POVERTÀ CULTURALE E SPIRITUALE
Testimonianza del Padre Hubert Geelen - sdb
1. La prima riflessione che mi viene alla mente è che si dovrebbe diffidare di questo titolo. In tutti i casi per ciò che concerne la povertà culturale.
Questa accontenterebbe quelli che sono poveri culturalmente e, soprattutto, domandano cultura. Ma io credo che, al contrario, vi è piuttosto troppa cultura, o lo stesso di culture. I giovani non sono senza cultura, ma piuttosto si trovano di fronte a troppa cultura. Hanno troppe “cose” che sono vuote per saziare lo spirito e mescolare le loro necessità e la cupidigia.
D’altra parte, vi è piuttosto una diversità di culture, e queste culture sono in conflitto tra loro. I giovani sono spinti in una cultura che viene trasmessa dalle loro famiglie, la cultura scolastica (che non è sempre in accordo con la cultura familiare), e la cultura di mezzo, quella della strada.
E i giovani privilegiano, evidentemente, questa terza cultura, che è loro dominio, che appartiene a loro. È quella dei loro compagni: la musica, i film, le uscite, i linguaggi emotivi (e sovente aggressivi perché, allora sono carichi di emozioni), la maniera di vivere le relazioni maschi e femmine, ecc.
Io credo che è soprattutto questa la difficoltà per noi: noi dobbiamo evangelizzare questa terza cultura, ma essa non si può armonizzare forzatamente.
Credo che c’è un punto di vista più importante e, per me, più fecondo, che è di riportare le culture, o semplicemente gli elementi culturali che li invitano: quelli che danno loro un senso, e che donano del dinamismo (del soffio spirituale), ciò che fa presa e li fa muovere. Ciò che loro permette d’accogliere la via, tutta la vita, ed essere dei viventi. E di tenere conto per il lavoro educativo e per fare loro trovare un cammino spirituale.
Dunque, soprattutto, non ritenere subito per povera una cultura, e soprattutto non reprimere troppo presto ciò che i giovani vivono! Ma al contrario mettersi in guardia.
Xavier Thévenot diceva che noi adulti vediamo sovente i rischi, i danni, le lacune... Ma noi dobbiamo fare uno sforzo per vedere probabilità, le ricchezze di quello che vivono già.
2. Una seconda riflessione riguarda ciò che noi chiamiamo la «spiritualità». Quando noi la definiamo, noi abbiamo una prospettiva precisa, quella di Don Bosco: la spiritualtà riguarda il cammino che conduce a Dio. Per noi è il Vangelo.
Ma esiste una definizione più larga, che io preferisco, poiché la pedagogia salesiana si indirizza tanto ai musulmani, ai non credenti che ai credenti, ai non cristiani che ai cristiani. La trovo in un passo di Federico Lenoir (1) ... che aggiungo: la spiritualità, è tutto ciò che ci permette di accogliere insieme la Vita, tutta la vita, con le sue generosità ma anche le sue bastonate, la vita tumultuosa, inattesa, più forte di noi.
La sfida è: come viviamo, tutti insieme, con le nostre culture diverse, con tutte le generazioni, e rispondiamo alle grandi questioni della vita? Per meglio vivere.
Per me, è questa la spiritualità... in tutti i casi, tutti possono mettersi d’accordo.
Delle vere povertà sono profonde: la paura di vivere, che ci fa vivere come le pecore, ripiegati su noi stessi, alla ricerca di false sicurezze. Questo non tocca solamente i giovani, ma anche gli adulti: si restringe la vita, l’ideale diviene la piccola casa di campagna tranquilla ove si è riunito il piccolo comitato d’amici attorno a un barbecue con delle insalate.
Il grosso lavoro con i giovani è di aiutarli a fare delle scelte. Racconto sovente la storia del “mullah” Nasruddine che mangiava del torrone. Quando i giovani sanno che è il loro torrone, allora essi anticipano. Ma le scelte non sono sempre facili.
Parabole dell’arazzo.
Giovanni e il suo protettore Ibrahim sono andati a trovare un saggio «soufì», un «mistico», lo Cheikh Selim el Aquba, che ha una scuola di preghiera coranica. Giovanni pose una questione al saggio…
La più grande paura dell’uomo
Quale è secondo voi il più grande male che vi è nel cuore dell’uomo e che può frenarlo nel suo cammino spirituale ?
