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IL PAPA CI PARLA DI DON BOSCO
Introduzione. - L’ottica pastorale. - La prospettiva della «santità». - L’opzione del Battesimo e il coraggio della Cresima. - L’affidamento costante a Maria. - L’impegno per la vocazione. - Centralità del ministero sacerdotale. - Il carisma di educazione. - Vangelo e cultura popolare. - La responsabilità della Famiglia Salesiana. - Don Bosco «vero». - Conclusione.
Lettera pubblicata in ACG n. 328
Roma, 8 dicembre 1988
Solennità dell’Immacolata
Cari Confratelli,
mentre le celebrazioni del Centenario volgono ormai al termine, cresce nel nostro cuore la convinzione d’aver vissuto in famiglia un denso «Anno di grazia».
Non è ancora il momento per farne un bilancio.
Con questa lettera vorrei solo concentrare la vostra attenzione su un aspetto particolarmente significativo: ciò che ha detto ed ha scritto il Papa Giovanni Paolo II su Don Bosco in questi mesi dell’anno giubilare.
I suoi sono interventi celebrativi di tipo liturgico-pastorale; non costituiscono uno studio sistematico né una presentazione esaustiva della figura di Don Bosco; ma esprimono un autorevole sguardo di fede, sintetico e globale, che contempla la sua originalità di «Santo» e di «Fondatore».
Si tratta di due aspetti oggettivi che si protendono al di là della sua morte e del suo tempo. Ci interessano vitalmente perché scrutano l’origine di quel «carisma» dello Spirito del Signore, trasmesso a noi «per essere vissuto, custodito, approfondito e costantemente sviluppato in sintonia con il Corpo di Cristo in perenne crescita».1
Non è cosa comune che il Successore di Pietro si sia intrattenuto con tanto interesse e con così riconoscente attenzione circa l’attualità ecclesiale di un Santo.
L’ottica pastorale
L’ottica degli interventi del Papa è chiaramente «pastorale». Parte dalla preoccupazione del suo ministero petrino: ossia da quello zelo costante e universale che fa di Giovanni Paolo II un inesauribile ricercatore di sempre più adeguate prospettive di apostolato.
Lo scorso 30 maggio, il Papa ha invitato a un pranzo di lavoro S. Em. il cardinale Ballestrero, arcivescovo di Torino, insieme al Rettor Maggiore. Voleva parlare della sua ormai prossima visita a Torino e al Colle Don Bosco e desiderava conoscerne i dettagli, le singole tappe e il loro concreto significato pastorale. Intendeva farsi presente nell’archidiocesi in atteggiamento di pellegrino ai luoghi di Don Bosco per proclamarne il messaggio profetico alla Chiesa locale, alla Famiglia Salesiana e a tutto il Popolo di Dio nel mondo, sottolineando la sua operosità pastorale a favore soprattutto della gioventù.
Ascoltò con interesse le singole proposte, approvò il lungo spazio di tempo di due giorni e mezzo dedicato alla visita, e si compiacque nell’approfondire le motivazioni di ogni singolo incontro: la Cresima al palazzetto dello sport, la Buona Notte ai giovani del Confronto DB/88, il dialogo con i sacerdoti e i religiosi, la visita al Battistero di Castelnuovo Don Bosco, la solenne celebrazione eucaristica dei Becchi con la beatificazione della ragazza cilena Laura Vicuña e la visita alla casetta di Mamma Margherita, l’incontro a Chieri con i giovani impegnati nella vocazione sacerdotale e religiosa, la presenza all’Università statale di Torino per un desiderato contatto col mondo della cultura, il festoso dialogo con la massa dei giovani che si sarebbero radunati nello stadio comunale, la recita del rosario per la trasmissione radiofonica del primo sabato del mese dalla chiesa (restaurata) dell’arcivescovado — dove Don Bosco era stato ordinato prete —, il saluto alla Scuola di applicazione dell’esercito italiano ricordando la testimonianza cristiana del Capitano di Stato Maggiore Francesco Faà di Bruno amico di Don Bosco, la breve visita alla chiesa di S. Francesco d’Assisi dove Don Bosco celebrò la sua prima messa e incontrò Bartolomeo Garelli, l’allocuzione alle Religiose nella basilica di Valdocco, la grande Eucaristia celebrativa nella piazza Maria Ausiliatrice con l’Angelus domenicale e la visita alle camerette di Don Bosco, il dialogo con gli operatori della scuola da riunire nella cattedrale di Torino, l’esortazione e l’abbraccio personale a un non piccolo gruppo di malati nella Piazzetta reale, il commiato dalla cittadinanza e dalle autorità in Piazza Castello e due pranzi in casa salesiana (ai Becchi e a Valdocco) dove sarebbe stata possibile una Sua breve conclusione.
L’anno precedente, quando il Rettor Maggiore gli aveva chiesto se fosse conveniente offrirGli del materiale per una Sua lettera commemorativa del Centenario, rispose: «Don Bosco è uno dei grandi Santi della Chiesa; desidero davvero scrivere questa lettera per rilanciare il suo importante e attuale messaggio profetico».
Gli interventi del Santo Padre sgorgano simultaneamente da una sentita preoccupazione pastorale e da una personale e riconoscente simpatia verso Don Bosco. Lo ammira nella sua statura di Santo e di Fondatore, come dono dello Spirito del Signore alla Chiesa; è convinto della sua grandezza profetica; vive in sintonia con la sua predilezione per la gioventù; ammira la sua originale metodologia di educazione alla fede, il criterio oratoriano e la sensibilità per il mondo del lavoro, l’apertura laicale, il coinvolgimento femminile, l’audace senso di universalità e la predilezione per i piccoli e i poveri dei ceti popolari. In particolare gli piace sottolineare la sua intensa e operativa devozione mariana, fortemente ecclesiale e di speciale attualità nei tempi difficili.
