti e fi-
nalmente tra i più orridi strazi morire in
croce. Chi è che fece tale scempio di Gesù?
È il peccato: quel peccato che tu hai com-
messo! O maledetto peccato, che tanto costò
al Redentore! Benedetto Gesù che mi sop-
portò (1). Puoi tu pensare a queste cose, e
non detestare il peccato?
(1) « Misericordiae Domini quia non sumus con-
sumpti • (Treni, III, 22).

53.10 Page 530

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— 1050 —
Del proponimento.
Quando il dolore è vero, non può man-
care il proponimento; poiché i medesimi mo-
tivi che ci portano ad odiare ed espiare i
peccati passati, devono farceli detestare e
fuggire per l'avvenire. Quello invece che può
mancare, e in pratica manca varie volte, è
questo: col cuore si detesta il peccato e si
propone di non farlo più; ma intanto non si
fuggono le occasioni, e non si prendono i
mezzi adatti per fuggirlo davvero. Bisogna per-
tanto che tu ponga tutto l'animo tuo su questi
due punti: fuggire le occasioni ed usare i
mezzi per non più cadere. Se tu per esempio
sei stato soggetto a cattivi pensieri, devi ve-
dere se ne hai data occasione con la curio-
sità degli occhi, rimirando figure cattive, o
troppo curiosamente i compagni, o altre per-
sone; se non li hai eccitati con la lettura di
libri, se non cattivi, mondani o geniali o fan-
tastici, ecc., ed in questi casi non basta dire
non voglio più quei pensieri cattivi; ma è ne-
cessario fuggire quegli sguardi curiosi, fuggi-
re quelle letture leggère e futili. Se tu ti sei
lasciato portare a suscitare in te movimenti
indebiti, devi osservare quali ne furono le
cause; forse l'ozio, forse il mangiare o bere
soverchio, forse qualche tenerezza d'amicizia
particolare, forse qualche indelicatezza in
tratti. È necessario proporre di fuggire que-
ste occasioni.
— 101 —
Appigliarsi ai mezzi per non ricadere.
E devi anche appigliarti ai mezzi adatti!
Tu hai bisogno di maggior umiltà, poiché le
tue inclinazioni cattive son molte ed abbiso-
gni di grazie proprio particolari, che il Si-
gnore non dà ai superbi ma solo agli umili; tu
hai bisogno di maggior spirito di mortifica-
zione, ecc. È necessario che prometta di pren-
dere questi mezzi, se vuoi che il tuo proposi-
to riesca a buon esito. Nota ancora che a
perseverare nei buoni propositi, è al tutto ne-
cessario che tu non ti appoggi per nulla sul-
le tue proprie forze, ma tutto sulla grazia di
Dio. Egli non può negarci il suo aiuto, se la
nostra preghiera è piena di confidenza nella
sua bontà e di diffidenza in noi medesimi.
Propositi pratici e particolareggiati.
Facendo i tuoi propositi sta' attento a non
voler abbracciare troppe cose, e far troppi
proponimenti e troppo difficili; poiché cosi
ti metteresti a rischio di non eseguirne poi
nessuno. Bisogna fare le cose energicamente
bensì, ma prudentemente. Bisogna cominciare
a prendere il proposito di vincere la passione
che sembra in te predominante, ed a prati-
care quelle virtù che sono più facili, e delle
quali ti avvien con più frequenza l'occasione

54 Pages 531-540

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54.1 Page 531

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— 10 —
di esercitarle, poi man mano passerai alle al-
tre. Questi propositi devono essere pratici e
particolareggiati: i proponimenti vaghi e ge-
nerali d'ordinario non conchiudono nulla. Il
nostro amor proprio, dice San Francesco di
Sales, è un grande imbroglione, che vuol sem-
pre abbracciare molto e nulla poi perfeziona.
La regola della prudenza dei santi è di ab-
bracciar poco per volta, e quel poco perfezio
narlo grandemente.
Dell'accusa.
Anche parte essenziale del sacramento del-
la Confessione è la dichiarazione dei peccati,
ossia la confessione propriamente detta. Figu-
rati anzitutto di deporre i tuoi peccati nel co-
stato aperto di Gesù, che pieno di misericor-
dia ti aspetta, come il padre del figliuol pro-
digo, onde perdonarti. Da' quindi uno sguardo
a Maria SS., che è lì per aiutarti; quindi ac-
costati al confessore. Eseguisci con precisione
e in bel modo quanto dice il catechismo. Ben
inchinato ai piedi del confessore comincerai
con dire: Mi benedica, Padre, perchè ho pec-
cato. Ricevuta la benedizione, esporrai subito
il tempo dacché ti sei confessato, se hai fatto
la penitenza, se e quante volte hai fatto la
tua comunione. Quindi dichiarerai e spieghe-
rai i tuoi peccati, cominciando con dire: Mi
1053
accuso Padre, di avere in questa settimana
1m) a1 ncIraetsoti coesìdei
così.
tutti
Ed
gli
in fine soggiungerai:
altri peccati della vita
passata e specialmente.... domando perdono
a Dio, ed a lei, mio padre, la penitenza e ras-
soluzione.
L'accusa sia umile...
Riguardo all'esposizione dei peccati devi
notar bene, che la confessione dev'essere una
accusa, non una narrazione qualunque; perciò
bisogna che sia fatta in modo umile, con sen-
timenti di confusione, per avere offeso Dio.
Pertanto ti guarderai bene di scusare i tuoi
peccati, dandone la colpa alla violenza della
tentazione, alla malizia del demonio che ti ha
sorpreso, all'occasione che te ne diede qualcu-
no, o a qualche altra causa. Tanto meno cer-
cherai di sminuirne la malizia; anzi, per umi-
liarti e confonderti, cercherai di porla in pie-
na evidenza dicendo chiaro che la caduta av-
venne per la mancanza di buona volontà e per
tua malizia; perchè se tu avessi avuto virtù,
se tu avessi presi i mezzi necessari, certo non
saresti caduto, per quanto violenta fosse stata
la tentazione; se tu avessi vigilato meglio su
te stesso, e pregato, come ci ammonisce il Si-
gnore, non saresti caduto per quanto il de-
monio astuto ti avesse sorpreso e per quanto

54.2 Page 532

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— 10 —
fosse ripetuto l'assalto. L'umiltà t'insegnerà
pure a far risaltare nella confessione, per
quanto puoi, ma senza snaturare le cose, le
circostanze aggravanti che provengono dal
tempo, dal luogo, dalle buone ispirazioni avu-
te, dalle grazie speciali che Iddio ti fece, e
dalla ostinazione colla quale hai resistito al-
la grazia.
... sia integra...
Per quanto concerne l'integrità della con-
fessione, tu sai che dei peccati mortali deve
dirsi il numero. Non sarebbe sufficiente, per
esempio, se tu conosci che le cadute furono
quattro, il dire: son caduto tre o quattro volte.
Si dice così quando non si è sicuri se siano tre
o quattro; ma quando si sa certo che son
quattro, ci si deve accusare come di quattro.
Anche dei peccati veniali ,più gravi e com-
messi deliberatamente fai bene a cercare e
dire il numero. Invece crederei eccessivo se
di tutte le imperfezioni, o distrazioni, o disat-
tenzioni volessi stare a romperti la testa per
cercarne il numero ed allungare la confes-
sione per volerlo dire. Anzi, delle mancanze
fatte senza avvertenza sarà meglio dire solo
le principali, sia per non allungare la confes-
sione, sia per fissare meglio il dolore su quelle
poche.
— 1055
... sia sincera.
Non posso e non devo nasconderti, che
d'ordinario sulla sincerità è dove il demonio
fa gli sforzi più grandi per ingannarci, es-
sendo anche dove noi siamo più deboli, per-
chè lede direttamente la superbia; e su que-
sto punto si richiede un atto di umiliazione.
Per quanto uno sia progredito nella via della
virtù, anzi per quanto perfetto già sia, quan-
do si avesse la disgrazia di cadere in qualche
colpa considerevole, si trova una pena gran-
dissima a dirla in confessione. Anzi direi, che
più si è avanzati nella virtù e più uno si cre-
de già perfetto, più pena troverà a dirla, per-
chè maggiormente il demonio soffierà nel fuo-
co, e perchè maggiore resta la nostra umilia-
zione. Il demonio specialmente cercherà d'i-
spirarti una malintesa vergogna, suggerendoti
nel cuore: Come! tu che sei già stato così
buono! Che dirà il confessore! Per carità:
metti subito fuori il veleno che hai nel cuore,
rigetta il serpente fuori da te con un colpo
vigoroso, e tutto sarà fatto. Va' a confessarti,
ascolta il mio consiglio, ma subito, immedia-
tamente, appena ne puoi avere l'occasione.
Più ritardi, più dai tempo al demonio di ten-
tarti. Scappa immediatamente nella camera
del confessore, gettati, senza dirgli altro, ai
suoi piedi, anche stesse lui seduto al tavolino,
e accusati lì sul momento della disgrazia che
ti è avvenuta.

54.3 Page 533

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Considerazioni per vincere la vergogna.
Leggiamo nelle vite dei padri del deserto,
che alle volte dei solitari in riputazione di
santità, pressoché taumaturghi, ebbero la di-
sgrazia di commettere gravi peccati. Coraggio
adunque! Di' tra te stesso: Terra dedit fruc-
tum suum: sono un miserabile ed ho operato
da miserabile. Gesù è d'infinita bontà e colla
confessione tutto sarà aggiustato. È cosa giu-
sta aver vergogna del peccato commesso; ma
sarebbe ingiustissima la vergogna di scoprir-
lo, dacché si ebbe la disgrazia di commetter-
lo. Del resto la vergogna è passeggera, e que-
sta medesima ripugnanza che si prova a con-
fessarlo, e lo sforzo che si fa per vincerla, è
già una parte della penitenza che si deve fare
dei peccati. Certo Iddio tien conto di questa
umiliazione del confessare senza riserva i pec-
cati commessi, con tutte le circostanze più
gravi ed umilianti, dichiarando i motivi e le
intenzioni più o meno maliziose che li ac-
compagnarono, e rivelando certe brutture e
nefandezze che non si vorrebbe che neppur
l'aria sapesse. L'orgoglio se ne risente, la
naturale superbia freme e si contorce; ma ral-
lègrati: quanto più è lo sforzo che devi fare,
tanto più il Signore ne tien conto e reputa a
premio. Esso poi ci libera dalla spaventevole
confusione che se ne avrebbe al giorno del giu-
dizio per aver voluto evitare quella d'un mo-
mento, e libera dai rimorsi terribili da cui si
sarebbe tormentati giorno e notte se si fosse
diminuito, pasticciato, o affatto taciuto qual-
che cosa.
Della soddisfazione.
Riguardo infine alla penitenza, è conve-
niente farla sùbito dopo la confessione, sia
perchè essa fa parte del sacramento, sia per
non esporsi al pericolo di dimenticarla, ed
anche per farla in stato di grazia. Conviene
tuttavia farla dopo d'aver dette alcune pre-
ghiere di ringraziamento della confessione.
Ma per quanto puoi, ti consiglio di farla
prima d'uscir di chiesa, dopo di esserti con-
fessato.
Due consigli di San Bonaventura.
Ora conchiudo esponendoti due consigli
che dava San Bonaventura ai suoi novizi.
Ecco le sue parole: « Non debbono i novizi
spesso mutar confessore; e quando talvolta
è necessario di farlo, debbono riferire di poi
le cose più notabili all'ordinario loro con-
fessore. Ed anche per divozione possono le
stesse cose accusarsi a più confessori, quando
con questo non si nutriscono scrupoli inutili
e non si procurano cattive sensazioni. Per-
tanto non è indizio di coscienza ordinata e

54.4 Page 534

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-1058 -
pura il cercare diversi confessori. E sarà
molto profittevole il confessarsi ordinaria-
mente a quello stesso, al quale già si è fatta
la confessione generale delle colpe passate.
E quando uno deve cambiare confessore or-
dinario, sarà molto prudente manifestare di
nuovo anche a costui in generale il lezzo
delle piaghe occulte e le radici dei vizi non
mortificati. Neppure si devono tenere occulte
le tentazioni od i brutti pensieri, nè si deve
far poco conto delle colpe piccole, per non
trascorrere a poco a poco alle maggiori.
Poiché, come in una casa, quantunque essa
sia perfettamente netta, tuttavia entrando un
raggio di sole la illumina in modo tale che
da chi vi guarda con diligenza, son vedute
in quel raggio i minutissimi atomi; così il
cuore, che viene illuminato dai raggi della
grazia, vede anche le minime colpe e scopre
e discerne gli occulti lacci dei vizi. Di ma-
niera che, quanto più alcuno si trova di
mente purgata, tanto più vede la moltitu-
dine delle sue bruttezze, e trova più efficaci
cause di doversi umiliare ».
— 1059 —
CAPO VII
LA SANTA MESSA
Sua importanza per noi.
La seconda pratica di pietà propostaci
dalle nostre Costituzioni è la santa Messa.
I sacerdoti della nostra Pia Società devono
celebrarla ogni giorno, ed i non sacerdoti
devono assistervi quotidianamente. Don Bo-
sco poi voleva che anche tutti i giovani delle
case sue vi assistessero tutti i giorni. Si mo-
strava poi tanto compreso dell'importanza di
questo sacrosanto mistero, e tanto persuaso
della sua efficacia, che protestò più volte,
non credere possibile riuscire ad educar bene
la gioventù, se non metteva per base l'assi-
stenza quotidiana alla santa Messa.
Sua eccellenza.
La santa Messa è il gran sacrificio della
nuova legge, che comprende in se stessa e
supera infinitamente in dignità ed efficacia
tutti i sacrifizi della legge antica. Da essa
ci provengono i doni e le grazie più segna-
late. Essa è quel vero tesoro nascosto, quella

54.5 Page 535

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— 10 —
vera perla preziosa, che comprende in sè
ogni bene. San Leonardo da Porto Maurizio
{Il tesoro nascosto) dice che: «La Messa è
il sole della cristianità, l'anima della fede, il
centro della religione cattolica, dove mirano
tutti i riti, tutte le cerimonie, tutti i sacra-
menti della medesima; insomma è il com-
pendio di tutto il buono e di tutto il bello
che si trova nella chiesa di Dio ». E San
Francesco di Sales nella sua Filotea parlando
della santa Messa si esprime così: « 11 santo
sacrificio dell'altare è, tra le varie altre pra-
tiche di pietà, ciò che è il sole tra gli astri;
poiché essa è veramente l'anima della pietà,
il centro della religione cristiana, al quale
sono subordinati tutti gli altri misteri e tutte
le altre leggi della medesima. Esso è il mi-
stero ineffabile della divina carità, per mezzo
del quale Gesù Cristo si dà realmente a noi.
e ci colma delle sue grazie d'un modo al-
trettanto amabile che magnifico ».
Bisogna conoscere questo tesoro.
Ma i tesori, per grandi e preziosi che sia-
no, non sono mai apprezzati, se prima non
sono conosciuti. Or ecco perchè da molti non
si ha la dovuta stima del sacrosanto sacrifi-
cio della Messa: perchè, sebbene sia questo il
più gran tesoro che illustri ed arricchisca la
Chiesa di Dio. è però un tesoro poco co-
— 1061 —
nosciuto, e può dirsi un tesoro nascosto. Oh
se da tutti fosse conosciuta questa gioia di
paradiso! Conviene pertanto che ogni novello
Salesiano, e tu in particolare che con tanta
attenzione mi segui, sia ben istruito su quanto
riguarda questo eccelso sacrificio, e che ne
venga a conoscere non solo l'essenza ma
anche le particolarità, poiché ogni cerimo-
nia nella Messa ha significazioni mistiche di
grande importanza. Seguimi perciò con tutta
l'attenzione.
Perchè si dice « Messa ».
L'angelico San Tommaso c'insegna che la
parola latina missa corrisponde alla parola
oblazione ossia offerta. E si dice Messa, sog-
giunge questo grande dottore, perchè il sa-
cerdote per mezzo degli angeli manda, ossia,
olfre le preghiere a Dio, e il popolo le manda
per mezzo del sacerdote; o anche meglio per-
chè Gesù Cristo è ostia da noi mandata ed
offerta all'Eterno Padre (1). Perciò in fine
della Messa il diacono licenzia il popolo di-
cendo Ite, missa est: andatevene, perchè già
(1) « Sacriflcium novae legis dicitur Missa quia
sacerdos per angelum praeces ad Deum mittit, et po-
pulus per sacerdotem; vel quia Christus est ostia a
nobis ad Deum Missa; unde et in fine missae diaeonus
dimittit populum, dicens: ite, missa est ».

54.6 Page 536

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— 1062 —
l'ostia propiziatoria e l'ambasceria nostra per
mano del sacerdote si è mandata al Signore;
si è al Signore offerta (3 p. q. 85 art.. 4, ad 9).
É lo stesso sacrificio del Calvario.
La principale eccellenza del sacrosanto sa-
crificio della Messa sta in questo, che l'obla-
zione che quivi si fa è il corpo ed ii sangue
santissimo di un Dio um anato, cioè è lo
stesso, lo stessissimo che si offerse sul Cal-
vario. E benché ministro di tale oblazione
sia un uomo misero ed abbietto, il princi-
pale offerente però è quel medesimo Gesù
Cristo, che già offerse se stesso vittima pro-
piziatoria sull'altare della croce. Tra l'offerta
fatta all'eterno Padre sul Calvario e l'offerta
che si fa sui nostri altari, non vi è che que-
sta differenza: che sulla croce Gesù si of-
ferse spargendo il suo sangue, per cui il sa-
crificio si dice cruento; e sull'altare si offre
senza spargimento del sangue, per cui il sa-
crifizio si dice incruento. O con altre parole,
sulla croce Gesù si offerse all'eterno Padre
morendo, qui non muore perchè non può più
morire. Nella Messa dunque quanto alla so-
stanza è il medesimo Cristo, uomo e Dio, che
spontaneamente si offrì sulla croce: la dif-
ferenza sta solo nel modo di fare l'offerta. Il
sacrificio della croce poi si fece una volta
— 1063 —
sola; e in quella volta sola soddisfece pie-
namente per tutti i peccati del mondo. Quel-
lo dell'altare si può replicare infinite volte,
e fu stabilito per applicarci in particolare
quel pagamento universale che Gesù Cristo
sborsò per noi sul Calvario. Sicché il sa-
crificio cruento fu il mezzo della redenzione,
e l'incruento ce ne pone in possesso. L'uno
ci apre l'erario dei meriti di Cristo Signor
nostro, e l'altro ce ne dà l'uso. Bisogna però
che tu avverta bene, che nella Messa non si
fa una sola rappresentazione o una semplice
memoria della passione e morte del Reden-
tore; ma si fa in qualche vero senso quella
stessa azione sacrosanta che si fece sul Cal-
vario. E si può dire con tutta verità che in
ogni Messa il nostro Redentore torna a mo-
rire per noi misticamente. Non è come av-
viene ogni anno nel dì del Natale, quando si
rappresenta dalla chiesa la nascita del Sal-
vatore, ma non è già vero che in quel giorno
Egli nasca; o come nel giorno dell'Ascen-
sione e della Pentecoste che si rappresenta
la salita di Gesù al cielo e la discesa dello
Spirito Santo in terra, ma non è già vero
che il Signore in quel giorno salga al cielo e
lo Spirito Santo visibilmente discenda in terra!
Nella Messa non vi è una semplice rappre-
sentazione, ma si fa incruentemente lo stesso
sacrifìcio che si fece sulla croce con lo spar-
gimento del sangue, cioè il sacrificio si ef-
35

54.7 Page 537

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— 1064 —
fettua realmente. Quello stesso Gesù Cristo
che si offri sul Calvario, si offre ora nella
santa Messa; solo il modo è diverso.
Il suo istitutore è Gesù Cristo.
Comprenderai anche la dignità ed eccel-
lenza di questo divin sacrificio se ne consi-
deri l'istitutore, che fu il medesimo Gesù
Cristo. L'istituzione avvenne nell'ultima cena.
Fu nell'ultima cena che il Redentore istituì
la santa Messa, quanto alla sostanza di ambo
le specie di pane e di vino, perchè fu egli
medesimo che consacrò, ed in seguito diede
ordine agli apostoli, che il medesimo faces-
sera sempre in sua memoria: Hoc facite in
meam commemorationem.
Dissi in quanto alla sostanza; poiché le
circostanze accidentali e di riti, preci e ceri-
monie, queste sono a noi pervenute parte
dalla tradizione apostolica, e parte con som-
ma prudenza sono state ordinate dai vari
pontefici per edificazione del popolo cristiano
e per riverenza e decoro di così augusta fun-
zione (Conc. Tridentino, Sez. 20, Cap. 5).
Essenza della santa Messa.
Or qui bisogna tu sappia, che l'essenza
propria e formale del sacrificio consiste nella
consacrazione del pane e del vino. Infatti
— 1065 —
con tale consacrazione si pone e si offre a
Dio la vittima costitutiva del sacrificio, cioè
Gesù Cristo, vero, totale, ed immolato; ed è
la consacrazione che perfettamente rappre-
senta il sacrificio cruento già offerto sopra la
croce. La consumazione delle specie, cioè l'as-
sunzione dell'ostia e del calice che fa il sa-
cerdote dopo il Domine, non sum dignus, con-
cerne l'integrità del sacrificio. La ragione si
è che, essendo stata istituita la Messa per-
chè sia non solo sacrificio, ma anche sacra-
mento e convito, ne segue che il sacrificio
della Messa non ha la sua integrità se non
quando le sacre specie sono consumate e man-
giate dal sacerdote.
Anche parti molto importanti, e che ap-
partengono alla perfezione intrinseca del sa-
cramento sono le due oblazioni od offerte
che il sacerdote fa, l'una prima di consa-
crare, che si dice offertorio, l'altra dopo, che
forma la prima parte del Canone. Le altre ce-
rimonie o preci che si pongono nella Messa
vi si richiedono solo, come dissi, per edifi-
cazione nostra e per decoro e compimento
esteriore del sacrificio. Senza di esse sarebbe
intiera ugualmente la sostanza del sacrificio;
ma siccome dànno grande decoro al sacri-
ficio medesimo, e furono dalla Chiesa co-
mandate, come sarebbe colpa nel sacerdote il
tralasciarle, così sarebbe colpa in noi se le
tenessimo in poco pregio.

54.8 Page 538

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— 106 —
Suoi effetti.
Questo unico sacrificio della nuova legge
racchiude in sè tutti i sacrifìci della legge
antica, e da solo procura alla SS. Trinità
maggior gloria ed onore, che non tutti in-
sieme i sacrifici dell'antico patto.
Nella legge mosaica si offerivano quattro
sorta di sacrifizi: l'olocausto, per riconoscere
il supremo potere di Dio sulle creature, ed
onorare la sua divina maestà e celebrare la
sua infinita bontà: e questi si dicevano sa-
crifici latreutici; i sacrifici eucaristici, o di
ringraziamento, in riconoscenza dei benefìci
ricevuti; i sacrifizi espiatori o propiziatori,
per l'espiazione dei peccati degli uon.iini, pro-
piziandoci così il Signore prima sdegnato pel-
le nostre colpe; ed i sacrifici pacifici od im-
petratori, stabiliti per domandare ed ottenere
le grazie necessarie onde camminare nella
via della giustizia. Il sacrifizio della Messa
da solo produce questi quattro medesimi ef-
fetti, e li produce in un modo infinitamente
più perfetto, essendo stato istituito ed offerto
da Gesù Cristo per questi medesimi fini, cioè
per onorare la suprema maestà di Dio, per
ringraziarlo dei suoi favori, per riparare le
ingiurie che gli son fatte dal peccato, e per
ottenere da lui tutte le grazie di cui l'uomo
ha bisogno. È pertanto necessario assistere al
santo sacrificio della Messa con gran rispetto
e raccoglimento e divozione, se si vogliono
1067
da essa ricavare i frutti che può recare, pen-
sando che è Gesù Cristo, vero Dio e vero
uomo, che immola se stesso sull'altare per le
mani del sacerdote, come fu immolato sul
Calvario per le mani dei carnefici; è la me-
desima vittima e il medesimo sacrificatore
principale.
Gesù Cristo sacerdote offerente.
Conviene che tu noti bene ciò che dissi
qui sopra, che il primario e vero offerente di
questo santo sacrifizio è Gesù Cristo mede-
simo: non è il sacerdote, non è il vescovo,
neppure il Papa. Non volle Gesù che il sa-
crificatore fosse un angelo, neppure che fosse
la stessa sua madre santissima; volle essere
egli medesimo, prete dei preti, vescovo dei
vescovi, Figlio unico di Dio, sacerdote eterno
secondo l'ordine di Melcliisedech. È lui che
dà alla santa Messa la sua eccellenza in-
comparabile. I sacerdoti non ne sono che i
servitori. Essi imprestano a Gesù, direi così,
la loro bocca, la loro voce, le loro mani per
l'esecuzione del divin sacrifizio, ma il sacri-
ficatore è Gesù medesimo. Il dolce Salvatore
si degna di farsi nostro sacerdote, nostro
medico, nostro avvocato! San Paolo nella sua
Epistola agli Ebrei, (VII, 26), ci spiega il
perchè di questo, dicendo: Conveniva che noi
avessimo un tale Pontefice, santo, innocente,

54.9 Page 539

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immacolato, segregato dai peccatori, e su-
blimato sopra dei cieli, il quale non ha ne-
cessità, come gli altri sacerdoti, di offerir ostie
ogni giorno prima pei suoi peccati, poi per
quelli del popolo: cosa che egli fece
una volta, offerendo se stesso. Poiché la legge
mosaica costituì sacerdoti uomini infermi, ma
la parola del patto posteriore alla legge, cioè
la legge evangelica, costituì sacerdote il Fi-
gliuolo di Dio, perfetto in eterno.
Valore della Messa.
Segue da ciò, che ogni Messa è d'un
valore che ha dell'infinito, ed è celebrata da
Gesù Cristo stesso con una divozione, un ri-
spetto, un amore al disopra di quello che
possono comprendere gli angeli e gli uomini.
Noi pertanto non possiamo comprendere tutta
l'eccellenza del sacrifizio dell'altare. Oh Gesù!
Quale incomprensibile mistero, e quale for-
tuna per noi, poveri peccatori, di essere am-
messi ad assistere alla santa Messa e di po-
tercene appropriare i frutti! Considera at-
tentamente, o mio buon figliuolo, il vantaggio
che te ne proviene dal poter assistere a così
santo sacrificio. Nostro Signore si offre per
te; egli si fa mediatore tra la tua colpabi-
lità e la giustizia divina; egli trattiene i ca-
stighi che ogni giorno meriterebbero i tuoi
peccati. Oh! se aprissi bene gli occhi a que-
sta verità, quanto ameresti la santa Messa!
Come sospireresti la fortuna di potervi as-
sistere, come l'ascolteresti divotamente, come
soffriresti ogni qualvolta fossi impossibilita-
to di assistervi! Quanto anzi desidereresti di
poterne ascoltare varie ogni giorno!
Altri offerenti.
L'essere Gesù Cristo medesimo in persona
il vero sacrificatore e principale sacerdote
della Messa, non toglie nulla di dignità ai
sacerdoti terreni di cui egli vuole material-
mente servirsi. Sono essi con ciò elevati a
rappresentare Gesù Cristo medesimo, tengono
le veci di Gesù ed agiscono in nome di Gesù.
Essi sono i ministri, gli strumenti che gli
prestano le loro mani e la loro voce. Ma bi-
sogna ancora sapere che in terzo luogo sono
offerenti del sacrifizio anche quelli che par-
tecipano alla santa Messa, poiché tutti i fe-
deli in unione di Gesù e del sacerdote hanno
il potere di offrire il santo sacrificio. Inoltre
vanno notati come offerenti, e perciò il va-
lore della Messa è applicato primieramente a
loro, quelli che somministrano la limosina
per farla celebrare; quelli che procurano l'ap-
parato necessario per il sacrificio; ed infine
tutti coloro, che impediti dalle loro occu-
pazioni non potendo assistervi corporalmente,

54.10 Page 540

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— 107 —
vi si uniscono con l'intenzione. Tutti costoro
offrono la vittima divina e partecipano al
frutto dell'offerta.
L'offrire la Messa è privilegio di tutti.
Tengo per certo che una delle più ec-
cellenti grazie che Dio abbia accordate a
tutti i fedeli, senza distinzione di sesso, d'età
o di stato, sia questa: che non abbia con-
cesso ai sacerdoti soltanto, ma altresì a tutti
gli uomini di poter offrire a sua divina
maestà questo augusto sacrificio. È per que-
sto che l'apostolo San Pietro proclamò i fe-
deli stirpe eletta, sacerdozio regale, gente san-
ta, popolo di acquisto, affinchè esaltino le
virtù di colui che dalle tenebre li chiamò al-
l'ammirabile sua luce (1).
Gesù ti dà il diritto di offerire questo sa-
crificio non solo per te, ma a modo dei sa-
cerdoti anche per gli altri, cioè per coloro,
chiunque essi siano, per cui l'offri. E questo
è certo, poiché nel canone della Messa il
sacerdote dice espressamente non essere il sa-
cerdote solo che offre il sacrifizio, ma essere
tutti i circostanti (2). E nell'Orafe fratres il sa-
(1) « Vos autem genus electum, regale saeerdotium,
gens sancta, populus acquisitionis: ut virtutes annun-
tietis eius, qui de tenebrie vos vocavit in admirabilem
lumen suum » (I PIETRO, II, 9).
(2) « Pro quibus tibi oflerimus, vel qui tibi oflerunt
hoc sacrificium laudis, prò se suisque omnibus ».
— 1071 —
cerdote, voltandosi ai fedeli, aggiunge: «Af-
finchè il mio e vostro sacrificio sia accettevole
presso Dio Padre onnipotente ». E dopo l'ele-
vazione del calice il sacerdote ripete che non
è egli solo, ma unito al popolo (1), che offeri-
sce alla sovrana maestà, un sacrificio puro,
santo ed immacolato. Bisogna pertanto che chi
assiste al santo sacrifìcio, o colle parole o al-
meno con l'intenzione, si unisca al sacer-
dote, onde partecipare più abbondantemente
del frutto del sacrifìcio. Che privilegio hai
tu sebbene non sacerdote, di poter offrire
così facilmente il corpo ed il sangue del Sal-
vatore! Oh! approfitta di questo potere! Eser-
cita tutti i giorni quel sacerdozio di cui la
misericordia di Dio ti ha investito, e pensa
proprio ad unirti spiritualmente al sacerdo-
te, e ad offerire con lui il divin sacrificio.
Senza questo non sentiresti bene la Messa;
perchè ascoltare la Messa non è solamente
esser presente materialmente, è offerire il sa-
crificio in unione col sacerdote.
Come opera la messa.
La messa non opera solo, come avviene
delle altre preghiere, ex opere operantis, cioè
secondo la divozione e la purità di chi le reci-
ta; ma bensì, come dicono i teologi, ex opere
operato, cioè per se stessa. Infatti, sebbene lo
(1) ' Nos servi tui, sed et plebs tua sancta ».

55 Pages 541-550

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55.1 Page 541

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— 1072 —
strumento che offre sia indegno, l'offerta è
del corpo e del sangue di Gesù, sempre de-
gno di essere esaudito da Dio sebbene of-
ferto da un miserabile. Siccome poi qui si
offerisce Gesù medesimo, tu comprenderai co-
me questa offerta sia infinitamente più accet-
ta a Dio che qualunque altra opera di pietà,
per eccellente e sublime che sia. Una messa
può ben valere innumerevoli rosari ed altre
preghiere, perchè col sacrifizio della messa
noi ci appropriamo realmente i meriti della
passione e della morte di Gesù Cristo. Questi
meriti così ricevuti ci appartengono realmente,
e noi possiamo offrire al Signore come vera-
mente nostri i meriti di Gesù Cristo mede-
simo.
L'occupazione migliore durante la santa
messa.
L'offerta è la cosa migliore che si possa fa-
re durante la messa; e quindi quanto più spes-
so e più di cuore tu offerisci qualche cosa al
Signore, tanto maggior bene fai. Quando per-
tanto non sei presente alla messa, fai bene
ad offerire le tante messe che si celebrano nel
mondo. Poiché quante più volte offri all'eter-
no Padre il sangue del suo divin Figliuolo,
tanto più si rallegra Iddio, tanto più si pa-
gano i debiti dei nostri peccati, tanto mag-
gior merito si otterrà in paradiso, tanto più
— 1073 —
efficacemente si sollevano le anime del purga-
torio. Quante volte tu dici: «io offro, io of-
fro», vale quanto dire: io pago, io pago. Pa-
go per diminuire i miei debiti, per comperare
beni celesti, per liberare anime dal purgato-
rio; pago per ottenere grazie a quelli per cui
offro.
Anche la preghiera fuori della messa vale
molto avanti a Dio, ma nella messa, o unendo-
si con l'intenzione alle messe che si celebrano,
si offre un sacrifizio reale, si offre Gesù Cristo
medesimo. Gesù si offre per noi al suo Padre
celeste; il valore è infinitamente maggiore.
Fossi pure un peccatore per quanto grande si
voglia, tu puoi tener per certo il perdono se
offri la passione di Gesù al suo eterno Padre.
Nessun paragone vale a questo proposito.
Vuoi sapere con un paragone quanto valga
la messa? Vale più che tutto l'oro e tutte le
perle della terra. Se qualcuno fosse il vero e
reale possessore di tutto il mondo, ed offrisse
questa sua possessione all'onnipotente Iddio,
resterebbe il suo dono infinitamente di sotto
al valore della santa messa. Se potesse colui
disporre anche di tutto il paradiso e dei suoi
beati abitatori, e tutto offrisse a Dio, anche
questa offerta non reggerebbe al paragone del
clono che si offre a Dio nella santa messa. Poi-
ché nella santa messa si offre all'eterno Padre

55.2 Page 542

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- 1074 —
un dono così eccellente, che vale quanto l'onni-
potente ed infinito Dio stesso, con tutte le sue
perfezioni e con la maestà e gloria sua. Più ol-
tre non si può andare nell'indicare il valore
della santa messa, perchè non si può trovare nè
pensare cosa che superi la divinità, o che su-
peri l'infinito. Se dài un tozzo di pane od un
bicchier d'acqua, Gesù ci disse che questo ha
già gran valore, quando si faccia per amor
di Dio. Se un principe offre le sue ricchezze,
un imperatore il suo impero per amor di Dio,
questo è un eroismo degno di essere encomia-
to per tutti i secoli. Ma quando il sacerdote
ed il popolo che assiste alla santa messa of-
frono all'eterno Padre il Figlio di Dio stesso,
questa è offerta di valore incalcolabile.
Grandi mali daìl non sentir bene la santa
messa.
Se son vere, e sono verissime, le cose sopra
esposte sulla grande efficacia del sacrificio eu-
caristico, bisogna ben dire che se tu conti-
nui i tuoi peccati, e non ti senti una buona
volta la forza di correggerti, è perchè non as-
sisti bene a questo sacrificio. Se i peccatori
non si convertono, e perdurano nella loro im-
penitenza fino all'ultimo, non sarà forse per
colpa tua? Poiché se avessi offerto per loro il
sangue di Gesù Cristo con calda preghiera,
1075 —
senza dubbio si sarebbero convertiti. Se il
purgatorio non è ancor vuoto dei suoi abitan-
ti. non sarà forse perchè, di tante messe che
si celebrano, i fedeli o non vi assistono o non
v'assistono bene? E se tu non sei ancora ar-
rivato alla perfezione, alla quale sei chiamato,
non sarà forse per la tua negligenza nell'of-
frire col sacerdote all'eterno Padre l'agnello
che toglie i peccati del mondo e che dà la
vita eterna? Se ti fossi trovato presente sul
Calvario, e con quell'amore che nutrì adesso
per Gesù avessi preso con ambe le mani >1
sangue suo che colava per terra, l'avessi 01-
ferto a Dio tenendolo alto, con ferma fidu-
cia e con cuore contrito, non è vero che con
questo avresti avuto fiducia di ottenere ogni
grazia e per te e per coloro per i quali avessi
offerto a Dio quel sangue preziosissimo? Que-
sto è quello che otterresti ora, facendo que-
sta offerta con gran fede e ardente amore.
Quali peccati sono così orribili, che non si
possano lavare con cotesto sangue preziosis-
simo? Quali debiti saranno così enormi, che
non si possano pagare con questo infinito te-
soro? Il sangue di Gesù è atto a purificare e
perdonare e pagare più di quello che tutto
il mondo possa insozzare, incolpare, indebi-
tare. Metti pure un'illimitata fiducia nel san-
gue di Gesù, e offrilo molto diligentemente a
Dio durante la santa Messa, e non temere
che otterrai ogni cosa.

