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«STUDIA DI FARTI AMARE»
Introduzione. - Evento spirituale. - Un simbolo della nostra Professione. - «Fatevi amare», ci ripete Don Boco. - Alcune urgenze della nostra carità pastorale: a. la centralità di Cristo; b. il criterio oratoriano; c. la cura delle vocazioni; d. il coinvolgimento dei laici. - Sempre affidàti a Maria. - Un centenario, fonte di benedizioni.
Lettera pubblicata in ACG n. 326
Roma, 31 maggio 1988
Cari Confratelli,
il 14 maggio scorso, anniversario della prima Professione salesiana emessa coraggiosamente da 22 giovani nelle mani di Don Bosco nel 1862, ha avuto luogo in tutte le Comunità e Ispettorie il rito più significativo, per noi, delle manifestazioni centenarie della morte del nostro Padre: il giuramento di fedeltà al suo carisma con la solenne rinnovazione della nostra Professione religiosa.
Ho avuto il piacere di presiedere la celebrazione fatta nella basilica di Maria Ausiliatrice a Valdocco, gremita da quasi un migliaio di confratelli delle tre Ispettorie piemontesi e da vari rappresentanti di altre Case nel mondo. Una giornata memorabile, ricca di significato spirituale e di speranza, in profonda comunione con tutti i Salesiani dei cinque continenti. Alla fine, raccolti intorno all’urna di Don Bosco, abbiamo ascoltato con commozione alcune raccomandazioni paterne del suo testamento e ci siamo sentiti invogliati a continuarne con generosa e intelligente inventiva la missione giovanile e popolare, mentre chiedevamo con fiducia l’aumento delle vocazioni. Usciti nel cortile, ci aspettava un folto gruppo di pellegrini della Valle d’Aosta, guidato dal loro carissimo Vescovo e rallegrato dai suoni armoniosi e vivaci di una banda giovanile. Uno dei giovani musicisti, di appena 12 anni, prese il microfono e ci rivolse brevemente alcune espressioni indimenticabili: «Grazie a voi, Salesiani tutti, per aver rinnovato la vostra consacrazione a favore dei giovani nel nome di Don Bosco. Ve lo diciamo noi, ragazzi della Valle d’Aosta, discendenti di quegli spazzacamini che Don Bosco ospitò qui, agli inizi della sua opera. Le cose sono cambiate (oggi ci presentiamo con la camicia bianca), ma il cuore prova gli stessi sentimenti di ieri di fronte al successore di Don Bosco, a cui auguriamo tanta letizia nel lavoro che sappiamo costante e sacrificato per noi giovani. Grazie!».
Abbiamo pensato spontaneamente che quei ragazzi valdostani rappresentavano tanti giovani del mondo e ne interpretavano i sentimenti, guardando alla Professione salesiana come al «dono più prezioso» che viene loro offerto ancor oggi da Don Bosco.1
Evento spirituale
I commenti positivi dei confratelli hanno messo in luce il valore profondo di questo evento. Una Congregazione così numerosa e universale ha voluto, in un medesimo giorno da parte di tutti i suoi membri, rinnovare la scelta fondamentale e l’espressione suprema della propria vita di fede: l’opzione battesimale per Cristo, ripensata personalmente con chiara coscienza e definita comunitariamente secondo il progetto evangelico delle Costituzioni. È la nostra alleanza speciale con il Signore; un incontro di amore che segna e orienta tutta la vita; il dono totale di noi stessi a Dio ed ai giovani; il concreto senso cristiano di tutta un’esistenza consacrata dalla potenza dello Spirito. È l’atto più espressivo della nostra libertà di discepoli di Cristo. Giustamente le Costituzioni ci dicono che la Professione «è una scelta tra le più alte per la coscienza di un credente, un atto che riprende e riconferma il mistero dell’alleanza battesimale per una sua espressione più intima e piena».2
Siamo coscienti che si è trattato di un momento salesianamente ricco e assai impegnativo: espressione di una matura fedeltà; un evento che fa del Centenario una piattaforma di rilancio spirituale e apostolico. Ci siamo preparati lungamente, affinché il gesto non venisse ridotto a una semplice formalità, e siamo convinti che in quel giorno si è alzato il livello di grazia in Congregazione e che ne sperimenteremo presto i benefici effetti.