L’attenta lettura della sua Lettera del 31 gennaio e dei suoi Discorsi di settembre sono per noi un invito al ritorno alle fonti per abbeverarci di acqua cristallina e pura, così che il Centenario risulti un fortissimo stimolo a rinnovare la nostra qualità pastorale.
Bisogna davvero essere grati al Santo Padre che ci aiuta ad essere più autenticamente Salesiani nel Popolo di Dio che cammina nella storia.
Ascoltiamo l’esortazione che Egli stesso ci ha scritto nella Lettera Iuvenum Patris: «Don Bosco ritorna è un canto tradizionale della Famiglia Salesiana: esprime l’auspicio di un ritorno di Don Bosco e un ritorno a Don Bosco, per essere educatori capaci di una fedeltà antica ed insieme attenti, come lui, alle mille necessità dei giovani di oggi, per ritrovare nella sua eredità le premesse per rispondere anche oggi alle loro difficoltà e alle loro attese».2
Il Papa ci ha anche insegnato a dialogare familiarmente con il nostro caro Fondatore; si è rivolto a lui più volte dicendogli: «Carissimo San Giovanni Bosco!», dandogli del «tu» come un suo personale amico e chiamandolo «genio spirituale», «genio del cuore».
La prospettiva della «santità»
Don Bosco può essere studiato sotto molti aspetti; ma, per il Papa, quello che li riassume tutti e che dà loro il vero significato globale è quello della «santità». Lo guarda come un uomo assai dotato, ma pienamente docile allo Spirito Santo, sotto la cui azione ha dato origine a una testimonianza evangelica peculiare, ricca di attualità.
«Mi piace considerare di Don Bosco soprattutto il fatto che egli realizza la sua personale santità mediante l’impegno educativo vissuto con zelo e cuore apostolico, e che sa proporre, al tempo stesso, la santità quale meta concreta della sua pedagogia».3 È qui che bisogna cercare «quel messaggio profetico, che egli ha lasciato ai suoi e a tutta la Chiesa».4
«Nella Chiesa e nel mondo la visione educativa integrale, che vediamo incarnata in Giovanni Bosco, è una pedagogia realista della santità. Urge ricuperare il vero concetto di “santità”, come componente della vita di ogni credente. L’originalità e l’audacia della proposta di una santità giovanile è intrinseca all’arte educativa di questo grande Santo, che può essere giustamente definito maestro di spiritualità giovanile».5
Ogni santità va letta alla luce della reale presenza dello Spirito Santo nella storia: «La Sua nascosta e potente efficacia è diretta a far maturare l’umanità sul modello di Cristo. Lo Spirito Santo (infatti) è l’animatore della nascita dell’uomo nuovo e del mondo nuovo».6
Lo Spirito del Signore, poi, è creatore originalissimo; non rimane mai inquadrato in uno schema precostituito; dà origine — in ogni Santo — a una sua opera d’arte del tutto peculiare, soprattutto quando ne vuol fare il Caposcuola di una speciale via evangelica che verrà percorsa da molti.
Di Don Bosco il Papa dice che «la sua statura di Santo lo colloca, con originalità, tra i grandi Fondatori di Istituti religiosi nella Chiesa».7
Lo considera, così, come l’iniziatore di un carisma, la cui «indole propria comporta anche uno stile particolare di santificazione e di apostolato, che stabilisce una sua determinata “tradizione” in modo tale, che se ne possano convenientemente cogliere gli elementi oggettivi».8
Questa prospettiva della «santità» di Don Bosco è tratteggiata dal Papa seguendo alcune tappe fondamentali dell’azione dello Spirito del Signore nella sua vita.
L’opzione del Battesimo e il coraggio della Cresima
A Castelnuovo e al palazzetto dello sport di Torino Giovanni Paolo II ha parlato del «Battesimo» e della «Cresima» di Giovannino Bosco.
— È saputo che presso il Battistero della chiesa parrocchiale di Castelnuovo sono stati rigenerati alla vita cristiana vari grandi testimoni del Vangelo, tra i quali eccelle Don Bosco. Il Santo Padre si è trattenuto a sottolineare da quale radice sia scaturita la loro santità e la loro opzione fondamentale per Cristo: «il Concilio Vaticano II ci ricorda — dice — che la vocazione alla santità ha la fonte originaria nel Battesimo».9
Questa opzione comporta l’opera educativa dei genitori e della comunità parrocchiale: «I vostri padri hanno saputo vivere la fede cristiana in modo personale e comunitario, nella convinzione che l’opera educativa verso i figli è la prima ed essenziale forma dell’apostolato. È questa una forte e significativa tradizione della vostra gente».10
E qui il Santo Padre mette in rilievo la saggia cura quotidiana di Mamma Margherita che ha influito grandemente nella crescita battesimale di Giovannino, in particolare per la preparazione alla prima Comunione. Cita le parole stesse di Don Bosco nelle sue Memorie: «Mia madre si adoperò a prepararmi come meglio poteva e sapeva. Lungo la quaresima mi inviò ogni giorno al catechismo; poi mi condusse tre volte a confessarmi, fui esaminato, promosso. – Giovannino mio, mi disse ripetutamente, Dio ti prepara un gran dono; ma procura di prepararti bene, di confessarti, di non tacere alcuna cosa in confessione –. Quel mattino mi accompagnò alla sacra mensa e fece con me la preparazione e il ringraziamento, dandomi quei consigli che una madre industriosa sa trovare opportuni pei suoi figliuoli».11
— Nell’omelia pronunziata durante l’Eucaristia al palazzetto dello sport di Torino per il conferimento della Cresima a circa 800 giovani (con la presenza di tutto l’episcopato piemontese), il Papa ricorda che questo sacramento è la personale Pentecoste di ogni cristiano: «Siete afferrati oggi dallo Spirito Santo per essere suoi testimoni coraggiosi nella difesa della fede e nella pratica della vita cristiana».12
Riferendosi poi a Giovanni Bosco (cresimato a Buttigliera) afferma che la recezione di questo sacramento è stata «il momento decisivo della sua vita, della sua storia personale, storia di santità».13
Sottolinea la «grande disponibilità all’azione dello Spirito Santo» vissuta da Giovanni Bosco. Lì si trova «tutta la spiegazione dell’eccezionale sua vita».14
«In questo consiste la particolare “capacità dei santi” di irradiare Dio nella loro vita».15
L’affidamento costante a Maria
Sappiamo che Giovanni Paolo II considera Maria come Sposa e Collaboratrice dello Spirito Santo, come «Colei che ha creduto» e che, risorta, accompagna maternamente gli uomini nella costante crescita della loro fede.
