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Il Convegno dei Superiori Generali
su «LA VITA CONSACRATA OGGI»
Introduzione. - Rilevanza del Convegno. - L’impostazione originale dei temi. - La dinamica dei lavori. - I nuclei centrali della Vita consacrata. - La missione. - La comunione. - L’identità. - La formazione e le vocazioni. - Che diranno i Vescovi nella prossima assise sinodale?. - In cammino verso il Sinodo.
Lettera pubblicata in ACG n. 347
Roma, 8 dicembre 1993
Solennità dell’Immacolata
Cari confratelli,
siamo in clima liturgico di venuta del Signore: aspettiamo l’avvento del Natale e l’inizio di un nuovo anno di vita e di lavoro. Viene spontaneo porgervi i più cordiali auguri di crescita nella novità di Cristo e di feconda operosità in una ulteriore tappa cronologica d’impegno. Ringraziamo insieme il Signore per quanto ci ha donato nell’anno che tramonta, e chiediamogli luci ed energie per tutto il 1994.
Sarà l’anno del desiderato Sinodo episcopale sulla Vita consacrata. Un Sinodo chiamato a divenire storico negli annali della Chiesa.
A noi esso interesserà in modo particolare per saper confermare e sviluppare il processo di rinnovamento già incominciato da anni.
Come un passo nel cammino verso il Sinodo e come contributo ad esso, si è realizzato a Roma, tra il 22 e il 27 novembre 1993, un Convegno internazionale su La Vita consacrata oggi. — Carismi nella Chiesa per il mondo, organizzato dall’Unione Superiori Generali. Ad esso ho partecipato con altri sei confratelli e una Figlia di Maria Ausiliatrice.
Credo utile offrire alla vostra considerazione alcuni dati e riflessioni emersi durante l’incontro, sperando che servano a intensificare il clima di preparazione al nono Sinodo ordinario del prossimo ottobre.
Rilevanza del Convegno
In una circolare anteriore dal significativo titolo Invitati a testimoniare meglio la nostra consacrazione,1 ho messo in rilievo l’importanza che assume nella Chiesa il prossimo Sinodo sulla Vita consacrata.
Cosciente di questa importanza, l’Unione dei Superiori Generali (USG) ha voluto preparare un convegno, che offrisse l’occasione per una riflessione ampia e realista e portasse a formulare alcune proposte attuali e concrete da offrire al Sinodo. Il Convegno, pur partendo dall’esperienza degli Istituti propriamente «religiosi», si è voluto aperto alla riflessione su tutta la Vita «consacrata» per le forti convergenze che essa ha, nonostante le differenze, nella comunione della Chiesa.
Vi hanno partecipato più di 500 persone di circa 150 nazioni: 200 erano Superiori generali, molti accompagnati da membri dei loro consigli, 50 presidenti o rappresentanti delle Conferenze internazionali e nazionali dei religiosi/e e un centinaio di teologi. Erano presenti anche vari membri dei dicasteri romani e alcuni cardinali, vescovi e laici. Ad essi si deve aggiungere la partecipazione consistente delle Superiore generali e teologhe dell’Unione Internazionale Superiore Generali (UISG). Da notare che le Superiore generali avevano già celebrato un convegno simile, dato che, per il numero elevato e per la diversità degli approcci, non era sembrato loro né possibile né opportuno un convegno unico.
La celebrazione di un Congresso di tali dimensioni sulla Vita consacrata postconciliare ha rappresentato un momento di presa di coscienza gioiosa dei nostri carismi nella Chiesa e ha aperto orizzonti di speranza di fronte alle sfide del momento attuale.
È stata un’esperienza profonda di comunione, dialogo e confronto fra carismi, tradizioni, continenti e culture differenti.
Sono emersi la mondialità, la pluriformità culturale, la diversità dei carismi, il senso delle Chiese particolari, le esperienze positive, le prospettive di futuro, l’essenzialità della consacrazione, il valore teologale della missione, le ricchezze della dimensione comunitaria, la fiamma d’ardore da accendere nelle nuove generazioni.
Il Santo Padre ha voluto ricevere tutti i partecipanti, il venerdì 26 novembre, e ha parlato loro su temi appropriati e apportatori di speranza per i consacrati stessi e per tutta la Chiesa.
Il Convegno ha avuto globalmente un esito positivo, non solo per la numerosa e costante partecipazione, ma anche per la qualità dei contributi di studio, per l’intensità del dialogo e per le osservazioni e proposte elaborate.
Concluso il Convegno, le «proposte» sono state vagliate dai soli Superiori Generali in due giorni successivi (1 e 2 dicembre) per essere inviate ufficialmente alla Segreteria del Sinodo.
Credo sia stato, questo, l’impegno più grande degli Istituti maschili in preparazione all’assise dei Vescovi a ottobre.
L’impostazione originale dei temi
Un aspetto interessante da sottolineare è stata l’originalità e il realismo nell’impostazione dei lavori del Convegno.
Si è voluto partire dalla situazione presente e dal cammino vissuto nel periodo postconciliare, facendo emergere i valori costitutivi della Vita consacrata come risposte già in atto, anche se accompagnate da debolezze, alle sfide del cambio epocale che stiamo vivendo.
Perciò si è percorso un cammino differente da quello dei «Lineamenta», un cammino in certo modo complementare, offrendo una visione più esperienziale, fondata sulle situazioni concrete di questi decenni e sul momento attuale molto differente da quello in cui il Vaticano II dispose e stimolò «l’aggiornamento» degli Istituti religiosi.
I «Lineamenta» partono dal patrimonio dottrinale del Magistero, delineando in primo luogo la natura e identità della Vita consacrata e la sua varietà carismatica, per poi passare all’impegno di rinnovamento realizzato nel postconcilio, pur attraverso alcune ambiguità e incompiutezze; infine presentano la Vita consacrata nella sua vitale partecipazione alla Chiesa-comunione e alla Chiesa-missione, con le esigenze della nuova evangelizzazione.