Essere fedeli al carisma di Don Bosco è stata la grande preoccupazione di questi decenni postconciliari; abbiamo meditato, discusso, lavorato e sperimentato tanto; il Signore e la Madonna ci hanno aiutato a rielaborare validamente la nostra Regola di vita con lo sguardo fisso simultaneamente alle origini e ai tempi nuovi. La Sede Apostolica, approvando le Costituzioni rinnovate, ha assicurato «l’autenticità evangelica della via tracciata dal Fondatore e riconosce in essa “un bene speciale per l’intero Popolo di Dio”».3
Per questo abbiamo giurato di essere fedeli. Lo abbiamo fatto con gioia e speranza, convinti di dare «una risposta sempre rinnovata alla speciale alleanza che il Signore ha sancito con noi», mentre ricordavamo con fiducia che «la nostra perseveranza si appoggia totalmente sulla fedeltà di Dio, che ci ha amati per primo, ed è alimentata dalla grazia della Sua consacrazione. Essa viene pure sostenuta dall’amore ai giovani ai quali siamo mandati».4
Un simbolo della nostra Professione
Il nuovo «Rituale della Professione religiosa» per la nostra Società prevede la consegna di un simbolo speciale della consacrazione salesiana. Per questo, il 14 maggio è stata consegnata, durante la rinnovazione della Professione, una «medaglia di Don Bosco» ai confratelli temporanei, e una «croce del Buon Pastore» ai confratelli perpetui.
L’incisore della medaglia, l’artista Ettore Calvelli, ha voluto creare un volto di Don Bosco che mostrasse il suo cuore oratoriano («Da mihi animas») ed il suo carattere operativo, deciso e ispirato, quale modello vivo di ogni nuovo professo: un vero Maestro della prassi educativa salesiana, dallo sguardo penetrante che avvince gli animi in una comunione familiare di ideali e di amicizia per la crescita gioiosa e responsabile di una vita apostolica consacrata. Si è lasciata libera la parte posteriore della medaglia perché vi si possa incidere il nome del confratello che la riceve, quale segno dell’intenzione della sua volontà di impegno definitivo.5
A sua volta l’incisore della croce, l’artista Giandomenico Sergio, ci ha regalato quello che io considero il simbolo più espressivo della nostra caratteristica nella Chiesa. Ha scolpito, in un circolo posto sul «recto» della croce, una raffigurazione del Buon Pastore, ossia di Gesù Cristo, che è il vero «inventore» e insuperabile modello della Pastorale. L’incisione è ispirata al famoso affresco del secolo 2° che si trova nelle catacombe di Priscilla a Roma e ricorda la parabola del Buon Pastore nel Vangelo di Giovanni;6 Gesù porta una pecorella sulla spalla e ne ha altre due ai suoi piedi; ai lati dell’espressiva figura l’artista ha collocato due alberelli, su ciascuno dei quali c’è una simbolica colomba con nel becco un ramoscello d’ulivo.
È una incisione piena di fascino, ricca di genuina tradizione cristiana, che infonde fiducia, insegna bontà e sacrificio, esclude la violenza ed auspica pace e speranza. Ci fa ricordare le immortali parole del Vangelo: «il Buon Pastore è pronto a dare la vita per le sue pecore; le conosce ed esse lo conoscono. Ha anche altre pecore che non si trovano nel recinto; è inviato a prendere cura pure di esse; udranno la sua voce e diventeranno un unico gregge con un solo pastore».7
Nell’altro circolo, posto nel «verso» della croce, spicca una frase di Don Bosco, con incisa la sua stessa firma: Studia di farti amare.- Sac. Gio. Bosco. È la precisazione salesiana dello spirito e del metodo pastorale a favore dei giovani. Questa frase tanto suggestiva fu scritta dal nostro Padre nel 1863, in un pro-memoria che consegnò a don Rua quando lo inviò come primo direttore a Mirabello: «Siccome non posso trovarmi sempre al tuo fianco... ti parlo colla voce di un tenero padre che apre il cuore ad uno de’ più cari suoi figliuoli»; gli dà vari consigli, tra cui emerge quello di farsi amare.8
Certamente quella frase tanto significativa occupa una posizione strategica nello spirito salesiano. Don Bosco stesso la ripeterà a don Rua, designato suo successore, sul letto di morte; le Memorie Biografiche affermano infatti che «una delle ultime parole dette da Don Bosco a don Rua fu questa: fatti amare!».9 Possiamo ricordare inoltre come, nella famosa lettera da Roma del maggio 1884, Don Bosco insista appunto sul fatto che «non basta amare», ma che è necessario saper «farsi amare».10
I suoi exallievi assicurano esplicitamente che Don Bosco aveva ricevuto da Dio in sommo grado il dono del farsi amare;11 don Albera lo ricorda in una circolare indimenticabile: «Bisogna dire che Don Bosco ci prediligeva in modo unico, tutto suo: se ne provava il fascino irresistibile... sentivo d’essere amato in un modo non mai provato prima... singolarmente superiore a qualunque altro affetto: ci avvolgeva tutti e interamente quasi in un’atmosfera di contentezza e di felicità... Egli ci attirava a sé per la pienezza dell’amore soprannaturale che gli divampava in cuore».12 Lo stesso Don Bosco soleva affermare che il Sistema Preventivo è l’amore che attira i giovani a fare il bene: Iddio, essendo Amore, vuole che tutte le cose si facciano per amore.