Il Papa ha insistito più d’una volta su questa presenza efficace della Vergine nella vita di Don Bosco, corrisposta sempre da una profonda devozione filiale. Per lui Don Bosco è, nella Chiesa, uno dei grandi devoti della Madonna: La chiamava, infatti, Fondatrice e Madre delle sue opere.
Nell’incontro con i Presbiteri e i Religiosi afferma: «Don Bosco è stato un grande devoto della Madonna; come tutti qui a Torino, venerò con filiale amore la Consolata; e durante i tempi difficili degli attacchi alla Chiesa e ai suoi Pastori, rilanciò la devozione a Maria Ausiliatrice che egli chiamò anche “Madre della Chiesa”. Questo tempio lo volle appunto a dimostrazione dell’assoluta certezza dell’intervento di Maria nelle vicissitudini della storia; e a Lei dedicò l’Istituto di Suore che, come “monumento vivo”, volle che si chiamassero “Figlie di Maria Ausiliatrice”.
La sua vocazione sacerdotale ebbe sempre come stella polare, fin da fanciullo, la Madonna, e la sua efficacia ministeriale e la sua audacia apostolica ebbero la loro profonda e autentica radice in questa sicura fiducia in Lei».16
Ricorda la presenza di Maria nei «sogni» di Don Bosco; la Sua assistenza continua; la considerazione del Suo stretto legame con il mistero della Chiesa; il Suo potente aiuto nella missione («Stella dell’evangelizzazione»); la Sua cura nella crescita della santità; la Sua amorosa sollecitudine nell’opera dell’educazione.
Il Papa ha ricordato, oltre la costruzione del tempio di Valdocco, anche il grande quadro dell’Ausiliatrice che esprime un esplicito messaggio mariano di apostolato. In questo senso ha parlato dell’affidamento a Lei per la realizzazione del compito di apostolato materno della Chiesa: «È una maternità, quella della Chiesa, che ha bisogno di interpreti santi, docili e oranti come Don Bosco; soprattutto quando si tratta di educare alla fede la gioventù».17
Nella Lettera Iuvenum Patris aveva già ricordato che per Don Bosco l’opera educatrice è «uno squisito esercizio di maternità ecclesiale», e che Maria «continua nei secoli ad essere una presenza materna».18
Guardando a Don Bosco non si può separare l’azione dello Spirito Santo da questo sollecito e ininterrotto intervento di Maria in una oggettiva lettura della sua santità.
L’impegno per la vocazione
Nel duomo di Chieri il Papa si è rivolto ai numerosi giovani e alle giovani che «con coraggio e prontezza hanno risposto “sì” ad una speciale chiamata del Signore e si preparano a costruire su tale risposta tutta la loro vita».19
Dice loro:
«Il giovane Giovanni Bosco, che nel secolo scorso camminava per queste strade e viveva sotto questo cielo, vi sarà certamente di ispirazione. Negli “anni di Chieri” egli gettò le fondamenta della sua missione. Comprese che essa non può essere intrapresa senza una preparazione spirituale e culturale; né può essere continuata senza la robustezza interiore che viene dal cammino ascetico e dalla frequentazione di relazioni comunitarie costruttive; né portata a compimento senza l’interiore vigore che viene dalla preghiera e dai sacramenti».20
In quegli anni «il Signore condusse Giovanni Bosco a farsi progressivamente una “nuova mentalità”; a fare quella sintesi teologica e spirituale fra cultura e messagio evangelico, che è caratteristica della sua fisionomia spirituale e che sembra una delle primarie esigenze di questo nostro tempo».
