301-350|it|344 Educare alla fede nella scuola

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EDUCARE ALLA FEDE NELLA SCUOLA



Introduzione. - La «radice oratoriana» della nostra scuola. - L’attuale impegno scolastico della Congregazione. - Il problema del rapporto tra «educazione» e «scuola». - Crisi di transizione culturale. - Tempi di ricerca. - L’odierna complessità dell’istituzione scolastica. - La scuola cattolica rinnovata. - L’impegno didattico secondo la nuova evangelizzazione. - Lo stile salesiano. - Maestri di spiritualità giovanile.

Lettera pubblicata in ACG n. 344



Roma, 19 marzo 1993

Solennità di San Giuseppe


Cari confratelli,


vi saluto con affetto a nome anche dei membri del Consiglio generale. Abbiamo chiuso la sessione plenaria il 5 febbraio scorso; e subito sono iniziate le partenze per le visite di animazione. Io ho presieduto, pochi giorni dopo, la Visita d’insieme delle Ispettorie italiane; in seguito ho potuto prendere contatto con varie comunità, soprattutto con le due Ispettorie del Messico, dove ho predicato uno speciale corso di Esercizi spirituali ai direttori, a conclusione delle celebrazioni centenarie dell’arrivo in Messico dei primi cinque salesiani.

Dovunque si constata un vero impegno per l’applicazione delle deliberazioni del CG23. Il Signore benedice la Congregazione anche in situazioni delicate, non solo nella vasta frontiera delle missioni, ma altresì nelle presenze nuove dell’Albania, della Siberia e di varie nazioni dell’ex Unione sovietica.

È vero che le forze rimangono contate soprattutto in certe zone di scarsa fecondità vocazionale, ma, vivendo l’autenticità dei consigli evangelici ed evitando il pericolo dell’imborghesimento, Don Bosco ci stimola e ci aiuta a non fermarci, lasciando, magari, ciò che ormai non costituisce elemento di significatività salesiana.

Tra i temi che ho visto far oggetto di competente riflessione in convegni e riunioni di revisione e di progettazione c’è quello dell’educazione dei giovani alla fede nelle nostre istituzioni scolastiche. È, questo, un argomento ricco e sfidante; non è cosa semplice né pacifica, ma è certamente vitale nel rinnovamento della Congregazione.

Per questo credo opportuno invitarvi a riflettere sul tema-scuola, considerandolo in alcuni dei suoi aspetti più impegnativi. È impossibile, infatti, parlare della missione e dell’opera salesiana senza che questo tema venga al centro del discorso. Esso costituisce, d’altra parte, in una forma o in un’altra, in positivo o in negativo, un’importante esperienza educativa da valutare.



La «radice oratoriana» della nostra scuola


Ho visto nel Messico — al nord, in alcune città della frontiera con gli Stati Uniti e, al sud, nella penisola dello Yucatán — un promettente rilancio dell’oratorio salesiano nei sobborghi più popolari e a rischio. In questa singolare esperienza si percepisce subito che la presenza oratoriana, ricca di dinamismo, diviene quasi necessariamente nucleo creativo di altre iniziative, appunto in vista dei concreti bisogni di quei giovani. L’oratorio salesiano non è una istituzione già in tutto definita, tanto meno è una specie di alternativa in contrasto con altre strutture, ma piuttosto esso porta ad una ricerca delle modalità educative più utili ai giovani bisognosi; e tra queste emergono quasi subito iniziative scolastiche per il mondo del lavoro o per la formazione cittadina e sociale. Si può dire che l’oratorio (ossia la presenza tra i giovani più bisognosi) diviene la fonte anche di strutture scolastiche, con un proprio stile e spirito.

Lo abbiamo già visto in Don Bosco. Sin dai primi anni delle sue attività a Valdocco, inserì creativamente la componente scolastica all’interno del suo apostolato giovanile, conservando in essa le finalità, il clima e i criteri oratoriani. E quando gli venne offerta l’opportunità, assunse pure delle scuole già funzionanti od egli stesso ne aprì varie, guidato sempre dal suo intento oratoriano iniziale e dal suo metodo caratteristico di educare i giovani del popolo alla vita sociale ed ecclesiale.

Penso si debba tenere in conto questa «radice oratoriana» e questa caratteristica popolare delle nostre scuole. Giustamente le Costituzioni rinnovate ci ricordano che l’esperienza dell’Oratorio di Don Bosco a Valdocco «rimane criterio permanente di discernimento e rinnovamento di ogni (nostra) attività e opera».1 È un criterio che parte dalla realtà giovanile e popolare, cercando i mezzi più adatti per un’educazione integrale soprattutto dei più bisognosi.

La Congregazione, nella sua espansione per il mondo, si è venuta inserendo nel movimento di diffusione popolare della scuola cattolica, prendendone i modelli correnti e migliorandoli o trasformandoli con la sua specifica identità e con le sue intuizioni pedagogiche. In questo è stata guidata dalla convinzione, corroborata dalla prassi, che la scuola costituisce un mezzo privilegiato di educazione della gioventù, un elemento valido di promozione popolare e un ambiente di evangelizzazione di particolare efficacia.

Più che contrapporsi, quindi, «oratorio» e «scuola», come due istituzioni definite e separate, per noi esse si richiamano e si illuminano mutuamente; interscambiano criteri e modalità, arricchendosi reciprocamente nelle loro finalità educative ed evangelizzatrici, mentre si caratterizzano per la loro comune destinazione ai giovani bisognosi del popolo.



L’attuale impegno scolastico della Congregazione


Dopo più di cent’anni di vita, secondo i dati dell’ultimo Capitolo Generale, noi ci troviamo ad operare in molte centinaia di istituzioni scolastiche, che comprendono simultaneamente scuole primarie (501), secondarie di primo grado o medie (498), secondarie superiori (296), tecniche (89), facoltà universitarie (34), scuole parrocchiali (677) e centri di alfabetizzazione (95).2 A queste si devono aggiungere le scuole professionali (252) e agricole (53).3 I Salesiani impegnati a tempo pieno sono circa 4.300 e altri 1.800 lo sono a tempo parziale; prestano anche la loro opera oltre 35.000 collaboratori laici per educare 800.000 giovani.

E se ancora contiamo il consistente impegno scolastico delle FMA, i numeri si duplicano.

La nostra Famiglia si presenta dunque come un movimento di educatori saldamente attestati anche sul fronte scolastico. E i diversi confronti a livello di statistiche religiose lo fanno emergere con chiarezza.

Ma non si tratta solo di quantità. In Congregazione, alla scuola è stata dedicata sempre una particolare attenzione per curarne la competenza e la qualificazione. Nei tempi in cui la sua validità fu indiscussa si cercò di portarne a perfezione l’organizzazione, di instaurarvi una disciplina ragionevole, di raggiungere una piena efficienza didattica, di curare la sua incidenza educativa e il livello culturale. In tempi dominati dalla contestazione ci si sforzò di individuare le cause della crisi, di rispondere alle nuove esigenze pedagogiche e pastorali, di riaffermare i vantaggi dell’istituzione scolastica, pur senza ignorarne i limiti. Soprattutto si è procurato di ridefinire l’identità della scuola salesiana animata con lo spirito oratoriano del Sistema Preventivo.