Anche il Card. Cagliero testimonia che, quando fu incaricato di seguire il nascente Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, conferiva spesso con Don Bosco e che «Egli, sempre amabile, mi tranquillizzava con dire:“tu conosci lo spirito del nostro Oratorio, il nostro Sistema Preventivo ed il segreto di farsi voler bene...”».13
Giustamente il teologo Piano, exallievo della prima ora e parroco della Gran Madre di Dio, affermò, rivolgendosi a Don Bosco nell’ultima sua festa onomastica del 1887: «Cesserà di battere questo cuore, prima che cessi di amarvi; amare voi, noi lo teniamo come segno dell’amor di Dio».14
Si tratta, dunque, di un «farsi amare» che è espressione di una spiritualità e di una metodologia apostolica particolarmente originali.
«Fatevi amare», ci ripete Don Bosco
Dobbiamo riconoscere che questo messaggio profetico lasciatoci dal Fondatore dà un suo volto originale a tutta la nostra «consacrazione apostolica». Se il 14 maggio scorso abbiamo promesso tutti insieme di essere fedeli alla Professione religiosa, dovremo saper approfondire e dare particolare rilevanza a questo messaggio. Esso assicura nel tempo la vera identità dello spirito salesiano e la genuina metodologia della nostra prassi educativo-pastorale.
Vediamo alcune espressioni delle Costituzioni che ce lo confermano con assoluta chiarezza.
Art. 1: Lo Spirito Santo formò in Don Bosco «un cuore di padre e di maestro, capace di una dedizione totale».
Art. 2: Il progetto lasciatoci dal nostro Fondatore è di «essere nella Chiesa segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani, specialmente ai più poveri».
Art. 4: «Don Bosco, ispirandosi alla bontà e allo zelo di S. Francesco di Sales, ci ha dato il nome di Salesiani»; un nome che precisa la nostra identità appunto come apostoli indefessi e amabili.
Art. 8: La presenza di Maria nella storia del carisma salesiano e il nostro affidamento a Lei sono orientati a farci «diventare tra i giovani testimoni dell’amore inesauribile del suo Figlio».
Art. 10: Lo spirito salesiano che ci ha trasmesso Don Bosco sotto l’ispirazione di Dio ha come «suo centro e sua sintesi la carità pastorale».
Art. 11: La sorgente di questa carità pastorale è il cuore stesso di Cristo con «l’atteggiamento del Buon Pastore che conquista con la mitezza e il dono di sé».
Art. 14: «La nostra vocazione è segnata da uno speciale dono di Dio, la predilezione per i giovani: “Basta che siate giovani, perché io vi ami assai”. Questo amore, espressione della carità pastorale, dà significato a tutta la nostra vita».
Art. 15: Cristo Buon Pastore vuole che il Salesiano tra i giovani sia «aperto e cordiale, pronto a fare il primo passo e ad accogliere sempre con bontà, rispetto e pazienza. Il suo affetto è quello di un padre, fratello e amico, capace di creare corrispondenza di amicizia. La sua castità e il suo equilibrio gli aprono il cuore alla paternità spirituale e lasciano trasparire in lui l’amore preveniente di Dio».
Art. 16: Lo spirito di famiglia deve caratterizzare ogni casa salesiana; essa «diventa una famiglia quando l’affetto è ricambiato... (e quando) in clima di mutua confidenza e di quotidiano perdono si prova il bisogno e la gioia di condividere tutto».
Art. 17: L’amore porta con sé ottimismo e gioia; il salesiano «crede nelle risorse naturali e soprannaturali dell’uomo, pur non ignorandone la debolezza... Diffonde la gioia e sa educare alla letizia della vita cristiana e al senso della festa».
Art. 18: Lo stile di amorevolezza è sostenuto e difeso dal lavoro e dalla temperanza: «Il salesiano si dà alla sua missione con operosità instancabile; (e) la temperanza rafforza in lui la custodia del cuore e il dominio di sé e lo aiuta a mantenersi sereno».
Art. 19: Il modo di farsi amare è, inoltre, operoso e animato continuamente dallo spirito di iniziativa, flessibile e creativo: «Nelle cose che tornano a vantaggio della pericolante gioventù o servono a guadagnare anime a Dio, io corro avanti — diceva Don Bosco — fino alla temerità».
Art. 20: Il Sistema Preventivo è descritto come «un amore che si dona gratuitamente, attingendo alla carità di Dio... (È un) modo di vivere e di lavorare per comunicare il Vangelo e salvare i giovani con loro e per mezzo di loro. Esso permea le nostre relazioni con Dio, i rapporti personali e la vita di comunità, nell’esercizio di una carità che sa farsi amare».
Art. 25: Il «Sistema» di Don Bosco ha portato e porta metodologicamente alla santità, «rivela il valore unico delle beatitudini, ed è il dono più prezioso che possiamo offrire ai giovani».
