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SIAMO «PROFETI-EDUCATORI»!
Introduzione. - La dimensione profetica della vita consacrata. - Fermento nella significatività. - La contemporaneità di Cristo. - La chiave di lettura conciliare. - Con Don Bosco, secondo la nostra consacrazione apostolica: nell’Alleanza, nella Missione, nella Comunione, nella Radicalità. - La Vergine del Rosario ci guidi.
Lettera pubblicata in ACG n. 346
Roma, 7 ottobre 1993
Memoria della Beata Vergine del Rosario
Cari confratelli,
si celebra oggi la memoria della Beata Vergine del Rosario. Essa ci invita a dare importanza alla recita — personale e comunitaria — di quel pio esercizio che ci immerge negli eventi del grande mistero di Cristo. Una pratica di pietà facile e popolare, molto raccomandata dal Papa Giovanni Paolo II. È una maniera veramente profonda e adatta, a tutti, per contemplare le persone e gli avvenimenti del momento centrale della storia della salvezza. Avvicina a Cristo e intensifica la familiarità con Lui, l’unico vero Profeta di verità nell’Alleanza definitiva del tempo della Chiesa.
Ho pensato che questa memoria mariana, mentre ci stimola alla contemplazione del mistero di Cristo, ci può suggerire di riflettere su un tema particolarmente legato alla vita consacrata nella Chiesa: quello della sua dimensione profetica. Si è parlato più di una volta, in questi anni postconciliari, del ruolo profetico dei consacrati, collocati come fermento nel Popolo di Dio, per illuminare, per stimolare, per correggere, per riprogettare creativamente la vocazione comune alla santità. Urge svegliare i consacrati in questo loro servizio che è dono dello Spirito per tutti.
Sentirsi chiamare «profeti» è un forte stimolo per le responsabilità della propria vocazione. La profezia però, anche se assolutamente indispensabile, non è facile e c’è anche il pericolo di interpretazioni non autentiche. Ci sono sempre stati dei «falsi profeti», che non hanno mai rappresentato l’autenticità dell’intervento di Dio nella storia: partire dalla meditazione dell’evento-Cristo per valutare la realtà e la genuinità del nostro servizio ecclesiale.
La preparazione del Sinodo-94 sulla vita consacrata è di sprone per approfondire questo tipo di servizio, in armonia con gli altri aspetti globali degli Istituti di vita consacrata nella Chiesa.
Assistiamo in questi mesi a numerose iniziative presinodali promosse dalle Conferenze episcopali e dagli organismi dei consacrati. Stanno apparendo vari studi e contributi di riflessione che creano un clima di interesse e di speranza. In questi giorni apparirà anche un Manuale di teologia della Vita religiosa 1 ad opera di alcuni specialisti, propiziato dalla Commissione mista dei Vescovi e dei Superiori maggiori in Italia, che servirà certamente per l’illuminazione delle mentalità.
È vero che il Sinodo si muove in un’orbita volutamente «pastorale» e non direttamente dottrinale; ma proprio per questo ha urgente bisogno anche di alcune chiarificazioni di principio, quale base per un maggior aggiornamento di comunione, di azione apostolica e di testimonianza di vita.
Facciamo voti che il prossimo Sinodo serva ad apportare una miglior considerazione e valorizzazione dei carismi nella Chiesa, e che gli Istituti di vita consacrata sviluppino con più coscienza organica e con maggior incisività profetica la propria appartenenza vitale al Popolo di Dio nel suo aspetto conciliare di «Sacramento di salvezza» in questi tempi nuovi.
Nei mesi che precedono l’assemblea sinodale vi invito a fare oggetto di riflessione anche la «dimensione profetica» della nostra vocazione di consacrati.
La dimensione profetica della vita consacrata
Il profeta è un credente scelto dal Signore per parlare agli uomini in suo nome. Nel realizzare questa funzione egli vive in intimità con Dio per ascoltare, capire e trasmettere bene il suo messaggio. Ciò che egli comunica non è suo, ma procede dallo stesso cuore di Dio. Un Dio che non è semplicemente una specie di grande architetto del mondo, ma il Signore della storia, che ama immensamente l’uomo e lo accompagna incredibilmente nelle avventure della sua libertà.
Il profetismo è uno dei fenomeni che maggiormente svelano la trascendenza della storia della salvezza; esso caratterizza il realismo religioso del Giudaismo e del Cristianesimo: apporta novità e contestazione nientemeno che da parte di Dio.
Il mistero di Cristo è l’apogeo di tale fenomeno. Gesù non ha dato per finita l’epoca dei profeti, ma ne ha sublimato e trasformato la funzione. Lui è eminentemente «il grande Profeta», il massimo e definitivo, e ha lasciato un ruolo profetico di nuovo tipo alla sua Chiesa, sotto la potente animazione del dono del suo Spirito. Oggi, con l’apparire di tante novità, e purtroppo col dilagare di disorientamenti vari, si sente un grande bisogno di autentici profeti: essi dovrebbero portare avanti una evangelizzazione veramente nuova.
Da questa vitale esigenza nasce un interesse speciale per la funzione profetica della Chiesa e, in essa, della vita consacrata.
A volte si sente attribuire alla vita consacrata la caratteristica specifica di essere per vocazione propria «la» dimensione profetica di tutta la Chiesa. Simile affermazione appare evidentemente un’esagerazione; ma ha il merito di cercar di far risaltare un aspetto vitale non sottolineato a sufficienza. La vita consacrata non può appropriarsi, in forma esclusiva, di una qualità comune a tutto il Popolo di Dio. Dice il Concilio, parlando dei fedeli laici: «Cristo, il grande Profeta, che con la testimonianza della sua vita e con la virtù della sua parola ha proclamato il Regno del Padre, adempie la sua funzione profetica fino alla piena manifestazione della sua gloria, non solo per mezzo della gerarchia, la quale insegna in nome e con il potere di Lui, ma anche per mezzo dei laici, che perciò costituisce suoi testimoni e li provvede del senso della fede e della grazia della parola, perché la forza del Vangelo risplenda nella vita quotidiana, familiare e sociale».2
E il recente Catechismo della Chiesa Cattolica parla di tutto un Popolo profetico come luce e sacramento dell’umanità in cammino: «Gesù Cristo è colui che il Padre ha unto con lo Spirito Santo e ha costituito “Sacerdote, Profeta e Re”. L’intero Popolo di Dio partecipa a queste tre funzioni di Cristo e porta le responsabilità di missione e di servizio che ne derivano».3
Perciò non pare conveniente e retto presentare la vita consacrata come una specie di «istituzionalizzazione» della dimensione profetica della Chiesa. Ad ogni modo è senz’altro giusto e urgente rilevare e intensificare, in particolare, l’aspetto peculiarmente profetico della vita consacrata. I Fondatori e le Fondatrici che sono all’origine degli Istituti hanno esercitato un vero ruolo profetico nella Chiesa e nella società del proprio tempo e hanno lasciato in eredità ai loro seguaci un dinamismo profetico da «essere vissuto, custodito, approfondito e costantemente sviluppato in sintonia con il Corpo di Cristo in perenne crescita».4
L’aspetto carismatico della vita consacrata comporta una continua presenza e creatività dello Spirito Santo; esso appartiene alla dimensione profetica della Chiesa per proclamare a tutti «che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini».5
Il fatto che la vita consacrata, «pur non riguardando la struttura gerarchica della Chiesa, appartenga tuttavia indiscutibilmente alla sua vita e alla sua santità»,6 la riveste di uno speciale carattere profetico per tutto il Popolo di Dio. Giustamente il Concilio lo afferma quando dichiara: «I Religiosi pongano ogni cura, affinché per loro mezzo la Chiesa ogni giorno meglio presenti Cristo ai fedeli e agli infedeli, o mentre Egli contempla sul monte, o annuncia il Regno di Dio alle turbe, o risana i malati e i feriti e converte a miglior vita i peccatori, o benedice i fanciulli e fa del bene a tutti, sempre obbediente alla volontà del Padre che lo ha mandato».7
Il documento Mutuae relationes tocca in qualche modo questo aspetto quando presenta i connotati di autenticità di un carisma: «continua verifica della fedeltà verso il Signore, della docilità verso il suo Spirito, dell’attenzione intelligente alle circostanze e della visione acutamente rivolta ai segni dei tempi, della volontà d’inserimento nella Chiesa, della coscienza d’obbedienza alla sacra gerarchia, dell’ardimento nelle iniziative, della costanza nel donarsi, dell’umiltà nel sopportare i contrattempi».8
Coerentemente con questi orientamenti autorevoli, i distinti Istituti religiosi sono chiamati ad attuare la comune funzione profetica, non in modo uniforme e indifferenziato, ma in conformità al progetto carismatico, indicato dallo Spirito di Cristo nel proprio Fondatore e identificato da quanti, nel singolo Istituto, hanno questo delicato e impegnativo compito di discernimento.
