S TRENNA 2008
di Pascual Chávez Villanueva
EDUCARE CON IL CUORE DI DB
LA SUA ESPERIENZA SPIRITUALE/EDUCATIVA
Per Don Bosco educare comporta… un complesso di procedimenti, fondati su convinzioni di ragione e di fede, che guidano l’azione pedagogica. Al centro della sua visione sta la “carità pastorale”… (Juvenum Patris, 9)
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criterio di Don Bosco sviluppare quanto il giovane si porta dentro
come spinta, mettendolo a contatto con un patrimonio culturale fatto
di visioni, costumi, credenze; offrirgli la possibilità di
un’esperienza profonda di fede; inserirlo in una realtà sociale
della quale si sentisse parte attiva attraverso il lavoro, la
corresponsabilità nel bene comune, l’impegno per una convivenza
pacifica. Egli espresse ciò in formule semplici che i giovani
potevano capire e assumere: buoni
cristiani e onesti cittadini,
saggezza, sanità e santità,
ragione e fede.
Per non cadere nel massimalismo utopico cominciava da dove era
possibile, secondo le condizioni del giovane e le possibilità
dell’educatore. Nel suo oratorio si giocava, si era accolti, si
creavano rapporti; si riceveva istruzione religiosa, si
alfabetizzava, s’imparava a lavorare, si davano norme di
comportamento civile, si rifletteva sul diritto che regolava il
lavoro artigianale e si cercava di migliorarlo.
◙ È una lagnanza ricorrente dei giovani che oggi ci possono essere un’istruzione che non prende in considerazione i problemi della vita, una preparazione professionale che non assume la dimensione etica o culturale, un’educazione che non affonda negli interrogativi dell’esistenza, ma è chiusa nell’immediato. Se vita e società sono diventate complesse, il soggetto senza mappa e/o bussola è destinato a smarrirsi o a diventare dipendente. La formazione della mente, della coscienza e del cuore sono più che mai necessarie. Ma il punctum dolens dell’educazione oggi è la comunicazione: tra le generazioni per la velocità dei cambiamenti, tra le persone per l’allentamento dei rapporti, tra istituzioni e destinatari per la diversa percezione delle rispettive finalità. La comunicazione è confusa, disturbata, esposta all’ambiguità per eccessivo rumore, per la molteplicità dei messaggi, per la mancanza di sintonia tra emittente e ricevente. Ne risulta l’incomprensione, il silenzio, l’ascolto limitato e selettivo (con lo zapping), i patti di non aggressione per maggiore tranquillità... Così è difficile consigliare atteggiamenti, raccomandare comportamenti, trasmettere valori. E anche questo è cambiato non poco dai tempi di Don Bosco. Eppure, da Lui vengono indicazioni che, nella loro semplicità sono vincenti, se si trova la maniera di renderle operative. Una di tali indicazioni è: “Si ottiene di più con uno sguardo di affetto… che con molti rimproveri”.
◙ C’è una parola, non molto usata oggi, che sintetizza quanto Don Bosco consigliò sul rapporto educativo: amorevolezza. La sua sorgente è la carità, per cui l’educatore scorge il progetto di Dio nella vita di ogni giovane e lo aiuta a prenderne coscienza e a realizzarlo con lo stesso amore liberante e magnanimo con cui Dio l’ha concepito. Ciò genera un affetto che viene manifestato a misura di ragazzo. Va maturando così, non senza difficoltà, un rapporto sul quale conviene portare l’attenzione, quando si prospetta una traduzione delle intuizioni di Don Bosco al nostro contesto. È un rapporto segnato dall’amicizia che cresce fino alla paternità. L’amicizia va aumentando con gesti di familiarità e di essi si nutre. A sua volta provoca confidenza, che è tutto in educazione. L’amicizia ha una manifestazione molto concreta: l’assistenza. È Inutile voler desumere la portata dell’assistenza salesiana dal significato che il dizionario dà alla parola: è un termine coniato all’interno di un’esperienza e riempito di significati e applicazioni originali. È presenza fisica lì dove i ragazzi s’intrattengono, interscambiano o progettano. È forza morale con capacità di comprensione, incoraggiamento e risveglio. È anche orientamento e consiglio secondo il bisogno dei singoli.
◙ L’assistenza raggiunge il livello della paternità educativa che è più che l’amicizia. È una responsabilità affettuosa e autorevole che porge guida e insegnamento vitale ed esige disciplina ed impegno. È amore e autorevolezza. Si manifesta “nel saper parlare al cuore”. Non parlare molto, ma diretto; non agitato, ma chiaro. Ci sono nella pedagogia di Don Bosco due esempi di questo parlare: la buonanotte e la parola personale che lasciava cadere in momenti informali, di ricreazione. Due momenti carichi di emotività, che riguardano sempre eventi concreti e immediati e che consegnano una sapienza quotidiana per affrontali e insegnano l’arte di vivere. Ecco perché Don Bosco raggiunse la santità essendo educatore; ecco perché riuscì a educare ragazzi santi come Domenico Savio. C’è un rapporto tra santità e educazione.
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Nel suo oratorio si giocava, si era accolti, si creavano rapporti; si riceveva istruzione religiosa…
“Si ottiene di più con uno sguardo di affetto… che con molti rimproveri”.