55.3 Page 543

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Santa comunione nella santa messa.
Clie se nella santa messa oltre che offe-
rire col sacerdote l'ostia santa, tu ancora ti
unisci a lui a fare la santa comunione, tu
compisci non solo il sacrificio, ma partecipi
con lui al sacramento. Perciò ne avresti molto
maggior merito ancora e molte maggiori gra-
zie, e pagheresti molti maggiori debiti, e Dio
sarebbe ancora più convenientemente da te
adorato e ringraziato. Di modo che la santa
Chiesa, nel concilio di Trento, come esorta cal-
damente tutti i fedeli ad assistere tutti i giorni
alla santa messa, così espone l'ardente desi-
derio, che ogni volta che si assiste alla santa
messa si faccia la santa comunione, e questa
non solo spiritualmente ma anche sacramen-
talmente.
CAPO Vili
VARI MODI DI ASSISTERE
ALLA SANTA MESSA
Parti della messa.
La messa può considerarsi come divisa
in quattro parti. La prima è una prepara-
zione del sacerdote al gran sacrificio che ha
da compiere, e si estende dal principio a
tutto il vangelo ed il credo. La seconda è la
solenne preparazione della materia del sa-
crificio, e si estende dall'offertorio fino alla
consacrazione. Vari dividono la messa in tre
parti sole e riuniscono queste due prime chia-
mandole insieme la preparazione al solenne
sacrificio. La terza parte forma il vero sa-
crificio e comprende la consacrazione e tutte
le cerimonie sino al fine della comunione. La
quarta parte forma come il ringraziamento
del sacrificio stesso, serve cioè a ringraziare
il Signore dell'essersi sacrificato per noi, come
serve di ringraziamento per la comunione o
sacramentale o spirituale, e comprende il re-
sto della messa, dalla comunione sino alla
fine.
1° Modo di assistere alla santa messa: pre-
gando.
Or ecco alcuni modi pratici, di cui puoi
servirti per assistere con divozione alla santa
messa. Il primo e più popolare consiste nel
pregare durante il sacrificio, per esempio re-
citando le tue orazioni del mattino, il rosa-
rio, od altre preghiere che ti tornano più di-
vote. E questo è modo buono, e va adoperato
specialmente quando si assiste alla santa mes-
sa coi giovanetti, i quali, se non pregassero
vocalmente, non saprebbero assistervi con di-
vozione. Solo ti esorto che, recitando dette

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— 1078 —
preghiere lungo la messa, non dimentichi, al-
meno all'elevazione, di raccoglierti ed offerire
all'eterno Padre il santo sacrificio. Puoi ser-
virti di quelle parole d'uso: « Eterno Padre
vi offro il sangue preziosissimo di nostro Si-
gnore Gesù Cristo, per adorarvi, ringraziarvi,
risarcirvi, domandarvi le grazie di cui ab-
bisogno. Ve l'offro in isconto dei miei pec-
cati, pei bisogni della santa Chiesa, per la
conversione dei peccatori, per la perseveranza
dei giusti, in suffragio delle anime del pur-
gatorio, affinchè il mio cuore altro non vo-
glia, altro non cerchi e non desideri che voi.
Voi siate la mia speranza, voi solo il mio
conforto, voi solo il bene dell'anima >. Ed
al tempo della comunione del sacerdote cerca,
se puoi, di fare anche tu la santa comunione;
e se non puoi farla sacramentalmente, pro-
cura almeno di farla spiritualmente.
2o Pensando ai quattro fini del sacrificio.
Il secondo modo consiste nel pensare du-
rante la messa ai quattro fini per cui fu sta-
bilito questo sacrificio. Figùrati cioè di tro-
varti realmente sul Calvario ad assister alla
morte di Gesù; e pensando che Gesù si sa-
crifica per noi tutti, per quei quattro fini
sopra indicati, effonditi verso di lui in atti
di adorazione, di ringraziamento, di risarci-
mento e di domanda, chiedendogli grazie in
— 109 —
abbondanza e promettendogli di voler corri-
spondere alle medesime. Anzi puoi adottare
addirittura il metodo che insegna San Leo-
nardo da Porto Maurizio. Secondo il suo sug-
gerimento nella prima parte della messa ado-
ra Iddio, lodalo, benedicilo, emetti atti di
amore verso di lui. Nella seconda doman-
dagli perdono dei peccati propri e di quelli
di tutto il mondo, cercando di placare l'ira
sua, e di risarcirli per tanto male che si fa.
Nella terza ringrazialo dei benefizi fatti alla
umanità intiera ed a te in particolare, e spe-
cialmente pel benifizio dei benefizi che è la
redenzione del mondo, e l'essere egli morto
per noi; l'essersi per amor nostro adattato
a star sempre con noi nascosto nel SS. Sa-
cramento; come pure di quei benefizi che ti
ha accordati nell'averti fatto cristiano e reli-
gioso, e nell'averti tante e tante volte perdo-
nati i tuoi peccati. Nella quarta parte do-
manda grazie senza riserva per la Chiesa,
per la nostra Pia Società, per noi, per i pa-
renti, per le persone raccomandate alle no-
stre preghiere, pei peccatori, pei moribondi
e per le anime del purgatorio.
5" Meditando divotamente la passione di
Gesù.
Il terzo modo di assistere con divozione
alla santa messa consiste nel meditare divota-
mente la passione di Gesù, di cui questo tre-

55.5 Page 545

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— 1080 —
mendo sacrificio è la rinnovazione. Nella pri-
ma parte della messa, considera Gesù che
esce dal cenacolo, va all'orto, prega e suda
sangue; è catturato dai soldati, è tradito con
un bacio da Giuda, è trascinato nei vari tri-
bunali, e condotto a Pilato viene dichiarato
innocente. Dall'offertorio all'elevazione è da
considerare Gesù spogliato dai manigoldi, fla-
gellato alla colonna, sputacchiato, schiaffeg-
giato, coronato di spine, presentato al po-
polo (ecce homo), che ne domanda tumul-
tuariamente la morte. Nella terza parte della
messa considera Gesù con la croce sulle spalle
che si avvia al Calvario, consola le pie donne,
giunge al momento fatale, viene inchiodato in
croce, elevato soffre per tre ore una terribile
agonia e muore in croce; poi vien ferito da
Longino nel costato, indi è deposto e chiuso
nel sepolcro. Nella quarta parte considera Ge-
sù che risuscita glorioso, che visita sua Madre
e gli Apostoli, conversa coi suoi per quaranta
giorni, e sale al cielo. E all'ultimo vangelo con-
sidera gli Apostoli, che si spargono per tutto
il mondo e lo convertono.
4° Seguire il sacerdote pensando alla passio-
ne di Gesù.
11 quarto modo consiste nel pensare alla
passione, seguendo il sacerdote in ogni sua
azione. Ciascuna delle cerimonie, che fa il
— 101
sacerdote nella santa messa, può facilmente
rappresentare una delle circostanze della pas-
sione di Gesù. Ed ecco in che modo. Il sa-
cerdote che si avvia all'altare e che incomin-
cia la messa raffigura l'andata di Gesù al-
l'orto del Getsemani, e la preghiera che quivi
fece. Il sacerdote che dice il Confiteor rap-
presenta Gesù quando prosteso in terra sudò
sangue. Il sacerdote baciando l'altare rasso-
miglia Gesù quando con un bacio fu tradito
da Giuda; e recandosi a dire l'introito lo rap-
presenta quando fu catturato dagli sgherri.
11 sacerdote che legge l'introito rappresenta
Gesù condotto innanzi a Caifa. Quando re-
cita il Kirie ricorda Gesù che tre volte venne
da Pietro rinnegato; dicendo il Dominus vo-
biscum rappresenta Gesù che si rivolge a
San Pietro perchè si converta. Il sacerdote
che legge l'epistola rappresenta Gesù falsa-
mente accusato in casa di Pilato; e quando
chinato dice il Munda cor meum ricorda
Gesù Cristo condotto da Pilato ad Erode. Il
sacerdote che legge il vangelo rappresenta
Gesù quando fu rimandato da Erode a Pi-
lato, e quando scopre il calice rassomiglia
a Gesù quando fu spogliato delle sue vesti.
Quando offre l'ostia, raffigura Gesù legato e
flagellato alla colonna, quando copre il ca-
lice rappresenta Gesù che vien coronato di
spine, quando si lava le dita rappresenta
Gesù dichiarato innocente da Pilato. Il sa-
cerdote invitando il popolo a pregare ricorda

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- 1082 —
Gesù esposto agli Ebrei da Pilato colle pa-
role: Ecce homo; allorché dice il prefazio
ricorda Gesù condannato a morte da Pilato.
Nel memento dei vivi raffigura Gesù con le
spalle oppresse dal pesante legno della croce,
ponendo le mani sull'ostia e sul calice rap-
presenta Gesù incontrato dalla Veronica, e
facendovi sopra vari segni di croce, ricorda
Gesù inchiodato sulla croce. Alzando l'ostia
rassomiglia Gesù elevato in croce, ed alzando
il calice rappresenta Gesù versante il san-
gue in croce dalle sue piaghe. Il sacerdote
che prega pei defunti raffigura Gesù orante
in croce per i suoi crocifissori. Al Nobis quo-
que peccatoribus, chiedendo perdono per i
peccatori, ricorda la conversione del buon
ladrone; recitando il Pater nosier rappre-
senta Gesù che raccomanda a San Giovanni
la Beata Vergine. Quando rompe l'ostia raf-
figura Gesù che esala in croce l'anima sua,
e ponendone una parte nel calice ricorda
Gesù disceso al Limbo. Il sacerdote che dice
l'Agnus Dei rappresenta il dolore del cen-
turione e degli altri con lui per la morte di
Gesù, ed allorché si comunica raffigura Gesù
Cristo posto nel santo sepolcro. Nel purifi-
carsi le dita ricorda quando il corpo di Gesù
fu imbalsamato, nel leggere il Post commu-
nio la risurrezione di Gesù, nel dire il Do-
minus vobiscum Gesù quando apparve ai suoi
discepoli. Nel dire le ultime orazioni rappre-
senta la dimora di Gesù per quaranta giorni
— 1083 ~
coi medesimi discepoli, e nel dire l'ultimo Do-
minus vobiscum ricorda l'ascensione al cielo
di nostro Signor Gesù Cristo. Il sacerdote
che benedice il popolo raffigura la venuta
dello Spirito Santo sopra gli apostoli. E quan-
do dice l'ultimo vangelo rappresenta la pre-
dicazione evangelica degli apostoli per tutto
il mondo.
5° Seguendo il sacerdote nelle cerimonie:
a) ai piedi dell'altare.
Il quinto modo che puoi adottare con pro-
fitto per assistere convenientemente alla santa
messa, è quello di servirti di un libro divoto
e con esso accompagnare ogni singola ceri-
monia della messa pensando a quello che
secondo l'intenzione della Chiesa, che le ha
stabilite, vogliono significate. Osserva per-
tanto il sacerdote in sacrestia, e pensa al si-
gnificato degli arredi sacri. Seguilo dalla sa-
cristia all'altare, ed all'altare medesimo se-
guilo in tutto quello che dice e in tutte le
singole sue azioni, per eccitarti ad aspira-
zioni analoghe ed offrire la santa Vittima in
unione con lui. Arrivato ai piedi dell'altare
il sacerdote genuflette o si inchina. Prostrati
anche tu davanti alla maestà di Dio, per ri-
conoscere che egli è il creatore ed il pa-
drone di noi e di tutte le creature. Il sacer-
dote fa il segno della croce. Tu devi aver

55.7 Page 547

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— 10 —
paura di portare un'anima brutta di peccato
nel trattar con Dio; perciò nascondi sotto la
croce di Gesù la tua povera persona, e copri
colle sue piaghe le tue miserie. Col salmo
ludica me Deus rende grazie al Signore e
col Confiteor il sacerdote (sempre per sè e
per noi) domanda perdono delle colpe, affin-
chè possiamo meno indegnamente assistere al
santo sacrificio. E questo t'insegna che la
prima preparazione per assistere alla santa
messa e partecipare ai suoi frutti, consiste
nel ringraziare il Signore del favore che ti
fa col potervi assistere, e nel domandargli
perdono dei tuoi peccati, eccitandoti ad una
contrizione piena d'umiltà e di perdono.
b) Introito e Kyrie.
Col salire all'altare il sacerdote prega il
Signore di purificarlo per la santa azione
che ha da compiere. Col baciare l'altare, dove
sono le reliquie dei santi, ci fa intendere che
noi coi santi formiamo una sola famiglia
intorno al Padre nostro che è nei cieli. E tu
prega il Signore che purifichi anche te, ed in
pari tempo prega i santi del loro aiuto nel-
l'assistere al divin sacrificio. L'introito indica
il desiderio degli antichi patriarchi, quando
essi domandavano al Signore che mandasse
il Messia, l'Agnello dominatore della terra,
per salvare colla sua morte il popolo d'Israe-
1085
le. E tu accompagnali nei loro desideri e
ringrazia Gesù che li volle appagare, sal-
vando essi e te. Il sacerdote tornato in mezzo
all'altare, sotto la croce, recita il Kyrie elei-
son, quasi dicesse: « Guardiamo, fratelli, che
cosa vuol dire peccare! Per i nostri peccati ha
dovuto il Figlio di Dio morire sulla croce.
Domandiamo pietà per le anime nostre ». E
ripete nove volte il Kyrie ed il Christe eleison:
Signore, abbiate pietà di noi.
c) Gloria, Oremus, Epistola.
Al Gloria la Chiesa c'invita a lodare, be-
nedire, glorificare, ringraziare il Signore della
grazia fatta al mondo per aver inviato il
Messia, il quale doveva condurre alla gloria
celeste gli uomini di buona volontà. Tu dàgli
lode e gloria anche per i benefizi che ha fatti
a te, perchè tu con maggior abbondanza po-
tessi partecipare alla redenzione. Digli di gran
cuore: Laudamus te, benedicimus te, adora-
mus te, gratias agirnus Ubi; e digli con cuore
contrito: Qui tollis peccata mundi miserere
nobis. Poi dice il Dominus vobiscum e gli
Oremus, preghiere che si dicono in onore del
santo di cui si celebra la messa, o del mistero
che in quella messa viene specialmente com-
memorato: il tutto per attirarci anche la pro-
tezione del santo, della Beata Vergine. E tu
prega perchè t'aiutino a celebrare od assi-

55.8 Page 548

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— 106 —
stere con maggior profitto alla santa messa.
L'Epistola, che è presa dall'antico testamento
o dagli scritti degli apostoli, ci rappresenta
che tutta la legge antica testimonia in favore
di Gesù Cristo, e che gli apostoli prepararono
le vie al suo Vangelo, quando essi cominciava-
no a predicare in una regione per salvarla.
E tu devi considerare che la parola di Dio è
come una lettera, che il Signore ti scrive dal
cielo, per farti conoscere la sua volontà, per
mostrarti la strada del paradiso. Perciò infine
si risponde Deo gratias, per ringraziarlo di
averci parlato con tanto amore.
d) Vangelo e Credo.
Nel Vangelo è Gesù Cristo che parla di
propria bocca. Si fa il segno della croce sulla
fronte, sulla bocca e sul cuore, per ricordarci
che siamo tutti di Gesù, che Gesù deve essere
nella nostra mente, nella nostra bocca e nel
nostro cuore. Si sta in piedi ad ascoltare la
parola di Dio, come se ci mettessimo in pro-
cinto di eseguirla, e di difenderla, anche col
pericolo della vita, ed anche pronti a cammi-
nar lontano per farla conoscere ed abbrac-
ciare da chi non ha ancora la fortuna d'es-
serne illuminato. Recitando o cantando il Cre-
do, la Chiesa ci fa notare, che noi non sola-
mente dobbiamo credere le verità proposte
dal Verbo divino, ma che anche nella manie-
1087
ra di formularle e di interpretarle, uno s'in-
china da buon figliuolo all'autorità della
Chiesa cattolica, apostolica, romana. Qui fini-
va la messa dei catecumeni, i quali a questo
punto dovevano uscir di chiesa, e qui finisce
la prima parte della messa.
e) Offertorio, lavabo, prefazio.
A\\\\'offertorio i fedeli offrivano il pane ed
il vino, che dovevano servire pel sacrificio,
che cioè dovevano essere consacrati. Il sacer-
dote prende l'ostia, la tiene elevata nella pa-
tena, la offre; poi mette il vino nel calice e
lo offre parimenti al Signore. È il momento
per te di offrire col pane e col vino al Signore
anche il tuo cuore. Riconosciti meno degno
dei catecumeni di assistere al santo sacrifi-
cio, ed offri il cuore a Gesù perchè lo purifi-
chi. Se avessi dispiaceri, umiliazioni, persecu-
zioni da sopportare, offri qui tutto a Gesù,
pronto ad unirti a Gesù, e ad essere sacri-
ficato pel bene delle anime. Offri a Gesù an-
che il proponimento di far tutto quel bene
che le tue forze ti permetteranno, e di evitare
ogni male, anche il più piccolo, e le trasgres-
sioni delle regole, e di fuggire anche le mini-
me negligenze. Dopo l'offertorio prima del
lavabo il sacerdote fa un solenne segno di cro-
ce sopra l'offerta, e nelle messe solenni an-
che s'incensa l'offerta e l'altare. Questo indica

55.9 Page 549

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che essendo l'altare la figura del Calvario, il
sacerdote vi inalbera la croce, sopra cui Gesù
tra breve si offre di nuovo in sacrificio per
noi, sull'altare come allora sul Calvario, seb-
bene ora lo faccia senza suo dolore ma con
egual merito. Tu devi pertanto richiamarti a
memoria che ti trovi ai piè del Calvario, con
Maria Vergine addolorata, ad assistere al tre-
mendo sacrificio, e devi assistervi con gran
compunzione dei tuoi peccati. Il lavabo ti ri-
cordi la purezza di coscienza con cui devi as-
sistere alla messa; e perciò stando per comin-
ciare la parte essenziale del sacrificio, se hai
ancora qualche cosa sulla coscienza, fa' un
atto di contrizione per purificar meglio l'ani-
ma tua, come il sacerdote lava le dita per pu-
rificare meglio il corpo. Nei primi tempi del-
la Chiesa a questo punto dovevano uscire dal
tempio i peccatori soggetti a penitenze pub-
bliche; si chiudeva la chiesa e quelli stavano
sotto il portico dei penitenti. Dopo raccoman-
data la preghiera con l'Orafe fratres, poiché è
prossimo il tempo del sacrificio, il sacerdote
comincia il prefazio per preparare gli astanti
ad offrire con lui l'adorabile sacrificio. È per
questo che si avvisano di elevare i cuori a Dio
col Sursum corda, e di ringraziare il divin
Padre d'aver loro clonato il suo figlio e di lo-
darlo e glorificarlo per Gesù Cristo, e di uni-
re la loro voce a quella degli angeli, che can-
tano continuamente nel cielo il Sanctus.
f) Canone.
Dopo il sanctus comincia il canone, o re-
gola costante della messa, e si fa il Memento
dei vivi, in cui, dopo d'aver raccomandato al
Signore la Chiesa, il papa e il vescovo della
diocesi, il sacerdote presenta le sue intenzioni,
parenti, amici, e quelli che si sono raccoman-
dati alle sue orazioni. Tu unisciti a lui a rac-
comandare specialmente la Chiesa, la nostra
società, i superiori, i compagni e parenti, e
tutti quelli cui sei in qualche modo tenuto, e
quelli che si raccomandarono alle tue ora-
zioni.
È importantissimo il momento prima della
elevazione, quando il sacerdote stende le ma-
ni coi pollici in croce, sopra l'offerta. Per ben
comprendere questo rito, è da ricordare come
nella legge antica si offriva ogni anno solen-
ne sacrificio per i peccati. Il sommo sacerdote
degli ebrei stendeva le mani sopra un capro,
legato ai piè dell'altare; e confessando i pec-
cati di tutto il popolo: Sopra questo capro,
diceva, discendano i peccati di tutti. Poi ri-
buttava dall'altare quel capro maledetto, e
battendolo lo spingevano fuori a morire nel
deserto abbandonato. Gesù nell'orto del Get-
semani in particolare si caricò dei nostri pec-
cati, così cominciò la sua passione. Ora il sa-
cerdote con quell'atto pone di nuovo sn Gesù,
che è in procinto d'essere sacrificato, i nostri
peccati, che per il sacrificio della croce devono

55.10 Page 550

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— 109 —
esserci rimessi. Oh! pregalo Gesù che te li
rimetta bene; ma intanto, piangili i tuoi pec-
cati, che lo fecero tanto penare! La consacra-
zione, e la conseguente elevazione è certo il
momento più solenne della santa messa. Con
le mistiche parole che il sacerdote pronuncia
in questo momento Gesù benedetto discende
vivo e vero nelle sue mani, col corpo, sangue,
anima, divinità. L'elevazione della santa ostia
e del calice significa la crocifissione di Gesù,
quando fu elevato sul patibolo della croce,
e fu esposto alla vista di tutto il mondo. E la
consacrazione dell'ostia fatta separatamente
da quella del calice ci rappresenta la sua mor-
te, con la quale l'anima sua fu separata dal
suo corpo, sebbene la divinità sia sempre sta-
ta unita sia all'anima che al corpo. Cadi pro-
strato a tanto mistero e adora Gesù con la fac-
cia a terra, mentre gli angeli discendono in fol-
la attorno all'altare e lo adorano invisibilmen-
te. Poco dopo l'elevazione si fa il Memento elei
defunti. Ah! non per noi soli Gesù si sacrifi-
ca sul santo altare, ma anche pei defunti! E
tu ricorda al Signore le anime dei tuoi paren-
ti, benefattori, amici e nemici; ma in partico-
lare raccomanda anche le anime dei nostri
soci defunti. Deh! su tutti il nostro Redento-
re benedetto faccia piovere il suo sangue da
questo altare, e quelle sante anime che si tro-
vano in purgatorio abbiano luce e pace in pa-
radiso. Dopo il Memento il sacerdote fa cin-
que croci sul SS. Sacramento, e vuol dire che
1091
Gesù dall'altare in questo momento offre per
noi al divin Padre le sue cinque piaghe, co-
me le offeriva quando era sulla croce. Non
può essere che l'eterno Padre non accetti con
compiacenza l'offerta del Figlio, e non ci di-
stribuisca per amor suo tutte le grazie che ci
abbisognano per salvarci, ed anche per far
del bene agli altri secondo la nostra voca-
zione.
g) Il Pater e la comunione.
Il Pater, che il prete recita ad alta voce e
che canta nelle messe solenni, c'indica le gra-
zie che noi, coll'autorità stessa del Salvatore,
dobbiamo di preferenza domandare a Dio.
Finito il Pater, il sacerdote divide l'ostia san-
ta in tre parti, come in tre parti si divide la
Chiesa, per così indicare, che col santo sacri-
fìcio Gesù dall'altare consola la Chiesa trion-
fante in paradiso, solleva le anime del pur-
gatorio dalle loro pene, e resta nel SS. Sacra-
mento con noi per aiutarci in tutti i bisogui
e consolarci ad ogni evenienza. L'Agnus Dei,
che si dice in seguito, rianima in noi i senti-
menti di confidenza nell'Agnello divino, di
dolore per i nostri peccati, e di sincera
umiltà, che dobbiamo avere se vogliamo par-
tecipare degnamente al frutto del santo sacri-
ficio. Ecco, viene il tempo della santa comu-
nione, preceduta dalle parole di fede e di

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56.1 Page 551

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— 1092 —
umiltà necessarie: Domine, non sum dignus...
Anticamente, come abbiamo detto, i peccato-
ri stavano fuori della chiesa, e tutti i fedeli
presenti facevano la santa comunione. Quan-
do tu non puoi farla sacramentale, non di-
menticarti di farla almeno spirituale con un
ardente desiderio di unirti e di stare sempre
unito con Gesù.
li) Dopo la comunione.
Fatta la comunione, comincia la quarta
parte della messa. Il Post communio indica la
gioia che ebbero gli Apostoli per la risurre-
zione di Gesù. Gli Oremus, che il sacerdote
dice dopo, sono orazioni di grazie per dimo-
strare la propria riconoscenza al Signore dei
benefizi che accordò nel santo sacrificio, e spe-
cialmente nella santa comunione. E tu ringra-
zialo di cuore, specialmente delle grazie che
ti fece durante la messa. La benedizione che
il prete imparte, quando la messa è finita, ri-
chiama alla memoria la benedizione che Gesù
diede ai suoi discepoli sul punto di ascendere
al cielo, ed anche la benedizione solenne che
darà ai suoi eletti nel giorno del giudizio fi-
nale, quando dirà loro: «Venite, benedetti dal
Padre mio, a possedere il regno che vi prepa-
rò fin dal cominciamento del mondo ». Inchi-
nati profondamente e pregalo, che questa be-
nedizione confermi in te il desiderio di essere
— 109 —
sempre suo, ed il proponimento di voler piut-
tosto soffrire tutti i patimenti del mondo an-
ziché ancora offenderlo. Son pienamente con-
vinto che per poco che tu abbia meditato e se-
riamente studiato tutti questi misteri, che la
Chiesa rivela con lo spendore di sì significan-
ti cerimonie, tu assisterai alla santa messa
con maggior attenzione e raccoglimento, con
più umile rispetto e, direi, con un certo qual
sacro terrore. San Giovanni Grisostomo escla-
mava: «Credete voi ancora di abitare sulla
terra quando assistete all'immolazione di Gesù
sull'altare? Non vi sembra piuttosto che, spo-
gliati di questa corruttibile carne, e traspor-
tati nel cielo, voi siate in mezzo agli spiriti
beati che adorano l'Agnello senza macchia,
immolato per i peccati del mondo, e che si
prostrano rispettosamente davanti a lui? ».
6° Il metodo di Don Beltrami.
Eccoti ancora, per la pratica, un mezzo di
ascoltare la santa messa, adoperato anche da
San Giovanni Berchmans e dal nostro Don
Beltrami. « Nell'andar alla santa messa pensa
dove vai, cioè dinanzi a Dio; ed a che fare,
cioè ad offerirgli il suo Figliuolo. Fa' la com-
posizione del luogo immaginandoti di trovarti
sul monte Calvario, figùrati di vedere Gesù
insanguinato e piagato, che si offerisce per te
all'eterno Padre. Nel luogo della celebrazione
domanda la grazia di assistervi bene, rinnova

56.2 Page 552

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— 1094 —
l'intenzione fatta alla mattina, cioè a gloria di
Dio, in preparazione o ringraziamento della
santa comunione, in risarcimento delle tue
colpe, e per impetrare le grazie di cui abbiso-
gni. Unisci infine questo sacrificio incruento
con quello che si offrì cruento sull'altare della
croce, e metti la tua attenzione figurandoti di
assistere a quello stesso sacrificio. All'offerto-
rio mira Cristo, che, arrivato al Calvario, al-
zando gli occhi al Padre, offre se stesso per i
peccati del mondo e per i tuoi in particolare,
e fa' colloqui con lui fino al sanctus. Al dirsi
il sanctus osserva Gesù che viene steso sulla
croce, ed ivi dai carnefici vien confitto con
chiodi. All'elevazione figurati di .veder Gesù
alzato in croce; e tu, elevato lo spirito a Dio
Padre, lo inviterai a guardare il suo Figliuolo,
aspice, Domine, in faciem Christi tui. Per il
capo di lui coronato di spine, e pel corpo di
lui dilaniato dai flagelli, e per le piaghe che
gli squarciano le mani ed i piedi, pregherai
pel sommo pontefice e per tutte le autorità ec-
clesiastiche, per i re e principi cristiani, chie-
dendo per essi grazia di ben governare. Pre-
gherai per la nostra società e specie pel Rettor
Maggiore, l'Ispettore, pei Direttori, maestri e
superiori tutti; per i tuoi genitori, fratelli, so-
relle e congiunti, per le missioni; e man ma-
no verrai pregando per i compagni, per gli
amici e nemici, e specialmente per i tuoi be-
nefattori e per i benefattori tutti della nostra
Pia Società. Giunto poi a contemplare la pia-
— 1095 —
ga del costato, allora pregherai per te stesso,
e specialmente per questi fini: perchè possa
amare Iddio con tutto il cuore, aver zelo per
la salute dei prossimi, perseverare nella voca-
zione, osservare bene i santi voti, portare un
grande affetto alla Beata Vergine ed a questo
venerabile Sacramento. Nella comunione pen-
sa che la beata Vergine, insieme con gli angeli
e con i tuoi protettori, ti porti Gesù per sep-
pellirlo nel tuo cuore; e tu accoglilo con gran-
de umiltà e carità. Indi eccita la fede e rendi
grazie; offriti ospite al divin Ospite, ed offri a
lui tutto te stesso; chiedi e proponi ». Sono
persuaso che recandoti ad assistere alla santa
messa coi sentimenti suindicati, e meditando
i sacrosanti misteri cui assisti nei modi sue-
sposti. tu trarrai dal santo sacrificio dell'alta-
re gran profitto per l'anima tua, procurerai la
maggior gloria di Dio ed otterrai la salute di
molte anime.
CAPO IX
LA SANTA COMUNIONE
L'atlo più grande della giornata.
Senza dubbio l'atto più grande, il momen-
to più prezioso della giornata è quello in cui
si fa la santa comunione. Quando noi ricevia-
mo Gesù nel nostro cuore la sorgente di tutte
36

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— 1096 —
le grazie è in noi. Nella comunione l'anima
nostra è nutrita del pane della vita: le sue
forze si aumentano, le sue infermità si guari-
scono, le sue macchie vengono scancellate. Es-
sa ci arricchisce di tutte le virtù; la concupi-
scenza s'affievolisce in noi, l'anima nostra ri-
ceve un germe di vita, un preservativo contro
la morte del peccato, un pegno, una caparra
di sua salute e di sua beatitudine eterna.
Frequenza alla santa comunione.
Questi frutti maravigliosi che si ricevono
dalla SS. Eucaristia, devono ispirarti il desi-
derio di accostarviti colla massima frequenza.
Comincerò a dirti quanto le costituzioni pre-
scrivono a questo proposito; poi ti darò alcuni
ammaestramenti riguardo alla frequenza e
riguardo al modo di fare la comunione sem-
pre con maggior frutto. La nostra regola dice
che i sacerdoti celebrino ogni giorno, e che gli
altri si accostino alla sacra mensa con fre-
quenza, anzi, se è possibile, ogni giorno. Ma
vorrei che ponessi ben mente alle parole es-
presse nella regola: se è possibile, ogni giorno.
Queste parole delle costituzioni, senza obbliga-
re, esprimono il desiderio del legislatore, che
si vada alla santa comunione quotidianamente;
però in questo sta' completamente a quanto ti
dirà il confessore, col consenso del quale non
devi aver timore di sorta. E ricorda special-
— 1097 —
mente che vi devi andare con gran desiderio.
La regola ci vuole « convenientemente dispo-
sti ». Pensa che col ricevere quotidianamente e
fervorosamente la SS. Eucaristia, l'unione con
Gesù si fa più stretta, la vita spirituale viene
alimentata più abbondantemente, l'anima vien
più riccamente ornandosi di virtù, e lo stesso
pegno dell'eterna felicità vien dato più sicu-
ramente a chi con tanta frequenza lo riceve.
Intenzione di Gesù su questa frequenza.
E quale consiglio generale si può dare a
questo riguardo? Il consiglio è assoluto e
chiaro. Vediamo quale sia a questo riguardo
l'intenzione di Gesù nello stabilire tale sacra-
mento, e della Chiesa nel proporcelo; e tu fa
secondo che Gesù desidera e secondo che la
Chiesa raccomanda. Non una volta soltanto
nè velatamente, Gesù insinuò la necessità di
mangiare spesso delle sue carni e di bere il
suo sangue. Soprattutto lo fece con queste pa-
role: « Questo è quel pane che è disceso dal
cielo. Non sarà come dei padri vostri che
mangiarono la maona e morirono; chi man-
gia di questo pane vivrà in eterno » (1). Da
questo paragone del cibo angelico col pane
e colla manna, facilmente potevasi compren-
(1) • Hic est panis qui de coelo descendit. Non
sicut manducaverunt patres vestri manna et mortui
sunt; qui manducat hunc panem vivet in aeternum »
(S. Giov., YI, 59).

56.4 Page 554

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— 1098 —
dere dai discepoli, che siccome il corpo si nu-
tre ogni giorno di pane, e gli Ebrei del deser-
to si cibavano ogni giorno di manna, così l'a-
nima cristiana, può cibarsi e ristorarsi quo-
tidianamente col pane celeste. Inoltre nell'ora-
zione domenicale noi chiediamo al Signore
il nostro pane quotidiano. I santi Padri quasi
unanimemente insegnano, che questa espres-
sione non devesi tanto intendere del pane ma-
teriale, nutrimento del corpo, quanto del pa-
ne eucaristico da riceversi quotidianamente.
Ed invero là ove San Luca (XVII, 3) dice:
Dacci oggi il nostro pane quotidiano, San
Matteo (VI, li) dice: Dacci oggi il nostro pane
soprasostanziale. Quale sarà questo pane so-
prasostanziale, che Gesù c'insegna a chiedere
al Padre, se non la santa eucaristia? Eppure
ci si indica di domandarlo per tutti i giorni,
quotidianum! L'intenzione di Gesù si ricava
anche chiaramente dall'uso dei primitivi fede-
li. Sappiamo con certezza dalla storia eccle-
siastica, e dai medesimi Atti Apostolici, che
i primitivi fedeli andavano tutti i giorni alla
santa comunione. Gli Atti Apostolici dicono:
erano assidui alle istruzioni degli apostoli, e
alla comune frazione del pane (1).
Da chi impararono i primitivi fedeli a far
la comunione quotidiana? Certo dagli Aposto-
li! E certamente gli Apostoli non la introdus-
(1) «Erant perseverantes in dootrina Apostolorum
et oommunieationo fractionis pania » ( A d a Ap., II, 42).
— 109 —
sero da sè, ma perchè sapevano chiaramente
questa essere l'intenzione di Gesù. Anzi lo fe-
cero certamente in conseguenza delle istruzioni
ed ammaestramenti che ebbero da Gesù me-
desimo. Pertanto l'intenzione di Gesù è che si
vada tutti i giorni alla santa comunione.
Ciò che ne dicono i santi Padri.
Sant'Ambrogio conferma così una tal dot-
trina universale: «Se questo è il pane quoti-
diano, perchè non lo mangiate voi se non
alla fine dell'anno? Ricevetelo ogni giorno,
affinchè ogni giorno vi sia utile. Vivete in
modo che meritiate di riceverlo ogni giorno.
Chi non merita di riceverlo ogni giorno non
merita di riceverlo neppure alla fine di un
anno ». Secondo Sant'Agostino, come pure se-
condo San Cipriano, San Giovanni Crisosto-
mo, San Girolamo, uno non si deve privare
della comunione nel giorno della celebrazione
dei misteri, se non quando si sente colpevole
di un qualche peccato mortale. « Perchè dun-
que scandalizzarsi, esclama l'insigne vescovo
Mons. Fénelon, quando si vedono dei buoni
laici, che per meglio vincere le loro imper-
fezioni, e per meglio superare le tentazioni
del secolo corrotto, vogliono nutrirsi ogni gior-
no di Gesù Cristo? Se si aspettasse per comu-
nicarsi ogni giorno d'essere esenti dalle im-
perfezioni, s'aspetterebbe senza fine ». Iddio

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— 1100 —
ha voluto, come dice Sant'Agostino, che fossi-
mo ridotti a vivere umilmente, sotto il giogo
della confessione giornaliera dei nostri peccati.
San Giovanni dice, senza eccettuare veruno:
Se noi diciamo di non aver peccati, ingannia-
mo noi medesimi, e la verità non è in noi (1).
Se diciamo di non aver peccati, facciamo Dio
mentitore, e la verità non è in noi. E l'aposto-
lo San Giacomo ci grida: Noi tutti commet-
tiamo molti falli (2). Se si aspettasse pertan-
to a non aver più alcun peccato per comu-
nicarci quotidianamente, dovremmo aspettare
sempre. Si noti solo che qui non si parla di
chi commette i peccati apposta, ad occhi aper-
ti; di chi cioè non cerca di conformare la sua
vita alla vita di Gesù Cristo; bensì parliamo
di quelle anime che sentono le loro imperfe-
zioni, i loro difetti, e vogliono correggersene
per mezzo del nutrimento celeste. Ma esse so-
no imperfette, si dirà. Appunto si comunicano
per diventar perfette! Sant'Ambrogio non di-
ceva egli, che il peccato è la nostra piaga, e
il rimedio sta nel celeste e vero sacramento?
Comunicatevi adunque, come gli Apostoli han-
no fatto comunicare i primitivi cristiani! La-
sciate ragionare coloro che vorrebbero rifor-
mar tutto secondo i loro concetti: voi state a
quanto insegnarono e fecero praticare gli Apo-
ti) « Si dixerimus quia peccatum non habemus,
ipsi nos eednoimus, et veritas in nobis non est > (Giov.,
I, 8).
(2) « In multis oUendimns omnes • (S. GIAC., I l i , 2).
— 1101 —
stoli, e mangiate il pane quotidiano, affinchè
vivendo di Gesù Cristo viviate per lui. E tu
tieni senz'altro con Fénelon, che: « Se Gesù
Cristo a noi si dona sotto le specie del pane
che è l'alimento più familiare dell'uomo, lo fa
per addimesticarci col suo corpo risuscitato e
glorioso». (Lettere sulla frequente comunione).
Tieni con San Giovanni Grisostomo, che: «la
temerità non consiste nell'accostarsi troppo
spesso alla mensa del Signore, ma nell'acco-
starsi malamente; che la purità della coscien-
za è quella che segna il tempo dell'accostar-
visi... Pei veri fedeli la Pasqua dura tutto l'an-
no » (Hom., I, in Cap. 2. Ep. ad Timoth.).
Raccomandazioni della Chiesa sulla fre-
quente comunione.
Quali sono le raccomandazioni della Chie-
sa? Essa non solo approva, ma raccomandò
sempre questa pratica dei primitivi cristiani.
I vescovi della cristianità, radunati nel conci-
lio di Trento, dichiararono formalmente l'in-
tenzione della Chiesa essere che i fedeli assi-
stano ogni giorno alla santa messa. E poi for-
mularono e promulgarono questo canone:
(Sess. 22, con. 6) « Desidererebbe il sacrosanto
sinodo, che ad ogni messa i fedeli che vi as-
sistono si comunicassero, non solo spiritual-
mente, ma anche sacramentalmente ». E nota
bene, che qui noa si parla a religiosi, ma a

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tutti gli uomini e donne del mondo: scienzia-
ti, mercanti, industriali, impiegati, bottegai,
ecc. Ora se è così, come dovremmo esser d'ac-
cordo., noi religiosi, a non volerci lasciar pas-
sare avanti dai semplici fedeli! Noi che sia-
mo entrati in congregazione per imitare la
vita degli Apostoli e per riprodurre in terra
il fervore dei primi cristiani! Vedi adunque
se non aveva ragione Don Bosco d'inculcare ai
suoi giovani, e più ancora ai membri della
nostra pia società, la comunione frequente
ed anche quotidiana; e non solo d'inculcarla,
ma di porre la comunione frequente come ba-
se del suo sistema educativo. Io pertanto te
la raccomando quanto so e posso, affinchè,
col permesso del tuo confessore, cominci su-
bito, e faccia un fermissimo proposito di non
voler lasciar mai una volta in tutta la tua vi-
ta,, per quanto dipende da te, di accostarti al-
la sacra mensa eucaristica. È chiaro che il
concilio tridentino per la comunione quotidia-
na non richiedeva santità eminente, la quale
non è mai nelle masse; nè preparazione straor-
dinaria, impossibile a farsi generalmente;
ma bensì solo una buona condotta generale,
ncn aver colpa mortale, e una preparazione
ordinaria. Quelli che volessero concedere la
comunione quotidiana solo a coloro che aspi-
rano con tutte le forze alla perfezione cristia-
na. e che per farla così frequente richiedesse-
ro una grande e squisita preparazione, non
concorderebbero con la comune dottrina dei
Santi Padri, collo stesso concilio di Trento,
e col catechismo romano; e si troverebbero
in contraddizione colla pratica antica della
Chiesa.
Fine principale della santa comunione.
Il desiderio di Gesù e della Chiesa che tut-
ti i fedeli cristiani si accostino ogni giorno al-
la sacra mensa, a questo mira specialmente:
che i fedeli cristiani, uniti a Dio per mezzo
del sacramento, ne ricavino la forza a frenare
la concupiscenza, ad astergere le colpe venia-
li, che si commettono ogni giorno, e ad evitare
i peccati mortali ai quali la fragilità umana
va soggetta. Non è già fine principale che si
provveda all'onore ed alla venerazione del Si-
gnore; nè esso deve essere per quelli che lo
ricevono quasi un premio delle loro virtù
(S. Agost., Ser. 57 in Matth. de orat. Dom. V,
7). Per questo il sacro concilio di Trento chia-
ma la santissima eucaristia « un antitodo pel
quale siamo mondati dalle colpe quotidiane,
e preservati dai peccati mortali » (Sess. 13,
cap. 2).
Don Bosco e la comunione frequente.
Don Bosco può considerarsi come un gran-
de apostolo della comunione frequente. Egli
voleva bensì che i suoi figliuoli facessero

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— 1104 —
quanto potevano per prepararsi bene, ma si
contentava di ciò che ciascuno poteva dare.
Quel che voleva era una certa santità di vita
adatta alla stato di giovanetti: cioè che pro-
curassero di non far mancanze avvertite, e che
commesso un difetto ne fossero malcontenti.
E poi. pur cercando con mille mezzi di ottene-
re molto da chi poteva dar molto, si contenta-
va dei volenterosi piccoli sforzi da chi non po-
teva dare di più. E continuava ad inculcare a
tutti, ed a permettere ai più, la comunione
anche quotidiana. E quando qualcuno gli do-
mandava con qual frequenza doveva fare la
santa comunione, la sua risposta ordinaria
era: «Fatti coraggio; procura di star buono;
e va' pure alla comunione tutte le volte che
hai la coscienza tranquilla ». Egli credeva, con
tutta la tradizione, che l'adorabile eucaristia
è il pane quotidiano che domandiamo a Dio
nell'orazione domenicale. Egli era perfetta-
mente convinto che la divina eucaristia è il
fondamento della vita cristiana, il segreto di
tutti i portenti di fede, d'abnegazione e di sa-
crifizio che il cattolicismo produce ogni gior-
no sotto gli occhi del mondo, così avvezzo a
vederne che più non si stupisce; il focolare,
a cui si accende il disinteresse degli apostoli,
la costanza dei martiri, la generosità dei con-
fessori, la purità delle vergini. L'eucaristia è
detta a ragione il pane dei forti; il vino che
fa germinare la verginità. Così la credeva
Don Bosco con tutti i santi. Perciò permetti-
— 11
mi che con molta maggior ragione anch'io
concluda per te con le parole di Don Bosco:
Fatti coraggio, procura di star buono, e va'
pure alla santa comunione tutte le volte che
hai la coscienza tranquilla.
« Compello intrare »: spingo ad entrare.
Come gl'Israeliti nel deserto avevano cura
tutti i giorni di raccogliere la manna che era
figura dell'eucaristia, così noi chiusi nella no-
stra mistica solitudine dobbiamo desiderare
niente di più, che di poter raccogliere tutti i
giorni nell'anima nostra questa manna celeste,
onde sostenere meglio la nostra vita di sacri-
ficio, e progredire vigorosamente nel cammino
della santità. Per certo io non t'inculco mai la
comunione quotidiana, senza insistere sul pun-
to d'aver l'anima monda da peccato, e di pre-
pararti convenientemente! Piuttosto di far co-
munioni sacrileghe è meglio non andar nep-
pure a far la comunione pasquale. E piuttosto
di farle malamente, solo per abitudine, è me-
glio ritardare quanto si vuole. Ma io dico ed
insisto che tu faccia sforzi per essere prepa-
rato il meglio che puoi, e che cerchi di non
lasciare mai una volta la santa comunione.
Che se qualcuno mi dicesse che io insisto so-
verchiamente, che con questo mi rendo im-
portuno, io replicherei le parole del Vangelo,
dove Gesù racconta la parabola degli invitati

56.8 Page 558

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— 1106 —
al gran banchetto. Siccome erano troppo
pochi gli intervenuti, il padrone mandò fuo-
ri a cercare chi si trovasse, e diede ordine ai
servi dicendo insistente: Costringeteli ad en-
fiare: compelle intrare. L'unica condizione
era, che avessero la veste nuziale, il che si-
gnifica aver l'anima in grazia di Dio.
Parole e pratica dei santi.
Dopo tutto ciò, spero che nessuno mi vor-
rà condannare, se, appigliandomi senza re-
strizione alla dottrina di San Tommaso, io
non consiglierò neppure, che uno si astenga
qualche volta dalla comunione per semplice
atto di rispetto. È bensì vero che Sant'Alfon-
so e San Francesco di Sales non biasimavano
tale astensione; ma è anche vero che essi
per se stessi non volevano astenersene, neppu-
re lina volta in tutto l'anno, neppure al ve-
nerdì santo, giorno in cui la comunione non è
permessa se non per viatico, eccetto quella
che fa il sacerdote che celebra la messa in
quel giorno, coi presantificati. E si legge in-
fatti nella vita di Sant'Alfonso scritta dal pa-
dre Tannoja, che alle volte, trovandosi in mis-
sione nella settimana santa, procurava di tor-
nare in quel giorno a casa, per poter celebra-
re e non rimaner privo in alcun giorno del
-=-1107 -
pane eucaristico. San Giovanni Batt. Vianney,
curato d'Ars, inculcava la comunione frequen-
te e quotidiana con queste parole: « Andate
alla comunione, fratelli miei, andate a Gesù
con amore e fiducia. Andate a vivere di lui
se volete vivere per lui. Nè state a dirmi clic
avete troppo da fare. Il divin Salvatore ' ha
detto: Venite a me voi tutti che siete in trava-
glio, o più non reggete al peso della fatica;
venite ed io vi ristorerò. Potrete voi resiste-
re ad un invito così pieno di tenerezza e di
amicizia?! Non dite di non esserne degni. È
vero, non ne siamo degni, ma ne abbiamo bi-
sogno. Se il Signor nostro avesse guardato
al nostro merito, non avrebbe istituito mai
questo gran sacramento di amore, poiché nes-
suno al mondo ne è degno, nè i santi nè gli
angeli, nè la SS. Vergine stessa; ma egli ha
guardato i nostri bisogni e noi tutti ne abbi-
sognamo. Neppur ditemi: Son troppo cattivo,
ho troppe miserie, perciò non oso accostarmi
con frequenza; sarebbe quanto dirmi: Son
troppo ammalato, e perciò non voglio nè medi-
co nè medicine! Era la comunione quotidiana
che rendeva i primitivi fedeli sì pazienti nel-
le afflizioni, sì zelanti per la gloria di Dio,
sì rassegnati alla sua volontà, sì caritatevoli
verso il prossimo, sì distaccati dai beni di
questa terra, sempre pronti a sopportare il
martirio. È la comunione quotidiana che ha
da far correr noi nella via della perfezione.