In definitiva è risultato positivo il fatto che il Convegno abbia seguito un cammino differente, con l’intento di arrivare alla stessa meta. Le due ottiche, infatti, convergono sostanzialmente nelle loro conclusioni rafforzandosi così mutuamente nell’approfondire e orientare la Vita consacrata oggi.
Certamente il metodo del Convegno suppone alla base la chiara coscienza della propria identità, vissuta nell’esperienza del tempo e negli impegni postconciliari di rinnovamento.
Il fatto che si sia incominciato l’incontro con la presentazione dei risultati di un’inchiesta sociologica della Vita consacrata negli USA (dove alcuni consacrati sono in particolare difficoltà) e con uno studio scientifico elaborato dal Centro Loyola della Spagna riguardante circa 200.000 religiosi/e occidentali, intendeva offrire uno stimolo per prendere coscienza della situazione reale da una base più oggettiva.
I due studi sociologici, limitati ad alcune aree e quindi un po’ riduttivi, non sono stati offerti come lettura globale della realtà della Vita consacrata, che deve riferirsi anche ad altri parametri. Ma hanno messo in rilievo l’utilità di una mediazione sociologica quando si cerca, in un’ottica di fede, di scoprire ciò che sta dicendo Dio attraverso i fatti, positivi o negativi, in ordine ad un discernimento evangelico del processo di rinnovamento in un momento non facile di trasformazione.
Questa scelta di «partire dalla realtà» ha voluto invitare i partecipanti a privilegiare questa stessa prospettiva nelle loro riflessioni e nei loro apporti, tanto più che si trattava soprattutto di superiori impegnati quotidianamente nella complessa responsabilità di un cammino di rinnovamento e quindi competenti in un’esperienza diretta del vissuto.
Dopo le due inchieste sociologiche, arricchite dall’esperienza dei partecipanti, si passò ad analizzare la Vita consacrata sotto tre aspetti fondamentali: missione, comunione, identità, nell’ordine indicato. Si è trattato, in concreto, di una specie di ricerca di autocomprensione dell’identità della «vocazione consacrata» di fronte alle molteplici interpellanze dei cambiamenti culturali ed ecclesiali; di un tentativo di risposta alla domanda: «Qual è oggi l’immagine trasmissibile della Vita consacrata?». Sapendo che l’identità ha bisogno non solo di una presentazione dottrinale, ma anche di una descrizione secondo un linguaggio teologico-narrativo, che tenga in conto il fatto che la Vita consacrata è «vita» e «storia».
Durante la riflessione sui temi indicati e nel momento della sintesi, si è sottolineato, come aspetto di particolare urgenza nell’attualità, anche l’argomento la formazione e le vocazioni, ripreso con particolare cura dall’assemblea dei Superiori Generali nei due giorni posteriori al Convegno.
In questo incontro «mondiale», nel confronto di esperienze e negli interventi di persone con mentalità e culture diverse, non sono mancate affermazioni «discutibili», che sono state vagliate negli interessanti e vivaci lavori di gruppo. D’altra parte, vari apporti erano pensati a mo’ di stimolo e di informazione per rendere presenti e per far capire situazioni e mentalità esistenti di fatto. Non tutto ciò che è stato affermato nelle relazioni e nelle tavole rotonde rappresenta il pensiero conclusivo dell’assemblea.
Si può affermare però che attraverso il dialogo, nella varietà delle situazioni, nella molteplicità dei carismi, nelle differenze delle spiritualità, nella ricchezza dell’esperienza di Dio, si è percepita con chiarezza una convergenza fondamentale e una ricca prospettiva di pluralità teologica.
La dinamica dei lavori
È utile fare un accenno all’organizzazione dei lavori, per vedere come si sono coinvolti di fatto tanti partecipanti.
Al mattino venivano presentate anzitutto le ampie relazioni, nelle quali è confluito il lavoro di ben due anni da parte dell’USG; si svolsero poi, in relazione ai temi, quattro «tavole rotonde» per offrire stimoli dal punto di vista sia «geografico-culturale» che «carismatico».
Così, per esempio, nel giorno dedicato al tema della «missione» sono intervenuti, tra gli altri: don Giovanni E. Vecchi — nostro Vicario generale — con un apporto di tipo «geografico-culturale» sulla «missione» in America Latina durante questi anni di trasformazione; e il nostro confratello don Riccardo Ezzati — addetto alla Congregazione per gli Istituti di Vita consacrata, sezione Religiosi — con un apporto di tipo «carismatico» sulle sfide alla «missione» nei carismi di vita apostolica secondo l’esperienza vissuta dopo il Concilio.
Nel pomeriggio c’erano due tempi di lavoro: il primo di riunione in gruppo con ben 27 gruppi linguistici, per approfondire le esposizioni del mattino con riferimento a quattro prospettive o angolature particolari: «cultura», «carismi», «formazione», «futuro», distribuite fra gli stessi gruppi.
Nel secondo tempo i vari gruppi linguistici convenivano in ampie «costellazioni» (erano 5) per concentrare le riflessioni fatte nei gruppi secondo due direzioni sintetiche: gli «aspetti dottrinali» e le «proposte» pratiche. Due diversi segretari in ogni gruppo portavano la sintesi alla costellazione e, da qui, un competente segretario precedentemente designato portava il frutto delle giornate di lavoro all’équipe della segreteria centrale.
Un lavoro intenso e complesso a cui hanno partecipato tutti i presenti e che ha messo in risalto la capacità di collaborazione e di approdo a visioni sufficientemente condivise tra persone con tanta varietà di carismi e provenienti da numerose situazioni profondamente differenziate.
