Atti_2001_376.ACG_


Atti_2001_376.ACG_

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1. IL RETTOR MAGGIORE
BEATIFICAZIONE DEL COAD. ARTEMIDE ZATTI:
UNA NOVITÀ DIROMPENTE
1 . IL TASSELLO CHE MANCAVA. - 2 . I COADIUTORI DI DON BOSCO. - 3 . PROFILO BIOGRAFICO VOCAZIONALE
di A rte m id e Z a t t i - 3.1. In Patagonia l'incontro con Don Bosco - 3.2. La vocazione salesiana -
3.3. La prova della malattia e la sua accettazione - 3.4. Sempre con Don Bosco come salesiano
coadiutore - 3.5. Buon samaritano a tempo pieno - 3.6. Verso l’incontro lungamente preparato:
riconoscimento popolare al "parente di tutti i poveri” . - 4 . I l m essaggio di A rte m id e Z a t t i: p r o ­
s p e ttiv e p e r l ’o g g i - 4.1. Testimone originale di santità salesiana - La calamita di Don B o sco
- La dedizione assoluta - Infermiere educatore - Il "lavoro santificato”: sintesi tra spiritualità e pro­
fessionalità - Riflesso di Dio con radicalità evangelica. - 4.2. Da salesiano coadiutore - La figu­
ra del salesiano coadiutore - Alcuni rilievi particolari: - la forma istituzionale degli Istituti; - il sale­
siano coadiutore e i laici collaboratori; - la formazione del salesiano coadiutore - 5 . P a s t o r a le vo ­
c a z io n a le : in v ito a d un impegno s t r a o r d in a r io . Conclusione: la nostra vocazione alia santità.
Roma, 31 maggio 2001
Festa della Visitazione di Maria
1. IL TASSELLO CHE MANCAVA
Il mosaico dei nostri santi e beati, pur essendo abbastanza
ricco quanto a rappresentatività - Fondatore, Confondatrice,
Rettori Maggiori, missionari, martiri, sacerdoti, giovani - era
ancora privo del tassello prezioso della figura di un coadiutore.
Ora anche questo si sta realizzando.
L’ 11 marzo di quest’anno abbiamo avuto la gioia di onorare
come beati i primi sette coadiutori martiri, tra i 32 membri
della Famiglia Salesiana martiri beatificati dal Papa Giovanni
Paolo II. La loro vita e la loro morte hanno proclamato in forma
chiara la radicalità dell’adesione a Cristo e la fedeltà alla voca­
zione.
Il 24 aprile scorso è stato letto il decreto sul miracolo otte­
nuto per intercessione del coadiutore Artemide Zatti. Nell’iter
di una Causa, questa tappa prelude alla Beatificazione. Egli
sarà dunque il primo coadiutore non martire ad essere procla­
mato beato. Anche altri tre membri della nostra Famiglia Sale-

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4 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
siana sono prossimi agli onori degli altari: Suor Maria Romero,
don Luigi Variara, Suor Eusebia Palomino. Noi prevediamo che
la beatificazione del Signor Artemide Zatti possa aver luogo du­
rante il CG25: sarà certamente un momento forte dell’assise
capitolare!
Vi invito a ringraziare il Signore sia per la recente beatifica­
zione dei nostri martiri spagnoli, sia per quella prossima di Ar­
temide Zatti. Questa mia lettera circolare intende preparare le
nostre comunità a tale evento, raccogliendo la peculiarità del
messaggio che deriva dalla santità di questo nostro confratello.
Allo stesso tempo, desidero mettere in luce l’attualità della fi­
gura del salesiano coadiutore, il suo valore nella nostra vita co­
munitaria e nella nostra missione e, soprattutto, la necessità di
una più decisa proposta vocazionale.
Il titolo dato a questa lettera può provocare giustificati in­
terrogativi. E conviene raccoglierli senza paura! Che tra i no­
stri confratelli coadiutori ci fossero dei salesiani esemplari,
provvidenziali e addirittura santi, non c’era dubbio. Li abbiamo
visti, abbiamo convissuto con loro nelle ordinarie comunità di
lavoro e in terra di missione. Ne abbiamo sperimentato il con­
tributo prezioso alla missione salesiana, prestato con compe­
tenza e fedeltà. Magari alcuni svolgevano incarichi che sembra­
vano in apparenza secondari (portineria, sacrestia, infermeria,
cucina, manutenzione della casa...); dovunque però sono stati
elementi educativi di prim ’ordine, confermando le parole di
Don Bosco, riportate nelle Memorie Biografiche: «Un buon por­
tinaio è un tesoro per una casa di educazione»1. E questo senza
per nulla sminuire i ruoli di alta qualificazione (capi labora­
torio, professori e presidi, catechisti e animatori pastorali, ecc.)
svolti da moltissimi coadiutori, da tutti conosciuti.
Di molti abbiamo letto e sentito ripetere la storia. Sono stati
offerti dei medaglioni, dai quali si coglie con chiarezza che cosa
1 Cf. MB i y pag. 550

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IL RETTOR MAGGIORE 5
ha significato per questi uomini vivere la loro responsabilità
storica, inseriti nell’amore di Cristo e lavorando nell’orbita di
Don Bosco: realizzare cioè il loro desiderio di santità nella ca­
rità pastorale, vivendo la consacrazione totale a servizio dei gio­
vani. Gli aspetti fondamentali che hanno caratterizzato la loro
esperienza vocazionale sono ancora oggi determinanti nella no­
stra storia. La vita consacrata si è mossa sempre e si è espressa
attraverso la santità, che non conosce surrogati.
Ho conosciuto personalmente non pochi di questi coadiu­
tori: di molti fra loro è stata scritta una biografia, che ci con­
sente di penetrarne il cammino vocazionale. Si presentano
come “uomini di Don Bosco” , affascinati da lui, identificati con
il suo spirito e la sua missione. Avrebbero detto come don Ca-
gliero: «O frate o non frate, intanto è lo stesso. Son deciso,
come lo fui sempre, di non staccarmi mai da Don Bosco!»2. So­
stanza dunque! Che vuol dire rapporto sentito con il Padre, en­
tusiasmo per Gesù Cristo, desiderio di santità e carità perfetta,
convincimento della chiamata di Dio a vivere tutto ciò nella
missione e nella fraternità salesiana.
La novità di oggi, a cui fa riferimento il titolo della lettera,
consiste proprio nell’includere un coadiutore fra coloro che la
Chiesa ha considerato degni di essere proposti, con atto pub­
blico, come modelli di vita spirituale e di carità ai suoi fratelli
religiosi e, più largamente, a tutti i cristiani. E ciò in base alla
testimonianza di molti, confermata da Dio mediante un fatto
‘miracoloso’, attribuito alla sua intercessione.
Artemide Zatti è il primo coadiutore salesiano non martire
che viene beatificato e il fatto conferisce, come ho detto, un
tocco di completezza alla serie di modelli di spiritualità sale­
siana, che la Chiesa dichiara ufficialmente tali.
Ho chiamato questa novità “dirompente” , nel senso che ci
scuote, ci interpella nella nostra fedeltà carismatica e nella ca­
pacità di proporre oggi modelli di vocazione salesiana laicale
davvero significativi e attraenti.
2 MB VT, pag. 334-335

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6 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Nel riferirmi in questa lettera al salesiano coadiutore, non
intendo affrontare questioni già approfondite in interventi pre­
cedenti, come il carattere indispensabile di tale figura3o il rap­
porto tra servizio dell’autorità salesiana e ministero sacer­
dotale4. Tanto meno intendo mettere sul tavolo la questione
della natura della nostra Congregazione, sulla quale tuttavia
dirò una parola più avanti. Ci sono altre sedi indicate per riflet­
tere su queste e su altre questioni, e ci sono anche i tempi
giusti ed i soggetti autorevoli per trattarle.
Intendo, invece, rivolgere un pressante invito a meditare
sulla figura di Zatti, allo scopo di suscitare un orientamento e
un impegno pratico, a livello Ispettoriale e regionale, a favore
della vocazione del salesiano coadiutore. Dove non si riesce a
comunicare e a “ contagiare” a quel livello, diventa poco incisivo
il nostro lavoro e sterili i sogni di riforme globali. Per poter es­
sere veramente efficaci è indispensabile pensare a livello glo­
bale e agire con decisione a livello locale.
2. I COADIUTORI “DI DON BOSCO”
Partiamo da Don Bosco e dalla prima esperienza del nostro
peculiare stile di santità. Sin dai primi anni ci si imbatte in fi­
gure di coadiutori che, formati direttamente dal Fondatore,
hanno influito fortemente sulla fisionomia della Congrega­
zione. Basta pensare - ad esempio - ad un Pietro Enria, per ca­
pire quanto sarebbe stato più povero Valdocco senza la sua pre­
senza. Essi hanno contribuito in modo determinante a fare
grande la Congregazione, soprattutto nell’area delle scuole pro­
fessionali e nel servizio ai più poveri.
3 Cf. CG21, 197-198
4 Sulla autorità salesiana, anche in rapporto al ministero sacerdotale, si può ve­
dere la riflessione del CG21 sul ruolo del Direttore (CG21, 49 ss); la lettera circolare
di V ig a n ò E. L ’animazione del Direttore salesiano in ACS 306; e V ec ch i J. Spiritualità
salesiana, LDC Torino 2001, pag. 184-194

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IL RETTOR MAGGIORE 7
Ogni Ispettoria, ogni nazione, ogni continente ha la sua gal­
leria di ritratti. Non sono mancate pubblicazioni indovinate che
hanno fatto luce sui volti più significativi, consegnando alla
storia il contributo che essi hanno dato alla santità della nostra
Famiglia.
È il caso, ad esempio, dei coadiutori vissuti in Terrasanta,
che hanno fatto onore alla santità, nella patria di Gesù. Essi
hanno il loro rappresentante più qualificato nel venerabile Si-
mone Srugi, accomunato a Zatti dallo stesso ruolo, infermiere a
servizio dei fratelli ammalati, che speriamo di vedere presto, in­
sieme con lui, sugli altari.
Tra i primi coadiutori di Don Bosco alcuni erano ra­
gazzi cresciuti all'Oratorio, altri erano venuti già adulti, con
una laicità maturata nel mondo e nella Chiesa. A contatto con
Don Bosco, comprendevano che potevano impiegare le loro qua­
lità e la professionalità acquisita, impegnandosi nella sua opera
educativa e pastorale. Sorgeva dunque in loro quell’entusiasmo
che don Cagliero espresse con il proposito: «Io rimango con Don
Bosco...!». È la scintilla della vera vocazione, come ce la indica
l’articolo 21 delle nostre Costituzioni: il fascino della missione e
del Fondatore, il desiderio di continuare il suo carisma e di far
vivere il suo spirito.
La professionalità incipiente, alimentata da una buona in­
telligenza, da un temperamento maturo e da una umanità colti­
vata, li portava a prestare alle comunità e all’ambiente educa­
tivo un servizio prezioso. Così ci sono stati, non solo a Torino,
ma anche nell’estremo sud della Patagonia, portinai cordiali e
fidati, missionari di frontiera, amministratori di cantieri edili,
capi di laboratori.
La vocazione salesiana ha offerto sin dall’inizio molteplici
possibilità di realizzazione, determinate più dalla spinta della
carità e dal richiamo della missione che dall’importanza del ser­
vizio o del ruolo svolto nella comunità. Per l’identità e la collo­
cazione del confratello coadiutore, non c ’erano norme rigide,

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8 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
ma un discernimento che valutava la generosità, la disponibi­
lità, lo spirito comunitario, la gioia vocazionale.
Don Bosco guardava alla qualità. Non sembra si sia posto il
problema della proporzione, per esempio, tra chierici e laici. Ac­
coglieva coloro che Dio gli mandava, preti o laici, e li univa
nella consacrazione religiosa, nella missione e nella carità.
Possiamo presentare alcuni profili, tra i molti, per confer­
mare quanto detto.
Giuseppe Buzzetti fu uno dei primi “ ragazzi di Don
Bosco” . Fece la professione come coadiutore molto tardi perché
“non si sentiva degno” , ma in pratica visse e collaborò con Don
Bosco per tutta la vita. Venuto all’Oratorio con suo fratello
Carlo, che diventerà impresario edile e costruttore di varie case
salesiane, inizialmente voleva essere sacerdote, ma poi, colpito
da un proiettile sparato da qualcuno che voleva uccidere Don
Bosco, dovette posare la talare e passò momenti difficili, così
che stava per lasciare l’Oratorio. In seguito a un colloquio con
Don Bosco, decise di non abbandonarlo più. Fu assistente, inse­
gnante di catechismo, responsabile della libreria, maestro di
canto, organizzatore di lotterie: vero braccio destro di Don
Bosco, testimone fedele di tutta l’epopea del nostro Fondatore.
Anche Pietro Enria, ufficialmente, diventò coadiutore
molto tardi. Era un piccolo prodigio, sapeva fare di tutto: mae­
stro di musica, regista teatrale, pittore, cuoco, infermiere. So­
prattutto in quest’ultima attività manifestò le sue doti di sensi­
bilità e delicatezza. Le prodigò in varie circostanze per Don
Bosco stesso, in particolare nell’ultima malattia che portò il no­
stro Padre alla morte.
Giuseppe Rossi fu il primo tra i coadiutori non venuti di­
rettamente dalle file dell’Oratorio. A 24 anni aveva avuto in
mano il Giovane Provveduto, scritto da Don Bosco. Subito si
era entusiasmato e, lasciato il paesello in provincia di Pavia, era
venuto a Valdocco. Fece la professione nel 1864. Fu guardaro­
biere, assistente dei lavoratori, commissioniere in città, ammi­

1.7 Page 7

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IL RETTOR MAGGIORE 9
nistratore: insomma uomo di fiducia, con la responsabilità di
tutti i beni materiali della Congregazione. Questo compito lo
portò a intraprendere non pochi viaggi in Italia e all’estero.
Don Bosco gli voleva molto bene e scherzava volentieri con lui.
Marcello Rossi dovette attendere la maggiore età per
poter disporre liberamente di se stesso e recarsi a vivere con
Don Bosco. Questi gli affidò l’incarico “provvisorio” di porti­
naio, incarico che svolse “provvisoriamente” per ben 48 anni
con puntualità, fedeltà e fiducia. Fu chiamato la sentinella del­
l’Oratorio e il Cardinal Cagliero, additandolo un giorno, lo in­
dicò come «il vero monumento di Don Bosco».
Potremmo continuare con tante altre figure di coadiutori
della prima ora. Per la somiglianza con Zatti nell’esperienza
dell’emigrazione e del suo “cadere” nell’orbita fascinosa di Don
Bosco, faccio ancora un breve riferimento al coadiutore Silve­
stro Chiappini. Era figlio di immigrati italiani in Argentina.
Non compì imprese memorabili, ma fu il primo figlio di Don
Bosco nel nuovo mondo5. Faceva il cuoco in un albergo di
Buenos Aires. A diciott’anni incontrò i Salesiani nella chiesa
loro affidata, dove lui stesso spesso si recava a pregare. Entrò a
far parte della comunità e ivi svolse l’attività di cuoco. In se­
guito, chiese di essere salesiano. Fu accettato, divenne coadiu­
tore e per quarant’anni svolse l’attività di cuoco, infermiere e
addetto a tante altre piccole incombenze di cui la comunità ne­
cessitava.
La comunità salesiana, visibile e operosa, incominciando da
quella di Don Bosco, attirava con la testimonianza delle sue fi­
gure eccellenti. Un tale fascino non si limitava ai giovanissimi,
ma seduceva anche i “buoni cristiani” adulti. L’istituzione di­
ventava una casa ed una famiglia, anche per la presenza e la
5
Questa testimonianza su Silvestro Chiappini (o Chiappino, come risulta in alcuni
documenti) è di don Giuseppe Vespignani che nella lettera mortuaria parìa di “prima
professione salesiana nel Nuovo Mondo” .