56.9 Page 559

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108 —
Preparazione alla comunione quotidiana.
San Francesco di Sales spiega qual pre-
parazione si richieda per la comunione fre-
quente e quotidiana. Dice che per primo bi-
sogna non avere peccati mortali, e per se-
condo non avere affetto al peccato veniale.
Qui c'è da capire bene che cosa voglia dire
affetto al peccato veniale. Quando uno com-
mette delle venialità, ma se ne pente e pro-
mette subito di non volerle far più, dimostra
che non ha affetto ai peccati veniali. Per-
ciò anche essendo caduto in qualcuno di es-
si può andare alla comunione. Quando in-
vece uno ha dei difetti, ma perchè sa non
esser peccati mortali non cerca di corregger-
sene, ed ha la volontà disposta a farli ancora
altre volte, allora è da temere che abbia affet-
to a questi peccati veniali, e fin che dura
questo affetto non sarebbe prudente suggerir-
gli di fare la comunione quotidiana.
Ciò che dice il decreto della Sacra Congre-
gazione.
Godo di trovar conferma di quanto ti ho
esposto sopra, nel decreto della Sacra Congre-
gazione del Concilio, in data 20 die. 1905. Giu-
dico pregio dell'opera riportarne qui gli arti-
coli principali. Questo decreto dimostra an-
zitutto, essere stata intenzione di Gesù nello
stabilire il sacramento dell'eucaristia che i
fedeli vi partecipassero tutti i giorni. Poi per
riguardo alla preparazione necessaria soggiun-
ge, che, essendo insorte controversie tra i me-
desimi teologi, la detta Congregazione del Con-
cilio presentò al santo padre Papa Pio X la
questione, affinchè egli con la suprema sua
autorità,'si degnasse di scioglierla. Ciò nel
desiderio che quest'uso salutare e carissimo
a Dio della comunione quotidiana, non solo
non abbia a diminuire tra i fedeli, ma piut-
tosto si accresca e dovunque si propaghi, in
questi giorni specialmente nei quali la reli-
gione e la fede cattolica vengono da ogni parte
assalite, e il vero amor di Dio e la pietà la-
sciano non poco a desiderare. Sua santità,
avendo sommamente a cuore, nella sua sol-
lecitudine e nel suo zelo, che il popolo cri-
stiano sia invitato più frequentemente che si
possa ed anche quotidianamente alla sacra
mensa, e goda dei suoi frutti amplissimi, ra-
tificò, confermò e ordinò che si pubblicasse-
ro le ordinazioni di detta Sacra Congregazio-
ne del Concilio, la quale, tra le altre cose, ha
stabilito quanto segue:
«a) La comunione frequente e quotidia-
na, come sommamente desiderata da nostro
Signor Gesù Cristo e dalla Chiesa cattolica,
sia permessa a tutti i fedeli di qualunque
ordine e condizione, così che nessuno, che sia
in istato di grazia e si accosti alla sacra men-

56.10 Page 560

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— .1110 -
sa con intenzione retta e pia, possa esserne
impedito.
« b) L'intenzione retta e pia sta in ciò.
che chi si accosta alla sacra mensa non lo
faccia per abitudine, per vanità, o per ragioni
umane, ma con animo di soddisfare alla vo-
lontà di Dio, di congiungersi a lui con più
intima carità, di rimediare con quel farma-
co divino alle sue infermità ed ai suoi difetti.
« c) Quantunque sia sommamente conve-
niente che quelli i quali si comunicano quo-
tidianamente siano scevri da colpe veniali,
almeno da quelle pienamente deliberate, e dal-
1 affetto a quelle, tuttavia è sufficiente che sia-
no liberi da colpe mortali, insieme col pro-
posito di non peccar più in avvenire. Con
questo sincero proponimento, non può essere
che quelli i quali si comunicano quotidiana-
mente a poco a poco non si liberino dai pec-
cati anche veniali e dall'affetto ad essi.
« ci) E poiché i sacramenti della nuova
legge, sebbene conseguano il loro effetto ex
opere operato, ciò nondimeno producono un
effetto maggiore a proporzione delle migliori
disposizioni che si hanno nel riceverli, per
questo è da procurarsi, che alla santa comu-
nione preceda una diligente preparazione, e
segua una conveniente azione di grazie, se-
condo la capacità, la condizione e le occupa-
zioni di ciascuno.
« e) Affinchè la comunione feqnente e
quotidiana si faccia con maggior sicurezza
— 1111 —
ed abbia merito maggiore, è necessario che
v'intervenga il consiglio del confessore ». Fin
qui 1 accennato decreto.
Non portare scuse
Sforzati pertanto, o mio buon amico, eli
emendarti sodamente dei tuoi difetti, e po-
niti con proposito deliberato di far la santa
comunione, frequente, e possibilmente quoti-
diana. E non istare a portarmi scuse o ragioni
in contrario. Esse devono scomparire davanti al
desiderio vivissimo di Gesù, di venir ad arric-
chirti dei suoi doni e delle sue grazie, ed ai
pressanti inviti della Chiesa. Gemi tu, ad esem-
pio, per non avere molta divozione? Bisogna che
ti accosti alla santa comunione, che è fuoco con-
sumatore, capace d'infiammace i cuori più tie-
pidi. Ti senti troppo pieno di debolezze o d'im-
perfezioni o d'aridità? Ricorri alla santa co-
munione: è il pane dei forti, il latte dei debo-
li, il rimedio per gli ammalati, l'energia dei
viaggiatori che desiderano di avanzarsi nel-
la via della perfezione. Hai forse orribili ten-
tazioni, e specialmente contro la fede o la
purità? Senti le altre passioni far tumulto
nell'anima tua? Il frumento degli eletti, il
vino che fa germogliare i vergini produrrà in
te casti pensieri, desideri santi, affezioni tut-
te regolate ed angeliche. Provi forse troppo
attacco ai parenti, alle cose terrene, o a te

57 Pages 561-570

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57.1 Page 561

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stesso? L'eucaristia è il pane disceso dal cie-
lo, che t'inspirerà un gran distacco dalle
creature, un desiderio sempre crescente della
vita eterna. Ma tu mi dirai: Io non sono ab-
bastanza preparato per fare la comunione
quotidiana. È appunto perchè ti possa prepa-
rar meglio che bisogna andarvi! Niente più ti
disporrà alla comunione di domani che la
comunione d'oggi. Se tu attendessi un anno
intero col pretesto di prepararti meglio, al
fin dell'anno saresti meno p r e p a r a t o di quel
che eri al principio. La priacipal preparazio-
ne deve venire da Dio stesso, perchè egli so-
lo può ornare la dimora, che per sua immensa
bontà, egli si scelse. Ora più" egli entra in
un'anima colla comunione e più la dispone
a riceverlo degnamente. Nè dirmi: Io non fo
abbastanza profitto nella via della virtù: io
mi vedo sempre lo stesso, e temo, perchè il
non avanzarsi nella perfezione è tornare in-
dietro. No, io t'invito anzi a farti coraggio,
chè a poco a poco il progresso lo vedrai. Non
ti fa bisogno di vederlo lì p e r lì: d ' a l t r o n d e
io ti dico schiettamente che se è vero che il
non progredire è un regresso, dal momento
in cui tu non vedi regresso è segno che pro-
gredisci. Il rimedio che preserva dal cader
ammalato, non è certo meno utile di quello
che guarisce la malattia già contratta. D'al-
tronde già ti dissi che la comunione quotidia-
na non è stabilita come premio degli sforzi
fatti, bensì come antidoto per non più cadere;
è come corroborante per poter essere sempre
più forti in seguito. Temi tu forse col co-
municarti tutti i giorni, di perdere il rispet-
to dovuto a questo sì grande sacramento?
Questo sarebbe dimenticare che esso aumenta
la carità, e che con la carità si sviluppa pu-
re il rispetto, il t i m o r filiale, e le altre virtù.
Non avviene dei beni celesti ciò che avviene
dei beni terreni, nei quali con l'uso diminuisce
il gusto e il desiderio! Dei beni celesti avviene
il contrario: p r i m a d'averli gustati se ne ha
poca attrattiva; ma a proporzione che essi
si conoscono meglio e che si godono, si desi-
derano più fortemente e si gustano più de-
liziosamente. Perciò il Signore ci invita di-
cendo: gustate et videte. Se p e r t a n t o io non
condanno coloro che avevaao per sistema di
astenersi qualche volta dalla santa comunione
per rispetto, dico tuttavia che è meglio acco-
starvisi per affezione e con confidenza, poi-
ché le azioni che son fatte per amore, valgono
meglio di quelle in cui predomina il timore.
Appoggio dell'esperienza.
L'esperienza viene in appoggio a tutte
queste ragioni. Essa ci fa vedere che i reli-
giosi i quali frequentano la santa comunione,
diventano più regolari e più virtuosi, e che
quelli che se ne allontanano o la fanno appe-
na di rado, diventano negligenti e dissipa-

57.2 Page 562

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1114 —
ti. È questo un fatto che occorre osservar be-
ne, anche nei giovani dei nostri collegi: dove
si fan tutti gli sforzi, e si prendono tutti i
mezzi per ottenere la comunione frequente,
quivi si ha virtù e si procede bene; dove in-
vece non si pone questo impegno, e non si
ottiene questa frequenza, si vedono i giovani
mal incamminati, che dànno dei fastidi, ed
abbisognano di castighi. Il frutto che si trae
dalla comunione frequente è un segno evi-
dente che è bene il continuarla.
Ma abbi retta intenzione e purità di co-
scienza.
Ma se io ti spingo tanto alla comunione
frequente ed anche alla quotidiana, intendo
pure che tu prenda i mezzi per comunicarti
veramente bene e con profitto. E per prima
ccsa, procura di avere una grande purità di
intenzione e di partecipare alle intenzioni per
cui nostro Signore ha istituito il sacramento,
cioè di trasformarci in lui, e di perpetuare la
memoria della sua passione e morte, come
ci comandò Egli stesso. E per seconda cosa
procura in te una grande purità di coscien-
za; non solo sii puro da peccato mortale, chè
questo è di necessità assoluta per non fare
un orribile sacrilegio, ma ancora detesta for-
temente ogni peccato veniale, e, per quanto
puoi, non commetterne nessuno. Non saremo
111 —
mai abbastanza fervorosi, non avremo mai il
cuore abbastnza puro per ricevere il Santo
dei Santi, colui che persino nei suoi angeli
trova delle macchie; ma che almeno detestia-
mo con tutte le nostre forze ogni colpa av-
vertita.
Tre altri mezzi.
Ad ottenere un effetto sempre più sicuro
e consolante dalle tue comunioni, prendi an-
cora questi tre mezzi che ti suggerisco qui,
e posso assicurarti a nome di Dio che tu pre-
sto ti farai santo. Ravviva dunque la fede,
e per primo mezzo particolare pensa che è
proprio Gesù che viene in te. Figùrati che
sia Maria SS. che ti cede un po' di tempo
tra le braccia Gesù benedetto; ovvero San
Giuseppe che te lo porge raccomandandoti
di trattarlo delicatamente. Sì, è proprio Ge-
sù che viene in te, pronto a farti santo se tu
lo ascolti, pronto a produrre in te miracoli
di virtù, se tu insisti per averli, e sei docile
nel seguire le buone ispirazioni. La seconda
cosa che ti suggerisco è questa: giorno per
giorno, prima di ricevere Gesù, pensa quale
difetto vi sia nel tuo cuore per cui Gesù ab-
bia da venire poco volentieri in te, prometti
fermamente di volerlo sradicare, e domandane
la grazia a Gesù stesso. E dopo d'averlo ri-
cevuto in te, pensa un momento quale sia la

57.3 Page 563

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— 1116 —
virtù che il Signore sta cercando di più nel
tuo cuore e che non trova, o la trova sbia-
dita, e prometti di voler vela mettere a tutti
i costi. E conoscendo la tua debolezza, che
dici e non fai, interessa Gesù medesimo ad
aiutarti efficacemente, e prendi subito i mezzi
pratici ed energici per riuscirvi. La terza
cosa che ti suggerisco pure caldissimamente
si è, che tu metta la comunione come il centro
della giornata. È indubitato che l'ora della
comunione è senza paragone la più preziosa
tra tutte le ventiquattro ore della giornata
È indubitato che noi tutti dobbiamo vivere
per Gesù; che Gesù, anche dopo consumate
le specie sacramentali, fa dimora in te con
grazie speciali. Dunque è cosa ben conve-
niente che tu subordini tutte le azioni della
giornata alla santa comunione. Perciò dal
momento della comunione fino a sera dopo
le orazioni, proponi di voler fare le tue azio-
ni in modo che possano servire di ringrazia-
mento a Gesù che venne a te. Pensaci lungo
il giorno, dicendo: Voglio che Gesù sia con-
tento di me; stamane venne nel mio cuore,
voglio che quest'azione sia fatta per ringra-
ziarlo. Alla sera dopo le orazioni, dopo i pic-
coli ricordi che dànno i superiori, inginoc-
chiati ancora un momento prima di partir
di chiesa e comincia a pensare alla comu-
nione del domani: alla fortuna che si ha di
poter di nuovo andare il giorno dopo a ri-
cevere Gesù. Digli: Vi lascio, o Signore, il
1117
mio cuore perchè lo prepariate. E poi rac-
colto va' in camera, pensando alla comu-
nione del domani. Procura di addormentarti
con questi pensieri. Se per buona sorte ti
svegliassi la notte, il medesimo pensiero oc-
cupi sùbito la tua mente. Al mattino, ap-
pena desto, ed anche nella meditazione pensa
a questo; così nelle varie piccole azioni prima
di messa sta' fisso in sì santo pensiero. In tal
modo tu vivrai in un continuo ringrazia-
mento delle comunioni fatte, e in una con-
tinua preparazione a quelle che devono ben
presto seguire. Io ti posso assicurare che se
tu sarai perseverante nel fare la tua comu-
nione tutti i giorni, e nelle tue comunioni
procurerai d'adottare questi mezzi, tu in breve
progredirai nella virtù, persevererai nella vo-
cazione, ed il Signore ti sceglierà per sal-
vare molte anime.
CAPO X
L'ESAME DI COSCIENZA
Sua necessità.
L'esame di coscienza è uno dei mezzi piti
efficaci per purificare l'anima dai suoi di-
fetti, perchè discopre le interne radici e le
occasioni esterne che in essi ci fanno più

57.4 Page 564

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— 111
frequentemente cadere. È perciò uno degli
esercizi più inculcati dai maestri di spirito,
più praticato dai religiosi, uno dei più im-
portanti della giornata, che, se si pratica
bene, produrrà senza dubbio grandissimo pro-
fitto. Si può ritenere giustamente che tutti
quelli i quali trascurano l'esame di coscienza
restano stazionari nel cammino della virtù,
se pure non retrocedono; mentre quelli che
lo praticano con una costante applicazione
fanno necessariamente progresso. San Fran-
cesco di Sales raccomanda molto questo esa-
me, e soggiunge che bisogna andare a letto
come al confessionale, dopo d'essersi esami-
nati. I commercianti contano tutte le sere le
loro entrate e le loro uscite. L'anima che
vuol guadagnare il cielo, deve fare altret-
tanto: esaminare bene alla sera tutte le per-
dite fatte, affine di ripararle. Esàminati per-
tanto alla sera, prima di andare a dormire,
su tutti i mancamenti della giornata, sia in
pensieri che in parole, in opere ed omissioni.
Trascorri così colla memoria tutte le azioni
principali fatte dalla sera antecedente a que-
sto momento dell'esame.
Nostri debiti quotidiani
Per essere eccitati a far questo esame e
prendere forza a farlo bene, bisogna anzi-
tutto capire e persuadersi, che ogni dì noi
— 1119 —
facciamo, oltre agli altri antichi, due nuovi
debiti col Signore, sebbene molto differenti e
per titoli molto diversi. Il primo debito è per
i benefici innumerabili che da lui quotidia-
namente riceviamo: il secondo è per i nostri
innumerevoli difetti, trasgressioni, divagazioni,
sbadataggini, disattenzioni, mancanza di ener-
gia nelle pratiche religiose, e nel cercar di
vincere i nostri difetti; e voglia il Signore
che non sia qualche volta con peccati av-
vertiti e gravi! Il primo debito si paga col
ringraziamento, il secondo col dolore. È giu-
sto pertanto che ogni giorno prima d'andare
a riposo li paghiamo tutti e due. Pagherai
il primo col recitare con ispecial devozione
le preghiere della sera; pagherai il secondo
coli'esame seguito dall'atto di contrizione.
L'esame generale.
Nell'esaminarti. nota che se trovi qualche
cosa buona in te, l'hai da attribuire a Dio
con gratitudine, mentre il male non devi
scusarlo, ma attribuirlo tutto a te, alla tua
negligenza, alla tua poca attenzione, al tuo
poco zelo. In questo esame passa in rassegna
tutte le azioni principali della giornata, e spe-
cialmente il proponimento della meditazione,
e quelli fatti in occasione dell'ultima confes-
sione, per vedere se li hai osservati. General-
mente per l'esame quotidiano basta quel mo-

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mento che si lascia a tale scopo nelle ora-
zioni comuni. Ma se in quello non hai po-
tuto riflettere abbastanza, rifallo prima d an-
dare a dormire, quando inginocchiato accanto
al letto sei per dire le tre Ave Maria. Atto
essenziale, che deve seguire l'esame di co-
scienza, è appunto l'atto di contrizione, unito
ad un fermo proponimento di non più ri-
cadere. Disgraziata l'anima, che non sente
in sè gran dispiacere dopo che ha offeso Id-
dio, fosse pur solo con una piccola venialità
avvertita. Dopo l'esame, dice San Leonardo
da Porto Maurizio, figurati di confessare al
Signore i mancamenti fatti, e imponiti da
te stesso la penitenza. Poi inviluppa così in
blocco tutti i difetti della giornata in un
atto di contrizione, e gettali nella fornace
della misericordia di Dio, perchè ivi restino
consumati.
L'esame particolare.
Questo, di cui ti parlai finora, è quello
che si dice l'esame generale della coscienza:
e si dice generale perchè cerca tutti i manca-
menti della giornata, di qualunque sorta sia-
no. Vi è un altro esame da farsi, e che non
ha minore importanza: si chiama ordinaria-
mente esame particolare. Questo si può fare
in qualunque momento della giornata ed an-
che molte volte nella giornata stessa, sebbene
nelle comunità si usi fare prima di pranzo.
Questo esame si dice particolare perchè si oc-
cupa di un difetto solo, e consiste nell'esa-
minarci sul nostro difetto principale, quello
che si prese a combattere nel mese. Ognuno
ordinariamente ha qualche difetto o peccato
in cui cade più facilmente, o qualche pro-
pensione cattiva, che per lui è la cagione e
la radice degli altri mali. L'esame partico-
lare consiste nel determinare bene quale di-
fetto o quale abitudine si vuol distruggere, e
quindi nel rendersi conto, almeno una volta al
giorno, delle lòtte che si sono sostenute con-
tro quel difetto, delle vittorie che si sono ri-
portate, delle sconfitte che si sono ricevute.
E benché in alcuni siano vari i principali
vizi o difetti, conviene nondimeno prenderne
di mira uno solo per volta, per poterlo estir-
pare con sicurezza. È necessario soprattutto
che ti applichi a ben conoscere la radice e
la sorgente di quel difetto che ti predomina.
E non contentarti di riformare solamente
l'esteriore, ma va' a fondo nell'anima tua,
e cerca di svellere fino le radici del male.
L'esame particolare fatto seriamente, anche
solo durante un mese, dà alla fine di questo
mese risultati meravigliosi. Pertanto, mese
per mese, nell'Esercizio di Buona Morte, sce-
gli uno dei tuoi difetti, e d'accordo col mae-
stro proponiti di combatterlo fortemente per
tutto il mese. Ogni giorno in una visita al
SS. Sacramento esaminati su quel difetto, e

57.6 Page 566

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sii energico nei volerlo a tutti i eosti sra-
dicare. Comincia dallo sradicare quelli più
appariscenti, i quali possono offendere il pros-
simo o scandalizzarlo. Non cambiare il sog-
getto dell'esame finché non hai distrutto, o
almeno grandemente indebolito, quel difetto
che ti sei proposto di combattere. Se il mae-
stro lo giudica conveniente sègnati tutti i
giorni su di un quadernetto apposito e molto
esattamente i risultati del tuo esame, e ob-
bligati a presentarlo alla fine di ogni setti-
mana. o almeno al termine d'ogni mese, al
maestro. Imponiti ogni giorno qualche mor-
tificazione in rapporto al difetto che vuoi
combattere e alla virtù che vuoi acquistare.
Non contentarti di gemere dinanzi a Dio
delle tue infedeltà, delle tue debolezze, della
tua tiepidezza; punisciti! Saranno piccolissime
cose, ma osservate costantemente produrran-
no gran frutto.
Modo di far l'esame particolare.
Un buon modo di fare bene l'esame par-
ticolare di coscienza è il seguente. Anzitutto
figùrati di essere alla presenza di Dio, e do-
mandagli lume per conoscere i tuoi manca-
menti, grazia per comprenderne la bruttezza
e vedere tutto il torto che gli fai. Quindi do-
màndati ragione di ogni ora della giornata,
delle occasioni che hai avute, delle cadute
11 —
fatte, delle debolezze di cui hai da rimprove-
rarti, delle vittorie riportate, segna il numero
delle cadute ed anche delle vittorie, se così
ti consigliò il maestro. Per scuoterti pensa
che questo difetto aumenterà il tuo suppli-
zio in purgatorio e diminuirà il tuo grado di
gloria in cielo; può anche a poco a poco tra-
scinarti al peccato mortale; ti rende incapace
di elevarti alla perfezione che Dio domanda
da te; t'impedisce di fare il bene che il buon
Dio ti destinava, contrista lo Spirito Santo,
ferisce il Cuor di Gesù, e ti allontana le te-
nerezze affettuose della Beata Vergine. Indi
domanda sinceramente perdono a Dio, pro-
poniti qualche atto di espiazione e ringra-
zia il Signore di averti fatto conoscere un po'
meglio te stesso. Sarebbe anche buona cosa
fare un piccolo esame al termine di tutte le
azioni di maggior importanza della giornata,
per vedere se si fecero con quell'impegno
che era necessario. Sant'Ignazio di Loyola fa-
ceva questo esame tutte le ore, e ciò ancora
1 ultimo giorno di sua vita, e prendeva nota
dei suoi mancamenti in un quadernetto; e
questo fu uno dei mezzi che più l'aiutò a
farsi santo.
Esame di previdenza.
Vi è ancora l'esame di previdenza. Lo si
può fare utilmente al mattino, cercando di
prevedere il bene che si potrà fare lungo il

57.7 Page 567

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-=e ;1124 —
giorno, e le occasioni che ci possono far cade-
re in qualche difetto, e determinando con pre-
cisione il modo di evitar quei difetti. Tu per-
tanto bada alle difficoltà che ti occorreranno
nella emendazione dei difetti. Previeni cogli
occhi della prudenza al mattino tutte le dif-
ficoltà, gravezze, disprezzi ed occasioni d'in-
ciampare, che probabilmente ti si possono
offrir in quel giorno, attese le tue inclinazioni
ed il tuo stato ed ufficio, e le persone colle
quali devi trattare; e fa' proposito di voler
assolutamente riuscire a vincerti. Proponi in
tali occasioni di diportarti in tal modo nel-
l'umiltà e nella pazienza, in tal modo nelle
tentazioni di golosità e di impurità, in tal mo-
do nel trattare con quel tal giovane o com-
pagno, o con quel tal superiore. E ciò non fi-
dato nelle tue forze, ma in quelle che Iddio
ti darà. Fa' cioè come Gesù benedetto nel-
l'orto del Getsemani; Egli si pose avanti gli oc-
chi tutti i patimenti che in quella sera mede-
sima e nel giorno seguente doveva patire, e
li accettò con grande amore. Lottò contro il
timore e la tristezza fino a sudar sangue; ma
non desistette, e si propose di prender tutto
dalle mani del suo eterno Padre. E tutto quin-
di offerse con quella fortezza ed amore che
formerà sempre l'ammirazione degli uomini.
— 1125 —
L'esame della confessione.
Vi è poi l'esame che si fa in preparazione
alla confessione sacramentale. Per riuscire a
far bene questo esame, giova immaginare di
trovarsi avanti al divin Giudice, il quale ci
assicura, che se ci giudichiamo bene da noi,
non ci giudicherà più egli nell'estremo giudi-
zio (1). Ma bisogna che ci esaminiamo e giudi-
chiamo profondamente, come farebbe il divin
giudice medesimo. Egli dice che giudicherà
la Gerusalemme dell'anima nostra fin nei più
reconditi siti; scoprendo con luminosa lucerna
tutte le colpe che si troveranno in essa, an-
corché siano molto minute. Dobbiamo pure
esaminare, come il medesimo Signore ci am-
maestra per mezzo di Davide, non solo le ope-
re cattive ma anche le buone, nelle quali so-
gliono alle volte mescolarsi circostanze catti-
ve: ego iustitias iudicabo. E che anzi ci giu-
dicherà anche dei peccati occulti, per cui dob-
biamo domandare col salmista: mondami dai
peccati occulti. E peccati occulti sono quelli
che si commettono per ignoranza o inavver-
tenza colpevole o per illusione o inganno del
demonio, tenendoli quasi virtù: come se tu
prendessi per zelo quello che è ira, se pren-
dessi per energia e fortezza di carattere ciò
che è cocciutaggine e ostinatezza. Devi anche
(1) « Si nosmetipsos diiudicaremus, non utique
iudicaremnr • (I Cor., X I , 31).

57.8 Page 568

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— 1126
esaminarti dei peccati altrui, cioè di quelli che
altri possono aver commessi per cagion tua.
Perdona al tuo servo i peccati altrui. Ciò av-
viene specialmente a chi non è riguardoso e
delicato nei suoi modi, e così finisce per dare
vero scandalo ad altri, anche senza attual-
mente accorgersene; come di chi coi cattivi
modi eccita altri all'iracondia, a dire parole
spropositate, ecc. Fatto questo, quando si trat-
tasse di una confessione generale o annuale,
farai bene a passare uno ad uno i comanda-
menti della santa legge di Dio e della Chiesa
e le obbligazioni del proprio stato, ed i sette
vizi capitali. Ma nell'esame per le confessioni
settimanali basterà esaminarti su quelle cose
che sai già per esperienza formare il tuo de-
bole, cercando i peccati direttamente contro
Dio e poi quelli verso il prossimo, e infine ver-
so te stesso, e ciò in pensieri, in parole, in ope-
re, in omissioni. Ti sarà anche di somma uti-
lità il far servire l'esame quotidiano a prepara-
zione dell'esame per la confessione. Se tu ogni
giorno ti sei notato l'esito dell'esame quotidia-
no, il tuo esame si può dire già fatto.
Istituire un confronto.
Alla fine della settimana, nel giorno cioè in
cui vai a confessarti, confronta anche i vari
giorni, e se vedi nei tuoi difetti che ogni gior-
no della settimana hai diminuito un poco.
___ 1127 —-
danne grazie a Dio. Ma se vedessi che sei
sempre stato lo stesso, o se per disgrazia anco-
ra avessi aumentato, scuotiti bene. Pensa
quanto poco Gesù deve essere stato contento
di te in quella settimana, e fa' un proponi-
mento più serio di combattere da soldato me-
no vile nella nuova settimana, che speri il Si-
gnore ti voglia ancora concedere per emen-
darti. Figùrati anche che quella sia l'ultima
settimana che il Signore ti conceda ancora per
farti buono, e che se non vedrà emendazione
ti abbia a punire, come fece con la ficaia in-
fruttuosa (1). Questo ti servirà anche per star
più all'erta nelle tue azioni.
Come fare l'esame di coscienza.
Prima di cominciare l'esame di coscienza
per la confessione, farai bene a richiamarti i
molti benefizi ricevuti da Dio, e le obbliga-
zioni che hai di servirlo perfettamente. Poi do-
manderai lume per conoscere bene i tuoi
mancamenti. E mentre ti esamini, procura che
quest'azione non sia soltanto una ricerea spe-
culativa, ma causa di rossore e di vergogna
d'essere stato ancora così cattivo dopo tanti
benefizi ricevuti, pentendotene con tutto il
cuore.
(1) « Suecidite ergo illam; ut quid terram occupat? •
(LUCA, X I I I , 7).
37

57.9 Page 569

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— 1128 —
Formulario d'esame di coscienza.
Ora qui per aiutarti a fare un esame ge-
nerale di coscienza in occasione di esercizi di
buona morte, o degli esercizi spirituali in cui
si è soliti fare una confessione più accurata,
ti pongo un formulario adatto. Dei peccati
più gravi non bai bisogno che te ne parli. In
pochi minuti passi a rassegna i comandamenti
di Dio e della Chiesa, e ti ricordi subito se ti
occorsero cose direttamente e gravemente con-
trarie. Basta qui dare cenno per conoscere i
più ordinari mancamenti che possono com-
mettersi giorno per giorno nello stato religio-
so. Per maggior semplicità ridurrò le cose a
cinque punti.
1) Pratiche di pietà. Che stima hai delle pra-
tiche di pietà? Sei ben persuaso che meritano
la massima stima che ti sia possibile? Come
sono andate esse lungo la giornata? Le hai
fatte con fervore e costantemente? Non ne hai
mai omessa qualcuna per tua trascuratezza?
Quando non le hai potute fare in comune,
non le hai compite con negligenza, o fors'an-
che totalmente lasciate? Qual'è il tuo rac-
coglimento in esse? Freni con diligenza le di-
strazioni, per quanto sta da te? Ti sforzi per
ottenere il fervore? Alzandoti al mattino non
hai mai lasciato d'elevare il tuo cuore a Dio
e dire quelle giaculatorie e fare quelle prati-
che che sono indicate dal catechismo e dalle
regole? Alla sera andando a letto hai dette
1129
con divozione le tre Ave Maria raccomandate,
ed hai domandato la benedizione della Ma-
donna? Come sono andate le tue preghiere vo-
cali? E le piccole preghiere lungo il giorno?
Ed il segno di croce, il prender l'acqua bene-
detta, le genuflessioni, l'Actiones e l'Agimus,
e le preghiere prima e dopo il cibo, l'Ange-
lus, ecc.? Ti sei esercitato lungo il giorno nelle
orazioni giaculatorie, nelle pie aspirazioni, nel-
le comunioni spirituali, nell'offerire sempre le
tue azioni a Dio e nel tenere il pensiero del-
la presenza di. Lui? Non hai mai lasciata la
tua meditazione? E come riesci? La fai for-
se con distrazione volontaria o sonnecchian-
do, o tenendo un contegno indevoto? Fai be-
ne la preparazione? Sei fedele a seguire il
metodo che ti fu insegnato? Quale ne è il ri-
sultato pratico? Qual è la causa precipua del-
le tue distrazioni in essa? Ne domandi per-
dono al Signore in fine? Pensi lungo il gior-
no alla risoluzione presa? La richiami a me-
moria nelle visite che fai al SS. Sacramento?
Fai tu con cura e profitto l'esame di coscien-
za generale? Il particolare? E le tue visite
al SS. Sacramento ed a Maria SS. le fai tut-
te, secondo il costume della casa? Le fai vo-
lentieri? Vai con raccoglimento, o disturbi
nell'entrata o nell'uscita di chiesa? Stai atten-
to alle letture spirituali e ne ricavi frutto?
Non hai mai tralasciata tutta od in parte la
santa messa? Con che divozione vi assisti? La
sai servire con tutta esattezza? La servi con

57.10 Page 570

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1130 —
gravità e divozione? Ti prepari bene alle saere
cerimonie, in modo che, per quanto dipende
da te, le funzioni riescano gravi e divote?
Qual è la tua divozione verso Maria SS.? È
essa puramente affettiva, o ne cerchi la so-
stanza procurando d'imitarla nelle sue virtù,
e di fare degli sforzi per darle gusto colle tue
opere ben fatte? Procuri di crescere nella fi-
ducia della sua intercessione? Come reciti il
suo rosario? Come hai recitato o cantato alla
domenica l'ufficio della Beata Vergine? Hai
pensato ad offrirlo bene a lei, come uno degli
ossequi che le sono più graditi? E con che
devozione hai cantate le lodi sacre? Non tro-
vi nulla da migliorare nelle' tue confessioni?
Hai il tuo giorno fisso per andarti a confessa-
re? Ti sei preparato bene prima? Ti sei ecci-
tato bene alla contrizione? Sei stato talmente
sincero, che il confessore abbia potuto farsi
un'idea esatta dello stato di tua coscienza?
Hai fatto il tuo proponimento ben fermo, spe-
cie su quelle venialità in cui sei solito cadere
quasi per abito? Hai procurato di schivare le
occasioni dei peccati? Hai praticato gli av-
visi del confessore? Sei contento delle tue co-
munioni? L'hai fatta quotidiana, o con la fre-
quenza indicata dal confessore? La rendi co-
me il centro della giornata, consacrando il
tempo che corre tra le due comunioni, me-
tà al ringraziamento e metà alla preparazio-
ne della comunione seguente? Segui quel con-
siglio di proporti prima della comunione
1131
l'emendamento di qualche difetto, e dopo, la
pratica di qualche virtù? L'hai lasciata qual-
che volta per tua negligenza o poca veglia?
Che preparazione vi porti? Quali frutti ne
ricavi ?
Qual è la tua docilità nel seguire gli av-
visi che ti son dati? Sei tu fedele nel riguar-
dare il maestro, o altro tuo superiore, come
colui che tiene le veci di Dio, e come stabi-
lito da Dio per guidarti secondo le regole e
lo spirito della congregazione? Hai tu fatto
esattamente e. con umiltà il tuo rendiconto?
Ti sei presentato altra volta in tempo oppor-
tuno, quando non l'hai potuto fare nel gior-
no che ti sei fissato?
2) Cura della perfezione e della vocazio-
ne. Quale idea hai tu della vocazione? L'hai
tu consolidata col fedele compimento dei
tuoi doveri e delle tue regole? Hai tu per es-
sa la stima che merita e la riconoscenza che
deve inspirarti? La tua cura principale è di
avanzarti nella perfezione? Riguardi tu la
perfezione come l'unico importante affare per
cui vivi? Qual è la tua corrispondenza alla
grazia ed alle divine ispirazioni? Quali vit-
torie hai riportato sulla passione dominante?
Che sforzi hai fatto per domare la tua indo-
le, il tuo carattere? Le tue disposizioni, sia
per emendarti come per progredire, sono le
stesse che erano all'inizio del tuo novizia-
to? Che progresso hai fatto nelle virtù cri-
stiane e religiose? La tua fede è semplice, vi-

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58.1 Page 571

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va ed attiva? La tua speranza è ferma, sen-
za scoraggiamenti e presunzioni? Qual è il
tuo amore per Iddio? Non vi è forse nel tuo
cuore qualche attacco sregolato verso le crea-
ture? Nota che l'ambizione e le amicizie sen-
sibili producono sempre questo dannoso ef-
fetto! Hai tu zelo per la gloria di Dio? Sei
tu afflitto degli oltraggi che riceve? Hai tu
quella delicatezza di coscienza che fa intimo-
rire il buon religioso, anche alla sola apparen-
za del male? Non ti sei tu permesso varie
mancanze sotto il pretesto che esse erano
piccole? Non ti sei esposto al pericolo di com-
mettere mancanze gravi? A .che punto sei tu
riguardo l'unione con Dio, il ricordo della
sua presenza e la conformità alla sua volon-
tà? Qual è il tuo rispetto e la tua sommissione
alla divina Provvidenza nei casi avversi, e
nelle persecuzioni che incontri? Fai le cose
sempre, direttamente, per piacere a Dio? Esa-
minati specialmente sugli sforzi che fai per
vincere la tua passione dominante, e sui pro-
gressi nella virtù che in particolar modo hai
promesso d'acquistare e praticare. Che con-
cetto hai della nostra pia società? Che amo-
re le porti? Comprendi tu bene che essa è per
te l'unica arca di salvamento? Che per te è
fonte di ogni bene? Parli sempre con edifica-
zione di essa, dei superiori, delle opere che
intraprende, delle opere dei membri della me-
desima, delle cose letterarie, scientifiche, mu-
sicali, artistiche, ecc.?
3) Osservanza dei santi voti. Se il novi-
zio non è obbligato alla povertà e alla ob-
bedienza in forza dei santi voti, esso vi è te-
nuto per regola, e per prepararsi alle obbli-
gazioni che sta per assumersi.
Riguardo alla povertà: Non hai mai tenu-
to danaro? Non hai ricevuto, preso, compe-
rato o imprestato senza permesso? Hai di-
sposto di cose di qualche valore come pro-
prie, o per darle ad altri in dono, o per con-
sumarle senza licenza? Non conservi niente
senza autorizzazione? Niente con qualche at-
tacco sregolato? Niente di superfluo o poco
conforme alla povertà religiosa? In tutti que-
sti casi devi spogliartene senza dilazione e
rimetterti all'esattezza della santa povertà.
Tieni con cura tutto quello che hai in uso?
Oppure hai recato danno alla casa o alla
congregazione? Sciupi qualche cosa, o guasti
o làsci andar a male, o nelle impazienze
stracci, rompi qualche cosa? Ami tu la po-
vertà come una madre, godendo di poterne
portare le livree e di provarne gli effetti? Hai
attacco smodato alla roba, alle comodità, pro-
curandotele con dispendio o senza averne ve-
ro bisogno? Non t'avviene mai di cercare le
cose migliori per lasciare il resto agli altri?
O di ridire o mormorare della biancheria, de-
gli abiti, dei libri, che ti sono assegnati?...
Riguardo alla castità: Vegli fedelmente
perchè nulla ti avvenga contro la castità?
Vigili sui tuoi pensieri, sul tuo cuore, sui

58.2 Page 572

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— 11
tuoi sensi? Non ti sei mai permesso nulla
che potesse essere per te occasione pericolo-
sa o almeno occasione di turbamento? Sei
sempre stato fedele a ricorrere prontamente
a Dio ai primi attacchi delle tentazioni? Hai
tu combattute con forza le affezioni un po'
troppo naturali e sensibili? Hai fatto letture
leggère, fantastiche, o che riguardano amo-
ri profani, o comunque atte a suscitare in
te le passioni? Hai dato occhiate a figure me-
no che decenti? Ti senti reo di confidenze ad
altri, di cose facili a destare pensieri cattivi
o passioni sregolate? Hai usato la dovuta mo-
derazione nel mangiare, e specialmente nel
bere vino o liquori? Oppure' hai dato con que-
sto occasione in te di ribellione del senso?
Hai evitato ogni familiarità e troppa domesti-
chezza coi confratelli e coi giovani? Non ti
sei lasciato andare a giochi di mano, carezze,
e fors'anche a baci con qualcuno? Hai dato
occasione ad altri di pensar male di te? Hai
dato occasione ad essere accarezzato, o ad at-
tirarti gli sguardi altrui? Non hai detto pa-
role atte a svegliare in altri pensieri meno
puri? Fai tu con amore quanto dipende da te
per imitare la purezza degli angeli?
Riguardo ali 'obbedienza: Hai forse man-
cato agli ordini espressi o ai comandi dei su-
periori? Hai loro resistito o mancato di ri-
spetto con le parole, o con i gesti, in loro pre-
senza, o in loro assenza, in te stesso o con
altri? Hai allegate finte scuse per sottrarti al-
— 1135 —
la volontà dei superiori? Non sei stato almeno
ritroso nell'ubbidienza? O ti sei servito di
intercessioni forti per non fare l'ubbidienza,
e legare le mani ai superiori? Vi è nella tua
obbedienza lo spirito di fede e di sommissione
così dalla parte della volontà come dalla
parte del giudizio? Vedi tu Iddio nella per-
sona dei tuoi superiori? Hai tu ascoltata la
loro voce come la voce di Dio, disposizione
questa che è l'anima dell'ubbidienza? Non
fai tu nulla di mala grazia? Sei pronto all'ob-
bedienza al primo segno, o al primo tocco
della campana? Ti sei sempre levato al mat-
tino a tempo? Hai tu fatto silenzio nei tem-
pi e nei luoghi dovuti? Hai tu rinunziato al-
la tal occupazione, al tal impiego, al tal luo-
go al primo ordine, anzi al primo avviso, pen-
sando che a questo mondo, e tanto più nello
stato religioso, si deve essere indifferenti a
tutto eccettochè a far la volontà di Dio
espressa per mezzo dei superiori? Non ti sei
permesso riflessioni, burle, critiche, mormora-
zioni sugli ordini emanati, o su certe circo-
stanze od accessori riguardo gli ordini, o sul-
la persona dei superiori, sminuendo in que-
sto modo nel tuo concetto ed in quello degli
altri il rispetto che loro è dovuto? Non v'è
qualche superiore verso cui limiti la tua sog-
gezione e riverenza? Ti ricordi di pregare
per loro? e di dare quelle dimostrazioni di
rispetto che meritano? Vi è schiettezza ed
amore nei tuoi rapporti con loro? Sei tu fe-