In questo cammino ininterrotto di riflessione e di orientamento si sono raggiunte prospettive diverse e complementari, che insieme costituiscono ancora una sintesi valida: il progetto educativo, la comunità educante, la dimensione culturale della scuola, la sua finalità evangelizzatrice, l’animazione pastorale, il rapporto col territorio.

Il CG21, che elaborò i suoi orientamenti alla luce e sotto l’influsso della Evangelii nuntiandi, mirando proprio all’evangelizzazione dei giovani, riaffermava la validità della presenza salesiana nella scuola e ne riassumeva i pregi con queste parole: «La scuola offre possibilità di incontro e rapporto personale con molti giovani; dà l’opportunità di formare con essi delle comunità in cui l’impegno culturale è illuminato e permeato dalla fede; l’azione pastorale raggiunge anche i genitori e i collaboratori, incarnando il messaggio in un progetto temporale di promozione della persona. Consente infine di affermare coi fatti il diritto a progetti alternativi di educazione in società nelle quali l’egemonia culturale o il monopolio educativo limitano i diritti della famiglia riguardo all’educazione dei figli».4



Il problema del rapporto tra «educazione» e «scuola»


Il CG23, preoccupato dell’educazione dei giovani alla fede, suggerisce un bilancio del rapporto che intercorre oggi tra «educazione» e «scuola»; non nasconde le difficoltà esistenti, per superare le quali si richiede un complesso e deciso rinnovamento. «Nel sistema educativo delle nostre complesse società — afferma — si nota una prevalenza dell’istruzione e del dato scientifico sulle intenzioni educative e sulla formazione globale della persona. Questo fatto crea un distacco tra sistema educativo e vita, tra insegnamento e formazione globale della persona, e rende difficile l’elaborazione di una cultura personale».5

Si è venuto così creando, a volte anche tra noi, un vero distacco tra il programma scolastico e le preoccupazioni di vita e di senso proprie dell’età evolutiva.

D’altra parte, la compresenza di numerose agenzie educative visibili e sommerse, quasi in concorrenza, relativizzano l’influsso e il valore reale della scuola riguardo alle proposte veramente educative.

Eppure il CG23 riconosce che la scuola è ancora l’ambiente in cui l’educazione alla fede può essere «inserita in una visione del mondo e della vita che il giovane costruisce attraverso l’apprendimento delle discipline e la progettazione del proprio futuro».6

I vantaggi offerti dall’ambiente scolastico, però, non sono scontati. Sono da perseguire intenzionalmente e da raggiungere in una situazione veramente inedita, in cui si intrecciano fattori molteplici. Di qui l’invito a ripensare, in vista dell’educazione alla fede, il contenuto e l’impostazione delle diverse discipline, la visione culturale che vi soggiace, la struttura e lo stile della comunità, i programmi espliciti di insegnamento religioso, l’esperienza di impegno cristiano.7

Intenti e proposte di rinnovamento su queste linee, d’altra parte, non erano mancati nei periodi precedenti.

Ne sono testimoni, oltre ai Capitoli Generali del postconcilio, gli Elementi e Linee del Progetto educativo per le scuole salesiane, offerti alle Ispettorie dal dicastero competente, lo sviluppo teorico e pratico della comunità educativa e della formazione dei collaboratori, il tema dell’evangelizzazione nella scuola che ha prodotto notevoli trasformazioni di criteri e metodi, anche se dopo non lievi difficoltà di comprensione.

Ci sono stati momenti di approfondimento di questi aspetti in diversi convegni regionali (per esempio in Italia,8 Spagna, America Latina-Pacifico). In fatto di formazione di operatori, poi, il dicastero della Pastorale giovanile ha offerto, in collaborazione con la nostra Facoltà di Scienze dell’Educazione, un corso in ciascuno degli ultimi sessenni. Se a questo si aggiungono la presenza, sempre raccomandata, nell’équipe di pastorale di un incaricato della dimensione educativa e tutto il materiale prodotto dai confratelli in occasione di giornate di studio, si vedrà che ci si è mossi sempre con fedeltà a Don Bosco.

Il risultato è stato l’affermazione didattica e culturale di non poche nostre scuole, anche in ambienti assai esigenti, con l’apprezzamento e la costante richiesta delle nostre scuole da parte delle famiglie.

Se è vero che la realtà giovanile ha suggerito di aprire nuovi campi di intervento, riducendo così la percentuale dell’impegno scolastico nella azione globale della Congregazione, sarebbe sbagliato interpretare questo fatto come un inizio di abbandono o di disimpegno della scuola. Al riguardo non sono mai mancati stimoli e orientamenti dal Magistero della Chiesa e dal centro della Congregazione; caso mai è mancata, per motivi spiegabili, la reazione a livello locale dove dovrebbero trovare applicazione le direttive.

Nell’ambito scolastico noi non siamo fuori strada né arretrati, ma sentiamo comunque di dover fare i conti con una realtà che era ed è in movimento sotto molti aspetti, come dimostrano la complessità crescente, l’aumento dei collaboratori laici, le nuove esigenze didattiche, un rapporto di nuova evangelizzazione riguardo alle possibilità di educare alla fede, il collegamento con la società e il territorio, l’esigenza di riqualificazione da parte dei confratelli.

Tra i sussidi più autorevoli che ci devono ispirare possiamo ricordare: la Dichiarazione conciliare Gravissimum educationis, la lettera La Scuola cattolica della Congregazione vaticana per l’Educazione (marzo 1977) e Il laico cattolico, testimone della fede nella scuola (1982) della stessa Congregazione, La Scuola cattolica, oggi, in Italia, da parte della Conferenza Episcopale italiana (1983) con il sussidio Fare pastorale della scuola oggi (1990), La dimensione religiosa dell’educazione nella scuola, della Congregazione dell’Educazione cattolica (1988), vari discorsi impegnativi del Santo Padre, diversi altri interventi delle Chiese locali e il documento del CG21 La Scuola come ambiente di evangelizzazione.9



Crisi di transizione culturale


La realtà umana è davvero in movimento, e in forma accelerata; nel clima culturale del nostro tempo si registrano cambi radicali che fanno pensare all’inizio di una nuova epoca storica a livello planetario. Qualcuno parla di una specie di rivoluzione culturale del mondo.

Sono parecchie le «res novae» che emergono nella società. E dove l’accelerazione è più intensa, si parla già di transito dalla «modernità» alla «postmodernità»:10 ossia da un tipo di cultura poggiata sulla convinzione del progresso indefinito e centrata sulla capacità della ragione umana senza spazi per la trascendenza (e perciò creatrice di agnosticismo e di ideologie totalizzanti), a un altro tipo di cultura detta del «pensiero debole», radicalmente scettica, aperta ad una qualche eventuale trascendenza ma in forma relativistica (come la religione proposta da New Age), che si caratterizza più per la caduta delle false certezze che per l’apporto di veri argomenti di speranza.

