MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE
ÀNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
«NON TI DIMENTICARE DI NOI»
... mi hanno detto in Siria
Da un’esperienza indimenticabile nasce un messaggio d’amore e riconoscenza che vola a Damasco e ad Aleppo.
A Damasco, una delle città martiri della Siria, mi hanno fatto un regalo semplice e gentile, dopo che avevo liberato una colomba bianca che aveva preso il volo, in un pomeriggio di festa oratoriana. In quel momento un terrificante colpo di mortaio aveva squassato l’aria e devastato la stessa piazza in cui il pomeriggio precedente avevamo festeggiato insieme, salesiani e giovani animatori.
Eravamo tutti felici perché la pace sembrava vicina. Da quindici giorni non succedeva niente di tragico, non si parlava di morti e sembrava che tutto fosse finito. Non era così. Serpeggiavano ancora interessi malvagi negli uomini “dell’ombra”, gente così diversa da quelle persone buone e leali che erano con me.
Eravamo stati accolti il giorno prima come per una grande festa. Aspettavamo da mesi che fosse possibile visitarli. E finalmente eravamo arrivati. Era stato un lungo viaggio, ma ora eravamo a Damasco. La prima significativa tappa del nostro pellegrinaggio.
Si percepiva una gioia vera ed esuberante in ogni angolo dell'oratorio salesiano di Damasco. Più di cinquecento ragazzi e ragazze e giovani che gridavano esultanti in quel pomeriggio di festa. Tra questi, un gruppo di circa 150 animatori, giovani studenti universitari che sono la vita e l'anima in quell'oratorio che riunisce più di mille ragazzi e giovani dai luoghi più distanti di Damasco . Lo stesso accade ad Aleppo (con la differenza che la città di Aleppo è quasi totalmente distrutta: il 72 per cento delle abitazioni sono solo macerie).
Il dono, che mi fu consegnato al termine dell'Eucaristia a Damasco, era una bella "stola". Me l’avevano data esprimendo il desiderio che la indossassi quando celebravo l’Eucaristia in ogni parte del mondo. Sulla stola avevano ricamato, in arabo, "Non dimenticarti di pregare per noi".
Quel dono e quella frase mi toccarono il cuore. Al punto che, da allora, ho indossato quella stola in tutte le Messe dei luoghi dove sono stato: Messico-Tijuana; Chaco Paraguayo, Uruguay e Rjeka in Croazia.
E ovunque ho raccontato questo incontro, questo dono e la richiesta che mi hanno fatto. E nello stesso tempo ho testimoniato quello che ho scoperto in quei Salesiani e in quelle Sorelle Figlie di Maria Ausiliatrice con cui ho condiviso quei giorni, e ciò che ho notato in quei giovani animatori sereni e incantevoli, e in tante famiglie colpite dal dolore e dalle perdite, ma piene di forza e di speranza.
Occhi pieni di fierezza
Ecco che cosa ho visto.
1.Ho visto DIGNITÀ. La dignità dei poveri, la dignità di coloro che si sentono sopraffatti da una situazione che non hanno creato, in cui non hanno scelto di partecipare, ma nella quale si sentono immersi, sprofondati completamente senza poter scegliere nient'altro, senza poter riaffiorare finché altri non decidano che tutto è finito. Ma sul volto di tutti brillavano fierezza e compostezza, e il loro sguardo saldo e coraggioso diceva più delle parole.
2. Ho visto dei BELLISSIMI E AFFETTUOSI SORRISI. I sorrisi di quei giovani animatori che li donano forti e intensi perché vogliono che i bambini dell'Oratorio abbiano una piccola oasi nelle ore della giornata in cui possono dimenticare la paura di guerra, mortai, distruzione. Mi hanno fatto ripensare al film «La vita è bella» di Benigni, in cui un papà fa credere e vivere al suo bambino, internato in un campo di sterminio nazista con lui e con la madre, di partecipare ad un gioco e ad un’avventura divertente.
I nostri fratelli e sorelle salesiani e i giovani animatori fanno tutto il possibile affinché la guerra e la distruzione non abbiano l'ultima parola. Non è un'avventura divertente come nel film. Ma ho notato che non vogliono permettere che i proiettili e la distruzione siano ciò che segna le loro vite per sempre.
3. Ho visto tanta SPERANZA. Questa è la parola giusta e il sentimento che suscitavano in me quando mi dicevano: «Don Ángel, non abbiamo paura, perché siamo pieni di Fede e Speranza. L’ultima parola non sarà la guerra o la distruzione, ma la vita, le nostre vite e la fede che abbiamo, e il desiderio di vivere e di fare di questa nostra terra un paese bellissimo». E quelli che parlavano così erano giovani che in molti casi avevano perso la casa, e un padre o un fratello uccisi da un proiettile sparato a caso.
4. E ho scoperto che il senso di COMUNIONE E FRATERNITÀ era molto profondo in loro e in me. Posso assicurarvi che mi sono sentito vicino con tutto il cuore a quei miei fratelli salesiani e a quei giovani magnifici, dopo averli incontrati, dopo aver visto i loro sorrisi e sentito la stretta affettuosa del loro abbraccio che esprimeva una fiducia sincera. Tutto questo porto nel mio cuore, e ogni giorno li ricordo nelle mie preghiere.
E poi, con tristezza e dolore, ci mettemmo in viaggio verso Aleppo, mentre altri missili cadevano su Damasco, con il loro carico di morte.
E ad Aleppo trovammo altri fratelli salesiani, altre sorelle FMA e quei meravigliosi giovani e famiglie, figli dell'Oratorio che, come a Damasco, continuavano a essere motivo di speranza.
Incontri indimenticabili, momenti incancellabili di preghiera e di famiglia salesiana.
Toccanti le promesse dei tredici nuovi Cooperatori Salesiani (giovani e madri di famiglia). E ho sperimentato di nuovo il dolore della perdita di persone care e della distruzione, qui reale, totale, di quella che era stata una bella città. Ma ho trovato di nuovo dignità, forza, speranza e fede.
A completare la magnifica opera, questa volta non fu una bella stola con la frase in arabo, ma qualcosa che mi colpì con un’emozione tale da lasciarmi senza parole. Il momento in cui nell’Oratorio Salesiano, il direttore mi consegnò tutto ciò che i bambini, i giovani e le famiglie avevano raccolto per un lungo periodo di tempo perché io lo facessi arrivare ad altre località più povere e sofferenti della loro. Ed io mi chiedevo se ce ne fossero…
Mi hanno dato tutto ciò che avevano potuto ottenere, privandosi ancora di qualcosa in quel generale sfacelo. Erano duecento dollari, che per me valevano una fortuna e come tale l’hanno ricevuta nell’Oratorio Salesiano di una frontiera ferita, Tijuana, in Messico, ai quali li ho consegnati. E subito i due oratori si misero in comunicazione. I poveri tra di loro si capiscono magnificamente bene, perché parlano lo stesso linguaggio, quello della vera umanità.
Questa, amici miei è l’esperienza che ho vissuto nell’incontro con nostri fratelli e figli che nonostante tutto non hanno perso né la dignità, né la speranza, né la fede. Questo è il mio messaggio d’amore e riconoscenza che vola a Damasco e ad Aleppo. Spero che molti cuori si uniscano ad esso.