2010|it|02: Il vangelo ai giovani: La nascita dell'attesa


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di Pascual Chávez Villanueva


IL VANGELO AI GIOVANI


LA NASCITA DELL’ATTESO


Il Verbo si è unito all’umanità senza perdere la divinità; egli si è fatto piccolo, senza perdere nulla della sua grandezza (sant’Agostino).

I


l Vangelo di Giovanni, l’ultimo a essere scritto e che in qualche modo riflette la maturità della fede delle prime comunità cristiane, sintetizza il mistero di Gesù in una frase semplice ma di densità incomparabile: “La Parola si fece carne, e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv1,14). Viene usato un vocabolo elementare: parola. Nel campo dei rapporti tra persone, non potendo leggere l’intimo di ciascuno, ci si può conoscere solo attraverso la comunicazione. Dire a qualcuno ti amo, mentre manifesta la profondità del cuore di chi si esprime in questo modo, raggiunge anche il centro vitale della persona che ascolta, stabilendo un rapporto nuovo e, possibilmente, definitivo. Creature limitate, non possiamo conoscere il mistero infinito di Dio. Se non ce lo avesse manifestato, non avremmo potuto nemmeno immaginare che ci potesse amare: “L’Unigenito Dio… egli ce lo ha rivelato” (Gv1,18). Eppure, a differenza della relazione umana, in cui la parola può essere un suono vuoto o anche una menzogna, quando Dio vuole “parlarci” lo fa nel modo più incredibile, ci consegna ciò che più gli è caro, il suo stesso Figlio: “In questo consiste l’amore, non noi abbiamo amato Dio, ma egli ha amato noi e ha inviato il Figlio suo” (1Gv 4,10). È il nucleo centrale della fede: affermare che Dio è Amore vuol dire che non è solitudine ma comunità di Persone, Famiglia, Trinità. Per questo la grande notizia (il “Vangelo”) è che ha voluto crearci capaci di amare e di ricevere amore, chiamati a partecipare della sua Vita divina in quanto figli e figlie, simili a Gesù Cristo, suo Figlio.


Una bella espressione della saggezza latina dice: “Amor, aut similes invenit, aut similes facit” (l’amore o si manifesta tra uguali o rende uguali coloro che si amano). Tra Dio e noi, creature deboli e peccatrici, l’abisso è infinito. Ma il Padre ha voluto superare questo abisso inviando suo Figlio, come prova massima d’amore, a condividere la nostra vita incarnandosi nel seno verginale di Maria, per opera dello Spirito Santo e nascendo come bambinello, fragile e indifeso, nella mangiatoia di Betlemme. Spesso, in un tempo di pluralismo religioso com’è quello in cui viviamo, si sente dire: “Anche nelle altre religioni esiste l’idea della divinità che si fa uomo”. Sì, ma non è la stessa cosa, e non si tratta nemmeno di qualcosa di simile. In primo luogo perché all’infuori della fede cristiana questa ‘incarnazione’ non avviene per amore; in secondo luogo, perché non si colloca nella storia, ma nella dimensione del mito; e finalmente, perché consiste semplicemente nell’apparire in figura umana, senza assumere pienamente e con tutte le sue conseguenze la nostra condizione umana, come invece ha fatto Gesù. Uno dei più grandi innamorati di Cristo, sant’Ignazio di Antiochia, percepì così vivamente il pericolo di comprendere in questo modo l’incarnazione, che nella sua meravigliosa lettera ai Romani, prima del martirio, scrive: “ Vi è chi afferma che Gesù Cristo era uomo solo in apparenza e che soffrì solo apparentemente… come se le catene che porto per lui fossero pura apparenza!”.


In questo piano meraviglioso di Dio non poteva mancare la collaborazione umana. Non perché Dio sia imperfetto, ma perché il suo Amore non vuole prescindere dalla nostra risposta. Nella “pienezza dei tempi” (Gal 4,4) incontriamo una Donna che nella propria vita ha lasciato totalmente spazio alla volontà di Dio: “Si faccia di me secondo la tua Parola”. La Chiesa ha valorizzato tanto questa collaborazione che chiama la celebrazione annuale dell’Incarnazione Solennità dell’Annunciazione. Il “sì” di Maria si prolunga lungo tutta la sua vita, anche nell’ora amara e umanamente incomprensibile della Croce, convertendosi così nella Madre dei “fratelli e sorelle di Gesù” (cf. At 1,14-15). Come Famiglia Salesiana, fedeli a Don Bosco, credere nell’Incarnazione del Figlio di Dio ci porta a prendere sul serio che “si è fatto come noi in tutto, eccetto il peccato” e, quindi, a valorizzare tutto ciò che è umano. Non è un caso che nella messa del nostro padre e fondatore ascoltiamo il testo della lettera ai Filippesi: “Fratelli, tutte le cose vere, tutte le cose onorevoli, tutte le cose pure, tutte le cose amabili, tutte le cose di buona fama, quelle in cui è qualche virtù e qualche lode, siano oggetto dei vostri pensieri” (Fil 4,8). Terenzio poté dire: “Sono uomo e nulla di ciò che è umano mi è estraneo”. Possiamo anche andare oltre e affermare: “Sono cristiano e nulla di ciò che è umano lo considero estraneo, perché è stato divinizzato in Gesù Cristo”. 