Camminare insieme: Sinodalità, discerniment, scelte

Torino-Valdocco, 3 ottobre 2024

Assemblea Generale Mondiale Straordinaria
della Confederazione Mondiale degli Exallievi di Don Bosco


CAMMINARE INSIEME

Sinodalità, discernimento, scelte



Ringraziandovi dell’invito a condividere con voi alcuni pensieri sulla necessità di camminare insieme, saluto tutti e ciascuno di voi.

È bello essere qui a Valdocco, che fu fin dall’inizio un laboratorio sinodale di spiritualità, educazione e pastorale. Don Bosco non fu mai solo e, fin dall’inizio della sua opera, coinvolse molte persone condividendo con loro la sua vita dedicata ai giovani. È anche bello vivere insieme un’assemblea straordinaria come questa, perché si tratta di un momento prezioso per guardare al passato con gratitudine, per vivere il presente con intelligenza e proiettarsi verso il futuro con coraggio e speranza.

Il mio compito è farvi entrare nel ritmo della “sinodalità”. Cercheremo questa mattina di comprendere che cosa significa questo cammino che la Chiesa cattolica sta facendo. Sapete che proprio in questi giorni a Roma sta incominciando la seconda sessione del Sinodo dal tema: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione”. La prima sessione è stata fatta nell’ottobre del 2023 e quindi attendiamo da questa seconda e ultima sessione elementi importanti per il cammino della Chiesa.

Distinguerò il mio intervento in tre momenti. Il primo dedicato ad illuminare l’idea di “sinodalità”, il secondo sul tema del “discernimento” e il terzo su quello delle “scelte”. Sono tre passaggi logici, che partono dalla teoria e arrivano alla pratica.



  1. Sinodalità

La prima parola che metto alla vostra attenzione è “sinodalità”. Certamente l’avete sentita in molti contesti in questi ultimi anni, e vale la pena interrogarci sul suo significato e sulle sue conseguenze.


    1. I dieci lebbrosi

Tutti sappiamo che la parola “sinodalità” significa, etimologicamente, “fare strada insieme”, “camminare insieme”, “percorrere insieme la stessa via”.

Partiamo dalla Parola di Dio. Vi invito a prendere in considerazione il testo evangelico che narra la guarigione dei dieci lebbrosi. Proviamo ad ascoltarlo con attenzione ed empatia:


11Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. 12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza 13e dissero ad alta voce: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi!”. 14Appena li vide, Gesù disse loro: “Andate a presentarvi ai sacerdoti”. E mentre essi andavano, furono purificati. 15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, 16e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. 17Ma Gesù osservò: “Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? 18Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?”. 19E gli disse: “Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!” (Lc 17,11-19).


Tanti particolari e dettagli emergono. Li riprenderemo più avanti. È molto interessante notare come questi dieci lebbrosi guariscono esattamente nel momento in cui incominciano a camminare insieme, mentre vanno insieme a presentarsi ai sacerdoti, seguendo l’ordine del Signore Gesù. Nell’Angelus del 13 ottobre 2019 papa Francesco ha commentato questo passaggio. Riascoltiamo la sua parola, che per noi qui riuniti molto istruttiva:


Nel breve Vangelo di oggi compaiono una decina di verbi di movimento. Ma a colpire è soprattutto il fatto che i lebbrosi non vengono guariti quando stanno fermi davanti a Gesù, ma dopo, mentre camminano: “Mentre essi andavano furono purificati”, dice il Vangelo (v. 14). Vengono guariti andando a Gerusalemme, cioè mentre affrontano un cammino in salita. È nel cammino della vita che si viene purificati, un cammino che è spesso in salita, perché conduce verso l’alto. La fede richiede un cammino, un’uscita, fa miracoli se usciamo dalle nostre certezze accomodanti, se lasciamo i nostri porti rassicuranti, i nostri nidi confortevoli.

La fede aumenta col dono e cresce col rischio. La fede procede quando andiamo avanti equipaggiati di fiducia in Dio. La fede si fa strada attraverso passi umili e concreti, come umili e concreti furono il cammino dei lebbrosi e il bagno nel fiume Giordano di Naaman (cfr 2Re 5,14-17). È così anche per noi: avanziamo nella fede con l’amore umile e concreto, con la pazienza quotidiana, invocando Gesù e andando avanti. C’è un altro aspetto interessante nel cammino dei lebbrosi: si muovono insieme. “Andavano” e “furono purificati”, dice il Vangelo (v. 14), sempre al plurale: la fede è anche camminare insieme, mai da soli.