Qui «si preparò pazientemente ad essere un “comunicatore evangelico”»; qui «sviluppò quella maturità di relazioni che divenne sorgente feconda del suo Oratorio e cuore di quella esperienza educativa, che più tardi chiamerà “sistema preventivo”. Egli intuì che il Vangelo può essere annunciato soltanto da un evangelizzatore che ami ed abbia imparato a vestire l’amore di segni immediatamente leggibili e percepibili».21
«Il giorno della vestizione tracciò un itinerario di vita, al quale si impegnò con alcune promesse. “Sono andato – scriveva – davanti a una immagine della Beata Vergine, le ho lette e dopo una preghiera ho fatto formale promessa a quella celeste Benefattrice di osservarle a costo di qualunque sacrificio”. E poco dopo, “ai piedi dell’altare di Maria”, egli si impegnò con voto di castità, a mettere tutta la forza del suo amore al servizio di Cristo».22
Così il Santo Padre ha presentato a quei giovani il loro coetaneo Giovanni Bosco come uno straordinario esempio di gioiosa accoglienza e di costanza nella vocazione, anzi come un «invito vocazionale» per tutti i giovani; infatti, in lui si vede che «la fede risponde a molti degli immensi interrogativi della giovinezza e che non occorre davvero dimenticare il Vangelo per essere giovani, né spegnere la giovinezza per essere cristiani. Dite loro che la fede e la felicità non entrano in concorrenza, ma sono i nomi diversi dati ad una medesima meta».23
Centralità del ministero sacerdotale
Nella mattinata di sabato 3 settembre, Giovanni Paolo II ha incontrato i Presbiteri e i Religiosi del Piemonte nella basilica di Valdocco trattando il tema del ministero sacerdotale. Ha ricordato loro che hanno «una vocazione privilegiata nel Popolo di Dio. Dalla sua autenticità sgorgano abbondanti frutti per tutti i fedeli; da una sua crisi sarebbero compromesse sia la vita delle comunità ecclesiali sia l’indispensabile lievito che esse devono inserire nella convivenza sociale».24
Ha spiegato perché concentrava le sue riflessioni «sulla vocazione dei presbiteri: ciò che meditiamo su di essi serve anche alle altre persone consacrate».25
Ai presbiteri è «concessa da Dio la grazia per poter essere ministri di Cristo Gesù; il fine a cui tendono con il loro ministero e con tutta la loro esistenza è la gloria di Dio Padre, facendo avanzare gli uomini nella vita divina (cf. PO 2). Per raggiungere tale scopo fondamentale essi hanno bisogno di molte virtù e di una vera metodologia di santità».26
Il prete è «consacrato» ad agire più in là delle sue forze; la potenza dello Spirito di Cristo lo avvolge e lo invia «ad essere autentico ministro della Parola di Dio, santificatore mediante l’Eucaristia e gli altri sacramenti, ed educatore della fede nel Popolo dei credenti. Tutto questo comporta vari compiti, anche di ordine culturale e promozionale; infatti la Buona Novella portata da Cristo non si aggiunge artificialmente dal di fuori alla realtà umana, ma deve essere seminata e coltivata al suo interno, deve crescere dal di dentro come parte costitutiva dell’uomo integrale, e come energia indispensabile della storia. Sarà sempre una tragedia per l’umanità la separazione del Vangelo dalla cultura».27
Le molteplici attività del ministero del prete esigono nella sua esistenza la «testimonianza di una vera unità in una più alta sintesi di vita (cf. PO 14)».
Don Bosco ne è un modello straordinario.
«Ecco la grande figura di San Giovanni Bosco prete! La nota dominante della sua vita e della sua missione è stato il fortissimo senso della propria identità di sacerdote prete cattolico secondo il cuore di Dio. Non per nulla il nome che lo designa più correntemente è stato e resta, semplicemente, quello di “Don” Bosco. Non possiamo guardarlo senza commuoverci della sua intensa convinzione che Dio lo voleva prete, senza essere presi da ammirazione di fronte alla penetrante intelligenza dei valori genuini della consacrazione sacerdotale».28
Questa consacrazione dell’Ordine comporta un intimo e vitale coinvolgimento della persona del prete con il ministero ricevuto; essa tocca e pervade la persona in tutta la sua esistenza. «Certamente il ministero sacerdotale non si identifica con la persona del prete»; però «adeguare la propria persona a questo ministero, percorrere ogni giorno con maggiore chiarezza e intensità questo processo spirituale di identificazione, rappresenta in sintesi l’itinerario dell’unità di vita e della santità del sacerdote ministeriale».29
Il Papa crede proprio che la prima grande intuizione di Don Bosco sia appunto questa di sentirsi collaboratore degli Apostoli per consacrazione divina: «Nessuna divisione in lui tra il tempo da dare a Dio e quello da offrire alle opere, ai giovani, agli impegni dell’apostolato».30
E qui il Papa affronta il tema della mutua inseparabile tensione tra consacrazione e missione, che «non costituiscono due poli in antitesi, ma si fondono nel superiore equilibrio della carità pastorale, che porta vitalmente in sé una mirabile grazia di unità. La missione, infatti, è per il prete una componente della stessa consacrazione; e l’azione ministeriale è, a sua volta per lui, una concreta manifestazione di interiorità. Il Signore consacra ed invia; l’azione apostolica è frutto della carità pastorale».31
Non si può scoprire il segreto motore di Don Bosco «Santo e Fondatore» senza approfondire attentamente la sua condizione di prete, «ministro di Cristo» e «amministratore dei misteri di Dio».32 Egli è prete ovunque, come lui stesso affermò nel 1866 al presidente del consiglio dei ministri Bettino Ricasoli, che l’aveva convocato a palazzo Pitti in Firenze, allora capitale provvisoria del Regno d’Italia.33
Il carisma di educazione
L’impegno del prete, ricorda il Papa, «non conosce esclusione di persone», coinvolge tutti. Tuttavia il nome di Don Bosco «resta inconfondibilmente legato a quel particolare carisma di educazione che lo fa giustamente chiamare il “Santo dei giovani”. E tale particolarità impone ai sacerdoti motivi di riflessione che oggi rivestono una drammatica urgenza».34