58.3 Page 573

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— 1136 —
dele nell'osservanza di tutte le regole, o ve
n'è forse alcuna formalmente esclusa dalla
tua obbedienza, o di cui ti sia venuta abitua-
le la violazione? Dipendi sempre in tutto, ov-
vero in qualche circostanza ti permetti qual-
che licenza di tuo arbitrio? Nei casi di ne-
gative, di ordini di contraggenio, senti forse
troppa avversione e ripugnanza, e almeno
cerchi di reprimerle?
4) Sulla vita comune e diligenza nei pro-
pri doveri. Hai tu soprattutto stimata e se-
guita la regolarità, che ti è imposta dai tuoi
doveri quotidiani, così importanti per la co-
munità in generale, e per te in particolare?
Sei tu contento della classe, della sezione, del
genere di studi, del metodo che si tiene in essi;
dei libri che si usano, delle varie materie as-
segnate? Hai procurato d'impiegare nello stu-
dio tutto il tempo a ciò destinato? Ti sei sem-
pre fatto un religioso scrupolo di non perde-
re neanche un istante di tempo così prezio-
so? Hai cercato di disporre il tuo tempo in
modo che tutti i doveri potessero essere ter-
minati a tempo, senza trascurarne nessuno?
Non hai assegnato troppo tempo ad una ma-
teria con detrimento delle altre? Ti sei sem-
pre ben preparato alle scuole, alle ripetizio-
ni? o ti sei anche occupato in studi estranei
al tuo dovere? Hai mai intrapresa la lettura
di nessun libro senza esserti prima consiglia-
to con il tuo superiore? Tieni per caso na-
scosto qualche libro che non vuoi che il su-
11
periore conosca? O nella nota dei hbri con-
segnata al superiore sul principio dell'anno
ne hai occultato qualcuno? O dopo, lungo
l'anno, ne hai ricevuto qualcuno e non l'hai
ancora fatto vedere? Quale fu la tua premura
per apprendere il canto gregoriano? Quale
la diligenza nell'apprendere le cerimonie?
Non ti sei servito di questi tempi per diva-
garti? Hai sempre tenuto nella debita stima
tali scuole? Sei sempre stato attento alla scuo-
la? Non hai mai avuto di mira di comparire
nel rispondere alle interrogazioni, nel legge-
re i tuoi lavori, nello sciogliere le difficoltà?
Non ti capitò di fare altro mentre il profes-
sore spiegava? Non hai fatto rumori per far
ridere o disturbare senza che i professori po-
tessero sorprenderti, e dopo almeno te ne sei
accusato al superiore? Sei contento degli al-
tri piccoli impieghi che ti sono affidati? Li
eseguisci con tutto quell'impegno che è lo-
ro dovuto? Yi hai tu portato quello zelo,
quell'attività, quella prudenza che in essa
erano necessari? Non hai mai conteso o trat-
tato poco caritatevolmente con coloro che sta-
vano con te nel medesimo impiego? Hai aiu-
tato i tuoi compagni quando potevi? Li hai
sopportati con allegria quando dimostravano
umore diverso dal tuo? Hai fatto quanto po-
tevi per contentare i tuoi compagni? Hai usa-
to con loro bei modi? Hai osservato le regole
di civiltà che tanto servono a cementare la
carità fraterna? Hai eseguito le regole di pu-

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- 1138
lizia, che giovano anche a non dispiacere agli
altri? Come fai le tue azioni ordinarie? Hai
pensato costantemente con esse di piacere a
Dio, od hai anche cercato la tua soddisfa-
zione propria? Sei costante ad animare le tue
azioni con pensieri di fede? Sei tu ben per-
suaso che la tua perfezione consiste nel far
bene i tuoi doveri quotidiani senza trascu-
rare neppure il più piccolo, neppure la co-
sa più indifferente? Hai tu bene economizzato
il tempo? L'ordine dei tuoi lavori è ben su-
bordinato all'obbedienza? Nelle tue azioni po-
ni quella diligenza religiosa che è necessaria
0 le fai con precipitazione, o con lentezza, o
con indolenza, o con perdita di tempo o co-
munque, senza buono spirito? Come impie-
ghi il tempo delle tue ricreazioni, delle pas-
seggiate, dei giorni di vacanza? Hai vera cu-
ra di santificare i tuoi pasti? i tuoi riposi?
1 tuoi esercizi corporali?
5) Di alcune altre virtù più necessarie
(umiltà, carità fraterna, mortificazione). Co-
me ti trovi riguardo all'umiltà? L'hai tra-
sgredita col vantarti, con esser troppo suscet-
tibile, con la mala grazia, coll'alterezza verso
i compagni? Hai tu cercata la stima e la
lode invece di amare d'esser dimenticato, e
tenuto in poco conto e umiliato? Hai agito
per rispetto umano? Non hai tu troppo buo-
na opinione del tuo ingegno o della tua virtù?
Non hai tu l'abitudine di parlare di te stesso?
Sei tu fedele nel riconoscere i tuoi torti e
— 1139 —
mancamenti o ti scusi facilmente? Rendi conto
della tua coscienza con quella umiltà, con
quella confidènza infantile che è tanto se-
condo lo spirito della congregazione? Non
resti un po' abbattuto quando non riesci in
qualche cosa? o quando di qualche cosa sei
ripreso? Fai tu con frequenza atti di umiltà,
offrendoti per quegli uffizi che son più bassi,
0 contrari alla comune estimazione, o ribut-
tanti alla natura? Almeno accettandoli con
sommissione? Hai tu un'indole arrendevole ed
affabile? Ovvero sei sostenuto ed altero, in
modo che si debba trattare con te con riserbo
e riguardi? E gli stessi superiori non devono
forse essere molto cauti per non offendere la
tua suscettibilità nel darti certi ordini ed in-
combenze?
Devi ai tuoi confratelli l'affetto, la stima,
la benevolenza più tenera, la più cordiale.
Devi favorire l'unione dei cuori. Non hai
detto o fatto qualche cosa contraria a questi
doveri che la carità fraterna richiede? Ti sei
per caso lasciato portare all'avversione, al-
l'invidia, alle maligne interpretazioni, ai ri-
sentimenti, alle contestazioni, agli atti di col-
lera verso di loro?
Hai tu rigettata con tutte le tue forze
quella bassa gelosia che s'affligge nel vedere
1 buoni successi altrui, le distinzioni che da ri
loro i superiori, o persino le loro virtù? Non
ti sei mai permesso, riguardo ai confratelli (e
mille volte peggio riguardo ai superiori) mal-

58.5 Page 575

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clicenze, rapporti indiscreti, calunnie, desideri
di vendetta, o scatti di malumore? Nè nulla
che possa mal edificare o produrre disunioni?
Ti sei guardato bene dal criticare ciò che
fanno gli altri, o dal riprenderli senza averne
il diritto o solo per mal umore? Il tuo af-
fetto pei compagni è tutto fondato sull'amore
di Dio? È esso generoso, e senza eccezioni"'
Hai tu un sufficiente orrore per quelle mise-
rabili amicizie particolari che scandalizzano
i compagni, che dividono il tuo cuore e lo al-
lontanano da Dio? Hai tu mai pensato alle
conseguenze del cattivo esempio in una co-
munità, e alla necessità di dare buon esem-
pio? Qual è la tua carità verso le anime del
purgatorio? E il tuo zelo per la salute altrui?
Non potresti praticamente far qualche cosa
di più in favore delle une e degli altri? Come
stai riguardo allo spirito tanto necessario della
mortificazione di te stesso? Hai tu eseguite,
in tutta la loro integrità e secondo il loro
spirito, le regole contrarie alle inclinazioni
tue ed al tuo naturale? Quali sforzi hai già
fatto per giungere alla perfetta osservanza
della modestia esteriore negli occhi, nel trat-
to, ed in tutto il tuo procedere? Nelle circo-
stanze un po' difficili non hai tu dato segno
d'impazienza, di collera o di turbamento?
Hai tu compiuto con coraggio e costanza le
piccole mortificazioni e penitenze in uso nella
congregazione, come il digiuno del venerdì e
quel lavoro indefesso che deve formare la
nostra caratteristica e la nostra gloria? Sei
stato mortificato nei cibi, non hai mangiato
o bevuto fuori pasto? Non hai tenuto bibite
o commestibili con te? Hai osservato perfetto
silenzio in refettorio durante le letture? An-
che dopo che si può parlare, hai usato mo-
derazione non parlando forte e non volendo
parlar coi lontani? Non hai mai lasciato un
incarico, un'assistenza, per tua colpa e poca
mortificazione? o preparato poco le lezioni,
o non corretti i compiti tuoi o degli altri per
negligenza? O abbandonata la ricreazione,
o rifiutato il passeggio coi giovani per tua
poca voglia? Ti sei applicato soprattutto alla
mortificazione interna ed all'abnegazione, al-
meno in quelle cose ordinarie che capitano
a ogni piè sospinto? Hai fatto sufficienti sforzi
per riformare il tuo carattere, il tuo mal umo-
re? Come hai ricevute le pene che t'inviava
la Provvidenza? Quanto hai tu faticato per
acquistare la perfetta conformità alla volontà
di Dio? Hai tu, in una parola, avuto spirito
di mortificazione? Cioè, sapendo che le soffe-
renze sono un eccellente mezzo per espiare i
tuoi mancamenti, sradicare i tuoi vizi, ren-
derti un po' più simile a Gesù Cristo, che è
lo scopo per cui sei entrato in congregazione,
le hai tu amate e desiderate? Non ti met-
terai una volta con impegno efficace per
farti santo? Quando ti proponi di comin-
ciare davvero, e non solo più a parole? Quali
proponimenti pratici fai conto di prendere in

58.6 Page 576

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— 11
questo momento? Scrìviteli, e il Signore ti
aiuti a praticarli d'ora in poi fedelmente.
CAPO XI
VISITA AL SS. SACRAMENTO
Invito di Gesù.
La bontà straordinaria del divin Salva-
tore di stare in mezzo a noi nel SS. Sacra-
mento e il dirci con tanta affabilità che sua
delizia è lo stare con noi, e più l'invito amo-
rosissimo che ci fa di andare continuamente
a Lui tendendoci le braccia aperte per rice-
verci, sono inviti talmente pressanti al cuore
dei cristiani, e specie a quello dei religiosi,
che dovrebbero eccitarci a correre continua-
mente a Gesù, ed a bramare di tenerci con-
tinuamente alla sua santa presenza. Don Bo-
sco, ed a voce e per iscritto, raccomandava
continuamente le visite frequenti, benché bre-
vi, al SS. Sacramento. E nel Giovane prov-
veduto, sebbene non parli ai confratelli, bensì
a semplici giovani dei nostri collegi, insiste
che se ne facciano più al giorno, quanto è
possibile.
— 1143 —
Dovere di star vicini a Gesù.
Essendo Gesù la fonte d'ogni grazia, biso-
gna che s'avvicini a lui chi desidera ricevere
molte grazie. Egli è un fuoco tutto avvampan-
te. A lui bisogna che s'accosti chi desidera
riscaldarsi. Egli è come il sole: bisogna stia
molto esposto ai suoi raggi dardeggianti luce e
calore, chi vuol esserne illuminato e infervo-
rato. È questa la divozione principale del re-
ligioso. il quale ha la felicità di vivere vici-
no a Gesù realmente presente, e di riposare
sotto il suo stesso tetto. Non vi è divozione
più solida di questa: essa è al tutto confor-
me alle mire ed alle intenzioni di Gesù Cri-
sto: essa è al sommo salutare per chi la pra-
tica.
Santi esempi.
Queste visite son necessarie per chi è desi-
deroso di far gran progresso nel bene.
Santa Maria Maddalena de' Pazzi faceva
trentatrè visite al SS. Sacramento ogni giorno.
San Domenico si può dire non avesse altra
cella che l'aitar maggiore ove si conservava
il SS. Sacramento. Per molti religiosi era de-
vota costumanza passare le notti intiere avan-
ti al SS. Sacramento. Don Bosco vi passava
tutto il tempo che poteva; i suoi primi alun-
ni. come Savio Domenico, facevan lo stesso.
Oh quanti dei nostri soci li imitarono! Io

58.7 Page 577

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— 1144 —
non ricordo qui che il nostro Don Buffa. Egli
non poteva togliersi di chiesa, e lo vidi pian-
gere quando per curare la sua salute gli proi-
bii di stare in chiesa più di un dato tempo
determinato. Molti dei nostri antichi novizi
erano attirati in chiesa come da una forza
irresistibile, ogni volta che uscivano da qual-
che occupazione. Sembrava non potessero poi
distaccarsene dovendo uscire di chiesa; e po-
trei citare più decine di casi in cui dovetti
proibire di prolungar troppo le visite. Mol-
tissimi mi domandavano di poter passare in
chiesa, avanti al SS. Sacramento, il tempo del
teatrino e delle passeggiate, assicurandomi
che divertimento maggiore ' non avrebbero
avuto nè da bellissimi drammi nè da attraen-
tissime ricreazioni. E siccome generalmente
non permetteva questo, erano poi gongolanti
di gioia quando concedeva di uscire dal tea-
trino e star in chiesa durante un intervallo
od un atto, o di fermarsi in chiesa fino al
suono delle occupazioni, quando la squadra
arrivava un po' prima del tempo da passeg-
gio. Cerca d'imitare, per quanto ti è conces-
so dall'ubbidienza, cotesti ottimi esempi.
Visite al Santissimo nei viaggi.
Oltre al visitarlo in casa è bene, passando
vicino a qualche chiesa, avendone occasione
propizia e permesso, entrare per salutarlo. I
— 1145 —
buoni religiosi essendo in viaggio cominciano
ad ardere d'amore avvicinandosi ad un paese
nel vederne il campanile, perchè esso richiama
al pensiero che lì accanto sta la chiesa col
SS. Sacramento. Ed arrivati in paese, prima
d'ogni cosa procurano di andare a visitar
Gesù, prigioniero d'amore nel santo taberna-
colo per noi. Ricordo come il nostro princi-
pe Czartoryski si risentisse tutto al vedere
una chiesa, ed emettesse infuocate giaculato-
rie; e quando non aveva l'ubbidienza d'en-
trare in chiesa, si sfogava con caldi ed ar-
denti desideri e slanci di amore. Così devi
far tu pure passando vicino a qualche chiesa,
e non avendo il permesso o la comodità d'en-
trarvi, trarre dal tuo cuore infiammate gia-
culatorie e far egualmente da lontano la tua
visita. Questo pure ti conviene promettere di
continuare poi a fare quando sarai in qual-
che collegio, in cui l'assistenza dei giovani
t'impedisse di entrare in chiesa.
Gesù ne ha diritto.
Nell'Eucaristia invero nostro Signore è vi-
vente. Egli sta nel tabernacolo col suo corpo,
sangue, anima, divinità. Egli sta nascosto sot-
to il velo del sacramento per non ispaventare
o sbalordire la nostra debolezza collo splen-
dore della sua gloria; ma vi è tale quale come
quando era in Nazareth, a Gerusalemme, sul
I

58.8 Page 578

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— 11
monte Tabor, tale quale è in cielo. Avrà Egli
minor diritto al nostro rispetto ed alla nostra
riconoscenza per essersi annientato per 1 amo-
re che ci portava?
Fortuna nostra di poterlo visitare.
Chi non avrebbe desiderato d'essere stato
nel novero dei suoi discepoli, di quelli che
ebbero la fortuna di contemplare il Signore
durante la sua vita mortale? Ah! se noi aves-
simo la fede più viva, non ci preoccuperem-
mo per questo, poiché conosciamo benissimo
che volendolo abbiamo la fortuna di poterlo
visitare, di intrattenerci con lui, stare ai suoi
piedi, nelle nostre chiese. Qualcuno dirà: essi
lo vedevano personalmente, assistevano ai
suoi discorsi. Ed io noto per noi ancor di
più. Essi non vedevano che il corpo, e avreb-
bero potuto sbagliarsi nel crederlo Dio; noi
ne siamo già assicurati dalla fede. Essi vi-
dero qualche miracolo, ma quasi nessuno ne
vide tanti quanti ne sappiamo noi. Essi po-
tevano toccarlo, baciargli i piedi, ma noi
possiamo ben più. Il sacerdote non solamente
tocca, ma gli comanda di venire nelle sue
mani; ogni fedele non solo lo tocca colla sua
lingua ma lo immedesima con sè nella santa
comunione, o meglio Iddio ha la bontà di in-
nalzare in quel momento infinitamente noi,
immedesimandoci con lui. Molti pellegrini,
— 1147 —
dice San'Alfonso de' Liguori, fanno dei gran-
di viaggi sia per visitare la casa di Loreto,
dove Gesù Cristo ha passato parte della sua
vita, sia per venerare i luoghi di Terra Santa
dove Egli è nato, e dove sofferse, e dove è
morto. Ma il Venerabile Giovanni d'Avila di-
ceva con ragione, che egli non poteva tro-
vare alcun santuario più amabile e più di-
voto che una chiesa dove si conserva il SS.
Sacramento. Poiché questo non è solo un
luogo ove nostro Signore visse una volta o
sofferse, ma una dimora dove attualmente è
presente e vivente. Così i santi in nessun
luogo gustarono qui in terra fortuna più
dolce che avanti al SS. Sacramento. Se Gesù
riposasse in una sola chiesa del mondo, quan-
to fortunato si stimerebbe ognuno di poterlo
visitare ed adorare almeno una volta in vita!
Se la sua somma bontà l'ha ridotto a comu-
nicarsi a noi in tutte le parti del mondo, sa-
remo noi più ingrati per essere egli stato più
liberale? Gli renderemo noi minor ossequio,
perchè per puro suo amore si è reso a noi
troppo familiare? Tale è la misera condi-
zione della natura umana, depravata per il
peccato, d'assuefarsi a tutto, e di giungere a
stimar poco le cose più sacre, e a trattarle
quasi con disprezzo ed irriverenza, perchè
esse son troppo comuni. Purtroppo che
anche nelle cose più gravi e sacre, ciò che
diventa solito non impressiona. Ma un'anima
spirituale ed illuminata deve procedere ben

58.9 Page 579

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— 1148 —
diversamente! E tu certamente vorrai essere
di queste, e perciò farai tutto il tuo possi-
bile per trovarti con frequenza alla presenza
del tuo Gesù salvatore.
Fortuna speciale dei religiosi.
La fortuna di poter stare avanti al SS.
Sacramento può senza dubbio essere prova-
ta da tutti i fedeli; ma nessuno è così vicino
al tabernacolo quanto i religiosi, i quali or-
dinariamente vivono sotto il medesimo tetto
con il divin Maestro. Per visitarlo essi non
liau che a fare pochi passi.. Nelle altre chiese
il Signore è là per tutto il popolo; ma nelle
nostre è là solo per i nostri giovani e per
noi. Se noi chiudessimo la casa, non ci sa-
rebbe più ragione di tenere Gesù in sacra-
mento. Ah!, esclama Sant'Alfonso, nelle case
religiose i religiosi dovrebbero stare giorno
e notte come altrettante amorose farfalle at-
torno a Gesù, ed il loro cuore dovrebbe ab-
bruciare continuamente accanto a lui, meglio
che i ceri e la lampada dell'altare. Ma di-
sgraziatamente neppure i religiosi son sem-
pre così ferventi, ed anch'essi alle volte ab-
bandonano Gesù solo nel ciborio, senza darsi
premura d'andare a visitarlo. Ed è appunto
di questo che il Signore si lamentava con
Santa Margherita Maria Alacoque: «Io non
ricevo che ingratitudine e disprezzi in questo
119
sacramento d'amore. E ciò che più mi af-
fligge è che quelli mi vengono da cuori a
me consacrati », cioè da religiosi. Oh! Che
Gesù non abbia a lamentarsi di te! Per quan-
to l'ubbidienza te lo permette non lasciar
mai solo Gesù, e fagli continuamente atti di
grande amore.
Esempio di Don Beltrami.
Saremo noi ingrati perchè Dio è buono?
Visitiamolo adunque con frequenza. Il no-
stro caro confratello Don Beltrami stava quasi
tutto il giorno in un coretto in fondo del
loggiato da cui poteva vedere il tabernacolo,
e sebbene sempre gravemente ammalato, vi si
teneva in adorazione gran parte del giorno e
anche lunghe ore della notte, durante la quale
con gran pena discendeva in chiesa e stava
adorando il SS. Sacramento fino alla mezza-
notte. E durante queste lunghe ore, che egli
trovava brevissime, che faceva egli mai? Ado-
rava il caro Gesù colà nascosto, lo glorificava,
gli effondeva atti di amore. Poi lo ringraziava
dei benefizi, specie per quello della redenzio-
ne, d'averlo fatto sacerdote e salesiano; e cer-
cava di fare atti di espiazione pei peccati suoi
e pei peccati di tutto il mondo. Quindi passava
a domandar grazie, domandava di poter sof-
frire di più; nè guarire, nè morire, ma vivere
per patire. Poi pregava per la nostra pia so-

58.10 Page 580

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— 110
cietà e per ciascun socio in particolare, par-
tendo dai superiori venendo ai missionari, poi
alle case di noviziato e studentato, poi a cia-
scuno dei collegi. Veniva quindi alle sue gran-
di divozioni, pregando pei peccatori, pei mo-
ribondi. per le anime del purgatorio e pas-
savano alle volte quattro, sei, otto ore, ed egli
appena se ne accorgeva. Oh! se anche noi
avessimo un po' di fede, non ci annoieremmo
avanti a Gesù in Sacramento!
Ossequi da prestare nelle visite a Gesù Sa-
cramentato.
Pertanto anche tu trovati tutte le volte che
puoi, e sta' tutto il tempo che ti è permesso
avanti al SS. Sacramento. Sappi adorarlo,
glorificarlo ed esprimergli i dovuti atti di a-
more, non solo per te, ma ancora per i cattivi
cristiani che non lo amano, per gli eretici che
non lo glorificano, pei pagani che non lo ado-
rano. Sappi inoltre ringraziarlo dei benefizi
fatti a te, specialmente coll'averti chiamato
allo stato religioso, coll'esser venuto tante vol-
te nel tuo cuore dopo d'averti tante volte per-
donato i peccati. E poi ringrazialo anche per
quelli che non lo ringraziano, specialmente
per il benefizio dei benefizi, la redenzione, pei'
essersi cioè degnato di venire in persona su
questa terra ad incarnarsi, d'averci insegnato
la via del cielo, e poi con la sua dolorosissi-
— 1151 —
ma passione e morte avere aperto a tutti le
porte del paradiso e chiuse quelle dell'inferno.
Dopo d'aver considerata tanta bontà passa a
considerare l'ingratitudine degli uomini, la
maggior parte dei quali non vuol riconoscerlo
neppur come Dio e Redentore, mentre tanti
che lo riconoscono come tale non lo amano,
nè lo servono, anzi brutalmente l'offendono.
Cerca tu di espiare questi peccati degli uo-
mini, di risarcir Gesù per quanto sai e puoi.
Passa quindi a considerare i tuoi peccati coi
quali l'hai tanto offeso pel passato, e poi la
freddezza nell'amarlo, l'indifferenza, la tie-
pidezza presente e la poca corrispondenza, e
struggiti di dolore nel pensare a quell'infinita
bontà che volle non solo redimerti ma stare
continuamente con te su questa terra, e alla
tua ingratitudine a non tenere che in pochis-
simo conto questa infinita degnazione.
Domandare grazie.
Mettiti in seguito a domandar grazie. Do-
mandane senza timore: domandane per la
Chiesa, pel Papa, pei vescovi, pei sacerdoti e
pei religiosi di tutto il mondo. Domandane
per la conversione degli infedeli, degli eretici
e dei peccatori. Domandane per la pia socie-
tà, pei superiori, pei confratelli, compagni e
giovani di tutte le nostre case. Domanda gra-
zie pei cooperatori nostri, pei benefattori, per

59 Pages 581-590

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59.1 Page 581

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112
le Figlie di Maria Ausiliatrice; domandane,
chè ti è permesso, per la tua famiglia, paren-
ti, amici e benefattori. E poi, più che tutto,
vieni a te in particolare: domanda grazie pu-
re pel corpo, domandane anche per gli studi.
Ma tutto il tuo più grande impegno sia rivol-
to all'anima. Domandagli la perseveranza nel-
la vocazione, la grazia di non aver mai pili
in tua vita da fare neppure un peccato, do-
mandagli molto perdono dei peccati già com-
messi, la grazia di vincere ogni tentazione, di
poter superare le prove difficili che ti posso-
no attendere; quella di vincerti del tuo carat-
tere cattivo, dei tuoi difetti dominanti; quella
di poter riuscire a far del gran bene, a sal-
vare molte anime. Domandagli pure, se lo
vuoi, la grazia di poterti fare missionario, di
poter morir martire, almeno martire di sacri-
ficio e di lavoro. Ma bada che queste non sia-
no domande vaghe e superficiali, bensì men-
tre domandi proponi pure di fare sforzi seri
per corrispondere alla divina grazia. Promet-
ti d'essere pronto ai sacrifizi, al rinnegamento
completo di quanto piace a te, per far sem-
pre ciò che piace di più al Signore; d'essere
mortificato davvero, pronto alle umiliazioni,
alle persecuzioni, a tutto. Termina poi cercan-
do di conoscere bene che, non ostante queste
tue promesse, non ne sarà nulla se il Signo-
re con un colpo di grazia ben grande non ti
aiuta in modo straordinario. Perciò pregalo
che ti aiuti, che ti getti nelle circostanze, che
ti fortifichi, e quasi ti costringa malgrado la
tua ripugnanza; ma che ti faccia santo dav-
vero, anche contro tutte le tue ritrosìe, debo-
lezze e riluttanze.
Così saranno belle le visite.
Oh se farai così, son persuaso che anche
per te passeranno veloci le ore avanti al
SS. Sacramento! Son persuaso che verrai a
desiderare con tutte le tue forze quei giorni
in cui si fa la esposizione del SS. Sacramento,
nei quali si permette di passar l'ora in adora-
zione. Verrai a desiderare quell'ora di ado-
razione che qualche volta si concede dal gio-
vedì al venerdì specie al primo venerdì del
mese. Desidererai quei giorni del carnevale o
di preghiere speciali, in cui si permette di
passar qualche ora avanti al Santissimo; e se
per qualche motivo, come di mezza malattia
o di vacanza, ti troverai libero da scuole o da
studi, non ti annoierai e saprai trovare le tue
delizie nello stare avanti al SS. Sacramento.
Visita a Gesù nelle prove e nelle pene.
L'importante, secondo che ci diceva Don
Bosco, è di non tralasciare le visite proposteci,
nei tempi di aridità o di freddezza. Anzi in
quei tempi le visite andrebbero aumentate!

59.2 Page 582

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Ed esse dovrebbero aumentarsi nei giorni di
afflizione, di scoraggiamento, quando uno si
crede perseguitato o venisse umiliato, nei gior-
ni di malinconia o di maggiori tentazioni. Oh
sì! allora il tuo rifugio sia il Cuore Sacratis-
simo di Gesù, che palpita d'amore per te nel
SS. Sacramento. A nessun costo lascia le visi-
te; anzi moltiplicale e allungale, ed io te ne
assicuro vittoria e profitto. Invece dovrei pro-
fetarti cadute e regresso, se in quei giorni
più difficili ti allontanassi da Gesù o rallentas-
si dallo stare al suo cospetto. In siffatti mo-
menti disgraziati e più difficili, fa' violenza a
te stesso e vinci la tentazione del demonio,
perchè Dio sarà sempre contento che ci presen-
tiamo davanti a lui ancorché non facessimo
altro che portargli i nostri corpi, perchè al-
lora anche i cuori sarebbero meglio disposti,
essendo questo atto certamente un argomento
della viva fede che gli professiamo.
Conclusione.
Concludendo pertanto ti esorto a fare
quante visite ti è permesso al SS. Sacramento.
Falle pure anche brevi, ma moltiplicale quan-
to puoi. E col desiderio tuo lascia e giorno e
notte il tuo cuore avanti a Gesù, affinchè ar-
da qual lampada avanti a lui, e per lui si
consumi. L'esperienza mi ha fatto vedere il
gran profitto e notabile progresso nelle vir-
tù, che ricavasi da queste frequenti visite, in
quelli che si affezionano alle medesime. Ani-
mati a praticare questo commendabile eser-
cizio, col pensiero che Gesù sta nel santo ta-
bernacolo apposta per te, per l'amore che ti
porta.
È quindi troppo giusto e ragionevole che
lo visitiamo e gli rendiamo insieme il dovuto
omaggio. Gli angeli ce ne porgono esempio,
perchè sempre lo assistono, ancorché non stia
quivi per essi, bensì per noi. E come biasimia-
mo gli ebrei per non aver riconosciuto, accolto
e venerato il Redentore mentre trattenevasi
visibilmente con loro, così procura che non
possano poi applicare a te il medesimo rim-
provero, che cioè abitando nel medesimo luogo
ove Gesù Cristo fa la sua residenza, non ti
presentassi avanti a lui per tributargli il tuo
più riverente ossequio.
Considera in ultimo che visitare Gesù è ve-
ramente incominciare il nostro paradiso in
terra, il goder Dio nel SS. Sacramento come i
santi lo godono in cielo. Esser con Gesù è un
dolce paradiso, esclama San Bernardo. E sic-
come i beati si pascono e si rallegrano della
vista di Dio, così noi dobbiamo qui in terra
collocare tutta la nostra felicità in contem-
plare nostro Signore nel SS. Sacramento. Chi
sarà dunque che s'infastidisca o si disgusti
d'un esercizio che lo deve condurre eterna-
mente al cielo?

59.3 Page 583

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— 1156 —
CAPO XII
DELLA MEDITAZIONE
Che cosa è in generale.
La parola meditazione, presa nel suo senso
più vasto, è la considerazione attenta di qual-
che verità, a fine di comprenderla bene e pe-
netrarle dentro quanto più possibile. È una
premurosa investigazione d'una verità occulta.
Così medita il filosofo, medita il matematico,
medita anche il negoziante per conoscere a
qual punto sono i suoi interessi. Noi però dia-
mo alla meditazione un significato più spe-
ciale. Noi consideriamo solo le verità spettan-
ti alla fede ed alla morale cristiana. Nè ciò
col solo scopo di capirle, come può fare il
teologo; ma con lo scopo di muovere la volon-
tà ad atti ed affetti di ossequio, di amore, di
desiderio fermo di renderci migliori.
Sua efficacia.
Per comprender bene l'efficacia della medi- 1
fazione è da considerare che la volontà è gui- |
data nei suoi atti dall'intelletto. Se questo le I
presenta una cosa amabile, essa l'ama; se co-
— 11
me degna di odio, l'aborre. Le verità cristiane
hanno certo la forza di muovere la volontà ad
odiare il peccato, ed amare la virtù. La consi-
derazione della caducità delle cose umane,
delle pene e dei giudizi futuri, dell'infinita
bontà di Dio e d'altre verità, sono al certo op-
portune a distaccare un'anima dalle cose del
mondo, e muoverla ad amare Iddio, ad essere
tutta di Lui e pronta ad ogni cosa del suo ser-
vizio. Ma questa forza la volontà non la sente
finché non le sia applicata. Il fuoco ha la for-
za di bruciare, ma non brucia ciò che non
gli si avvicina. La luce del sole ha la forza
d'illuminare gli oggetti; ma se tu chiudi gli
occhi non li vedi. Or come si fa questa appli-
cazione delle verità eterne a noi? Colla me-
ditazione.
Che cosa è l'orazione mentale.
La meditazione pertanto, ossia, come ordi-
nariamente anche si dice, l'orazione mentale,
non è altro che un'elevazione, ed insieme una
applicazione della nostra mente e del nostro
cuore a Dio, per mezzo di una seria conside-
razione delle verità eterne. Si può anche chia-
mare un trattenimento interiore ed un seguito
di buoni pensieri e santi affetti, su qualche
materia da cui l'anima desidera ricavare la
sua edificazione. Essa è un discorso spirituale
con cui noi veniamo a conoscere, e confiden-

59.4 Page 584

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— 1158 --•-
temente scopriamo a Dio le piaghe e le pene
del nostro cuore, le nostre male inclinazioni, e
generalmente tutti 1 nostri bisogni ed infer-
mità, supplicando umilissimamente la sua
bontà di compassionare tutte le nostre debo-
lezze, riceverci nella sua amicizia, e farci la
grazia di non perderla mai più, sulla risolu-
zione che prendiamo di mutar vita e riforma-
re i nostri costumi. Santa Rosa da Lima chia-
mava la meditazione una farmacia spirituale,
dove si trovano i rimedi per far guarire tutte
le malattie dell'anima.
Suo compito.
L'orazione mentale, dice San Bernardo (i),
avvisa, insegna ed eccita: avvisa la memoria,
ammaestra l'intelletto, ed eccita la volontà,
istruendo, suggerendo, commovendo. Agisce
cioè sulla memoria, sull'intelletto e sulla vo-
lontà. Agisce sulla memoria facendoci tener
sempre avanti agli occhi i nostri peccati, i pa-
timenti del Signore, e gli altri misteri della no-
stra santa religione. Agisce sull'intelletto istru-
endoci sul modo che abbiamo a tenere per
conformare la nostra vita alla volontà eterna
di Dio. Agisce sulla volontà facendoci pren-
dere quelle forti risoluzioni che fan rompere
(1) « Monet, docet et movet; monet memoriam,
docet rationem, movet voluntatem, suggerendo, in-
struendo, afflciendo ». (.Sermo I de Pentec.).
- 1159 —
ogni laccio del demonio che ci terrebbero at-
taccati al mondo, ed ogni vincolo di concupi-
scenza che cercasse tenerci attaccati alle ric-
chezze ed ai piaceri. San Bernardo ancora ci
addita la diversità che vi è tra la meditazione
e la preghiera. La meditazione, dice nel ser-
mone primo su Sant'Andrea, insegna ciò che
manca all'anima, la preghiera fa sì che non
manchi; la meditazione insegna la via, la pre-
ghiera ci ottiene la forza a camminare costan-
temente per questa via (1). È pel suo agire
sulla memoria, sull'intelletto e sulla volontà,
che la meditazione vien anche detta l'eser-
cizio delle tre potenze.
Paragone di David e lamento di Geremia.
Com'è bella la campagna allorquando le
piogge nei tempi opportuni ne irrigano le ter-
re! Come cresce fiorente quell'albero che è
piantato presso qualche corrente d'acqua!
L'occhio si ricrea alla semplice vista di quella
campagna, e sotto l'ombra di quell'albero lo
stanco pellegrino può nel più cocente estate
riposare sicuro le affaticate sue membra. E,
quel che è più, quella campagna e quell'albe-
ro daranno a tempo opportuno abbondante
raccolto. Così è dell'anima nostra quando noi
facciamo la meditazione. Il paragone è del
(1) • Meditatio docet quid desit. oratio ne desit
obtinet: illa viam ostendit, haec deducit ».
38

59.5 Page 585

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— 110
real profeta Davide, il quale nel suo primo
salmo ci dice appunto: « Beato l'uomo che
medita giorno e notte la legge del Signore. Egli
sarà come l'albero piantato lungo il decorso
delle acque, che a suo tempo darà frutto » (1).
Mentre per contro il profeta Geremia, veden-
do tanti mali sulla terra ai suoi tempi, veden-
do che quasi più non vi era idea di giustizia e
di onestà, andava cercando le ragioni di ciò;
e non seppe trovare altra causa, se non que-
sta, che non si meditava più. « Se di gran de-
solazione è desolata la terra, andava escla-
mando il santo profeta, è per questo: nessuno
medita di cuore» (2). Il continuo strepito delle
cose mondane fa sì che non -si possa più da-
gli uomini udire la voce di Dio. Non si me-
dita e perciò non si fa il bene, non si medita
e perciò si fa il male.
Necessità della meditazione: 1) per evitare il
peccato.
È per questo che il santo concilio di Tren-
to, vuole che i parroci esortino i fedeli a non
passar giorno senza meditare qualche mistero
(1) «^Beatus vir qui in lege Domini meditabitur
die ac nocte, et erit tamquam lignum quod pianta-
tura est seeus decursus aquarum, quod fructum suum
dabit in tempore suo » (Salmi, 1-3).
(2) « Desolatione desolata est omnis terra quia nemo
est qui recogitet corde » (GEREMIA, X).
— 1161 —
della passione di nostro Signor Gesù Cristo.
Poiché, soggiunge, il motivo per cui si cade
così presto nei peccati, anche al primo attacco
della tentazione, è perchè non si ha cura di
eccitare in noi il fuoco dell'amor divino con
la meditazione delle cose celesti. Lo Spirito
Santo poi ci avvisa e ci rassicura, che se ri-
cordiamo bene i nostri ultimi fini non pec-
cheremo in eterno. Invece senza la meditazio-
ne il Signore può ben stare, come sta, a bat-
tere alla porta dei nostri cuori; ma tanto resta
sempre il frastuono delle faccende, degli affa-
ri, che la voce del Signore non si può più
udire, la voce della coscienza non può più
farsi strada.
Ci dicono i santi, e specialmente ce lo con-
ferma Sant'Alfonso: meditazione e peccato
non possono stare assieme. Il peccato, ci dice
questo santo, può stare con le preghiere voca-
li, anche coi digiuni e colle penitenze, e per-
sino con la frequenza ai sacramenti; ma non
può stare con la meditazione. O che non si
medita, o meditando il peccatore si converte,
e il giusto si avanza per le vie della perfezio-
ne. Come farà il peccato chi si pone sull'orlo
dell'inferno e vi guarda bene addentro, e con-
sidera che peccando vi può precipitare da un
momento all'altro? Come farà il peccato, chi
si pone bene a considerare il crocifisso, e ri-
flette che tutto quel mare di patimenti fu pro-
dotto dai nostri peccati, e che il Signore volle
soffrire tanto per liberarcene? È in vista del

59.6 Page 586

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— 11
gran bene che la meditazione produce che
il demonio fa tanti sforzi per non lasciarcela
fare.
2) Per progredire nella virtù.
Non solo la meditazione è necessaria per
tenerci lontani dai peccati, ma specialmente
è necessaria per far progredire le anime nella
virtù e nella via della perfezione. Fuggiva il
patriarca Giacobbe la collera vendicatrice di
Esaù, quando, pervenuto in una vasta pianu-
ra, si soffermò al sopravvenire della notte in
mezzo a quell'erboso terreno, e, stanco del
lungo viaggio, si abbandonò ad un sonno pla-
cido e tranquillo. Nel più bello del sonno ec-
co apparirgli una visione misteriosa. Egli vi-
de una scala lunghissima, che ferme avendo le
basi sopra la terra poggiava colla sommità al
più alto dei cieli. Mille bellissimi angeli scen-
devano e salivano per essa, mentre Iddio dal-
la cima della scala fissava amorosamente gli
occhi sopra il maravigliato Giacobbe, e tra le
altre cose gli promise di benedire in lui, e nel-
la sua discendenza, tutte le nazioni dell'uni-
verso. Ecco un'immagine assai viva della me-
ditazione. Essa è una scala che parte dalla
terra dei nostri cuori, e tocca fino al cielo.
Essa ci distacca dall'amore delle misere cose
di questa bassa terra, ed invogliandoci delle
celesti solleva i nostri pensieri, le nostre bra-
— 1163 —
me ed i nostri affetti alla patria beata del cie-
lo Quelli che scendono e salgono per quei mi-
steriosi gradini hanno il volto di angeli, poi-
ché coloro che meditano seriamente, parteci-
pano tutti in qualche maniera della natura
angelica: colla purità d'intenzione, colla san-
tità delle opere, coli'amore celeste di cui ar-
dono in cuore. Iddio sta alla sommità della
scala; e questo dimostra la provvidenza spe-
cialissima che egli nutre per queste anime
buone, e la premura che si prende di guidarle
sicure pei sentieri pericolosi di questa vita, e
come per ultimo le accolga tra le sue braccia
in paradiso. Oh dunque quanto è mai nobile,
preziosa, utile l'orazione mentale, per chi vuol
battere il sentiero della perfezione! L'anima
nostra non si trova estremamente bisognosa?
Perchè è arida? perchè non ha virtù? perchè
ha tante imperfezioni? Perchè non medita in se
stessa. Adunque come fare per rimettere in
noi il fervore? Ce lo dice di nuovo Davide
nei suoi salmi: Con la mia meditazione il
fuoco del divino amore si accenderà. Medi-
tando non si pecca più: meditando si riac-
cende il fervore. Dobbiamo perciò fare sem-
pre la nostra meditazione, e dobbiamo farla
bene. Gesù ce ne diede l'esempio: passava le
notti in orazione. Tutti quelli che vollero
farsi santi lo imitarono e vi riuscirono; men-
tre invece nessuno riuscì alla santità senza
questo potentissimo mezzo. Questa verità è
incontestabile. I più grandi santi si può dire

59.7 Page 587

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non facessero altro che meditare: essi, anche
nelle loro grandi e normali occupazioni, te-
nevano sempre la mente fissa in Dio. Sant'An-
tonio al comparire del sole mattutino dolce-
mente si lamentava con lui. perchè veniva a
disturbare le care meditazioni che aveva fat-
to per tutta la notte. San Francesco d'Assisi
si ritirava settimane intiere senza mai par-
lare con nessuno e senza veder nessuno: solo
meditava. San'Ignazio di Loyola faceva lo
stesso: ciò che compì la sua conversione e
che lo innalzò a tanto grado di santità, fu la
meditazione. Ma anche i santi più operativi,
San Bernardo, San Domenico, San Filippo
Neri, San Vincenzo de' Paoli, San Francesco
di Sales, che tanto operarono per la gloria
di Dio e per la salvezza delle anime, si può
dire che erano in continua meditazione.
3) È necessaria ad istruire ed a guidare le
anime.
La meditazione è poi indispensabile per
chi ha da istruire altri nella santa legge di
Dio, e da guidare le anime nelle vie del Si-
gnore. A quel modo che il mondo materiale
ha un doppio aspetto, l'uno pel volgo e l'al-
tro pel naturalista; come un libro veste dif-
ferente aspetto per chi lo capisce e per chi
non lo intende, così avviene per la santa
legge di Dio. Per conoscere le cose divine,
penetrarne il midollo, mostrarci ripieni dello
Spirito Santo, è di tutta necessità la medi-
tazione. « Avvicinatevi e sarete illuminati ».
Come potresti capire il beato Sebastiano Val-
fré che si chiamava di tutto cuore gran
peccatore, e che confessandosi tutti i giorni,
si accusava di aver commessi molti peccati
e delitti? Chi comprenderà Santa Teresa, se
non si è uomini di molta meditazione, se non
si comprende fino al fondo il cuore umano?
E noi saremo poi destinati a dirigere anime,
e perciò siamo obbligati a prepararci con
sode e quotidiane meditazioni. Secondo le no-
stre costituzioni noi dobbiamo lavorare mol-
to a prò dei giovani e del prossimo; dobbia-
mo pertanto accenderci d'un grande zelo per
la salute delle anime. Ma per lavorare util-
mente alla santificazione degli altri, bisogna
applicarsi bene alla meditazione. Infatti la
nostra vita sempre a contatto col mondo rie-
sce più difficile a mantenerci nel fervore, e
ci espone a molti maggiori pericoli, che non
siano esposti coloro i quali appartengono ad
Ordini che non hanno per iscopo l'occuparsi
dei giovani. E poiché bisogna riempirsi me-
glio dello spirito di pura e viva luce, se
si vogliono illuminare gli altri, così si deve
riempire il cuore di sempre maggior fuoco se
si vuol riuscire ad infiammare gli altri. Nella
meditazione poi si comprenderà meglio che
la buona riuscita di un giovane o la conver-
sione d'un peccatore dipende più dal buon