Considerando l’elevato numero dei partecipanti, si può dire che la dinamica ha favorito l’interscambio e la partecipazione, ed è stata valutata positivamente.
I nuclei centrali della Vita consacrata
Da due anni l’USG veniva affrontando nelle sue assemblee annuali (due all’anno, della durata di tre giorni) i temi considerati e sperimentati come fondamentali nella realtà vissuta: la missione, la comunione, l’identità. Uno sforzo fatto insieme per cercare in concreto i problemi suscitati di fatto in questi tempi di trasformazione; e per individuare quali siano i punti fermi da assicurare, quali i passi positivi di rinnovamento, quali le ambiguità ed eventuali deviazioni. Una riflessione sulla prassi vissuta negli Istituti in fedeltà ai Fondatori, seguendo gli orientamenti del Vaticano II e del Magistero successivo per saper rispondere da consacrati alle concrete richieste delle situazioni.
Una tematica, quindi, già inizialmente affrontata nell’ottica della responsabilità di animazione e di conduzione dei Superiori Generali.
Nelle sue riunioni l’USG aveva constatato una molteplicità di interpretazioni teologiche circa la natura ecclesiale della Vita consacrata, forse anche in dipendenza della varietà dei carismi: ognuno infatti tende a interpretare il tutto partendo dall’ottica dell’esperienza carismatica del proprio Istituto. Si è parlato della radicalità della sequela del Cristo, della pratica e professione pubblica dei consigli evangelici, della ricerca e appartenenza assoluta a Dio, della prospettiva escatologica della vita cristiana, delle varie forme di diaconia nella missione della Chiesa, dell’impegno ascetico di tendere alla santità, ecc.
Tutte interpretazioni di per sé senz’altro vere, ma che forse non coglievano il nucleo sorgivo di quella identità della Vita consacrata con cui converrebbe che essa venisse presentata al prossimo Sinodo. Non si trattava di dare una definizione teologica — cosa che non corrisponde ai Superiori Generali — ma di individuare ciò che è considerato essere veramente alla radice di tutto e per tutti.
Il recente Convegno, partendo dalle verifiche e riflessioni già avviate, si è proposto di camminare ulteriormente su questa strada.
Indicheremo più avanti il traguardo raggiunto; qui vogliamo sottolineare che si è fatto un bel passo in avanti, riflettendo sull’esperienza vissuta dagli Istituti religiosi in questi anni postconciliari di trasformazione.
Ma vediamo i temi trattati nel Convegno. Riguardo ad ognuno di essi offro solo alcuni cenni a maniera di stimolo.
La missione
Il primo tema affrontato è stato quello della missione. Esso emerge con più forza nell’attuale processo di trasformazione perché da esso partono le sfide più urgenti. Lo abbiamo sperimentato anche noi nelle intense e prolungate discussioni del Capitolo Generale Speciale e nella rielaborazione e ristrutturazione delle Costituzioni: «La missione dà a tutta la nostra esistenza il suo tono concreto, specifica il compito che abbiamo nella Chiesa e determina il posto che occupiamo tra le famiglie religiose».2
La missione fa riferimento in primo luogo al Regno di Dio e ai suoi valori, che Gesù ha proclamato, e del quale la Chiesa è sacramento e lievito («germe, segno e strumento» 3).
Il concetto di missione dipende dal modo in cui pensiamo l’azione di Dio Padre, di Cristo e dello Spirito nell’umanità e nella storia. Dal concetto di missione ecclesiale dipende la maniera di vedere la nostra missione specifica e la nostra vocazione di apostoli. La missione è allo stesso tempo impegno e profezia, incarnazione ed escatologia; è camminare nella storia con l’umanità aiutando a scoprire e ad accogliere la presenza di Dio che salva.
Si è fatto notare continuamente che la missione è della Chiesa e che ad essa partecipiamo, secondo la nostra vocazione specifica, in virtù del battesimo.
La missione viene da Dio ed è partecipazione al mistero.
La missione non è semplicemente un’attività esterna più o meno incollata all’essere della Chiesa; le è assolutamente intrinseca e ne costituisce la natura. Non va confusa con le prestazioni, le opere, i destinatari, i servizi, ecc., sebbene tutto ciò sia un suo aspetto non indifferente. Per capirne la portata bisogna risalire con la fede al mistero stesso della Trinità, dove il Verbo è inviato dal Padre, e lo Spirito dal Padre e dal Figlio in missione nella storia dell’umanità. Il Verbo s’incarna e, come uomo, è consacrato dal Padre con lo Spirito per la grande missione di salvezza che orienta il cammino dei popoli verso il Regno di Cristo e di Dio.
Lo Spirito, dono del Padre e del Figlio, è il fecondo e instancabile suscitatore di quei carismi comunitari che impegnano i differenti Istituti a partecipare con modalità differenti alla complessa missione trasmessa da Cristo alla Chiesa.
Alla prima origine di tutto si trova l’iniziativa di Dio: l’amore del Padre che invia il Figlio alla storia umana e insieme a Lui invia poi lo Spirito Santo; è tutta una storia ineffabile di amore. Un Dio che vuol rendere possibile e genuina la risposta dell’uomo. Infatti il compito dello Spirito Santo è quello d’incorporare gli uomini nel Cristo per riportarli con Lui al Padre: è il grande circolo della reciprocità nell’amore.
Come dicevano i Padri: dall’amore del Padre verso l’uomo attraverso l’incarnazione del Figlio e la missione dello Spirito Santo; e, per gli uomini, dall’inabitazione dello Spirito Santo per divenire «figli» nel Figlio (ossia «Christifideles») e così camminare sicuri verso il Padre.
La Vita consacrata è tutta sommersa in questo grande mistero che costituisce «la vita e la santità» nella Chiesa.