Art. 38: L’azione educativa e pastorale del salesiano «fa appello non alle costrizioni, ma alle risorse dell’intelligenza, del cuore e del desiderio di Dio, che ogni uomo porta nel fondo di se stesso. Associa in un’unica esperienza di vita educatori e giovani in un clima di famiglia, di fiducia e di dialogo».
Art. 39: La pratica di questa metodologia comporta presenza attiva e amichevole tra i giovani: «esige da noi un atteggiamento di fondo: la simpatia e la volontà di contatto con i giovani».
Art. 40: L’esperienza spirituale e apostolica di Don Bosco a Valdocco rimane per noi criterio permanente di discernimento e di rinnovamento: «il suo primo oratorio fu per i giovani casa che accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita e cortile per incontrarsi da amici e vivere in allegria».
Art. 61: La testimonianza dei Consigli evangelici aiuta straordinariamente a farsi amare; essi «favorendo la purificazione del cuore e la libertà spirituale, rendono sollecita e feconda la nostra carità pastorale». E l’art. 63 aggiunge: «Configurando il cuore tutto per il Regno, (i Consigli evangelici) lo aiutano a discernere e ad accogliere l’azione di Dio nella storia; e lo trasformano in un educatore che annuncia ai giovani “cieli nuovi e terra nuova”, stimolando in loro gli impegni e la gioia della speranza».
Art. 81: L’amorevolezza di Don Bosco esige una castità a tutta prova che divenga segno distintivo dei Salesiani, come virtù che essi devono sommamente coltivare. «La nostra tradizione ha sempre considerato la castità una virtù irradiante, portatrice di uno speciale messaggio per l’educazione della gioventù. Essa ci fa testimoni della predilezione di Cristo per i giovani, ci consente di amarli schiettamente in modo che “conoscano di essere amati”, e ci rende capaci di educarli all’amore e alla purezza». Per questo il salesiano deve ricorrere — come suggerisce l’art. 84 — «con filiale fiducia a Maria Immacolata e Ausiliatrice, che lo aiuta ad amare come Don Bosco amava».
Questa rapida carrellata di precise e illuminanti affermazioni delle Costituzioni mette in evidenza la rilevanza del tema e il suo valore caratterizzante la nostra Professione religiosa, così da giustificarne la scelta come espressione di uno stile d’identità. Esso dà un accento originale allo spirito salesiano e alla nostra prassi educativo-pastorale.
Certo: la santità esige sempre una profonda umiltà, che comporta il distacco da sé medesimi nella pratica di un proficuo svuotamento del proprio io. L’imitazione di Cristo insegna a desiderare di essere sconosciuto e reputato da nulla («ama nesciri et pro nihilo reputari»).15 Si tratta di un saggio consiglio monastico, di per sé fondamentale; che però non si può applicare a tutti nello stesso modo.
Nella vita ministeriale e apostolica c’è da tenere in conto la esigente massima paolina: «vi chiedo di imitarmi»; 16 «siate miei imitatori, come anch’io lo sono di Cristo»; 17 «fratelli miei, fate come me, guardate a quelli che seguono il nostro esempio».18 San Paolo ci insegna che dobbiamo rivestirci di Cristo, così che Lui sostituisca il nostro io e si possa affermare con verità: «per me il vivere è Cristo»; 19 «non sono più io che vivo: è Cristo che vive in me. La vita che ora vivo in questo mondo la vivo per la fede nel Figlio di Dio che mi ha amato e volle morire per me».20
Questa mistica apostolica è quella che permea il cuore e il ministero di Don Bosco. Essa richiede un’ascesi assai esigente per far sì che lo svuotamento di sé arrivi a dare alla propria vita una trasparenza che la trasformi in «esistenza sacramentale» perché propone sé stessi come segni e portatori dell’amore di Cristo. È davvero impossibile una santità senza umiltà; ma c’è anche un’umiltà, raggiunta con la pratica di particolari virtù specialmente di tipo sociale, che può essere qualificata come «sacramentale», nel senso che rende l’esistenza del discepolo significativa e attraente in quanto contiene il mistero di Cristo e lo comunica mediante la propria vita. Tutto ciò fonda e giustifica la spiritualità e la metodologia apostolica del «farsi amare»: siate miei imitatori, come anch’io lo sono di Cristo!
Alcune urgenze della nostra carità pastorale
Rinnovare solennemente la Professione religiosa in questo Anno centenario comporta certamente dei propositi di futuro. Non abbiamo preparato per il 14 maggio una semplice cerimonia devozionale, ma abbiamo espresso solennemente una precisa volontà di sentirci Salesiani dei tempi nuovi con capacità di rispondere alle sfide attuali. Mi sono chiesto da tempo quali potrebbero essere, in tal senso, alcuni degli aspetti più strategici da curare in tutta la Congregazione.