59.8 Page 588

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— 1166 —
esempio, dall'unzione delle nostre parole e
specialmente dalla grazia di Dio che non dai
nostri sforzi materiali.
4) Necessità di meditare per un religioso.
La necessità della meditazione è molto
maggiore in un religioso, che deve non solo
fuggire il peccato osservando i comandamen-
ti, ma anche tendere alla perfezione praticando
i consigli, cosa assai più ardua, tenuto conto
che il religioso è anch'egli impastato di fan-
go, e dalle passioni pur lui trascinato verso
terra ed all'amore dei beni sensibili. Senza
la meditazione non si viene nemmeno a ca-
pire che cosa sia perfezione, parlando in
modo pratico; mentre invece non può essere
che uno, il quale mediti bene, non s'invogli
di tendere con ardore alla medesima. San
Tommaso dice che la prontezza della vo-
lontà ad eseguir sempre tutto ciò che piace
a Dio. nel che consiste la perfezione cristia-
na, oltreché dalla grazia di Dio nasce dalla
meditazione. « Poiché, dice, la meditazione
delle proprie miserie da una parte e delle
divine perfezioni e benefizi dall'altra, fa l'a-
nima umilmente soggetta a Dio, e pronta,
per la sua infinita bontà e per gratitudine ai
benefizi di lui. a darsi tutta al suo servizio ».
Il Caietano, commentando questa dottrina
dell'Angelico, soggiunge che la meditazione
deve essere quotidiana nel religioso; nè me-
1167 —-
rita il nome di religioso colui, che almeno
una volta al giorno non vi si esercita. E sog-
giunge ancora che come non si dà effetto senza
causa e non si ottiene il fine senza i mezzi,
così non si vive da religioso senza l'uso della
meditazione. Il religioso non può contentarsi
d'una vita esteriormente regolata; ma la no-
stra ha da essere vita interiore. Sono da re-
golarsi i nostri giudizi basandoli sui giudizi
di Dio, stimando ciò che Iddio stima e tenendo
in poco conto quello che Dio non stima. Sono
da regolare i nostri affetti amando Dio e ciò
che Iddio ama. Ora in questa vita interiore
chi ci è maestro? Lo Spirito Santo. Nella
scuola della perfezione noi siamo discepoli
dello Spirito Santo: quello che impariamo
l'impariamo da lui, e ciò che egli non c'in-
segna non lo possiamo sapere in nessun mo-
do. Or come e quando mai lo Spirito Santo
ci fa scuola? In nessun altro tempo più che
in quello della meditazione. Il religioso che
non medita, è uno scolaro ignorante che tra-
scura di andare a scuola. Quindi Santa Te-
resa diceva, che il tralasciare la meditazione
è chiudere la porta per la quale ci vengono
i lumi e le grazie dello Spirito Santo. Ecco
perchè i santi stimavano tanto, e pratica-
vano così assiduamente questo esercizio. Il
dottissimo Suarez si dichiarava pronto a ri-
nunziare a tutte le sue cognizioni filosofiche
e teologiche, acquistate con lunghi e faticosi
studi, prima che perder il frutto di un quarto

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— 11
d'ora di orazione mentale. Sant'Alfonso sotto
un certo aspetto stimava la meditazione più
ancora che la comunione. Gli eremiti del de-
serto non si comunicavano con frequenza per-
chè non potevano; ma meditavano del conti-
nuo e si facevano santi e gran santi.
5) Necessità della meditazione alla santità.
Il religioso deve santificarsi. Ora il santi-
ficarsi consiste nel ritrarre in se stesso l'im-
magine di Gesù Cristo. Questo lavoro si ese-
guisce mirando spesso il modello e la copia,
e confrontandoli. Questo confronto si fa ap-
punto nella meditazione, la quale ci mette
innanzi quel che dovremmo essere per asso-
migliare a Gesù Cristo, e quel che realmente
siamo, e, come lo specchio, ci fa conoscere le
macchie o brutture che deturpano il volto.
D'altra parte il religioso sa quali potenti ne-
mici lo circondano e lo assediano: fuori il
demonio ed il mondo, entro la concupiscenza
e l'amor proprio; nemici astutissimi, che con
infinite frodi cercano ingannarlo e farlo ca-
dere. Importa assai lo scoprirne le mosse ed
i raggiri. La meditazione ci fa appunto co-
noscere i disegni del nostro avversario ed i
lacci che ci tende. Chi non medita è simile
a quel sovrano, che assediato dal di fuori ed
insidiato dal di dentro, se ne stesse tranquillo
in ozio, senza prendere le debite precauzioni.
— 1169 —
Noi religiosi specialmente siamo obbligati
a fuggire il peccato, a correggere i nostri di-
fetti, ad aver fede, speranza, carità, timor di
Dio, zelo del prossimo. Ebbene, è per mezzo
della meditazione che queste cose si otten-
gono. E se tra i religiosi medesimi vi sono
dei tiepidi, è da ascrivere a questo, che non
fan bene la meditazione. Infatti meditazione
e vera tiepidezza non possono stare insieme,
essendo che in meditatione mea exardescet
ignis. San Bonaventura ci dice che la medi-
tazione è come uno specchio, in cui l'anima
vede i suoi difetti e cerca di farli scompa-
rire. Inoltre, soggiunge ancora questo santo,
per praticare le virtù è necessario conoscerle.
Non è con gli occhi del corpo, nè alla luce
materiale del sole che esse si conoscono; ma
con lo sguardo penetrante dell'anima, ed alla
luce divina, il che si fa solo con la medita-
zione. Sì, l'orazione mentale è una lampada;
ma questo non basta, poiché dopo (l'avere
conosciute queste virtù è ancora necessaria la
grazia e la forza di praticarle, ed è la pre-
ghiera che ci ottiene questa grazia e questa
forza. Chi non medita, non sente bisogno
della preghiera, e la pratica delle virtù rie-
sce per lui impossibile. San Giovanni Cri-
sostomo dice che l'orazione è una fontana po-
sta in mezzo ad un giardino: essa spande
dappertutto la freschezza, e fa sbocciare i fiori
di tutte le virtù. Un giardino non irrigato
inaridisce. Sant'Agostino ci dice che l'uomo

59.10 Page 590

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110 —
è stato creato da Dio per conoscerlo, amarlo
conoscendolo, e per quietarsi in lui con per-
fetto amore (1). E questo è quanto fa la me-
ditazione.
La meditazione, abbiamo detto, è il gran
mezzo per giungere alla perfezione. La per-
fezione consiste nel perfetto amor di Dio;
ma questo grande amor di Dio quando e
dove si accende? Nella meditazione. Onde
dice il nostro San Francesco di Sales, che la
meditazione è moralmente indispensabile pei-
arrivare alla perfezione, essendo che è essa
che rischiara l'intelligenza per mezzo di un
lume divino, come è essa che spinge la no-
stra volontà all'amore del Signore. San Luigi
Gonzaga diceva che senza molta orazione
mentale non si arriverebbe mai ad un emi-
nente grado di virtù. I profumieri conser-
vano il profumo della profumeria anche do-
po finito il loro lavoro, e l'anima che vive
con nostro Signore nella meditazione, span-
de attorno a sè il buon odore di Gesù Cristo
anche quando non è più in preghiera. Siamo
il buon odore di Cristo, dice San Paolo. E
siccome il ferro gettato nel fuoco lascia le
sue proprietà naturali e prende le qualità del
fuoco, così colui che occupa frequentemente
il suo spirito nelle cose di Dio, perde a poco
a poco i sentimenti, le inclinazioni e le debo-
(1) « Creatus est homo, ut Deum cognosceret, co-
gnoseendo amaret, amando quieseeret in eo perfecte ».
1171 —
lezze della natura corrotta, e riceve senti-
menti e qualità tutte divine. Per questo i
santi fecero della loro vita una continua me-
ditazione. Tu pertanto ritieni quell'ammae-
stramento di San Francesco d'Assisi: «La
grazia che maggiormente deve desiderarsi da
un religioso deve essere lo spirito di orazione
(meditazione), perchè s'egli avrà questo dono
potrà promettersi d'arrivare alla perfezione.
Se esso invece non potrà acquistarlo, si con-
danna per forza ad indietreggiare ogni gior-
no invece di progredire». É adunque questa
la pratica di pietà attorno a cui devi fare
i tuoi più grandi sforzi. Da tutto ciò che
si disse sopra, si può conchiudere che la vera
differenza tra il religioso che vive santamente
ed il religioso immortificato è, che l'uno fa
bene la meditazione, e l'altro no, poiché, co-
me dice Sant'Agostino, saprà viver bene co-
lui che saprà pregar bene (1). E molti danno
gran numero di precetti per la perfezione;
ma credo che in pratica l'assidua meditazio-
ne sia il precetto più importante. Aveva per-
ciò ben ragione San Filippo Neri, affermando
che un religioso senza meditazione è un reli-
gioso senza ragione; e Sant'Alfonso de' Li-
guori che un religioso che non fa medita-
zione non è più un religioso ma un cadavere
di religioso.
(1) « Recte novit vivere qui recte novit orare »,

60 Pages 591-600

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60.1 Page 591

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Ciò che ne dice San Bonaventura.
San Bonaventura, nello Specchio della di-
sciplina, rivolgendosi ai novizi dà loro que-
sti ammaestramenti: « Debbono i novizi esser
solleciti e ferventi nell'orazione mentale; non
solamente quando si trovano nell'atto di far-
la nelle solite ore a loro determinate, ma de-
vono anche meditare in ogni luogo e tempo.
Essi sono il tempio di Dio; e perciò in ogni
circostanza, o coricati per riposare, o man-
giando o lavorando, debbono nel loro inter-
no, senza proferire parole articolate, pregare il
Signore con puro cuore, perchè l'orazione
tanto più è sicura e fruttuosa quanto più è
secreta ed intrinseca. E come se facessero
una esortazione o conferenza a se stessi de-
vono quotidianamente esaminarsi, e tra se
stessi ricercare in quali cose facciano pro-
fitto e in quali manchino al debito loro. E
così devono rendere quotidianamente grazie
a Dio con tutta la divozione della mente loro
per il benefizio ricevuto della vocazione, e
per tutti gli altri benefizi da lui, Salvator
nostro, ricevuti. E fa anche bisogno che
con instantissime suppliche lo preghino, af-
finchè egli si degni di finire in loro quel bene
che hanno incominciato. Quanto più l'uomo
conosce se stesso e considera lo stato suo
interiore, tanto più viene a pregar bene. È
dunque cosa necessaria che, se noi vogliamo
utilmente star uniti a Dio, esercitiamo l'a-
nimo nostro nella meditazione e nella con-
siderazione della nostra miseria, impariamo
che cosa ci faccia bisogno di domandare a
Dio. E nel meditare la misericordia di Dio,
bisogna che impariamo .con qual desiderio,
confidenza ed umiltà dobbiamo domandare.
Giacché con queste due ali, cioè con la con-
siderazione della miseria dell'uomo, e con
quella della misericordia di Dio Redentor no-
stro si solleva e ingagliardisce l'orazione.
Ciò che ne dicono i santi fondatori e le no-
stre regole.
Essendo la meditazione il gran mezzo per
correggersi dei propri difetti ed arrivare alla
perfezione, non credo vi sia ordine religioso
o congregazione che non abbia nelle sue re-
gole un articolo che la prescrive. Anzi in
molti è stabilita mattino e sera, e per un'o-
ra. Il serafico dottor San Bonaventura dice:
« Guai a quelle religioni che trascurano la
meditazione! Con tal omissione in esse si in-
trodurrebbe la nausea della divozione, e si
darebbe l'adito alle imperfezioni, e si apri-
rebbe la via al precipizio» (1). Sant'Agostino
dice che la meditazione è il principio del
(1) « Sine lsto studio omnis religio est arida, im-
perfeeta, et ad ruinam promptior • (De Prov. Bclig.,
I, 2, e. 69).

60.2 Page 592

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11
ben operare (1). Nei salmi poi Davide ci dice
che perisce l'anima che non fa meditazio-
ne (2). Le nostre costituzioni non ne stabi-
liscono che mezz'ora al giorno, ma richie-
dono che questa mezz'ora vi sia sempre, e
non sia diminuita, dicendoci che: «ciascuno,
oltre le orazioni vocali, farà ogni giorno non
meno di mezz'ora di orazione mentale ». Per-
tanto è di massima importanza che tu ti per-
suada essere questa la molla della vita reli-
giosa, affinchè non abbia mai da avvenire,
in tutto il tempo della tua vita, che per leg-
geri motivi l'abbia a tralasciare o l'abbia a fare
con diffidenza.
Quanto la meditazione sia osteggiata dai
demonio.
È veramente cosa degna di stupore il vede-
re, che l'esercizio della meditazione, mezzo
tanto eccellente e necessario, sia nondimeno si
poco amato e sì poco da molti fedelmente pra-
ticato, anche da religiosi, e che si diano vari,
i quali vi provano una grandissima ripugnan-
za. Ma lo stupore prende a dileguarsi quando
si consideri essere il demonio che osteggia
grandemente questa pratica, come quella che
(1) » Intellectus cogitabundus est principium omnis
boni » (In Libr. Seni. III).
(2) « Nisi quod lex tua meditatio mea est, tunc
torte'periissem in humilitàte mea » (Salmi, CXVIII, 92).
— 1175
è per lui tanto dannosa. Egli fa certamente
ogni sforzo per impedirla; affinchè, otturato
questo fonte, l'anima nostra resti in secco,
senza forza e senza resistenza alle proprie
tentazioni. Egli sa che nell'inferno non v'è
nessuno che sia stato assiduo a fare la medi-
tazione; mentre invece vede che tutti quei
che vi sono, vi andarono perchè non medita-
vano. Vedendo ciò non ci stupirà più se l'aba-
te Agatone ebbe a dire, non esservi maggior
travaglio pel religioso di quello che talora
prova in far meditazione; poiché i demoni
sapendo molto bene non esser potenti contro
quelli che vi si applicano davvero, suscitano
contro di essi tanti disturbi che è maraviglia
se non l'abbandonano. Onde tu conoscendo
bene la fonte della noia o ripugnanza che
possono venirti, cioè che ha origine dal de-
monio, sta' in guardia, e quanto più esso ten-
ta di vincerti, tanto più veglia su di te affin-
chè non giunga mai a sopraffarti.
Meditazione privata o senza libro.
Noi siamo soliti fare la meditazione col li-
bro in comune; però può anche capitarti di
non poterla fare con gli altri. Allora sta' at-
tento a non dimenticare quest'atto così impor-
tante. Se hai il libro puoi farla da te, serven-
doti di quello nello stesso modo come la fai
le altre volte in comune. Ma se ti trovi in

60.3 Page 593

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— 11
viaggio o in casa altrui, o anche da solo sen-
za comodità di libro, oppure anche se per
qualche impossibilità, come se per mal d'oc-
chi, o per essere all'oscuro non potessi servir-
tene, non lasciare ugualmente di fare la me-
ditazione. Vi sono molti modi e molto facili
per cui potrai certamente riuscirvi. Io te ne
indico qui alcuni. Si può prendere utilmente
per soggetto della meditazione la formula
d'una preghiera che si sa a memoria, per
esempio il Pater, l'Ave Maria, gli atti di Fede.
In tal caso si recita "una di queste preghiere,
fermandosi qualche tratto su ogni parola a
riflettere, per penetrarne il senso e nutrirne
l'anima. Facendo così ti passa la mezz'ora di
meditazione, anche col solo scorrere il Pater
noster. I comandamenti di Dio e della Chiesa
possono anche fornirti soggetto di meditazio-
ne molto pratica. Si fan passare uno ad uno i
comandamenti, si riflette con ponderazione
che cosa proibiscono e che cosa comandano:
intanto si esamina in che modo li osserviamo
noi; si domanda perdono delle nostre infedel-
tà nell'osservare la santa legge del Signore;
si fan seri propositi su ciascuno. Si possono
far passare i setti vizi capitali e vedere i danni
che ci recano uno per uno, e prendere i mezzi
per reprimerli. Altro metodo ben semplice e
adatto è far passare i misteri del rosario, fer-
mandosi a meditare su ciascuno. Potresti per-
sino far benissimo la tua meditazione guar-
dando la campagna, i fiori, i frutti; innalzan-
— 1177 —
do lo sguardo al cielo stellato, ecc., riflettendo
a lungo sulla potenza, sapienza, bontà di Dio;
sulla corrispondenza e gratitudine che gli dob-
biamo e via via. Altro modo ben salutare con-
siste nel percorrere in ispirito le cinque pia-
ghe del Signore. Uno si mette ai piedi del cro-
cifisso con la Maddalena, e con lei si raccol-
gono le gocce 'di sangue che stillano dal cor-
po scarnificato di Gesù. Si abbracciano i suoi
piedi e si chiede perdono dei passi colpevoli
che si son fatti andando in compagnie o luo-
ghi pericolosi, o fuggendo dalla chiesa o dal-
l'ubbidienza. Si baciano le mani trafitte dai
chiodi, si adorano e si domanda perdono di
tutte le azioni colpevoli che si ebbe la disgra-
zia di fare, con esse, o col rubare, o col battere,
o col servircene immodestamente. Si considera
la corona di spine, e così ti ecciti al pentimento
delle vanità, dei capricci, della superbia, ecc.
Infine si entra per la piaga del costato in co-
testo cuore adorabile e sempre aperto a noi.
e vi si nasconde come in porto di salute: qui-
vi erigeremo le nostre tende, perchè quivi si
sta bene.
Frutti della meditazione.
I frutti che noi dobbiamo ricavare dalla
meditazione sono i seguenti: riformare i co-
stumi, allontanarsi dai peccati sebbene molto
leggeri, fuggirne le occasioni ed ogni imper-

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— 11
fezione, domar le passioni ed i sensi, mortifi-
care le cattive inclinazioni, vincere le ripu-
gnanze e difficoltà che s'incontrano nelle vir-
tù, combattere valorosamente contro le tenta-
zioni, avvezzarsi a sopportare molti travagli
con allegrezza, animarsi ad adempiere pron-
tamente la volontà di Dio dichiarata nella
sua santa legge, e nei consigli evangelici, e
nelle regole ed ordini dello stato ed ufficio
in cui uno si trova, e nei consigli che dànno
i superiori. Inoltre procurare l'accrescimento
nelle virtù dei tre voti, povertà, castità, ub-
bidienza; nella carità, umiltà, pazienza nei
travagli, ed amore alla croce, al dispregio ed
alla macerazione della carile. E particolar-
mente ciascuno deve procurarsi le virtù che
gli sono più utili, considerata la qualità
dello stato suo: sia modestia, o castità, o for-
tezza, od altra delle teologali o morali. Quan-
do pertanto tu ti esaminerai sulla meditazione
fatta, dovrai notar bene se hai cavato al-
cuni di questi frutti nel modo suddetto; e se
la ricerca ti dà un risultato negativo, pro-
cura e proponiti i mezzi pratici per riuscire
nell'intento.
— 1179 —
poiché nulla meglio di essa può purgare il
tuo intelletto dalle sue ignoranze, e il tuo cuo-
re dai suoi affetti depravati. La meditazione
mette il nostro intelletto nella chiarezza e lu-
ce divina, ed espone la nostra volontà al cal-
do del calore celestiale. La vostra parola, o mio
Dio, esclama il real profeta, rischiara le tene-
bre della mia niente, e dirige i miei passi nel
retto sentiero (1). Si può ben dire che se la
nostra vita è un viaggio al cielo, la meditazio-
ne è la via che vi conduce. Se la nostra vita è
un faticoso cammino, la meditazione è quel-
l'albero benefico sotto cui dobbiamo riposarci
onde prendere ristoro e fortificarci. Corag-
gio: prendi amore a questo mezzo potentissi-
mo di santificazione. Oh se potessi io oggi es-
sere persuaso d'averti invogliato ad essa! Po-
tessi esser persuaso di averti fatto penetrare
nel cuore l'utilità che da essa deriva! Io mi
sentirei tutto consolato per aver così posto
nelle tue mani la chiave della perfezione. Fac-
cia il Signore che sia così.
(1) • Lucerna pedibus meis verbum tuum, et lumen
semitis meis » (Salmi, CXVIII).
Stima ed amore alla meditazione.
Ti stia adunque sommamente a cuore la
meditazione; abbine una grande stima. Non
vi sia cosa da te maggiormente desiderata,

60.5 Page 595

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— 110
CAPO XIII
DEL MODO PRATICO PER FARE
LA MEDITAZIONE
Fare il possibile.
Quando si ha buon volere si riesce sempre
nella meditazione, perchè essa dipende più
dall'ispirazione dello Spirito Santo che dalla
nostra industria, e lo Spirito Santo è sempre
con chi fa quel che può. Tuttavia, perchè la
volontà sia veramente buona, si richiede che
l'individuo faccia davvéro quanto può da
parte sua, perchè il Signore vuole che noi
prendiamo i mezzi convenienti per riuscire ad
un'impresa sì eccellente ed utile. Chi per-
tanto vuol riuscire a far bene la meditazione
deve cercar di conoscere il miglior modo pos-
sibile per farla bene. Io qui cercherò di spie-
garti il metodo che si suole tenere da noi,
che non possiamo consacrare gran tempo al-
la meditazione, avendo sempre da stare coi
giovani, da attendere ad altre cose relative
alla nostra vita molto operativa in bene delle
anime. Esso è basato su quanto c'insegna nelle
ammirabili sue opere il nostro titolare, il gran
dottore di santa Chiesa, San Francesco di
Sales, e su quanto c'insegnano Sant'Ignazio,
Sant'Alfonso e gli altri autori più accreditati
in materia.
— 1181 —
Le tre parti della meditazione:
1) Preparazione.
Nell'orazione mentale si possono conside-
rare tre parti: la preparazione, la medita-
zione propriamente detta ossia i punti della
meditazione, e la conclusione ossia ringrazia-
mento. La preparazione è necessaria. Gesù
medesimo ce l'ha inculcata facendoci dire
nel Vangelo: Prima dell'orazione prepara l'a-
nima tua (1). Ciò viene a significare che, es-
sendo la meditazione quasi una conversazione
che l'anima fa con Dio, non va bene che
l'uomo vi s'accosti sbadatamente, senza aver
prima raccolti i suoi pensieri e richiamata
l'attenzione alla somma riverenza con cui si
deve trattare con Dio. San Bernardo stima
tanto necessaria questa preparazione, che da
essa fa dipendere l'esito dell'orazione, dicen-
do: « Come tu andrai preparato a Dio, così
Iddio apparirà a te nella tua orazione ».
Preparazione remota.
La preparazione è remota e prossima. Quan-
to alla preparazione remota, oltre al viver
bene, come deve uno che è ammesso a con-
versare con Dio, e al mettersi in grazia di
Dio se per isventura non vi fosse, si richiede
che già prima del tempo della meditazione si
(1) « Ante orationem praepara animam tuam «.

60.6 Page 596

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— 11
pensi ad essa. Già fin dalla sera antecedente,
se puoi, ma specialmente fin dalla levata, pro-
cura di star raccolto quanto ti è possibile.
Non isvagarti o curiosare: non chiacchierare,
o leggere cose estranee. Rècati in chiesa o nel
luogo della meditazione con raccoglimento,
prendi con riverenza l'acqua benedetta, fa'
divotamente il segno della croce e la genu-
flessione, ed arrivato al tuo posto, subito con-
centrati in preghiera, e stacci con gran rac-
coglimento e compostezza. Ma ricordati sem-
pre che la preparazione principale è la di-
sposizione stessa della volontà, cioè occorre
gran desiderio di trar profitto. Che se sen-
tissi difetto di questo gran desiderio, sarà
bene suscitarlo in te con qualche divota con-
siderazione. Figurati ad esempio d'andare a
questo santo esercizio come andrebbe un avaro
ad un ricco tesoro di cui si potesse impadro-
nire, o come un viandante assetato ad una
chiara fonte a cui potesse refrigerarsi, o co-
me un affamato ad un buon banchetto nel
quale si potesse rifocillare. Più che tutto ti
gioverà il considerare che nella meditazione
è direttamente Iddio che ti parla. Il Signore
disse: « A chi fu già dato, abbonderà; a chi
non ha, anche quel poco che ha sarà tolto » (1).
Perciò chi vuole approfittare porti alla me-
ditazione un cuore buono ed ottimo, disposto
(1) «Qui habet dabitur et abundabit, qui non habet
etiam quod habet auferetur ab eo • (LUCA, VILI, 18).
— 1183 —
a ricevere la semente che il divino agricoltore
vi spargerà. L'uomo che viene con questo
cuor docile ed arrendevole alle sante ispira-
zioni, è colui di cui fu detto che ha; e per-
ciò a lui sarà dato sempre di più. È anche
parte della preparazione remota il procurare
che il luogo dove si fa la meditazione sia si-
lenzioso, il trovarsi diligentemente al princi-
pio della medesima, perchè arrivando tardi,
non si faccia rumore all'aprire o chiudere le
porte con disturbo proprio e degli altri, e
non si perda nessuna preghiera o parola della
lettura di essa. Importa pure molto il guar-
darsi attentamente dal tossire, dal soffiarsi
il naso, sospirare in modo da essere avvertito
dagli altri, o far comecchessia rumore col muo-
vere il banco o la sedia. Deve poi es-
sere cura attentissima di chi legge i punti
della meditazione, il porsi in luogo e volgersi
in modo da poter essere ben inteso da tutti,
di far detta lettura con voce molto spiccata,
con senso, e sufficientemente adagio, che non
abbia a sfuggir sillaba di quanto egli legge.
La trascuranza di queste piccole attenzioni
talora è anche causa del poco profitto che
se ne trae.
Preparazione prossima.
La preparazione prossima racchiude le tre
parti seguenti: 1" mettersi alla presenza di
Dio, cioè ricordarsi di essere alla presenza di

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quel Dio che noi vogliamo onorare, che ci ha
da dare le grazie che ci occorrono, e che do-
vrà giudicarci se noi abbiamo fatto il possi-
bile per far bene la meditazione. 2° Doman-
dar perdono dei nostri peccati con l'umiliarci
davanti a Dio, poiché la meditazione è spe-
cialmente quella che deve farci conoscere noi
medesimi; e non verremo mai a conoscerci
bene, se non sprofondandoci nel nostro nulla
e nel riconoscerci bisognosi di tutto. 5° Do-
mandare a Dio la grazia di poter far bene la
meditazione, recitando anche qualche piccola
preghiera vocale in proposito, che per noi è
quella notata nel nostro Manuale: Mio Dio,
prostrato alla vostra presenza...
a) Metterci alla presenza di Dio.
Giova assai mettersi bene fin da principio
alla presenza di Dio; e questo deve essere
un atto che non duri solo quel momento,
ma devesi rendere presente per tutto il tem-
po della meditazione. Questo si può fare in
molti modi: te ne suggerisco qui qualcuno
affinchè scelga quel che ti va meglio, ed an-
che lo varii secondo le circostanze. Facendo
la meditazione in chiesa, il modo più sem-
plice è questo: guarda il tabernacolo e fi-
gùrati che veramente Gesù da esso ti osservi.
Egli è là vivo e vero, col suo cuore ardente
di amore per noi, e che si dispone a farti
maggiori o minori grazie secondo il mag-
giore o minor impegno che porrai nel far
bene la meditazione. Oh! figùrati proprio
di vedere Gesù con gli occhi tuoi: figùrati che
egli tenga gli occhi suoi per tutto il tempo
della meditazione sopra di te: allora la me-
ditazione ti riuscirà certamente bene. Altro
modo, e lo potresti specialmente adottare
quando non facessi la meditazione in chie-
sa, e in tempo di quaresima o di passione ed
al venerdì, è questo: guarda il crocifisso, e,
concentrato in. te stesso, figùrati di vedere
realmente Gesù in croce, mentre è in agonia
per gli immensi spasimi che soffre e che egli
volga gli sguardi a te, e trovi qualche sol-
lievo se tu fai con gran divozione la medi-
tazione, mentre gli si aggiungerebbero nuovi
dolori ai tanti che già soffre se ti vedesse di-
stratto e freddo nel meditare. Giova anche,
quando è opportuno, o si fa la meditazione
da solo, tenere il crocifisso in mano, e avanti
gli occhi, ed osservare continuamente Gesù
penante figurandotelo ancor vivo, e che
ti stia vicino per aiutarti a penetrare nelle ve-
rità che mediti, ed a prendere generose ri-
soluzioni. Vari che sperimentarono questo me-
todo mi confermarono aver loro giovato im-
mensamente a scuotersi dal loro torpore. V'è
un terzo modo, che adoperava alle volte Don
Bosco, specie quando era ancor chierico, e
che dice adoperasse anche il suo amico Luigi
Comollo morto in concetto di santità, e di cui

60.8 Page 598

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egli poi scrisse la vita, metodo che tu potresti
specialmente usare nel tempo pasquale e alla
domenica. Consiste nell'idearsi il paradiso, la
SS. Trinità, con Gesù benedetto glorioso e
trionfante; poi la Beata Vergine, San Giu-
seppe, tutti gli angeli e santi in uno sfolgorìo
di luce; fare così la tua meditazione alla loro
presenza. E figurati che ti osservino, e che ti
preparino una corona di grazie se tu la farai
con grande impegno, mentre ne sarebbero
sdegnati se ti vedessero in essa mal disposto.
Nulla t'impedisce di porti alla presenza di
Dio in qualche altro modo, che più attiri il
tuo raccoglimento: come se volessi figurarti
d'essere avanti al divin Giudice, il quale fosse
pronto a scagliarti la sentenza di reprobo se
tu fai male le meditazione, ed a lenire invece
la sua collera e benedirti se tu metti tanto
impegno per farla bene e trarne frutto. Così
se volessi, per esempio al sabato, figurarti la
Madonna che ti osserva e ti guarda; se vo-
lessi figurarti altra volta San Giuseppe o l'An-
gelo Custode, oppure anche le anime del pur-
gatorio, che resterebbero sollevate se tu vinci
tutte le ripugnanze e le distrazioni, mentre
invece continuerebbero a soffrire orribilmente
se tu fossi freddo e noncurante nella mede-
sima. Basta anche che avvivi la fede, e miri
Iddio presente a te, come è presente in tutti
i luoghi del mondo, e ti persuada che quando
fai meditazione non sei solo ma che si trova
con te la SS. Trinità, Padre, Figliuolo e Spi-
rito Santo, con cui parli, e che ti vede, ode.
e vuol rispondere nel tuo cuore con ispira-
zioni ed illustrazioni. Altra volta ancora puoi
mirare Dio che ti sta accanto e ti circonda
da ogni parte, e mirar te entro lui come un
pesce entro il mare. Altra volta mirare Gesù
in te, nel tuo cuore, e che tu gli eriga un tem-
pietto, come fece Santa Caterina da Siena,
che poi tutto il giorno mirava Iddio nel pic-
colo santuario da lei eretto nel suo cuore.
Son persuaso che se fin dal principio della
meditazione ti applicherai a metterti in qual-
cuno di questi modi alla presenza di Dio. riu-
scirai davvero a far bene questo grande atto
di religione, e ne ricaverai frutto abbondante
e sarai certo di vincere poco per volta tutti
i tuoi difetti, ed incamminarti presto real-
mente sulla via della perfezione, per la quale
Iddio ti vuole.
b) Chieder perdono dei propri peccati.
11 secondo atto della preparazione consi-
ste nel prostrarsi in ispirito profondamente
avanti il Signore, e domandargli perdono dei
tuoi peccati, umiliandoti avanti la maestà
sua. La superbia è quella che più ci allontana
la grazia del Signore; l'umiltà è quella che
più ce l'attira, e specialmente nell'orazione

60.9 Page 599

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— 11
l'umiltà giova immensamente (1). Rifletti adun-
que ai tuoi peccati, pensa che per tante colpe
commesse non dovresti neppur osare di stare
alla presenza di Dio, o ad alzare lo sguardo
a lui, e umiliati profondamente, pieno però
di riconoscenza che il Signore ti sopporti e
sia ancor pronto a farti grazie.
c) Chieder la grazia di poter ben meditare.
Il terzo atto è offrire a Dio l'orazione che
sei per fare e domandare la grazia di farla
bene e di ricavarne gran frutto. Se ti sei
bene umiliato ti verrà spontanea questa pre-
ghiera, poiché vedendoti incapace a tutto, in-
degno di tutto, ti getterai con grande slan-
cio e volenterosamente nelle braccia di Gesù,
la bontà e misericordia del quale è tanto gran-
de che riceve nel suo amplesso tutti quelli
che a lui si rifugiano. Prega ferventemente
lo Spirito Santo che t'illumini. Non dimen-
ticare di ricorrere anche all'intercessione della
Madonna, affinchè ti sorregga. Ricorda pure
che San Giuseppe è costituito come padre del-
la vita interiore e meditativa: ricorri quindi
anche a lui come pure al tuo Angelo Custode,
e poi entra nella meditazione.
Questi vari atti, che esposti qui largamen-
te sembrano dover durare gran tempo, com-
(1) « Oratio humiliantis se, nubes penetrabit » (Ec-
eli., X X X V , 21).
— 1189 —
presa la piccola preghiera Mio Dio ecc., che
noi siam soliti fare, in pratica possono e deb-
bono esser fatti in pochi minuti (per lo più
in quattro) per non togliere il tempo alla par-
te principale che è la meditazione propria-
mente detta.
ci) Rappresentazione del soggetto.
Una quarta cosa conviene ancora fare pri-
ma di entrare, direttamente nel corso della
meditazione, e consiste nel fare prima la rap-
presentazione del soggetto, dare cioè un col-
po d'occhio generale sul mistero o sulla veri-
tà eterna che si vuol meditare. Questo colpo
d'occhio generale o rappresentazione del sog-
getto o preludio alla meditazione è assai im-
portante, specialmente quando si tratta della
vita di Gesù, in cui questo soggetto ci è dato
dal testo evangelico. Conosciuto prima in ge-
nerale di che cosa si tratta, riesce poi più fa-
cile e naturale la divisione della meditazione
nei vari punti che si vogliono considerare.
Questa rappresentazione del soggetto è bene
renderla sensibile, figurandoti di vedere il
luogo e le persone che prendono parte, e di
udirne le parole, vederne i fatti; per esem-
pio se si medita la vita di Gesù figurarci di
vederlo, vedere le persone che l'attorniano,
sentirne le parole: se si medita l'inferno, fi-
gurarti di vedere come una gran fornace in-

60.10 Page 600

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— 1190 —
candescente, e tu lì presso come sull'orlo in
pericolo di cadervi dentro. Perchè con questo
ripiego la nostra mente è più disposta a te-
nersi concentrata e raccolta, e così ci aiuta
a capire più facilmente nelle sue particolarità
quanto si legge.
2) Punti della meditazione.
Sono la meditazione propriamente detta.
Noi siamo soliti a dividere la nostra medita-
zione in tre punti: si legge sul libro adottato
un punto, e poi si medita qualche minuto, in
modo che tra la lettura e la riflessione scor-
rano circa sette minuti. Quindi si legge il se-
condo. poi il terzo punto, e di nuovo, dopo
ogni lettura, si lascia un tempo adeguato di
riflessione. Ma, che fare in questo tempo di
riflessione? Come comportarsi? Questa è la
parte più importante; ma riesce anche la più
difficile, perchè da molti non si è capaci di te-
nere la mente ben fissa sul soggetto, e non si
sanno occupar bene i ritagli di tempo. Questa
pertanto è la parte a cui maggiormente devi
attendere. È bene sapere che la meditazione,
come dice l'angelico dottore San Tommaso, è
l'esercizio delle tre potenze interiori dell'ani-
ma: memoria, intelletto, volontà. Bisogna per-
tanto in detto tempo esercitare queste tre po-
tenze. Si entra nella meditazione senza sfor-
zo, coll'esercizio della memoria, richiamando
-— 1191 —
alla mente le cose lette, come se si avesse da
recitarle. L'esercizio della memoria deve oc-
cupare brevissimo tempo, ma esser fatto esat-
tamente e chiaramente il più possibile, perchè
l'intelletto trovi preparata a sè la via. Si pro-
cede con l'intelletto, studiandosi di capir bene
nelle singole sue parti quanto si è detto, cer-
cando di impossessarci bene della verità espo-
sta. Finalmente si esercita la volontà, appli-
cando le cose lette a noi stessi, industriandoci
così di eccitarci al bene.
a) Esercizio della volontà.
Il maggiore sforzo deve essere rivolto al-
l'esercizio della volontà; poiché è nel muovere
la volontà al bene dove consiste il vero frutto
della meditazione. È bene notarlo qui che
l'esercizio della memoria e dell'intelletto non
si fa per sè, poiché il frutto della meditazione
non sta propriamente nel capir bene la verità
che si medita o nel concepire buoni pensieri,
bensì nella volontà, la quale deve prendere
forti risoluzioni. Perciò non è neppur buona
cosa il lasciarsi perdere in sublimi considera-
zioni. o in vaghe cognizioni e lumi d'intellet-
to: ma bisogna che tutto converga a scuoter
la volontà. Però la volontà è detta dai filo-
sofi potenza cieca: essa vuole solo ciò che l'in-
telletto le propone come buono, secondo la
nota sentenza: niente è voluto, che non sia
39

61 Pages 601-610

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61.1 Page 601

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— 11
stato prima conosciuto. Si vuole fermamente
e fortemente ciò che si capisce esser molto
buono e molto utile. Perciò conviene esercitar
bene l'intelletto, affinchè esso agisca potente-
mente sulla volontà. Ma si può dire, che tutto
il frutto della meditazione sta nel persuadere
la volontà e scuoterla verso il bene, facendole
applicare all'anima nostra le cose meditate, e
inducendola a prender serie risoluzioni pra-
tiche di fuggire quel difetto ed esercitare la
tal virtù, prendere quel mezzo, perdonare
a quei tali, mortificarsi nella tal cosa, fare
quel tal sacrificio.
b) Esercizio dell'intelletto.
Ora: qual è il modo pratico di diriger l'in-
telletto, in qual modo guidare la volontà, af-
finchè vengano ad ottenere il loro scopo?
L'esercizio dell'intelletto consiste nella consi-
derazione e nell'applicazione.
Primo atto dell'intelletto è la considerazio-
ne attenta della cosa che si deve meditare.
Esso deve ben penetrare la verità proposta,
facendo vari discorsi e considerazioni intorno
al mistero che si medita, con andare investi-
gando le verità che stanno in essa nascoste,
con tutte le cagioni, proprietà, oggetti e cir-
costanze che ha, ponderandole assai minuta-
mente, servendosi anche di qualche analogia
— 1193 —
o paragone, secondo i casi, in modo tale che
l'intelletto si formi il concetto c h i a r o e pro-
prio delle cose che medita. Ciò non a modo
di studio, ma di colloquio con Dio, e con la
mira santa d'accender nell'anima l'amor di
Dio, il desiderio di divenir migliore, e restare
convinto e persuaso dell'importanza ed utilità
di ricevere ed abbracciare quella verità che
bai meditato, per proporla alla volontà e con
ciò muoverla ad esercitare anch'essa gli at-
ti indicati da tali massime. Procura intanto
d'indagare le radici e le cagioni dei tuoi di-
fetti, e da che cosa dipende questo poco slan-
cio nel correggerti di essi. Cerca i mezzi ef-
ficaci per sradicare, col divino aiuto, queste
radici e cagioni dei mancamenti. E stabilisci
i! proponimento di aborrire quei difetti e le
radici dei medesimi, e di metter mano ai
mezzi che giudichi adatti a sradicarli intiera-
mente. In seguito bisogna che tu coll'intellet-
to procuri di applicare a te stesso quanto si
è detto. Puoi domandare a te stesso: 1) Quali
doveri me ne sorgono? Cioè quali ragioni mi
spingono a far così o così? E considera: glo-
ria di Dio, edificazione del prossimo, santifi-
cazione propria, aumento di meriti, danni
che ne deriverebbero dai contrari. 2) L'ho fatto
sinora? in punto di morte sarei contento del
come l'ho fatto sin qui? Ti raccomando poi
specialmente che ti fermi a confrontare at-
tentamente la tua vita con la verità che hai
preso a meditare. E trovando che la tua con-