Il problema non sta, qui per noi, tanto nel definire le differenze o la complementarità della funzione profetica della vita consacrata in rapporto ai vari gruppi ecclesiali — laicali e gerarchici — quanto nell’approfondire e nell’intensificare il proprio autentico ruolo profetico secondo l’orbita carismatica del Fondatore.
Intanto è da riconoscere che l’argomento della dimensione profetica della vita consacrata non è ancora stato affrontato a fondo in nessun documento del Magistero universale. Lo si è sottolineato in alcune regioni più sensibili (per esempio, nell’America Latina) e in vari interventi di Conferenze di religiosi. È senz’altro un tema di attualità; esso può contribuire a smuovere la lentezza nella via del rinnovamento, a calibrarne la qualità e ad incoraggiare iniziative di cambio evitando interpretazioni devianti: fa convivere con la propria gente con la prospettiva di una speranza che non si trova più nel clima ambientale.
In fin dei conti il profetismo sta a indicare una scelta permanente di Dio: quella di intervenire personalmente nelle vicende umane. Il profeta è un suo ambasciatore, non vive in una sfera atemporale, ma profondamente impegnato con i suoi contemporanei: si sente inviato da Dio e destinato a trasmettere il suo messaggio, non solo con la parola, ma anche con le sue azioni, con la sua vita, con gesti simbolici — a volte anche paradossali —; egli è un trasmettitore vivente della luce salvifica di Dio: manifesta, corregge, stimola, predica, prepara, costruisce, soffre e testimonia. «Lo Spirito del Signore — dice Isaia — è sopra di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha inviato a portare il lieto annunzio»; 9 il profeta non è un estraneo, ma una sentinella: «Io ti ho costituito sentinella per gli israeliti: ascolterai una parola dalla mia bocca e tu li avvertirai da parte mia».10
Il Dio dei profeti si inserisce attraverso di loro nella storia per salvare. Essi, in suo nome, segnalano mete, indicano criteri per raggiungerle, introducono novità positive, individuano mali da superare, insistono con costanza sul senso del peccato, mostrano concrete strade di conversione, contestano le deviazioni e gli errori.
L’attuale accelerazione dei cambiamenti sociali e culturali ha speciale bisogno della luce di un Dio che si è incarnato proprio per guidare l’umanità alla salvezza. Le molteplici novità che si susseguono a ritmo incalzante possono concorrere a far dimenticare la funzione profetica, o a strumentalizzarla in ordine al solo ambito socioculturale; in tal senso vediamo, a volte, sottolineare certi aspetti dei profeti dell’Antico Testamento senza fare specifico riferimento a Cristo; ciò può condurre a pericolose arbitrarietà. Proprio anche per questo una genuina considerazione della dimensione profetica occupa un posto prioritario nel rinnovamento degli Istituti e nella ricerca di impegni efficaci per la nuova evangelizzazione.
Un Popolo di Dio senza profezia non avrebbe la capacità di fermentare l’attuale corsa del mondo; sarebbe infedele alla straordinaria presenza dello Spirito di Cristo manifestata nel Vaticano II e in tanti eventi, ecclesiali e sociali, che ne sono seguiti: «Voi siete la luce del mondo — ha detto il Signore —, risplenda la vostra luce davanti agli uomini»; 11 ben sapendo che «la luce vera, quella che illumina ogni uomo» 12 è Gesù Cristo.
Oggi tutta la Chiesa è chiamata con urgenza a profetizzare Gesù Cristo; sull’esempio di Giovanni il Battista deve «rendere testimonianza alla luce, perché tutti credano per mezzo di Lui».13
Giustamente l’apostolo Paolo proclama: «Non predichiamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore».14
Se tutta la Chiesa è invitata fortemente a questo, vorrà dire che, in essa, la vita consacrata dovrà preoccuparsi della sua propria funzione profetica in una forma molto peculiare e intensa, per il suo stesso stato di vita «che rende più liberi i suoi seguaci dalle cure terrene, rende visibile per tutti i credenti la presenza, già in questo mondo, dei beni celesti, meglio testimonia la vita nuova ed eterna, acquistata dalla redenzione di Cristo, e meglio preannunzia la futura risurrezione e la gloria del Regno celeste. Parimenti più fedelmente imita e continuamente rappresenta nella Chiesa la forma di vita, che il Figlio di Dio prese quando venne nel mondo per fare la volontà del Padre e che propose ai discepoli che lo seguivano. Infine, in un modo speciale manifesta l’elevazione del Regno di Dio sopra tutte le cose terrestri e le sue esigenze supreme; dimostra pure a tutti gli uomini la preminente grandezza della forza di Cristo regnante e la infinita potenza dello Spirito Santo, mirabilmente operante nella Chiesa».15
Fermento nella significatività
In Gesù Cristo si realizza la nuova e definitiva Alleanza, non più con un unico popolo di una determinata cultura e organizzazione religioso-sociale (Israele), ma con tutta l’umanità nella molteplicità dei suoi popoli e delle loro culture, dando un significato profondamente nuovo all’intervento di Dio attraverso la profezia, il sacerdozio e la regalità.
Nell’Antico Testamento la funzione del profeta — suscitato in forma personale da Dio stesso — era distinta e separata da quella istituzionalizzata del sacerdote e del re; non riceveva la sua legittimazione da loro, ma da un rapporto diretto stretto e personale con Jahvè, parlava in suo nome.
In Cristo si sono unificate indissolubilmente queste tre funzioni (profeta, sacerdote e re); e così unificate Egli le ha lasciate in patrimonio al suo Corpo mistico nella storia, per essere esercitate in molteplici modi e ministeri. Il Concilio Vaticano II ci ha ricordato che nella Chiesa la «comunione» ha un valore centrale e caratterizzante; essa si manifesta anche nella mutua compenetrazione di queste tre funzioni: insieme servono a edificare quel Regno — non terreno — che è di Cristo lungo i secoli per essere consegnato al Padre alla fine dei tempi.