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10 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
sensibilità dei coadiutori, e con il loro contributo creativo la
missione si arricchiva di nuove espressioni.
3. PROFILO BIOGRAFICO VOCAZIONALE DI ARTEMIDE ZATTI6
Concentriamo ora l’attenzione più specificamente su Arte­
mide Zatti e sulla sua esperienza di santità salesiana. In chi lo
incontra per la prima volta, almeno con una certa profondità,
sorgono spontanee delle domande. Chi è stato Artemide Zatti?
Che cosa rappresenta per la nostra Famiglia? Quali parole e
quali messaggi ci ha trasmesso mediante la sua esistenza?
Quali sfide lancia oggi? È ciò che cercheremo di scoprire, rileg­
gendo il suo tessuto biografico e chiamando per nome i mes­
saggi ad esso sottostanti.
3.1. In Patagonia l’incontro con Don Bosco.
La chiamata di Artemide Zatti ad unirsi alla schiera missio­
naria di Don Bosco riproduce vari tratti della vocazione dei
primi coadiutori. Ogni persona poi è, evidentemente, portatrice
di una sua propria originalità.
Emigrante alla ricerca di migliori condizioni di vita, Arte­
mide Zatti giunse a Bahia Bianca a 17 anni. Proveniva dall’I­
talia, insieme alla sua famiglia. I genitori di Artemide, Luigi
Zatti e Albina Vecchi, ebbero otto figli, quattro donne e quattro
uomini. Gli Zatti, che abitavano a Boretto nella provincia di
Reggio Emilia a poca distanza dal Po, non possedevano terreni
propri, ma lavoravano come fittavoli presso altre famiglie.
Artemide, terzogenito, nacque il 12 ottobre 1880. Fu battez­
zato nello stesso giorno coi nomi di Artemide Gioachino Desi­
derio. Se la famiglia non aveva risorse materiali, conduceva
6
II contenuto di questo capitoletto è tratto, in buona parte, spesso con le parole
testuali, dalla Positio della Causa di beatificazione, anche se non sempre si fa rife­
rimento in nota e non vengono sempre messe tra virgolette affermazioni citate alla
lettera.

1.9 Page 9

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IL RETTOR MAGGIORE 11
però una intensa vita cristiana che si rese evidente quando
essa emigrò in Argentina. Nell’ambiente della famiglia, Arte­
mide imparò presto ad affrontare le fatiche e le responsabilità
del lavoro..
«Nel gennaio del 1897 - leggiamo nella Positio -, non sap­
piamo se per una decisione improvvisa o dopo una sofferta ma­
turazione o per qualche particolare fatto familiare, Luigi Zatti,
capo-famiglia, risolse di lasciare l’Italia ed emigrare in Argen­
tina insieme alla moglie e ai figli.
Alla fine del secolo scorso l’emigrazione degli Italiani verso
l’America era un fenomeno di grandi proporzioni e molte ra­
gioni giustificavano questa corrente... Potè influire sulla deci­
sione l’invito di uno zio, Giovanni Zatti, che era già in Argen­
tina nella nascente città di Bahia Bianca e vi aveva trovato un
discreto posto di lavoro»7. «Il distacco dalla patria aperse al
Servo di Dio la possibilità di sfruttare in un mondo nuovo non
solo il lavoro delle sue braccia, ma più ancora le energie spiri­
tuali di una solida educazione cristiana. Sembrava che andasse
incontro all’ignoto e seguiva invece il cammino segnatogli da
Dio»8, che lo avrebbe portato ad incontrare Don Bosco.
La famiglia Zatti giunse a Buenos Aires il 9 febbraio 1897
e il 13 dello stesso mese, in treno, arrivò a Bahia Bianca, e si
inserì nell’ambiente dove già era presente un numeroso gruppo
di emigrati italiani.
Bisogna dire che l’ambiente dell’emigrazione, insieme a va­
lori molto apprezzati come il forte impegno di lavoro, l’amore
alla famiglia e altri, offriva anche elementi di disomogeneità
culturale di rilevante portata.
Tra gli emigrati italiani era presente un gruppo consistente
che aveva esportato quell’orientamento anticlericale e quella
forma di avversità al Papato e alla Chiesa, che si erano fatti
strada in Italia nella seconda metà del secolo XIX. Questo at­
teggiamento trovava modo di manifestarsi rumorosamente ogni
7 Positio, pag. 27
8 Ibid.

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12 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
anno, in alcune date speciali, prendendo come bersaglio la par­
rocchia e la comunità salesiana9.
A Bahia Bianca i Salesiani erano responsabili della parroc­
chia di Nostra Signora della Mercede, nel cui territorio era an­
data ad abitare la famiglia Zatti. Avevano due scuole: un liceo e
un centro professionale. Nell’opera salesiana i cristiani e le per­
sone di buona volontà, che non mancavano nemmeno tra i fa­
natici manifestanti, vedevano dei segni e trovavano un centro
di aggregazione. Non pochi iniziarono a raggrupparsi attorno
alla parrocchia. Tra quanti fecero questa scelta ed entrarono
nell’orbita di Don Bosco ci fu Artemide Zatti. La sua famiglia
strinse un’amicizia solida e feconda con il parroco, don Carlo
Cavalli, missionario buono e zelante, premuroso soprattutto
verso i poveri e gli infermi.
Artemide trovò in don Carlo un amico sincero, un con­
fessore saggio e un direttore spirituale esperto, che lo formò
al ritmo quotidiano di preghiera e alla vita sacramentale setti­
manale. Stabilì con il sacerdote un rapporto spirituale e di
collaborazione10.
Sotto l’esempio e l’incitamento di don Cavalli, Artemide uni­
va progressivamente alla preoccupazione per la sua formazione
l’ansia di far del bene. Leggiamo infatti che egli trascorreva il
tempo libero nella parrocchia, dove si sentiva come a casa sua, e
9 A Bahia Bianca c’è una storia quasi comica di mazziniani, garibaldini e settem­
brini. Ogni anno questi gruppi si prendevano cura di celebrare con sempre maggiore
fragore l’anniversario della breccia di Porta Pia, con relative marce e grida contro Pio
IX e il Papato. Nella storia della nostra presenza salesiana a Bahia Bianca, documen­
tata dalla stampa locale, dalle cronache della casa, da rapporti inviati al Vescovo, si
legge che il martirio maggiore per il direttore salesiano fu “il 20 settembre” garibal­
dino, ricordo di mille battaglie. Si vedeva questa data sopraggiungere come una grandi­
nata sui seminati. Le cronache del collegio don Bosco cominciano ad annunciare la te­
muta data già dal 1889. Quell’anno, il 20 settembre, i settembrini cominciarono a pas­
sare di fronte alla chiesa mentre si celebrava la novena della Patrona, "Nostra Signora
della Mercede” , facendo suonare dalla banda l’inno a Garibaldi ed altre musiche ostili
alla Chiesa. Nell’anno 1893 si legge nella cronaca: «La notte del 20 settembre i garibal­
dini disturbarono molto. Passarono di fronte alla Chiesa gridando: muoia il Papa, morte
al parroco Borghino, abbasso i preti!».
10 Cf. Positio, pag. 35

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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IL RETTOR MAGGIORE 13
seguiva il parroco nelle visite agli infermi, nei funerali, nel ser­
vire la messa, nel compiere le funzioni di sacrestano u.
L’ampio ambiente sociale degli operai cattolici fu uno dei
campi dove i missionari si impegnarono. Artemide Zatti era as­
siduo assistente dei circoli di operai che si radunavano la dome­
nica; trascorreva con loro il pomeriggio, facendo amicizia, inte­
ressandosi delle diverse situazioni, incoraggiando e convo­
gliando le volontà verso il bene.
Faceva tutto questo spontaneamente, senza retribuzione,
come affettuoso e generoso servizio al Signore e al prossimo.
«Da un giovane emigrato, nel mondo materialista e affaristico
di Bahia Bianca, non si poteva attendere di più. Questa vita e
questo atteggiamento interiore si protrasse per circa tre anni,
daH’arrivo a Bahia Bianca nel 1897 al 1900, finché maturò la
realtà della vocazione»12.
3.2. La vocazione salesiana.
«La vocazione salesiana - leggiamo nella Positio - do­
vette sorgere spontaneamente, come fatto quasi naturale, nella
vita del Servo di Dio. La serietà del suo impegno spirituale e la
volontà di servire il Signore e il prossimo portavano a questo.
D’altra parte, vivendo a contatto quotidiano con E Cavalli e con
altri confratelli della laboriosa comunità salesiana, aveva da­
vanti a sé una testimonianza che doveva dare il miglior in­
coraggiamento a consacrare la> vita in forma più radicale»13.
La generosità apostolica del E Cavalli, l’ambiente salesiano e
l’affermarsi dell’opera di Don Bosco in Patagonia esercitavano
un’attrattiva quotidiana e costituivano un ideale molto più in­
vitante di qualsiasi altra prospettiva per uno sperduto, ma
buon emigrante venuto dall’Italia14.
11 Cf. Positio, pag. 36
12 Ibid.
13 Ibid.
14 Cf. Ibid.

2.2 Page 12

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14 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Nella biblioteca del parroco ebbe la possibilità di leggere
la biografia di Don Bosco. Ne rimase affascinato. Fu il vero
inizio della sua vocazione salesiana. All’origine della nostra vo­
cazione c ’è sempre un incontro ispirante col Fondatore e coi
suoi seguaci15.
Quando don Carlo Cavalli gli propose di intraprendere il
cammino verso il sacerdozio nella Congregazione di Don Bosco,
Zatti aveva già dimostrato una maturità senza fronzoli, con
senso soprannaturale, convincimento irremovibile di fede, zelo
e abilità nell’orientare piccoli e grandi al Signore.
Così, con il consenso della sua famiglia, il 19 aprile 1900, a
vent’anni Zatti, mosso dal desiderio sincero di seguire la sua
vocazione, entrò con piena disponibilità nel ritmo della vita del-
l’aspirantato di Bernal, dove c’erano anche i novizi e i post­
novizi. Accettò senza complessi di sedere sui banchi tra ragazzi
di 11-14 anni; si prestò a tutte le occupazioni, che i Superiori,
vedendo la sua maturità e generosità, gli affidarono; si immerse
nello studio per supplire al tempo perduto, senza lamentarsi
dei lavori materiali che disturbavano la sua applicazione. Se­
guire la vocazione stava al di sopra di tutti i suoi pensieri, e,
senza lasciarsi turbare dalle difficoltà, egli cercava di sfruttare
le risorse che il Signore gli metteva a disposizione16.
«Le lettere scritte ai familiari in quel periodo rendono una
testimonianza efficacissima dell’atteggiamento interiore del Ser­
vo di Dio. Ottimismo, aderenza gioiosa alla vita della comunità,
sottomissione cordiale e fedele ai Superiori, senso profondamen­
te religioso e contemporaneamente pratico in tutte le cose, ab­
bandono umile alla volontà di Dio, serenità di fronte ad ogni pro­
va: queste le caratteristiche che emergono dall’epistolario»17.
Nell’aspirantato di Bernal, Artemide Zatti trascorse quasi
due anni di intensa formazione e di studio.
15 Cf. Cost. 21
16 Cf. Positio, pag. 41
17 Ibid.

2.3 Page 13

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IL RETTOR MAGGIORE 15
3.3. La prova della malattia e la sua accettazione.
Una circostanza imprevista cambiò la sua vita. Sicuri
della sua responsabilità, i superiori gli affidarono l’assistenza di
un giovane sacerdote malato di tubercolosi. Zatti svolse con ge­
nerosità l’incarico, ma poco dopo denunziò la stessa malattia18.
Questa malattia, che metteva in pericolo la sua stessa vita, e
il conseguente abbandono di Bernal, che poneva un forte inter­
rogativo sul suo cammino verso il sacerdozio, costituirono un
fatto determinante nella vita di Zatti.
«Si può facilmente immaginare il suo stato d’animo. Dob­
biamo però constatare che dalla sua bocca non uscì mai un la­
mento per l’accaduto: né per la malattia in sé, né verso i Su­
periori, né per le circostanze in cui venne a trovarsi»19. Al con­
trario, questa esperienza, che si prolungò per anni, e l’incer­
tezza che essa comportava misero in evidenza la sua robustezza
spirituale, manifestata nell’accettazione cosciente e generosa
del male, non facile in un giovane di quella età20.
Il 4 settembre 1902 da Viedma così scrive ai genitori per
confortarli: «Parmi v’abbia, oh genitori carissimi, impressio­
nato la lettera che vi scrissi rispetto alla mia salute, perché
quantunque dica che vado sempre migliorando, conobbi che vi
reca dispiacere quello che segue, quando vi dico la tosse non vo­
lermi abbandonare.
Cari genitori, credo non dimenticherete quel detto “che non
si muove foglia che Dio non voglia” e che perciò se io sono qui
in Viedma e con la tosse, fu perché piacque a Dio, già per sua
maggior gloria, conformandomi al suo divino volere, già anche
per il bene dell’anima mia, dandomi così occasione di fare un
poco di penitenza per i miei peccati ... Potendo fate un’opera
buona, affinché ottenga dal Signore la grazia della perseve­
ranza e la conformità al suo volere, poiché sono molto accette al
18 Cf. Positio, pag. 47
19 Cf. Positio, pag. 49
20 Cf. Positio, pag. 76