Mi soffermo su alcuni assai vitali, in corrispondenza a quattro articoli delle Costituzioni, la cui «osservanza» inciderà assai positivamente nel nostro rinnovamento. Così si capirà meglio che «osservare la Regola» comporta un atteggiamento d’impegno attivo e costante per conoscere, studiare, discernere, progettare, rivedere, collaborare, operare gioiosamente e, soprattutto, intensamente pregare.
a. La centralità di Cristo.
L’articolo 3 delle Costituzioni dice che la nostra è una «vita di discepoli del Signore», e che noi ci siamo offerti totalmente a Dio «per camminare al seguito di Cristo e lavorare con Lui alla costruzione del Regno».
In vista di questa nostra offerta, che è già di per sé una grazia ricevuta, Iddio Padre «ci consacra col dono del Suo Spirito e ci invia ad essere apostoli dei giovani». Il dono dello Spirito permea il nostro cuore con la soave sua potenza e ci rende capaci di piena fedeltà a questa vita di discepoli. Il segreto di riuscita sta nel saper rinsaldare costantemente i vincoli della nostra preziosa alleanza con Dio.
Sappiamo che ciò che la può indebolire è la superficialità spirituale, e che ciò che la assicura quotidianamente è l’incontro con Cristo-Eucaristia.
Ebbene: la solenne rinnovazione della Professione richiama ogni confratello a curare nella sua vita la costante centralità di Cristo: tutto da Lui, con Lui e per Lui! È appunto per tal motivo (anche su richiesta di vari confratelli) che nella mia prima circolare di questo Anno centenario ho voluto trattare attentamente il tema dell’«Eucaristia nello spirito apostolico di Don Bosco».21
Vi prego, cari confratelli, di far costante oggetto di meditazione i contenuti di questa circolare, se volete essere capaci di «osservare» davvero l’importante articolo 3, che illumina i contenuti della formula della nostra Professione.22
b. Il criterio oratoriano.
Un altro orientamento delle Costituzioni che ci impegna con particolare attualità ci è dato dall’articolo 40; esso afferma che «nel compiere oggi la nostra missione, l’esperienza pastorale del primo Oratorio di Valdocco rimane criterio permanente di discernimento e rinnovamento di ogni attività e opera».
Un tale criterio esige di partire anzitutto dalla condizione giovanile dei ragazzi più bisognosi e dai ceti popolari («opzione preferenziale per i poveri»!) con la preoccupazione centrale di una formazione cristiana («parrocchia che evangelizza»), ma simultaneamente di accoglienza familiare («casa»), di promozione umana («scuola») e di convivenza culturale e sportiva nell’allegria («cortile»). È una modalità d’intervento caratteristica del nostro carisma. Ci propone un programma di revisione e di inventiva pastorale in conformità ai vari livelli di cultura e di fede in cui si trova la gioventù.
Al livello più alto non dovrà mai mancare una precisa proposta di spiritualità giovanile che assicuri tra i giovani un gruppo di loro stessi che divengano valido fermento di evangelizzazione tra i compagni («movimento giovanile salesiano»). Don Bosco ha saputo realizzare un’esperienza pedagogica di santità giovanile ed ha dimostrato metodologicamente la validità di una così alta finalità con risultati ammirevoli. Dobbiamo esserne convinti e divenire aggiornati promotori di questa sua saggezza pastorale, senza lasciarci plagiare da mode «secolariste» o «populiste» che a volte vorrebbero, purtroppo, annegare il nostro carisma in progetti di sapore orizzontale o di correnti piuttosto sociopolitiche.
c. La cura delle vocazioni.
Nel capitolo sui destinatari della nostra missione le Costituzioni, all’articolo 28, ci ricordano «che tra i giovani molti sono ricchi di risorse spirituali e presentano germi di vocazione apostolica». Concretamente questo significa che dobbiamo saper collocare le varie nostre presenze anche in ambienti sociali di sensibilità cristiana e, inoltre, lanciare iniziative associazionistiche specifiche, per cui divenga di fatto possibile che noi aiutiamo tanti giovani «a scoprire, ad accogliere e a maturare il dono della vocazione laicale, consacrata, sacerdotale, a beneficio di tutta la Chiesa e della Famiglia Salesiana».