Nel presente momento storico l’esercizio della funzione profetica è una delle priorità pastorali più urgenti. Il Vaticano II ha sottolineato espressamente al primo posto il servizio della Parola, dell’attività evangelizzatrice, della formazione delle coscienze nei credenti. I Cristiani sono chiamati ad essere un Popolo di profeti con la creatività, l’intelligente audacia e la capacità di testimonianza fino al martirio, seguendo l’esempio generoso e incisivo degli apostoli.
Se guardiamo al contesto in cui hanno operato i profeti dell’Antico Testamento, ci imbattiamo con un Israele in gravi situazioni d’infedeltà sociale all’Alleanza; perciò l’opera del profeta si suole manifestare con forza in una contestazione simultaneamente religiosa e sociale. Oggi nel mondo, per il futuro di tutti i popoli con le loro culture e religioni, c’è in corso un cambio epocale che non potrà imboccare la rotta giusta senza la luce di Cristo.
Il contesto odierno si presenta, senz’altro, con tanti mali da correggere, ma la profezia di Cristo è chiamata a illuminare e discernere le incalzanti novità per assumerne i valori e prevenire o correggere pericolose deviazioni, così che la complessa svolta antropologica non approdi a un fatale antropocentrismo.
Per noi Salesiani la specifica funzione profetica, in tale contesto, va inserita in quella scelta educativa che dà un tono caratteristico a tutta la nostra vocazione: non siamo chiamati a divenire gli «agitatori dei giovani», ma ad essere luce per le loro coscienze quali «segni e portatori»16 dell’amore e della bontà di Cristo. Il contesto giovanile presenta oggi delle sfide esigenti; ne abbiamo visto la portata nel CG23, a livello mondiale, precisato poi dalle Ispettorie nelle differenziate situazioni locali.
Si sentono proclamare negli aeropaghi del mondo numerosi surrogati alla luce della fede cristiana; si separa il percorso della conoscenza umana da quello del Vangelo di Cristo, come se si trattasse di due strade con mete inconciliabili; mancano valide indicazioni di rotta; è un’ora di ansiosa ricerca di maestri per l’educazione delle personalità.
Noi abbiamo cercato, in questi anni, di esprimere globalmente il nostro sforzo di rinnovamento con il termine «significatività»: ridivenire veri «segni» tra i giovani di «nuova evangelizzazione» appunto con una «nuova educazione». Stiamo facendo concreti passi in avanti: ma c’è da perseverare, da approfondire e da intensificare.
Ci dobbiamo convincere che la dimensione profetica dei nostri impegni costituisce il nucleo centrale della nostra significatività. Il Commento ufficiale all’art. 2 delle Costituzioni («essere segni e portatori») afferma chiaramente che si tratta di «un impegno terribilmente esigente, perché prende tutta la persona, tutta la vita, tutta l’azione dei Salesiani, distaccandoli da loro stessi per incentrarli, simultaneamente, sui due poli del Cristo vivo e della gioventù, e sull’incontro dell’uno e dell’altro nell’amore. Impegna i Salesiani ad essere doppiamente servitori di Cristo che li manda e dei giovani a cui sono mandati, a rivelare l’amore-chiamata di Cristo e a suscitare l’amore-risposta dei giovani. Questo è il significato ultimo di tutte le loro “opere di carità spirituale e corporale”».17
È proprio questa la funzione profetica del salesiano: siamo (è esortativo) profeti-educatori!
La significatività ha una sfera più ampia di quella della profezia, ma l’essere autentico profeta di Cristo ne è il fermento vitale, in tal forma che senza di esso perde senso la stessa significatività. Questo ruolo profetico, però, si situa «dentro» le esigenze attuali della nuova educazione, in condivisione e armonia d’intenti: Cristo nell’incarnazione ha scelto la svolta antropologica proprio perché la sua luce sconfigga, dal di dentro, l’antropocentrismo. Fare profezia oggi per noi non significa tanto un esibizionismo socioculturale, quanto saper annunciare validamente l’evento supremo di Cristo come metro di tutte le novità, mostrandone apertamente i dinamismi di futuro, proclamandone la provenienza divina, irradiandone i potenti fasci di luce che, unici, mostrano che cos’è veramente l’uomo.
Si tratta di far sentire ai giovani la presenza e la forza dell’amore di Cristo in chiara fedeltà alle sue iniziative. Una attività profetica che non è fantasia individuale, ma servizio attivo e creativo al suo mistero; esso non si riduce a semplice osservanza religiosa, ma è comunicazione di energie di salvezza; non propizia in primo luogo una qualche rivoluzione strutturale, ma si concentra sulla formazione delle mentalità e la conversione delle persone e sa fare pure, quando sia necessario, contestazione culturale e sociale, anche se non con metodologie di tipo orizzontale e temporale.
Dunque: siamo chiamati a intensificare una dimensione profetica che dinamizza e intensifica la significatività salesiana.
La contemporaneità di Cristo
Nell’Antico Testamento la funzione profetica apparteneva a un periodo della storia della salvezza in cammino verso la meta di Cristo; gli interventi di Jahvè si muovevano gradualmente in un processo di preparazione ogni volta più chiaro, fino ad arrivare alla testimonianza di Giovanni Battista che proclama ormai la presenza del Messia.
Nel Cristo, invece, la storia della salvezza ha raggiunto la sua pienezza; da qui in avanti la rivelazione da parte di Dio non cresce più; in Gesù si è fatta presente per sempre tutta la sua Parola, in lui vive la profezia definitiva: Egli è l’Uomo nuovo, il Signore della storia, il Centro e la Sorgente di ogni ulteriore funzione profetica; Cristo è «il Novissimo» (l’éskaton), il vertice assoluto dell’intervento di Dio nel divenire umano.
Senza dubbio il divenire umano continua a progredire e a crescere anche dopo la Pasqua del Signore; ma è un progredire e un crescere nella linea della creazione, non in quella della rivelazione. Ciò comporta novità d’interpellanze e di sfide, ma non una Parola di Dio veramente nuova: «l’economia cristiana, infatti, in quanto è Alleanza nuova e definitiva, non passerà mai, e non è da aspettarsi alcuna nuova rivelazione pubblica prima della manifestazione gloriosa del Signore nostro Gesù Cristo».18
Questo intervento definitivo in Cristo non disconosce, dunque, i dinamismi del divenire umano nella linea della creazione, anzi li prende esplicitamente in conto; per questo Egli ha istituito la Chiesa, suo Corpo mistico nei secoli, con la missione di diffondere la luce pasquale di quell’evento definitivo a tutti i tempi.
D’altra parte lo stesso divenire umano è legato radicalmente a Cristo, sia in quanto Lui stesso ne è l’iniziale «creatore» («per mezzo di Lui Dio ha creato ogni cosa, senza di Lui non ha creato nulla»)19, sia in quanto Egli invia continuamente — in ogni spazio di tempo — lo Spirito Santo, che muove tutte le cose verso il Regno («Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve lo annuncerà»20).
C’è, dunque, ancora una crescita umana e, oggi, i numerosi segni dei tempi lo stanno dimostrando: cambiano infatti le culture, le mentalità della gente, le situazioni e le strutture sociali, la percezione dei valori, le incalzanti sfide e la ricerca di una verità che guida.
L’evento-Cristo, in quanto «Novissimo», è di per sé contemporaneo ad ogni tempo posteriore; ha, però, bisogno che la Chiesa sappia far scoprire questa contemporaneità. E qui si colloca quel ruolo profetico che deve presentare come contemporanea, ossia come rivelazione di Dio per l’oggi e per i tempi nuovi, tutta la luce dell’evento-Cristo.