2.4 Page 14

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16 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Signore le opere che si fanno per ciò che si ama. State tranquilli
e facciasi la volontà di Dio in tutto»21.
Dopo un consulto medico i Superiori avevano indirizzato
Zatti a Viedma, che diventerà la patria definitiva della sua mis­
sione. La fiorente presenza salesiana, centro di irradiazione del
movimento missionario della Patagonia e residenza del Vicario
Apostolico, il clima soave e la presenza di don Evasio Garrone,
salesiano medico, avevano determinato questa scelta.
L ’arrivo di Artemide Zatti a Viedma coincise con quello
di Zeffirino Namuncurà, che veniva da Buenos Aires ed era
affetto dallo stesso male. I due vissero in cordiale amichevole
rapporto, finché Zeffirino nel 1904 partì per l’Italia con Mons.
Cagliero.
Quando nel 1902 vi giunse Artemide Zatti, Viedma contava
poco più di 5000 abitanti, di diverse provenienze e nazionalità.
La gente era in gran maggioranza povera.
La presenza salesiana era significativa. Due collegi, delle Fi­
glie di Maria Ausiliatrice e dei Salesiani, esercitavano una
grande influenza per l’elevazione delle condizioni morali e ma­
teriali della vita cittadina. I Salesiani avevano un grande com­
plesso, che comprendeva un internato ed un esternato di scuola
primaria, una scuola professionale, che diede i primi operai
qualificati alla Patagonia, una scuola agraria in periferia. Al
centro dell’opera salesiana la Chiesa Cattedrale, officiata come
parrocchia. Accanto alla Chiesa, l’Ospedale e la Farmacia.
L’Ospedale San José era stato fondato con l’audacia dei pio­
nieri nel 1889 da Mons. Cagliero e dal direttore dell’opera sale­
siana don Bernardo Vacchina, per rispondere ai bisogni dei po­
veri. Don Evasio Garrone, che aveva studiato e praticato la me­
dicina in Italia e poi si era fatto salesiano e missionario, rice­
vette l’incarico di organizzare e dirigere l’ospedale il 15 giugno
1889, a poche ore dalla sua ordinazione sacerdotale22.
Ospedale e Farmacia diverranno il campo di lavoro di Zatti.
21 Positio, pag. 76
22 Informazioni sull’opera salesiana a Viedma: cf. Positio, pag. 61-65

2.5 Page 15

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IL RETTOR MAGGIORE 17
3.4. Sempre con Don Bosco, come salesiano coadiutore.
Quando Artemide Zatti lasciò Bernal, non era ancora sale­
siano. Nonostante la malattia i Superiori lo avevano inviato a
Viedma come aspirante, sia per le buone qualità che dovettero
intuire in lui, sia per la volontà di farsi salesiano che senza
nessun tentennamento manifestava. Fu un atto di reciproca fi­
ducia tra la Congregazione e il Servo di Dio.
Artemide non aveva abbandonato l’orientamento iniziale.
Continuò a pensare alla vocazione sacerdotale nella Congrega­
zione Salesiana, anche perché, a un certo punto, la salute inco­
minciò a migliorare ed egli potè intraprendere un lavoro con­
tinuo ed impegnativo nella farmacia di E Garrone.
È commovente constatare l’attaccamento incrollabile
alla propria vocazione, manifestato anche quando la ma­
lattia sembrava precludere assolutamente questo cammino.
Leggiamo, ad esempio, quello che scrive ai suoi il 7 agosto 1902:
«Vi fo’ sapere che non solo era mio desiderio, ma anche dei miei
Superiori di mettermi il sacro abito; ma c’è un articolo della
Santa Regola che dice non poter ricevere l’abito uno che abbia
la più piccola cosa rispetto alla salute. Così è che se Dio non mi
trovò degno dell’abito finora, confido nelle vostre orazioni di sa­
nare presto e così appagare i miei desideri»23.
A un certo punto, però, per non trascinare troppo una situa­
zione sospesa, si imponeva una soluzione chiara. I Superiori,
pur constatando i miglioramenti della salute, non dovettero es­
sere pienamente persuasi sulle sue future possibilità. La tuber­
colosi, a quei tempi, non dava mai sicurezza di guarigione defi­
nitiva; il curricolo di studi che il Servo di Dio avrebbe dovuto
affrontare, alla sua età (23-24 anni), era ancora lungo e non
certo adatto ad un tubercolotico.
Egli d’altra parte aveva già cominciato a lavorare, e, tutto
fa credere, con successo e con reciproca soddisfazione, nella
Farmacia in una occupazione adatta ad un laico; forse lo stesso
23 Positio, pag. 79

2.6 Page 16

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18 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
È Garrone faceva qualche pressione per tenerlo con sé nel suo
lavoro.
I Superiori, date tutte queste circostanze, dovettero pro­
porre a Zatti, che perseverava nel proposito di consacrarsi a
Dio, di professare come salesiano coadiutore: al di là dei pro­
blemi della incerta salute - per cui la soluzione sembrava pru­
dente - era la donazione totale a Dio nella vita salesiana cui Ar­
temide aspirava in primo luogo. La proposta dei Superiori e
l’accettazione da parte del Servo di Dio dovette avvenire tra il
1904-1906, ma non si è in grado di precisare di più.
Non risulta che la decisione sia stata presa per un giudizio
negativo sulle sue capacità intellettuali: anzi, fu sempre una­
nime il riconoscimento delle doti di intelligenza del confratello,
della sua preparazione culturale come del suo equilibrio24.
Non risulta nemmeno che i Superiori fin da allora sapessero
della promessa da lui fatta alla Madonna per suggerimento di
don Garrone di consacrarsi al bene del prossimo in caso di gua­
rigione: pare che la cosa sia diventata pubblica solo quando
Zatti ne diede testimonianza nel 191525.
In quell’anno, infatti, quando, nell’occasione della inaugu­
razione di un monumento funerario sulla tomba di E Garrone,
venne pubblicato un numero unico delle rivista Flores de
campo, su di essa comparve la seguente testimonianza del
Servo di Dio: «Se io sto bene e sono sano e in stato di poter fare
qualche bene agli infermi miei prossimi, lo debbo a E Garrone
Dottore (P Garrone Doctor, come comunemente Zatti lo chia­
mava - NR), il quale vedendo che la mia salute peggiorava ogni
giorno più, poiché ero affetto da tubercolosi con frequenti emot­
tisi, mi disse in forma decisiva che, se non volevo finire come
tanti altri, facessi una promessa a Maria Ausiliatrice di rima­
nere sempre al suo lato, aiutandolo nella cura dei malati ed
egli, confidando in Maria, mi avrebbe sanato. C r e d e t t i, perché
sapevo per fama che Maria Ausiliatrice lo aiutava in maniera
24 Cf. Positio, pag. 79 ss
26 Cf. Positio, pag. 74

2.7 Page 17

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IL RETTOR MAGGIORE 19
visibile. P r o m is i, poiché fu sempre mio desiderio di essere di
aiuto in qualcosa al mio prossimo. E avendo Dio ascoltato il suo
servo, r is a n a i». Segue la firma: Artemide Zatti26.
Si tratta di una dichiarazione dal tono solenne, firmata e
resa pubblica, che è chiara espressione della fede del Servo di
Dio e della sua volontà ormai decisa di dedicarsi tutto e sempre
all’assistenza degli infermi.
In tal modo, Artemide Zatti, consapevole della sua situa­
zione e - come leggiamo nella Positio - «propenso come era a
vedere la volontà di Dio in quanto disponevano i Superiori, ac­
cettò di farsi salesiano laico e di vivere in questo modo il suo
fermo impegno di consacrarsi al Signore. La promessa fatta alla
Madonna per guarire sembrava essere conforme a questa solu­
zione, in quanto come laico avrebbe potuto più direttamente e
più completamente realizzare “la cura degli ammalati” , come
probabilmente non avrebbe potuto fare come sacerdote»27. «Il
suo atteggiamento fondamentale fu sempre di fare quello che
piace a Dio»2S.
-
Si può osservare come Artemide Zatti cerca in primo luogo
il cammino del Signore e ha una volontà decisa di rimanere con
Don Bosco e di essergli di aiuto, secondo quello che gli è possi­
bile. Egli è già di Don Bosco perché Dio ha preparato per lui
l’incontro con questo Santo che è affascinante e, nella terra pa-
tagonica, è addirittura profeta determinante dell’evangelizza­
zione e della formazione di un variopinto ed universale popolo
28 Riportiamo l’originale in lingua spagnola della testimonianza: «Si yo estoy
bueno y sano y en estado de poder hacer algun bien a mis prójimos enfermos, se lo debo
al Padre Garrone Doctor, quien viendo que mi salud empeoraba cada dia, pues estaba
afectado de tuberculosis con frecuentes emoptisis, me dijo terminantemente que, si no
queria concluir corno otros tantos, hiciera una promesa a Maria Auxiliadora, de perma-
necer siempre a su lado ayudàndole en la cura de los enfermos y él, ronfiando en Maria,
me sanaria. CREI, porque sabia por fama que Maria Auxiliadora lo ayudaba de manera
visible. PROMETI, pues siempre fue mi deseo ser de provecho en algo a mis prójimos.
Y habiendo Dios escuchado a su siervo y SANÉ. (Firmado) ARTEMIDE ZATTI.» (Po­
sitio, pag. 75)
27 Positio, pag. 80
28 Positio, pag. 81

2.8 Page 18

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20 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
di Dio. È dunque più che maturo per un cammino di santità
nella vita salesiana.
Sacerdote? Coadiutore? Diceva egli stesso ad un confratello:
«Si può servire Dio sia come sacerdote sia come coadiutore: da­
vanti a Dio una cosa vale tanto come l’altra, purché la si viva
come una vocazione e con amore»29.
Nessuna tristezza o reazione, dunque, per un cambio nella
prospettiva vocazionale iniziale. Al contrario, profonda gratitu­
dine per il fatto di essere salesiano e per avere avuto chiari
segni della volontà di Dio. E così scrive a genitori e fratelli nel
gennaio del 1908, dopo la professione religiosa, fatta a venti­
sette anni: «Con il cuore pieno di una santa ed invidiabile gbia
per la grazia straordinaria che il buon Dio, fuori di tutte le mie
speranze, si è degnato di concedermi (ma che io attribuisco alle
vostre preghiere e a quelle degli altri che pregate per le mie in­
tenzioni), mi dirigo a voi pregandovi caldamente di ringraziare
con me il buon Dio e la SS. Vergine con il fare la comunione ed
ascoltare una Messa...»30.
A ciascuno il suo dono espresso nella carità, nella missione
salesiana, nella santità: queste erano le parole chiave e orien-
tatrici della sua vita. E Zatti si dispose a vivere il proprio dono.
E il Signore non gli venne meno.
3.5. Buon samaritano a tempo pieno.
A Viedma, Zatti Artemide ritrovò la salute e trovò la sua
missione nella cura degli ammalati; da ammalato divenne infer­
miere, e la malattia degli altri divenne il suo apostolato, la sua
missione. Vi si dedicò a tempo pieno e con la radicalità del da
mihi animas, allargando costantemente la sua azione.
Da questa prospettiva impostò decisamente il suo futuro. Di
lì in avanti, i diversi aspetti della sua originale personalità,
sprizzante serenità e buon umore, e le acquisizioni della sua
29 Summarium, pag. 310, n. 1224
30 Positio, pag. 84

2.9 Page 19

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IL RETTOR MAGGIORE 21
professionalità cresceranno sempre più, sotto la spinta in­
teriore del proposito di essere fedele alla grazia di Dio e ren­
dersi il più utile possibile alla missione che, assunta in pieno,
giorno dopo giorno, prenderà nuove dimensioni e mostrerà
nuove esigenze, alle quali Zatti si adegua con spirito di servizio
e di sacrifìcio.
L’ospedale e le case dei poveri, visitati notte e giorno viag­
giando su una bicicletta, considerata ormai elemento storico
della città di Viedma, furono la frontiera della sua missione.
Visse la donazione totale di sé a Dio e la consacrazione di tutte
le sue forze al bene del prossimo, dapprima come valido e gene­
roso collaboratore del E Garrone, poi, alla morte del Padre
(1911) e soprattutto dal 1915, quando fu inaugurata la nuova
sede, come principale responsabile, vero direttore e ammini­
stratore dell’opera. Egli di fatto metteva mano a tutto: accet­
tava, formava, dirigeva, pagava il personale; faceva le compere
di ogni genere; vigilava per la manutenzione; assisteva i medici
nelle visite e negli interventi chirurgici; trattava con le fami­
glie; soprattutto si dava da fare per coprire le spese della ge­
stione sempre superiori alle entrate31. È rimasta famosa una
sua espressione: «Yo no pido a Dios que me dé dinero, sino que
indique donde està» («Non chiedo a Dio che mi dia denaro, ma
che indichi dove sta»)32.
L’orario di lavoro e il suo spendersi nel quotidiano testimo­
niano concretamente la totale dedizione alla missione, il senso
comunitario, la cura della vita spirituale e della competenza
professionale. Seguiamolo lungo una sua giornata33.
Il Servo di Dio si alzava alle 4,30 o alle 5, dedicava tempo
alla preghiera personale in chiesa, quindi faceva meditazione
con la comunità e partecipava all’Eucaristia.
In seguito si dirigeva alle sale dei malati. Si presentava sor­
ridente e diceva: «Buon giorno, Viva Gesù, Giuseppe, Maria».
31 Cf. Positio, pag. 93
32 Positio, pag. 149
33 Cf. Positio, pag. 104-105

2.10 Page 20

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22 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
E domandava: «Tutti respirano?». I vecchi si rivoltavano nei
loro letti e rispondevano: «Tutti, Don Zatti». «Deo gratias», di­
ceva egli allegramente, e cominciava a passare letto per letto
per vedere quello di cui ciascuno aveva bisogno. E anche per ve­
rificare se qualcuno «non respirava», perché allora se lo cari­
cava sulle spalle e lo portava all’obitorio.
Dopo questa visita, andava a colazione, poi passava dai sin­
goli malati per soddisfare le loro richieste. Terminati questi im­
pegni, montava in bicicletta e usciva, a capo scoperto e in ca­
mice bianco, per fare iniezioni ai molti malati sparsi nel paese.
Quando comparvero gli antibiotici si moltiplicò il lavoro, perché
spesso bisognava andare per le iniezioni ogni due ore e anche
di notte. «Rare volte - dice l’aiutante - dormiva tutta la notte».
E viaggiava sempre in bicicletta o in camion, se si offriva l’occa­
sione, mai in automobile.
Alle 12 - non si sa come facesse ad essere sempre puntuale -
egli era pronto a recitare le preghiere prima del pranzo con la
comunità. Pregava con fede, con gli occhi chiusi, stringendo
labbra e maini per concentrare l’attenzione. Quasi sempre dava
i tocchi della campana per invitare i confratelli; e suonava - di­
cono - con devozione: era la voce di Dio!
Dopo il pranzo, spesso giocava alle bocce con i convalescenti
e lo faceva con entusiasmo. Dalle 14 alle 16, più o meno, di
nuovo in bicicletta. Non lasciava mai la merenda, dopo la quale
usciva ancora in città, oppure visitava le sale, faceva conti, ag­
giustava guasti.
Alle 18 lettura spirituale e servizio alla benedizione euca­
ristica, quando c’era. Dopo la cena dei malati, passava nuo­
vamente sala per sala per far pregare e dava la «Buona notte»
salesiana, cioè lasciava un buon pensiero sulla vita di un Santo,
di Don Bosco, sulla liturgia. Poche parole, ma sostanziose.
Poi, ancora lavoro, e buona notte alle infermiere, cui lasciava
ricordi e dava insegnamenti speciali e orientamenti pratici per
il loro lavoro.
Alle 20, cena con la comunità, ancora una visita alle sale e