    1. L’idea di sinodalità

Nei vangeli si utilizza solo una volta la parola “sinodo”. Siamo nel simpatico episodio in cui Gesù adolescente è rimasto a Gerusalemme, mentre i suoi parenti facevano ritorno a casa: «Credendo che fosse nella comitiva (sunodi,a|), fecero una giornata di viaggio e poi si misero a cercarlo» (Lc 2,44). Ecco l’idea di sinodalità nella sua semplicità: una comitiva, una carovana, un gruppo di pellegrini abbastanza eterogeneo, ma unito da un medesimo obiettivo, quello di andare al tempio del Signore per rendergli omaggio e poi di ritornare pieni di gioia verso la propria dimora. Ciò che ci tiene uniti è il Signore, è l’essere salvati da lui e il camminare verso di lui nel tempo e nella storia. Siamo parte di una cordata, dipendenti gli uni dagli altri, affidati gli uni agli altri:


La sinodalità esprime l’essere soggetto di tutta la Chiesa e di tutti nella Chiesa. I credenti sono σύνoδοι, compagni di cammino, chiamati a essere soggetti attivi in quanto partecipi dell’unico sacerdozio di Cristo e destinatari dei diversi carismi elargiti dallo Spirito Santo in vista del bene comune (Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, 3 marzo 2018, n. 54).


La Chiesa è “popolo di Dio”, di cui anche noi siamo parte: questo è il suo essere preciso, la sua realtà più profonda. Non si tratta di una metafora o un’immagine esplicativa, ma è il richiamo più proprio sulla sua identità: siamo un popolo che il Signore si è acquistato con il proprio sangue, in cammino nella storia tra gli uomini e destinato all’eternità di Dio.

Ora, la sinodalità afferma in maniera specifica che il popolo di Dio è in cammino. Come ben afferma il documento finora migliore sul tema, già citato sopra, «la sinodalità manifesta il carattere “pellegrino” della Chiesa» (Commissione Teologica Internazionale, La sinodalità nella vita e nella missione della Chiesa, 3 marzo 2018, n. 49). Viene così sottolineata la storicità radicale della Chiesa, il suo essere inserita nel tempo presente. La sinodalità si sofferma sul suo modo di procedere e sul suo stile relazionale, per vedere se il suo incedere nella storia degli uomini e il suo modo di vivere al suo interno sia fedele all’evangelo di Dio in tutto e per tutto.

Riconoscere ciò oggi è sempre più decisivo. La Chiesa non è una realtà statica, ferma, bloccata, ingessata, ma è dinamica e magmatica, vivace. È una vita che si sviluppa nel cammino e nella relazione, perché ha la forma dell’evento, dell’incontro e del cammino. La sinodalità ci spinge quindi ad una verifica seria della qualità relazionale del nostro essere Chiesa, dei suoi dinamismi di comunione verticale e di fraternità orizzontale. Talvolta, anche all’interno della Chiesa, dominano invidia e gelosia, concorrenza e competizione, maldicenza e mormorazione. La sinodalità ci chiede di lavorare prima di tutto a livello relazionale.


    1. Sette elementi per una “spiritualità sinodale”

Ecco un primo impegno per affrontare bene questi giorni: crescere nella mentalità sinodale, nella volontà decisa e decisiva di camminare insieme, sentendoci fratelli sulla stessa barca, responsabili gli uni degli altri. Quali sono gli ingredienti di una “spiritualità sinodale”? In che cosa dovete crescere per vivere bene questi giorni che passerete insieme? Vorrei consegnarvi sette elementi che ci vengono restituiti dal testo biblico che abbiamo ascoltato e che a mio parere ci aiutano ad assumere una corretta postura sinodale.

Primo, sapersi lebbrosi. Essere coscienti delle proprie fragilità e dei propri peccati. Siamo qui come peccatori consapevoli delle nostre mancanze. Gente che si guarda allo specchio e si riconosce inadeguata. Gente che sa di non essere mai all’altezza della vocazione e della missione che ha ricevuto in dono.

Secondo, andare incontro al Signore. La guarigione e la salvezza non sono mai un qualcosa che viene da noi, dalle nostre capacità, dai nostri progetti e dalle nostre iniziative. Dalla nostra volontà di potenza. Andare incontro al Signore significa vincere ogni pelagianesimo pastorale, affidarsi a lui sempre.