Credo opportuno, al riguardo, insistere su due esplicite indicazioni costituzionali che coinvolgono oggettivamente chi ha rinnovato la Professione salesiana con sinceri propositi di fedeltà. La prima è quella di sottolineare che tra le finalità specifiche della Congregazione c’è la volontà di essere fedeli a Don Bosco nella «cura particolare per le vocazioni apostoliche».23 La seconda è di insistere sulla responsabilità della Comunità ispettoriale, e quindi di ogni casa, di «coordinare e verificare il lavoro apostolico, di favorire la collaborazione e di animare la pastorale vocazionale».24
Le Costituzioni ci assicurano che questa è un’«opera di collaborazione al disegno di Dio, coronamento di tutta la nostra azione educativa pastorale, (che va) sostenuta dalla preghiera e dal contatto personale, soprattutto nella direzione spirituale».25
Cari confratelli, c’è da lamentare, in alcuni luoghi, uno scadimento tra i soci presbiteri della preziosa loro prestazione nel servizio ministeriale del sacramento della Riconciliazione, al quale Don Bosco si dedicava instancabilmente e a cui assegnava straordinaria importanza pedagogico-pastorale, in modo particolare per la maturazione della vocazione.
Le nostre comunità, poi, dovrebbero testimoniare un clima di gioiosa convivenza e di intenso lavoro che «susciti nei giovani il desiderio di conoscere e seguire la vocazione salesiana»26 così che ogni casa divenga «fermento di nuove vocazioni, sul modello della prima comunità di Valdocco».27
Ogni confratello deve sentirsi impegnato in questo delicato e indispensabile compito, incominciando dalla preghiera fino alla proposta esplicita e pedagogicamente adeguata.
Ciascun Direttore ha, al riguardo, una peculiare e insostituibile responsabilità: egli «non può chiamarsi vero figlio di Don Bosco se...non si studia in tutti i modi di suscitare il maggior numero possibile di vocazioni nel campo assegnatogli dalla Provvidenza».28
d. Il coinvolgimento dei laici.
Infine, l’articolo 5 delle Costituzioni ci impegna a promuovere fortemente la Famiglia Salesiana. Tra i gruppi che la compongono, la Associazione dei Cooperatori e quella degli Exallievi sono composte prevalentemente da laici. Abbiamo verso di esse, per volontà del Fondatore, una particolare responsabilità: «mantenere l’unità dello spirito e stimolare il dialogo e la collaborazione fraterna per un reciproco arricchimento e una maggiore fecondità apostolica». Parlando del Consigliere per la Famiglia Salesiana, le Costituzioni affermano che egli «orienta e assiste le Ispettorie, affinché nel loro territorio si sviluppino, secondo i rispettivi statuti, l’Associazione dei Cooperatori salesiani e il movimento degli Exallievi».29
Se vogliamo vivere integralmente la nostra Professione mettendo in pratica l’articolo 5 delle Costituzioni, dobbiamo aprire molto di più i nostri orizzonti sul laicato. È, questa, una chiara esigenza del Concilio Ecumenico Vaticano II e una assai concreta direttiva pastorale dell’ultimo Sinodo dei Vescovi. Stiamo aspettando la Lettera apostolica del S. Padre per illuminare ancor meglio questo nostro impegno. Io ho già insistito varie volte su questo tema, ricordando il pensiero e l’esempio di Don Bosco: 30 urge una maggior coscienza di «osservanza dinamica» al riguardo e una dedicazione molto più concreta, sia a livello ispettoriale che a livello di ogni comunità locale. La mancanza di crescita in tale settore sarebbe un metro per valutare una eventuale carenza di fedeltà a Don Bosco.
Non è questo un compito facile, né di sola organizzazione; comporta un autentico spirito salesiano e un forte zelo ecclesiale animato dal «da mihi animas».
E qui vorrei insistere ardentemente presso gli Ispettori sull’urgenza di designare dei Delegati davvero validi; e, presso i Direttori, sull’indispensabilità dell’impegno delle loro comunità. La vita di queste Associazioni e la loro crescita è radicata soprattutto nei centri locali, dove è più possibile intensificare lo spirito e promuovere l’azione.
Sarà utile che Ispettori e Direttori meditino con attenta volontà di realizzazione le indicazioni dei nostri Regolamenti generali 31 in riferimento ai Cooperatori e agli Exallievi, e inoltre che rileggano accuratamente ciò che vien detto al riguardo nei due recenti manuali di governo: L’Ispettore salesiano e Il Direttore salesiano.32
Come vedete, cari confratelli, la fedeltà promessa il 14 maggio scorso ha delle esigenze assai concrete di profondità e di creatività che lanciano l’«osservanza» del nostro Progetto salesiano di vita in un’orbita da percorrere secondo la velocità voluta dallo Spirito nella Chiesa e con sempre fresca inventiva.
I quattro aspetti che abbiamo commentato brevemente ne sono una riprova stimolante. La Congregazione tanto più eleverà il suo livello di profondità spirituale, quanto più si concentri e viva la centralità di Cristo, il criterio oratoriano, la cura delle vocazioni e il coinvolgimento dei laici.
Sempre affidàti a Maria
L’Anno centenario di Don Bosco (con la indimenticabile rinnovazione della Professione religiosa) è coinciso finora con lo straordinario Anno mariano indetto dal S. Padre per preparare il Duemila.