3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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IL RETTOR MAGGIORE 23
finalmente in camera per letture o lavori personali. Durante la
notte, ed era il caso abituale, si alzava prontamente, una o più
volte, per ogni chiamata dei malati.
La sua vita si svolgeva in un ambiente dove le difficoltà
erano quotidiane e sempre risorgenti, ma dove trovava anche
comprensione e simpatia. La maturità ormai raggiunta e l’aiuto
di una fervente vita comunitaria dovevano favorire il suo ane­
lito e la sua decisa volontà di santificazione. Il Servo di Dio non
disperse nulla di quanto Dio offriva alla sua anima e si servì di
tutto e in tutto proprio per esercitare l’eroismo delle virtù34.
Furono quaranta lunghi e laboriosi anni nei quali la figura
del Servo di Dio crebbe continuamente nella generosità del ser­
vizio e nella ricerca di professionalità. Artemide Zatti non fu un
operatore approssimativo: fu un autentico direttore di ospedale,
dotato di una scienza pratica fondata, che i medici non pote­
rono lasciare di riconoscere. La “ Segreteria della Salute pub­
blica” gli aveva dato la matricola ufficiale di infermiere (nu­
mero 7253), mentre egli stesso, impegnandosi nello studio, ot­
tenne dall’Università di La Piata il titolo di idoneità e abilita­
zione per la farmacia, titolo indispensabile per aprire e gestire
la farmacia dell’Ospedale35. L’insieme delle testimonianze dei
medici, rese da ciascuno di essi, è ammirevole prova della dedi­
zione, della competenza, della fede e della considerazione ri­
spettosa di Zatti verso di loro.
Non mancarono, durante i quarantanni trascorsi a Viedma,
momenti straordinari che testimoniarono in diversa forma la
solida virtù e lo spirito salesiano di Zatti. Potremmo ricordare
la serenità con cui affrontò i pochi giorni trascorsi in carcere a
causa della fuga dall’ospedale di un carcerato che era stato rico­
verato per ordine del direttore del penitenziario (1915); la pru­
denza e la pazienza manifestata in occasione della demolizione
non concertata dell’ospedale e del trasferimento ad una nuova
sede non preparata (1941); l’intima gioia salesiana vissuta nel
34 Cf. Positio, pag. 103
35 Cf. Positio, pag. 92

3.2 Page 22

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24 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
1934 durante i tre mesi trascorsi in Italia per la canonizzazione
di Don Bosco.
3.6. Verso l’incontro con Dio lungamente preparato:
riconoscimento popolare al “parente di tutti i poveri”.
Dopo essere guarito dalla tubercolosi nei primi anni del se­
colo, Artemide Zatti godette sempre una salute ottima, che gli
permise di affrontare continui e pesanti lavori e gravi sacrifìci.
Effettivamente, solo lo zelo ardente per il bene del prossimo
spiega le fatiche che egli affrontò con disinvoltura e serenità fi­
no al termine della vita, quasi senza prendersi mai alcun riposo.
Ma il Signore lo chiamava ad associarsi nuovamente alla
sua passione ed a condividere la sofferenza con coloro che egli
stesso serviva. Era il luglio del 1950 quando, curandosi per le
conseguenze della caduta da una scala, mentre faceva delle ri­
parazioni, gli venne diagnosticata una insufficienza epatica e
successivamente un tumore al fegato.
Accolse e visse con consapevolezza l’evoluzione del male
(egli stesso preparò per il medico il certificato della propria
morte!), mantenne la sua gioiosa serenità, pur tra gravi soffe­
renze, spese tutte le forze che gli rimanevano nel lavoro e nella
comunità, trascorse gli ultimi mesi nell’attesa dell’incontro con
il Signore. Ripeteva: «Cinquantanni fa sono venuto qui per
morire e sono arrivato fino a questo momento, che cosa posso
desiderare di più? D’altra parte, ho trascorso tutta la vita pre­
parandomi per questo m omento....»36.
E il momento dell’incontro con il Signore giunse il 15 marzo
1951.
Nel giorno del suo funerale si può dire che nessun abitante
di Viedma rimase in casa: gli adulti presero parte al suo fune­
rale per ammirazione e riconoscenza, i bambini per imparare
un pezzo di “ storia” importante della loro città.
35 Positio, pag. 198

3.3 Page 23

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IL RETTOR MAGGIORE 25
Tutta Viedma salutò il “parente di tutti i poveri” , come lo
chiamavano da tempo; colui che era sempre disponibile per ac­
cogliere i malati speciali e la gente che veniva dalla lontana
campagna; colui che poteva entrare nella più ambigua delle
case a qualsiasi ora del giorno o della notte, senza che alcuno
potesse insinuare il minimo sospetto su di lui; colui che, pur es­
sendo sempre “in rosso” , aveva mantenuto un rapporto singo­
lare con le istituzioni finanziarie della città, sempre aperte al­
l’amicizia ed alla collaborazione generosa con coloro che compo­
nevano il corpo medico della cittadina.
Si potrebbe continuare. La biografia che accompagna le te­
stimonianze della Positio è quanto mai ricca, abbondante di
episodi, sfaccettature e valutazioni. Noi che l’abbiamo cono­
sciuto, e ne ricordiamo ancora gesti e parole, diamo testimo­
nianza della verità dei fatti. Gli aneddoti avvenuti e tramandati
dalla popolazione non si contano e non hanno più confini reali.
Niente di strano che prima del processo fosse comune nella
gente l’opinione che ci si trovava di fronte ad un gigante della
carità, ingrandito ancora di più per l’accusa generica e male­
vola di esercizio illegale della medicina, dalla quale fu giustifi­
cato dal popolo stesso.
Quasi per prolungarne la presenza nella vita della città, fu
dato il suo nome ad una delle strade principali e al moderno
Ospedale statale e in suo onore è stato eretto un monumento
commemorativo.
Il salesiano coadiutore Artemide Zatti è stato davvero un
“buon samaritano” con lo stile di Don Bosco, «segno e porta­
tore dell’amore di Dio», della sua compassione, della sua pre­
senza che sana, consola e apre orizzonti di fede e di speranza ai
malati, ai giovani: tutti egli ha amato, e da tutti ha saputo farsi
amare, come voleva Don Bosco.

3.4 Page 24

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26 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
4. IL MESSAGGIO DI ARTEMIDE ZATTI: PROSPETTIVE PER L’OGGI
4.1. Testimonianza originale di santità salesiana.
I rapidi cenni sulla biografia di Zatti ci hanno introdotto nel
cuore della sua vicenda spirituale. Contemplando la fisiono­
mia che ha assunto in lui la vocazione salesiana, segnata dall’a­
zione dello Spirito e ora proposta dalla Chiesa, scopriamo alcuni
tratti di quella tipica santità alla quale siamo chiamati. Di essa
abbiamo già percepito alcune espressioni caratteristiche: il sen­
so profondo di Dio e la disponibilità piena e serena alla sua vo­
lontà, l’attrazione per Don Bosco e la cordiale appartenenza al­
la comunità salesiana, la presenza animatrice ed incoraggiante,
lo spirito di famiglia, la vita spirituale e di preghiera coltivate
personalmente e condivise con la comunità.
Non può sfuggire all’osservatore attento la totale consa­
crazione alla missione salesiana vissuta nell’accoglienza dei po­
veri di ogni specie, nella dedizione ai bisognosi e nell’attenzione
medica ai malati contagiosi o repellenti, nel fare spazio agli
esclusi della società, nella cura pastorale per portare i malati,
anche moribondi, a Dio. Si è trattato di un’attiva presenza
nel sociale, tutta animata dalla carità di Cristo che lo spingeva
interiormente!
Non mancarono gesti che hanno dell’eroico e dell’insolito,
come quello di cedere il proprio letto all’ultimo arrivato.
Anche se sono trascorsi cinquant’anni dalla sua morte
e profonda è stata l’evoluzione della Vita Consacrata, dell’espe­
rienza salesiana, della vocazione e della formazione del Sale­
siano Coadiutore, la via salesiana alla santità tracciata
da Artemide Zatti è un segno e un messaggio che apre prospet­
tive per l’oggi a tutti noi, chiamati a vivere nella consacrazione
apostolica il carisma di Don Bosco. Si compie in questo modo
l’affermazione delle nostre Costituzioni: «I confratelli che hanno
vissuto o vivono in pienezza il progetto evangelico delle
Costituzioni sono per noi stimolo e aiuto nel cammino di santi­

3.5 Page 25

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IL RETTOR MAGGIORE 2 7
ficazione»37. La beatificazione di questo nostro confratello ci
indica concretamente quella «misura alta della vita cristiana
ordinaria» alla quale ci stimola Giovanni Paolo II nella Novo
Millennio Ineunte™.
La sua testimonianza si rivolge ad ogni salesiano, ad ogni
comunità locale ed ispettoriale. Essa parla della vocazione come
di un’esperienza di vita in Dio secondo le caratteristiche del ca­
risma, del quale lo Spirito ci ha fatto dono. È questo il cammino
da percorrere: se si smarrisce questo solco, tutto il resto risulta
scompaginato!
4.1.1. La calamita di Don Bosco.
È sempre interessante cercare di individuare nel piano mi­
sterioso, che il Signore tesse su ciascuno di noi, il filo condutto­
re di tutta l’esistenza. Se io dovessi esprimere con una formula
sintetica il segreto che ha ispirato e guidato tutti i passi della vi­
ta di Artemide Zatti, riterrei esaustive queste parole: al segui­
to di Gesù, con Don Bosco e come Don Bosco, dovunque
e sempre.
In questa formulazione c’è la calamita che lo ha attratto in
forma permanente e lo ha guidato al seguito di Gesù: Don Bo­
sco! C’è la dedizione assoluta - dovunque e sempre - senza
badare a luoghi, ruoli e mansioni. C’è il taglio educativo di
tutta l’azione, come Don Bosco.
Ci fermiamo a considerare questi elementi.
4.1.2. La dedizione assoluta alla missione.
«La missione dà a tutta la nostra esistenza il suo tono con­
creto...», dicono le Costituzioni39. Artemide Zatti visse la mis­
sione salesiana nel campo che gli era stato affidato, incarnando
la carità pastorale educativa come buon samaritano, con lo
stile di Don Bosco.
37 Cost. 25
38 Novo Millennio Ineunte, 31
39 cf. Cost. 3

3.6 Page 26

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28 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
La sua fede lo portò a vedere Gesù nel malato, anche in
quello pericoloso, deforme e repellente. C’è una serie di aned­
doti che lo mostrano mentre carica e porta vicino a sé malati,
dai quali altri si allontanano perché contagiosi, deformi, ripu­
gnanti, difficili da trattare. Già questo lascia intravvedere con
quale visione procedeva. Ma ancor più ci edificano espressioni
come queste, ripetute alle Figlie di Maria Ausiliatrice, che fu­
rono in ogni momento collaboratrici delicate, sempre disposte e
caritatevoli dell’Ospedale, nel quale una sezione era riservata
alle donne: «Sorella, per piacere un vestito e un letto per un
Gesù di 14 (o di 75) anni».
In lunghi anni di vicinanza a malati gravi, prossimi alla
morte, non riuscì mai ad abituarvisi: la sofferenza e la morte,
specialmente dei giovani, lo commossero sempre, suscitando in
lui profonda compassione, senza fargli però mai perdere la sere­
nità d’animo. Aveva una speciale capacità di trattare i giovani
malati e persino di aiutarli a chiudere gli occhi nel Signore con
senso di fiducia, gioia e serenità. Mi piace, tra i tanti, ricordare
questo aneddoto commovente ascoltato da un testimone. Ad un
ragazzino arrivato al momento supremo, Zatti, messosi accanto
come padre e fratello, dice: «Andiamo verso il nostro Padre:
chiudi gli occhi, metti le manine giunte. Adesso diciamo: Padre
nostro». Durante la preghiera l’anima del giovane vola al cielo.
In questo modo accompagnava verso l’incontro con il Signore.
Questo è certamente dono di Dio, ma anche frutto di una
permanente unione con Lui e di una carità divenuta abitudine
di vita, capace di riversarsi su coloro che serviamo, e nei quali
scorgiamo l’amore del Padre e il volto del suo Figlio. È la dedi­
zione propria di una vita totalmente consacrata al Signore e al
servizio dei fratelli, che è come il motore della nostra missione:
Don Bosco la condensava nel da mihi animas, cetera tolle.
Artemide Zatti ci ricorda, con concretezza, il senso profondo
della nostra missione, totalmente centrata nell’amore di Dio:
amore che ci muove interiormente e che noi vogliamo riversare
su coloro cui siamo mandati.