Senza entrare in merito alle opinioni circa il «moderno» e il «postmoderno», c’è da constatare senz’altro l’intensificarsi di un clima di soggettivismo, di relativismo, di pluralismo, di mode nuove che propongono dei «post» fino a considerare la stessa fede in situazione di sorpasso collocandola ormai in un «postcristianesimo», nel quale la missione della Chiesa apparirebbe obsoleta.

Da un altro punto di vista, però, tale evoluzione offre anche delle possibilità interessanti. Infatti, la caduta delle ideologie e dei miti sociopolitici elevati al rango di religioni secolari, fa constatare a poco a poco, e sempre in crescendo, che la fede cristiana risulta, in definitiva, l’unico punto di riferimento stabile e promettente, che illumina difende e promuove prospettive di vero umanesimo, ricco di significati e di obiettivi che danno un senso alla vita e alla storia e muovono i cuori alla speranza. La recente apparizione del Catechismo della Chiesa cattolica può venir considerata come un segno storico che addita il vero punto di riferimento per il futuro. Si può pensare che sia scoccata l’ora di un nuovo impegno di inculturazione del Vangelo: «un’ora — come ha scritto Giovanni Paolo II — magnifica e drammatica della storia umana».11

Si danno le condizioni culturali per lanciarsi con intelligenza pedagogica alla nuova evangelizzazione con la possibilità di sanare finalmente il pernicioso divorzio tra Vangelo e cultura: la crisi, infatti, porta con sé la richiesta di curare le radici stesse della cultura emergente.

Il Santo Padre insiste spesso su questo tema a lui tanto congeniale: «Anche se il Vangelo non si identifica con nessuna cultura in particolare, deve ispirarle tutte per trasformarle dal di dentro, arricchendole con i valori cristiani che derivano dalla fede. In verità, l’evangelizzazione delle culture rappresenta la forma più profonda e globale di evangelizzazione di una società».12

«L’assenza dei valori cristiani fondamentali nella cultura della modernità non solamente ha offuscato la dimensione del trascendente, ma è, a sua volta, causa determinante della disillusione in cui è maturata la crisi della cultura. Una delle sfide all’evangelizzazione è quella di intensificare il dialogo tra le scienze e la fede, in ordine a creare un vero umanesimo cristiano».13

Tutto questo ci porta a riflettere in modo nuovo sulla natura e missione della nostra scuola. Non poche scuole cattoliche sono rimaste, forse, abbagliate dalle novità culturali senza trovare subito il modo per suggerire una risposta adeguata alle incalzanti sfide.

L’inserimento in una cultura tanto agitata e pluralista propone di fatto ai giovani, senza darne giudizi di valore, molteplici visioni riguardo al senso della vita e della sua impostazione etica e religiosa. Perciò, mentre per la soluzione dei problemi pratici si offrono conoscenze obiettive e condivise, riguardo ai problemi vitali la situazione rimane fortemente segnata dalla soggettività.

Ciò si ripercuote in particolare sull’educazione religiosa, intesa nel suo senso elementare di risposta agli interrogativi dell’esistenza e più ancora sull’educazione cristiana nel suo molteplice aspetto di conoscenza della rivelazione, di esperienza di una vita impegnata e di visione globale della realtà.

Molti fattori concorrono ad aggravare questo fenomeno. Uno è certamente la sperequazione della istruzione religiosa riguardo alla totalità delle informazioni e dei messaggi che i giovani ricevono, per cui le conoscenze della fede rimangono vaghe, imprecise, incomplete, confuse. Un altro è l’interrompersi — nei paesi cristiani — del processo catechistico nel periodo adolescenziale quando emergono i problemi del senso, dell’etica, della cultura, della società. Infatti l’ultimo programma sistematico di formazione cristiana è spesso quello della preparazione alla cresima.

Ma più ancora influisce quella che il CG23 individua come la progressiva irrilevanza della fede sulla cultura e sulla vita a mano a mano che crescono nella persona la conoscenza e le dimensioni dell’esistenza. «Nel mondo del benessere — scrive il CG23 —, e per riflesso anche in altri contesti, il valore religioso è stato posto ai margini delle componenti della nuova società e degli aspetti che si stimano essenziali al vivere sociale. Per i giovani, specialmente per quelli che vivono in questo clima, la domanda su Dio non è rilevante e il linguaggio religioso (salvezza, peccato, fede, futuro) è svuotato del suo significato... La proposta religiosa non trova più spazio culturale per esprimersi in forma comprensibile. È l’aspetto drammatico del pur legittimo processo di secolarizzazione».14

Tutto ciò appare con immediatezza ad un osservatore attento; ma esso rappresenta solo un settore degli aspetti problematici.

Per fortuna però affiorano anche tendenze positive, forse ancora in stato germinale: sono i valori e le esigenze che riguardano la persona, considerata soggetto determinante in tutti i processi educativi e sociali. Tali valori ed esigenze consigliano di percorrere gli itinerari della ricerca di senso per guidare alla scoperta del mistero che la vita umana si porta dentro. Suggeriscono pure di puntare sulla formazione della persona, attivando particolarmente quei dinamismi che favoriscono il desiderio e la capacità di una crescita continua durante tutto il corso della vita.

Positivo e stimolante è pure il nuovo scenario della mondialità che si esprime nella solidarietà con i vicini e i lontani, nel rispetto dei diritti naturali e civili di ciascuno.

Di tutto ciò abbiamo parlato nella circolare sulla nuova educazione.15 Il nostro CG23 ne prende atto: «Molti giovani — dice — si richiamano a nuovi valori capaci di rigenerare i rapporti interpersonali e di offrire una struttura sociale più ricca. Nel vissuto giovanile emergono alcune insistenze: la centralità della persona, principio, soggetto e fine di tutte le istituzioni sociali; la riscoperta del valore della uguale dignità e della reciprocità uomo-donna; un modo nuovo di costruire relazioni, basate sulla libertà e sulla giustizia; un insieme di valori collegati alla diversità (ad esempio la tolleranza, l’ecumenismo, il rispetto del diverso) e alla solidarietà (la nuova visione della pace e dello sviluppo, la totalità e la globalità della crescita); una rinnovata attenzione alle realtà culturali e religiose, oltre il progresso tecnologico; una spiccata sensibilità verso i grandi problemi del mondo...; una significativa riscoperta dell’ambiente e della necessità della sua salvaguardia».16

Non tutti i valori proclamati e desiderati dai giovani riescono però a trasformarsi in convinzioni, atteggiamenti e comportamenti permanenti capaci anche di generare decisioni durevoli e scelte di vita. C’è infatti un certo scollamento tra proclamazioni condivise e cultura vissuta, tra norme e criteri accettati e aspirazioni soggettive, tra obiettivi sociali e progetti personali.