L’approfondimento della vera natura della Vita consacrata ci riporta all’essenza stessa del Cristianesimo, sia riguardo alla missione, che alla comunione e all’identità. E allora è qui che appare l’indispensabilità della dimensione contemplativa in ogni carisma della Vita consacrata: la centralità della preghiera e della contemplazione, in quanto «figli» nel Figlio.
L’attuale trasformazione in corso porta spesso la Vita consacrata sulle frontiere della vita sociale, in mezzo alle sue problematiche nuove e a numerosi spazi vuoti di trascendenza. Se i consacrati non coltivano la preghiera e la contemplazione come propulsori verso il mistero, corrono il pericolo di dimenticarsi della realtà prima e di adeguarsi pericolosamente a una mentalità e stile di vita secolarizzati.
Invece è necessario ricordare costantemente che alla base di tutto c’è l’affascinante mistero della Trinità; come dicono le Costituzioni rinnovate: «La nostra vita di discepoli del Signore è una grazia del Padre che ci consacra con il dono del suo Spirito e ci invia ad essere apostoli dei giovani».4
Vediamo subito che dall’approfondimento dell’aspetto misterico della missione (come poi anche quello della comunione e dell’identità) emergono come inseparabili tra loro, da parte di Dio, la «vocazione», la «consacrazione» e la «missione». È questa una conquista conciliare che ha illuminato l’identità della Vita consacrata. Quel famoso verbo «consecratur» della Lumen gentium, ha spostato l’attenzione dei Religiosi sulla «consacrazione» ed è venuto a dare anche il nome specifico agli Istituti di «Vita consacrata». In questo termine si concentrano le luci del mistero, facendo ripensare, in particolare, il rapporto vitale della missione con la consacrazione.
Anche il Santo Padre nel suo discorso rivolto ai convegnisti ha presentato Cristo come «il consacrato per eccellenza» e perciò l’«inviato» del Padre per la salvezza del mondo. Nella sinagoga di Nazaret Gesù aveva applicato a sé la profezia di Isaia;5 al riguardo commenta il Papa: «Lo Spirito non sta semplicemente “sopra” il Messia, ma lo “riempie”, lo penetra, lo raggiunge nel suo essere e operare. Lo Spirito, infatti, è il principio della “consacrazione” e della “missione” del Messia 6... Ogni consacrazione nella Chiesa è intrinsecamente legata ad una sintesi radicale e vitale di consacrazione e missione».7
Così si mette in evidenza che la missione dei consacrati viene misurata non solo dagli impegni diretti di apostolato o di promozione, ma dalla stessa vita dei consacrati, dal dono totale di sé a Dio nel Cristo, potenziato dalla grazia dello Spirito che traduce lo stesso dono di sé in operosa carità verso gli altri.
Si sono poi indicate le maggiori sfide lanciate alla missione della Chiesa oggi; ogni Istituto carismatico dovrà interessarsene e intervenire secondo la sua indole propria e in attenzione ai contesti in cui opera.
Le principali urgenze da considerare oggi sono:
— le esigenze della nuova evangelizzazione;
— l’opzione preferenziale per i poveri;
— la non-violenza come stile di vita e di attività nella ricerca della giustizia;
— il dialogo interreligioso e interculturale che aiuti a rompere gli abusi dei fondamentalismi e dei totalitarismi;
— i vari nuovi areopaghi sprovveduti della luce del Vangelo.
Si è anche parlato più d’una volta di un aspetto presentato con un termine che sta entrando ora in uso, quello di «liminalità»; è un concetto che indica come la Vita consacrata si collochi in una «situazione di frontiera». Lo si può collegare a quella «originalità» e «creatività» propria dei Fondatori e trasmessa ai loro discepoli, di cui ha parlato Paolo VI nell’Esortazione apostolica Evangelii nuntiandi: grazie alla loro consacrazione i religiosi «sono intraprendenti, e il loro apostolato è spesso contrassegnato da una originalità, una genialità che costringono all’ammirazione. Sono generosi: li si trova spesso agli avamposti della missione, ed assumono i più grandi rischi per la loro salute e la stessa loro vita».8
La missione, dunque, è un forte stimolo di trasformazione che proviene dalla stessa sorgente della vocazione e della consacrazione: ossia, in definitiva, dallo Spirito del Signore.
La comunione
Un altro aspetto in cui la Vita consacrata ha vissuto una forte spinta di trasformazione è stato quello del rinnovamento della comunità. Da un tipo di comunità tradizionale, basato prevalentemente sull’osservanza regolare, a quello in cui si tende e si ha cura di una vera comunione in una vita di maggiore fraternità.
Anche qui l’approfondimento del concetto ecclesiale di comunione (messo fortemente in rilievo dal Vaticano II e dal Sinodo straordinario dell’85) ha portato a riflettere sulla sua dimensione misterica. Bisogna rifarsi, di nuovo, alla vita trinitaria in Dio, con distinzione di persone e unità di comunione in una inesauribile reciprocità di doni.
Ma non si è voluto fare del Mistero la misura delle esperienze vissute, anche se esso rimane la grande luce che guida; l’esperienza della vita non porta certo a mitizzare la comunità religiosa, e neppure la comunione nella Chiesa. Nel pellegrinaggio ecclesiale lungo i secoli e nell’esperienza esistenziale delle case religiose non è mai esistita la comunità perfetta, né esisterà: è una meta escatologica.
Questa constatazione realista, tuttavia, non scoraggia dal guardare al mistero trinitario per sforzarsi a costruire comunione: sia nella vita fraterna degli Istituti sia nella convivenza organica della Chiesa.
Di qui la necessità di includere in questo tema l’educazione al dono di sé, al dialogo, all’ascolto, al perdono, alla revisione di vita, alla pratica della misericordia, all’incremento costante della bontà, alla pazienza, all’emulazione reciproca, ecc., non semplicemente come una metodologia da applicare a un compito difficile, ma come un elemento costitutivo della condizione umana nel tempo e quindi essenziale allo stesso concetto realistico di comunione.