Terzo, fermarsi a distanza: i dieci lebbrosi non osano avvicinarsi troppo al Signore. C’è un primato della contemplazione e del rispetto. È un invito a fermarsi in preghiera e in adorazione davanti a lui. Tante volte papa Francesco, nel cammino sinodale della Chiesa universale, dice che il punto di partenza sta nell’adorazione.

Quarto, saper gridare insieme “abbi pietà di noi”: riconoscersi, come Exallievi qui riuniti, bisognosi di guarigione e salvezza. Il grido che chiede pietà attira la compassione del Signore, è il grido della verità del popolo di Dio che sente la necessità di affidarsi al suo Dio. È un grido comunitario, è un “noi” che parla a Gesù.

Quinto, seguire gli ordini del Signore. Siamo qui riuniti non per fare la nostra volontà, ma per fare ciò che egli, il Signore ci dirà di fare, per armonizzarci con la sua volontà. I lebbrosi vanno a presentarsi ai sacerdoti, noi attendiamo in questi giorni la presenza e la parola di Dio, certi che egli è qui in mezzo a noi e ci parla.

Sesto, mettersi insieme in cammino: camminare insieme, perché è solo così che si guarisce e si cresce! Mentre si cammina insieme avviene il miracolo, solo in questo fare strada uniti ci sono le condizioni perché la guarigione avvenga. Nella fatica e nel coraggio di camminare insieme si guarisce, mai altrimenti.

Infine, imparare a ringraziare: la gratitudine è il segno inconfondibile di chi ha incontrato il Signore. Questi siano per voi giorni di ringraziamento e di lode al Signore che mai vi abbandona e sempre vi accompagna con la sua presenza forte e tenera, decisa e dolce, misteriosa e concreta.



  1. Discernimento

Facciamo insieme un secondo passaggio. Effettivamente questi giorni sono per voi un momento privilegiato di “discernimento”. Precisamente, come ci invitava papa Francesco a fare all’inizio del cammino sinodale universale, a vivere un’esperienza di discernimento spirituale:


Il Sinodo è un cammino di discernimento spirituale, di discernimento ecclesiale, che si fa nell’adorazione, nella preghiera, a contatto con la Parola di Dio. La Parola ci apre al discernimento e lo illumina. Essa orienta il Sinodo perché non sia una “convention” ecclesiale, un convegno di studi o un congresso politico, perché non sia un parlamento, ma un evento di grazia, un processo di guarigione condotto dallo Spirito (Francesco, Omelia della Santa Messa di apertura del cammino sinodale, 10 ottobre 2021).


    1. Il sogno di Salomone

Il discernimento è un dono di Dio. Da chiedere e non da pretendere. Da accogliere e non da acquistare né conquistare. Il famoso sogno di Salomone ci aiuta ad incamminarci sulla via dell’umiltà di chi sa chiedere in punta di piedi un cuore docile, e di attendere con pazienza che Dio ci accordi questo dono. Salomone, figlio di Davide, si trova a succedergli sul trono, ma è giovane e senza esperienza.

Siamo nella fragile situazione di un “cambio al vertice”, di un avvicendamento nel governo: un vecchio re conclude il suo mandato e un giovane re incomincia la sua rischiosa avventura di condottiero. Risentiamo con attenzione la lunga narrazione:


5A Gàbaon il Signore apparve a Salomone in sogno durante la notte. Dio disse: “Chiedimi ciò che vuoi che io ti conceda”. 6Salomone disse: “Tu hai trattato il tuo servo Davide, mio padre, con grande amore, perché egli aveva camminato davanti a te con fedeltà, con giustizia e con cuore retto verso di te. Tu gli hai conservato questo grande amore e gli hai dato un figlio che siede sul suo trono, come avviene oggi. 7Ora, Signore, mio Dio, tu hai fatto regnare il tuo servo al posto di Davide, mio padre. Ebbene io sono solo un ragazzo; non so come regolarmi. 8Il tuo servo è in mezzo al tuo popolo che hai scelto, popolo numeroso che per quantità non si può calcolare né contare. 9Concedi al tuo servo un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male; infatti chi può governare questo tuo popolo così numeroso?”. 10Piacque agli occhi del Signore che Salomone avesse domandato questa cosa. 11Dio gli disse: “Poiché hai domandato questa cosa e non hai domandato per te molti giorni, né hai domandato per te ricchezza, né hai domandato la vita dei tuoi nemici, ma hai domandato per te il discernimento nel giudicare, 12ecco, faccio secondo le tue parole. Ti concedo un cuore saggio e intelligente: uno come te non ci fu prima di te né sorgerà dopo di te. 13Ti concedo anche quanto non hai domandato, cioè ricchezza e gloria, come a nessun altro fra i re, per tutta la tua vita. 14Se poi camminerai nelle mie vie osservando le mie leggi e i miei comandi, come ha fatto Davide, tuo padre, prolungherò anche la tua vita”. 15Salomone si svegliò; ecco, era stato un sogno. Andò a Gerusalemme; stette davanti all’arca dell’alleanza del Signore, offrì olocausti, compì sacrifici di comunione e diede un banchetto per tutti i suoi servi (1Re 3,5-15).


