2018|it|02: Gesù in braccio ai piccoli e ai poveri

IL MESSAGGIO DEL RETTOR MAGGIORE

DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME


GESÙ IN BRACCIO

AI PICCOLI E AI POVERI


Gesù continua a salvare l’umanità attraverso il nostro lavoro, la nostra dedizione, la nostra buona volontà. Lui continua a segnarci la strada perché non perdiamo il senso e la direzione del cammino, e sosteniamo sempre quelli che fanno più fatica, i più piccoli, i più poveri, gli ultimi.



Una graziosa leggenda natalizia racconta che i pastori di Betlemme, dopo aver udito l’annuncio degli angeli, infilarono nelle loro bisacce i prodotti migliori del loro lavoro, profumati formaggi, miele, latte e dolci, e si misero in cammino per portarli come dono al neonato Re dei Re.

Una bambino curioso e vivace, svegliato dal trambusto, partì con i pastori. Dopo un po’ il ragazzino si accorse di essere l’unico a mani vuote, anche perché non possedeva nient’altro che il suo povero vestito. Non aveva neanche le scarpe. Si sentì molto a disagio e marciava mogio mogio in coda al gruppo di pastori.

Quando arrivarono nel luogo indicato dagli angeli, si affollarono intorno a Giuseppe e a Maria, che cullava il bambino.

Il pastorello si infilò tra le gambe dei pastori, arrivò vicino vicino a Maria e rimase lì a guardare la scena con gli occhi sgranati e la bocca aperta. I pastori si accalcavano per consegnare a Maria i loro doni e Maria, che aveva il neonato in braccio, era in difficoltà a prendere in mano i generosi fagotti, in segno di gradimento e di ringraziamento. Allora, sorridendo, affidò il Bambino Gesù al pastorello che le stava accanto. Il ragazzino spalancò le braccia e accolse con tutta la felicità del mondo il piccolo fagotto che gorgogliava tranquillo.

Così il piccolo pastore che credeva di non aver niente da dare, donò a Gesù il calore e il sostegno delle sue braccia. In quella notte santa, in cui l’impossibile diventava possibile le sue braccia divennero il trono dell’Altissimo. Lui che non aveva niente, neanche le scarpe, portò il dono di Dio all’umanità.

La leggenda interpreta bene il messaggio del Natale. Ci comunica che Dio si è schierato dalla parte dei poveri, degli umili, dei più bisognosi, degli emarginati e dei trascurati di questo mondo.


Portiamo a termine quello che Gesù ha iniziato


Proprio di questo vorrei parlarvi.

Nei miei diversi viaggi, nei cinque continenti, visitando le presenze salesiane nel mondo mi sono trovato in tante situazioni in cui il mio cuore ei miei pensieri mi hanno portato a sentire e pensare che le persone che incontravo, adulti, giovani, ragazzi e ragazze, quasi sempre poveri tra i più poveri, erano indubbiamente i preferiti dallo sguardo e dal cuore di Dio.

Lo siamo tutti, certamente. Siamo tutti suoi figli e figlie, ma gli ultimi sono i più vicini al cuore di Dio. Come una mamma che ha molti figli, e ama tutti con un Amore incondizionato e pieno, ha un’attenzione speciale e unica per il figlio più debole e bisognoso di cura, senza per questo togliere neanche un briciolo d’amore a tutti gli altri.

Penso, mentre scrivo queste righe, ai rifugiati del campo di Kakuma nel Kenya settentrionale, dove la comunità salesiana condivide la vita con loro da molti anni.

Penso al campo profughi in Uganda, dove, dopo la festa di Don Bosco, alla fine di gennaio, una nuova comunità salesiana, con membri di varie nazionalità, entra nella storia di quelle persone, e dei tanti giovani che ci arrivano in fuga dalla guerra, dalla fame, dai pericoli che minacciano quotidianamente la loro vita.

Penso a Yakutsk in Siberia, il luogo più freddo del mondo, distante diverse migliaia di chilometri a nord est di Mosca, dove una piccola comunità salesiana partecipa alla vita di minuscoli gruppi di persone (che forse sono come il piccolo pastore della leggenda), che li avevano accolti con queste parole: «Ringraziamo Dio perché voi siete qui, cominciavamo a pensare che Dio ci avesse dimenticati». Parole come queste riempiono il cuore di soddisfazione unica.

Penso ai ragazzi di strada che ho incontrato in molte parti del mondo e che sono gli autentici “scaricati”, come dice Papa Francesco, perché non hanno avuto nella loro vita la minima possibilità per crescere nella dignità umana, e mi sono detto che ​​alla stalla di Betlemme avrebbero avuto tra le braccia il divino Bambino molto prima di me.

Questa è la forte e così spesso dolente realtà che incontriamo nella vita.

E davanti a queste situazioni così diffuse nel mondo, anche quando sentiamo il Presidente delle Nazioni Unite con dolore e preoccupazione dire che l'anno che si è concluso è stato un anno in cui la condizione dell’umanità è peggiorata e si corrono molti più rischi, non possiamo perdere la Fede e la Speranza. Siamo intimamente certi che Gesù Cristo è venuto per redimere e salvare proprio questa Umanità condividendo la nostra condizione e la nostra storia.

E continua a salvarla attraverso il nostro lavoro, la nostra dedizione, la nostra buona volontà. Lui continua a segnarci la strada perché non perdiamo il senso e la direzione del cammino, e sosteniamo sempre quelli che fanno più fatica, i più piccoli, i più poveri, gli ultimi.

Questo è il nostro grande compito umano: portare a termine quello che Gesù ha iniziato.

Anche tutti voi, voi che leggete questa pagina, siete invitati a continuare la costruzione di una nuova Umanità e di un Mondo Migliore. Perché, come nella leggenda, le nostre braccia meritino davvero di proteggere e custodire il Figlio di Dio, che Maria affida a coloro che null’altro hanno da offrire se non il loro cuore.

Con la più affettuosa benedizione per questo 2018,

il vostro Rettor Maggiore Ángel Fernández Artime



Papa Francesco ha chiesto che si distribuisse questa immagine con questo testo: “...il frutto della guerra. Un ragazzo aspetta il suo turno nel crematorio con il fratello morto sulle spalle. È la foto scattata da un fotografo americano, Joseph Roger O'Donnell, dopo l'attacco atomico a Nagasaki. La tristezza del bambino si esprime solo nelle sue labbra morsicate e nel sangue che trasudano. Francesco”.