Questa situazione di disorientamento (per l’abbaglio di tante novità) ha fatto perdere, di fatto, la credibilità anche di alcune scuole cattoliche.



Tempi di ricerca


Il cambio epocale in cui viviamo ci porta, dunque, verso mete culturali da preparare. Il Concilio Vaticano II è stato una immensa grazia dello Spirito del Signore per guidare la Chiesa in un’ora tanto complessa e feconda.

I difetti e le carenze dell’attività scolastica preconciliare hanno provocato negli operatori scolastici un giustificato affanno per ricercare nuove modalità di presenze apostoliche che, spesso e di fatto, hanno portato a trascurare o ridurre il ruolo educativo di una scuola cattolica rinnovata.

Si sono visti dei Pastori totalmente privi di sensibilità al riguardo, nonostante gli espliciti orientamenti magisteriali; anche vari Istituti di vita consacrata hanno abbandonato le loro opere scolastiche, come se fossero un residuo di tempi superati.

Sono, però, passati gli anni e ora va emergendo sempre più chiara una esplicita critica a tali atteggiamenti. Lo abbiamo visto nella IV Conferenza dell’Episcopato latinoamericano a Santo Domingo 17 e anche in affermazioni di altre Conferenze episcopali; così, ad esempio, il segretario della Conferenza episcopale italiana, Mons. Dionigi Tettamanzi, in un incontro con i Provinciali d’Italia (novembre 1992) ha affermato con franchezza: «È merito dei Religiosi (almeno di non pochi!) aver tenuto fede alla Scuola cattolica anche in anni di diffusa disattenzione ecclesiale e talora di vera e propria incomprensione, per questo specifico servizio all’educazione».18

Già nella lettera della Congregazione per l’Educazione cattolica, di ben 15 anni fa, si esortava a non «lasciarsi sviare dal richiamo seducente di attività apostoliche spesso solo apparentemente più efficaci».19

Sappiamo che la nuova evangelizzazione è per se stessa inseparabile dalla promozione umana e dalla cultura cristiana;20 i due aspetti della «promozione» e della «cultura» costituiscono infatti una sua dimensione privilegiata. Per evangelizzare la gioventù, che è in età evolutiva, bisogna saper agire dal di dentro della sua crescita umana e della sua maturazione culturale. Giustamente l’episcopato latinoamericano a Santo Domingo ha considerato l’educazione cattolica come «mediazione metodologica per l’evangelizzazione della cultura».21

Ora, sebbene sia vero che l’educazione occupa uno spazio molto più vasto di quello della scuola, questa va considerata — se vuol essere veramente tale — proprio come un’istituzione delle più influenti nell’ambito stesso dell’educazione integrale. Essa è chiamata per propria natura a far maturare la persona sviluppando dall’interno della sua evoluzione gli orizzonti del senso della vita, evitando di chiuderla in una programmazione riduttiva di semplice istruzione scientifico-tecnica; essa deve essere luogo di umanizzazione con una valida concezione dell’esistenza umana, con una scala di valori e con una globale visione dell’uomo, della sua storia e del mondo.

Solo un astratto razionalismo può far pensare a una scuola cosiddetta «neutra» o asettica, non al servizio di una cultura ma di informazioni disimpegnate all’insegna di un vago relativismo agnostico.

Ora, ogni cultura si rapporta a un umanesimo e, nell’attuale pluralismo della società, l’umanesimo cristiano — come abbiamo già insinuato — presenta una profonda originalità e una ripresa crescente della sua valenza sociale nella ricerca del bene comune.

La scuola cattolica non rappresenta affatto un’opera di supplenza; essa è un apporto originale e prezioso per la vita della società civile, anzi un vero diritto della gente. La libertà che dovrebbe caratterizzare ogni Stato democratico esige che la cultura sia determinata dai cittadini stessi secondo le loro competenze e convinzioni e non solo dall’autorità pubblica, la cui funzione è di promuovere e proteggere e mai di monopolizzare. La funzione dello Stato è sussidiaria, e «se rivendica a sé il monopolio scolastico, oltrepassa i suoi diritti e offende la giustizia».22



L’odierna complessità dell’istituzione scolastica


La scuola appartiene, come dicevamo, all’ambito della cultura, partecipa della sua autonomia secondo le esigenze di quella «laicità» che è insita nell’ordine temporale — così come è stato voluto da Cristo stesso in quanto Verbo creatore — nella sua consistenza e nelle sue finalità.

Questa «laicità» istituzionale è propria di ogni scuola in quanto tale; non è in contrasto con l’ispirazione cristiana che qualifica l’impostazione della scuola cattolica; la fede, infatti, non pone alcuna limitazione o condizionamento alla natura e missione dell’ordine temporale e quindi della scuola, anzi ne purifica e ne stimola le finalità difendendola dai tentativi di manipolazioni ideologiche di vario tipo. In quanto «scuola», essa è proiettata alla promozione umana con la prospettiva di educare la persona per il bene della società civile.

Le esigenze della natura e missione culturale della scuola sono oggi molteplici e vanno crescendo in ogni società.

È nata così per la scuola una complessità in movimento. Essa si manifesta innanzitutto nell’ordine della docenza in cui l’informazione scientifica richiede sempre ristrutturazione di programmi e discipline, una loro nuova articolazione e corrispondenti novità dei metodi e strumenti didattici.

Ci sono poi le esigenze di coordinamento delle diverse componenti dell’ente-scuola, le responsabilità didattiche e disciplinari, il funzionamento dei vari consigli, l’inserimento dei genitori, i rapporti con il personale ausiliare, l’aggiornamento edilizio con l’adeguamento a nuove norme legali e, particolarmente incisivo, il problema del sostegno economico.

La complessità risiede anche nello sforzo di offrire una vera educazione, il che esige convergenza di visione che dia forma a una attività sufficientemente coordinata e capace di esprimere un comune impegno culturale.

Tutti questi aspetti si enunciano rapidamente. Il loro funzionamento pedagogico, però, comporta programmazioni pazienti, realizzazioni metodiche, convergenze laboriose e riequilibri continui. Se non c’è tale sforzo di coordinamento, l’istituzione scolastica corre il pericolo di non essere vera scuola di vita; appare piuttosto quale «tempo di obbligo» per immagazzinare dati e avere una certa competenza funzionale; si presenta antipatica agli allievi, inducendoli a impegnare altrove il loro «tempo libero».

Bisogna aggiungere, però, che se c’è uno sforzo di organicità, la complessità significa anche ricchezza perché fa convergere l’indispensabile pluralità di ruoli, le esigenze didattiche e gli aspetti educativi in una armonica integrazione che, senza sopprimere le naturali tensioni tra poli differenti, ne orienta le energie verso una più efficace capacità di crescita culturale.