Benché vissuta nell’imperfezione — più come compito da svolgere che come meta ormai raggiunta — la comunione è essenziale nella Chiesa e nella Vita consacrata: testimonia la presenza redentrice di Cristo e il ruolo unificatore dello Spirito Santo.
Oggi il mondo lancia innumerevoli sfide all’ideale ecclesiale di costituire tutti insieme una sola grande famiglia umana: sembra un’utopia irraggiungibile. Eppure è compito della Chiesa lavorare in tal senso. E i consacrati «religiosi» sono chiamati a testimoniare nella Chiesa una forte esperienza di comunione in comunità di vita, secondo le differenti modalità dei loro carismi.
Tra i punti evidenziati per assicurare l’autenticità del rinnovamento possiamo ricordare soprattutto i seguenti:
a. – gli Istituti religiosi devono credere nel valore della comunità; quindi impegnarsi per una reale vita di comunione nelle case, per una più attiva partecipazione al progetto comunitario, per uno sforzo maggiore per arrivare «a un cuor solo e a un’anima sola» come alle origini del Cristianesimo. In concreto questo comporta anche che sia assicurata una «consistenza» della comunità, evitando il pericolo dell’atomizzazione che danneggia pericolosamente la missione propria. Tutto ciò in conformità con l’indole caratteristica di ogni Istituto;
b. – la comunione dei consacrati è inserita vitalmente nella comunione organica del Popolo di Dio, anzi dovrebbe contribuire ad una più viva comunione ecclesiale: essere esperti ed agenti di comunione! È stato messo in risalto: sia l’impegno dei consacrati per un genuino inserimento nella Chiesa locale apportando ad essa le ricchezze del proprio carisma; sia l’attenzione da parte dei Pastori alle possibilità di apporto dei singoli carismi, di cui gli stessi Vescovi sono chiamati ad essere garanti; 9
c. – la comunione tra i carismi dei vari Istituti, soprattutto di quelli più omogenei: uno «scambio di doni» che renda più incisiva la missione di ognuno;
d. – soprattutto è stata evidenziata la comunione dei consacrati con i fedeli laici; è questa una promettente frontiera di futuro in cui impegnarsi con speranza.
Si è parlato di una «irruzione dei laici» nella Chiesa, come uno dei fatti caratterizzanti il nostro tempo. Ciò interpella anche i carismi dei consacrati.
Tra le proposte che i Superiori generali hanno consegnato al Sinodo c’è la seguente: Siamo del parere che bisogna animare i laici che partecipino in propria forma dello stesso carisma dei religiosi, creando diverse forme di associazione e collaborazione, conservando la autonomia di incarnazione e di sviluppo secondo lo stato laicale.
Anche il Santo Padre nel suo discorso, parlando dell’impegno dei Religiosi nella nuova evangelizzazione, fa un accenno speciale a questo tipo di maggior comunione: «Occorrerà, afferma, approfondire e precisare i rapporti spirituali e apostolici esistenti tra Religiosi e laici, promuovendo nuovi metodi e nuove espressioni di cooperazione per facilitare nel nostro tempo l’annuncio di Cristo».10
Parlando della comunione si è accennato anche alle novità che essa comporta nell’esercizio dell’autorità carismatica, centrato soprattutto nell’animazione e promozione del carisma, favorendo una maggiore corresponsabilità, una rinnovata spiritualità e un nuovo senso apostolico.11
L’identità
Il Convegno ha parlato dell’identità partendo dal vissuto di questi decenni in risposta ai profondi cambiamenti socioculturali, tenendo conto della diversità dei carismi e dei problemi suggeriti dai vari processi di inculturazione ormai iniziati.
Una identità in movimento, non pienamente realizzata; essa si trova tuttora in cammino e probabilmente non ha ancora disponibile un nuovo modello già collaudato.
Si sono ricordati gli sforzi fatti dopo il Vaticano II: la celebrazione dei Capitoli Generali Speciali, il ritorno al Fondatore, la rielaborazione delle Costituzioni, il maggior peso della missione, l’apertura verso nuove esperienze, il rinnovato coraggio missionario, il dialogo tra i diversi Istituti, l’incremento delle Conferenze nazionali e internazionali, ecc.
Si è potuto anche rapportare la Vita consacrata — nella prospettiva delle Religioni — a fenomeni esternamente simili che si trovano in esse; così non si è trascurato il momento storico-culturale e quello religioso-antropologico.
Ma si è poi individuata la suprema sua originalità legata all’unicità del mistero dell’Incarnazione. Pensando alla «sacramentalità» di tutta la Chiesa, molto sottolineata dal Concilio, si è parlato della funzione simbolico-trasformatrice della Vita consacrata, nelle sue svariate forme carismatiche, come se fosse una «parabola escatologica» per la fede di tutto il Popolo di Dio. La sua significatività, secondo questo ruolo simbolico-profetico, non la innalza sopra gli altri membri della Chiesa come se possedesse una maggior dignità, ma la distingue e la fa sussidiaria perché destinata a un peculiare servizio. Essa proclama alcuni aspetti del multiforme mistero di Cristo, rendendo percettibili ai contemporanei i suoi ricchi contenuti di salvezza.
La sua identità è così vincolata, simultaneamente, a Cristo e allo Spirito: a Cristo, come presenza incarnata di Dio e segno pluriforme di salvezza; allo Spirito, come potenza divina che muove e riempie di grazia tutta la missione di salvezza.
La descrizione di una simile identità può esprimersi in vari modi indicanti l’uno o l’altro aspetto di speciali discepoli di Cristo animati dal suo Spirito.