Ricordando il filiale Atto di affidamento fatto da tutta la Congregazione il 14 gennaio 1984, all’inizio dell’ultimo Capitolo Generale che ci ha dato il testo definitivo delle Costituzioni e dei Regolamenti generali, noi crediamo che quanto Maria fece per Don Bosco alle origini del nostro carisma, lo ha fatto anche con noi nel laborioso periodo di rinnovamento postconciliare e lo continuerà a fare nel cammino verso il Duemila e poi nel Terzomillennio. Lo proclama esplicitamente il testo costituzionale, nell’articolo 8, sia riferendosi alle origini che ai tempi nuovi.
L’affidamento all’Ausiliatrice va coltivato nella coscienza di ogni confratello, meditato e rinnovato con frequenza, come stimolo spirituale e di concreta efficacia per la vitalità e il vigore della nostra consacrazione. Maria infatti ci va immergendo maternamente nello Spirito, aiutandoci ad acquisire una sempre maggior consapevolezza che per noi il vivere è Cristo. Ella è la testimone più fulgida e l’aiuto più concreto e più coinvolgente, sia della presenza vivificante dello Spirito Santo, sia dei conseguenti vincoli profondi e vitali con il Signore. Nessuno ci può manifestare più oggettivamente di Lei l’azione del Paraclito che incorpora i credenti nella vita risuscitata del Figlio, e nessuno più di Lei ci incammina con maggior concretezza e bontà a dimenticarci di noi stessi e a vivere di Lui per farci amare.
Maria proclama magnificamente in se stessa il salto di qualità della Incarnazione e della Redenzione, che unisce definitivamente la trascendenza del Mistero con l’ordinarietà del quotidiano, la coerenza dell’eternità con il divenire del tempo, la vita della risurrezione con le vicissitudini dell’io mortale fino a fargli raggiungere quella intima «transpersonalizzazione» per cui si riveste di Cristo e vive di Lui. Maria ha mostrato i misteriosi valori di questo salto di qualità con un atteggiamento di fede tanto sublime da esser definita come «Colei che ha creduto». La sua fede si concentrò, per opera dello Spirito Santo, nel Cristo, concepito e sviluppato in Lei, cresciuto e maturato con Lei coinvolgendoLa sempre più esplicitamente nella sua missione fino alla pienezza del Calvario quando divenne, per testamento, la Madre dell’umanità.
Se a San Paolo la fede faceva esclamare «Per me il vivere è Cristo», con maggior ragione il cuore credente di Maria Le doveva suggerire: «Non sono più io che vivo; è Cristo che vive in me. La vita che ora vivo in questo mondo la vivo per la fede nel Figlio di Dio (che è anche figlio mio)!».
Ma inoltre Maria, assunta in cielo, vive perennemente con Cristo rivolta alla storia, intercedendo ininterrottamente con sollecitudine materna. Nella sua qualità di «Ausiliatrice Madre della Chiesa» sparge lungo i secoli i copiosi frutti di quel salto di qualità, iniziato nel suo grembo con la concezione del Verbo incarnato e portato a pienezza nella vittoria pasquale. Così Maria continua lungo la storia a generare Cristo nel cuore di ogni credente, affinché il suo io si possa «cristificare» divenendo segno e portatore dell’amore divino e costituendo, in comunione con gli altri credenti, quel «Sacramento universale di salvezza» che è la Chiesa pellegrina tra i popoli.
La quotidiana consapevolezza del nostro affidamento a Maria ci assicura l’aiuto di una Madre, i suggerimenti di una Maestra, le indicazioni sicure di una Guida, insieme ai genuini connotati dell’identità e fedeltà salesiana; ispira le tempestive risposte alle sfide dei tempi e rafforza le risorse della nostra inventiva pastorale in vista della esigente missione giovanile e popolare. L’affidamento a Maria dovrebbe accompagnare quotidianamente la prospettiva di futuro della nostra Professione.
Meditiamo, con atteggiamento orante, quanto ci ricordano le Costituzioni: «La Vergine Maria ha indicato a Don Bosco il suo campo d’azione tra i giovani e l’ha costantemente guidato e sostenuto specialmente nella fondazione della nostra società. Crediamo che Maria è presente tra noi e continua la sua “missione di Madre della Chiesa e Ausiliatrice dei Cristiani”».33
Un centenario, fonte di benedizioni
A modo di conclusione, diamo uno sguardo ai primi quattro mesi di quest’«Anno di grazia» che viviamo facendo memoria profetica di Don Bosco. Stiamo constatando, riconoscenti, una vera predilezione del Signore.
La Strenna della «pedagogia della bontà» ha avuto, possiamo dire, come magistrale commento, nientemeno che la magnifica Lettera apostolica del Papa, Iuvenum patris, che ha lanciato il messaggio della santità pedagogica di Don Bosco a tutta la Chiesa.