Saper presentare Cristo come «il grande Profeta» del presente; farlo apparire quale Maestro aggiornato e sconvolgente, come Luce che non può essere eclissata da nessun segno dei tempi, come Novità assoluta che misura, assume e giudica tutte le novità che emergono. È il compito della nuova evangelizzazione chiamata a rendere affascinante il Vangelo.
Non è un compito facile; comporta una funzione profetica indispensabile e urgente. La Chiesa, e in essa la vita consacrata, è chiamata a impegnarsi con «nuovo ardore».
Chiave di lettura conciliare
Molti Fondatori e Fondatrici di Istituti religiosi hanno realizzato — come abbiamo detto — una speciale funzione profetica in forme nuove rispetto a situazioni precedenti: chi con la testimonianza della vita eremitica, cenobitica e contemplativa attuata per indicare l’assoluto di Cristo nell’esistenza umana; chi con l’insegnamento diretto a illuminare le intelligenze, a far maturare la fede e a porre un argine all’errore e all’eresia; chi testimoniando con la carità operosa l’interessamento di Cristo per ogni categoria di bisognosi; chi in altre forme di amore.
Tutta la vita consacrata è chiamata oggi a rilanciare questo aspetto, secondo i molteplici carismi che la costituiscono.
Per rinnovarsi al riguardo bisogna partire da un’ottica sicura, che non capovolga il proprio carisma.
Il Vaticano II indica autorevolmente una chiave di lettura nel parlare del rinnovamento degli Istituti religiosi. Il decreto Perfectae caritatis afferma: in primo luogo c’è da considerare «il seguire Cristo come viene insegnato dal Vangelo», e poi è indispensabile una fedeltà dinamica «allo spirito e alle finalità proprie dei Fondatori, come pure alle sane tradizioni».21
Queste due affermazioni conciliari non costituiscono due chiavi separate, bensì un’unica chiave di lettura, perché i Fondatori sono stati suscitati dallo Spirito del Cristo per attuare, secondo i tempi, la sua missione portatrice di salvezza. Essi possono essere considerati come una pagina vivente della contemporaneità di Cristo, coloro che hanno cercato di proclamare la sua profezia nel loro momento storico in rapporto ai propri destinatari.
Per rendere contemporanea la grande profezia della Nuova Alleanza, essi sono vissuti «dentro» la loro attualità, in docilità e sintonia con lo Spirito del Signore, per capire dove è situata l’urgenza della salvezza, quali sono le interpellanze e le sfide, e il perché delle zone nere caratterizzate dall’assenza, dall’indifferenza e dal rifiuto della luce pasquale. È infatti «dal di dentro» che si può avviare un discernimento di contemporaneità.
È importante però osservare, a questo punto, che la funzione profetica della Nuova Alleanza non è solo risposta a delle esigenze emerse nel divenire umano. La profezia di Cristo offre senz’altro grandi e adeguate risposte a molte domande; ma il Vangelo non è solo risposta, è iniziativa di Dio che rivela e ammaestra: propone, interpella, previene, insegna, corregge e anche risponde.
Il rinnovamento profetico, quindi, non si limita a preoccuparsi del polo della cultura emergente con il suo contesto di vita, il suo linguaggio e i suoi metodi — senz’altro questo è indispensabile —, ma va in primo luogo e a fondo a scrutare di nuovo e con la sensibilità del «di dentro» culturale il polo luminoso dell’evento-Cristo, per individuarne con maggior chiarezza i nuclei vitali di più penetrante incisività e così saperli comunicare con vera attualità.
A Don Bosco e a noi lo Spirito del Signore ha assegnato, nella missione profetica della Chiesa, un campo operativo caratterizzato — come dicevamo — dalla «scelta educativa» a favore della gioventù bisognosa, in rapporto anche con i ceti popolari.
Ci ha chiamato ad essere «profeti-educatori»! Il rinnovamento della funzione profetica del nostro carisma non può essere una specie di invito a cambiar «mestiere», ossia ad uscire dalla scelta educativa; bensì, secondo la chiave di lettura indicata, uno stimolo a svegliarci, a rafforzare il coraggio della fede, ad aprirci con più audacia alla ricerca di vie pedagogiche che rendano contemporaneo ai giovani il mistero di Cristo.
La nostra funzione profetica la giochiamo con una nuova educazione cristiana, commisurata alle varie categorie di giovani con cui viviamo e operiamo, attivando itinerari educativo-pastorali costruiti in diretto riferimento a loro, valorizzando adeguatamente esperienze del passato e presenti e creandone delle nuove.
Con Don Bosco, secondo la nostra consacrazione apostolica
Seguendo la chiave di lettura indicata, possiamo mettere in evidenza — anche se brevemente — il senso e il modo con cui il nostro carisma partecipa alla funzione profetica della Chiesa a favore dei giovani e dei ceti popolari nelle varie culture e situazioni geografiche.
Il CG23 ci ha avviati con serio discernimento sia nella contestualizzazione delle nostre attività,22 sia nella rilettura della contemporaneità del mistero di Cristo.23
Qui vorrei richiamare alcuni dati più impegnativi per la nostra funzione profetica nel suo aspetto di «proposta» del Cristo, rapportandoli agli elementi costitutivi della nostra consacrazione apostolica, così come essa viene indicata nelle Costituzioni all’articolo 3.
Sono quattro gli elementi portanti indicati in quell’articolo: l’alleanza (stare con Cristo), la missione (apostoli dei giovani), la comunione (comunità fraterna) e la radicalità evangelica (pratica dei consigli). Vogliamo scegliere per ognuno di essi alcuni aspetti di maggior urgenza profetica per intensificarne la testimonianza. Indico, qui, quelli che considero più incisivi nell’attuale sforzo di rinnovamento.
Nell’alleanza.
L’alleanza della nostra professione religiosa richiede una testimonianza di speciale intimità con Cristo, in forma vitale e costante. È qui il segreto di ogni profezia: bisogna che i giovani percepiscano che siamo sacramenti di Cristo, segni e portatori del suo amore, che viviamo di Lui e con Lui per essi.
Si può ricordare al riguardo l’intensità dei rapporti personali con Jahvè da parte dei profeti dell’Antico Testamento; è questa la condizione-base: essa non è frutto di una genialità psicologica o di semplice simpatia umana. È una vocazione: «Prima di formarti nel grembo materno ti conoscevo, prima che tu uscissi alla luce ti avevo consacrato; ti ho stabilito profeta delle nazioni»; 24 «mi hai sedotto, Signore, e io mi sono lasciato sedurre; nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo».25
E nel Nuovo Testamento l’entusiasmo mistico dell’apostolo Paolo afferma chiaramente: «Per me la vita è Cristo»; 26 «non vivo più io, ma è Cristo che vive in me»; 27 «chi è nel Cristo è una creatura nuova; l’antico è passato, è apparso il nuovo».28 L’alleanza della professione religiosa è un’amicizia personale trasformatrice che ci fa vivere in Cristo, con Cristo e per Cristo.
La nostra dimensione profetica mostra un carattere cristocentrico molto marcato. L’amicizia e l’intimità quotidiana con Cristo fanno vivere nella sua novità, così da essere capaci di mostrare adeguatamente la contemporaneità del suo mistero: «Dio si è proposto, nell’economia della pienezza dei tempi, di ricapitolare tutte le cose in Cristo, quelle del cielo e quelle della terra».29 A questa luce si potrà percepire, dall’interno delle mentalità culturali, l’aspetto cristiano di tanti temi di interesse attuale: amore, solidarietà, liberazione, giustizia e pace, verità e coscienza, senso del peccato, bontà e perdono, volontariato e dono di sé, personalità e sacrificio, mondialità, dialogo interculturale, significato della storia, ecc.