I Superiori Generali, nel documento consegnato alla Segreteria del Sinodo, sono concordi nell’affermare che «oggi la categoria teologica prevalente nel magistero è quella della consacrazione espressa nella Chiesa mediante la professione pubblica dei consigli evangelici. Altra grande categoria teologica, che sembra poter unificare la varietà delle prospettive, è quella del carisma. Ogni Istituto sorge per l’impulso carismatico dello Spirito offerto ai Fondatori e trasmesso da essi ai discepoli. Il carisma implica un modo specifico di essere, di missione, di spiritualità, di mode e strutture dell’Istituto».
Noi potremmo dire che queste due categorie (consacrazione e carisma) si sovrappongono e si interscambiano mutuamente. Si tratta infatti, volta per volta, non di una consacrazione generica, ma di una consacrazione peculiare, specificata da una missione e da un progetto evangelico che costituisce quell’esperienza di Spirito Santo che è la sostanza di ogni carisma. D’altra parte un carisma nasce appunto, come sorgente prima, da una peculiare consacrazione nello Spirito del Signore.
Dalle riflessioni fatte nel Convegno possiamo qui mettere in evidenza alcune esigenze:
a. – la prima di tutte è quella ricordata dal Papa nel suo discorso, la spiritualità: «Il primo valore di fondo da curare è quello della “spiritualità”, seguendo il carisma tipico di ogni Istituto. Nella consacrazione religiosa l’intimità, la ricchezza e la stabilità di uno speciale legame con lo Spirito Santo sono alla base di ogni cosa. La Chiesa non ha infatti bisogno di Religiosi abbagliati dal secolarismo e dai richiami del mondo contemporaneo, ma di testimoni coraggiosi e di infaticabili apostoli del Regno».12 Una rinnovata spiritualità rende «significativo» il carisma, come testimonianza vissuta di novità di vita;
b. – la testimonianza profetica ed escatologica che manifesti le caratteristiche cristologiche dell’Uomo nuovo, e quelle pneumatologiche della santità, attraverso il fervore della carità. Ciò comporta che per essere significativi in vista del Regno bisogna interrogarsi anche sull’aspetto d’inculturazione nella testimonianza della propria spiritualità;
c. – l’identità della Vita consacrata è correlativa alle altre forme di vita nella Chiesa; tutte coincidono con una identità fondamentale: essere «Christifideles». Nel Popolo di Dio, i discepoli del Signore possono essere: «Christifideles laici», «Christifideles ordinati» e «Christifideles consecrati»; la sostanza per tutti è quella di essere «Christifideles». La Vita consacrata deve saper mettere in evidenza alcuni tratti peculiari che le conferiscono una speciale significatività dello spirito delle beatitudini per il bene di tutti: sentirsi come una «parabola» esistenziale narrata dallo Spirito Santo: essere un simbolo stimolante con forza profetica.
È stato interessante ascoltare nelle «tavole rotonde» il modo di considerare la Vita consacrata dalle diverse prospettive ecclesiali: secolare, femminile, storica, culturale, clericale; in particolare è stato incisivo (in vista del Sinodo) l’intervento del teologo Bruno Forte dalla prospettiva del sacerdote ordinato, a cui è affidato, come segno di Cristo-Capo, nella Chiesa, il ministero dell’unità: «non sintesi di tutti i doni e ministeri, ma ministero della sintesi».
La formazione e le vocazioni
Questo tema, che costituisce oggi uno dei problemi pratici più esigenti per la Vita consacrata, non era stato scelto come relazione del Convegno, però costituiva l’ottica del lavoro di vari gruppi. Il momento di transizione e di crisi in cui viviamo lo fanno sentire con straordinaria urgenza ed esso è vincolato strettamente con ognuno dei temi trattati.
Essi infatti devono farsi esperienza di vita in ogni religioso. Di qui la domanda e la sfida: quale atteggiamento di formazione permanente, quale processo di formazione iniziale, quale percorso metodologico, possono portare il religioso ad identificarsi vitalmente con un progetto carismatico specifico e a vivere e a testimoniare i valori del Regno con fedeltà rinnovata in sintonia con le esigenze dei tempi?
Nei gruppi e nelle costellazioni è risuonata spesso questa domanda e si sono indicate vie di risposta. Questa fondamentale preoccupazione è stata anche raccolta da un intervento speciale in assemblea nell’ultimo giorno.
I Superiori Generali, poi, lo hanno trattato direttamente nel loro documento. Essi hanno sottolineato la necessità di una continuità tra formazione iniziale e formazione permanente; questa seconda, estesa a tutti i membri della Chiesa chiamati in questi anni a verificare in profondità la sequela di Cristo dagli ambiti della missione, della comunione e dell’identità ripensata.
Nel loro documento i Superiori esprimono «convinzioni» e «proposte».
Le convinzioni indicate sono le seguenti:
«a. – Affermiamo l’importanza di una formazione integrale, secondo il proprio carisma. Questa formazione, alla luce della Parola di Dio, dovrà essere incentrata sull’esperienza di Dio che trova il suo culmine nella liturgia eucaristica. Seguendo Cristo e sotto l’azione dello Spirito, la formazione dovrà essere umana, progressiva, inculturata; dovrà “iniziare” alla comunità, intesa come comunione nella Chiesa; preparerà i candidati alla missione, in contatto con esperienze della vita reale.
b. – La formazione di oggi riconosce le seguenti esigenze: la sequela radicale di Gesù, la quale ha delle espressioni tipiche nella Vita consacrata, il dialogo e la testimonianza reciproca, l’educazione all’affettività e ai rapporti interpersonali, il discernimento comunitario e personale, il rispetto delle persone e la comprensione dei dinamismi sociali, l’opzione per i poveri e l’attenzione ai meccanismi di oppressione.
c. – Abbiamo bisogno di preparare équipes di formatori, che siano al tempo stesso maestri, educatori e testimoni; siano originali delle culture locali e radicati in esse, perché crediamo che la formazione deve compiersi nella misura del possibile sul posto; siano forniti però di una esperienza transculturale in modo da poter “trascendere” (purificare, discernere, sfidare) la cultura locale.
d. – Una formazione permanente, che rispetti il singolo e che tenga conto delle diverse fasi della vita e dei differenti contesti socioculturali ed ecclesiali, è indispensabile alla crescita delle persone e all’inculturazione dei carismi.
e. – Riteniamo urgente tentare nuove forme di “iniziazione” nella Vita consacrata di giovani provenienti da minoranze etniche e da gruppi marginalizzati».