Nell’omelia pronunziata in occasione della solenne beatificazione di Laura Vicuña ai Becchi (da lui ufficialmente riconosciuto come il Colle delle beatitudini giovanili), Giovanni Paolo II ha sviluppato la sua riflessione su Don Bosco prete educatore, già ampiamente e profondamente affrontata nella lettera Iuvenum Patris. Si tratta della più chiara eredità lasciata dal Santo. Egli, come l’apostolo Giovanni, ha scritto con la sua vita apostolica «una lettera viva nel cuore della gioventù. E l’ha scritta in questa esultanza che è data ai piccoli e agli umili nello Spirito Santo. E questa lettera viva continua ad essere scritta nei cuori dei giovani, ai quali giunge l’eredità del Santo Educatore di Torino. E tale lettera diventa particolarmente limpida ed eloquente, quando da questa eredità di generazione in generazione crescono sempre nuovi santi e beati».35
Il Papa ha trovato qui il grande «messaggio profetico di San Giovanni Bosco educatore», la sua originalità e genialità, legate a «quella prassi educativa che egli stesso chiamò sistema preventivo. Questo rappresenta, in un certo modo, il condensato della sua saggezza pedagogica e costituisce quel messaggio profetico, che egli ha lasciato ai suoi e a tutta la Chiesa».36
La preventività del «sistema» ha, per il Papa, un significato assai attuale. La «volontà di prevenire il sorgere di esperienze negative» comporta «profonde intuizioni, precise opzioni e criteri metodologici, quali: l’arte di educare in positivo, proponendo il bene in esperienze adeguate e coinvolgenti, capaci di attrarre per la loro nobiltà e bellezza; l’arte di far crescere i giovani “dall’interno”, facendo leva sulla libertà interiore, contrastando i condizionamenti e i formalismi esteriori; l’arte di conquistare il cuore dei giovani per invogliarli con gioia e con soddisfazione verso il bene, correggendo le deviazioni e preparandoli al domani attraverso una solida formazione del carattere. Ovviamente, questo messaggio pedagogico suppone nell’educatore la convinzione che in ogni giovane, per quanto emarginato o deviato, ci sono energie di bene che, opportunamente stimolate, possono determinare la scelta della fede e dell’onestà».37
E a continuazione Giovanni Paolo II approfondisce «il trinomio ormai celebre della formula: “ragione, religione, amorevolezza”».38
Si tratta di criteri pedagogici che «non sono solo relegati al passato»; certamente il messaggio pedagogico di Don Bosco richiede «di essere ancora approfondito, adattato, rinnovato con intelligenza e coraggio, in ragione dei mutati contesti socioculturali, ecclesiali e pastorali. Tuttavia la sostanza del suo insegnamento rimane, le peculiarità del suo spirito, le sue intuizioni, il suo stile, il suo carisma non vengono meno, perché ispirati dalla trascendente pedagogia di Dio. Egli è attuale anche per un altro motivo: insegna a integrare i valori permanenti della Tradizione con le “nuove soluzioni”, per affrontare creativamente le istanze e i problemi emergenti: in questi nostri tempi difficili egli continua ad essere maestro, proponendo una “nuova educazione” che è insieme creativa e fedele».39
In forza dell’energia interiore della sua carità pastorale, Don Bosco riesce a «stabilire una sintesi tra attività evangelizzatrice ed attività educativa. La sua preoccupazione di evangelizzare i giovani non si riduce alla sola catechesi, o alla sola liturgia, o a quegli atti religiosi che domandano un esplicito esercizio della fede e ad essa conducono, ma spazia in tutto il vasto settore della condizione giovanile. Si situa, dunque, all’interno del processo di formazione umana, consapevole delle deficienze, ma anche ottimista circa la progressiva maturazione, nella convinzione che la parola del Vangelo deve essere seminata nella realtà del vivere quotidiano per portare i giovani ad impegnarsi generosamente nella vita. Poiché essi vivono un’età peculiare per la loro educazione, il messaggio salvifico del Vangelo li dovrà sostenere lungo il processo educativo, e la fede divenire elemento unificante e illuminante della loro personalità».40
Al termine della celebrazione eucaristica ai Becchi, il Santo Padre si è congedato con parole fortemente sentite di ammirazione per Don Bosco educatore.
Qui «pellegrina insieme con la Famiglia Salesiana è tutta la Chiesa: vengo io per dire grazie alla Divina Provvidenza per questo dono che ci ha fatto cento anni fa, per tutta la Chiesa, per il bene dei giovani, per il bene della comunità cattolica, cristiana, umana, non solamente qui in Piemonte, in Italia, ma in tanti Paesi, in tanti ambienti, in tutti i continenti. Porto qui anche un ringraziamento personale perché anche io sono vissuto durante cinque anni, o sei, in una parrocchia affidata ai Salesiani. E quando mi trovo qui su questo “Colle delle beatitudini”, Colle Don Bosco, quando mi trovo qui a guardare il frontone di questa chiesa, non posso non ricordare il frontone di un’altra chiesa che assomiglia un poco a questa, anche architettonicamente; la parrocchia di San Stanislao Kostka a Cracovia. Là mi ha toccato, attraverso i suoi figli spirituali, i Salesiani, il carisma di Don Bosco. Così vengo qui in pellegrinaggio con tutti voi per ringraziare per la parte che ha avuto San Giovanni Bosco, la sua Famiglia spirituale, il suo carisma, nella mia vita. Voglio ringraziare insieme con tutti i presenti, con i piemontesi, con i cileni, con gli argentini, con l’America Latina, con tanti Paesi del mondo qui rappresentati nelle diverse lingue, con tutti i continenti. Voglio ringraziare oggi, in questo luogo, dove è nato, vicino a questa casa dove è vissuto, dove ha avuto sua Madre Margherita, dove si è avvicinato alla sua vocazione».
Il genio educativo di Don Bosco, ha asserito il Papa, si è manifestato in sommo grado nell’amore verso i giovani: «per poter educare, bisogna amare».