3.7 Page 27

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IL RETTOR MAGGIORE 29
4.1.3. Infermiere educatore.
Artemide Zatti non fu semplicemente un infermiere, ma fu
educatore alla fede di ogni persona, nel momento della prova
e della malattia. Nell’Ospedale creò un ambiente di famiglia
che - come già ricordavo - aveva il suo momento mattutino allo
svegliarsi, rispondendo in coro a una domanda ormai di rito:
«Respirano tutti?», a cui seguiva l’assistenza personale ai biso­
gnosi ed il ringraziamento al Signore. Momento di famiglia era
anche, dopo il pranzo, la partita a bocce e il suo salesianissimo
attimo vespertino nella “ Buona notte” di tutti i giorni.
A tutto ciò si aggiungevano gli incontri personali di Zatti, con le
suore Figlie di Maria Ausiliatrice e con gli altri collaboratori.
Si è detto che la sua principale medicina era lui stesso: il
suo atteggiamento, le sue battute, la sua gioia, il suo affetto.
Numerose persone lo hanno testimoniato. Si trattava non
soltanto di somministrare sostanze chimiche per fermare la
malattia, ma di aiutare i vicini e i presenti a prestare aiuto,
a vedere nella propria situazione un segno della volontà di Dio,
soprattutto quando la morte era vicina.
Davvero Zatti aveva fatto della missione per i malati il pro­
prio spazio educativo, dove viveva quotidianamente i criteri del
Sistema preventivo di Don Bosco - ragione, religione, amorevo­
lezza - nella vicinanza e assistenza amorosa ai bisognosi, nel­
l’aiuto prestato a comprendere e accettare le situazioni di soffe­
renza, nella testimonianza viva della presenza del Signore e del
suo amore indefettibile. Per questo possiamo parlare di taglio
educativo della santità di questo nostro confratello infermiere.
Mi sia permessa una parola sulla cura della salute come
area della nostra missione. È significativo il fatto che i due coa­
diutori avviati agli altari, Artemide Zatti e Simone Srugi, ab­
biano agito proprio in quest’area; ad essi si aggiunge pure don
Luigi Variara. Considerando il posto che l’attenzione agli in­
fermi ha nella predicazione di Gesù, come pure al ruolo che il
problema della salute ha nelle nostre missioni e, in generale,
nella vita delle persone e delle nostre comunità, possiamo

3.8 Page 28

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30 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
trarre ispirazione da Artemide Zatti per individuare spazi di ca­
rità fraterna ancora inesplorati, dove la nostra disponibilità
può diventare segno dell’amore di Dio, rispondendo all’urgenza
delle persone, in particolare dei giovani.
Voglio attirare l’attenzione su questa possibilità di congiun­
zione tra salute ed educazione, oltre qualsiasi professionalismo
formale. A volte, troviamo i due bisogni congiunti nei nostri al­
lievi. Personalmente, ho avuto l’opportunità e la fortuna di ac­
compagnare due Capitoli generali di una Congregazione femmi­
nile, che aveva espresso in un primo tempo un carisma educati­
vo attraverso istituzioni specifiche, e successivamente, proprio a
contatto con la malattia anche giovanile, ne ha assunto corag­
giosamente la responsabilità. La discussione è stata chiarifica­
trice: si è affermato che ruolo della religiosa era di educare nel­
la e alla malattia. Le mediazioni mediche si potevano delegare.
Di fatto, nelle nostre ampie comunità educative abbiamo do­
vuto prenderci sempre cura degli svariati aspetti che riguar­
dano l’integralità dei giovani: istruzione e cultura, movimento,
gioco e socialità, catechesi, salute fìsica e psichica, in forma di­
retta e indiretta, protezione dell’ambiente, ecc. Da qui deriva
l’apertura ad una molteplicità di interventi realizzati con qua­
lità educativa e costanza.
4.1.4. Il “lavoro santificato”:
sintesi tra spiritualità e professionalità.
Un’attenta considerazione della vita del venerabile Arte­
mide Zatti porta a riconoscere, nei contenuti e nelle modalità
del suo servizio, l’intuizione della dignità propria dei valori
creaturali e delle azioni quotidiane, che sono il normale oriz­
zonte della vita e del mondo laicale.
È la riprova, vissuta per tutta una vita, che c’è un’apertura
di tutto l’umano all’accoglienza di tutto ciò che è cristiano, e
che si esprime sia nelle virtù teologali, sia nelle grandi dimen­
sioni battesimali, che il Concilio ha riproposto con forza.
Anche la vita del Servo di Dio era - come la nostra vita -

3.9 Page 29

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IL RETTOR MAGGIORE 31
tutta intessuta delle minuzie quotidiane, che sono proprie di un
servizio, come quello infermieristico, che potrebbe facilmente
scadere nella routine. Ma tutto veniva investito da un perma­
nente flusso di carità, che permeava ogni cosa, trasfiguran­
dola, fino a farsi energia di unificazione vitale e di tacita evan­
gelizzazione. Anche il suo sforzo continuo di rendersi meno ina­
deguato ai suoi compiti - attraverso processi di informazione e
di formazione permanente - va compreso come uno sbocciare
del fiore della carità, per cui il salesiano cura di fare bene ogni
cosa, con semplicità e misura40.
Ciò, se da una parte deriva dal riconoscimento della legit­
tima autonomia delle leggi e realtà terrestri, dall’altra esprime
la convinzione che “il bene va fatto bene” e che le membra di
Cristo - si tratti di malati, o di poveri, o di giovani in difficoltà -
vanno abbracciate con una carità illuminata da un’intelligenza
industriosa e creativa.
Risulta, con singolare evidenza, dalla storia del venerabile
Artemide Zatti, la ricerca appassionata di una sintesi, sempre
più matura, fra ricerca di autentica professionalità e cre­
scita in spirituale autenticità.
La ricerca di professionalità - che oggi appare una esigenza
ineludibile delle nostre società, specie delle più evolute - rap­
presenta una sfida per la vita religiosa. Essa, infatti, potrebbe
rischiare di appiattirsi sul versante secolare, facendo di esso la
fonte della propria identità, e nascondendo - o lasciando, co­
munque, scivolare in secondo piano - l’identità della vita reli­
giosa, che è legata a motivazioni soprannaturali.
Ad una tale sfida è necessario rispondere con una partico­
lare “grazia di unità” , che trasformi la professionalità in ri­
sorsa della vita consacrata, ed anzi, se così si può dire, in una
sua ulteriore qualificazione. Alla radice di una tale unità non è
difficile scorgere una carità industriosa, la fiducia serena nei
progressi della scienza e della tecnica, il bisogno di dialogare
alla pari coi nostri interlocutori, per dare vigore alla nostra
40 Cf. Cost. 18

3.10 Page 30

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32 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
stessa vocazione ed al suo messaggio, perché diventi energia
evangelizzatrice e presenza qualificata di Chiesa.
Il Servo di Dio aveva ben appreso e ben vissuto ciò che il
Beato Filippo Rinaldi chiamò “lavoro santificato”, chiedendo
un’apposita indulgenza al Santo Padre41, e ravvisando in esso
un tratto essenziale della spiritualità salesiana42. Nel concetto
di “lavoro” è inclusa tutta la serietà professionale di cui siamo
capaci. Ed in quello di “santificato” il fermento vivo costituito
dalla carità, dall’offerta, dallo spirito di sacrificio.
Una tale qualità del nostro lavoro è frutto di una vita sale­
siana sempre attenta a schivare il rischio di una professionalità
autocentrica (tutta tesa a promuovere la nostra propria imma­
gine), puramente competitiva o esclusivamente tecnica, per
raggiungere la meta di una professionalità oblativa, “ carita­
tiva” , integralmente educativa.
Il salesiano, in forza della sua esperienza, sarà allora abilitato
ad educare i suoi destinatari - prima implicitamente e poi anche
esplicitamente - ad una nuova professionalità, evangelica­
mente ispirata, capace di rinnovare la qualità della vita. Essa è
l’armoniosa risultante di specifica competenza tecnica e culturale,
di articolata capacità relazionale e solidale, di profonde motivazio­
ni etiche e spirituali. Ed appare in grado di redimere e di risignifi­
care il lavoro dell’uomo - che è parte sostanziale della sua vita - e,
al tempo stesso, di sostenere ed incoraggiare la civiltà dell’amore.
4.1.5. Riflesso di Dio con radicalità evangelica.
Ciò che dava spessore a tutto questo - la dedizione alla mis­
sione e la capacità professionale ed educativa - e che colpiva
immediatamente coloro che incontrava era la figura interiore di
41 Rescritto del Papa Pio XI a don Filippo Rinaldi, 10 giugno 1922. Si fa presente
che questa Indulgenza, dopo la Costituzione Apostolica Indulgentiarum doctrina di
Paolo VI del 1 gennaio 1967 e il successivo decreto attuativo della Penitenzieria Aposto­
lica, non è più in vigore. La Penitenzieria, in data 31 gennaio 1968, ha concesso speciali
Indulgenze plenarie, lucrabili dai Salesiani e dalla Figlie di Maria Ausiliatrice, in parti­
colari occasioni.
42 Cf. Cost. 95

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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IL RETTOR MAGGIORE 33
Artemide Zatti, quella di discepolo del Signore, che viveva in
ogni momento la sua consacrazione, nella costante unione con
Dio e nella fraternità evangelica.
Dal giudizio di medici che sono stati accanto a lui per molto
tempo, in momenti professionalmente delicati come le lunghe
operazioni, dalle valutazioni di collaboratori e cooperatori, dalle
parole di pubblici amministratori, come dalla testimonianza dei
confratelli, emerge una figura completa, anche per quell’e­
quilibrio salesiano per cui le diverse dimensioni si congiungono
in una personalità armonica, unificata e serena, aperta al mi­
stero di Dio vissuto nel quotidiano.
È ammirevole che, con gli impegnativi compiti che svolgeva,
Artemide Zatti non abbia mai smarrito il senso comunitario,
ma abbia sempre partecipato e goduto della preghiera quoti­
diana, dei momenti di fraternità a tavola e delle occasioni di
condivisione della gioia di famiglia, che in lui si manifestava in
maniera tutta speciale. La comunità salesiana fu per lui luogo
di esperienza di Dio e di fratellanza evangelica.
Possiamo raccogliere alcune testimonianze ricavate dal
Sommario per la dichiarazione dell’eroicità delle virtù.
Riguardo alla intensità con cui il Servo di Dio viveva la sua
fede, con una continua unione con Dio, così si esprime Mons.
M. Pérez: «La impressione che io ricevetti fu di un uomo unito
al Signore. L’orazione era come il respiro della sua anima, tutto
il suo comportamento dimostrava che viveva pienamente il
primo comandamento di Dio: lo amava con tutto il cuore, con
tutta la sua mente e con tutta la sua anima»43.
Lo stesso conferma P E Lopez: «Era evidente che il Servo di
Dio praticava una orazione continua: sopra la bicicletta peda­
lava e pregava, quando attendeva ai malati con naturalezza
proferiva espressioni di fede e pronunciava parole che eleva­
vano lo spirito, anche con i religiosi»44.
Per quanto riguarda, poi, in generale, la sua vita religiosa e
43 Summarium, pag. 43, n. 160
Summarium, pag. 179, n. 73

4.2 Page 32

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34 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
comunitaria, nella Positio si afferma che il santo infermiere
era anzitutto un religioso, membro di una comunità. Il
servizio che egli rendeva agli ammalati non divenne mai un
alibi per sottrarsi ai suoi doveri di vita comunitaria o motivo di
distrazione dalla sua grande familiarità con Dio.
E F. Prieto ha così testimoniato: «Nel compimento degli atti
di comunità era esemplare. Intendo dire che mai fece uso delle
libertà che aveva nel suo incarico per esimersi da nessun atto
comunitario»45. E il teste continua: «Il Servo di Dio fu un reli­
gioso osservante, esemplare. Puntuale, immancabile, mai lo
udii dire: - Non ci fui perché... La sua presenza era di molta
fraternità...»46.
Ascoltiamo ancora P F. Lopez, che fu suo direttore, riguardo
alla pratica della povertà evangelica: «Esercitò esemplarmente e
molto al di là dell’obbligo la povertà di un coadiutore salesiano.
Dimostrò in grado perfetto di essere distaccato dagli onori ter­
reni e da desideri di cupidigia. Mentre durò la sua autonomia
amministrativa, nessuno mai vide o conobbe, né a me giunse no­
tizia, che avesse acquistato qualcosa per proprio profitto e in vi­
sta di lusso o soddisfazione personale... Il Servo di Dio amava la
povertà. Diremmo che aveva celebrato uno sposalizio con la po­
vertà. Egli personalmente risplendeva come povero»47.
Riguardo allo spirito di obbedienza, P L. Savioli attesta:
«Con i Superiori praticava, come mi consta, una riverenza e ob­
bedienza filiale. Ricordo che si consigliava con P Pedemonte e
ho l’impressione generale che così facesse con gli altri Supe­
riori. Mi consta che era adornato di un’obbedienza semplice,
pronta e allegra»48.
Tutto questo ci fa vedere la esemplarità della testimonianza
evangelica di questo nostro confratello, che possiamo ben defi­
nire un “riflesso di Dio” .
15 Summarium, pag. 60, n. 231
48 cf. Summarium, pag. 65, n. 248
47 cf. Summarium, pag. 187, n. 768-771; pag. 51, n. 199
48 cf. C.E f. 730 t.

4.3 Page 33

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IL RETTOR MAGGIORE 35
4.2. Da Salesiano coadiutore.
Voglio ora soffermarmi, in particolare, sul carattere speci­
fico della vocazione di Artemide Zatti, quella di salesiano coa­
diutore, che ha improntato tutta la sua azione e la strada della
sua santità.
Se è vero - com’è stato autorevolmente affermato - che il
carisma salesiano non sarebbe quello che deve essere senza la
figura del coadiutore, è facile capire quale importanza rivesta il
fatto che la Chiesa innalzi agli onori degli altari un rappresen­
tante di una componente così originale e indispensabile della
nostra identità.
Per questo è giusto che tutta la Famiglia Salesiana festeggi
tale evento con particolare entusiasmo e ne prenda motivo per
rilanciare la figura del coadiutore, come è maturata accanto a
Don Bosco nella condivisione del Da mihi animas, al calore
della sua carità pastorale ed educativa, nella continua ricerca
della santità: dunque non come forza complementare di lavoro,
ma in quanto esperienza di Dio, vissuta nella comunità e nel
servizio dei giovani.
4.2.1. La figura del coadiutore nella comunità salesiana.
Nell’esperienza di Artemide Zatti, salesiano coadiutore,
emergono caratteristiche eminenti di questa specifica vocazione
e ci è offerta una grazia particolare per accoglierla, viverla e
proporla nelle nostre comunità e nell’azione formativa.
Il percorso vissuto da Artemide Zatti nella vocazione sale­
siana va attentamente rimeditato, perché è tipico del momento
sorgivo al quale bisogna sempre ritornare.
Già abbiamo accennato a come si è formato il primo nucleo
di coadiutori, attorno a Don Bosco e al servizio della sua mis­
sione educativa ed apostolica: alcuni provenienti dalle stesse
file dei ragazzi dell’Oratorio, altri venuti con una laicità già
matura, orientata alla carità, che nelle comunità di Don Bosco
trovavano lo spazio dove impiegarla e farla crescere per il bene
dei giovani con molteplici contributi conforme ad una professio­

4.4 Page 34

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36 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
nalità già inizialmente acquisita. Nel cerchio di Don Bosco cre­
scevano a livello umano, professionale e religioso e costituivano
dei veri tesori, non tanto per il ruolo che assumevano, quanto
per la qualità educativa che esprimevano.
In questo modo, nell’ambiente dell’Oratorio di Don Bosco, e
nelle prime comunità salesiane, si è forgiata la figura del sale­
siano coadiutore, con quei tratti caratteristici, che permangono
nella Congregazione, come espressione genuina del carisma,
pur con i cambiamenti e gli adattamenti avvenuti.
Le Costituzioni, all’articolo 45, presentando in modo essen­
ziale alcuni di tali tratti, collocano il salesiano coadiutore all’in­
terno dell’unica vocazione e missione salesiana, nella quale egli
porta il proprio contributo specifico di consacrato laico, «testi­
mone del Regno di Dio nel mondo, vicino ai giovani e alle realtà
del lavoro»49, mentre il salesiano presbitero «apporta al comune
lavoro di promozione e di educazione alla fede la specificità del
suo ministero»50.
La figura del salesiano coadiutore deve essere vista nel con­
testo della comunità consacrata salesiana, ricca di doni molte­
plici. A questo proposito non mi sembra fuori luogo richiamare
quanto scrivevo tre anni fa nella lettera sulla nostra consacra­
zione apostolica: II Padre ci consacra e ci invia51, che considero
di fondamentale importanza, sotto il titolo: I doni molteplici
della nostra comunità salesiana.
«La comunità salesiana - vi dicevo - si arricchisce con
la presenza significativa e complementare del salesiano presbi­
tero e del salesiano coadiutore52. Insieme configurano una com­
pletezza insolita di energie per la testimonianza e la missione
educativa.
Possiamo domandarci che cosa evidenzino le figure del
49 Cost. 45
50 Ibid.
51 Cf. ACG 365
62 cf. CG24 174; Cost. 45