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dotta non le sia conforme, proponi tosto di
emendarti e di adoperare tutti i mezzi a ciò
necessari.
e) Rappresentazione di luogo.
Giova a questo fine anche qui in partico-
lare figurarti di vedere le persone e i luoghi, di
udire le parole, di considerare le opere che si
compiono meditando quel mistero; considerare
il fine che si ha, i mezzi che si prendono, la
maniera con cui la cosa avviene, indirizzan-
do a te stesso queste interrogazioni: per esem-
pio, chi è che soffre, che cosa soffre, come lo
soffre, per chi soffre, chi è che lo fa soffrire?
Riguardo alle persone figurarti per esempio
di vedere Gesù, Dio d'infinita bontà e mae-
stà sì grande e sì potente, e che pure patisce
e soffre; vedere i giudici, i carnefici, gente vi-
le, abietta, i quali non pertanto osano mal-
trattare il Datore d'ogni bene, così permet-
tendo Iddio per castigare i tuoi peccati. Ri-
guardo alle azioni figùrati per esempio di ve-
dere Gesù nella flagellazione starsene umile,
senza muoversi e lamentarsi ed i Giudei bat-
ter crudelmente, spietatamente; figùrati di ve-
dere il sangue grondare, brandelli di carne
staccarsi dal corpo di Gesù. Se consid3ri Gesù
che monta al Calvario, miralo affaticato, an-
sante, tutto piagato, insanguinato, curvo sotto
il peso della croce, i Giudei che lo guardano
con disprezzo, lo beffano, lo minacciano, le
pie donne che piangono, che vengono ad ab-
bracciarlo, ad asciugargli i sudori, ecc. Puoi
anche nel silenzio dell'afflittissimo tuo cuore
indirizzare la parola alle persone che sono
presenti a quel mistero, interrogarle, ascoltar-
le a parlare, anche sdegnarti contro i cattivi
c contro te medesimo, rimproverarli, ecc.
Quando poi il soggetto su cui si medita è di
cose che non cadono sotto i sensi, come quan-
do si medita sopra gli attributi di Dio, sopra
una virtù od un vizio, allora San Francesco
di Sales c'insegna a considerare la definizione
della cosa, i suoi caratteri principali, e le sue
differenze, i suoi effetti, e specialmente il mo-
do pratico di acquistare quella virtù o fug-
gire quel vizio. Il che tutto si può ridurre
a due punti: i motivi di abbracciare la virtù
o di evitare il vizio, e i mezzi per acquistare
quella virtù o per fuggire quel vizio.
d) Applicazione dei sensi.
Sant'Ignazio c'insegna anche a fare in cer-
te circostanze l'applicazione dei cinque no-
stri sensi, aiutando con la nostra immagina-
zione la debolezza dello spirito nostro. Ciò
si fa rimovendo i nostri sensi da ogni sensa-
zione terrena, e immaginandoci di vedere con
gli occhi la bellezza del celeste sposo e di
quanto stiamo meditando; di assaporare col

61.3 Page 603

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-
palato il cibo spirituale delle sue parole; di
udire la dolcezza della sua voce colle orec-
chie; di sperimentare la soavità dei suoi pro-
fumi coli'odorato; e col tatto la felicità dei
suoi amplessi. E così tutte le potenze nostre
occuparle del Signore o dei misteri che me-
ditiamo.
e) Propositi.
Per guidare poi la volontà alla fuga as-
soluta del vizio od abbracciare energicamen-
te la virtù, conviene fare sgorgare dalla mede-
sima varii affetti o atti virtuósi, corrisponden-
ti a quelli già emanati dall'intelletto. Alcuni
in ordine a se medesimi, come: di odio
di sè, di dolore dei peccati e confusione della
propria miseria; altri in ordine a Dio nostro
Signore, come: amore verso di lui, fiducia
nella sua misericordia, di lode, rendimento di
grazie per ricevuti benefizi. Ma non è mai da
dimenticare che lo scopo vero, primario del-
la meditazione consiste nel far piegare molto
risolutamente la volontà a buoni e seri pro-
positi di migliorare la propria vita, cioè di-
struggere in noi i difetti, ed erigere un fermo
edificio di virtù. Perciò la parte principale
ed il tempo più lungo deve spendersi nel co- I
noscere i nostri difetti ed eccitarci a desideri
di acquistare le vere virtù, propositi efficaci
di far buone opere, e di mutare e migliorare
la vita, rassegnazione della volontà propria
alla divina, disporsi a fare con affezione e
gusto della volontà quel che più piace a
Dio. Questi proponimenti devono sgorgare na-
turalmente dalle serie considerazioni dell'in-
telligenza, e conviene che siano spontanei.
Ciascuno per fragilità dell'umana natura ha
dei difetti, e specialmente qualche difetto do-
minante; poi facilmente s'accorge meditando
che manca di qualche virtù necessaria al suo
stato. Or costui deve procurare ad ogni me-
ditazione di piegare la sua volontà a questo,
ed in questo appunto consiste quello che chia-
miamo sostanziale divozione, da cui nasce la
pace e la naturale allegrezza dell'anima; ed
a questo, come dice San Tommaso, si ordina
principalmente la meditazione.
f) Affetti.
Fatto ciò, occorre ancora una quarta co-
sa: siccome tutto vien da Dio, e noi non pos-
siamo nè prender risoluzioni nè eseguirle sen-
za di lui, dobbiamo domandar grazie a Dio.
parlando e facendo colloqui dentro noi mede-
simi con Dio nostro Signore, trattando fami-
liarmente con lui. Conviene sfogarci in vari
affetti corrispondenti alle considerazioni fat-
te: amore verso Dio che ci ha illuminati su
quella verità, dolore per non aver praticato
quel mezzo e specialmente domanda. Questa

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1198
ha da essere anche ripetuta e motivata. Per
esempio: Voi sapete, Signore, che da me non
posso far questo: voi potete aiutarmi; mo-
strate la vostra potenza che risplenderà tanto
meglio quanto è maggiore la mia debolezza;
voi siete infinitamente buono... per i meriti
di Gesù Cristo, di Maria SS. E così domanda-
re a Dio i suoi cloni, e procurare di impetra-
re da lui tutto quello che è necessario per la
nostra salvezza e perfezione. Queste cose dob-
biamo domandarle con grande insistenza, e
ciò più per muovere il nostro cuore a doman-
dare con fervore, divozione e confidenza, che
per muovere Iddio ad ascoltarci, poiché mol-
to più Iddio desidera di darci le grazie che
riguardano il nostro bene spirituale, di quel-
lo che noi desideriamo di riceverle, secondo
che ci ammonisce Sant'Agostino: « Dio ci esor-
ta a domandare; e poi ci negherà quel che do-
mandiamo? ». Sant'Alfonso de' Liguori in par-
ticolare insiste su questo punto, di pregare
e domandare molte grazie al Signore. Ed io
ti soggiungo che se, non ostante tutte le re-
gole sopra indicate punto per punto, non sai
come meditar bene ed esercitare bene l'intel-
letto, e ti trovi arido e senza pensieri, appi-
gliati a questo altro mezzo: di pregare, non
tanto con preghiere vocali recitando il Pater o
VAoe, ma piuttosto con preghiere affettive,
con aspirazioni, con colloqui indirizzati al-
l'Eterno Padre, a Gesù, a Maria, all'Angelo
Custode. Quando poi anche gli affetti ti man-
119
cassero, umiliati in te stesso e figùrati come
mendico avanti ad un gran Signore. Digli
che ti faccia la carità di qualche grazia, che
tu sei lì che aspetti: «Fatemi un po' d'ele-
mosina... almeno le briciole che cadono dalla
vostra mensa... son qui che attendo... ». E in-
tanto mettiti a pregare, e domanda con gran
fede ed insistenza grazie per te e per gli al-
tri, specialmente pel bene della nostra pia so-
cietà e pei missionari, pel trionfo della santa
Chiesa, per la conversione dei peccatori; la
grazia pei moribondi e per le anime sante
del purgatorio. Così, dopo che hai fatto ciò
che hai potuto, preghi e stai tranquillo; ces-
si d'esercitare direttamente le potenze dell'a-
nima, per dar luogo al Santo Spirito di par-
larti al cuore. Gli puoi dire con Samuele:
«Parlate. Signore, che il vostro servo vi ascol-
ta»; ovvero con San Paolo: «Che volete che
io faccia? ». « Noi, soggiunge Sant'Alfonso, pos-
siamo seminare ed irrigare, possiamo anche
fare i proponimenti che ci paiono i più seri,
efficaci e stabili; ma la semenza morirà pri-
ma di nascere o non porterà frutto, se il Si-
gnore non le dà esso l'incremento ».
g) Colloqui.
Così dunque si applicano l'intelletto, la
memoria, la volontà, gli affetti e le preghie-
re considerando il primo punto. Intanto si

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— 10 -
leggerà il secondo e il terzo, e si ripeteranno
le stesse operazioni. Giova poi molto, special-
mente verso la fine della meditazione, nell'in-
tima e squisita unione collo Sposo celeste, fa-
re colloqui con lui: udire e rispondere; sfo-
gare i propri affetti, trattare di tutti i nego-
zi nei quali si ha bisogno di lume e di quie-
te, sia per sè sia per gli altri. Conviene in
questi colloqui tenere l'anima propria assai
quieta e non tumultuosa: stare anche un po'
di tempo senza dir nulla, attendendo unica-
mente a ciò che il Diletto le dice, e con ri-
verenza ascoltare le sue voci. Ma per riuscire
a far bene e con vero frutto la meditazione
ci vogliono veri sforzi. Hai udito le tante vol-
te raccontare del raccoglimento di San Luigi
nelle sue meditazioni; egli non aveva mai di-
strazioni. E tu dirai: Oh potessi anch'io es-
ser così! Bisogna sapere che San Luigi per ve-
nire a questo punto si fece tanti e tantissimi
sforzi da giovine, e talvolta durava buona
parte della notte in preghiera: ma in questo
modo riuscì. Sforzati anche tu adeguatamen-
te alle tue circostanze e secondo gli avvisi
del maestro, e riuscirai anche tu.
3) Conclusione: a) Risoluzione.
Terza parte della meditazione è la con-
clusione. Anche questa contiene tre atti. Ed
è, il primo, prender qualche buona risoluzione,
— 1201 —
cercando il modo di metterla in pratica. Que-
sto è quanto inculca di più San Francesco di
Sales, insistendo che non si parta mai dal-
la meditazione senza fare il mazzolino spiri-
tuale, cioè, senza aver colto qualche nuovo
fiore di virtù da ricordare e praticare in par-
ticolare lungo la giornata. Il nostro santo in-
siste molto su ciò, come sulla parte più impor-
tante della meditazione. Ed invero chi uscis-
se dalla meditazione senza aver preso qualche
buon proponimento, si potrebbe paragonare
a chi in un banchetto si contentasse di vede-
re le vivande, si compiacesse del bell'ordine,
dei magnifici servizi, o di lodarne lo splendore,
senza però gustare cosa alcuna. Al contrario
alle volte qualcuno si trova al fine della me-
ditazione, quasi senza averla incominciata,
tante furono le distrazioni, accortosi in fine,
concepisce risoluzioni efficacissime e riporta
maggior frutto degli altri.
La risoluzione sia pratica.
Non bastano le risoluzioni generali che
si fecero lungo la meditazione; ma di queste
è da sceglierne qualcuna ben pratica e da at-
tuarsi nella giornata: quella di cui hai più
bisogno. Se il proposito non è ben pratico,
ordinariamente giova poco. Pertanto non ba-
sterà dire per esempio: quest'oggi voglio mo-
strarmi molto umile; bensì specificare in che

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— 10
cosa, come sarebbe di cercare un ufficio vi-
le, un abito brutto. Non solo dire: voglio es-
ser mortificato, ma specificare in quale cosa,
lo poi ti consiglio a non prendere molte riso-
luzioni; prendine sempre precisamente due.
Una deve versare sul difetto dominante, su
cui lungo il giorno fai esami particolari di co-
scienza, che riguarda la virtù che vuoi ac-
quistare o il difetto che stai combattendo
in quel mese, e questa non si deve cambiare
per tutto il mese. L'altra risoluzione da cam-
biarsi tutti i giorni deve sgorgare dalle cose
meditate, oppure dalle circostanze in cui ti
trovi o deve essere adattata alle occasioni
che ti si presentano probabilmente lungo la
giornata. Sia ad esempio, se quello fosse gior-
no di passeggio, proporti in esso qualche par-
ticolare mortificazione; se fosse festa, propor-
ti qualche speciale pratica; se fosse giorno in
cui si fan le osservazioni o si dànno i voti
di condotta proporti di voler ringraziare chi
t'avvisa e non iscusarti, correr subito in chie-
sa a dire una preghiera per chi ti fece l'osser-
vazione; se avessi avuto il giorno precedente
qualche rimbrotto o dispiacere, proporre di
non pensarci più, anzi domandar tu perdono
a chi t'avesse offeso, ecc. Nè basta che tutte
queste risoluzioni siano pratiche, devi anco-
ra stare attento che abbiano ad essere effica-
ci, cioè devi cercare i mezzi proprii per ese-
guirle lungo il giorno, per sormontare tutti gli
ostacoli che si leveranno contro di essa.
— 1203 —
b) Ringraziare il Signore.
11 secondo atto consiste nel « ringraziare
il Signore dei lumi che ci ha comunicati e do-
mandargli la grazia di mettere in pratica
le prese risoluzioni ». Non dobbiamo mai la-
sciare di ringraziare il Signore per ogni gra-
zia che ci fa: il ringraziamento è come un
mezzo per attirarci nuove grazie. L'aver poi
avuto agio di fare la meditazione è per cer-
to una grazia, e come non lasciamo di dire
un grazie di cuore a chiunque ci avesse fat-
to anche il più piccolo regalo, così non dob-
biamo lasciar passare questa circostanza, e
partire dalla meditazione senza ringraziarne
il Signore. Conoscendo poi che, malgrado la
nostra buona volontà attuale, noi non sarem-
mo poi atti a praticare lungo il giorno la ri-
soluzione presa senza altra grazia speciale del
Signore, dobbiamo domandare a Dio di poter
esser forti nel praticare le risoluzioni prese.
Riconosci la tua debolezza ed instabilità e
raccomandati con grande fede al Signore per-
chè ti aiuti a praticare lungo il giorno la ri-
soluzione presa.
c) Esaminarsi e pentirsi.
Il terzo atto consiste nell'esaminarti un
istante se hai fatto quanto hai dovuto e po-
tuto per far bene la meditazione e domanda-

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re di gran cuore perdono della poca diligen-
za messa, dei pochi sforzi fatti, con propo-
nimento di far meglio un'altra volta. Si con-
chiude facendo qualche breve preghiera voca-
le. E noi abbiamo per norma di recitare quel
bellissimo atto di consacrazione a Maria Au-
siliatrice, che contiene nello stesso tempo
quanto di meglio abbiamo da chiedere al Si-
gnore per intercessione della Madonna, sia per
il corpo come per l'anima, sia per noi come
per gli altri. Faresti poi bene, subito dopo
uscito dalla meditazione, notarti sul piccolo
quadernetto secreto la risoluzione presa, sia
per imprimerla meglio nella tua mente, e per
ricordarla meglio lungo il giorno, sia per ve-
derle poi alla fine del mese, nell'esercizio del-
la buona morte.
Tre osservazioni.
Tre piccole note potranno giovarti, e servi-
ranno di conclusione a questo capitolo. La
prima si è che qualora ti venissero molte di-
strazioni nel meditare, non devi lasciarti pren-
dere da scoraggiamento, poiché il Signore non
guarda la riuscita bensì gli sforzi che si fan-
no per riuscire. Così se tu ogni volta che t'ac-
corgi di essere distratto cerchi di comporti
ad attenzione, tu puoi considerare d'aver
vinta la tentazione e d'aver acquistato merito.
E se venti o cento distrazioni venissero, e tu
sempre cercassi di allontanarle, riporterai ven-
ti e cento vittorie: in questo modo quella me-
ditazione che si direbbe essere stata la più di-
sturbata può essere per te la più fruttuosa;
purché davvero tu abbia fatto tutto quello
che stava in te per meditar bene, e abbia
presi tutti quei mezzi che conoscevi per al-
lontanare la distrazione. In secondo luogo ti
osservo che non è sempre necessario nei punti
della meditazione seguire con precisione il
metodo delle tre potenze. Poiché se alla sem-
plice lettura della verità che mediti ti senti
mosso ai propositi, agli affetti, puoi benis-
simo omettere l'esercizio dell'intelletto. Final-
mente ti noto e ti consiglio una cosa molto
importante, ed è questa: che nell'udir leggere
i punti non consideri che sia il tale o tal altro
che legga; ma immaginati che Gesù Cristo
medesimo venga a te per istruirti intorno a
ciò che devi fare per salvarti e per miglio-
rarti, ed egli stesso dica a te, ed a te solo,
quelle cose che senti leggere.
Facendo in questo modo spero che anche
tu potrai trarre dalla meditazione quei frutti
che ne ricavava un San Bernardo, un Sant'I-
gnazio, un San Luigi, un Don Beltrami. Essi
dopo la meditazione si sentivano tutti accesi
di amore pel Signore, non sentivano più gu-
sto per nessuna cosa terrena, si sentivano
pronti a fare qualunque cosa, anche la più
difficile, anche a subire il martirio per amor
del Signore, piuttosto di offenderlo anche mi-

61.8 Page 608

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— 10
nanamente. Sì: fatti animo, ed il Signore saia
con te: ed anche tu riuscirai a trarre dalla
meditazione tesori inestimabili di grazie ce-
lesti per la santificazione dell'anima tua e
del prossimo.
CAPO XIV
LA LETTURA SPIRITUALE
ED IL SANTO ROSARIO
Importanza della lettura spirituale.
È tanta l'importanza della lettura spiri-
tuale, che tutti i fondatori di ordini religiosi
fecero della lettura un punto di regola per
i loro aggregati, e tutte le anime che hanno
a cuore di santificarsi, pur stando nel mondo,
si danno alla lettura spirituale. La nostra re-
gola non prescrive un tempo determinato per
questa lettura dicendo solo: «Ogni giorno si
attenderà per un po' di tempo alla lettura
spirituale ». L'uso introdotto da Don Bosco
medesimo è che se ne faccia circa un quarto
d'ora. Con questo resterà eseguita la regola;
e questo è quanto si fa generalmente in co-
mune. Ma se ti sopravanza qualche tempo
alle tue occupazioni, io ti esorto con tutte le
— 1207 —
mie forze a non darti a letture frivole e leg-
gère. Conserva invece sempre presso di te
qualche buon libro spirituale, e sèrvitene in
tutti i momenti di tempo. Come son di dan-
no le letture frivole e leggère, altrettanto i
buoni libri sono salutari. Sant'Isidoro ci am-
monisce che tutto il nostro progresso spiri-
tuale ha la sorgente nelle letture e nelle ora-
zioni. Con la lettura apprendiamo ciò che
ignoriamo; con l'orazione conserviamo quanto
abbiamo appreso. E S. Leonardo da Porto Mau-
rizio dice la lettura spirituale la sorella della
meditazione; e San Bernardo asserisce essere
nella lettura spirituale dove trovava le mag-
giori consolazioni. San Girolamo nota che
quando preghiamo noi parliamo a Dio, quan-
do leggiamo Dio parla a noi. Essa è uno spec-
chio fedele in cui noi scopriamo le macchie
che sfigurano l'anima nostra, una lampada
che ci rischiara la via del cielo. San Paolo
apostolo ne conosceva talmente l'importanza,
che scrivendo a San Timoteo, suo discepolo,
gliela inculcò in modo speciale: « attende tibi
et lectioni; esàminati e leggi ».
Necessità della lettura spirituale.
Non fa perciò meraviglia se Sant'Atanasio
ci fa sapere che senza di questo esercizio
non può il nostro spirito innalzarsi a Dio,

61.9 Page 609

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— 10
nè può occuparsi nelle cose divine (1). E quel
che più fa stupire è quel che San Giovanni
Crisostomo in termini ben chiari ed espres-
sivi ci dice: essere impossibile che giunga a
salvamento chi spesso non si occupa nella let-
tura dei libri sacri. Di qui provengono quelle
sì forti premure con cui può dirsi che tutti
i santi Padri l'inculcarono generalmente a
tutti. Riassume per tutti Sant'Ambrogio, il
quale dice: « Esercitiamoci ogni giorno nella
lettura spirituale » (2).
Necessità per un religioso.
Il religioso in generale e noi in particolare
abbiamo bisogno di essere ben istruiti nelle
vie del Signore. Non sempre possiamo avere
ii superiore accanto che ci guidi e ci consigli
in tutte le nostre operazioni. Se l'anima tua
è ben impinguata di istruzione spirituale, al-
lora saprai in questi casi guidarti bene da te:
altrimenti faresti spropositi e soccomberesti.
Sullo stesso tono parlano VImitazione di Cri-
sto, ed in generale tutti i maestri di spirito,
ff la lettura spirituale che ti somministrerà
lume e guida per fuggire i lacci del demonio
e gli inganni del mondo e del tuo amor pro-
ti) « Sine legendi studio Demo ad Deum valebit
esse intentus ».
(2) « Sit nobis quotidiana lectio prò exereitio » (In
Ps., 118).
— 1209 —
prio, e per accertarti insieme della divina
volontà. Il mulino macina quel grano che ri-
ceve, la lettura dei libri profani, quasi senza
che te ne avveda, ti riempie l'anima di senti-
menti mondani e distrattivi; quella dei libri
buoni la riempie di santi pensieri e buoni
desideri. Dopo d'aver letti i libri profani non
suggeriti dall'obbedienza, come farai a stare
raccolto? Come terrai il pensiero della pre-
senza di Dio? Come andranno le tue medi-
tazioni? le tue comunioni? Quali saranno i
tuoi discorsi e le tue conversazioni? Tutto in
te sarà mondano, tiepido e sguaiato. Al con-
trario se hai la mente piena di pensieri di-
voti procuràti con buone letture, queste ti
accompagneranno non solo nell'orazione ma
anche fuori di essa. Le tue meditazioni e le
tue comunioni saranno fervorose, i tuoi di-
scorsi edificanti, i tuoi studi santificati, e le
stesse tue ricreazioni profittevoli. Narra di se
stessa Santa Teresa, che datasi da giovinetta
alla lettura di profani volumi, succhiò in quel-
le pagine il veleno della vanità e della bizzar-
ria, imbevendosi di quei sentimenti che ave-
va letti in quei libri insulsi. Ma accortasi in
breve del gran pregiudizio che le cagiona-
vano, cambiò metodo, dandosi alla lettura di
libri buoni e santi. Ne trasse sì gran profitto,
che da essi riconobbe la risoluzione di darsi
tutta a Dio, di dedicarsi tutta al suo amore,
con precisa idea di farsi santa.

61.10 Page 610

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Efficacia della lettura.
Bisogna nella lettura spirituale figurarti
che sia direttamente il Signore che ti parli.
Accostati così al Signore e sarai illumina-
to (1). Se uno si accosta con questo buono spi-
rito a Dio, Egli pone su di lui gli occhi suoi
di misericordia, e lo ammaestrerà mentre leg-
ge. È ammirabile, dicono i santi Padri, l'ef-
ficacia di sì pio esercizio, coll'illuminare 1 in-
telletto attorno alle verità con un lume pra-
tico e direttivo. Esso eccita la volontà, dati
i lumi somministrati alla mente dai buoni
sentimenti che si leggono, scuote la tiepi-
dezza, corregge il costume, riforma la vita,
muovendo il cuore a compunzione, dandogli
nuove forze nel conflitto dello spirito contro
i nemici dell'anima, animandola nelle fatiche
al conseguimento del paradiso. Con questo
spirito tu devi andare alla lettura come chi
si mette vicino per udire il divin Maestro
che gli parla interiormente. In che modo
tanti uomini passarono da una vita mondana
ad un tenor di vita perfetta? Spesso avvenne
per la lettura di qualche buon libro. È ai
buoni libri che dobbiamo la conversione di
Sant'Agostino, di Sant'Ignazio di Loyola, del
Beato Giovanni Colombini, e di tanti altri.
Ma è importante leggere non solo collo scopo
d'istruirsi, e tanto meno per curiosità, bensì
(1) « Accedite ad Deum et illmninamini ».
direttamente collo scopo di giovare all'anima
propria. I santi poi hanno trovato nella let-
tura spirituale la loro delizia. San Domenico
baciava teneramente i suoi libri di pietà, e li
stringeva con amore sul suo cuore dicendo:
« Questi libri mi dànno il latte che mi nutre ».
E San Filippo Neri consacrava tutto il tempo
che aveva libero alla lettura spirituale.
Obbligo della lettura.
Giacché adunque questo esercizio è di tan-
ta importanza ed utilità spirituale per un re-
ligioso, non sarà questa da lui giudicata una
occupazione arbitraria, la cui omissione non
gli porti nè danno nè scrupolo veruno. Deve
anzi riputarla un'occupazione a lui necessaria
e indispensabile. A te poi, il cui studio prin-
cipale deve essere di perfezionarti nella vir-
tù, di sempre più inoltrarti nel santo timor
di Dio, interessarti ogni giorno più del pro-
fitto del tuo spirito, dico schietto che saresti
condannabile, se non potendo far la tua let-
tura in comune, lasciassi poi trascorrere gior-
ni e giorni senza far una attenta lettura spi-
rituale da te.
Scelta dei libri.
lo poi t'incoraggio, generalmente parlando,
a non cercare tra i libri spirituali stessi libri

62 Pages 611-620

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62.1 Page 611

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— 1212 —
difficili o molto elevati, ma preferire i di voti
e facili. Specialmente metti un amore speciale
alla lettura delle vite dei santi, che Don Bo-
sco c'inculcava tanto. Nelle opere ascetiche
troviamo quel che bisogna fare; ma nelle vite
dei santi si vede il modo pratico di farlo, e ci
si tolgono tante scuse e pretesti, e si appia-
nano tante difficoltà. In esse si legge ciò che
han fatto tanti uomini e tante donne illustri,
che però erano di carne ed ossa come noi, e
perciò, tacitamente sì ma potentemente, sia-
mo incitati a fare anche noi lo stesso.
Come fare la lettura.
Ed affinchè questo esercizio non sia per
te una sterile occupazione, bisogna che qui
t'insegni la maniera di farla con profitto. Sic-
come al dire di Sant'Efrem Siro, la lettura si
fa dal religioso non per un semplice tratte-
nimento, ma per alimentare la pietà, per pa-
scer l'anima con un cibo spirituale, per fo-
mentar la divozione, per partecipare di molti
altri beni da essa derivanti; così prima d'o-
gni altra cosa si devono implorare i lumi del
Signore con una breve ma fervida ed affet-
tuosa supplica, onde si degni di aprire gli
occhi e le orecchie del nostro cuore per co-
noscere i suoi divini voleri. E poiché nella
lettura è Iddio che ci parla per mezzo dei
libri, debbono perciò essi leggersi con quel
- 1213 - -
raccoglimento di spirito, con quell'applica-
zione di mente, con quell'umiltà di cuore,
con quella pietà, che si conviene a sì santa
occupazione. Non vi è pia lettura che non
racchiuda per grazia speciale qualche cosa di
utile per tutti coloro che la ascoltano con spi-
rito di fede. Va' pertanto alla lettura col pen-
siero che in essa Iddio ti darà un avviso, un
ammaestramento, e lo darà proprio per te. E
tu sta come in agguato per non lasciarlo pas-
sare senza approfittarne.
Lettura in privato.
Quando poi fai la lettura spirituale in pri-
vato, abbi cura di leggere posatamente e sen-
za fretta. L'ape non lascia unfiore senza aver-
ne prima estratto il succo. Non basta man-
giare abbondantemente per essere nutriti, ma
è necessario digerire bene. Perciò non temere
di rileggere quei tratti che possono giovarti
di più. Interrompi anche qualche volta la let-
tura per pregare, e così ti abituerai di più
alla preghiera, e ne trarrai maggior frutto.
Non passar da un capo all'altro, o da questa
a quella pagina; nè curar la bellezza dello
stile, o l'eleganza delle parole, o qualunque
altra cosa che alletti o nutrisca la curiosità.
Invece, occorrendoti l'occasione, prorompi in

62.2 Page 612

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— 1214 —
santi affetti verso Dio, o di lode o di ringra-
ziamento alla sua bontà. Confonditi nello
scorgerti tanto diverso da quel che furono i
santi e da quel che dovrebbe essere un reli-
gioso. Confida in Dio, e pregalo per ottener
quella virtù di cui ti vedi privo, e quello spi-
rito buono che non hai. E proponi di fare
ogni sforzo per acquistarlo con l'emenda delle
più frequenti mancanze, con un'esatta custo-
dia dei sensi, con una maggior vigilanza so-
pra te stesso. Finalmente umiliati, implorando
il perdono delle tue negligenze ed ingratitu-
dini. Insomma chi fa la lettura spirituale per
trarne frutto, conclude Sant'Efrem, dalla va-
rietà dei sentimenti sparsi pei libro che sta
leggendo va raccogliendo il rimedio alle im-
perfezioni del suo spirito, a somiglianza di
ape industriosa, che da diversi fiori va suc-
chiando il nettare per formare il miele.
Gli studi profani.
E qui, dacché parlo delle letture che cia-
scuno può fare da sè in privato, consentirai
che io disapprovi coloro che amano gli studi
profani a preferenza degli studi sacri, e le
letture di libri scritti da gente cattiva e ne-
mica di Dio, a preferenza di libri scritti da
autori cristiani e da santi. Sarà necessità per
— 1215
le il fare anche studi profani, o leggere au-
tori non timorati di Dio; ma quando lo fai
per bisogno, il Signore ti aiuterà a non ri-
portarne danno. Invece fa spavento il vedere
qualcuno porre amore ad autori profani, pe-
ricolosi od empi, o darsi a studi profani non
necessari, trascurando quelli sacri, doverosi ed
utili. È cosa che meriterebbe le vendette di
Dio sopra di te e sopra la casa in cui ti
trovi, se ponessi affetto ad autori dichiarati
nemici di Gesù, come sono molti autori mo-
derni che van per la maggiore. Tu dirai: ma
han del buono. Ed io riporto le parole precise
di San Girolamo: « Che bisogno vi è di andar
cercando un poco d'oro in mezzo a tanto
fango, quando puoi leggere libri dove tro-
verai l'oro senza il fango? ». Quando per-
tanto non sei obbligato per ragion di dovere
a leggere e studiare cose profane, i libri a te
familiari, di cui devi fare la tua più assi-
dua occupazione, siano i sacri, gli spirituali,
i divoti, che ti facciano conoscere e ti ani-
mino ad eseguire le più precise occupazioni
del tuo stato, che ti guidino all'acquisto delle
virtù, che t'insegnino le vie per giungere al
conseguimento della religiosa perfezione. E
procura che questo proposito non abbia a
durare solo pel tempo in cui stai ritirato in
noviziato e nello studentato; ma chiama Dio
in testimonio, che vuoi essere fedele a questo
proponimento sino al fine della tua vita.

62.3 Page 613

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— 11
Le distrazioni ed il sonno.
Grande scoglio per la lettura spirituale in
comune sono le distrazioni ed il sonno. Biso-
gna che ti metta bene nella mente essere il Si-
gnore che ci parla nella lettura spirituale, e
perciò devi porre fin da principio grande
attenzione per non perdere gli ammaestramen-
ti che il Signore ti dà. Riguardo al sonno bi-
sogna essere energici e risoluti. Se uno comin-
cia a chiudere gli occhi, in molte circostanze
non si libererà più dal sonno. Bisogna fin da
principio proporsi di vigilare a tutti i costi.
Se poi assecondi il sonno una volta, puoi
star sicuro che quel bisogno ti verrà di nuo-
vo il giorno dopo con maggior intensità, e
tutti i giorni soccomberai un poco a questo
bisogno fittizio. Invece, se prendi mezzi ener-
gici sul principio, questo bisogno scomparirà.
Se vai soggetto al sonno, bada prima di tut-
to di stare bene inginocchiato senza appog-
giarti; e se occorre sta in posizione incomoda,
come poggiato sopra un sol ginocchio. Non
volere chiudere gli occhi neppure un istante
come per sollievo. Se occorre, mettiti in luogo
dove, senza dar nell'occhio, tu possa stare in
piedi. Stùzzicati da te stesso, o prega il vicino
che ti avvisi subito appena ti vedesse sonno-
lento. Vinto che ti sia alcuni giorni, in seguito
non troverai più grande difficoltà.
— 1217 —
Ama la lettura e praticala.
Or tu, avendo udito dire così belle cose
della lettura spirituale, sappi approfittarne ed
amala. Conchiudi di non voler mai far letture
profane se non per necessità dei tuoi studi e
delle tue occupazioni coi giovani, e che ter-
rai conto delle raccomandazioni sopra espo-
ste. Ed in particolare ascolta ancora questo
consiglio, che io in pratica ho trovato utilis-
simo per molti, i quali attestarono dover at-
tribuire a questo il loro risorgimento spiritua-
le. Se ti accadesse per disgrazia di trovarti
raffreddato nelle vie del Signore, e avessi già
provato a tirarti su e non ci fossi riuscito
guari, mettiti a leggere per un tempo notevo-
le ogni giorno alcune pagine delle vite dei
santi; per esempio la vita di Sant'Agostino,
quella del nostro Don Beltrami, o qualche li-
bro ascetico di Sant'Alfonso, come la Pratica
di amar Gesù Cristo, VApparecchio alla mor-
te, Del gran mezzo della preghiera. Proponiti,
specialmente in tempo di vacanze, di darti
per un mese a queste sante letture. Vedrai
che produrranno in te un effetto magico, e tu
in breve ti troverai rinnovellato nello spirito.
Ciò che ne dice San Bonaventura.
Ecco infine gli ammonimenti che dà San
Bonaventura ai suoi novizi riguardo alla let-
tura spirituale: «Fa bisogno di nutrir l'anima

62.4 Page 614

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— 11
con le letture spirituali. Si badi a leggere pili
per l'informazione dei virtuosi costumi, e per
prender consiglio ed ammaestramento nel pro-
fitto spirituale, e cioè nel mortificare le passio-
ni viziose ed acquistare le virtù cristiane, piut-
tosto che per cagione d'imparare cose scien-
tifiche. Di modo che i novizi debbono attende-
re sollecitamente a regolare i propri affetti
con l'esercizio della virtù, piuttosto che pa-
scere l'intelletto con letture curiose. E la scien-
za, che per far profitto nella virtù si lascia,
per mezzo di essa in seguito si troverà. Non
conviene passare curiosamente da una lettura
ad un'altra, e incominciare a leggere sem-
pre cose nuove; ma con l'ingegno e la ponde-
razione si deve essere costanti ed assuefar l'ani-
mo nelle incominciate. E segno d'uno stomaco
guasto e mal disposto, il voler assaggiare sem-
pre cibi diversi. Dalla lezione di ogni giorno
fa bisogno trarre sempre qualche nuovo propo-
nimento, e conservarlo bene nella memoria af-
finchè con diletto e frutto spirituale l'anima
sia intrattenuta in cose buone e non si metta
a pensare cose sconvenevoli e lontane dalla
virtù ».
Il santo rosario.
Le nostre costituzioni ci ordinano anche
di recitare ogni giorno la terza parte del san-
to rosario. È il più bell'ossequio alla Vergine,
1219
ed attira molte grazie. Non basta che tu ti
proponga di non lasciar mai in nessun gior-
no della vita questa cara pratica; ma occorre
che cerchi di recitarlo veramente bene, in mo-
do che piaccia alla Madonna, e che ti arrechi
molti meriti. E per non distrarti è bene che
cerchi qualche modo che ti aiuti a tener fer-
ma l'attenzione. Tra i vari metodi che s'inse-
gnano per recitar bene il rosario, io te ne sug-
gerisco quattro, che potrai adoperare a tua
scelta, e anche cambiare di tanto in tanto, e
rinnovellare così in te la divozione.
1) Attenzione a quel che si dice.
Il primo metodo e più naturale è di pen-
sare al significato di quel che si dice, seguen-
do coll'attenzione della mente e coll'affetto
del cuore ogni preghiera, cioè recitando i mi-
steri porre attenzione a che cosa indicano, re-
citando il Pater, l'Ape, il Gloria seguire col-
la mente queste preghiere, come recitando le
litanie porre attenzione alla invocazione, e di-
re con gran cuore o il Miserere nobis o l'ora
prò nobip. Come questo è il modo più natu-
rale, così è anche il più facile ed ordinario, e
ti sarà grandemente proficuo. Fissa special-
mente la tua attenzione su qualche parola,
per esempio, sul fiat voluntas tua, sull'ora
prò nobis peccatoribus, e questo ti aiuterà a
tener l'attenzione su tutta la preghiera ana-
loga.

62.5 Page 615

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— 10
2) Incoronare di rose Maria.
Il secondo modo consiste nel figurarti, ad
ogni Ave Maria, di porre una rosa attorno al-
la figura della Madonna in modo da coronarla
e circondarla tutta di rose. Questo si addice
appunto al nome rosario, che significa mazzo
o corona di rose. Saluta pertanto la Madonna
dicendole: Ave, Maria, e porgile una rosa. E
puoi figurarti che sia una rosa color d'oro
se si tratta dei misteri gaudiosi, color rosso
se si tratta dei dolorosi, color bianco se si
tratta dei gloriosi. Altra volta, siccome Maria
ci si dipinge coronata di stelle, puoi figurarti
ad ogni Ave Maria di aggiungere una stella
alla sua corona, ed incoronarla così tu stesso
a tua regina.
5) Meditare i misteri.
Un terzo modo consiste nel meditare il mi-
stero che si recitò sul principio, e, senza at-
tendere tanto al senso delle parole che si dico-
no, meditare per tutta la decina il mistero
proposto, ed intender di onorare la Madonna
secondo che è contemplato in quel mistero. È
questo il modo migliore e che fa maggior bene
all'anima, unendo insieme l'orazione vocale e
le mentale. Tu preferiscilo a tutti gli altri, ed
abituati a praticarlo bene. È forse il metodo
più difficile, e perciò ti esorto ad impararlo e
ad esercitarti molto fin d'ora.
— 1221 —
4) Proporsi una virtù o grazia particolare.
Il quarto modo è: per ciascun mistero pro-
porti una virtù od una grazia particolare da
ottenere per te o per qualche altra persona. E
quando reciti il rosario da solo, praticando
questo metodo, potresti, ma solo mentalmente,
aggiungere per ogni decina alla parola Iesus,
che si dice nell'Ave Maria, qualcuna delle se-
guenti od altre somiglianti invocazioni: qui
nobis augeat fldem rectam — qui nobis augeat
spem firmam — qui nobis augeat charitatem
perfectam — qui nobis intellectum illuminet
— qui nobis voluntatem perficiat — qui nobis
memoriam roboret — qui dirigat cogi.tationes
— qui regat verba — qui gubernet opera, etc.
Sono piccoli mezzi ed amminicoli che alle
volte si vorrebbero dire insignificanti, ma che
in pratica aiutano molto, e fomentano la di-
vozione tenendo viva l'attenzione.
CAPO XV
L'ESERCIZIO DELLA BUONA MORTE
È voluto da Don Bosco.
Fin dai primi tempi dell'oratorio D. Bosco
stabilì sodamente l'Esercizio della Buona Mor-
te tra i suoi giovani, dando a questa pratica

62.6 Page 616

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— 12 —
molta importanza. Fondata poi la Società Sa-
lesiana, la pose per regola ai confratelli, e fu
sempre una fra quelle su cui il buon padre
insisteva maggiormente. Ecco le parole della
regola a questo riguardo: «L'ultimo giorno
di ciascun mese, o in altro designato dal diret-
tore, ognuno, liberandosi per quanto gli sarà
possibile dalle cure temporali, si raccoglierà
in se stesso, e farà l'Esercizio della Buona
Morte, disponendo le cose spirituali e tempo-
rali come se fosse per lasciare il mondo e
partire per l'eternità ».
Nella prefazione alle regole poi, il nostro
buon Padre ci dà le norme pratiche onde far-
lo bene, norme che ti adoprerai di praticare
sempre e a puntino, richiamando a mente
quelle parole, che egli tiene assicurata la sal-
vezza di colui, che ogni mese fa bene l'Eser-
cizio di Buona Morte. Da' pertanto anche tu
molta importanza a questo giorno di ritiro
mensile ed attendi specialmente a quelle parole
della regola, di disporre in quel giorno le cose
spirituali e temporali come se davvero dovessi
abbandonare il mondo ed avviarti all'eter-
nità.
Vantaggi che procura.
Si trae straordinario vantaggio da questo
Esercizio di Buona Morte, quando è ben fat-
to. Da una parte il nostro spirito presto si
— 1223 —
infiacchisce nell'esercizio delle virtù e ten-
de ad una specie di torpore e di sonnolenza,
assai vicina a quella tiepidezza che è fonte
di ogni male e tanto perniciosa all'anima;
dall'altra parte la consuetudine dei nostri
lavori quotidiani impedisce che la pietà eser-
citi su di noi un'azione viva e forte, ci tenga
desti, vigilanti, pronti e coraggiosi al lavoro
necessario per la nostra perfezione. L'eser-
cizio ci scuote: si videro dei cambiamenti
completi in seguito ad uno di questi Eser-
cizi ben fatti. Qualche volta vi si ricupera
il primitivo fervore; e quasi sempre si esce
da esso più fermi nel bene. L'affare della
nostra santificazione è certo il più importante
affare del mondo, ma nello stesso tempo è
anche l'affare più difficile. La via del cielo
è stretta ed è facile allontanarsene prendendo
sentieri tortuosi ed ingannevoli. È perciò una
grande provvidenza questo giorno di ritiro
d'ogni mese. Amalo, e benedici il Signore
che te lo concede. Fèrmati bene a vedere
se mai non avessi deviato un poco lungo il
mese, da quella strada regia che ti conduce
alla santità. Ben saprai anche tu per pro-
pria esperienza che le nostre risoluzioni, an-
che le più ferme, ben presto svaniscono se
non abbiamo cura di rinnovarle e confermar-
le sodamente. Sai che il fervore si disperde
e diminuisce presto; sai clic una funesta abi-
tudine s'ingerisce presto nelle azioni anche
le più sante, e che quasi senza avvedertene
4

62.7 Page 617

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vieni a cadere nella tiepidezza e nella volon-
taria trascuratezza. O benedetto Esercizio di
Buona Morte, che ben fatto, ci preserva da
questi pericoli! Proponi qui fermamente, ora
che ne conosci l'importanza, di non volerlo
lasciare pur una volta in tutta la vita. Giura
al Signore nella tua santa comunione, che
vorrai farlo sempre e farlo bène. Ti con-
siglio questo tanto più nei collegi. Non po-
tendosi sempre fare in comune le varie pra-
tiche indicate, potrebbe darsi che intiepidito
incominciassi a farlo freddamente, poi lo ren-
dessi un mero atto comune, senza applicarti
con quella serietà che esso richiede, e finissi
poi anche per lasciarlo con grande scapito
dell'anima tua.
Ciò che si deve fare: 1) Rivista mensile della
coscienza e Confessione.
Stando a quello che è stabilito da Don
Bosco nella prefazione alle nostre regole,
quattro cose devono distinguere il giorno del-
l'Esercizio di Buona Morte, ed anzitutto: si
faccia come una rivista mensile della co-
scienza e la confessione, che da tutti si ha
da fare in detto giorno, sia più accurata del
solito. Entra meglio nei secreti dell'anima tua.
Chiama a più diligente esame la maniera
con cui hai soddisfatti i tuoi doveri lungo
quel mese. Rinnova le buone risoluzioni del
mese precedente, aggiungine, se occorre, qual-
che altra, per venir incontro a qualche nuovo
bisogno spirituale che ti fosse sopraggiunto.
Procura che in questo giorno il tuo raccogli-
mento sia completo. Già dallo svegliarti al
mattino figurati che quel dì abbia ad essere
l'ultimo di tua vita, e che ti sia dato apposi-
tamente per assestare i conti con Iddio. Fa'
la tua meditazione, le tue orazioni vocali,
assisti alla santa messa, come se quelle fos-
sero l'ultima meditazione, le ultime preghie-
re che puoi fare, che quella sia l'ultima mes-
sa che puoi ascoltare. Così figùrati che quel-
la confessione che fai in quel giorno sia
l'ultima della tua vita; e la santa comunione
figùrati di farla per viatico; che sia Gesù
che per l'ultima volta viene a trovarti con
infinito amore per accompagnarti all'eternità.
2) Rileggere le Costituzioni ed i propositi.
In secondo luogo è raccomandato che in
detto giorno si rileggano in tutto o in parte le
Costituzioni della nostra Pia Società. Questo
si suol fare in comune; ma conviene che tu
lo faccia anche in privato, in modo che nel
corso di pochi mesi le faccia passar tutte, ri-
flettendo seriamente su ciascuna. Conviene
anche rileggere i proponimenti che si son fat-
ti negli esercizi spirituali e quanto si è pro-
messo nei mesi precedenti. E tu sappi che da

62.8 Page 618

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questa pratica puoi ottenere un gran bene;
falla con vera accuratezza e vedi un po' co-
me in quel mese, ora scorso, hai osservati i
propositi fatti antecedentemente; e intanto
prendi propositi seri pel mese che sta per in-
ccminciare.
3) Proporre la virtù, pratica e santo del
mese.
La terza cosa che Don Bosco suggerisce si
è che in detto giorno ciascuno si progonga
una virtù od una pratica di pietà da colti-
varsi nel mese seguente, ed un difetto da
combattere energicamente, virtù da prati-
care e difetto da fuggire che tu dovrai eleg-
gerti come primo proponimento speciale in
ogni meditazione del mese, ed attorno a cui
farai in tutti i giorni del mese il tuo esa-
me particolare. Fìssati bene su questo punto,
che, coll'aiuto di Dio, può riuscirti uno dei
mezzi principali per emendarti dei tuoi di-
fetti, progredire nelle virtù e praticare me-
glio gli esercizi di pietà per tutto il mese
seguente. Nello stesso tempo ti sceglierai an-
che un santo protettore del mese.
Schema generale.
È per darti una guida, così in generale, in
modo però che tu possa col consiglio del
maestro o del direttore meglio adattarla a te
secondo i tuoi bisogni interiori, che ti sug-
gerisco il seguente prospetto di virtù e di-
fetti da proporti in tutti i mesi dell'anno, co-
minciando dall'ottobre che è il mese in cui
si fanno per ordinaxio le prime numerose ac-
ccttazioni pel noviziato.
OTTOBRE. — Virtù del mese: imparare a
far bene le pratiche di pietà, pensando a
rendersi degni figli di Don Bosco. — Difetti
da estirpare: fuggire i difetti di corpo, co-
me la trascuratezza, la sudiceria, la incivil-
tà ed ogni ricercatezza ed ambizione nel por-
tamento esteriore, pensando che ciò è ri-
chiesto dalla vita religiosa che si sta intra-
prendendo. Prendi per protettore l'Angelo
Custode.
NOVEMBRE. — Studiare seriamente in che
consista la vita religiosa, proponendosi la
perfetta vita comune. — Distaccare il pro-
prio cuore dalle cose di patria, di casa, dei
parenti, pensando che questi attacchi sono
la rovina delle vocazioni. — Le sante anime
del purgatorio.
DICEMBRE — Confidenza illimitata coi
propri superiori. — Fuggire con vera fortezza
d'animo ogni rispetto umano, pensando ad
acquistare un carattere vigoroso e stabile.
— Gesù Bambino.