Io vorrei raccomandare soprattutto tre aspetti su cui concentrare la funzione profetica partendo dall’ottica di questa nostra alleanza: la comunicazione della Parola di Cristo, la sua novità pasquale nell’Eucaristia e l’esperienza dell’infinita sua Bontà nella Riconciliazione.
Su di essi c’è da concentrare la nostra attenzione pedagogica. Sono aspetti centrali del Sistema Preventivo da rilanciare profeticamente, con coraggio e intelligenza, con una metodologia e con ritmi incisivi, secondo le possibilità delle singole persone e dei gruppi.
— La comunicazione della Parola di Dio. Facciamoci una domanda: possiamo dire di avere oggi una interiorità di alleanza con il Signore che ci fa essere aggiornati catechisti? Il primo oratorio di Don Bosco è stato un semplice catechismo,30 ed egli ha considerato sempre la comunicazione della Parola di Dio come lo scopo primario delle sue opere. Il Capitolo Generale Speciale (1971) ha lasciato un importante documento su Evangelizzazione e Catechesi che è ancora valido oggi. Nei suoi «orientamenti operativi» afferma, al riguardo, che: 1° la Congregazione Salesiana è oggi in stato di missione evangelizzatrice; 2° l’Ispettoria è «comunità a servizio» per l’evangelizzazione; 3° ogni comunità è una comunità evangelizzatrice, ossia una comunità in ascolto, in ricerca, inserita nella Chiesa locale, educativa e animatrice.
Anche il Capitolo Generale 21° (1978) ha studiato, nel suo primo documento (I Salesiani evangelizzatori dei giovani), questo stesso argomento prioritario. L’attualità dei suoi orientamenti (che auspicavano una «nuova presenza salesiana» in questo campo) si è venuta concentrando nel progetto educativo-pastorale, ormai familiare nelle Ispettorie e nelle case.
Il Capitolo Generale 22° (1984) ha elaborato il testo definitivo della nostra Regola di vita. Rileggiamo l’art. 34: «L’evangelizzazione e la catechesi sono la dimensione fondamentale della nostra missione. Come Don Bosco, siamo chiamati tutti e in ogni occasione a essere educatori alla fede. La nostra scienza più eminente è quindi conoscere Gesù Cristo e la gioia più profonda è rivelare a tutti le insondabili ricchezze del suo mistero. Camminiamo con i giovani per condurli alla persona del Signore risorto affinché, scoprendo in Lui e nel suo Vangelo il senso supremo della propria esistenza, crescano come uomini nuovi».31
Infine il Capitolo Generale 23° (1990) è tutto dedicato all’educazione dei giovani alla fede e sta guidando il nostro rinnovamento. Mi piace far risaltare che il diretto destinatario di questo documento è la comunità salesiana come primo soggetto di attività pastorale. Come scrivevo nella Presentazione degli Atti: «la comunità vive con gioiosa intensità la sequela del Cristo, confessa il suo mistero con la testimonianza consacrata, si sintonizza e scruta con attenzione il contesto in cui opera, scopre in esso i semi del Vangelo, interpreta i desideri di fede, intuisce i passi da fare nel cammino, si dedica a percorrerlo, lo verifica continuamente alla luce della Parola di Dio».32
È sintomatico che i principali documenti di questi ultimi grandi Capitoli storici concentrino lo sforzo di rinnovamento nella capacità di ascoltare e comunicare il Vangelo di Cristo. In tal senso si sono pure curate importanti e valide istituzioni in Congregazione per promuovere lo studio, l’insegnamento, la comunicazione, la diffusione di quanto si riferisce all’evangelizzazione e alla catechesi. Si cammina e si lavora.
Tutto questo è stato visto e promosso partendo soprattutto dall’ottica della missione. Qui lo rivediamo nell’ottica dell’alleanza, che sottolinea nelle persone l’aspetto profetico della loro vitalità interiore, individuale e comunitaria. Infatti urge oggi intensificare e migliorare quell’aspetto di «nuovo ardore» che è la sorgente e il fermento della dimensione profetica.
Sia, questo, un argomento privilegiato di revisione e di propositi in ogni comunità!
— La novità pasquale nell’Eucaristia. Il vertice del mistero di Cristo è la sua Pasqua. Costituisce il centro di tutta la storia della salvezza. Essa si fa continuamente presente nel tempo e nello spazio attraverso l’Eucaristia. «Nella santissima Eucaristia — dice il Concilio — è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa. Essa si presenta come fonte e culmine di tutta l’evangelizzazione, e i fedeli, già segnati dal sacro Battesimo e dalla Confermazione, sono pienamente inseriti nel Corpo di Cristo per mezzo dell’Eucaristia. La sinassi eucaristica è dunque il centro della comunità dei fedeli».33
Abbiamo già meditato alcuni anni fa su questo aspetto centrale: L’Eucaristia nello spirito apostolico di Don Bosco.34 Qui, dall’ottica dell’alleanza, si tratta di rivedere le convinzioni, la testimonianza e il nostro servizio profetico, in concreto, nelle attività educative.
Non si può concepire l’autenticità dell’alleanza salesiana, senza la centralità, come meta raggiunta e da raggiungere, della celebrazione eucaristica. Credo che c’è molto da rivedere da parte nostra in questo campo nell’educazione dei giovani alla fede. Il CG23 riconosce che stiamo attraversando, al riguardo, un momento di stasi 35 ed esorta a rimediarvi.36
Non si può essere profeti-educatori con Don Bosco senza una ripresa esplicita, intelligente ed entusiasta di un cammino pedagogico rivolto all’Eucaristia.
— L’esperienza personale del suo perdono. La perdita del senso del peccato è da combattere oggi con speciale cura. C’è da ricuperare nell’educazione la coscienza della dignità cristiana di sentirsi «penitenti» e di sperimentare i valori terapeutici del sacramento della Riconciliazione. Da questo punto di vista, evangelizzare è raccontare la storia della misericordia di Dio. Non si concepisce la vita di Don Bosco senza una costante dedicazione tra i giovani a questo impegno: è «una delle colonne fondamentali dell’edificio educativo».37 Si tratta di «un momento privilegiato dell’incontro personale con il giovane»; perciò — dice il Capitolo: «l’Ispettore curi la preparazione dei confratelli a questo ministero, così importante nella pedagogia salesiana».38
Anche qui, lo ripeto, stiamo parlando del ruolo profetico di noi Salesiani, delle nostre convinzioni, delle nostre iniziative, dei nostri programmi operativi, nelle attività di educazione. I confratelli preti hanno da fare un serio esame di coscienza sulla loro pratica personale e sulla loro disponibilità ad esercitare il ministero della Riconciliazione che alimenta nel cuore la paternità spirituale; e i confratelli non preti hanno da rivedere la loro pratica personale al riguardo e la loro collaborazione nel promuovere un ambiente di valorizzazione del sacramento della Penitenza. Ricordiamo quanto scrive san Paolo a Timoteo: «Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori; ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua longanimità».39
Insomma, dall’ottica dell’Alleanza il nostro ruolo profetico negli impegni di una educazione integrale non può assolutamente prescindere dalla comunicazione del Vangelo, dalla convocazione nell’Eucaristia come vertice reale della vita dell’uomo nuovo, dall’incontro personale con Cristo come approccio terapeutico che educa la coscienza al senso del peccato e la trasforma in consapevolezza di personale amicizia con Cristo.
La cura profetica di questi tre aspetti richiede concreti itinerari pedagogici che ogni comunità e ogni confratello elaborerà con particolare attenzione per poter essere, come Don Bosco, «profeta-educatore».