Il testo è, come sempre, assai ricco e profondo. Parla da sé. Nel sogno Salomone chiede un cuore docile, e Dio, dopo essersi stupito di questa saggia richiesta, gli dona in abbondanza il dono del “discernimento nel giudicare”. Egli viene più che accontentato: gli viene concesso un “cuore saggio e intelligente” e, insieme, tanti altri doni.

Ma subito arriva la prova del nove. Un caso difficile da affrontare, dove emerge la saggezza di Salomone: arrivano due prostitute, con un bambino vivo e uno morto, ed entrambe rivendicano il loro come quello vivo. In assenza della prova del DNA Salomone, attraverso una decisione interlocutoria – quella di tagliare in due il bambino – che fa uscire allo scoperto la vera maternità (cfr. 1Re 3,16-28). Di fronte alla richiesta della vera madre di non tagliare in due il bambino ma di darla all’altra, egli riconosce che quello è suo figlio.

Ecco l’elemento centrale del discernimento: il sapiente è colui che prima di tutto sa che la verità non coincide con lui stesso, cioè che egli non la possiede come sua proprietà! Il saggio sa di non essere il produttore della verità, ma è colui che può con intelligenza farla uscire allo scoperto e poi è in grado di riconoscerla con precisione. Riprenderemo altri elementi di questa istruttiva narrazione più avanti.


    1. Il metodo del discernimento

In un secondo passaggio vorrei dirvi che il discernimento è un dono che va messo a frutto attraverso una metodologia adeguata. Vi invito in questi giorni a valorizzare l’articolazione del processo di discernimento indicato da Evangelii gaudium al n. 51 e caratterizzato da tre verbi (riconoscere, interpretare, scegliere). È quello che gli ultimi avvenimenti ecclesiali hanno seguito, come ad esempio il Sinodo sui giovani. Non sono tre momenti indipendenti, ma un unico cammino: ogni fase permetterà di fare un passo che sarà il punto di partenza della fase successiva.

Riconoscere. Il primo passaggio è quello dello sguardo e dell’ascolto. Si tratta di comprendere non solo con la nostra intelligenza, ma soprattutto con un cuore capace di compassione evangelica, ascolto empatico e sguardo misericordioso (Cf. Lc 7,13; 10,33; 15,20; Mt 9,36). Questo primo passaggio richiede di prestare attenzione alla realtà così com’è. Richiede umiltà e prossimità, così da poterci sintonizzare e percepire quali sono le gioie e le speranze, le angosce e i dolori delle persone che stiamo accompagnando. Lo stesso sguardo e lo stesso ascolto, pieno di sollecitudine e di cura, vanno rivolti verso ciò che vivono le nostre comunità e i nostri ambienti insieme con le persone impegnate nell’opera pastorale.

Interpretare. Il secondo passaggio è un approfondimento di quanto è stato riconosciuto tramite il ricorso a criteri di interpretazione e valutazione. Si tratta, con verità e onestà, di cercare le cause e di esprimere le ragioni di ciò che abbiamo riconosciuto. Per formulare valutazioni equilibrate sarà importante evitare un atteggiamento idealizzante o colpevolizzante. Questa è una fase delicata e impegnativa, che vi spingerà a interpretare alla luce del vangelo ciò che si ritrova nella realtà. Qui devono emergere i criteri carismatici salesiani come punti di riferimento per una verifica di quello che stiamo facendo.