Nel discorso rivolto agli operatori della scuola riuniti nella cattedrale di Torino Egli ha insistito sulla genialità di Don Bosco nel superare la distanza tra la civiltà umana e la fede cristiana. Con il suo amore egli fu «padre e maestro della gioventù», «il missionario dei giovani».
Bisogna saper custodire questo tipo di carità pedagogica: urge far rivivere la sua «preziosa eredità storica e spirituale e possedere la grazia di farla rifiorire».41 Un amore pieno di acuta sensibilità, capace di «ripristinare l’alleanza tra la scienza e la sapienza. Si rende necessario ricuperare la coscienza del primato delle verità e dei valori perenni della persona umana, in quanto tale. È necessario per tutto questo riaffermare con Don Bosco la convinzione che in ogni giovane ci sono energie di bene e qualità interiori che, se opportunamente stimolate, possono dare sapienza all’uomo».42
Occorre, come lui, proporre la santità quale meta concreta dell’educazione cristiana. «Che grande esigenza quella dell’educatore di poter convincere ciascuno dei discepoli di essere chiamato alla santità! Preoccupatevi, dunque, anche di rendere visibile il Vangelo nella vostra vita quotidiana. Solo così potrete avere un coinvolgente influsso evangelico sugli alunni a cui insegnate».43
Don Bosco è dunque, per il Santo Padre, un eccelso modello di carità pastorale nell’ambito culturale dell’educazione.
C’è poi bisogno, ha aggiunto il Papa, di promuovere la responsabilità dei genitori: «È maturato il tempo, ormai, delle associazioni dei genitori cristiani!». L’educazione, infatti, «è sempre l’emanazione della paternità e della maternità». E qui ha fatto un altro simpatico accenno a Mamma Margherita: «È a tutti nota quale importanza abbia avuto Mamma Margherita nella vita di San Giovanni Bosco. Non solo ha lasciato nell’Oratorio di Valdocco quel caratteristico “spirito di famiglia” che sussiste ancor oggi, ma ha saputo forgiare il cuore di Giovannino a quella bontà e a quella amorevolezza che lo faranno l’amico e il padre dei suoi poveri giovani».44
Vangelo e cultura popolare
Parlando alla comunità accademica dell’Università statale di Torino, Giovanni Paolo II ha trattato il tema, a lui caro, della cultura e dell’urgenza dell’educazione dell’uomo e della formazione globale della persona.
«L’Università è stata concepita come una particolare ”comunità”, fin dagli inizi dell’istituzione, nel Medioevo». È chiamata a realizzare «la difficile sintesi tra l’universalità del sapere e la necessità della specializzazione». Essa «deve servire all’educazione dell’uomo. A nulla varrebbe la presenza di mezzi e strumenti culturali, anche i più prestigiosi, se non si accompagnassero alla chiara visione dell’obiettivo essenziale e teleologico di una Università: la formazione globale della persona umana, vista nella sua dignità costitutiva e originaria, come nel suo fine».45
Egli ricorda poi che «la causa dell’uomo sarà servita se la scienza si allea alla coscienza. In questa sostanziale missione i doveri dell’Ateneo si incontrano con quelli della Chiesa. Chiesa e Università non devono, perciò, essere estranee, ma vicine e alleate. Tutte e due si dedicano, ciascuna alla propria maniera e con il proprio metodo, alla ricerca della verità, al progresso dello spirito, ai valori universali, allo sviluppo integrale dell’uomo. Un’accresciuta, reciproca comprensione tra loro non potrà che giovare al raggiungimento di queste nobili finalità che le accomunano».46
E qui il Santo Padre introduce il discorso su Don Bosco «promotore di una solida cultura popolare, formatrice di coscienze civili e professionali di cittadini impegnati nella società». Questo Santo, «nonostante la sua incredibilmente vasta attività, seppe coltivare in se stesso una solida preparazione culturale, unita a felici doti di esposizione letteraria, che gli permise di compiere un notevole apostolato. Egli sentì fortissimo l’impulso di elaborare una cultura che non fosse privilegio di pochi, o una astrazione dalla realtà sociale in evoluzione».
Don Bosco «ha inoltre manifestato uno straordinario interesse al mondo del lavoro. Egli ha avuto la lungimirante preoccupazione di dotare le giovani generazioni di una competenza professionale e tecnica adeguata, soprattutto in una città come Torino ed in una regione come il Piemonte, che, mediante avanzati centri di produzione industriale, hanno diffuso su scala mondiale le creazioni e i ritrovati scientifici del genio italiano. Notevole poi la sua preoccupazione di favorire una sempre più incisiva educazione alla responsabilità sociale, sulla base di una accresciuta dignità personale, a cui la fede cristiana non solo dona legittimità, ma conferisce anche energie di incalcolabile portata».47
Abbiamo qui una preziosa e autorevole riflessione su un aspetto certamente caratteristico di Don Bosco, la cui missione «giovanile e popolare» si addentra nell’ambito vivo della presenza del Vangelo come stimolo illuminatore e purificatore della cultura, in particolare con la comunicazione sociale tra il popolo.48
La responsabilità della Famiglia Salesiana
Il Santo Padre ha parlato in varie occasioni del carisma di Don Bosco, riferendosi alla Famiglia Salesiana che ne custodisce e ne trasmette la tradizione viva. Ai membri del Consiglio Generale aveva già ripetuto, anteriormente e con insistenza, che tutti i Salesiani debbono essere, come il loro Fondatore, «missionari dei giovani».
Nel pellegrinaggio di settembre ha parlato di questo patrimonio, da far fruttificare, soprattutto nell’omelia dell’Eucaristia celebrata nella piazza di Maria Ausiliatrice: «Caro Santo, quanto ci è necessario il tuo grande carisma! Benché tu ci abbia lasciato cento anni fa, sentiamo la tua presenza nel nostro “oggi” e nel nostro “domani”».49
Ha ricordato alla Famiglia Salesiana che essa è la portatrice dell’«eredità spirituale del suo Fondatore»; eredità «fortemente innestata nella Chiesa».