Che cosa si fa in ogni casa al riguardo? Quali sono le iniziative pratiche per la conoscenza della Parola di Dio, per la preparazione e partecipazione al supremo atto d’Amore della Pasqua, per la contestazione alla perdita del senso del peccato secondo la luce della ineffabile e infinita bontà misericordiosa di Cristo?
Nella missione.
tema della missione offre numerose e feconde possibilità di scelte profetiche, in cui ci dovremmo trovare di fatto già impegnati. Qui mi limito a sottolinearne due che credo particolarmente urgenti: la generosa applicazione del criterio oratoriano nella scelta dei destinatari, e la grazia di unità tra evangelizzazione ed educazione.
— Il criterio oratoriano di Don Bosco fa prediligere i giovani poveri. Ce lo hanno ricordato i recenti Capitoli Generali; ne abbiamo parlato nell’ultima lettera circolare sulla povertà; 40 è un aspetto centrale nella revisione della significatività delle nostre opere.
Il CG23, nel presentarci il cammino di educazione dei giovani alla fede, afferma esplicitamente che «la scelta salesiana di privilegiare i più poveri è la condizione previa per dialogare con tutti, anche con quelli che sono meno informati sull’“evento” cristiano».41
E aggiunge: «La loro povertà si presenta sotto molte forme: povertà di condizioni di vita, di senso, di prospettive, di possibilità, di consapevolezza, di risorse. È la vita stessa che si trova depauperata delle sue risorse principali. Non affiora alcuna esperienza religiosa finché non si scopre la vita nel suo vero senso. E, viceversa, ogni esperienza di vera vita libera una tensione religiosa».42 La sensibilità profetica include anche la ricerca di risposte alle nuove povertà, come espressione dell’ansia di Don Bosco di venire incontro ai più bisognosi nei tempi e nei territori propri; il CG23 esorta a istituire «qualche presenza come ‘segno’ del nostro andare verso i giovani più lontani».43
La dedizione ai nostri destinatari privilegiati porta in se stessa un carattere vitale di fedeltà allo Spirito del Signore che così ha voluto in Don Bosco. Non è una scelta secondaria; essa incide sul senso globale del nostro ruolo profetico nella Chiesa; costituisce, infatti, un tratto caratterizzante della nostra fisionomia carismatica. Ho visto in varie Ispettorie che da questo concreto impegno sgorgano feconde iniziative e più ardenti atteggiamenti spirituali, che rinnovano i confratelli e che risultano grandemente apprezzati dai Vescovi e dalle Chiese locali; tali nostre presenze sono provvidenziale dono profetico che incide efficacemente anche nel rinnovamento sociale.
— La grazia di unità tra evangelizzazione ed educazione mostra chiaramente che lo stile della nostra missione aiuta positivamente a superare il dissidio tra vangelo e cultura. La competenza per ciò che c’è di valido nella cultura e nei segni dei tempi, scrutato dall’ottica del mistero di Cristo, dovrebbe costituire un elemento di professionalità educativa al servizio della nostra consacrazione apostolica. Cristo stesso ci spinge in tale direzione. Lui è — come abbiamo visto — il creatore della realtà umana e il suo Spirito ne anima il dinamismo. Il CG23 proclama con acuta profondità: «Noi crediamo che Dio ama i giovani... che lo Spirito Santo si fa presente in essi e che per mezzo loro vuol edificare una più autentica comunità umana e cristiana. Egli è già all’opera, nei singoli e nei gruppi. Ha affidato loro un compito profetico da svolgere nel mondo che è anche il mondo di tutti noi. Noi crediamo che Dio ci sta attendendo nei giovani... Il momento educativo diviene, così, il luogo privilegiato del nostro incontro con Lui».44
È un’arte non facile poter interscambiare tra loro questi differenti valori; nella carità pastorale del nostro carisma ci viene offerta una speciale grazia di unità per cui «evangelizziamo educando ed educhiamo evangelizzando».
Purtroppo è frequente oggi separare i valori culturali dai principi evangelici, non necessariamente per contrapporli, quanto piuttosto per ignorare di fatto la loro connessione. È compito della nostra missione saperne far risaltare pedagogicamente l’inseparabilità, sia con la testimonianza di vita, sia con il dialogo quotidiano, sia con la serietà di una adeguata docenza.45 Questo compito è un aspetto vitale non solo di una scuola veramente cattolica, ma anche di ogni attività educativa. Penso che ci aiuterà a praticare meglio questo impegno il fatto concreto di coinvolgere validi laici nelle nostre attività educative.
Un fronte di particolare attenzione in questo campo è quello della dimensione sociale della vita. Il processo di socializzazione, sempre in divenire, ha portato e porta grandi innovazioni nella convivenza civile; d’altra parte l’influsso di tanti egoismi nelle attività politiche e nell’ordine economico ha provocato terribili sperequazioni e ingiustizie sociali, che esigono con urgenza un profondo cambio di mentalità e una ristrutturazione dei sistemi in prospettiva di mondialità.
Urge la formazione di una responsabilità politica cristiana, l’incorporazione della dottrina sociale della Chiesa nei programmi concreti dell’evangelizzazione, un continuo ripensamento del fondamentale precetto evangelico della carità. Così si partecipa attivamente all’esercizio profetico della Chiesa, realizzato abbondantemente in questi decenni dal Successore di Pietro e dai Pastori.
La revisione, in questo campo, è delicatamente complessa e deve essere permanente.
Nella comunione.
Il CG23 ha dato un forte rilievo alla comunità come soggetto della nostra missione. Ciò che essa deve profetizzare con la sua testimonianza quotidiana e le sue attività è il messaggio proclamato da Cristo circa la «comunione».
Per noi questa profezia della comunione va applicata soprattutto a due livelli: quello della comunità religiosa e quello del coinvolgimento apostolico di numerosi fedeli laici.
— La comunione nella comunità religiosa. Ringraziando il Signore c’è in Congregazione una viva comunione a livello mondiale, ispettoriale e locale. Qui ci riferiamo innanzitutto ai grandi valori del mistero di Cristo nelle comunità locali: farli circolare tra i confratelli in maniera che la comunità di ogni casa si trasformi esistenzialmente in «segno» e in «scuola» di fede. Una fede viva che, essendo necessariamente radicata in ogni persona, la muove alla comunione con le altre ampliando la sua capacità di testimonianza («segno») e moltiplicando la sua fecondità di trasmissione («scuola») in una comunità chiaramente significativa nell’orbita del suo ruolo profetico.
La pratica comunionale è propria di tutta la Chiesa, con differenziate modalità di realizzazione. Ne fanno fede già gli Atti degli Apostoli parlando dei primi Cristiani; 46 e poi il Vaticano II, per il quale «l’ecclesiologia di comunione è l’idea centrale e fondamentale».47
Tutto ciò che nelle nostre case si sta già facendo e si farà perché la comunità sia davvero nucleo di animazione come «segno e scuola di fede» è senza dubbio un vero impegno profetico di sicura efficacia in quest’ora di nuova evangelizzazione.
Raccomando ad ogni Ispettoria e ad ogni casa di valorizzare la provvidenziale «giornata della comunità» per una revisione continuata e costruttiva per la circolazione (comunione) tra i confratelli dei valori evangelici della nostra vocazione.