Il saggio guarda i suoi interlocutori con un sorriso divertito.
Cosa pensate voi stessi ?
L’orgoglio, rispose Ibrahim.
Gli sguardi si posarono su Giovanni che se ne stava silenzioso.
La paura, confidò il giovane.
Ciascuno ha risposto secondo il suo proprio cuore, replicò il mistico musulmano.
Tutti risero.
Tuttavia, se le due risposte sono vere, quella del nostro giovane amico cristiano può essere la più universalmente diffusa, poiché la paura abita in tutti i cuori senza eccezione, allorquando certi uomini sono pieni d’orgoglio.
Il « soufi » guarda Giovanni negli occhi.
Sai tu quale è la nostra più grande paura ?
Giovanni fu sorpreso da questa domanda. Riflette qualche istante e poi :
La paura di morire, mi sembra.
Il vegliardo fa silenzio prima di proseguire e assicura :
Ho creduto a questo da tempo. E poi negli anni mi è apparsa una evidenza. Così suprema che questa possa
apparire. Non è la morte di cui noi abbiamo più paura… ma la vita !
Della vita ! prosegue Ibrahim. Per quanto dolorosa possa essere la vita, non è il nostro bene più prezioso ? Noi ci aggrappiamo ad essa con fervore.
Sì, noi ci aggrappiamo, ma noi non la viviamo. O piuttosto noi ci aggrappiamo all’esistenza. Ora esistere è un fatto. Ma vivere è un’arte.
Siamo chiamati a essere gli autori della nostra vita
Abbiamo paura di aprirci pienamente alla vita, d’accogliere i suoi flutti impetuosi. Noi preferiamo controllare la nostra esistenza vivendo una vita stretta, pulita, con le minori sorprese possibili. Questa è così nelle povere dimore come in un palazzo ! L’essere umano ha paura della vita ed è alla ricerca della quiete della esistenza. Egli cerca, a conti fatti, di potere sopravvivere piuttosto che vivere… e questo è già morire.
Il saggio guarda i suoi interlocutori con un grande sorriso. Poi prosegue :
Passare dal sopravvivere al vivere, è una delle cose più difficili che ci siano ! Lo stesso è così difficile e pauroso di accettare di essere davanti al creatore della nostra vita ! Noi preferiamo vivere come delle pecore senza troppo riflettere, senza troppo rischiare, senza troppo osare di andare verso i nostri sogni più profondi, che sono pertanto le nostre migliori ragioni di vivere. Certamente, tu esisti, mio giovane amico, ma la questione che ti devi porre è : è questa la vita che io sto vivendo ?
Giovanni rivede allora la sua vita, i rischi che ha preso per seguire il suo cuore, per andare a ritrovare Elena. La vita gli aveva fatto dei doni inestimabili : l’incontro con gli uomini buoni. Ma aveva anche tutto dimenticato a causa della paura. Aveva fuggita la vita del monastero… Giovanni e Ibrahim domandano allora al saggio sul cammino dell’uomo spirituale… Il saggio continua :
L’essenza della vita spirituale è al di là della morale e della religione. È talora molto più semplice e molto più difficile da compiere. L’essenza della vita spirituale… è di dire sì alla vita !
Non in modo rassegnato, ma con confidenza e amore. Così vedremo la presenza di Dio nascosta nel cuore di tutti gli avvenimenti.
Sono tessitore di mestiere e tutto l’uomo deve apprendere la confidenza dei tessitori. Ciascuno, attraverso la vita, lavora il tessuto al rovescio non vedendo che punti e il suo ago. La bellezza del tessuto non si manifesterà che alla fine, al rivolgimento del lavoro. Appare allora una immagine che solamente Dio conosce e di cui noi non possiamo supporre né la forma né lo splendore.
La confidenza in questo avvenire già all’opera è il motore del cammino spirituale. E il fondamento è l’apertura alla vita, a quello che a noi offre di buono e di apparentemente meno buono.
Tutte le nostre risposte agli avvenimenti della vita, quelle ispirate dal nostro cuore, dalla religione o dalla morale, per quanto minime siano, hanno una forma misteriosa che ci sorpassa e di cui noi ne percepiremo il senso solamente dopo la nostra morte… allor quand0o noi saremo alla fine nel bel paradiso. Allora, ci sarà solamente l’amore.
Federico Lenoi, L’Oracolo della Luna 435-438