La complessità, inerente all’attuale evoluzione storica, porta a riflettere sulla serietà e urgenza di nuove esigenze della scuola oggi, che comportano la capacità di acquisire e sviluppare una autentica professionalità educativa non solo generale ma anche specialistica. Infatti la gestione della struttura globale, il livello didattico, l’animazione della comunità educativa, la proposta culturale, il dialogo tra l’informazione scientifico-tecnica e la significatività dei valori, richiedono una base di conoscenze sistematiche e di pratiche pedagogiche accompagnate da un continuo aggiornamento.

Le scienze dell’educazione si sono sviluppate in molte direzioni e richiedono profili specializzati. Urge superare la tendenza a considerare l’aspetto dell’insegnamento come puramente tecnico, con finalità funzionali piuttosto che educative. Una più profonda riflessione sull’aspetto educativo del momento didattico, invece, fa emergere e ricuperare i valori intrinseci al processo di apprendimento in quanto educa la mente a porsi giustamente degli interrogativi, ad elaborare con rettitudine i dati, ad applicare ed esercitare l’intelligenza, a elucidare non solo le relazioni tra i dati empirici ma anche a scoprire il senso della totalità.

Ma se l’insegnamento-apprendimento già come esercizio contiene valori educativi, il patrimonio culturale con cui la scuola mette a contatto offre ancora più elementi di crescita. In tal senso si sono sottolineati gli orizzonti che le diverse aree del sapere aprono sulla realtà umana e sulla materia, e gli atteggiamenti di mente e di anima che creano.

Se l’insieme dei contenuti e dei metodi è convenientemente impostato, dovrebbe maturare nei giovani una mentalità umanistica, che porta a collocare la persona al disopra delle cose; una cultura a dimensione etica, cioè, che rende abituale il commisurarsi con la coscienza e i valori obiettivi; una cultura solidale che concepisce il progresso come una condivisione di beni da parte di tutti e non proclama come principio la corsa all’affermazione individuale; una cultura del senso, aperta al trascendente, capace di accogliere gli interrogativi dell’esistenza e cercarvi risposte.

Tutto ciò risulta possibile solo quando la riflessione prima e fondamentale, dalla quale vengono gli obiettivi educativi, è stata portata proprio sulla cultura che la scuola comunica con tutti i suoi elementi e particolarmente con l’insegnamento. Il problema centrale della scuola è dunque la sua impostazione culturale, il che vuol dire la sua riflessione integrale sull’uomo, in vista della sua formazione per la pace, per la solidarietà, per i diritti umani, per l’ecologia, per il miglioramento della società e del mondo.23



La scuola cattolica rinnovata


Che caratteristiche deve apportare oggi a una scuola rinnovata il qualificativo di «cattolica»?

Possiamo dire che in questi decenni postconciliari la scuola cattolica è stata sottomessa a un ripensamento di fondo. La nuova evangelizzazione della cultura evidenzia il tono di quell’umanesimo cristiano che la deve distinguere e che la scuola traduce in un proprio progetto educativo.

Il progetto esige che essa sia, innanzitutto, autenticamente «scuola», cioè concentrata sull’educazione mediante la comunicazione ed elaborazione del sapere; e lo fa col senso di una giusta «laicità», senza concessioni a interpretazioni laiciste nè strumentalizzazioni ideologiche. Essa davvero conosce, rispetta e promuove la trasmissione della cultura come prezioso servizio alla società civile.

Se non è vera «scuola», non può essere genuinamente «cattolica».

Ma se è vera scuola, e spesso più scuola di tante altre, è bene accennare subito al diritto che essa ha di parità (o uguaglianza) sociale con le altre scuole, in particolare per ciò che si riferisce agli aspetti finanziari: «Lo Stato non può, senza commettere un’ingiustizia, accontentarsi di tollerare le scuole cosiddette private. Queste rendono un servizio pubblico e, di conseguenza, hanno il diritto di essere aiutate economicamente».24

È, questa, una considerazione genuinamente democratica che bisogna impegnarsi a far emergere dappertutto nell’ambito sociale e politico. I cattolici sono cittadini come tutti gli altri; essi costituiscono, insieme, la Chiesa di Cristo, la quale non è alternativa né «parte» separata di nessuna società civile, ma ne è piuttosto un fermento di promozione e di liberazione per purificare e irrobustire i suoi valori umani.

Ci sono evidentemente da colmare, oggi, vari difetti, limiti e ritardi, assumendo e testimoniando con chiarezza la svolta ecclesiologica del Vaticano II. Questa Chiesa, servitrice dell’umanità, considera la scuola cattolica come uno dei mezzi più idonei e consoni alla sua azione nel mondo quale «sacramento di salvezza»; è un mezzo da privilegiare con il massimo impegno, un impareggiabile servizio da curare «come la pupilla degli occhi».25

Essa costituisce un ambiente privilegiato di nuova evangelizzazione proprio perché è strettamente legata alla cultura.

Il Concilio Vaticano II ha affermato esplicitamente: «Certo la scuola cattolica, al pari delle altre scuole, persegue le finalità culturali e la formazione umana dei giovani. Ma suo elemento caratteristico è di dar vita a un ambiente comunitario scolastico permeato dello spirito evangelico di libertà e carità, di aiutare gli adolescenti perché nello sviluppo della propria personalità crescano insieme secondo quella nuova creatura, che in essi ha realizzato il battesimo, e di coordinare, infine, l’insieme della cultura umana con il messaggio della salvezza, di modo che la conoscenza del mondo, della vita, dell’uomo, che gli alunni via via acquistano, sia illuminata dalla fede».26

La scuola cattolica privilegia, dunque, nell’ambito scolastico l’aspetto educativo in stretto rapporto con la cultura, soprattutto in un’ora di crisi come l’attuale, per superare sia i riduzionismi antropocentrici della modernità, sia il soggettivismo e il relativismo del pensiero debole.

Nella sua complessità istituzionale la scuola cattolica ricerca costantemente l’organicità delle varie componenti e una fondamentale dimensione comunitaria. L’insistenza del Vaticano II sull’ecclesiologia di comunione comporta una svolta decisiva nella strutturazione della scuola cattolica, che deve sempre più trasformarsi e funzionare come «comunità educativa». Essa vuole essere servitrice della società civile proprio in quanto soggetto comunitario ecclesiale.

Come tale proietta un significato e diffonde un messaggio anche quando è inserita in un ambiente a maggioranza non cristiana e quando i suoi destinatari professano un’altra religione.

Ma nei contesti di tradizione cattolica è chiamata a divenire anche una specie di «comunità cristiana di base», nella quale si elabora una valida sintesi tra Vangelo e cultura attraverso la testimonianza di una sintesi tra fede e vita da parte soprattutto dell’insieme degli educatori.