Don Bosco ha educato i suoi collaboratori a lasciarsi avvolgere dal «mistero del bambino», così ben presentato dall’odierna lettura liturgica del Vangelo: Mt 18,5. Questo è stato il suo carisma: accogliere i giovani in nome di Cristo. «Per lui educare significava impersonare e rivelare la carità di Cristo, esprimere il continuo e gratuito amore di Gesù per i piccoli e i poveri, e sviluppare in essi la capacità di ricevere e di donare affetto».50
Insisteva con i suoi: «Ognuno procuri di farsi amare»: ecco un indispensabile atteggiamento di spiritualità pedagogica. «La carità operosa e sapiente, riflesso e frutto della carità di Cristo, fu così, per San Giovanni Bosco, la regola d’oro, la molla segreta che gli fece affrontare stenti, umiliazioni, opposizioni, persecuzioni, per dare ai giovani pane, casa, maestri e specialmente per procurare la salute delle loro anime; e che gli permise di aiutare i piccoli a compiere ed apprezzare “con slancio ed amore” gli impegni faticosi, necessari alla formazione della loro personalità».51 Insisteva continuamente sull’importanza di «lasciarsi guidare da una grande fiducia in Dio», che lo aveva sorretto nella sua non facile impresa. Lui è vostro modello, «l’uomo umile e fiducioso, e perciò anche forte, pieno di coraggio divino, di coraggio sacro nel vivere».
L’educatore che ama molto, dice il Papa, «deve avere un’enorme fiducia. L’uomo che lavora molto, deve permanere costantemente nella presenza di Dio».52
Anche parlando alle Religiose, riunite in basilica, aveva prima sottolineato l’importanza dell’unione con Dio nella esperienza vissuta da Don Bosco: egli «ha testimoniato in tutta la sua esistenza il primato della vita interiore. Questo primato lo ha mirabilmente coniugato con l’intensa attività a servizio dei fratelli, un servizio generoso e lieto, indefesso e radicale, trasparenza della sua comunione con il Signore».53
Ma poi, nell’omelia, il Papa ha voluto lasciare delle raccomandazioni specifiche alla Famiglia Salesiana, chiamata a «raccogliere con impegno generoso la missione ed il servizio per l’educazione giovanile ereditati da Don Bosco».54
E le raccomandazioni che ci fa sono tre:
1a. «Affrontare con coraggio e con animo pronto i sacrifici che il lavoro tra i giovani richiede. Don Bosco diceva che occorre essere pronti a sopportare le fatiche, le noie, le ingratitudini, i disturbi, le mancanze, le negligenze dei giovani, per non spezzare la canna fessa, né spegnere il lucignolo fumigante».
2a. «Alla Famiglia Salesiana è affidato in modo speciale il compito di conoscere i giovani, per essere, nella Chiesa, animatori di un apostolato peculiare, orientato specialmente verso il servizio della catechesi».
3a. «È compito particolare dei figli di Don Bosco incarnare una spiritualità della missione tra i giovani, avendo sempre presente che la personalità del giovane si modella sulla figura del suo educatore».55
Possiamo aggiungere che Giovanni Paolo II (che ha confessato la sua «predilezione appassionata per la gioventù»56) ci ha poi dato anche una lezione di come parlare oggi ai giovani: sia nella Buona Notte al Confronto DB/88, sia nello stadio comunale.
Li ha esortati a essere giovani «ardimentosi, convinti, aperti alla speranza»; 57 e ha parlato loro di argomenti profondi e impegnativi: «giovani e scelta cristiana», «giovani e Chiesa»; «giovani e valori morali»; «giovani e impegno sociale».58
Davvero l’eredità di Don Bosco richiede con urgenza da tutta la Famiglia Salesiana di «studiare attentamente il mondo giovanile, per aggiornare costantemente le linee pastorali appropriate, mettendo sempre in luce, con attenzione intelligente e amorosa, le aspirazioni, i giudizi di valore, i condizionamenti, le situazioni di vita, i modelli ambientali, le tensioni, le rivendicazioni, le proposte collettive del mondo giovanile nel suo costante evolversi».59
Don Bosco «vero»
Queste riflessioni di Giovanni Paolo II rivelano certamente, negli aspetti più veri e più profondi, l’importanza ecclesiale di Don Bosco, quale iniziatore di una concreta e prodigiosa tradizione spirituale. Non si può, infatti, oggi guardare a lui senza considerare la vitalità del suo spirito, presente e operativo in tutti i continenti.
Don Bosco Fondatore ha iniziato questa «tradizione viva», non plagiando — magari con furbizia — degli adolescenti di poca personalità, ma formando in loro — per trasmissione di vita e in docile e intelligente ascolto dello Spirito del Signore — convinzioni chiare e robuste, atteggiamenti evangelici originali, criteri pedagogico-pastorali, operosa inventiva e bontà di convivenza, che hanno arricchito le loro non comuni qualità personali: pensiamo a Rua, Cagliero, Fagnano, Lasagna, Albera, Rinaldi, Lemoyne, ecc.
La lettura di quanto il Papa ha meditato ci dovrebbe servire anche ad evitare certi riduzionismi in cui si può incappare quando si prescinde dall’ottica della sua santità e del suo carisma fondazionale.