— Il coinvolgimento apostolico dei fedeli laici ha una sua realizzazione pratica in quella più ampia comunità operativa che chiamiamo «comunità educativa». L’impegno dei confratelli, quale nucleo animatore, è quello di curare e stimolare in essa un continuo interscambio dei valori del nostro progetto educativo, così che si arrivi a costituire un’autentica comunione operativa sui grandi principi e diventi un vero soggetto ecclesiale per la maturazione umana e cristiana dei giovani.
È da tempo che cerchiamo di tradurre in realtà questo proposito. Il riuscire a costituire tale comunità educativa intensificando in essa la circolazione dei grandi dinamismi della pedagogia di Don Bosco, per lanciare una profezia di forte prospettiva per il futuro, comporta una indispensabile capacità di coinvolgimento di validi fedeli laici. Si tratta di prendere sul serio l’ecclesiologia conciliare; essa trasformerà la nostra presenza evangelizzatrice ed educativa, aprendo le opere a una nuova vitalità e a un più promettente avvenire.
Nella radicalità.
Abbiamo visto che la pratica dei consigli evangelici è già per se stessa una nostra presenza profetica nella Chiesa e nella società. Il problema sta nel saperle dare più attuale significatività in ordine alla missione e comunione del nostro proposito evangelizzatore. Non si tratta solo di vivere obbedienti, poveri e casti, ma di far vedere che tale radicalità ci fa divenire visibili segni e portatori dell’amore di Cristo ai giovani.
Le Costituzioni affermano: «I consigli evangelici, favorendo la purificazione del cuore e la libertà spirituale, rendono sollecita e feconda la nostra carità pastorale»; 48 «la pratica dei consigli, vissuta nello spirito delle beatitudini, rende più convincente il nostro annuncio del Vangelo»; 49 i consigli evangelici «fanno del salesiano un segno della forza della risurrezione. Configurando il suo cuore tutto per il Regno, lo aiutano a discernere e ad accogliere l’azione di Dio nella storia; e, nella semplicità e laboriosità della vita quotidiana, lo trasformano in un educatore che annuncia ai giovani “cieli nuovi e terra nuova”, stimolando in loro gli impegni e la gioia della speranza».50
Vi invito a testimoniare questa nostra profezia della radicalità, oggi, con una particolare cura di due aspetti complementari di vera urgenza: l’educazione dei giovani all’amore e la perseverante e coraggiosa contestazione a certi idoli di moda.
— L’educazione dei giovani all’amore 51 è certamente uno dei punti nodali dell’educazione alla fede. Se c’è un aspetto dove i cambiamenti culturali hanno portato uno sfascio nella condotta e insieme una necessità di ripensamento è proprio questo. A causa di una visione distorta dell’amore, molti giovani non sono più capaci di vivere la grazia di Cristo; ecco un ostacolo deleterio per la crescita nella fede e per orientare la vita verso mete vocazionali.
In noi, la pratica «salesiana» dei consigli evangelici che rafforza l’alleanza, la missione e la comunione, traduce la nostra testimonianza quotidiana di vita in uno stile di bontà, di accoglienza educativa, di spirito di famiglia, nella sincerità e costanza dei rapporti personali, nella gioia della convivenza, nella circolazione di grandi ideali che offrono un clima assai favorevole ad una autentica formazione all’amore. La modalità salesiana di una vita obbediente povera e casta, testimoniata nella gioia di una convivenza operosa, mostra la bellezza e la soddisfazione di una vocazione d’amore che sa, nel Cristo, farsi dono per gli altri, aiutando a sperimentare esistenzialmente le ragioni delle esigenze e delle capacità di sacrificio inerenti all’amore di Cristo.
L’accento profetico di questa nostra pratica va posto nella fedeltà a Cristo, senza sotterfugi e compensazioni; essa ci aiuta a rinnovare quel clima di convivenza oratoriana che ha fatto di Don Bosco «il genio del cuore». In tale clima ci si dedica a capire e a guidare l’affettività dei giovani, a dare rilievo educativo al loro orientamento vocazionale, ad aprirli alle esperienze del dono di sé nel servizio, a crescere nella solidarietà.
Credo importante che si rifletta comunitariamente su questo aspetto, meditando le Costituzioni e facendo degli esami di coscienza concreti, considerando con particolare attenzione il tema della purezza salesiana; i progressi delle discipline antropologiche portano la necessità di revisione di una certa mentalità del passato, ma esigono simultaneamente un approfondimento della castità consacrata che sia davvero segno del mistero di Cristo, il quale è pur sempre la rivelazione massima di ciò che è l’amore.
— La contestazione agli idoli di moda ci ricorda il coraggioso stile profetico dell’Antico Testamento; lo stesso Gesù ha contestato più d’una volta, e in modo sferzante, certe mentalità ed abusi morali che snaturavano il concetto profetico di Regno da Lui proclamato.52
Ci sono oggi alcuni idoli di moda che vanno certamente sconfessati: girano intorno al potere, alla ricchezza e al piacere. Essi sono già contestati da noi esistenzialmente con la pratica dei consigli evangelici: «in un mondo tentato dall’ateismo e dall’idolatria del piacere, del possesso e del potere, il nostro modo di vivere testimonia, specialmente ai giovani, che Dio esiste e il suo amore può colmare una vita; e che il bisogno di amare, la spinta a possedere e la libertà di decidere della propria esistenza acquistano il loro senso supremo in Cristo salvatore».53
Però ci può essere in qualche casa una modalità imborghesita di vivere o un modo liberaleggiante di giudicare e di parlare o qualche confratello imprudente e controtestimoniante che, invece di collaborare a contestare gli idoli, nasconde, nega e toglie di fatto forza profetica alla radicalità evangelica, come se essa non influisse più o almeno non si preoccupasse più di essere comunitariamente segno efficace contro le deviazioni mondane. Purtroppo il secolarismo si insinua anche nelle comunità consacrate e ne assopisce i dinamismi profetici; fa perdere all’impegno educativo la propositività evangelica della nostra esistenza camuffandola con novità non evangeliche.
È importante saper contestare pedagogicamente certe idolatrie invadenti, facendo brillare in primo luogo le motivazioni e la gioia della nostra professione salesiana.
Ogni comunità si senta invitata a fare un serio esame di coscienza sull’aspetto profetico della sua radicalità evangelica in contrapposizione alle idolatrie dell’individualismo, dell’imborghesimento e dell’edonismo. Dobbiamo saper smascherare, anche con l’aiuto delle discipline antropologiche, certi orientamenti antievangelici circa il sesso, il matrimonio, la promozione della personalità, la dignità della donna, la costituzione della famiglia, la sacralità della vita, l’uso dei beni, l’indispensabilità della politica, i danni dell’egoismo, l’irrazionalità di tanti conflitti, il senso del peccato, ecc. Fare contestazione educativa è un compito delicato, non populista, che esige competenza, studio e riflessione; è espressione di un concreto servizio profetico di cui ha speciale bisogno la gioventù.
Ecco alcune riflessioni sulla dimensione profetica della nostra vita salesiana. «Vi esorto — dice san Paolo — a offrire voi stessi a Dio in sacrificio vivente, a lui dedicato, a lui gradito. Non adattatevi alla mentalità di questo mondo, ma lasciatevi trasformare da Dio con un completo mutamento della vostra mente. Secondo la capacità che Dio ci ha dato, noi abbiamo compiti diversi. Se abbiamo ricevuto il dono di essere profeti, annunziamo la Parola di Dio secondo la fede ricevuta».54
Sembrerà, a prima vista, che siano troppe le cose su cui si è concentrata la nostra attenzione e, quindi, che ne derivi una dispersione operativa. Ma, se si osserva bene, ognuna delle cose indicate è già in corso di realizzazione insieme a tante altre indicate dagli ultimi Capitoli Generali. Di fatto, la cosa su cui si insiste in questa lettera circolare è una sola, il nostro ardore profetico in tutto ciò che ci sforziamo di realizzare: aver la coscienza di essere profeti di Cristo e sapere su che cosa insistere per esserlo con genuinità e senza eventuali esibizioni di moda non autentiche.