Scegliere. Solo lasciandosi illuminare dalla vocazione accolta è possibile comprendere a quali passi concreti ci chiama lo Spirito e in che direzione muoverci per rispondere alla sua chiamata. In questa fase discernimento significa disporre i mezzi in ordine al fine, a partire dalla scelta di quelli più appropriati. Con questa intenzione occorre passare in esame atteggiamenti, processi e strutture, e coltivare la libertà interiore necessaria per scegliere quelli che ci consentono di seguire lo Spirito e abbandonare quelli che si rivelano invece meno capaci di raggiungere lo scopo. Questo passaggio porterà ad individuare dove è necessario un intervento di riforma, un cambiamento delle nostre prassi pastorali e un rinnovamento delle strutture.


    1. La postura del discernimento

Il discernimento non è una moda del momento, ma il giusto stile spirituale per vivere dentro un cambio d’epoca, dove non abbiamo soluzioni preconfezionate e non funziona più il “si è sempre fatto così”.

Inoltre, quando il discernimento si fa comunitario, oltre che disciplina e metodologia, ci vuole una postura adeguata, un atteggiamento spirituale adeguato. Il 3 ottobre 2018, primo giorno del Sinodo sui giovani, a questo proposito papa Francesco affermava:


Franchezza nel parlare e apertura nell’ascoltare sono fondamentali affinché il Sinodo sia un processo di discernimento. Il discernimento non è uno slogan pubblicitario, non è una tecnica organizzativa, e neppure una moda di questo pontificato, ma un atteggiamento interiore che si radica in un atto di fede. Il discernimento è il metodo e al tempo stesso l’obiettivo che ci proponiamo: esso si fonda sulla convinzione che Dio è all’opera nella storia del mondo, negli eventi della vita, nelle persone che incontro e che mi parlano. Per questo siamo chiamati a metterci in ascolto di ciò che lo Spirito ci suggerisce, con modalità e in direzioni spesso imprevedibili.


In una convocazione così importante come questa è importante di crescere nella docilità del cuore per diventare saggi nel giudicare. Il discernimento che porta alla sapienza è esattamente il contrario dell’orgoglio e della superiorità, di chi si crede padrone in proprio della verità. “Verità” è, invece, chiaramente un concetto originariamente relazionale, oggettivamente dialogico, necessariamente non autoreferenziale. Per questo il cuore docile è innanzitutto un cuore umile: consapevole di non essere la sede della verità, perché la verità noi possiamo sono riconoscerla e mai crearla da noi stessi.

Nel caso di Salomone la verità sta esattamente nell’incontro tra la commozione delle viscere materne di una madre per suo figlio e il cuore docile del giovane re. Lui, uomo divenuto saggio, vede questo: l’interiorità, l’emozione, il movimento delle viscere materne, che percepiscono e custodiscono ogni cosa con amore. È lì, nelle viscere materne, che risiede il Dio misericordioso e paziente, lento all’ira e grande nell’amore.

Si passa dall’esteriorità all’interiorità. Salomone partecipa così dello sguardo di Dio, il cui criterio ultimo è ben attestato dal profeta Samuele: «L’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore» (1Sam 16,7). Una verità che l’uomo sapiente riconosce infallibilmente. È lì che la decisione prende la piega giusta: la decisione previa, quella “interlocutoria” che ordinava di tagliare in due il bambino, serviva solo a fare uscire allo scoperto la verità, che Salomone non possiede in proprio, ma che può solo riconoscere! Infallibile e chiaro il suo giudizio: “Quella è sua madre”!

Salomone ci invita, attraverso quello che ha chiesto e quello che ha fatto, ad entrare nel ritmo del discernimento, che è il ritmo dell’attesa e della gestazione. Il giovane re si prende del tempo, fa le domande giuste, chiede alle madri di esporre il loro pensiero, gli dà la parola. Prima che gestire la situazione la porta nel suo grembo, entra in un tempo di gestazione. L’esperienza della gestazione e quello del discernimento si avvicinino molto.

Questo ci riporta alla necessità di chiedere il dono del discernimento piuttosto che pensare di esercitarlo in forma padronale. È talvolta facile utilizzare il discernimento per far passare le proprie idee e imporre i propri punti di vista. Tenere insieme sapienza, misericordia e profezia è invece proprio della persona che sa discernere nello Spirito. Un’arte difficile e delicata, che ha bisogno di profondo silenzio, grande rispetto e tanta umiltà.



  1. Scelte

Siete qui in questi giorni per prendere delle decisioni sulla vita e la missione della Confederazione Mondiale degli Exallievi. Abbiamo visto che la scelta è interna al discernimento, nel senso che ne è il compimento intrinseco. Un discernimento che non arriva ad una scelta non è un autentico discernimento.