I Templi designati per il nostro Giubileo stanno accogliendo un numero sempre in aumento di pellegrini (particolarmente di giovani) soprattutto, e in forma straordinariamente crescente, a Valdocco e ai Becchi.
La rinnovazione della Professione religiosa e speciali mute di Esercizi Spirituali sono state una intensa espressione di profondità spirituale.
Le numerose celebrazioni, alla periferia e al centro (quelle a cui ho partecipato o di cui ho avuto notizia) hanno superato di gran lunga ogni aspettativa e sono servite a far conoscere Don Bosco, a seguirne gli insegnamenti e a rilanciare lo spirito e l’operosità dei gruppi componenti la Famiglia Salesiana.
Le pubblicazioni finora apparse stanno arricchendo qualitativamente il patrimonio della nostra letteratura storica, pedagogica e spirituale.
Il Movimento giovanile salesiano è cresciuto in coscienza d’identità e in entusiasmo e si sta preparando con vero impegno al «Confronto DB88».
In tante diocesi dei vari continenti si sono avute delle iniziative di studio, di preghiera e di progettazione della Pastorale giovanile ispirandosi a Don Bosco.
Anche nell’ambito civile ci sono state in vari Paesi manifestazioni di grande significato sociale e di riconoscente memoria (incontri celebrativi, convegni di studio, monumenti, francobolli, monete, medaglie, inni e recitals musicali, spettacoli di prestidigitazione ed espressioni artistiche di vario genere) che hanno messo in rilievo differenti aspetti della figura veramente poliedrica del nostro Padre: nel Messico ho ascoltato, cantato da moltitudini, questo bel ritornello: «il suo cuore è grande come le arene del mare, e anche dopo cento anni non ha cessato di amare»!
E stiamo aspettando ancora non pochi altri avvenimenti, portatori di grazia.
Ciò che più commuove è il vedere l’approfondimento della spiritualità di Don Bosco, l’interesse sempre più vasto per la sua pedagogia e, soprattutto, l’esplosione della simpatia e dell’amicizia verso di lui da parte di un numero incontabile di giovani di tutti i popoli.
Davvero: il Centenario ci mostra in mille modi l’attualità e l’urgenza del carisma di Don Bosco nel mondo e nella Chiesa! A noi tocca rinnovare la nostra fedeltà e il nostro spirito d’iniziativa con umile e intelligente atteggiamento filiale: «Il Signore — ci dicono le Costituzioni — ci ha donato Don Bosco come padre e maestro. Lo studiamo e lo imitiamo, ammirando in lui uno splendido accordo di natura e di grazia... Questi due aspetti si sono fusi in un progetto di vita fortemente unitario: il servizio dei giovani. Lo realizzò con fermezza e costanza, fra ostacoli e fatiche, con la sensibilità di un cuore generoso».34 E la più singolare caratteristica del suo cuore generoso è quella santità pastorale per cui ha saputo «farsi amare» tanto.
Guardando la bella «croce del Buon Pastore», simbolo della nostra consacrazione apostolica, ascoltiamo quotidianamente l’esortazione di Don Bosco: «studia di farti amare», quale orientamento autorevole di vita personale e comunitaria.
Porgo il mio cordiale saluto ad ognuno con l’assicurazione di un ricordo quotidiano nell’Eucaristia. Don Bosco interceda!
Vostro aff.mo
D. Egidio Viganò
NOTE LETTERA 37
1 cf. Cost 25
2 Cost 23
3 Cost 192
4 Cost 195
5 cf. Cost 24
6 Gv 10, 1-19
7 cf. Gv 10, 14-16
8 MB VII, 524
9 MB XVIII, 537
10 MB XVII, 107-114
11 MB XVII, 482
12 P. ALBERA, Don Bosco nostro modello, 18 ottobre 1920, in «Lettere circolari», Direzione Generale, Torino 1965, pag. 372-374
13 cf. MACCONO, S. Maria Mazzarello, I, 274, Ed. Istituto FMA, Torino 1960
14 MB XVIII, 366
15 Libro I, cap. 2, n. 3; e Libro III, cap. 15, n. 4
16 1 Cor 4, 16
17 1 Cor 11, 1
18 Fil 3, 17
19 Fil 1, 21
20 Gal 2,20
21 cf. ACG n. 324
22 cf. Cost 24
23 Cost 6
24 cf. Cost 58
25 Cost 37
26 Cost 16
27 Cost 57
28 cf. Il Direttore Salesiano, Ed. SDB, Roma, 1986, n. 122-124
29 Cost 137
30 cf. ACG 317, 318, 321
31 Reg 36, 38, 39
32 cf. L’Ispettore Salesiano, Ed. SDB, Roma, 1987, n. 342-344; Il Direttore Salesiano, Ed. SDB, Roma, 1986, n. 142-144
33 Cost 8
34 Cost 21