Dopo aver elaborato queste convinzioni, i Superiori hanno esposto alcune proposte. Ne cito solo due che sembrano più significative per il Sinodo.
La prima è la seguente: «La formazione richiede stima delle altre vocazioni ecclesiali; per questo proponiamo che ci sia maggiore collaborazione tra gli Istituti di Vita consacrata e i Vescovi nella formazione di tutte le vocazioni; in particolare proponiamo la creazione di istituti di studio e la realizzazione di incontri in collaborazione tra i membri di diversi Istituti, del Clero diocesano e del Laicato».
E la seconda: «Proponiamo che nei seminari diocesani e nelle facoltà teologiche ci siano corsi sulla teologia della Vita consacrata e che nei nostri centri di formazione si promuovano studi sulle diverse vocazioni».
Che diranno i Vescovi nella prossima assise sinodale?
Sappiamo che un Sinodo ordinario svolge un compito propriamente «pastorale» in vista del bene di tutta la Chiesa; esso si muove nell’ottica dell’ecclesialità, della comunione e mutua complementarità delle differenti vocazioni. Le ottiche dei Vescovi sono: la pastoralità, l’universalità e l’urgenza.
È evidente che ciò che offre questo Convegno, pur nella sua mondialità, è, di fatto, parziale: nel senso che non tratta di tutta la Vita consacrata; poi, perché propone riflessioni provenienti fondamentalmente dall’esperienza degli Istituti religiosi solo maschili; infine, perché rappresenta la sensibilità dei responsabili dell’Unione dei Superiori Generali che, per necessità di cose, possono aver avuto una prospettiva e una impostazione di studio non pienamente condivisa da tutti i rappresentati. Non si sono affrontati gli orizzonti della Vita consacrata non religiosa; è stata solo accennata la delicata problematica femminile.
Sarà poi anche necessario approfondire con più cura il cosiddetto «riassetto comunionale» nella Chiesa con il senso vivo dello «scambio di doni» in una «comunione organica»: i Vescovi hanno, in questo ambito, una particolare sensibilità e responsabilità e parleranno dall’ottica del loro ministero dell’unità.
Il Sinodo, quindi, affronterà un insieme più vasto di orientamenti, partendo soprattutto dalla prospettiva dei Pastori. Abbiamo già accennato a ciò, in parte, nella circolare dell’ottobre ’92.13
Qui, incoraggiati dal Convegno, possiamo auspicare che siano presenti alcuni orientamenti fondamentali che assicurino l’autenticità e la fecondità della Vita consacrata nella Chiesa, dal punto di vista della sua pastoralità, universalità e urgenza. Penso ai seguenti:
— Un approfondimento della dottrina conciliare sulla Vita consacrata, in quanto essa appartiene alla vita e alla santità della Chiesa; riconoscendo anche che i consacrati ne hanno mostrato storicamente la natura lungo i secoli nelle frontiere più bisognose e difficili.
— Che i vari carismi siano accolti e favoriti nel Popolo di Dio secondo la loro pluriforme natura e complementarità: tanto di tipo contemplativo, che di specificità apostolica o secolare. I Pastori aiutino a farli vivere in fedeltà ai Fondatori, con il coraggio della creatività dello Spirito in risposta ai segni dei tempi e con un concreto sforzo d’inculturazione.
— Che venga favorita la comunione e il dialogo fraterno tra consacrati e Vescovi, tra consacrati e clero, tra i consacrati dei vari Istituti, e in particolare si promuova una più intensa comunione tra consacrati e fedeli laici, così che molti di questi ultimi possano partecipare, secondo il loro stato, alle ricchezze del carisma dei Fondatori.
— Che, per l’incremento della comunione, si abbia, negli Istituti di vita propriamente «religiosa», una speciale cura della dimensione comunitaria, secondo lo spirito dei singoli carismi. Una vita comunitaria che assicuri la significatività specifica della propria vocazione e la corresponsabilità nel progetto della propria missione, da ripensare secondo le sfide della nuova evangelizzazione.
— Che il Sinodo divenga una opportunità per promuovere la figura e il ruolo della donna consacrata nella Chiesa.
— Che l’urgenza della cura delle vocazioni e l’indispensabilità di una solida formazione, tanto iniziale che permanente, vengano assunte come impegno prioritario.
— Che il Sinodo sottolinei l’insistenza del Santo Padre circa la spiritualità: «Il primo valore di fondo da curare è quello della “spiritualità”, seguendo il carisma tipico di ogni Istituto. Nella consacrazione religiosa l’intimità, la ricchezza e la stabilità di uno speciale legame con lo Spirito Santo sono alla base di ogni cosa... Quale bisogno c’è, oggi, di un’autentica spiritualità!».14
In cammino verso il Sinodo
Si può dire che in questo Convegno si è già pregustato il «tempo» del Sinodo. Ma possiamo ancora influire sulla sua preparazione.