62.9 Page 619

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GENNAIO. — Mansuetudine, dolcezza, bei
modi, ad imitazione di San Francesco di Sa-
les nostro speciale patrono. — Vincere l'ira-
scibilità — San Francesco di Sales.
FEBBRAIO. — Diligenza nei propri doveri.
Occupar bene il tempo. — Vincere sodamente
la pigrizia e l'infingardaggine. — Don Bel-
trami.
MARZO. — Praticar bene la povertà reli-
giosa. — Fuggire ogni golosità, specie dei vi-
ni e liquori e del mangiare fuori pasto. —
San Giuseppe.
APRILE. — Ubbidienza ed osservanza di
tutte le regole. — Combattere l'attacco natu-
rale al proprio giudizio ed alle singolarità. —
Santi Salesiani defunti.
MAGGIO. — Ad onore di Maria SS. prati-
care diligentissimamente la castità. — Fuggi-
re i difetti di cuore specialmente le tenerezze,
le carezze, le simpatie, e le antipatie. —• Ma-
ria Ausiliatrice.
GIUGNO. — Esercizio della vera carità ver-
so Dio e verso il prossimo: aiutarsi a vicenda.
— Fuggire rigorosamente ogni mormorazione.
— Il Sacro Cuore di Gesù.
LUGLIO. — Pensare sodamente alle obbli-
gazioni clie ci provengono da ciascun voto,
riconfermando cosi praticamente la vocazio-
ne, dovendosi alla metà del mese fare la do-
manda dei voti. — Fuggire la malinconia,
lo spirito bizzarro e di contraddizione. —
Preziosissimo Sangue.
AGOSTO. — Umiltà vera in pratica, sia di
mente che di cuore. — Sradicare da noi l'at-
tacco naturale ai propri comodi cercando di
contraddire in tutto alle proprie perverse in-
clinazioni. — L'Assunta.
SETTEMBRE. — Esaminar bene una per
una le pratiche di pietà delle regole, e far
propositi seri di volerle eseguir tutte bene fi-
no al fine della vita, e ciò in preparazione
prossima ai santi voti. — Fuggire l'accidia e
la tiepidezza nelle cose spirituali. — Don
Bosco.
4) Esame speciale di coscienza.
Riguardo alla mezz'ora che è prescritta
per pensare al progresso od al regresso nelle
virtù, voglio raccomandarti di farla, per
quanto puoi, in chiesa, avanti al SS. Sacra-
mento, raccogliendoti poi per iscriverti le
buone risoluzioni prese, od anche modificare
quelle prese già nel mese antecedente. Ma
occorre che l'esame che farai di te stesso in
questa occasione sia molto serio. Per quanto
puoi, serviti anche del modulo di esame che
ti tracciai parlando dell'esame di coscienza.

62.10 Page 620

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Prendi mezzi determinati e seri per vincere
meglio nel mese seguente, come di cammi-
nare di più alla presenza di Dio, di essere
più esatto in ogni tuo dovere, di lavorare
più indefessamente, non volendo perdere nep-
pur un briciolo di tempo, di fare un po' più
raccolta la meditazione, procurando di en-
trare in chiesa sempre dei primi, di praticare
un po' meglio l'umiltà e la carità fraterna
coi confratelli e coi giovani: o il distacco dai
parenti e dalle cose mondane, e l'attaccarti
sempre più fortemente alla tua vocazione ed
alla congregazione.
5) Rendiconto completo.
Se ti è possibile, riserva per quel giorno
il tuo rendiconto, che devi procurare di far
molto accurato. Già varie altre volte lungo
il mese vai a trovare il maestro o il diret-
tore e gli fai un po' di rendiconto; ma se le
altre volte basta farlo su qualche punto par-
ticolare di cui ti senti più bisognoso; una
volta al mese va fatto il vero rendiconto com-
pleto su tutti i punti notati nella prefazione
delle regole, e su tutto ciò che credi possa
dare maggior chiarezza del tuo interno al
superiore, affinchè ti possa diriger meglio.
Ti dò qui alcuni avvisi in proposito che
potranno aiutarti molto. Nel rendiconto non
si hanno solo da manifestare le proprie man-
canze, ma ancora le proprie propensioni, ed
i bisogni sia corporali che spirituali. Procura
d'esser chiaro in tutto, in modo che il su-
periore veda sin nel fondo dell'anima tua.
Se qualche cosa ti rincrescesse anche solo
menomamente di manifestarla in rendiconto,
sia la prima ad esser manifestata, almeno
per esercizio di mortificazione di te stesso e
di penitenza. Quello invece che inavverti-
tamente avessi dimenticato ancorché fosse di
cosa importante, non ha ragione di affan-
narti. Questa dimenticanza non ti nuocerà
gran fatto,- perchè il Signore non esige da
noi più di quello che un impegno moral-
mente sufficiente ottiene; e avrai occasione
di manifestarti in proposito altra volta. Non
affannarti a voler immediatamente dire tut-
to, specialmente i secreti di coscienza, al tuo
maestro o al tuo direttore nel rendiconto.
Basta che tu sia risoluto di confidargli quan-
to man mano crederai possa servirgli a ben
dirigerti riguardo alla tua vocazione. Sappi
poi bene che la confessione ha nulla a che
fare co! rendiconto. Quanto si dice in con-
fessione è soggetto al sigillo sacramentale;
invece riguardo a quanto dici in rendiconto,
il superiore può servirsene a tuo vantaggio
ed alla buona direzione della casa. Non la-
sciare mai nel rendiconto di dir chiaro il
tuo pensiero sulla vocazione, e dare quelle
notizie di parentela, di vita anteriore, di stu-
di, di occasioni, di propensioni ed altro che

63 Pages 621-630

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63.1 Page 621

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possano aiutare il superiore a conoscere il
tuo carattere ed i disegni della Provvidenza
sopra di te. Il superiore ha bisogno di co-
noscer queste cose per capire che cosa vo-
glia fare di te il Signore, cioè per poterti
guidare a compiere perfettamente il suo be-
neplacito.
Discendi ai particolari.
Nel rendiconto conviene discendere ai par-
ticolari, come se t'impegni ad eseguire le re-
gole di civiltà e di buona educazione; se
schiamazzi troppo a tavola; se sei delicato
nei cibi; se nelle ricreazioni discuti molto c:)i
compagni e ti lasci uscir anche parole in-
giuriose o almeno incivili o indelicate. Digli
se sei pronto alla levata ed all'andare a ri-
poso; se ti senti bisognoso di qualche ri-
guardo speciale nei cibi o nel riposo, se t'im-
pegni a santificare gli studi col non voler
se non il dovere; se hai forti propensioni
per qualche studio speciale, se desideri studi
geniali e leggeri, letture frivole, se hai te-
nacità assoluta per compiere i propri do-
veri e se li compi sempre a tempo. Poi pas-
serai a manifestare le cose che riguardano
direttamente la pietà e le virtù, se reciti po-
satamente, bene, le preghiere vocali; se dài
grande impegno alla meditazione e come ti
diporti in essa: se fai sempre e con impegno
l'esame di coscienza e su che punto fai quel-
lo particolare del mese. Dirai se le tue con-
fessioni sono sempre accurate, fatte col do-
lore, nei giorni prefissi; se la comunione è
quotidiana, fervorosa, e se per ottenere ciò
prendi quei mezzi che sono suggeriti; che
preparazione, qual ringraziamento fai; se le
tue visite in chiesa sono costanti e ben fatte;
se i circoli di pietà sono ben sostenuti. Di-
rai pure se la divozione al Sacro Cuore è
costante; se reciti ed eseguisci sempre e bene
i nove uffizi, la guardia d'onore, l'ora santa,
se la divozione a Maria Ausiliatrice è ben
radicata, e quali pratiche fai in suo onore.
E poi in particolar modo farai passare l'os-
servanza delle virtù dei tre voti; quindi del-
la carità, dell'umiltà, della pazienza e man-
suetudine, della mortificazione. Indicherai be-
ne le tue simpatie ed antipatie, e chiuderai
il rendiconto col dichiarare molto schietta-
mente, come sopra si disse, ciò che riguarda
la propria vocazione.
Circoli di pietà.
Converrà anche, in occasione dell'Eserci-
zio di Buona Morte, regolare i circoli di pietà.
Domanda al maestro se non sia il caso di
cambiar compagni; prendi i suoi suggeri-
menti riguardo al trarre da essi maggior
profitto. Se li avessi fatti più poche volte del

63.2 Page 622

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—1
convenuto, o se li avessi fatti male, o senza
alcun frutto, palesalo al maestro e ripromet-
titi più diligenza, essendo questa una cosa
tra quelle che, ben fatte, producono maggior
profitto all'anima tua. Bada tuttavia in que-
sti ragionamenti spirituali coi compagni di
non entrare mai in cose interne di coscien-
za, o di manifestare le tue tentazioni a d al-
tri: questo devi farlo solo coi superiori. Non
arrogarti poi l'autorità di fare da maestro
tra i compagni, essendo tutti principianti in
questa arte.
Oggetto di questi circoli.
Le cose da trattarsi nei circoli spirituali
siano ristrette a cose pie ed edificanti, rian-
dando le cose udite nelle conferenze, nei di-
scorsetti della sera, nelle meditazioni e lettu-
re spirituali. Quindi si parli: dei beni della
vita religiosa, delle cose che possono aiutare
nell'osservanza delle regole; del come fare
per emendarsi dai comuni difetti esteriori
contro le regole; come si potrebbe totalmen-
te rinunziare al proprio giudizio, alla pro-
pria volontà ed attacchi terreni. Si può par-
lare del come fare per avanzarsi meglio di
giorno in giorno nelle virtù ed acquistare
maggior umiltà ed ubbidienza, pazienza, ca-
rità, purezza di cuore, spirito d'orazione: di
quello che ci avverrà nell'ultima ora della
— 1235 —
morte, come prepararvisi; del giudizio ri-
goroso che dovremo rendere a Dio di ogni
nostra azione. Sono argomenti ottimi anche:
come faremo particolarmente per evitare l'in-
ferno, per procurarsi un buon posto in para-
diso, come praticare con maggior frutto la di-
vozione al Sacro Cuore di Gesù, a Maria, a
San Giuseppe, all'Angelo Custode; come suf-
fragar meglio le anime del purgatorio. Si può
anche parlare della vocazione; per qual via
abbia Iddio liberato colui che parla, dalle
turbolentissime tempeste e periglioso mare
dell'infelice mondo e condottolo al sicurissi-
mo porto della pia nostra Società; in qual
modo corrisponder meglio ad una tanta gra-
zia per non incorrere nella taccia d'ingratitu-
dine: dei lacci e dei pericoli grandissimi che
ci sono nella vita secolare e della gran vanità,
incostanza e fallacia delle cose temporali.
Buoni frutti.
Io ho sempre visto ricavare gran frutto
da cotesti circoli di pietà, fatti in questo
modo; come vidi sempre nelle nostre case
di noviziato e studentato, ad ogni Esercizio
di Buona Morte, un vero rinnovamento di
spirito, un riprendere slancio e fervore stra-
ordinario, un mettersi a posto in vari che
sembravano già sull'orlo del precipizio. Que-

63.3 Page 623

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sti buoni effetti prodotti finora devono con-
tinuare anzi devono crescere. Ma per ciò è
necessario che tu ti metta con tal fermo pro-
posito di farlo bene, che quel giorno non ab-
bia paragone con nessun altro giorno del
mese per l'impegno che vi metterai.
CAPO XVI
GLI ESERCIZI SPIRITUALI
Son voluti dalle regole e da Don Bosco.
Le nostre costituzioni ordinano dieci od
almeno sei giorni di esercizi spirituali ogni
anno, notando che per entrare nel noviziato
e per fare i santi voti questi non possono
essere meno di dieci. Inoltre vi sono gli eser-
cizi spirituali che si sogliono fare a metà
anno nei vari collegi. Questi esercizi spi-
rituali sono una vera benedizione del cielo.
La nostra Pia Società incominciò a prende-
re regolarità, quando nel 1868 si comuncia-
rono a fare detti esercizi dai soli soci sale-
siani separatamente dai giovani, cosa che
prima non si era potuto fare. Don Bosco
medesimo per molti anni vi faceva le istru-
zioni, e quando non poteva più predicare li
dirigeva. Non lasciò questo fino al termine
di sua vita, tanta importanza dava ai mede-
simi. E fu in questo modo che la congre-
gazione andò consolidandosi e poco alla vol-
ta prese quella forma fissa che ancora mantie-
ne, e che giova sperare, vorrà sempre man-
tenere senza indebolirsi o deviare giam-
mai, poiché è forma tutta impressale diret-
tamente da Don Bosco.
Utilità degli esercizi spirituali.
La prima utilità pertanto che proviene da
questi esercizi si riferisce al bene generale
della nostra Società. Essa al certo si manter-
rà nel buono spirito e nel fervore finché si
faran bene gli esercizi spirituali, predicati da
salesiani, in cui senza debolezze i predicato-
ri facciano vedere gli obblighi generali del
buon religioso, ed in particolare quelli del
buon salesiano, e pongano anche in chia-
ro i difetti, indicando i modi pratici di cor-
reggerli e finché d'accordo si prenderanno
i mezzi pratici per mantenersi saldi sulle or-
me tracciate da Don Bosco. Ma non minor-
bene devono apportare a ciascun confratello
in particolare. Le comunità religiose in ge-
nerale sono composte di anime fervorose. Or-
dinariamente però non mancano le anime
tiepide, e qualche volta, anche trascurate e
irregolari. In tutti questi casi si ha bisogno
di rientrare di tanto in tanto in se stessi: le
anime perfette per prendere slancio a perseve-

63.4 Page 624

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— 1238
rare, le anime tiepide per infervorarsi, quelle
trascurate e irregolari per rientrare nella
via da cui si allontanarono. Ecco quel che
ha fatto stabilire in tutte le comunità gli
esercizi spirituali ogni anno.
Ciò che dice San Francesco di Sales.
Il nostro caro San Francesco di Sales in-
culca assai detti esercizi, e coi suoi bei modi
paragona i bisogni dell'anima propria coi bi-
sogni di un orologio per mantenersi ben rego-
lato. « Un orologio, scriveva egli, per buono
che sia, ha bisogno d'essere spesso rimon-
tato (caricato), e di tanto in tanto essere
regolato, e qualche volta è necessario pure
togliergli bene la polvere, dare dell'olio alle
ruote ed occorrendo, anche smontarlo per
cambiar le molle ed i pezzi rotti o corrosi
dal troppo uso ». E noi se vogliamo man-
tenere in buono stato l'anima nostra, in mo-
do che corrisponda alla sua vocazione, dob-
biamo ogni giorno fare un po' di meditazio-
ne c di esame di coscienza, che è come il
caricar l'orologio; ogni settimana far la no-
stra confessione che è come il regolarlo:
ogni mese far bene il nostro Esercizio di
Buona Morte che è come un toglier la pol-
vere e dare un po' d'olio ai perni delle ruote;
ed ogni anno fare gli esercizi spirituali, che
è come smontare addirittura l'orologio e rin-
novarne le parti difettose.
— 1239 —
Ciò che devi fare.
Negli esercizi spirituali pertanto procura
di penetrare a fondo nell'anima tua. Figùrati
pure di smontarla; esaminane uno per uno i
pezzi, vedi bene i difetti che l'han fatta cam-
minar male, ed anche distruggi e cambia
quanto vi è di rotto, di logoro e difettoso.
Cerca sodamente di rimettere le cose del-
l'anima tua, in modo che possa servir bene
per tutto il tempo della prossima annata.
Questi esercizi così fatti ristoreranno le tue
forze abbattute dal tempo, infervoreranno il
tuo cuore, faran rivivere i buoni propositi,
e rifiorire le virtù nell'anima tua. Figùrati
d'essere tu solo davanti a Dio, e che il Signo-
re ti dia quei giorni perchè tu riprenda nuo-
vo ardore nel bene, nuove forze per operare
il bene. Immagina se sei tiepido che ti dia
questa buona occasione come l'ultima pro-
va che vuol fare di te; dopo di che, se non
ne approfitti, abbia a metterti da parte di-
cendo: «Abbiamo curato Babilonia ma non
risanò: abbandoniamola». Temi Iddio clic-
passa con la sua grazia. Timeo Deum tran-
seuntem.
II programma di Sant'Arsenio.
Fin dal primo giorno fa' tuo per tutto
questo tempo il consiglio che Sant'Arsenio dà
generalmente ai monaci: fuge, tace, quiesce.

63.5 Page 625

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— 10
Fuge. Fuggi ogni distrazione; ancorché te
ne venisse qualche occasione, non assecondarla.
Non comunicare assolutamente con compagni
estranei agli esercizi, e con i medesimi
compagni con cui fai gli esercizi, nel tem-
po libero, non voler divagarti, rammentan-
do le cose e le vicende passate lungo l'anno;
parla di cose buone, di vicendevole edifica-
zione. La fuga delle distrazioni è il primo
mezzo per fare bene gli esercizi.
Tace. Non voler dire neppure una parola
fuori del tempo in cui è permesso parlare,
cioè nel dopo pranzo e dopo cena, e propo-
niti qualche piccola penitenza ad ogni pa-
rola che ti sfuggisse. Questo silenzio è ne-
cessario per stare più raccolto. Nelle ricrea-
zioni dopo la colazione e dopo la seconda
istruzione puoi benissimo passeggiare, ma da
solo, pensando a Dio, facendo qualche pre-
ghiera o riflessione; ed in modo da non af-
faticare troppo la mente. Nè accontentarti
del silenzio della lingua! Procura ancora di
far tacere ogni passione, ogni parola, ogni
noia, ogni impazienza. Fa' tacere l'immagi-
nazione, che vorrebbe rappresentarti i di-
spiaceri sofferti lungo l'anno. Tutto deve es-
ser silenzio attorno a te; tu sei alla presenza
di Dio per trattare della tua santificazione
propria, e dei mezzi di santificare poi anche
gli altri.
Quiesce. Sta' in pace. Il demonio negli
esercizi adopera, come tattica principale, quel-
— 1241 —
la di inquietare le coscienze. Agli uni cerca
d'infondere scoraggiamento, facendo vedere
il poco o nulla di bene che si è fatto du-
rante l'anno. Ad altri mette scrupoli per le
confessioni passate, o per quella medesima
confessione che si prepara o che lì per lì si
è fatta. Ad altri ancora insinua inquietudini
per le occupazioni che si ebbero od a cui si
sarà destinati nell'anno seguente, o pel col-
legio o casa dove si sarà mandati. In una pa-
rola il maligno cerca di suscitare inquietu-
dini, perchè, se ottiene questo, è paralizzato
ogni bene. Tu sta' attento: quiesce: sei tra
le braccia del più amoroso dei padri, Iddio.
Egli disporrà il meglio per te. Pensa con
somma quiete a riparare i danni sofferti lun-
go l'annata ed a prepararti una buona co-
razza e buone armi per l'anno prossimo, onde
combattere con vero vantaggio le battaglie
del Signore.
Bisogno degli esercizi.
Per quanto si sia esatti nel fare il pro-
prio dovere, uno si rallenta a poco a poco
dal primitivo fervore, a causa dell'inclina-
zione della natura corrotta che tende na-
turalmente al rilassamento ed alla sensualità.
Abbiamo perciò bisogno di prendere di tan-
to in tanto qualche tempo per rinnovellarci,
e per ritrovare quanto si è perduto dell'an-

63.6 Page 626

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tica regolarità. Le terre, anche le più fer-
tili, han bisogno con frequenza di piogge, o
di essere bagnate un po' straordinariamente,
e di essere ben concimate, ed anche di ri-
posare qualche tempo. Così l'anima nostra
dovrà prendere un po' di riposo interiore, e
darsi un po' di più alla preghiera, alla let-
tura spirituale, alle meditazioni ed, agli altri
esercizi di pietà, per avanzare sempre più
nella santità.
Gesù sia il modello.
Bisogna entrare negli esercizi con quello
spirito con cui Gesù effettuò il suo ritiro e
digiuno di 40 giorni, guidati come lui dallo
Spirito Santo. Nel medesimo modo che egli
non pensava se non a quello che poteva pro-
curare l'onor del suo eterno Padre, e la no-
stra santificazione;, così noi dobbiamo du-
rante gli esercizi non pensare che a prendere
i mezzi di glorificare Iddio e di vegliare al-
la nostra santificazione. Non bisogna scorag-
giarsi in una così santa impresa se al prin-
cipio non si trova tutto il gusto che si può
desiderare, e se invece si trovano pene in-
teriori; Gesù medesimo permise al demonio
di tentarlo ripetutamente in quei quaranta
giorni! Non è dunque sorprendente che an-
che noi sentiamo tentazioni negli esercizi. Ma
come il nostro divin Maestro resistette al de-
monio, e fu in seguito visitato e servito da-
gli angeli, così mostrandoci noi fedeli a re-
sistere alle tentazioni meriteremo la visita
di Dio medesimo seguito dalle sue grazie e
dalle sue consolazioni. E come Gesù ritirato
nel deserto digiunò tanto rigorosamente, così
quelli che sono negli esercizi possono pra-
ticare qualche digiuno od altra mortifica-
zione o penitenza, secondo gli accordi presi
con il maestro o con il direttore, secondo i
propri bisogni, le proprie attrattive, le pro-
prie forze.
Norme pratiche.
Per trarre da questi esercizi tutto il frut-
to che si ha diritto d'aspettare da essi, bi-
sogna ancora applicarsi a far bene le occu-
pazioni ordinarie.
Dobbiamo quindi essere più puntuali nel
levarsi, nell'ubbidire, più ferventi nel dir gia-
culatorie, tenere la mente elevata a Dio, e
ad assistere alle azioni della comunità. Bi-
sogna mettere più attenzione e divozione nel
(lire le preghiere in comune, pronunziando
chiaramente ed adagio tutte le parole, nella
recita dell'uffizio che è uno degli atti di cul-
to più tenuto in conto dalla Chiesa, facendo
la debita pausa dell'asterisco, e pronunziando
tutte le parole senza strascichi o cantilene
indebite. Si deve far silenzio, praticare la

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— 1244
niodestia e la mortificazione dei sensi e delle
passioni, camminare più costantemente alla
presenza di Dio, ecc. Così avendo preso una
santa abitudine di praticare con fervore le
azioni ordinarie, si potrà continuare in esso
durante il resto della vita. Poiché sebbene
gli esercizi non durino materialmente che po-
chi giorni, il loro effetto spirituale deve per-
severare per tutta la vita, mantenendo per
progredire nella perfezione la stessa genero-
sità che si sentiva nel corso di essi. Riguar-
do alla santa messa che si ascolta senza dire
preghiere in comune, ti raccomando di non
istare con la mente inerte e quasi intontita,
come avviene facilmente se non si fanno sfor-
zi. Fìssati invece su qualcuno dei modi che
ti ho indicato parlando della messa, od an-
che passa in rassegna durante la medesima
i tanti benefizi che il Signore ti fece in quel-
l'anno, esaminandoti sul modo poco degno
con cui hai corrisposto, oppure anche fa-
cendo il tuo esame su qualcuno dei punti
che ti ho già innanzi tracciati. Riguardo al-
la confessione, se è passata la tua settimana,
fa' subito la tua confessione settimanale; ma
quella annuale o generale, che devi fare se
vuoi eseguire la regola e se vuoi trarre frut-
to dagli esercizi, aspetta almeno due giorni
perchè ti possa preparare proprio bene e
farla con gran frutto. Però la santa comu-
nione bada di non lasciarla mai.
Riguardo alle prediche, sta' ben attente
— 1245 —
affinchè non ti capiti di dormire, ed affinchè
nulla abbia a distrarti. Io non ti suggerisco
di scrivere al tempo delle prediche, eccetto
che si tratti di prender solo alcuni appunti
principali e notarti i testi. Insisto invece con
tutto il mio potere che nel tempo di ritiro
spirituale, nella camera di riflessione, cerchi
di notarti le cose che ti fecero maggior im-
pressione. Ad ogni predica prenditi e scriviti
qualche proponimento, che deve poi formare
il tuo regolamento di vita per tutto l'anno.
Nel ritiro sta' molto concentrato in te. Oltre
al prenderti i piccoli appunti delle prediche,
è là specialmente che devi fare accuratissimo
l'esame di quanto ti passò nell'annata. Con-
viene pure che ti prenda nota delle cose più
importanti. Se ti resta tempo leggi qualche
buon libro; ma vorrei che fosse qualche li-
bro già scelto, già preparato prima, come la
Pratica di amar Gesù, o il Gran mezzo della
preghiera, di Sant'Alfonso, il Tutto per Gesù
del Faber. E, se non l'avessi ancor fatto, non
lasciar passare questa circostanza senza leg-
gere l'Imitazione di Gesù Cristo od il Teo-
timo del nostro San Francesco di Sales, con
proposito di terminare dopo gli esercizi quel-
le parti che non avessi avuto tempo di leg-
gere.
Conviene ancora che non lasci terminare
gli esercizi, se ciò sarà possibile, senza che
vada a parlare privatamente col superiore
che li dirige, che per lo più sarà il Rettor

63.8 Page 628

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Maggiore o l'Ispettore. Farai con lui un ren-
diconto annuale, esponendogli con gran can-
dore le cose principali succedute a te lungo
l'anno.
Cènipito degli esercizi.
Se vuoi che il frutto degli esercizi spiri-
tuali riesca completo, bada bene che essi de-
vono riuscire a tre intenti: devono riparare
il passato, correggere il presente, e provve-
dere per l'avvenire. Se gli esercizi non ope-
rano questi tre effetti, il frutto sarà monco
ed incompleto.
Ma affinchè riesca in questi tre fini è
al tutto necessaria un'operazione preliminare
Bisogna prima di tutto che tu venga a co-
noscer meglio te stesso. Parte principale per-
tanto di questi esercizi si è di fare una ri-
vista accurata all'anima tua, esaminare a
fondo quel che hai fatto, quel che stai facen-
do e come lo fai, e quel che vuoi fare per
1 avvenire; come hai fatte le tue azioni e co-
me le vuoi fare in appresso. Vi è bisogno
adunque di un esame accuratissimo di te
stesso, che basti non solo per la confessione,
ma che serva a te di scossa, di luce e di
guida. È per questo che ho giudicato bene,
per aiutarti in cosa così difficile ed impor-
tante, di esporti nei capi antecedenti un mo-
dulo di esame, che mentre ti deve servire per
la confessione annuale, ti aiuti anche a cono-
scerti meglio, affinchè con frutto possa pian-
gere il passato, correggere il presente, e prov-
vedere per il tuo avvenire. Detto esame ti
servirà anche per dare una rivista ogni me-
se nell'Esercizio di Buona Morte all'anima
tua. Se tu però avessi a fare una confessio-
ne generale di tutta la vita farai bene a ser-
virti anche degli ordinari libri di divozione.
Poiché qui sopra il mio scopo fu solo di mi-
rare allo stato religioso, rilevandone e le cose
più gravi, e i difetti più piccoli, e le massi-
me di perfezione, ma sempre riguardate sot-
to il punto di vista dello stato religioso.
Ripara il passato.
Bisogna adunque che cerchi sodamente di
ripararlo questo passato. Avanti a Dio le co-
se si aggiustano presto. Se hai fatte confes-
sioni con poco dolore o fiacco proponimen-
to od anche avessi fatto confessioni cattive,
con una confessione ora proprio ben fatta,
con grande dolore e fermissimo proponimen-
to, tutto resta aggiustato. Ma poi se non vuoi
averne a fare penitenza in purgatorio, biso-
gna che ci pensi adesso a rimediare ai pec-
cati fatti! Spirito di sacrifizio, vera mortifica-
zione, sforzi molto seri, lavoro incessante e
fatto con buono spirito, son le cose che gene-
ralmente si suggeriscono per riparare il passa-

63.9 Page 629

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to. Se però hai dato cattivo esempio, anche solo
con la tiepidezza ed indifferenza, non basta
piangere il male fatto, bisogna ripararlo col
buon esempio. Se hai tolta la fama a qualche
confratello, se hai perseguitato od anche ca-
lunniato qualcun altro, non basta il penti-
mento: ci vuole la riparazione. Se avessi ri-
sposto in pubblico, insidtato, o anche solo fat-
to scherzi indebiti a qualche superiore, non
basta il pentimento; bisogna in qualche modo
riparare.
E se per causa tua qualcuno avesse pendu-
ta la vocazione? Se per essere troppo rigido,
o per la tua negligenza nel fare scuola od
assistere, qualche giovane avesse commesso
qualche grave mancanza, o si fosse annoiato
del collegio e andato via, ed ora corresse la
strada del vizio, crederesti tu che basti una
lagrimuccia, ed il dire: un'altra volta non fa-
rò più così? Devi riparare nell'anno pros-
simo col buon esempio quel che è riparabile,
e del resto almeno dire col profeta Davide:
« Insegnerò ai cattivi le tue vie, ed essi si
convertiranno a te » (1). Se non puoi reinte-
grare l'anima che hai rovinata, devi almeno
imitare Zaccheo, il quale promise di restituire
quattro volte tanto il mal tolto. Se cioè non
puoi restituire l'anima da te rovinata, bi-
sogna che almeno cerchi di condurne molte
altre al Signore.
(1) " Docebo iniquos viaa tuas, et impii ad te con-
vertentur » (Salm., L, 14).
Correggi il presente.
Per correggere il presente devi considerare
lo stato delle tue passioni ed inclinazioni, se-
condo l'esame che ti ho proposto: vedere a
che punto sei, e quali sono i mezzi pratici per
sorgere dal letargo in cui ti trovi. Devi spe-
cialmente badare al tuo carattere, se l'hai mi-
gliorato con sforzi adeguati. Devi vedere se
sei abbastanza istruito nelle cose che riguar-
dano i tuoi doveri e nelle cose di religione,
di cerimonie, di canto, secondo che si richiede
dal tuo stato. Devi inoltre osservare se nel
tuo cuore vi è qualche avversione, o capric-
cio, o testardaggine di non volere qualche
carica, o qualche ubbidienza. Vedi se hai
attacco a qualche cosa di famiglia od alle
tue comodità, o affetto a qualche giovane,
ovvero se hai ripugnanza a trattare con qual-
che superiore, o astio con qualche giovane
che perciò tratti meno bene che gli altri. O
se essendoti stato suggerito lungo l'anno
qualche mezzo o qualche consiglio dal con-
fessore o dal superiore, non ti fossi ancor de-
ciso bene di praticarlo. Inoltre, per corregge-
re il presente, osserva un po' se tieni libri
od oggetti senza permesso, se tieni libri di
altra casa, libri di biblioteca, cose che ti fu-
rono imprestate e poi tenute come tue; più
ancora se tieni qualche libro od oggetto pe-
ricoloso.
È necessario che gli esercizi producano un

63.10 Page 630

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frutto completo. Se non puoi al momento ri-
mediare perchè non è presente quel tale o
non hai qui quell'oggetto, nota la cosa come
appendice ai proponimenti per ricordarti di
eseguirlo appena potrai. Bisogna poi che ti
applichi ad acquistare la virtù che più ti è
necessaria. Per esempio, se uno sente un'in-
clinazione per l'orgoglio coltivando apposta
pensieri di vanità, di buona stima, o di sod-
disfazione di se stesso, dicendo volentieri pa-
role a propria esaltazione, cercando modi e
circostanze per esser lodato, ecc., bisogna
applicarsi ad acquistare l'umiltà. Se uno è
inclinato a cedere alla golosità, ed a soddi-
sfare i suoi desideri, non volendo mancare in
niente nel nutrimento, negli abiti, ecc., ricer-
cando queste cose con troppa sollecitudine, e
preoccupandosene con frequenza, bisogna
mettersi attorno e procurarsi la povertà e la
mortificazione. Se uno si sente attaccato al
proprio giudizio ed alla propria volontà in
modo da essere proclive a volere che gli altri
siano sempre del suo parere, a sostenerlo con
pertinacia, ed a contristarsi quando gli fan
resistenza, bisogna applicarsi ad acquistar
l'obbedienza, il disprezzo e la dimenticanza
di noi stessi; e così delle altre virtù.
Bisogna inoltre, durante gli esercizi, cer-
care di conoscere i difetti, che forse sono me-
no gravi per se stessi ma che son più in vista,
e scandalizzano di più i confratelli. Bisogna
prendere i mezzi efficaci per correggersi an-
che di quelli ed acquistare le virtù che loro
si oppongono. Se si è molto fermi ad osserva-
re questi vari punti, si trarrà gran frutto da-
gli esercizi spirituali e si regolerà veramente
bene il presente.
Provvedi per l'avvenire.
È già gran cosa l'aver riparato il passato
e cercato di correggere il presente; ma il più
sta nel provvedere che per l'avvenire le cose
tue abbiano a camminare proprio bene. Sen-
za di questo sarebbe frustrato il motivo prin-
cipale per cui si fanno gli esercizi. Pertanto
getta posatamente, ma energicamente uno
sguardo all'avvenire. Bada con serietà quel
che è necessario che faccia d'or in avanti, e
quali sono i mezzi da prendere per riuscir-
vi. Ad ottenere questo frutto io ti suggerisco
due mezzi in particolare. Il primo è che ri-
legga e corregga ed adatti al bisogno presen-
te e futuro le deliberazioni prese negli anni
scorsi, coordinandole con i proponimenti che
fai ora, promettendo di leggerli ogni mese
all'Esercizio di Buona Morte. E se negli eser-
cizi antecedenti non te li fossi ancora scritti,
sarebbe cosa buona per precisarteli meglio e
per ricordarteli poi di più, che li ponessi ora
per iscritto onde poterli rileggere di tempo
in tempo lungo l'anno, specie nell'Esercizio di
Buona Morte. Poiché essendo questi propositi

64 Pages 631-640

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64.1 Page 631

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—1
frutto che la grazia ti suscitò in mente, sono
capaci, quando si rileggono, di far rivivere
detti pii sentimenti nel tuo cuore. I proponi-
menti devono essere di due sorta. Ti dissi,
di prenderne qualcuno predica per predica,
secondochè tanto ci inculcava Don Bosco, e
questi, uniti a quelli che avevi già scritti gli
anni scorsi, devono formare come il tuo « re-
golamento di vita ». Ma ciò non basta. È
necessario che tu prenda un proponimento
speciale, uno solo o pochi, che formino come
il proponimento caratteristico degli esercizi.
Questo va fatto verso la fine. Ora, dalle pre-
diche e dagli esami che hai fatto su di te,
hai capito qual è la cosa di cui più di tutto
abbisogni. È su questo che devi prendere il
proponimento speciale degli esercizi. Prendilo
fermo; giurane l'esecuzione a Gesù nella co-
munione dell'ultimo giorno! Pensa ai mezzi
pratici per eseguirlo bene tutto l'anno, e pro-
poni di volertene esaminare seriamente in ogni
Esercizio di Buona Morte. È con questa te-
nacia di propositi che si riesce a fare qual-
che cosa di buono.
Rinnovazione dei voti.
Noi siamo soliti ogni anno al termine de-
gli esercizi, di rinnovare i santi voti. Que-
sta rinnovazione è utilissima quando è pre-
— 1253 —
parata e ben fatta. Essa ha due parti: la
prima è di entrare in noi medesimi, vedere i
mancamenti che si commisero contro questi
voti, specialmente nell'anno decorso, conce-
pirne un gran rincrescimento, domandarne
perdono a Dio, e proporre una emendazione
efficace. La seconda consiste nel ripetere que-
sti voti con una nuova divozione e coraggio.
Per comprendere l'utilità di questa rinnova-
zione dei voti bisogna capire come l'osser-
vanza dei medesimi può essersi affievolita
in noi, e non aver più quella medesima for-
za di quando si fecero. Disgraziatamente ciò
è facile alla natura corrotta, che tende sem-
pre in basso per il peso della sua corruzione.
Ora questo indebolimento nell'osservanza dei
voti consiste in una diminuzione di riguar-
di, di divozione, di fervore, di zelo e di amo-
re nel custodirli, e nei mancamenti che que-
sta diminuzione e questo raffreddamento ci
fecero commettere contro di essi. Bisogna per-
tanto che il religioso si esamini su questo raf-
freddamento e prenda le risoluzioni opportu-
ne e che non faccia come il popolo di Israele,
che dopo d'essere uscito d'Egitto adorò il vi-
tello d'oro nel deserto. Simil cosa avverrebbe
a te se dopo d'essere stato tratto dal mondo,
non fossi poi mortificato, e adorassi anche tu
qualche idolo nella religione medesima, o
mancando contro la povertà per un deside-
rio delle tue comodità e del tuo agio; o con-
tro la castità con l'affezione disordinata a