4.5 Page 35

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IL RETTOR MAGGIORE 37
salesiano coadiutore e del salesiano presbitero nell’espe­
rienza e nella testimonianza della consacrazione apostolica; che
cosa la laicità accentui nella “consacrazione” e che cosa la “con­
sacrazione” doni alla “laicità” , entrambe plasmate e come fuse
dallo spirito salesiano. Similmente possiamo domandarci che
cosa il ministero presbiterale accentui nella consacrazione sale­
siana e che cosa questa doni al ministero.
Il valore originale non risiede nella addizione estrinseca di
qualità o di categorie di soci, ma nella fisionomia che prende la
comunità salesiana.
Il salesiano coadiutore «congiunge in sé i doni della con­
sacrazione e quelli della laicità»53. Vive la laicità non nelle con­
dizioni secolari, ma in quelle della vita consacrata; vive da reli­
gioso salesiano la sua vocazione di laico e vive da laico la sua
vocazione comunitaria di religioso salesiano54.
«Ai fratelli consacrati - afferma il CG24 - richiama i valori
della creazione e delle realtà secolari; ai fratelli laici richiama i
valori della totale dedizione a Dio per la causa del Regno. A
tutti offre una particolare sensibilità per il mondo del lavoro,
l’attenzione al territorio, le esigenze della professionalità attra­
verso cui passa la sua azione educativa e pastorale»55.
In lui professionalità tecniche, campi di lavoro secolari,
forme pratiche di intervento mostrano il loro orientamento so­
stanziale verso il bene ultimo dell’uomo, specialmente dei gio­
vani, e verso il Regno. “Tutto è aperto a lui, anche quelle cose
che i preti non possono fare” ; ma tutto è collocato sotto la luce
dell’amore radicale a Cristo, polarizzato verso l’evangelizza­
zione e la salvezza eterna dei ragazzi. [...]
Soprattutto in certi contesti e di fronte a un certo modo di
percepire e concepire il sacerdote, come figura sacrale o cul­
tuale, lo stile di consacrazione del salesiano coadiutore pro­
clama concretamente la presenza e comunicazione di Dio nel
63 CG24, 154; cf. 236
51 cf. Il Salesiano Coadiutore, Roma 1989, pag. 107-108
55 CG24, 154

4.6 Page 36

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38 ATTI DEL. CONSIGLIO GENERALE
quotidiano, l’importanza di farsi discepoli prima di essere mae­
stri, il dovere di testimoniare un’esperienza personale di fede,
più in là degli impegni funzionali o di ministero. [...]
Nella comunità salesiana chierici e laici costruiscono e testi­
moniano una fraternità esemplare per l’eliminazione delle di­
stanze basate su ruoli e ministeri, per la capacità di mettere in­
sieme doni diversi in un unico progetto. Il mutuo rapporto è fon­
te di vicendevole arricchimento e stimolo per un’esperienza ar­
monica, dove il sacerdozio non eclissa l’identità religiosa e la ca­
ratteristica laicale non vela la radicalità della consacrazione»66.
C’è da dire che la presenza del religioso laico negli Ordini
e nelle Congregazioni è un fatto comune, ma la sua figura
appare diversificata in relazione all’origine, alla evoluzione, alle
finalità e alla collocazione nella comunità. Una cosa è essere
nati come frati ed essere spiritualmente “frati tra frati” ;
un’altra è aver sentito la chiamata a collaborare in una comu­
nità “pastorale” , che mette al vertice della formazione di gio­
vani e fedeli il rapporto sacramentale con la Trinità. Certa­
mente, non è solo la nostra Congregazione che considera i con­
fratelli laici componente essenziale per la propria identità e
missione. Studi recenti - anche all’interno della Commissione
istituita dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata,
con l’incarico di approfondire il tema della “forma degli Isti­
tuti” - hanno indicato che in ciascun Istituto la figura e la col­
locazione del fratello consacrato va definita conformemente al
proprio carisma, dando alle considerazioni sociologiche e teolo­
giche generali il giusto peso, senza però isolarle dal carisma e
dalla missione propria.
Per noi c’è stata, a questo riguardo, una riflessione proposta
autorevolmente dal CG2157, ripresa da don Egidio Viganò58,
06 ACG 365, pag. 37 ss
57 Cf. CG21, Documento 2, Il salesiano coadiutore, n. 166-211
58 Cf. La componente laicale della comunità salesiana, lettera circolare del 24
agosto 1980, ACS 298

4.7 Page 37

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IL RETTOR MAGGIORE 39
e sancita dalle Costituzioni59. In essa si evidenzia come la di­
mensione laicale attraversa la nostra vita e la nostra famiglia, fi­
no a marcarne profondamente la fisionomia: noi siamo educato­
ri, collocati in tanti campi di attività secolare, dove gestione, am­
ministrazione ed orientamento pastorale si fondono. Ci sono nel­
la nostra missione impegni sul versante laicale, che assumono
l’umanesimo e percorrono le vie dello sviluppo umano, come il la­
voro, l’istruzione, lo sport. Nell’ambito della Famiglia Salesiana e
nelle nostre opere lavoriamo con componenti laicali di notevole
spessore (cooperatori, exallievi, collaboratori). Per questo la co­
munità religiosa, e ancor più la comunità educativa, mostra il vol­
to della Chiesa, popolo di Dio inserito nella storia dell’umanità.
Eppure il punto di attrazione o vertice della nostra azione è
chiaro: mettere i giovani in rapporto sacramentale con Dio, ri­
velare e far loro vivere la condizione di figli di Dio. Nelle nostre
comunità la dimensione laicale si fonde in forma originale con
la dimensione pastorale e con il ministero sacerdotale, al quale
si riconosce il compito singolare di rappresentare e ravvivare il
fondamento della comunità, che è Gesù Cristo. Don Bosco ha
voluto che i superiori impegnassero i doni o ministeri sacerdo­
tali per il bene della comunità, con l’esercizio della Parola,
il ministero della santificazione, l’orientamento di tutti verso
il vertice della comunione sacramentale con Dio. Per questo,
secondo le Costituzioni60, Direttori, Ispettori, Rettor Maggiore
devono essere “sacerdoti” delle rispettive comunità e non sol­
tanto orientatori e coordinatori dell’azione.
Le conseguenze non sono piccole, sia per il modo di eserci­
tare l’autorità, come per la vita spirituale delle comunità.
Queste non sono semplicemente gruppi da coordinare tecnica­
mente o da gestire, ma comunità da santificare alla stregua di
quello che fece Gesù con i suoi discepoli, unendoli al Padre, vi­
talmente, con tutti i mezzi.
50 Cf. Cost. 45; Il progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco, pag. 377-380
60 cf. Cost. 121

4.8 Page 38

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40 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
In questo contesto, però, il confratello coadiutore non ha
meno possibilità di contribuire alla santificazione dei suoi con­
fratelli e dei giovani, di assumere responsabilità importanti
nelle mediazioni educative, o di percorrere con maturità le vie
della spiritualità salesiana.
Non mancano, per i coadiutori, spazi di responsabilità piena e
matura, capaci di incidere sulla vita comunitaria e sulla missione
apostolica. Sono le vaste mediazioni educative e laicali, estrema­
mente ampie e necessarie per la completezza pastorale. La voca­
zione del coadiutore è aperta alla carità in diversissime forme.
E queste sono le espressioni della sua vocazione consacrata.
Lo dimostra la pluralità di realizzazioni della vocazione
del salesiano coadiutore nell’ambito della comunità salesiana.
«Le possibilità concrete di vivere in Congregazione la laicità
consacrata sono molteplici e varie»61, come attesta la vita di Ar­
temide Zatti e di tanti altri confratelli. La caratteristica laicale
della missione salesiana, l’attenzione ai giovani poveri e alle si­
tuazioni urgenti, la sensibilità e la competenza nel mondo del
lavoro, l’inserimento nel contesto sociale e popolare, i fronti di
impegno che si aprono nella dimensione missionaria, nella
realtà popolare e nella comunicazione sociale hanno trovato e
trovano una speciale sintonia con la vocazione del salesiano
coadiutore, si esprimono nei profili tradizionalmente conosciuti
e si aprono a forme e figure nuove, come l’esperienza attuale
sta evidenziando.
La storia salesiana ci insegna che spesso il confratello coa­
diutore ha dato forza ed efficacia alla missione giovanile e popo­
lare della comunità con un contributo singolare, anche come
punta avanzata sulle frontiere della missione. Basti pensare al
rapporto originale che intercorre tra dedizione ai giovani po­
veri, scuole di arti e mestieri, evangelizzazione dei popoli e sale­
siano coadiutore.
Si tratta di un contributo molteplice, ma non indefinito.
61 CG21 301; FSDB 324

4.9 Page 39

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IL RETTOR MAGGIORE 41
L’indefìnizione porta al genericismo, la pluralità nella comple­
mentarità arricchisce la comunità e la missione. Non bisogna
però pensare che compiti umili, ritenuti a volte umanamente
poco rilevanti, siano senza importanza. Già ricordavo l’espres­
sione di Don Bosco: «Un buon portinaio è un tesoro per una
casa di educazione». È l’espressione di uno che sa bene che si
educa con l’insieme, e io stesso potrei raccontare la storia di
qualche portinaio-tesoro, dislocato nelle più lontane “pampas”
della Patagonia.
_
4.2.2. Alcuni rilievi particolari.
Come accennavo, parlando del salesiano coadiutore non mi
sono proposto di fare una trattazione esaustiva degli svariati
aspetti riguardanti la sua vocazione e missione. Prendendo ispi­
razione dalla figura e dalla esperienza di santità di Artemide
Zatti, ho considerato alcuni elementi, che toccano la identità
del salesiano coadiutore, il suo peculiare contributo alla mis­
sione e la sua collocazione nella comunità62. Altri potranno es­
sere ulteriormente approfonditi. Faccio ora un cenno ad alcuni
aspetti particolari.
4.2.2.1. La forma istituzionale degli Istituti.
Quanto dicevo nel precedente paragrafo sulla presenza dei
fratelli laici in numerosi Ordini e Congregazioni, ha diretto ri­
ferimento alla forma istituzionale degli Istituti. Sappiamo che
questa è oggi oggetto di discernimento a livello ecclesiale. In oc­
casione del Sinodo sulla vita consacrata, infatti, è stata ripro­
posta la riflessione sul rapporto tra i vari carismi, le figure dei
soci e le diverse forme istituzionali degli Istituti (Istituti cleri­
cali e Istituti laicali). Nella esortazione Vita Consecrata il Papa
ha fatto riferimento ad una apposita Commissione, istituita
82
Su questi elementi della vocazione e missione del salesiano coadiutore, si può ve­
dere: CG21, Documento 2 citato; Il progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco, pag.
377-380; Il salesiano coadiutore. Storia, identità, pastorale vocazionale e formazione,
Editrice SDB - Roma 1989; FSDB, passim

4.10 Page 40

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42 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
presso la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le
Società di Vita Apostolica, allo scopo di approfondire in questo
contesto il tema degli Istituti chiamati “misti” 63.
Proprio riferendosi a questa indicazione e in relazione con il
lavoro di detta Commissione, il CG24 ha stabilito il seguente
orientamento, in vista di una riflessione aggiornata sulla “for­
ma” della nostra Società: «Alla luce dell’Esortazione Apostolica
Vita Consecrata e degli sviluppi giuridici in corso sulla “forma”
degli Istituti religiosi, il CG24 ritiene importante uno studio sul­
la possibile forma “mista” della nostra Società e un ulteriore ap­
profondimento, se le novità inerenti a tale forma rispondano al
nostro carisma e al progetto originario del Fondatore»64.
Sappiamo che la suddetta Commissione non ha ancora porta­
to a termine il proprio studio e quindi non abbiamo ancora orien­
tamenti autorevoli e definiti. Tuttavia, si sa, in ogni caso, che pre­
vale il criterio della fedeltà carismatica in ciascun Istituto.
Rimane valida la sollecitazione del CG24, che dovrà essere
ripresa quando siano noti i risultati degli studi condotti dalla
Commissione, che potranno illuminare la nostra riflessione, in
collegamento con quanto già è stato acquisito sugli aspetti del
nostro carisma in precedenti Capitoli.
4.2.2.2. Il salesiano coadiutore e i laici collaboratori65.
Un tema sul quale, nel contesto del CG24, sono stato inter­
rogato si rifa a domande di questo tipo: Come si colloca il sale­
siano coadiutore nel nuovo modello operativo composto di sale­
siani e laici? Se il soggetto della missione, il nucleo operativo è
composto da salesiani e laici, qual è il contributo specifico o la
significatività del salesiano coadiutore? La presenza di tanti
laici, che condividono lo spirito e la missione di Don Bosco,
rende forse meno significativa la presenza del salesiano coadiu­
63 Cf. VC 61
64 CG24, 192
65 II CG24 ha trattato ampiamente il tema. Si può vedere l’ìndice analitico alla
voce: Rapporti tra salesiani e laici. Specificamente sui coadiutori, n. 154

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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IL RETTOR MAGGIORE 43
tore come espressione della dimensione laicale della vocazione
e missione salesiana?
Diciamo subito che se si mette tra parentesi la consacra­
zione religiosa per ragionare in termini di azioni e di ruoli fun­
zionali, questo non solo confonde i piani, ma altera le dimen­
sioni. A ragione, negli ultimi tempi la stessa Congregazione per
gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica sot­
tolineava la triplice condizione secondo cui il cristiano vive il
suo inserirsi in Cristo: ministro o sacerdote, laico, consacrato
secondo un carisma.
Ecco, dunque, che la prima sostanziale differenza del reli­
gioso laico - quindi del salesiano coadiutore - rispetto ai laici
collaboratori è data dalla sua identità di “ consacrato” , pur con
connotazione laicale: quindi dal come vive il rapporto di al­
leanza, che Dio ha stabilito con lui, e il suo stesso rapporto con
Dio. Non c’è speranza di futuro per una figura religiosa che non
esprima immediatamente, e quasi emozionalmente, un signifi­
cato trascendente; che non sia una freccia puntata verso il di­
vino e verso l’amore al prossimo, che dal divino nasce. Inutile e
deviante sarebbe cercare la differenza in base a ruoli, rilevanza,
gerarchia. Dovremmo rileggere i passi del Vangelo sul servizio
dei discepoli agli altri.
L’indebolimento dell’identità della comunità religiosa sale­
siana come nucleo animatore specifico, o una sua collocazione
nella CEP soltanto funzionale, non testimoniale, potrebbe por­
tare ad un livellamento delle diverse figure del salesiano consa­
crato e del laico collaboratore, ad un genericismo operativo so­
prattutto nell’essere e nel manifestarsi. Sono preoccupazioni
che leggiamo nelle seguenti espressioni del documento capito­
lare: «La maturazione postconciliare della vocazione laicale
interroga l’identità del salesiano SDB nella sua specificità di
consacrato. In alcuni SDB si notano sensibilità che destano
preoccupazione: (...) ad alcuni sembra che il laico possa fare
tutto o quasi quello che faceva o fa il consacrato, rimanendo
laico; altri pensano che il bene che fanno come consacrati in