È convinzione comune che è in atto un movimento di nuova evangelizzazione, determinato da vari fenomeni esterni ed interni della Chiesa: allargamento della visione geografica del mondo, nuove frontiere da illuminare col Vangelo, coscienza comunionale di tutto il Popolo di Dio, complementarità delle vocazioni tra loro. Tutto ciò incide fortemente sulla trasformazione della Vita consacrata. Ci troviamo, infatti, in una più avanzata temperie secolare: si parla, ad esempio, di modernità e di postmodernità: è un cambio epocale. Dalle sue tendenze viene una specie di provocazione; ci si deve domandare: la presenza dei consacrati parla oggi alla gente come nei tempi di cristianità? Che cosa riescono essi a comunicare con chiarezza? Qual è la loro concreta significativà? Che cosa aspettano, soprattutto i giovani, da coloro che si dicono radicali discepoli di Cristo: un segno vivente dello Spirito Santo per l’uomo d’oggi?
Già il nostro CG23 aveva individuato quattro sfide da affrontare per poter proporre una testimonianza che divenisse efficace in un’educazione integrale: la lontananza, l’insignificanza o irrilevanza della fede, la multireligiosità, le povertà.
La risposta da dare è ancora in elaborazione; ci sono ormai dei punti fermi saldamente individuati, ma, pur fondati in essi, si è in ricerca. Il Convegno non ha offerto dei modelli prefabbricati, però ha indicato la via da percorrere. Tra le indicazioni più forti da esso suggerite ricorderei le seguenti:
a. – Il fatto della presenza ininterrotta della Vita consacrata nella storia della Chiesa, con una molteplicità di forme e una creatività costante, fa pensare che lo Spirito Santo anima vigorosamente la Chiesa e non la lascerà mai sprovveduta di carismi comunitari, anche se ciò non è indiscutibile per il futuro di ogni Istituto.
b. – È impressionante il cambio che si sta operando nella geografia della Vita consacrata: si sta spostando verso il Sud e verso l’Est. Ciò suscita, tra l’altro, il problema dell’inculturazione. Quando tale processo sia più avanzato, la Vita consacrata avrà un volto pluriculturale e dovrà rafforzare l’unità di una comunione più convinta e chiaramente definita.
c. – Nonostante la crisi, viviamo un tempo di speranza. Essa proviene:
— dalla fede nella presenza dello Spirito Santo, sorgente dei multiformi carismi, il Quale non cessa — come abbiamo appena detto — di scuotere il cuore degli uomini e di muovere continuamente la Chiesa;
— dalla fecondità del carisma dei Fondatori (alcuni con più di 15 secoli di vita) quando viene riacceso il fuoco delle origini;
— dalla logica del mistero pasquale che illumina anche il fiorire della Vita consacrata: da tutto ciò che muore generosamente nel Signore, nascono nuove realtà piene di vita.
Noi non possiamo progettare il futuro con sofisticazioni tecniche. Esso è racchiuso vitalmente all’interno della fedeltà al Fondatore e ai segni dei tempi. Bisogna avere l’audacia e la fiducia di creare anche piccole realtà genuine, che siano feconde e costanti di fronte a ostacoli che sembrano superiori alle proprie forze. Pensiamo, ad esempio, al nostro progetto-Africa lanciato in tempo di crisi.
d. – L’insieme dei valori positivi raccolti nel Convegno rafforza la convinzione che tutta la speranza di futuro va posta nella qualità di testimonianza e di operosità: qualità dei singoli, qualità delle comunità, qualità delle attività e opere. Senza qualità, anche se si è ancora molti, si cammina in discesa, verso il tramonto. Invece, da un seme, pur piccolo ma ricco di vitalità, si sale verso la crescita anche quantitativa.
Camminiamo, dunque, verso il Sinodo. Con noi sulla strada c’è anche Maria, madre e guida di ogni Vita consacrata. Essa, ci ha detto il Papa, «vi guidi e vi accompagni in questo difficile e vasto compito di rinnovamento e interceda per il buon esito del prossimo Sinodo. A Lei, Vergine Immacolata, modello supremo nell’obbedienza della fede, domando di ravvivare nella Chiesa la testimonianza dei consigli evangelici, perché appaia a tutti la bellezza del volto cristiano nello spirito delle beatitudini. Assista pertanto, Maria Santissima, anche i Pastori perché abbiano della Vita consacrata una visione e un apprezzamento che ne irrobustisca la presenza e la missione nel Popolo di Dio».15
Spero, cari confratelli, che la rapida presentazione del Convegno stimoli tutti, nei mesi che precedono lo storico Sinodo, ad intensificare la preghiera per questo avvenimento ecclesiale, a rinnovare la coscienza della nostra vocazione e a viverla nella missione e nella comunione, approfondendo l’impegno prioritario di formazione permanente indicatoci dal CG23.
Durante l’incontro, a più riprese si è fatto riferimento ai Fondatori, che hanno accolto per primi il carisma e lo hanno vissuto con tutta la loro esistenza, incarnandolo in un contesto storico ed ecclesiale determinato, e lo hanno comunicato vitalmente come seme da coltivare perché mantenga viva la sua fecondità. Sentiamoci accompagnati dal nostro Fondatore e Padre Don Bosco in un cammino tracciato e illuminato da Maria che, con il suo intervento materno, ha voluto il nostro carisma per la gioventù.
A tutti, di nuovo, i più cordiali auguri per il 94.
Con affetto nel Signore che viene,
D. Egidio Viganò
NOTE LETTERA 58
1 cf. ACG n. 342
2 Cost 3
3 Redemptoris missio 18
4 Cost 3
5 Lc 4, 16-19
6 Pastores dabo vobis 19
7 Osservatore Romano, 27 novembre 1993
8 EN 69
9 cf. MR 8 e 9
10 Osservatore Romano, 27 novembre 1993
11 cf. MR 13
12 Osservatore Romano, 27 novembre 1993
13 cf. ACG n. 342
14 Osservatore Romano, 27 novembre 1993
15 Osservatore Romano, 27 novembre 1993