64.2 Page 632

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— 1254 —
qualche creatura, o con la ricerca di qual-
che piacere sensuale tra te stesso; o contro
l'ubbidienza con troppo attacco alla propria
volontà, ed al proprio giudizio.
Perchè si rinnovano i voti.
La rinnovazione dei voti si fa per crescere
in divozione, per ricordarci sempre meglio
le nostre obbligazioni, e per confermarci sem-
pre più nella nostra vocazione. Si fa per te-
stimoniare a Dio, che, lungi dall'essere mal-
contenti e pentiti d'esserci consacrati a lui
con voto, si farebbe di nuovo la stessa cosa,
posto che essa non fosse ancor fatta, e per
ringraziarlo della forza che ci diede di farli.
La vita religiosa è in conseguenza dei voti
come un olocausto perpetuo ed un sacrifizio
di tutta la vita. Ma la vita è una cosa che
non si può sacrificare tutta in una volta,
poiché essa si dilegua a poco a poco. Ora
la forza di questo sacrificio può insensibil-
mente affievolirsi per varie cause: perciò è
ben conveniente e pressoché necessario di
rinnovare i voti, e ripeterli con frequenza. Ma
è con queste disposizioni che bisogna fare
la rinnovazione dei voti. Fa bene chi li rin-
nova anche privatamente con frequenza e
ben anco tutti i giorni, secondo che ci inse-
gna Davide: « Io compirò i miei voti di gior-
— 1255 —
no in giorno» (1). Rinnoviamo perciò questi
voti con tutto l'amore di cui è capace il no-
stro cuore. La rinnovazione fatta in questo
modo sarà ben cara a Dio e ben utile a te.
Rinnova pertanto ogni giorno nella santa co-
munione i tuoi voti; e così tutti i giorni ti
nobiliterai di più, e di più piacerai al Si-
gnore. In quest'occasione domandagli sem-
pre con la più grande fiducia che ti sarà pos-
sibile le grazie abbondanti ed efficaci, che ti
abbisognano per osservarli con tutta la per-
fezione che egli esige da te. Chiedi la gra-
zia di essere perseverante in cotesta osser-
vanza fino alla fine della vita. Con questa rin-
novazione dei voti ordinariamente si terminano
i santi spirituali esercizi. Si videro sempre
grandi frutti dagli esercizi spirituali ben fat-
ti. Si vedono sovente dei confratelli che esco-
no veramente trasformati, e perseverano in
queste disposizioni anche per tutta la vita.
Tu pertanto tieni preziosa questa occasione
e procura che il frutto che ne ricaverai non
abbia poi da essere paralizzato col metterti
in qualche occasione pericolosa. Tienti sal-
do nei propositi, e Iddio ti benedirà.
(1) « Reddam vota mea de die in diem"» (Salmi,
LX, 9).
41

64.3 Page 633

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—1
CAPO XVII
I SUFFRAGI AI CONFRATELLI DEFUNTI
Fortuna nostra per tanti suffragi,
Tra le cose che devono farci apprezzare
maggiormente la nostra Pia Società è al cer-
to la cura che essa si dà, per suffragare le
anime dei confratelli defunti e le anime dei
loro genitori. Le nostre costituzioni ordinano
l'applicazione di varie messe, sia alla morte
di ciascun socio, sia alla morte del padre e
della madre dei medesimi. Ordina inoltre che
tutti i confratelli non sacerdoti della casa a
cui appartiene il socio, facciano almeno una
volta la santa comunione in loro suffragio, e
recitino la terza parte del rosario. Ogni an-
no poi, il giorno dopo la festa di San Fran-
cesco di Sales, tutti i sacerdoti celebrano una
messa pei confratelli defunti, e tutti gli al-
tri soci fanno la santa comunione e recitano
in loro suffragio il santo rosario ed altre pre-
ghiere.
Tutto questo senza contare le preghiere, le
comunioni dei giovani, e mille altri suffragi
che si fanno nella casa dove si muore. In
ogni corso di esercizi spirituali, poi, verso la
fine, quando già tutte le coscienze sono pu-
rificate, si canta per loro la messa de Re-
— 1257 —
quiem, e tutti fanno la santa comunione in
loro suffragio. Quanti corsi di esercizi si ten-
gono anno per anno! E questo in perpetuo
finché durerà la nostra Pia Società. Quanti
suffragi! Oltre a questo è da considerare che
in congregazione è molto radicata la divo-
zione per le anime del purgatorio, per cui si
può star certi che ogni sacerdote, ogni gior-
no, nel memento dei morti della messa, rac-
comanda come prima cosa i confratelli de-
funti che ancora abbisognassero di suffragi,
e specie i più dimenticati. E simil cosa ese-
guiscono generalmente tutti i soci non sacer-
doti facendo la santa comunione. Tu pertan-
to rallègrati entro te stesso, per appartenere
ad una società che si prende tanta cura di
suffragare le anime dei confratelli defunti.
Ed anche questo pensiero si rinnovi subito
in te contro il nemico, quando questo ti voles-
se metter noia della vita religiosa, e ti as-
salisse contro la vocazione. La vita mondana
può ben essere più comoda in vita; ma l'aiu-
to che la congregazione porta in punto di
morte, ed i suffragi cosi abbondanti dopo
morte, non li troveresti certamente fuori del-
lo stato religioso.
Proposito di suffragare i defunti.
Tu, per parte tua, devi prendere una fer-
missima risoluzione: di non lasciar mai di
fare, anzi di mettere tutto il tuo impegno

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per far sempre meglio le pratiche consacrate
e stabilite dalle costituzioni per i soci de-
funti ed i loro genitori. Non dimenticar mai,
anche nelle altre tue preghiere, visite, sacri-
fizi e specialmente comunioni, di pregare in
modo speciale per i confratelli defunti. San
Francesco di Sales assicura che col pregare
per le anime del purgatorio e così sollevarle
dalle loro pene, si esercitano tutte le opere
di misericordia comandate dal Signore. Ecco
le sue parole: «a) Discendere tra quei fuochi
divoratori, apportare alle anime che giac-
ciono sul duro letto di fuoco la elemosina
delle vostre preghiere, non è in qualche modo
visitare gli ammalati? b) Non è dare a bere
a quelli che han sete, versare la dolce ru-
giada della grazia celeste su anime divorate
dalla sete di veder Dio faccia a faccia? c) Af-
frettare per esse il momento in cui entreran-
no in possesso della beatitudine del cielo, di
Dio, di cui esse sono più affamate che non
il mendico del pezzo di pane che noi gli
diamo, è veramente dar da mangiare ai po-
veri affamati, d) Sì, noi riscattiamo dei pri-
gionieri pagando la taglia delle sante anime
prigioniere della giustizia divina, rompendo
le catene che le tengono lontane dal ciclo,
e quali catene! e) Noi vestiamo magnifica-
mente coloro che sono nudi, aprendo ai mor-
ti colla nostra penitenza il soggiorno della
gloria, in cui il Signore tien loro preparata
una inseparabile veste di luce di eterna chia-
rezza, f) Quale ammirabile ospitalità non eser-
citiamo noi introducendole nella Gerusalem-
me celeste, nella città trionfante degli spiriti
beati! g) Potremo noi paragonare il merito
di seppellire il corpo abbandonato al pascolo
dei vermi, con la inapprezzabile felicità di
far salire al cielo anime immortali?». Tu
pertanto, persuaso che col suffragare le sante
anime del purgatorio pratichi le varie opere
di misericordia, devi accenderti di gran desi-
derio di occuparti molto di coteste anime
per così preparare anche per te molti me-
riti pel paradiso.
L'atto eroico di carità.
Se tu hai fatto, come spero, l'atto eroico
di carità in suffragio delle anime del pur-
gatorio, mettendo nelle mani della Madonna
tutti i tuoi meriti e tutte le indulgenze che
puoi acquistare, affinchè le distribuisca essa
a suo piacimento, allora sarà ancora meglio,
perchè, avendo da fare con la più buona
delle madri, puoi star certo che essa le di-
stribuirà prima di tutto in suffragio dei tuoi
confratelli che stanno tanto a cuore a te ed
a lei. Se non l'avessi fatto, io ti consiglio di
farlo; ti spiegherò meglio in che consiste.
L'atto eroico di carità in suffragio delle
anime del purgatorio, consiste nell'offerta o
donazione volontaria di tutte le nostre opere

64.5 Page 635

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— 1260 —
soddisfatene personali fatte durante la no-
stra vita, e dei suffragi che ci saranno appli-
cati dopo la nostra morte, che noi deponia-
mo nelle mani della Beatissima Vergine, af-
finchè questa tenera Madre ne sia distribu-
trice e le dispensi a suo beneplacito a quelle
anime del purgatorio che ella vuole liberare
dalle loro pene.
In virtù di quest'atto, che basta fare una
volta per sempre, noi ci spogliamo solamen-
te del frutto che a noi perverrebbe da que-
ste soddisfazioni e da questi suffragi. Que-
sto non c'impedisce di pregare per noi, per
i nostri parenti vivi e defunti, e di adem-
piere a nostro vantaggio le altre pratiche di
pietà. Quel solo che vi è di soddisfattorio nel-
le opere che si fanno, è applicato alle ani-
me del purgatorio. Il frutto del merito di
propiziazione o d'impetrazione ci rimane sem-
pre, non potendosi applicare ad altri. Que-
sto atto non obbliga sotto pena di peccato nè
mortale nè veniale. Basta farlo in cuore sen-
za bisogno di pronunziare alcuna formula
per aver parte alle indulgenze che gli sono
proprie. Per tua norma tuttavia ti sugge-
risco questa forma, della quale potresti gio-
varti se lo credi: «O Maria, madre di mi-
sericordia, faccio nelle vostre mani, in fa-
vore delle anime del purgatorio, l'intero dono
delle mie opere soddisfattone durante la vita,
e dei suffragi che mi saranno applicati dopo
la morte; e non mi riservo che la compas-
- 126 —
sione del vostro materno cuore ». Questo at-
to si può rinnovare di tanto in tanto.
Esso non solo fu approvato dai Sommi
Pontefici, ma da Pio IX inculcato, e con de-
creto 20 Novembre 1854 arricchito d'indul-
genze plenarie, e specialmente di questo: che
in ogni comunione si acquista l'indulgenza
plenaria se si applica alle anime del purga-
torio, ed ogni sacerdote può godere dell'al-
tare privilegiato in tutti i giorni dell'anno.
Termino questo capitolo ammonendoti di ri-
cordar sempre quel detto di Sant'Ambrogio:
« Tutto ciò che diamo per carità alle anime
del purgatorio, si cambia in grazia per noi
e dopo la nostra morte ne troveremo il me-
rito centuplicato ».
Jesus et Maria, amore* mei dulcissimi, prò
oobis patiar, prò oobis moriar, sim totus ve-
ster, nihil meus: O Gesù e Maria, amori miei
dolcissimi, che io per voi patisca, per voi
muoia; che io sia tutto vostro, niente mio!

64.6 Page 636

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APPENDICE
Regolamento di vita che San Francesco di
Sales si prescrisse mentre era studente
in legge all'università di Padova.
Credo farti cosa grata ed utile, mio buon
chierico, riportandoti qui il Regolamento di
vita che San Francesco di Sales si prescrisse
quando, ancor giovane di 21 anni, era stu-
dente in legge all'università di Padova. Egli
è nostro patrono e noi dobbiamo cercare di
imitarlo: egli passò per pericoli più grandi
di quel che non abbia forse da passar tu; ma
seppe superar tutto ed uscirne illeso. Ma per-
chè? Perchè a tempo s'appigliò ai mezzi. Cer-
ca anche tu ora, sul fiore della tua età, di far-
ti un regolamento di vita adatto a te, come
te ne parlai trattando degli esercizi spirituali,
e poi sii costante quanto lui nel praticarlo, ed
allora riuscirai tu pure a santificarti.
Francesco non aveva ne' suoi studi altro di
mira che di piacere al Signore; perciò non la-
sciava che il desiderio d'imparare, come tal-
volta avviene, assorbisse la brama e il desi-
derio di santificarsi. Cercava di fare ogni
giorno nuovi progressi nella pietà e nella vir-
tù, animandosi con queste parole, tratte dal-

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—1
la Sacra Scrittura, che si udivano pronun-
ziare da lui varie volte, e che la storia ci
tramandò: «Per qual fine sei tu al mondo?
I giorni dell'uomo sono brevi e passano come
l'ombra. Facciamo il bene finché abbiamo il
tempo; poiché s'avvicina la notte, in cui non
si può più lavorare ». È con questo pensiero
che si fece quel mirabile regolamento, serio,
preciso e approvato dal direttore dell'anima
sua, regolamento che formò e forma l'am-
mirazione di noi tutti.
E tu animati ugualmente; non volerti im-
porre troppe cose, ma con San Francesco di
Sales sta fisso nel voler eseguire il tuo regola-
mento in ogni congiuntura, ad ogni costo,
avessi pur da sottoporti ad ogni sacrifizio.
Questo suo regolamento si divide in quat-
tro parti. La prima, ch'egli indica col nome
di preparazione, ha per oggetto l'esame di
previdenza, da farsi ogni mattina per ben
passare la giornata. La seconda contiene di-
vote pratiche, che si stabilisce di eseguire dì
per dì. Nella terza si prescrive le regole per
l'orazione, che egli chiama riposo spirituale,
ossia sonno dell'anima in Dio. Nella quarta
il santo giovane si fissa le regole da praticare
nelle sue relazioni col mondo. Le due prero-
gative, che più risplendono nel regolamento,
e che tu devi specialmente cercar d'imitare,
sono: l'impegno suo di tenersi sempre alla
presenza di Dio, ed il fare ogni cosa per pia-
cere a Lui solo.
— 1265 —
I. Della preparazione.
Io metterò sempre prima di tutte le altre
cose l'esercizio della preparazione, facendolo
almeno una volta al giorno, cioè la mattina.
Che se mi si presenterà qualche occasione
straordinaria, me ne servirò in modo parti-
colare, e l'adoprerò come rimedio al pericolo
che potrebbe sovrastarmi. E perchè la prepa-
razione è come un foriere, che precede tutte
le opere, procurerò di dispormi con essa a
far bene e lodevolmente ogni mia azione.
La prima parte di quest'esercizio sarà l'in-
vocazione: perciò, riconoscendomi esposto ad
infiniti pericoli, invocherò la divina assisten-
za, e dirò: Se tu, o Signore, non custodisci
l'anima mia, invano veglia chi la custodisce.
Di più, riconoscendo che la conversazione
m'ha fatto cadere altre volte ne' mancamenti,
sgriderò me stesso: O anima mia, di' pur ar-
ditamente: dalla mia più tenera età ho sof-
ferto frequenti persecuzioni: o mio Dio, sii
mio protettore, mio luogo di rifugio; salvami
dalle insidie de' miei nemici: Signore, se vuoi
puoi rendermi puro. Insomma lo pregherò
di farmi degno di passare quel giorno senza
peccato, al che gioverà ciò che sta scritto nel
Salmo 143: «Liberami, 0 Signore, da' miei
nemici, giacché a te ricorro: insegnami ad
eseguire il tuo volere, perchè sei il mio Dio.
Il buono spirito mi condurrà nel diritto cam-

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mino, e per gloria del tuo santo nome mi vi-
vificherai nella tua equità ».
La seconda parte è l'immaginazione, che
altro non è, se non un antivedere tutto ciò
clie mi può accadere in quel giorno: penserò
adunque seriamente a tutti gl'incontri pos-
sibili, alle compagnie nelle quali dovrò tro-
varmi, a quei luoghi dove sarò sollecitato di
recarmi, alle occasioni che mi potrebbero
inavvedutamente sopravvenire: e così conget-
turando i pericoli ne' quali potrò incorrere,
con la grazia di nostro Signore andrò con
cautela incontro alle difficoltà ed occasioni
pericolose, che potrebbero sorprendermi.
La terza parte è la disposizione: perciò
dopo avere con discrezione congetturato i di-
versi labirinti, pei quali facilmente potrei
uscire dalla buona strada e correre rischio di
perdermi, considererò diligentemente, e ricer-
cherò i mezzi per isfuggire i cattivi passi,
disporrò le cose che dovrò fare, la maniera
e l'ordine che dovrò tenere nel trattare i ne-
gozi, nel parlare con le compagnie, e tutto
ciò che dovrò abbracciare e fuggire.
La quarta è la risoluzione: in seguito
adunque agli atti precedenti farò un fermo
proponimento di non offendere più Iddio, e
specialmente in questo giorno, valendomi
delle parole del re profeta: Ebbene, anima
mia, non ubbidirai tu a Dio, dipendendo da
Lui la tua salvezza? Ahi che grande viltà è
il lasciarsi tirare al male, contro l'amore e
desiderio del Creatore, per timore, amore,
desiderio od odio delle creature, di qualunque
condizione o grado siano! Certamente que-
sto Signore d'infinita maestà, degno di infini-
to amore, onore e servitù, non può essere vi-
lipeso, se non per mancanza di coraggio! Co-
me mai opporsi alle sue giustissime leggi per
ischivar i danni del corpo, de' beni, dell'ono-
re? Che ci possono fare le creature? Conso-
liamoci adunque e fortifichiamoci col Salmi-
sta dicendo: Mi facciano pure il peggio che
potranno gli empi, Iddio è assai potente per
soggiogarli. Schiamazzi contro di me quanto
potrà il mondo, quegli che sta assiso al di
sopra de' Cherubini, è mio protettore.
La quinta parte è la raccomandazione, lo
adunque rimetterò tutto me stesso, e tutto ciò
che m'appartiene nelle mani dell'eterna bon-
tà, supplicandola di sempre custodirmi. Io le
abbandonerò senza eccezione, interamente, la
cura di me, e le dirò con tutto il cuore: Ti ho
dimandato, Signor mio e Gesù mio, una gra-
zia, questa ti domando di nuovo, ed è, che
io eseguisca i tuoi voleri tutti i giorni della
mia vita. Ti raccomando l'anima mia, lo spi-
rito, il cuore, la memoria, la volontà, l'intel-
letto. Fa' ch'io sempre ti serva, ti ami, ti
piaccia, ti adori.

64.9 Page 639

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— 1268 —
II. Sette articoli che si prescrive
Francesco per passare bene i suoi giorni.
1. La mattina, subita svegliato, renderò
grazie al mio Dio, con le parole del Salmi-
sta: Dall'alba del giorno mediterò i tuoi mi-
steri, perchè tu sei il mio aiuto. Poi penserò a
qualche mistero, come sarebbe alla divozione
de' pastori, che vennero ad adorarlo bambino,
o all'apparizione di Cristo risuscitato alla sua
dolcissima Madre, alla diligenza delle Marie,
che prima del sole si incamminarono al se-
polcro, mosse dalla pietà. Considererò che
Gesù è la vera luce de' peccatori, ed il lume
de' Gentili, che dissipa le tenebre dell'infe-
deltà e della colpa. Ed in seguito dirò col
santo Davide: La mattina mi metterò alla
tua divina presenza, considerando che l'ini-
quità ti dispiace, perciò la fuggirò a tutto
potere.
2. Non mancherò di assistere ogni giorno
al santo sacrificio della messa; ed affine di
assistere come si conviene a quest'ineffabile
mistero, inviterò tutte le potenze dell'anima
mia a fare il loro dovere dicendo: Venite a
vedere i prodigi che Iddio ha posto sulla
terra. E soggiungerò: Andiamo fin a Betlem-
me, a vedere questo Verbo che si è fatto car-
ne e che il Signore ci ha mostrato; giacché
nella Chiesa appunto si forma per nostra
consolazione il pane soprasostanziale con le
parole che Dio pose in bocca dei sacerdoti.
- - 1269 —
3. Siccome il corpo ha bisogno di riposo,
per sollevarlo quando è stanco per le fatiche,
così è pur necessario all'anima di prendere
di tanto in tanto qualche dolce sonno per ri-
posare nel seno del divino Sposo, affine di
ristorarsi. Determinerò adunque in ogni gior-
no certi tempi per riposare con questo sacro
sonno, ad imitazione dell'amato discepolo,
sul petto del Salvatore; e siccome nel sonno
tutte le corporali potenze sono raccolte, così
in quel tempo mi ritirerò tutto in me stesso
per non estendermi in altre funzioni, se non
in quelle della divina volontà ed obbedienza,
dicendo a somiglianza del real Profeta: O
voi tutti, che vi cibate del pane del dolore,
per la considerazione delle proprie o delle
altrui colpe, non sorgete nè intraprendete le
fatiche ed occupazioni di questo secolo, senza
che prima non vi siate riposati nella conside-
razione delle cose eterne.
4. Che se non potrò ritrovar tempo per
questo sonno spirituale in altr'ora, come ac-
cadrà non di rado, ne ruberò una parte al
sonno corporale; o veglierò nel letto se non
posso fare altrimenti, o sorgerò dopo il pri-
mo sonno, o mi leverò la mattina più per
tempo, ricordandomi della sentenza del Sal-
vatore: Vegliate e pregate per non incorre-
re nella tentazione.
5. Se il Signore mi farà la grazia di ri-
svegliarmi la notte, io risveglierò subito il
mio cuore con queste parole: A mezza notte

64.10 Page 640

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- 1270 —
sorse un grido: ecco, viene lo sposo, uscitegli
incontro. Andrò dunque incontro allo spo-
so, e, con la riflessione delle tenebre este-
riori, entrerò a considerare quelle dell'anima
mia e dei peccatori, e formerò la seguenti
preghiera ricavata dal cantico di Zaccaria:
Ah Signore, poiché ti sei degnato di visitarci,
per le viscere della tua misericordia, illumi-
na quelli che camminano tra le tenebre e
giacciono nell'ombra di morte, e indirizza
i loro passi nella via della pace. Oppure mi
servirò delle parole di Davide: Sollevate di
notte le vostre mani al cielo e benedite il
Signore.
6. Ritornerò qualche volta al mio Dio e
Salvatore dicendo: No, che non dormi tu,
che custodisci Israele. Le più folte tenebre
della notte non mettono ostacolo a' tuoi rag-
gi divini. Tu, che sulla mezza notte ti de-
gnasti di nascere dalla tua purissima Madre,
puoi similmente far nascere i tuoi favori nel-
le anime nostre. Deh, Redentore pietoso, il-
lumina talmente il mio povero cuore coi bei
raggi della tua grazia, che giammai non re-
sti nella notte del peccato. Non permettere
che i miei nemici possan dire: L'abbiam vin-
to. E finalmente, considerate le tenebre e le
imperfezioni della mia anima, dirò con Isaia:
Custos, quid de nocte? O vigilante guardia-
no, resta ancor molto della notte delle no-
stre imperfezioni? E sentirò rispondermi: Il
— 1271
nini il liti delle buone ispirazioni è venuto; per-
chè ami tu più le tenebre che la luce?
7. E perchè i timori notturni possono ta-
lora impedire le mie divozioni (1), mi ricor-
derò del mio buon Angelo, il quale sta alla
mia destra e replicherò il versetto di Davide:
11 Signore mi sta alla destra affinchè non ab-
bia a vacillare. Ti circonderà lo scudo della
sua verità, e non temerai di notturne ango-
scie. Lo scudo della confidenza in Dio mi pro-
teggerà, sulla parola di Davide: Il Signore è
il mio lume e la mia salute, e chi temerò?
Il che vuol dire: Nè il sole, nè i suoi raggi
sono la mia luce principale, nè la mia sal-
vezza dipende dall'aver compagnia, ma da
Dio solo, il quale m'è cosi propizio di notte
come di giorno.
III. Del riposo spirituale, ossia
dell' orazione mentale.
1. Mi fisserò un tempo opportuno a que-
sto santo riposo, ed ogni giorno, quando que-
sto tempo è arrivato, procurerò di ridurmi
a memoria tutti i buoni movimenti, desideri,
ispirazioni, affezioni, risoluzioni, che Dio mi
(1) Una lettera del Santo ci fa conoscere ch'egli
nella sua gioventù fu tormentato da questi timori not-
turni. Egli li scacciava affrontandoli, aiutato dal pen-
siero della presenza di Dio e del suo buon Angelo Custode.

65 Pages 641-650

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65.1 Page 641

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ha date altre volte, e m'ha fatte gustare nella
considerazione de' suoi sacri misteri, della bel-
lezza della virtù, della nobiltà di chi lo ser-
ve, e de' suoi infiniti benefizi. Non mi scor-
derò la grazia fattami qualche volta di in-
debolire i miei sensi e le mie membra con le
malattie, il che m'è riuscito di grande utilità.
Dopo questo confermerò la mia volontà nel
bene e nella irremovibile risoluzione di non
voler mai più offendere Dio.
2. Fermerò il mio spirito nella conside-
razione della vanità delle grandezze, onori e
comodità del mondo. Rifletterò alla loro ca-
ducità, incertezza e fine, ed all'impotenza
che hanno di contentare appieno il cuore.
In seguito a ciò il mio cuore li disprezzerà,
sdegnerà ed aborrirà dicendo: Andatevene,
oh! andatevene da me lontani, diabolici af-
fetti: lungi da me, niente dobbiamo avere da
fare io e voi, giacché siete comuni anche co-
gli empi ed insensati; cercate pure altrove
chi vi riceva e desideri.
3. Mi fisserò nella considerazione della de-
formità, abiezione, e deplorabile miseria che
si ritrova nel vizio, e nelle anime che vi so-
no ingolfate; e poi, senza turbarmi ed in-
quietarmi dirò: Il peccato è cosa indegna
di una persona bennata e che vuole profit-
tare nel bene; esso non porta mai un gaudio
vero; non contenta che l'immaginazione; at-
tira nel cuore mille ansietà, inquietudini, ama-
rezze e supplizi; ma quando anche non fos-
se, basta sapere che dispiace a Dio per do-
verlo detestare.
4. Mi riposerò dolcemente nella conside-
razione dell'eccellenza della virtù; della vir-
tù, dico, la quale è in sè, nobile, generosa,
potente, dotata di attrattive ammirabili. È
essa che rende l'uomo interiormente ed este-
riormente bello; è essa che rende l'uomo
caro al suo Creatore, essendo propria del-
l'uomo. È essa ancora che in ogni tempo gli
reca consolazione e delizie, lo santifica, lo
cambia in angelo, ne forma una piccola di-
vinità e gli dà in terra un paradiso.
5. Ammirerò la bellezza della ragione data
da Dio all'uomo, come luce con cui, scopren-
do ciò che è male o bene, fa amare la virtù
ed abbominare il vizio. E certamente se noi
seguissimo il lume datoci da Dio per ve-
dere dove dobbiamo mettere i piedi, se noi
ci lasciassimo condurre da' suoi dettami, rati
ramente inciamperemmo, e difficilmente can-
dremmo in peccato.
6. Pondererò attentamente i rigori delitti
divina giustizia, la quale senza dubbio noi!
risparmierà quelli che abusano de' doni
della natura e della grazia. Questi tali de -
vono grandemente paventare i divini giur,1
dizi, la morte, il purgatorio, l'inferno. Rir!
sveglierò adunque la mia pigrizia ed infutt
gardaggine, replicando con frequenza queste-
parole: Ecco che ogni giorno me ne vo mo-
rendo; a che mi gioverà la primogenitura e

65.2 Page 642

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l'abbondanza dei beni presenti e quanto
v'ha di bello al mondo? Meglio è che io
disprezzi ogni cosa, e vivendo nel timore fi-
liale di Dio, sotto l'osservanza de' divini pre-
cetti, io mi applichi a crescere in ispirito, ed
a procurarmi i beni della vita futura.
?. Contemplerò l'infinita potenza, sapienza
e bontà di Dio, attributi che rispléndono mi-
rabilmente nella vita, passione e morte del
nostro Salvatore, e nell'eminente santità del-
la Beata Vergine nostra Signora, e nelle per-
fezioni dei fedeli servi di Dio che noi dob-
biamo imitare. Di là passando al paradiso,
ammirerò la sua gloria, la perpetua felicità
dei beati, e come la SS. Trinità manifesta la
grandezza dei suoi attributi coi premi, che
fanno beati quei felici abitatori.
8. Mi addormenterò infine nell'amore del-
la sola ed unica bontà di Dio: la gusterò,
se posso, in se medesima, e non solamente ne'
suoi effetti; berrò quest'acqua di vita, non
già con i vasi delle creature, ma al fonte me-
desimo: gusterò quanto sia buona in sè, buo-
ita a sè, buona per se medesima, questa ado-
rabile Maestà, essendo la bontà medesima,
'alita bontà, eterna, indeficiente, incomprensi-
bile. O Signore, dirò, tu solo sei buono per
natura e per essenza, tu solo sei necessaria-
rti'ente buono; le creature tutte non sono buo-
ne, se non perchè sono partecipazione della
infinità bontà tua.
IV. La santa Comunione.
1. Quando vedrò da lontano una chiesa,
la saluterò con quel versetto di Davide: Vi
saluto, o chiesa santa, le cui porte sono state
più amate da Dio, che tutti i tabernacoli di
Giacobbe. Indi considererò l'antico tempio, e
facendo confronto, vedrò quanto più augu-
sta è la minima delle nostre chiese di quello
che fosse il tempio di Salomone, perchè sopra
i nostri altari si offerisce il vero Agnello di
Dio per ostia pacifica dei nostri peccati. Se
non potrò entrare in chiesa, adorerò da lon-
tano il SS. Sacramento, anche con qualche
atto esteriore, levando il mio cappello e pie-
gando le ginocchia se la chiesa è''vicina, sen-
za badare a ciò che mi diranno 4 miei com-
pagni.
2. Mi comunicherò più spesSd' <rhe pótrò,
secondo il parere del coufes^re.-' ed almeno
non lascerò passare le domenichè derida man-
giare questo pane azimo, vero pane* dèi"cielo;
poiché, come potrebbe essere per mè la do-
menica vero giorno di riposo, se non potessi
ricevere l'Autore del mio eterno riposo?
3. La vigilia del giorno della comunione
scaccerò dalla mia casa, cioè dalla mia co-
scienza, tutte le immondizie dei miei peccati,
con una accurata confessione, nel far la qua-
le, userò tutta la necessaria diligenza per non
essere poi molestato da scrupoli; ed all'in-

65.3 Page 643

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contro lascerò da parte le cose inutili, vane
ed inopportune.
4. Se mi sveglio la notte, rallegrerò l'a-
nima mia dicendo per consolarla dagli orrori
notturni che mi molestano: Anima mia, per-
chè sei tu malinconica, e perchè ti conturbi?
Ecco che viene il tuo sposo, la tua gioia, il
tuo salvatore, andiamogli incontro con una
santa allegrezza e con un'amorosa confidenza.
5. Venuto il giorno mediterò la grandez-
za di Dio e la mia bassezza, e con cuore umil-
mente allegro canterò con la santa Chiesa: O
ammirabil cosa! Il povero e vii servitore al-
loggia il suo Signore, e lo riceve e lo mangia
(Inno del SS. Sacram.). Sopra di ciò farò
vari atti di fede e di confidenza, meditando
quelle parqle, del santo Evangelo: Se qual-
cuno ma^if. /di questo pane, vivrà in eterno.
6. Avendo ricevuto il SS. Sacramento, darò
tut^^eSiis^e^jQ^ colui che ha dato tutto se
sclot^^%rF[ptjcjfxl>nl^n,ies^ìriNdeolncaievloròcphieù
affetto alcuno per
della terra, dicen-
do: .Qhpjfiosa voglio io in cielo e che mi resta
da desiderare in terra, se ho il mio Dio, che
è il mio tutto? Io gli dirò semplicemente, ri-
verentemente e confidentemente tutto ciò che
il suo amore mi suggerirà, e mi risolverò di
vivere secondo la santa volontà del Signore,
che mi nutrisce colla sua propria carne.
7. Quando mi sentirò arido e secco nella
santa comunione, mi servirò dell'esempio dei
poveri quando hanno freddo, perchè non
avendo da far fuoco, camminano e fanno
esercizio per riscaldarsi. Raddoppierò le mie
orazioni, e la lettura di qualche trattato del
SS. Sacramento da me umilissimamente e con
ferma fede adorato. Iddio sia benedetto.
V. Regole per la conversazione.
1. Prima di tutto devo distinguere tra con-
versazione ed incontro: l'incontro viene a ca-
so, e la conversazione avviene per elezione.
Nell'incontro per lo pivi la compagnia non è
durevole, non grande la familiarità che si
usa, onde non ingenera troppa affezione; ma
nelle conversazioni si ilsano confidenze, si va
spesso a visitare quelle pèrsone che si scel-
sero per avere con loro qualche soave tratte-
nimento.
2. Negli incontri non dimoStltèrò- giammai
avversione a chichessia; poicliè questo fa
passar l'uomo come persona orgogliosa, ar-
rogante, severa, satirica, sindacatrice. Mi guar-
derò anche dalla troppa famigliarità, fos-
se pure colle persone domestiche, perchè que-
sto dagli altri potrebbe essere attribuito a
leggerezza. Non mi prenderò libertà di fare
o dire cosa che non sia ben regolata, per
non comparire insolente o senza moderazio-
ne. Starò attento per non offendere con pa-
role o con motti piccanti e mordaci o di di-
sprezzo il mio prossimo, essendo sproposito

65.4 Page 644

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— 1278 —
pretendere di disprezzare o deridere chichessia,
senza incorrere l'odio di chi non ha motivo
di sopportarci. Onorerò ognuno in partico-
lare, osserverò la modestia, parlerò poco e
bene, affinchè la compagnia parta edificata
dal mio incontro anziché annoiata. Se l'in-
contro è breve, e che qualcuno abbia già
incominciato a parlare, il meglio sarà di non
far altro che salutare la compagnia e tener-
mi con un contegno nè austero nè malinco-
nico, ma bensì modesto ed onestamente li-
bero.
stdrtioapm3p.cooolQntimu^agPn^i<mtgQ$q{gl0jìajf^j,liBelm^£[dptd£aJ^pr.pannrr$ievureasrticesliarvzepii,zoeirniosneo,ndceaos,gamlrieàpseasmgeqnnupdieiao.-
Osseivej-p pariipftjarmente questo precetto:
Arnica, .di tutti}, familiare di pochi. Benché
dovrò usare giudizio e prudenza anche in
questo, perchè non vi è regola così generale,
che non ^bbia le sue eccezioni, eccettuata que-
sta: Nulla contro Dio, fondamento di tutte le
altre. Nella conversazione adunque sarò libe-
ro senza austerità, modesto senza insolenza,
dolce senza affettazione, docile senza con-
traddire, fuorché non lo volesse la ragione,
cordiale senza dissimulazione; e perchè gli
uomini si compiacciono di conoscere quelli
coi quali trattano, converrà aprirsi più o
meno secondo le compagnie.
4. Essendo, non di rado, necessario di con-
versare con persone di qualità differenti, de-
— 129 —
vo ricordarmi che con alcuni non dovrò par-
lare che delle cose richieste, con altri di
cose buone, con altri di indifferenti, ma con
niuno di cose cattive. Co' superiori di età,
di professione, di autorità, discorrerò solo
delle cose sopra le quali sarò interrogato.
Con uguali, di cose buone; cogli inferiori par-
lerò anche di cose indifferenti. Quanto alle
cose cattive, ai difetti di animo e di corpo,
0 cose ributtanti, non conviene giammai sco-
prirle a chichessia; poiché queste cose non
possono che offendere gli occhi di chi le ve-
de, e rendere deforme l'uomo che le ha. Di
fatto i grandi non -ammirano che le cose
squisite e ricercate; le (piali1 pendagli uguali
sarebbero attribuite ^"tSOppa afffetttfeietne, e
dagl'inferiori a troppa'^rét^ità. Al «mi spi-
riti melanconici si compiacètòflo idi'!t%«»scere
1 vizi degli altri; ma a questi "infettò rià/seon-
dersi anche più, come quelli i quali avendo
più forte l'impressione, non si persuadono
poi di nulla; filosoferebbero dieci anni so-
pra la minima imperfezione. E poi a che ef-
fetto loro scoprire i nostri mancamenti? Trop-
po si veggono e discoprono da sé. È bene con-
fessarli, non già manifestarli agli altri. Tutto
questo deve intendersi con discrezione, es-
sendo cosa buona il sapersi accomodare alla
varietà delle compagnie, purché si faccia sen-
za pregiudizio della virtù.
5. Se avrò a conversare con persone li-
bere, insolenti, o melanconiche, userò questa

65.5 Page 645

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— 1280 —
precauzione: agl'insolenti m'asconderò del tut-
to; con le libere, purché temano Dio, mi di-
scoprirò tutto affatto e parlerò loro col cuore
alla mano. Colle melanconiche starò, come si
suol dire, alla finestra: cioè mi mostrerò, ma
solo in parte: mi mostrerò perchè queste so-
no grandemente curiose d'investigare i cuori
degli uomini, e se si sta in riserbo, entran
in sospetto; e mi nasconderò anche in parte,
perchè, per esser soggetto ad osservar troppo
da vicino chi le frequenta, sogliono notare
troppo le condizioni di chi con loro conver-
sa, e filosofare troppo sopra di loro.
6. Se la necessità, jfti,,obbliga a conversare
coi grsndiii.staìrò dome al fuoco; cioè mi ac-
costerà,: jgja non troppo,; da vicino, e starò
alla Iobo ipresenza cofl [«singolare modestia,
accoincagliata piil'V' . unti onesta libertà.
I granai jypglitfno sempre essere amati e sti-
mati; l'amore genera la libertà, e la riveren-
za genera la modestia. Il rispetto però deve
stare al disopra. Con gli uguali sarò ugual-
mente libero che rispettoso. Cogli inferiori
la libertà deve essere superiore alla rive-
renza.
Questo regolamento era scritto in latino
e sottoscritto: FRANCESCO DI SALES studente
di legge in Padova. Se lo trascrisse in prin-
cipio ed in fine del libro di preghiere che ado-
perava ogni giorno per poterlo avere più con-
tinuamente sotto gli occhi.
INDICE
Agli ascritti ed agli studenti della Pia Società di
San Francesco di Sales
v
Ai miei cari figliuoli, gli ascritti e gli studenti
della nostra Pia Società di San Francesco
di Sales
IX
PARTE PRIMA.
Indirizzo e formazione religiosa secondo Io spirito
della Società Salesiana.
CAPO
I
II
III
IV
V
VI
VII
Vili
IX
X
XI
Dello stato religioso in generale
Forme di vita religiosa
Preziosità della vocazione
Necessità di corrispondere alla voca-
zione, e modo di corrispondervi bene
Del fine e della natura del noviziato ..
Importanza di far bene il noviziato . . . .
Le prime cure esteriori degli ascritti ..
D'altre cure esteriori da aversi dagli
ascritti
Prime cure interiori degli ascritti . . . .
I primi mesi del noviziato
La vestizione religiosa
PAG.
3
13
21
32
40
59
71
81
94
112
121

65.6 Page 646

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- 1282 —
CAPO
XII
I quattro frutti principali che si devono
ricavare dal noviziato
XIII Punti delle costituzioni che nel novizia-
to sono più da praticarsi
XIV
Lo spirito del noviziato
XV
Delle consolazioni spirituali, delle ari-
dità e della tiepidezza . . . ,
XVI
La prova del noviziato
XVII Delle tentazioni e del modo di vincerle
XVIII Le tentazioni del noviziato
XIX
Difetti principali da correggersi nel
noviziato
XX
Le virtù principali da acquistarsi nel
noviziato
XXI
Della disonestà
X X I I Della mortificazione
X X I I I Della mortificazione interna
X X I V Della mortificazione esterna in generale
X X V Della mortificazione dei gusto
X X V I Della mortificazione degli altri sensi del
corpo
XXVII Della santa modestia e della mortifi-
cazione della vista
XXVIII Dell'indole superba e del modo di cor-
reggerla
X X I X La virtù fondamentale
X X X Dell'indole iraconda e della mansue-
tudine
X X X I Dell'indole accidiosa e della diligenza
X X X I I Dell'indole loquace e della sincerità
X X X I I I Lo spirito della nostra congregazione
X X X I V Dell'amore che ogni ascritto deve por-
tare alla congregazione
X X X V Gesù adolescente modello perfetto del
giovane religioso
PAG.
131
151
165
176
190
206
225
242
257
278
286
307
327
341
362
377
392
413
442
461
479
496
512
529
— il 283 —
PARTE SECONDA.
Della perfezione e dei santi voti.
CAPO
I
II
III
IV
V
VI
VII
Vili
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
XVIII
XIX
XX
XXI
XXII
XXIII
Della perfezione cristiana in generale
Della perfezione religiosa e dell'ob-
bligo dei religiosi di tendervi
Mezzi per arrivare alla perfezione . . . .
I religiosi e la Chiesa universale
Dell'abbandono e confidenza nel Signore
Dei consigli evangelici e dei voti reli-
giosi
Dei voti religiosi in generale e dello
stretto obbligo che si ha di osser-
varli
Delle obbligazioni speciali dei tre voti
Della povertà religiosa
Motivi, mezzi e vantaggi della povertà
Della castità
Mezzi per conservare la castità
Dell'ubbidienza in generale. Pregi di
questa virtù e vantaggi che apporta
Qualità ohe deve avere l'ubbidienza
La pratica dell'ubbidienza
Della disciplina religiosa e della indi-
sciplinatezza
Del riveder la vocazione
Preparazione prossima ai santi voti
Dell'emissione dei santi voti
I primi mesi dopo i santi voti
Del santificare gli studi ed il l a v o r o . . . .
Del passaggio dal noviziato o studen-
tato alle altre case
I ricordi del noviziato
PAGI.
553
563
576
597
608
620
635
655
677
703
723
750
774
804
830
848
868
888
899
914
926
937
954

65.7 Page 647

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— 1284 —
CAPO
I
II
III
IV
V
VI
VII
Vili
IX
X
XI
XII
XIII
XIV
XV
XVI
XVII
PARTE TERZA.
Della pietà.
Della vera pietà e divozione
Del fervore nel servizio di Dio e della
tiepidezza
'
Della preghiera
Ordine delle cose da chiedersi a Dio
nelle preghiere
Le divozioni del noviziato
La confessione
La santa messa
Vari modi d'assistere alla santa messa
La santa comunione
L'esame di coscienza
Visita al SS. Sacramento
Della meditazione
Del modo pratico per fare la medita-
zione
La lettura spirituale e il santo rosario
L'Esercizio della Buona Morte
Gli esercizi spirituali
I suffragi ai confratelli defunti
PAG.
967
986
992
1009
1024
1038
1059
1076
1095
1117
1142
1156
1180
1206
1221
1236
1256