Allora anche qui, sul tema della scelta, facciamo tre passaggi.


    1. Il concilio di Gerusalemme

Al centro degli Atti degli Apostoli vi è la narrazione di uno dei momenti ecclesiali più critici dei primi decenni di esistenza della Chiesa. Si tratta del Concilio di Gerusalemme, dove una tensione generata dal tentativo di imporre ai convertiti dal mondo pagano le pratiche dell’antica legge mosaica ha rischiato di dividere in forma drammatica la prima comunità dei credenti.

La posta in gioco evidentemente era alta: è l’osservanza della legge che salva o la fede in Gesù Cristo? È il sacrificio di Cristo sulla croce la fonte della grazia che salva, oppure tale grazia va accompagnata da altre pratiche religiose? I pareri erano discordi: qualcuno diceva che la fede in Gesù non aveva abolito le pratiche antiche, altri invece affermavano che tutto ciò, giunto a compimento in Gesù, andava relativizzato o addirittura eliminato del tutto. Insomma, un caso serio e importante, dove le speranze di trovare un punto di accordo condiviso non sembravano molto alte. C’era il rischio di una spaccatura. Bisognava prendere posizione.

La questione incomincia così:


1Ora alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: “Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati”. 2Poiché Paolo e Bàrnaba dissentivano e discutevano animatamente contro costoro, fu stabilito che Paolo e Bàrnaba e alcuni altri di loro salissero a Gerusalemme dagli apostoli e dagli anziani per tale questione» (At 15,1-2).


Essi riferiscono ciò che è accaduto, ma alcuni farisei divenuti cristiani chiedono che i pagani convertiti siano circoncisi e che osservino la legge di Mosè. Di fronte alla questione «si riunirono gli apostoli e gli anziani per esaminare questo problema» (At 15,6). Così incomincia un tempo di discernimento ecclesiale.

Sorge una grande discussione, Pietro prende la parola portando anche la sua esperienza in proposito e affermando senza mezzi termini che tutti, qualunque sia la loro provenienza etnica, culturale, sociale e religiosa, «per la grazia del Signore Gesù siamo salvati» (At 15,11). Riprendono così la parola Paolo e Barnaba, poi Giacomo allarga la riflessione e fa alcune proposte concrete per risolvere la controversia mantenendo la comunione con tutti gli attori in campo. Al termine del cammino di discernimento comunitario, si arriva ad una decisione, con cui l’autorità della Chiesa porta a compimento il cammino per il bene di tutti:


22Agli apostoli e agli anziani, con tutta la Chiesa, parve bene allora di scegliere alcuni di loro e di inviarli ad Antiòchia insieme a Paolo e Bàrnaba: Giuda, chiamato Barsabba, e Sila, uomini di grande autorità tra i fratelli. 23E inviarono tramite loro questo scritto: “Gli apostoli e gli anziani, vostri fratelli, ai fratelli di Antiòchia, di Siria e di Cilìcia, che provengono dai pagani, salute! 24Abbiamo saputo che alcuni di noi, ai quali non avevamo dato nessun incarico, sono venuti a turbarvi con discorsi che hanno sconvolto i vostri animi. 25Ci è parso bene perciò, tutti d’accordo, di scegliere alcune persone e inviarle a voi insieme ai nostri carissimi Bàrnaba e Paolo, 26uomini che hanno rischiato la loro vita per il nome del nostro Signore Gesù Cristo. 27Abbiamo dunque mandato Giuda e Sila, che vi riferiranno anch’essi, a voce, queste stesse cose. 28È parso bene, infatti, allo Spirito Santo e a noi, di non imporvi altro obbligo al di fuori di queste cose necessarie: 29astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime. Farete cosa buona a stare lontani da queste cose. State bene!” (At 15,22-29).


Il risultato di questa lettera consegnata ai fratelli convertiti di Antiochia è più che positivo: «Quando l’ebbero letta, si rallegrarono per l’incoraggiamento che infondeva» (At 15,31). Giuda e Sila rincarano la dose positiva, perché «con un lungo discorso incoraggiarono i fratelli e li fortificarono» (At 15,32). Questo esito ridona gioia e speranza a tutti i membri della comunità, nessuno escluso.