Qualcuno ha detto che «il Don Bosco vero è più grande del Don Bosco storico!». È una frase che può venir fraintesa, ma che si può anche leggere con intelligenza, senza suscettibilità forse equivoche. Ci può essere, infatti, una «dotta superficialità» ferma a metodi di sola razionalità umana che, pur essendo preziosi e anche — in parte — oggettivi, non esauriscono il tema, perché non affrontano il segreto fontale della grandezza di un Santo Fondatore. È pacifico, per un credente, che non è possibile leggere oggettivamente la realtà «vera» di un Santo, prescindendo dall’azione dello Spirito del Signore e dalla tradizione viva e continuata (rilanciata con fedeltà dopo il Concilio Vaticano II), vissuta posteriormente con entusiasmo dai suoi migliori discepoli.
Il credente suole andare più in là degli strumenti — pur validi — della razionalità umana. La liturgia, per esempio, che esprime l’autenticità della fede cristiana, dice e proclama «il vero» su Cristo e sull’oggettività del suo mistero, anche se non si serve della critica scientifica (che, peraltro, non disprezza). Così, risulterebbe terribilmente riduttivo chi volesse giudicare la presenza reale del Corpo e del Sangue di Cristo nell’Eucaristia con il solo approccio della chimica e della fisica, anche se sono scienze indispensabili.
La fede ci insegna che nella storia interviene effettivamente lo Spirito del Signore, con la sua ineffabile potenza e con la sua imprevedibile creatività. San Paolo, predicando il paradosso di «Cristo crocifisso», esclama con vigore: «Sta scritto: distruggerò la sapienza dei sapienti e squalificherò l’intelligenza degli intelligenti. Nel disegno sapiente di Dio il mondo, con la sua sapienza, non ha conosciuto Dio. Predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio. Quando sono venuto tra voi l’ho fatto con semplicità. Mi presentai a voi debole, pieno di timore e di preoccupazione. Vi ho predicato e insegnato non con abili discorsi di sapienza umana. Era la forza dello Spirito a convincervi. Così la vostra fede non è fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio».60
Lo stile liturgico e pastorale del Santo Padre nei suoi interventi su Don Bosco, ci aiuta ad approfondire la parte più fondamentale e viva della verità su di lui, sul suo patrimonio spirituale e pastorale, sulla sua originale via evangelica di sequela del Cristo.
Lo vediamo così, con più chiarezza, quale «segno e portatore dell’amore di Dio ai giovani».61
— Per concludere, cari confratelli, vi esorto ad ascoltare con attenzione e con propositi operativi questo Papa che ci invita a ritrovare in pienezza lo spirito di Don Bosco. Noi stessi ce lo siamo proposto il 14 maggio con la solenne rinnovazione della nostra Professione.
La sera del 3 settembre — giornata intensa di grandi emozioni — mentre cenavamo nel refettorio di Valdocco e commentavamo con ammirazione ciò a cui avevamo partecipato, un Vescovo venuto da lontano, e che sedeva di fronte a me, sintetizzò così il cumulo delle sue impressioni:
«Per me è come se il carisma di Don Bosco incominciasse oggi. Penso al Concilio Vaticano II che gli ha tolto tanta polvere e dei freni. E mi ha commosso questo straordinario e coraggioso Giovanni Paolo II che lo ha lanciato, proprio qui dai luoghi di origine, verso il terzo millennio».
Mi è sembrato un giudizio ispirato.
Ve lo consegno come tema di riflessione e come aspirazione di futuro.
Don Bosco dal cielo interceda riconoscente per questo Papa, tanto benemerito del suo Centenario, e ottenga per noi giovinezza di spirito e instancabile inventiva pastorale.
Sarà «il dono più prezioso che possiamo offrire ai giovani».62
Auguro a tutti un fecondo Anno nuovo.
Cordialmente nel Signore,
D. Egidio Viganò
NOTE LETTERA 39
1 MR 11
2 IP 13
3 ib. 5
4 ib. 8
5 ib. 16
6 IP 20
7 ib. 5
8 MR 11
9 Discorso a Castelnuovo 4
10 Discorso a Castelnuovo 4
11 ib.
12 Discorso al Palazzetto dello Sport 5
13 Al termine della celebrazione al Palazzetto dello Sport, prima della benedizione apostolica
14 ib. 6
15 ib. 1
16 Discorso ai Presbiteri ecc. 5
17 Angelus 2; Om. Piazza M. Ausiliatrice; passim altri discorsi
18 IP 20
19 Discorso a Chieri 1
20 ib.
21 Discorso a Chieri 3-4
22 ib. 2
23 ib. 5
24 Discorso ai Presbiteri 1
25 ib.
26 Discorso ai Presbiteri 1
27 ib.
28 ib.
29 Discorso ai Presbiteri 2
30 ib. 2
31 ib. 4
32 cf. 1 Cor 4, 1
33 Discorso ai Presbiteri 1
34 ib.
35 Omelia ai Becchi 1, 2
36 IP 8
37 ib.
38 IP 10-12
39 ib. 13
40 ib. 15
41 Discorso agli operatori della scuola 1
42 ib. 4
43 Discorso agli operatori della scuola 7
44 ib. 8
45 Discorso all’Università 2. 3. 4
46 Discorso all’Università 4
47 ib. 5
48 cf. Cost 6. 7. 29. 33. 43
49 Omelia piazza M. Ausiliatrice 11
50 ib. 4
51 ib. 5
52 Omelia piazza M. Ausiliatrice 7
53 Discorso alle religiose 2
54 Omelia piazza M. Ausiliatrice 8
55 ib.
56 Discorso all’Università 2
57 cf. Buonanotte Confronto
58 Discorso allo Stadio
59 Omelia piazza M. Ausiliatrice 8
60 1 Cor 1, 18; 2, 5
61 Cost 2
62 Cost 25