E questo porta all’inserimento della scuola cattolica nel tessuto vivo della Chiesa locale. Non, quindi, un castello a sé stante, ma un luogo privilegiato di condivisione e di collaborazione nel più vasto ambito di una pastorale giovanile più organica: un «centro di comunione e partecipazione», come dice per noi il CG23. Si può dire che la scuola cattolica dovrebbe contribuire a portare la società civile a maggiore democrazia e la comunità cristiana a maggiore ecclesialità.

Così la scuola cattolica perfeziona il suo essere di vera scuola con l’ispirazione cristiana dei singoli e della comunità educativa; si preoccupa della trasmissione culturale del sapere alla luce della rivelazione di Cristo; e considera suo impegno istituzionale il contribuire al bene sia della società civile che della Chiesa in quanto servitrice dell’uomo.

Come espressione qualificata di nuova evangelizzazione, la scuola cattolica si sforza di saper comunicare i principi evangelici dal di dentro dei valori culturali, unificando e armonizzando le verità che fluiscono sia dal mistero della creazione che da quello della redenzione: ossia, da Cristo autore del mondo nella sua «laicità» e da Lui come liberatore e ricapitolatore di tutto nella pienezza escatologica della Pasqua.

Un altro aspetto caratteristico della scuola cattolica è quello di coinvolgere i fedeli laici nelle varie attività educative. Il rilancio della vocazione e missione del fedele laico nella Chiesa ha acquistato oggi una particolare incisività in questo rinnovamento. Non è facile saper formare una «comunità educativa» armonica e funzionante; la meta è farla divenire «soggetto ecclesiale» attraverso continue iniziative da inventare e curare.

Un problema di fondo dell’educazione cristiana è quello dell’autenticità dei comportamenti dei soggetti educanti, sia individualmente come persone e sia, specialmente, in quanto comunità. La sintesi tra cultura e Vangelo è mediata dalla sintesi tra fede e vita negli educatori e da un clima di trascendenza di fede nella visione del mondo, della storia e della condotta ambientale. Le scelte di significatività dell’esistenza, le proposte di vita cristiana, l’animazione evangelica dell’ambiente educativo tenendo conto degli attuali condizionamenti culturali, la coscienza d’identità nella situazione di pluralismo unita alla capacità di dialogo, sono tutti aspetti inerenti alla comunità educativa nella scuola. Solo a queste condizioni potrà essere e operare davvero come soggetto ecclesiale chiamato a vivere e a costruire un clima di attraente spiritualità pedagogica, che armonizzi, in forma simultanea di sintesi vissuta, il ruolo sia di comunità ecclesiale che di soggetto civile.

Agli educatori spetta di riempire con i valori dell’educazione il progetto didattico della scuola, incorporandolo a un insieme di attività educative più ampie e complementari. Il coordinamento tra i vari contributi educativi è opera di una comunità in ricerca di una qualità globale di educazione cristiana nell’insieme delle attività.

Da questa riflessione emerge la necessità di un intenso rinnovamento della dimensione comunitaria tutta centrata sulla missione educativa.

È necessario che gli educatori della scuola divengano un soggetto educante assai forte che sappia interpretare e trasmettere la ricchezza culturale di ogni popolo con l’ottica illuminante della fede cristiana, facendo riferimento alla fonte delle energie pasquali.

La scuola cattolica appare oggi più un compito da realizzare, che una istituzione già strutturata da collaudare; essa, non essendo alternativa a quella statale, si presenta come perfezionamento dell’impegno scolastico in quanto tale in un’ora promettente e difficile della storia.

Oltre a questo caratteristico impegno dello stile comunionale cristiano, essa si deve preoccupare di un profondo ripensamento della sua specifica docenza scolastica.



L’impegno didattico secondo la nuova evangelizzazione


Vale la pena soffermarci un poco sul delicato aspetto dell’impegno didattico nella scuola cattolica. Per percepirne bene le prospettive bisogna rifarsi alla considerazione della cultura in quanto dato umano concreto, situato nel tempo e nello spazio. Ogni cultura, allo stesso modo dell’uomo che la crea, è immersa nel divenire storico ed è permeata costitutivamente da fatti, da progressi, da deviazioni e da riprese che influiscono oggettivamente sulla sua stessa natura.

Se non si prende in conto questa «storicità» (ossia, ciò che le persone e gli eventi sono andati inscrivendo nella «natura» dell’uomo), si limita la ricerca dell’oggettività, tradendo le finalità della stessa scienza, che dovrebbe aiutare a leggere con integrità il reale.

Non è mai esistita la cosiddetta «natura pura» dell’uomo; essa è stata sempre sottoposta a tanti condizionamenti dell’esistenza. Così, ad esempio, l’attuale perdita del senso del peccato, il quale ha influito e influisce su tutta la vita umana (e perciò sulle culture), il prescindere dall’evento-Cristo che mette l’esistenza umana e le sue culture in situazione escatologica (ossia, in necessario riferimento all’unico vero «Uomo nuovo»), privano la ricerca scientifica e la docenza scolastica della conoscenza di indispensabili dati oggettivi per l’integralità dell’educazione. La razionalità umana in generale e anche la specifica razionalità delle singole discipline ricevono una luce di maggiore oggettività dalla trascendenza escatologica di Cristo.

Non è cosa indifferente per la realtà culturale e per l’educativo scolastico il non tener conto di questi aspetti dell’esistenza nel tempo. La dimensione della storicità nei suoi svariati apporti è oggettivamente inerente, e con forte incisività, a tutta la realtà culturale.

La strada da conoscere e da percorrere non è quella dell’uomo astratto e anonimo, ma quella dell’uomo concreto, situato nella storia. D’altra parte la «cultura» non si identifica con la «natura», anche se si rapporta fondamentalmente ad essa. La storia ha molto da dire sulla realtà umana.

Qui s’intende la «storia» non tanto come una delle discipline scolastiche tra le altre, ma come «criterio di oggettività» nella considerazione di tutte le discipline, affinché non vengano sviluppate e insegnate con una specie di ingenuità da paradiso terrestre. Non basta approfondire la «natura» dell’uomo e proiettarne i valori utopicamente; bisogna considerare anche il suo cammino nei secoli e i suoi itinerari personali. E la fede cristiana, anche se guarda il reale da un’ottica non specificamente scientifica ma da un livello peculiare più alto, è tutta rivolta alla storia dell’uomo in forma attenta e globale, con piena e armonica fiducia verso la ragione umana. E così, sia dal punto di vista scientifico che da quello della fede, bisogna riconoscere che l’oggettività del reale umano, come anche di tutto l’ambito del creato, porta con sé ancora molto da scoprire.

Ora, se riprendiamo il discorso sulla modalità dell’insegnamento nella scuola cattolica, c’è da dire — come osservazione previa — che l’impegno didattico non è propriamente riferito tanto al campo scientifico della ricerca per far progredire le singole scienze, quanto soprattutto all’impegno educativo per far maturare la persona attraverso una conoscenza il più completa possibile della realtà.