Il ruolo profetico che tocca a noi nella Chiesa è di vivere con nuovo ardore l’autenticità del carisma di Don Bosco, affinché tutta l’opera della nostra evangelizzazione appaia rivestita di quella vera novità cristiana voluta dai tempi. Ciò implica alla base di tutto una rinnovata testimonianza di intimità personale con Cristo che ci spinga a rivedere, a rivalutare, a ripensare, a riprogettare, ad accentuare aspetti, a concentrare sforzi, a risvegliare la creatività pastorale, partendo veramente da Lui! In definitiva si tratta di mostrare efficacemente la contemporaneità di Cristo per condurre le nuove generazioni verso un futuro migliore.
San Paolo ci direbbe: urge che diventiate Cristo per i giovani!
Sentirsi profeti è per noi un grande risveglio spirituale che ci fa prendere sul serio la chiave di lettura conciliare che abbiamo seguito in queste riflessioni: «L’aggiornamento della vita religiosa — afferma il Vaticano II — comporta il continuo ritorno alle fonti di ogni vita cristiana e allo spirito primitivo degli Istituti, e nello stesso tempo l’adattamento degli Istituti stessi alle mutate condizioni dei tempi. E le migliori forme di aggiornamento non potranno avere successo, se non saranno animate da un rinnovamento spirituale, al quale spetta il primo posto anche nelle opere esterne di apostolato».55
La Vergine del Rosario ci guidi
L’evangelista Luca afferma, parlando di Maria Madre di Gesù, che Essa «custodiva gelosamente dentro di sé il ricordo di tutti questi fatti».56 E non solo dei fatti straordinari del concepimento di Gesù, della sua nascita e della sua infanzia, ma anche dell’intera sua vita, della sua ascensione alla destra del Padre e dei meravigliosi suoi interventi nella storia. Ne è riprova il cantico del Magnificat, specchio del cuore di Maria, che può considerarsi il modello di interiorità e di visione globale che deve coltivare in sé ogni vero profeta della nuova Alleanza. Chiediamo alla Madonna che ci aiuti a far crescere quotidianamente nel nostro cuore questa ottica propria della speranza cristiana.
L’odierna memoria mariana del 7 ottobre ci invita a scoprire nella recita del Rosario un modo pratico di custodire gelosamente in noi i vari aspetti dell’evento-Cristo: sono 15 e li chiamiamo «misteri». È su questi fatti che possiamo alimentare i nostri rapporti di amicizia con Cristo e, mentre consideriamo in essi l’ineffabile ricchezza dell’incarnazione e della redenzione confrontata con i gravi problemi che ci circondano in questo cambio epocale, possiamo, giorno dopo giorno, percepirne e comunicarne la contemporaneità. Sono sorgente abbondante di luce salvifica; ricordano qual è il segreto per la funzione profetica di ogni discepolo, il quale dovrà essere «come un capofamiglia che dal suo tesoro tira fuori cose vecchie e cose nuove».57
C’è proprio da imparare a «tirar fuori» dal tesoro di Cristo gli urgenti messaggi evangelici che, nella meditazione di quei 15 misteri, lo Spirito del Signore suggerisce. La preoccupazione profetica può far cambiare la pratica e l’apprezzamento di questo pio esercizio, ridonandogli vera attualità per alimentare la nuova evangelizzazione.
Possiamo anche ricordare che Don Bosco ci teneva tanto al Rosario. Al marchese Roberto d’Azeglio, che cercava di dissuaderlo dal farlo recitare ai giovani, rispondeva: «Io ci sto molto a questa pratica: e su questa potrei dire che è fondata la mia istituzione; e sarei disposto a lasciare piuttosto tante altre cose ben importanti, ma non questa».58
La nostra attenzione non va tanto alla lodevole osservanza di una pratica, quanto all’aspetto di un cuore mariano concentrato costantemente e con affetto profetico sui vari aspetti dell’evento-Cristo, centro vitale della nuova evangelizzazione. Fare memoria contemplativa di Cristo non è semplicemente ricordare una visita di Dio nel passato, ma considerarne la permanenza di rivelazione e di salvezza, entrando in familiarità con il suo aspetto escatologico, ossia di novità per i singoli tempi, in quanto è chiamato a fermentare la storia di oggi.
È una maniera di curare l’esperienza del divino vissuta da Cristo. Il profeta non è costituito in autorità per comandare, ma per comunicare la luce del mistero sperimentato personalmente; è contrario a questa sua vocazione il cadere nella «routine»; non può apparire come «abituato» a Cristo, ma come amico della sua attualità salvatrice e come suo messaggero acuto e fedele, che porta in sé l’attenzione alla sua perenne novità e il dono della «parresìa», ossia della franchezza e del coraggio nel comunicarla; prima di schierarsi in opzioni sociali, si preoccupa di annunciare il suo Vangelo collocandosi totalmente dalla parte di Cristo; più che alla ribellione, invita alla conversione; non è un esperto del calendario di eventi futuri, ma guida il senso del futuro; porta la lieta novella in cui c’è anche il perdono dei peccati e, quindi, insiste nella conversione e contesta con franchezza il male; ama le novità essendo portatore della massima novità.
Per essere profeti c’è bisogno di fuoco, di vitalità sempre fresca, di fantasia audace, di docilità quotidiana allo Spirito del Signore, di entusiasmo e coraggio fino al martirio. Ce lo mostrano i santi di tutti i secoli, uomini e donne, che hanno fatto di Cristo la ragione del loro vivere e del loro agire.
Che Maria ottenga per ogni confratello e per ogni comunità una interiorità apostolica che faccia splendere profeticamente per i giovani la pienezza di luce del Cristo.
A tutti un fraterno saluto.
Cordialmente in Don Bosco,
D. Egidio Viganò
NOTE LETTERA 57
1 Torino - LDC
3 Catechismo della Chiesa Cattolica n. 783
11 Mt 5, 14-16
12 Gv 1, 9
13 Gv 1, 7
14 2 Cor 4, 5
17 Il Progetto di vita dei SDB, Roma 1986, pag. 92
19 Gv 1, 3
20 Gv 16, 15
22 CG23, soprattutto nella 1a parte
23 CG23, soprattutto nella 2a parte
24 Ger 1, 5
25 Ger 20, 7 e 9
26 Fil 1, 21
27 Gal 2, 20
28 2 Co 5, 17
29 Ef 1, 10
30 cf. MB IX, 61
31 Cost 34; cf. anche: 6, 17, 20, 38, 43, ecc.
32 CG23, pag. 13
34 cf. ACG n. 324
35 CG23 148
36 CG23 175
37 CG23 174
38 CG23 289
39 1 Tm 1, 15-16
40 cf. ACG n. 345
41 CG23 105
42 CG23 120
43 CG23 230
44 CG23 95
45 cf. ACG n. 344, circolare Educare alla fede nella scuola
46 cf. At 2, 42-47; 4, 32-35
47 Sinodo straordinario a vent’anni dal Concilio - Relazione finale: II, C, 1
51 cf. CG23 192 ss
52 cf. per es., Mt 23, 13 ss; Mc 9, 42 ss; Lc 19, 41-45
54 cf. Rm 12, 1 ss