Ciò che edifica è il modo di procedere della prima comunità. Emerge la dinamica fraterna nell’affrontare i problemi – dove l’unità si fa intorno agli apostoli ed in comunione con loro – e la libertà spirituale della Chiesa degli inizi, che non ha timore di dare la parola a ciascun membro della comunità: i farisei convertiti, Pietro, Paolo e Barnaba, Giacomo. Fin dall’inizio la comunità cristiana sembra seguire il consiglio di Paolo: «Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie. Vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono» (1Ts 5,19-21).

È bello riconoscere che l’esito di un buon discernimento comunitario è una gioia pacificante. Il contrassegno delle scelte evangeliche è la gioia profonda! Le decisioni prese ricevono conferma evangelica attraverso il fatto che rendono lieti e infondono coraggio. In tal modo si fortificano tutti i membri della comunità, che vengono così invitati a perseverare sulla via della sequela del Signore.


    1. La necessità di ripartire dalle nostre origini carismatiche

Dopo aver visto il modo di procedere della prima comunità cristiana veniamo a noi. Come la prima comunità cristiana si è lasciata guidare nelle scelte dai criteri che vengono dalla verità del Vangelo, così noi, partecipi del carisma salesiano, siamo chiamati a lasciarci ispirare dalla verità del carisma che don Bosco ci ha consegnato. Riprendo qui alcune istanze che ho condiviso qualche mese fa, proprio a Valdocco, in occasione dell’ultima Consulta Mondiale della Famiglia Salesiana (21 maggio 2024).

Primo, vinciamo la tentazione dell’autoreferenzialità! Riguadagniamo innanzi tutto il coraggio di “uscire”. Perché il rischio di ogni carisma è sempre stato quello dell’autoreferenzialità. Cioè di costituire una Chiesa un po’ parallela e indipendente, un’isola felice dove le cose funzionano alla perfezione e quindi è bene rimanere tra le nostre quattro mura, nella nostra zona di comfort.

Secondo, riconquistiamo la nostra identità missionaria! L’anno 2025 segna per la Famiglia Salesiana un anniversario di grande importanza: intorno alla metà di novembre del 1875 i primi missionari salesiani salpavano da Genova, accompagnati da don Bosco, per raggiungere la Patagonia. Sono passati 150 anni da quell’epico e avventuroso momento, e da allora migliaia di missionari e missionarie sono partiti per annunciare il Vangelo di Gesù in ogni parte del mondo.

Terzo, chiariamoci ancora una volta l’ordine nella missione! Ogni carisma che il Signore dona alla sua Chiesa è ben rappresentabile dall’immagine di un albero. La radice è la spiritualità. Qui andiamo al livello della profondità dell’amicizia con il Signore e dell’originalità del nostro carisma, che è prima di tutto una modalità singolare di stare al cospetto di Dio e di vivere l’esistenza cristiana. Il secondo elemento è quello del tronco, che rappresenta bene la solidità della formazione. La formazione comune e condivisa qui balza in primo piano. Il terzo ultimo elemento è la pastorale in chiave educativa, ovvero la concretizzazione della nostra missione. Nell’iconografia possiamo dire: i rami, le foglie, i fiori e soprattutto i frutti. È la cosa più visibile, ma se non è sostenuta dal tronco della formazione e dalla radice della spiritualità rischia di essere un’attività superficiale e per nulla efficace.

Quarto, ascoltiamo i sogni di Dio per la nostra famiglia! Stiamo vivendo il bicentenario del sogno dei nove anni. Ripartire da questo sogno fondamentale, che ha orientato don Bosco per tutta la sua vita, è stato motivo di ritorno alle origini. Quel sogno è davvero, come dice la Strenna di quest’anno, “un sogno che fa sognare”, che ci spinge e ci abilita ad ascoltare i sogni dei giovani e anche ad essere disponibili a sognare, ovvero a lasciarci indicare da Dio la strada che siamo chiamati a percorrere.

Quinto, ripartiamo con rinnovato entusiasmo dall’Opzione Valdocco! Papa Francesco, in occasione del Capitolo Generale 28° della Congregazione Salesiana svoltosi qui a Valdocco tra il febbraio e il marzo del 2020, ha indirizzato una commovente lettera ai capitolari. In quel testo del 4 marzo 2020 egli parla continuamente dell’Opzione Valdocco. Di che cosa si tratta? Egli ci invitava a ravvivare il dono che abbiamo ricevuto attraverso l’originaria esperienza apostolica di don Bosco. Ma qual è questo dono? Sono i giovani più poveri e abbandonati! Li abbiamo ricevuti da Dio stesso come centro della nostra esistenza e cuore della nostra missione educativa. Qui dobbiamo sempre tornare per riscoprire la nostra identità e missione di Exallievi di don Bosco!