Il docente, quindi, dovrà saper usare la sua professionalità scientifica e la sua fede cristiana in prospettiva pedagogica, armonizzando ragione e fede all’interno della propria disciplina. È proprio qui che si dà già un passo caratterizzante nella evangelizzazione della cultura.

È compito e arte dell’educatore che insegna pensare i contenuti della sua docenza a partire dal punto di vista dell’educativo integrale, per metterlo al servizio della crescita della persona. La sua non può essere solo istruzione di scienza, ma promozione dell’educativo nella propria disciplina.

Così, specialmente per le discipline umanistiche (filosofia, letteratura, storia, psicologia, sociologia, ecc.), la qualifica di «scolastica» non è asettica e aliena alle conoscenze della fede, non significa solo il luogo e il livello di trasmissione di dette discipline, ma comporta una dimensione specifica e diversa dall’insegnamento laicistico falsamente considerato neutro; è una qualità originale non in contrasto con la competenza e serietà scientifica che evidentemente assume, ma che è a favore di una oggettività integrale da trasmettere.

E anche per questo si capisce il perché la scuola cattolica non ha semplicemente una funzione di supplenza, ma comporta dei tratti specifici che la caratterizzano e la impegnano oggi in compiti esigenti, richiesti dalla nuova evangelizzazione, nella convinzione di possedere dei punti di vista indispensabili da proporre nella maturazione culturale.

Qui ci sarebbe da aggiungere l’importanza capitale che deve assumere l’insegnamento della religione nella scuola cattolica; è, questo, un tema vitale da armonizzare con le altre discipline e da curare con peculiare competenza.27

Piuttosto, dopo questi cenni sulla scuola cattolica rinnovata, è necessario riconoscere che, mentre più si procede in queste riflessioni, affiora spontaneo in noi un giudizio critico sullo stato concreto di «cattolicità» nelle nostre attuali scuole, sia sulla testimonianza evangelica della comunità educativa, sia sullo specifico cristiano con cui ripensare la trasmissione delle singole discipline con le loro prospettive di senso e apertura al trascendente con metodologie e spazi appropriati, sia sulle iniziative di comunione ecclesiale che ne devono completare la fisionomia.

E la conclusione è: rimboccarsi le maniche!



Lo stile salesiano


È al di dentro del modello globale di scuola cattolica, sopra succintamente descritto, che viene a tratteggiarsi il volto salesiano nelle nostre presenze scolastiche. Il CG23 ci dice, anzitutto, che la comunità dei confratelli è chiamata a costituirsi in nucleo animatore, capace di coinvolgere nello stesso compito i collaboratori più consapevoli e di orientare tutta la comunità educativa verso gli obiettivi scelti. Si tratta di un impegno di crescita di comunione, che comporta una mentalità nuova con una forma di gestione assunta solidalmente da tutti.

Oltre a questa dimensione comunitaria va ricordato, in particolare, il «criterio oratoriano» 28 che è, come abbiamo visto, anche la radice storica dell’esistenza delle nostre scuole con destinatari privilegiati, con scelta popolare, con un peculiare spirito di famiglia, con un chiaro orientamento alla maturazione della fede, con creatività educativa e con iniziative che oltrepassano l’orario scolastico.

In quanto alla natura, finalità, metodi e risultati che si attendono dall’animazione salesiana, conviene sottolineare che nell’ambiente scolastico la nostra opera animatrice si propone di mantenere chiare l’identità e le finalità specifiche della scuola, attraverso il progetto di aggregare la comunità educativa formata da collaboratori, genitori, allievi e sostenitori, e di esprimere uno stile educativo caratteristico.

Tutto ciò mette in primo piano, come cuore dell’animazione, il compito formativo. Si tratta di far diventare la comunità educativa un autentico soggetto ecclesiale, all’interno del quale tutti vengono coinvolti in processi di crescita; si attua così la maternità educativa della Chiesa e si approfitta di tutto il suo patrimonio pedagogico e di grazia.

La formazione si sviluppa su quattro dimensioni:

— quella «culturale», che aiuta a valutare gli eventi e le correnti di pensiero del nostro tempo che più influiscono sull’uomo;

— quella «professionale», che rafforza la capacità di far fronte assieme ai problemi giovanili specifici della scuola e ad altri;

— quella «cristiana», che porta ad una maggiore consapevolezza del significato e delle esigenze dell’essere credenti, ad una sempre più completa e profonda conoscenza del mistero dell’Uomo nuovo e ad una autentica esperienza di fede;

— quella «salesiana», che ripropone e approfondisce continuamente il quadro di riferimento teorico e pratico del Sistema Preventivo.

L’animazione costituisce il vero salto di qualità nell’attuale rinnovamento scolastico. Comporta uno spostamento di accento nel servizio che la nostra consacrazione apostolica deve rendere. Da essa si attende non solo una prestazione di lavoro proprio dell’ordine temporale, ma anche e soprattutto una forza di convocazione e aggregazione nella fede, si attende che la scuola diventi memoria e segno dello specifico cristiano. In tale senso i consacrati sono chiamati non solo ad essere amministratori più fedeli o insegnanti con una visione culturale adeguata, ma a tradurre in presenza e impatto educativo la loro scelta radicale di Cristo.

Inoltre l’animazione comporta pure uno spostamento di accento nella gestione delle opere. In esse la comunità religiosa — anche se ridotta numericamente — deve concentrarsi sugli aspetti fondamentali, assicurando soprattutto nell’orientamento dell’opera la sua qualità educativa e cristiana.

In questa luce appare l’importanza della figura salesiana del «Direttore». Si sa che, secondo le Costituzioni,29 egli non è solo guida della comunità religiosa, ma anche il primo responsabile della missione, cioè orientatore degli impegni educativi e pastorali dei confratelli e della comunità educativa, incaricato in definitiva anche della sua organizzazione e funzionamento.

Nelle ripetute discussioni che, un po’ ovunque, hanno prospettato la possibilità di separare la direzione religiosa della comunità da quella educativa e pastorale dell’opera, si è ritornati sempre alla figura tradizionale. Il CG21 ha preferito indicare una gerarchizzazione dei compiti30 e l’acquisto di nuove competenze, anziché sancire la divisione tra responsabilità religiose, educative e pastorali. E ciò per una ragione fondamentale: l’esperienza religiosa di noi Salesiani comprende, come parte integrante e ispirante, il compimento della missione. In questa si riversa in forma pedagogica la nostra vita consacrata e, viceversa, dall’esperienza pedagogica si arricchisce la nostra spiritualità: è la dinamica della nostra «grazia di unità». Tale principio e le relative applicazioni sono state messe in luce dagli ultimi Capitoli generali e conformano dunque i criteri per dare organicità alla comunità e alla sua opera scolastica.