5.2 Page 42

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44 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
una comunità che “limita” , lo potrebbero fare con più efficacia
fuori, in qualità di laici impegnati»66.
A queste preoccupazioni il CG24 ha dato risposta, riferen­
dosi alla comunità salesiana e al salesiano visto come membro
della comunità di consacrati, specialmente parlando della “co­
munità di consacrati anima della CEP” 67. Io stesso ho sottoli­
neato questo punto alla conclusione del Capitolo, affermando
che molti partecipano al carisma di Don Bosco, «ma questo ha
nella comunità SDB un particolare grado di concentrazione:
per la forza della consacrazione, per l’esperienza comunitaria,
per il progetto di vita (professione), per la dedizione completa
alla missione»68. E nella recente mia lettera sulla pastorale vo­
cazionale, invitandovi a proporre con chiarezza la vocazione
alla vita consacrata, scrivevo: «È vero che essi (i laici) possono
dare molto, ma è altrettanto vero che Don Bosco volle al centro
della sua famiglia una comunità di consacrati»69.
D’altra parte, è evidente che nessuno può pretendere che un
uomo nelle mediazioni educative esprima soltanto la dimen­
sione religiosa. Sono attività con valenza secolare, richiedono
competenze varie e si distribuiscono tra coloro che emergono
per tali competenze. Ma c’è un’altra dimensione, più profonda,
per il consacrato, il cui ideale di vita è quel rapporto con Dio,
che Gesù volle per i suoi discepoli: si tratta della consacrazione
come riferimento e paradigma di santità.
4.2.2.3 La formazione del salesiano coadiutore.
U n’altra domanda che viene sovente sollevata, e con ra­
gione se proposta “con discernimento” , riguarda l’itinerario ed
il livello formativo del salesiano coadiutore. Effettivamente, la
formazione e la qualificazione dei confratelli coadiutori rimane
la strada maestra per un’esperienza significativa, una forma­
68 CG24, 45
87 Cf. CG24, 149-155
68 CG24, 236
69 ACG 373, pag. 41

5.3 Page 43

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IL RETTOR MAGGIORE 45
zione che renda eloquente la sua presenza e il suo contributo.
L’argomento va trattato “con discernimento” nel senso che
occorre aver chiaro che la formazione spirituale, educativa e
pastorale sono alla base della nostra vocazione apostolica,
mentre quella tecnica o professionale specifica sono commisu­
rate alle forme concrete e personali della mediazione educativa.
La Ratio, ristudiata in questi anni, anche con il contributo
dei confratelli coadiutori, ha assunto il suddetto orientamento
nella misura giusta. E in diverse regioni si vedono già realizza­
zioni concrete.
Si può affermare che una formazione di qualità, che rende
significativa la vocazione del salesiano coadiutore, la sua pre­
senza e il suo contributo specifico alla missione, è il segreto del
futuro dei coadiutori. Nella “galleria” di coadiutori presentati
precedentemente, si vede l’intreccio tra qualifica quotidiana ed
esercizio della carità educativo-pastorale.
A questo riguardo si è fatto un cammino considerevole, nel
campo della formazione permanente e iniziale, cammino che la
Ratio ci spinge a proseguire.
L’orientamento fondamentale della Congregazione è chiaro
in ciò che si riferisce ad ogni salesiano, coadiutore, candidato al
presbiterato e presbitero, e deve essere assunto con responsabi­
lità dalle Ispettorie.
Quanto alla formazione, dicono le Costituzioni, essa «ha or­
dinariamente un curricolo di livello paritario, con le stesse fasi
e con obiettivi e contenuti simili. Le distinzioni sono determi­
nate dalla vocazione specifica di ognuno, dalle doti e attitudini
personali e dai compiti del nostro apostolato»70.
Nella Ratio sono indicate le esigenze formative per ogni sa­
lesiano educatore pastore, i criteri, i contenuti e le condizioni
da assicurare per una formazione paritaria ma non omologante,
specifica e differenziata; per una qualificazione e una professio­
nalità adeguate alla missione, alle molteplici forme di parteci­
pazione in essa e alle possibilità concrete dei confratelli.
70 Cost. 106

5.4 Page 44

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46 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
Attenzione particolare da parte dei responsabili va data alla
qualità dell’itinerario formativo, alla formazione consacrata spe­
cifica e alla qualificazione professionale, alle iniziative per soste­
nere il cammino di formazione permanente. In alcuni casi sarà
indispensabile a tale scopo mettere in atto la collaborazione in-
terispettoriale. L’essenziale non va mai smarrito, né messo in
secondo piano nella vita dei giovani candidati o dei salesiani ma­
turi: «Noi salesiani - ci ricordano le Costituzioni - formiamo
una comunità di battezzati che, docili alla voce dello Spirito, in­
tendono realizzare in una specifica forma di vita religiosa il pro­
getto apostolico del Fondatore: essere nella Chiesa segni e porta­
tori dell’amore di Dio ai giovani, specialmente ai più poveri»71.
Se cade questo, cade la nostra identità ed il nostro progetto.
5. LA PASTORALE VOCAZIONALE:
INVITO AD UN IMPEGNO STRAORDINARIO
Dalla riflessione sulla vocazione del salesiano coadiutore,
alla luce anche della esperienza di santità di Artemide Zatti, e
dalla convinzione della significatività della sua presenza nella
missione salesiana e quindi nella Congregazione, si ricava la
necessità e l’importanza di uno speciale impegno per promuo­
vere oggi questa vocazione.
Se è vero che attorno al nostro Padre e ad altri salesiani, uo­
mini di Dio, si è visto un movimento di attrazione che non ha
avuto bisogno di manuali né di grandi organizzazioni, è vero
anche che la storia, attraverso sforzi operativi e collegamenti di
esperienze, ci ha manifestato le diverse vie e le condizioni per la
nascita e la crescita di questa forma vocazionale, in vista della
missione salesiana, e la sua piena realizzazione fino alla san­
tità. L’approfondimento che se ne è fatto ne ha rivelato l’origi­
nalità, la bellezza e l’efficacia.
71 Cost. 2

5.5 Page 45

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IL RETTOR MAGGIORE 47
Va dunque ricercato questo dono dov’è e va coltivato.
Dobbiamo impegnarci decisamente nella pastorale vocazionale,
che è vicinanza, comunicazione ed invito. Riconoscere e accogliere
il dono di Dio è il primo atteggiamento di ogni pastorale vocazio­
nale. Siamo convinti che lo Spirito ha suscitato questa figura di
religioso nella nostra comunità e continua a suscitarla.
Della pastorale vocazionale come uno degli impegni priori­
tari della nostra missione e delle sue caratteristiche nel mo­
mento attuale vi ho parlato qualche mese fa nella lettera “Ecco
il tempo favorevole” 12. Alla pastorale vocazionale specifica, poi,
è dedicata la terza parte del libro “Il salesiano coadiutore” 73.
Non è mia intenzione riprendere ora quanto potete trovare
in quei due scritti. Vorrei piuttosto, nell’occasione straordinaria
della Beatificazione del coadiutore Artemide Zatti, chiedere ad
ogni Ispettoria, ad ogni comunità e a ciascun confratello nei
prossimi anni - a cominciare da questo anno - un impegno
rinnovato, straordinario e specifico per la vocazione del
salesiano coadiutore, all’interno della pastorale vocazionale:
nel pregare per essa, nell’annunciarla e proporla, nel chiamare,
nell’accogliere e accompagnare, nel viverla personalmente e in­
sieme nella comunità.
La prima riflessione e l’impegno concreto debbono aver
luogo nel contesto locale: in ogni casa e in ogni Ispettoria; poi a
livello interispettoriale e regionale. I contesti in cui vive una
Congregazione mondiale come la nostra sono molto diversi,
come diverse sono le sensibilità, le possibilità e le prospettive,
anche per quel che si riferisce alla figura del salesiano coadiu­
tore. Tra i Superiori Generali evidenziamo spesso questa plura­
lità nel vasto fenomeno della globalizzazione e siamo consape­
voli dell’importanza della comunione carismatica espressa
senza irrigidire i modelli e omologare gli itinerari formativi.
72 Cf. ACG 373
73 Cf. La vocazione del salesiano coadiutore nella pastorale vocazionale, in 11 Sale­
siano coadiutore. Storia, identità, pastorale vocazionale e formazione, Editrice SDB -
Roma 1989, pag. 133-161

5.6 Page 46

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48 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
L ’impegno per le vocazioni era stato proposto da alcune
Ispettorie come tema per il prossimo Capitolo. Anche se non è
stato scelto come punto specifico, esso trova il suo posto all’in­
terno del discernimento capitolare che verificherà le condizioni
che possono favorire un’esperienza gioiosa e incoraggiante della
vocazione nella comunità, e non è difficile prevedere che si farà
riferimento anche alle diverse forme della vocazione salesiana.
So che ogni volta che si condivide la riflessione su questo
punto vitale, emergono immediatamente sfide da affrontare
e difficoltà da superare.
Una prima sfida evidente è costituita dallo scarso numero
di vocazioni di coadiutori e dalla loro lenta e progressiva di­
minuzione in Congregazione, un fenomeno che vivono tutti
gli Istituti, spesso in forme ancora più gravi, e in particolare
gli Istituti laicali. Quando morì Artemide Zatti, si viveva in
Congregazione un’epoca di forte sviluppo della vocazione
del salesiano coadiutore, sia per la crescita numerica che per
l’impegno di qualificazione. Da questo punto di vista la situa­
zione è profondamente cambiata. Alcuni dati statistici ci fanno
percepire le dimensioni del cambiamento. Sono indicatori da
collocare nel più ampio contesto della situazione vocazionale,
della vita consacrata e delle diverse aree in cui è presente la
Congregazione74.
L’aspetto statistico può essere conseguenza anche di altre
sfide o difficoltà, che sono così presentate nel citato libro sul
salesiano coadiutore: «Si trova una certa difficoltà nel presen­
tare ai giovani la fisionomia religiosa, spirituale e apostolica,
del salesiano coadiutore in tutta la sua ricchezza, in maniera
comprensibile e vicina alle loro aspirazioni. I diversi convegni
sulla vocazione del religioso laico hanno cercato di individuarne
le cause: la mancanza di modelli di identificazione, la mentalità
‘clericale’ di alcune aree, l’assenza di segni distintivi nel reli­
74
Comunque non si può dire che le vocazioni di salesiani coadiutori siano mancate.
La media annuale di prime professioni e di professioni perpetue di salesiani coadiutori
dal 1990 al 1999 (10 anni) è stata: prime professioni 57, 3; professioni perpetue 32,8.

5.7 Page 47

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IL RETTOR MAGGIORE 49
gioso laico, l’impostazione della pastorale vocazionale, la natu­
rale tendenza dei giovani a congiungere vocazione con servizio
religioso del popolo»75.
Nella mia lettera sulle vocazioni ho sottolineato la diffi­
coltà odierna di proporre la vocazione alla vita consa­
crata. «La nostra società, e spesso la stessa comunità cristiana,
- scrivevo - non possiede una conoscenza adeguata della vita
religiosa per capirne il senso e il valore. La nostra forma di vi­
vere la vita consacrata ha perso visibilità ed in non pochi
aspetti sembra indecifrabile. Ciò diventa ancora più preoccu­
pante di fronte alla crescente presenza dei laici nella Chiesa e,
per noi, nella missione salesiana»76.
Queste difficoltà, della cui incidenza siamo consapevoli,
lungi dall’indebolire, devono stimolare e rendere più con­
vinto il nostro impegno. In questo contesto, mi sembrano
quanto mai opportune le parole di Giovanni Paolo II nell’esor­
tazione apostolica Vita Consecrata, riferite alle difficoltà e alle
prospettive vocazionali: «Le nuove situazioni di scarsità vanno
perciò affrontate con la serenità di chi sa che a ciascuno è
richiesto non tanto il successo, quanto l’impegno della fe­
deltà»77. Di impegno di fedeltà si tratta: fedeltà al dono di Dio e
fedeltà al progetto di Don Bosco.
Il nostro primo atteggiamento deve essere di fiducia nel
Signore e di ricorso a Lui. Riporto a questo proposito le pa­
role scrittemi da un confratello coadiutore: «Anche oggi risuona
il “Vieni e seguimi” . Ed è sempre uno stupore constatare che
anche oggi ci sono giovani a cui nulla mancherebbe per orien­
tarsi verso il sacerdozio e invece fanno la scelta del laico consa­
crato anche nella Congregazione salesiana. Perciò nella pasto­
rale vocazionale bisogna credere in questa vocazione in sé com­
pleta, e trasmetterne per osmosi la stima, senza operare forza­
ture e distorsioni in direzione della figura clericale. Bisogna es­
75 II salesiano coadiutore, pag. 141
76 ACG 373, pag. 41
77 VC 63

5.8 Page 48

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50 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
sere convinti che ci sono giovani che non si identificano nel
modello presbiterale, mentre si sentono attratti dal modello del
laico consacrato. Quali i motivi di questa scelta? Tutte le mo­
tivazioni sono insufficienti: al fondo resta il mistero della
Grazia e della libertà».
Molteplici sono le vie per proporre la vocazione del sale­
siano coadiutore: raccontare Don Bosco e la storia salesiana,
presentare l’esperienza attuale in Congregazione, mettere a
contatto in forma immediata o mediata con modelli, approfon­
dire il carattere laicale della vocazione.
Conosciamo le condizioni da assicurare per risvegliare
l’interesse, per animare, accogliere e accompagnare le vocazioni.
È indispensabile far conoscere la vocazione del sale­
siano coadiutore attraverso una presentazione speci­
fica ed esplicita, che dia rilievo alla vita consacrata secondo
l’originale carisma di Don Bosco e faccia comprendere la sua
realizzazione nel coadiutore e nel salesiano presbitero. In
questa prospettiva si potranno indicare i criteri di discerni­
mento specifico, evitando decisioni fondate su stereotipi o sulla
semplice assenza di requisiti per la vocazione presbiterale.
Una tale presentazione può essere opportuna e a volte indi­
spensabile nell’ambito “ ecclesiale”, dove la vocazione del laico
cristiano e quindi del religioso laico - come il salesiano coadiu­
tore - spesso è poco conosciuta o addirittura ignorata; e questo
anche nel contesto della Famiglia Salesiana.
Ma non mi ricordo vocazioni salesiane fondate che non aves­
sero queste quattro caratteristiche: spirito e desiderio di Dio,
fino a dargli il primato nell’amore e nell’organizzazione della
vita; fascino di Don Bosco; passione per la missione giovanile
educativa e pastorale; senso di complementarità fraterna, senza
complessi di subalternità, benigna, tollerante e generosa nella
comunità.
Spesso si dice che la vocazione del salesiano coadiutore, pur
essendo in sé completa e significativa, ha debole visibilità, e
ci si riferisce soprattutto alla sua esperienza di consacrato, al

