RM BS 2012 12 it |
CONOSCERE DON BOSCO
PASCUAL CHÁVEZ VILLANUEVA
1 I GIOVANI, MAESTRI DI DON BOSCO E DEI SALESIANI |
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Quella straordinaria “comunità narrativa” che è la famiglia salesiana nasce da un sogno che ha il sapore evangelico di Marco 9, 36-37: «Gesù prese un bambino, e lo portò in mezzo a loro, lo tenne in braccio e disse: “Chi accoglie uno di questi bambini per amor mio accoglie me. E chi accoglie me accoglie anche il Padre che mi ha mandato”».
I giovani non sono solo “destinatari”, ma elemento dinamico essenziale per la Famiglia Salesiana. La storia salesiana dimostra che il lavoro tra i giovani poveri e abbandonati, destinatari privilegiati, attira le benedizioni di Dio, è sorgente di fecondità carismatica e religiosa, di fecondità vocazionale, di rigenerazione della fraternità nelle comunità, è il segreto della freschezza e del successo delle opere.
Don Bosco è interpellato da Dio attraverso i giovani: quelli richiusi nei carceri torinesi, quelli incontrati sulle vie, le piazze e i prati delle periferie torinesi, quelli che bussano alla sua porta per avere pane e rifugio, quelli incontrati nelle scuole popolari della città dove è chiamato per il ministero.
«Gesù chiamò un bambino, lo mise in mezzo a loro e disse: “Vi assicuro che se non cambiate e non diventate come bambini non entrerete nel regno di Dio” » (Matteo 18, 2-3). Frase difficile da prendere alla lettera, soprattutto da chi è quotidianamente esasperato dalla convivenza con tiranni in formato ridotto. I bambini hanno davvero qualcosa da insegnarci?
Don Bosco impara dai giovani: certe note connotative del sistema preventivo sono frutto della frequentazione del loro mondo e della comunanza di vita, sentimenti, aneliti; certi aspetti qualificanti della spiritualità giovanile di don Bosco sono tratti dalla conoscenza dell’animo giovanile e dalla scoperta delle altezze a cui essi possono arrivare; certe caratteristiche carismatiche dello spirito salesiano vengono proprio dalla sintonia col mondo giovanile.
2 Quello che ci insegnano i piccoli |
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Il mestiere di educatore può essere una condanna alla schiavitù e alla nevrosi o un viaggio entusiasmante che arricchisce e trasforma. Uno degli elementi che fa la differenza è la disponibilità ad imparare. Di solito gli educatori pensano a ciò che possono insegnare ai loro destinatari. Forse, una volta tanto, devono chiedersi che cosa possono imparare da loro.
Il mestiere di educatore non è un estenuante fioccare di attività e interventi pratici, è un cammino spirituale: un susseguirsi di esperienze che svelano, poco a poco, il senso profondo della vita e della persona. E in questo cammino si è spesso condotti da manine paffute sporche di Nutella che hanno appena rovinato in modo irrimediabile la nuova costosissima decorazione dell’oratorio.
Perché sono loro i più vicini alle sorgenti della vita.
Fare gli educatori è scuola in cui si apprende più di quanto si riesca ad insegnare. A patto, naturalmente, di volerlo fare. Sarà facile scoprire che guardare i ragazzi è meglio che guardare la televisione o navigare su Google. E più istruttivo.
Ecco alcune delle cose che ci possono insegnare i ragazzi.
La crescita permanente. I ragazzi “costringono” gli educatori a conoscersi a fondo: hanno uno straordinario talento nel disintegrare i ruoli e arrivare alla “carne viva”. Si può mentire agli adulti con qualche speranza di successo: mentire ad un bambino è impossibile. I bambini avvertono le emozioni con intensità e sensibilità maggiori delle nostre e le manifestano con assoluta spontaneità.
Questo provoca negli educatori una forte crescita del senso di responsabilità e la necessità di una sempre maggiore capacità di autocontrollo. Anche la mente è stimolata. Ogni giorno, la vita con i ragazzi li pone di fronte a scelte, a sfide, a problemi e difficoltà. In ogni momento della giornata la mente di un educatore è costretta a sviluppare prontezza di spirito, intelligenza del cuore, inventiva.
L’attenzione. “Guarda!” I bambini desiderano la presenza dell’educatore. Non un semplice “essere lì”: vogliono un’attenzione totale, indivisa, senza giudizi o aspettative. Una presenza che riscalda, che fa diventare importante, fa sentire di valere. Essere presente significa essere disponibile: sono qui, per te. Un’attenzione pura, che non invade e non dirige, ma è intensamente presente e basta. Noi sfioriamo tutti, non siamo più attenti alle persone, neanche a quelle che amiamo.
Il rispetto e la pazienza. I figli reali non sono mai simili a quelli sognati e aspettati. Si ribellano alle aspettative che impediscono loro di crescere secondo le leggi interne del loro essere. Hanno un loro ritmo, un loro progetto interno, inclinazioni originali. Diceva don Bosco: «Lasciare ai giovani piena libertà di fare le cose che loro maggiormente aggradano... E, poiché ognuno fa con piacere quello che sa di poter fare, io mi regolo con questo principio, e i miei allievi lavorano tutti, non solo con attività ma con amore» (MB, XVII, 75).
Diceva ai suoi collaboratori: «Si dia agio agli allievi di esprimere liberamente i loro pensieri». Insisteva: «Li ascoltino, li lascino parlare molto». Lui, per primo, ne diede l'esempio:«Nonostante le sue molte e gravi occupazioni, era sempre pronto ad accogliere in sua camera, con un cuore di padre, quei giovani che gli chiedevano un'udienza particolare. Anzi voleva che lo trattassero con grande famigliarità e non si lagnava mai dell'indiscrezione colla quale era da essi talvolta importunato. Lasciava a ciascuno piena libertà di far domande, esporre gravami, difese, scuse.... li riceveva collo stesso rispetto col quale trattava i grandi signori. Li invitava a sedere sul sofà, stando egli seduto al tavolino, e li ascoltava colla maggior attenzione come se le cose da loro esposte fossero tutte molto importanti. Talora si alzava, o passeggiava con essi nella stanza. Finito il colloquio li accompagnava fino alla soglia, apriva egli stesso la porta, e li congedava dicendo: — Siamo sempre amici, neh!» (MB, VI, 438-439).
La felicità e gratitudine per la vita. I giovani sono l’investimento più importante nel campo della realizzazione e della felicità personale. Sono un compito, talora arduo, ma anche una benedizione. La vita con i giovani può essere una faticaccia, ma quale profonda felicità può generare una giovane persona che matura affidandosi a noi con tutta la fiducia del mondo?