Negli ultimi tempi, però, è venuta creandosi in varie parti una situazione locale per cui l’istanza pedagogica e organizzativa è ritenuta dagli organismi civili la responsabile principale della scuola. A ciò si aggiunge la complessità delle componenti, anteriormente indicata, per cui il Direttore in più di un caso non può prendere parte e seguire alcuni degli aspetti scolastici più specifici. A volte poi la sua professionalità non è aggiornata alle attuali esigenze scolastiche. Perciò, con o senza intenzione esplicita, la figura del preside è andata prendendo il ruolo di referente finale, non solo per la parte organizzativa e didattica, ma anche per gli obiettivi, per gli orientamenti della comunità educativa, per la conformazione della struttura e l’equilibrio dei ruoli, per il rapporto con le diverse componenti educative. È un’impostazione da correggere con un dialogo costante in comunità.

Ad ogni modo, come conseguenza di fatto, in qualche caso si è preferito nominare Direttore un confratello che potesse animare la comunità religiosa senza assumersi la responsabilità principale dell’opera scolastica. Se le circostanze non consentissero altre soluzioni o consigliassero questa soluzione come migliore in determinato caso, si può anche tentare. Ma se con questa eccezione di fatto si intendesse cambiare la normale prassi salesiana, questo modo di procedere andrebbe sottomesso a serio discernimento.

Il Direttore infatti rende evidente la finalità pastorale della scuola salesiana, per cui tutte le funzioni tecniche sono orientate verso l’educazione e questa è orientata verso la crescita e maturazione nella fede. Egli rende anche visibile la struttura familiare della comunità, per cui l’ultimo referente è quello che esprime la paternità e l’affetto. In tal senso il CG23 gli raccomanda quel rapporto personale con i giovani capace di affrontare i problemi di vita che essi più sentono, promuovendo così anche l’impegno vocazionale.

Quanto si è detto sul Direttore, però, e più in genere sul progetto e sulla dimensione comunitaria, richiede che i diversi ruoli e i relativi influssi vengano coordinati, lasciando a ciascuno l’autonomia necessaria, all’interno di uno spazio di dialogo che assicuri unione e convergenza. Tale spazio va situato nella comunità salesiana che, proprio con la guida del Direttore,31 assume la responsabilità della missione e discerne situazioni e sfide per mantenersi fedeli alle sue finalità e al suo proprio spirito.

Ciascuno dei ruoli ha un’incidenza educativa propria, che diventa positiva a due condizioni: che venga pensata come complementare con gli altri ruoli e che si ispiri, nell’esercizio delle sue funzioni, alla finalità educativa e al progetto pastorale. Da queste condizioni nessuno può esimersi. Sono al di sopra del ruolo e appartengono alla nostra missione. Sono dunque da correggere pericolose contrapposizioni o separazioni, teoriche o pratiche, tra amministrativo, educativo e pastorale. La preoccupazione per l’educazione alla fede guida e determina il programma, la struttura, l’organizzazione e l’esercizio delle funzioni, gli interventi di ogni persona: «Siamo chiamati tutti e in ogni occasione a essere educatori alla fede».32



Maestri di spiritualità giovanile


Per concludere mi piace ricordare quanto ci ha scritto il Santo Padre nella lettera Iuvenum patris: «Nella Chiesa e nel mondo la visione educativa integrale, che vediamo incarnata in Giovanni Bosco, è una pedagogia realista della santità. Urge ricuperare il vero concetto di “santità”, come componente della vita di ogni credente. L’originalità e l’audacia della proposta di una “santità giovanile” è intrinseca all’arte educativa di questo grande Santo, che può essere giustamente definito “maestro di spiritualità giovanile”. Il suo particolare segreto fu quello di non deludere le aspirazioni profonde dei giovani (bisogno di vita, di amore, di espansione, di gioia, di libertà, di futuro), e insieme di portarli gradualmente e realisticamente a sperimentare che solo nella “vita di grazia”, cioè nell’amicizia con Cristo, si attuano in pieno gli ideali più autentici».33

Sì, cari confratelli, la nuova evangelizzazione esige per tutti un clima di «nuovo ardore», ossia una vita di fede tradotta in spiritualità da testimoniare e da trasmettere.

Il CG23 ha trattato lungamente34 il tema della nostra spiritualità salesiana che, appunto in quanto spiritualità giovanile, diviene «spiritualità educativa»: «far crescere i giovani in pienezza “secondo la misura di Cristo, uomo perfetto” è la meta del lavoro salesiano».35

Certamente tra i numerosi giovani delle nostre scuole c’è una varietà di livelli nella loro esperienza religiosa, ma il clima della scuola viene costituito soprattutto dalla vera spiritualità del nucleo animatore salesiano e della comunità educativa. La testimonianza di fede degli educatori influisce nell’ambiente e muove a far emergere dei gruppi di allievi più maturi, perché divengano gioiosamente il fermento quotidiano di una crescita della spiritualità giovanile tra i compagni.

Chiediamo a Maria Ausiliatice che ci ottenga una sempre più viva fedeltà a Don Bosco per assimilare le nostre presenze nella scuola a delle speciali «comunità cristiane di base»; in esse il progetto-uomo sarà il più nuovo e il più definitivo, quello escatologico di Cristo, il Signore.

Le prossime celebrazioni pasquali ci portino la gioia dell’incontro con la massima novità della storia, Cristo risorto, a cui offrire la nostra volontà d’impegno nel rinnovamento della scuola salesiana.

Don Bosco interceda!

Cordiali saluti e fraterni auguri.

Con affetto nel Signore,

D. Egidio Viganò


NOTE LETTERA 55


1 Cost 40

La Società di san Francesco di Sales. Dati Statistici. Roma 1990, pag. 56-57

3 ib. pag. 64-67

4 CG21 130

5 CG23 56

6 CG23 267

7 CG23 270-273

8 cf. Scuola Salesiana in Italia. Atti della Conferenza delle Ispettorie salesiane d’Italia sulla scuola. Roma 1984.

Il progetto educativo della scuola e della formazione professionale (1992), elaborato insieme dagli SDB e dalle FMA.

09 CG21 128-134

10 cf. CIVILTÀ CATTOLICA n. 3418: La fede cristiana nell’epoca postmoderna, 21 novembre 1992

11 ChL 3

12 Santo Domingo, Discorso programmatico, n. 20

13 ib. n. 21

14 CG23 83

15 cf. AC n. 337

16 CG23 49

17 cf. ACG 343, pag. 16-18

18 CISM gennaio-febbraio 1993

19 La Scuola cattolica 89

20 cf. ACG 343, pag. 6-10

21 Documento conclusivo, n. 271

22 Libertatis conscientia 94

23 N.B.: È raccomandabile qui la lettura del documento La Scuola cattolica ai nn. 26-37

24 Libertatis conscientia 94

25 cf. GIOVANNI PAOLO II, 28 giugno 1984

26 GE 8

27 cf. il documento della Congregazione per l’Educazione cattolica: La dimensione religiosa dell’educazione nella scuola, 1988

28 cf. Cost 40

29 cf. Cost 176

30 cf. CG21 52-53

31 cf. Cost 44

32 Cost 34

33 IP 16

34 CG23 158-180

35 CG23 160