    1. Sette criteri per operare delle buone scelte

Concludo proiettandomi in avanti, verso dinamismi concreti. L’esito del concilio di Gerusalemme è conciso e preciso, essenziale: «Astenersi dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, dagli animali soffocati e dalle unioni illegittime» (At 15,29). La qualità e l’efficacia di questi giorni che passerete insieme non è proporzionale alla lunghezza di un Documento finale che magari sarete chiamati ad approvare! Le decisioni, per essere efficaci, devono essere brevi e incisive.

Quali caratteristiche dovrebbero avere le scelte che facciamo? Consegno alla vostra attenzione sette criteri per verificare se stiamo facendo delle buone scelte.

Primo, una buona scelta è frutto di convergenza. Punto di arrivo di un consenso maturato nel dialogo e nel confronto sincero e schietto. Frutto di un discernimento ben fatto. Difficile che una scelta nata in un clima di imposizione porti frutto. Rischia invece di diventare qualcosa di indigesto.

Secondo, una scelta positiva è coinvolgente, ovvero ha la forza di mettere in moto passioni, di risvegliare desideri, accendere emozioni, inaugurare collaborazioni e generare corresponsabilità. Una decisione buona tocca il cuore e illumina la mente, coinvolgendo in un progetto condiviso.

Terzo, una scelta valida è sempre concreta. Non è teorica né difficile da realizzare, ma in grado di mobilitare con facilità le persone. Chiara nella sua formulazione e nelle sue richieste. Logica nei passaggi da fare e comprensibile all’interno di un cammino che insieme si sta facendo.

Quarto, è praticabile. Ovvero è attuabile qui e ora con le risorse umane e materiali realmente disponibili. Ci devono essere le condizioni possibili per poter fare quella scelta, altrimenti diventa qualcosa di opprimente per coloro a cui è richiesta, perché gli si chiede di fare qualcosa di impossibile da realizzare.

Quinto, una scelta come si deve è sostenibile. Non è solo adeguata sul breve periodo, ma deve stare in piedi nel medio e nel lungo periodo. Anche qui, se non vogliamo creare delle zone di fatica e di depressione, non possiamo permetterci di portare avanti scelte che non sono ragionevoli.

Sesto, una scelta dev’essere sempre conveniente. Il rapporto tra impegno profuso e risultato raggiunto, tra sforzi fatti e realizzazioni concrete dovrebbe far girare la bilancia nella giusta direzione. Talvolta alcune scelte ci portano via molto tempo, risorse economiche ed energie spirituali non compensate da risultati adeguati.

Infine, una scelta saggia è sempre generativa, ovvero capace di risvegliare una comunità e far nascere nuova vita, offrendo futuro e speranza a chi la sta operando. Una scelta generativa è quella capace di ridare entusiasmo, di sostenere la nostra vita aiutandoci a ritornare allo spirito carismatico delle nostre origini.


Grazie per la vostra attenzione.

Spero che ciò che ho cercato di comunicarvi vi possa essere utile per assumere uno spirito positivo e costruttivo, in modo da affrontare nel migliore dei modi questi giorni che passerete insieme.

Vi consegno, per concludere, tre domande che possono esservi utili per il confronto e il dialogo.

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  1. Sto/stiamo maturando una mentalità, una postura e una spiritualità sinodale?

Come posso/possiamo qualificarla, migliorarla, implementarla?

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  1. Lo stile del discernimento fa parte del mio/nostro modo di procedere ordinario?

Come posso/possiamo crescere nell’assunzione di questa disciplina e metodologia spirituale?

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  1. Sto/stiamo facendo scelte carismatiche convinte e coerenti?

In che modo posso/possiamo potenziare e perfezionare il cammino per arrivare a scegliere nel migliore dei modi?

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Rossano Sala

Salesiano di don Bosco

Docente Ordinario di Teologia pastorale e Pastorale giovanile presso l’Università Pontificia Salesiana di Roma

Direttore editoriale dell’Editrice Elledici

Direttore della Rivista Note di pastorale giovanile

Già Segretario Speciale della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo sul tema I giovani, la fede e il discernimento vocazionale

sala@unisal.it