5.9 Page 49

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IL RETTOR MAGGIORE 51
suo essere educatore pastore, alla sua capacità di animazione e
di comunicazione dei valori del carisma. È una considerazione
che interpella ogni salesiano e ogni comunità nel contesto at­
tuale e nel nuovo modello operativo.
Come fare in modo che i giovani ed i collaboratori afferrino
le motivazioni di fondo che muovono la nostra vita e ne costi­
tuiscono l’originalità, e si sentano invogliati a seguire la nostra
strada?78 La risposta può venire dalla cura dell’esperienza per­
sonale di vita e dalla sua comunicazione, dalla qualità della for­
mazione, dalla valorizzazione di quelle forme di “visibi­
lità” che manifestano la “ significatività” vissuta e testimo­
niata. Occorrerà anche essere attenti a certe forme di “visibi­
lità” , cui ci richiamano Costituzioni e Regolamenti come la par­
tecipazione “responsabile ed effettiva” alla vita della comunità
locale, ispettoriale e mondiale, alla scelta dei responsabili di go­
verno, la presenza nei Capitoli e nelle équipes di formazione e
di animazione79.
È evidente che sarà inutile una organizzazione e una esposi­
zione poco autentica. L’intreccio di persone significative per la
pratica del Sistema preventivo, la presenza accogliente e conta­
giosa, la sequela radicale e testimoniata di Gesù Cristo, il pri­
mato di Dio e dell’amore sono anche oggi e più che mai i mo­
venti o le motivazioni di ogni vocazione religiosa. Diventa in­
gannevole fondare l’appello vocazionale su altre attrattive. Sol­
tanto una robusta formazione cristiana può provocare la se­
quela di Gesù Cristo. E, come sempre, chi è depositario di
questo dono è il “primo” responsabile di comunicarlo e di farlo
conoscere. La vocazione si comunica nell’immediato, per con­
tatto diretto o per contagio. Così è capitato con gli uomini cari­
smatici di sempre e così sarà per la bellezza di questa voca­
zione. Quanto più convinti e sereni saranno i confratelli nel vi­
vere la loro vita in Dio, tanto più saranno capaci di attrarre
qualcuno alla loro esperienza.
78 Cf. ACG 363, pag. 26
79 Cf. Cost. 123; Reg. 169; FSDB 234. 284

5.10 Page 50

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52 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
È utile che i nostri centri di spiritualità e di formazione per­
manente promuovano incontri e corsi di studio sulle figure vo­
cazionali - laicale e presbiterale - che compongono la nostra co­
munità e sono i motori della nostra missione, secondo la pro­
pria specificità. Questi studi, mentre risultano utili per una co­
noscenza profonda e aggiornata della nostra vocazione, sono
certamente di stimolo ad una efficace pastorale vocazionale. Ho
chiesto in particolare all’Ispettoria del Medio Oriente e al
centro di Cremisan di farsi promotore di iniziative di questo
tipo: il taglio biblico che lo caratterizza - nella Terra che ha
visto l’esperienza del Parola di Dio fatta carne - può aprire
orizzonti significativi.
Intercessione di Artemide Zatti e fecondità vocazionale:
una testimonianza singolare.
Non sarà inutile prestare ascolto ad uno che ha sperimen­
tato l’efficace intercessione di Artemide Zatti proprio riguardo
alla vocazione del consacrato laico ed ha avuto la delicata atten­
zione di raccontarci la sua esperienza. Si tratta di Sua Emi­
nenza il Card. Giorgio Mario Bergoglio, oggi Arcivescovo Cardi­
nale di Buenos Aires, e Provinciale dei Gesuiti ai tempi in cui
offrì la seguente testimonianza.
Trascrivo il testo della lettera scritta a don Cayetano Bruno
sdb e datata: Buenos Aires, 18 maggio 1986.
«Caro P Bruno: Pax Christi! Nella sua lettera del 24 feb­
braio Lei mi chiedeva di provare a scrivere qualcosa sull’espe­
rienza che ho avuto con il Sig. Zatti (del quale sono diventato
grande amico), riguardo alle vocazioni di Confratelli Coadiu­
tori. [...]
Noi avevamo una assai grande penuria di Confratelli Coa­
diutori. Prendo come riferimento l’anno 1976, quello in cui ho
conosciuto la vita del Sig. Zatti. In quell’anno, il Confratello
Coadiutore più giovane aveva 35 anni, era infermiere, e sarebbe
morto quattro anni più tardi vittima di un tumore cerebrale.

6 Pages 51-60

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6.1 Page 51

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IL RETTOR MAGGIORE 53
Quello che lo seguiva in età aveva 46 anni, e quello che veniva
dopo questo ne aveva 50. Gli altri, tutti anziani (molti di essi
continuano a lavorare attualmente come vogatori con addosso i
loro 80 anni). Questo “ quadro demografico” dei Confratelli
Coadiutori nella Provincia Argentina induceva molti a pensare
che si potesse trattare di una situazione irreversibile, e che non
ci sarebbero state altre vocazioni. Alcuni, addirittura, si inter­
rogavano sulla “attualità” della vocazione del Confratello Coa­
diutore nella Compagnia, perché — guardando i fatti — sem­
brava che si sarebbero estinti. Inoltre si facevano sforzi in vari
luoghi per delineare una “ nuova immagine” del Confratello
Coadiutore, per vedere se — per questa strada — si otteneva
un richiamo più forte di giovani che seguissero questo ideale.
D’altra parte, il Padre Generale, P Pedro Arrupe S.I., insi­
steva con forza sulla necessità della vocazione del Confratello
Coadiutore per l’intero corpo della Compagnia. Arrivava a dire
che la Compagnia non era la Compagnia, senza Confratelli Coa­
diutori. Gli sforzi fatti dal E Arrupe in quest’area furono in­
genti. La crisi era non soltanto di qualche Provincia, ma di
tutta la Compagnia (riguardo alle vocazioni di Coadiutori).
Nel 1976, credo che fu verso il mese di settembre approssi­
mativamente, durante una visita canonica ai missionari gesuiti
del nord argentino, mi fermai qualche giorno nell’Arcivescovato
di Salta. Lì, tra una chiacchiera e l ’altra alla fine dei pasti,
Mons. Pérez mi raccontò la vita del Sig. Zatti. Mi diede anche
da leggere il libro della vita. Mi richiamò l’attenzione la sua fi­
gura così completa di Coadiutore. In quel momento sentii che
dovevo chiedere al Signore, per intercessione di quel grande
Coadiutore, che ci mandasse vocazioni di coadiutori. Feci no­
vene e chiesi ai novizi di farne. [...]
A Salta in varie occasioni sentii l’ispirazione di raccoman­
dare al Signore e alla Signora del Miracolo l’aumento di voca­
zioni della Provincia (questo in generale, e non specificata­
mente di Coadiutori, cosa che feci con il Sig. Zatti). Inoltre feci
una promessa: che i novizi sarebbero andati in pellegrinaggio

6.2 Page 52

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54 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
alla festa del Signore del Miracolo se raggiungevamo il numero
di 35 novizi (questo si realizzò nel settembre 1979).
Ritorno alla richiesta di vocazioni di Coadiutori. Nel luglio
del 1977 entrò il primo Coadiutore giovane (attualmente ha 32
anni). Il 29 ottobre di quell’anno entrò il secondo (attualmente
con 33 anni)».
La lettera prosegue, presentando anno per anno l’elenco di
altri 16 coadiutori entrati dal 1978 al 1986. Quindi continua:
«Da quando incominciammo le preghiere al Sig. Zatti, sono
entrati 18 coadiutori giovani che perseverano e altri 5 che usci­
rono dal noviziato e dallo iuniorato. In totale, 23 vocazioni.
I novizi, gli studenti e i Coadiutori giovani hanno fatto varie
volte la Novena in onore del Sig. Zatti, chiedendo vocazioni di
Coadiutori. Io stesso la feci. Sono convinto della sua interces­
sione per questo problema, poiché, considerato il numero, è un
caso raro nella Compagnia. In riconoscenza, nella 2- e 3- edi­
zione del Devozionario del Sacro Cuore, abbiamo messo la No­
vena per chiedere la Canonizzazione del Sig. Zatti.
Un dato interessante è la qualità di coloro che sono entrati e
che perseverano. Sono giovani che vogliono essere Coadiutori
come Sant’Ignazio voleva che fossero, senza che loro “si indori
la pillola” . Per noi la vocazione del Confratello Coadiutore è
molto importante. Il P Arrupe diceva che la Compagnia, senza
di loro, non era la Compagnia. Hanno un carisma speciale che
si alimenta nella preghiera e nel lavoro. E fanno bene a tutto il
corpo della Compagnia. [...] Sono di pietà, allegri, lavoratori,
sani. Molto virili e sono coscienti della vocazione a cui furono
chiamati. Sentono speciale responsabilità di pregare per i gio­
vani Studenti gesuiti che si preparano al sacerdozio. In essi non
si vedono “complessi di inferiorità” per il fatto di non essere sa­
cerdoti, né passa loro per la testa di aspirare al diaconato...ecc.;
sanno qual è la loro vocazione e la vogliono così. Ciò è salutare.
E fa bene.
Questa è stata, nelle linee generali, la storia della mia rela­
zione con il Sig. Zatti sul problema delle vocazioni di Confra­

6.3 Page 53

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IL RETTOR MAGGIORE 55
telli Coadiutori per la Compagnia. Ripeto che sono convinto
della sua intercessione, perché so quanto abbiamo pregato met­
tendo lui come avvocato.
Nient’altro per oggi. Sono suo aff.mo, in nostro Signore e
nella Sua Madre Santissima,
Jorge Mario Bergoglio, S.I. »
Uno splendido stimolo anche per noi ad interporre l’inter­
cessione di Artemide Zatti per l’incremento di buone e sante
vocazioni di Salesiani Coadiutori.
Conclusione: la nostra vocazione alla santità.
Cari confratelli, disponiamoci ad accogliere la grazia e il
messaggio che la Chiesa ci comunica attraverso la testimo­
nianza di santità salesiana di questo confratello coadiutore.
La figura di Artemide Zatti costituisce stimolo e ispirazione
per renderci sensibili a nuove aree di pastorale oggi urgenti e
soprattutto per spingerci a ripensare con generosità e ampiezza
la presenza del salesiano coadiutore contrassegnato da questi
tratti tipici:
- il desiderio assoluto di rimanere e lavorare con Don Bosco, se­
condo il da mihi animas;
- il vissuto di una consacrazione totale, che ha la sua espres­
sione più immediata e forte nella partecipazione alla missione
comunitaria e nell’amore fraterno;
- lo sviluppo sereno e continuamente aggiornato della propria
preparazione professionale come mezzo per fare del bene.
L’evento della sua Beatificazione, che lo propone come mo­
dello singolare alla nostra Famiglia e alla Chiesa, sottolinea un
elemento fondamentale del nostro vissuto di consacrati all’i­
nizio del terzo millennio: è la priorità data alla dimensione spi­
rituale dell’esistenza, novità e profezia portata dall’incarna­
zione, che si manifesta in una carità capace di compiere atti più
grandi dell’uomo. Si tratta della principale forma profetica del

6.4 Page 54

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56 ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
cristianesimo: sorprendere con la scelta radicale dell’amore,
contestando senza paura ogni ambiguità, operando decisa­
mente contro il male, che umilia le persone. Forse l’urgenza
oggi non è quella di fondare un gran numero di istituzioni (edu­
cative formali), ma di rivedere il messaggio trasmesso dalla
nostra vita personale e comunitaria come vangelo dispiegato
nel tempo80, e prolungamento della vita e dell’agire di Gesù.
In una parola, la nostra santità!
Non posso concludere senza fare un cenno alla presenza e al
ruolo che ebbe l’Ausiliatrice nella vocazione e nel cammino di
santità di Artemide Zatti.
«Credo - afferma un teste - che il Servo di Dio sentiva come
pochi la devozione a Maria Ausiliatrice»81. E nella Positio leg­
giamo: «Per cogliere l’afflato con cui egli era amante di Maria
bisogna scorrere le sue lettere, dove consiglia ai familiari di ri­
correre a Maria (S. p. 2, p. 3, ecc.), dove afferma che se è nella
Congregazione lo deve a Lei (S. p. 17), dove riconosce che alla
Madonna deve la vita (S. p. 33) e dove c’è ad ogni passo il ri­
chiamo al suo aiuto e alla sua intercessione (S. p. 15, p. 16, p.
20 ecc.)»82.
Effettivamente egli attribuì alla Madonna - come abbiamo
visto - la sua guarigione dalla tisi e per questo consacrò a Dio,
nei malati e nei poveri, tutta la sua vita. Tutti i giorni la ono­
rava con la recita del Rosario, anche mentre andava in bici­
cletta per le strade di Viedma, e tutti i giorni faceva recitare il
Rosario ai malati. Caratteristico il saluto mariano quando en­
trava nelle case: “Ave Maria purissima” 83.
Sono tanti segni che testimoniano la presenza di Maria
continuamente avvertita, che sosteneva il Servo di Dio nella
sua missione e alla quale si ispirava nella fede che lo muoveva
80 Cf. VC 62
81 Summarium, pag. 270, n. 1080
82 Positio, pag. 229
83 Cf. ibid.

6.5 Page 55

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IL RETTOR MAGGIORE 57
e nella carità di buon samaritano al servizio dei bisognosi.
Si realizzava stupendamente in Artemide Zatti - come deve
compiersi anche in noi - quanto dicono le nostre Costituzioni:
«Maria Immacolata Ausiliatrice ci educa alla pienezza della
donazione al Signore e ci infonde coraggio nel servizio dei
fratelli»84.
Cari confratelli, la Vergine Maria, nostra Madre e Ausilia­
trice, sostenga il cammino di ciascuno di noi e dell’intera Con­
gregazione sulle strade della santità salesiana per il bene dei
giovani cui siamo inviati.
È l’augurio più bello, anche in vista del CG25.
Vostro affezionatissimo in Don Bosco
84 Cost. 92