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INVITATI A TESTIMONIARE MEGLIO
LA NOSTRA «CONSACRAZIONE»
Introduzione: importanza del prossimo Sinodo del 94. - Una difficoltà. - Un autorevole sussidio per la preparazione. - Il rinnovamento incompiuto. - Aspetti di ecclesialità nella nostra esperienza postconciliare. - Grandi traguardi aperti. - Esigenze della nuova evangelizzazione. - Ci aspettiamo dal Sinodo una rinnovata presenza del mistero di Cristo nel mondo. - Conclusione: Maria, Modello e Aiuto della Vita consacrata.
Lettera pubblicata in ACG n. 342
Roma, 8 settembre 1992
Natività della Vergine Maria
Cari Confratelli,
oggi, festa della Natività della Vergine Maria — dono del Padre per la nostra salvezza —, vi invito a riflettere sulla generosa iniziativa di Dio nella nostra vocazione, sulla costante sua presenza e sul prezioso apporto della sua grazia: un dono gratuito che si fa storia nella nostra vita. Vi penso immersi nel lavoro, animati sempre da quella «carità pastorale» che il Santo Padre ha così bene descritta e approfondita nell’Esortazione Apostolica Pastores dabo vobis al capitolo 3°: «Lo Spirito del Signore è sopra di me».1 È un orientamento magisteriale che illumina la «consacrazione apostolica» perché sia centro vivo di tutta la nostra interiorità.
Ci sarà presto un nuovo evento ecclesiale che concentrerà l’attenzione sulla natura e missione della «Vita consacrata» nel Popolo di Dio: il Papa ha convocato i Vescovi, per la fine del 1994, a un Sinodo ordinario — il nono — che tratterà questo tema: lo considera vitale per il rinnovamento di tutti. C’è urgente bisogno nel mondo di più intenso spirito delle beatitudini testimoniato dai «consacrati».
Il Sinodo affronterà il tema in rapporto alla Chiesa universale, a differenza di altri Sinodi particolari (come la 4ª Assemblea dei Vescovi latinoamericani o il prossimo Sinodo africano) i quali si propongono di dare risposta pastorale alle interpellanze dei propri contesti. Sono due modi di guida pastorale, entrambi indispensabili e complementari: l’uno approfondisce i valori di identità per tutto il Popolo di Dio, l’altro — alla luce della comune identità ecclesiale — si riferisce concretamente alle differenti sfide culturali e sociali dei popoli: unità e pluralità in una pastorale simultaneamente di trascendenza e di incarnazione.
Senz’altro la visione generale del Sinodo-94 è ordinata a tradursi nelle particolarità sia dei vari Istituti di Vita consacrata, sia delle esigenze culturali delle varie regioni. La sua importanza, però, è previa ed orientatrice.
Se guardiamo agli ultimi Sinodi di livello universale (per esempio, quello straordinario a vent’anni dal Concilio, quello sui fedeli laici, quello sulla formazione dei presbiteri) si capisce subito in che cosa consiste l’angolatura di unità ecclesiale e la sua importanza per l’applicazione ai differenti contesti.
I successori degli Apostoli saranno impegnati a riflettere pastoralmente sulla «Vita consacrata» oggi nel mondo: sulle sue molteplici forme di tendere alla santità e sui suoi vari ruoli di testimonianza e di servizio. Si dovrà entrare nel cuore del mistero della Chiesa da dove sgorga tutta l’energia della santificazione; se i «consacrati» — in qualunque Paese del mondo — non concentrano i loro sforzi su questo aspetto si espongono al pericolo di correre invano. Non basta «sudare» e incarnarsi tra gli uomini; urge proclamar loro — in modo esistenziale ed operativo — la profezia della risurrezione.
Il prossimo Sinodo rilancerà per noi e per tutti l’impegno ecclesiale di «testimoniare in modo splendido e singolare che il mondo non può essere trasfigurato e offerto a Dio senza lo spirito delle beatitudini».2 Considero particolarmente salutare che in Congregazione si vada già fin d’ora coltivando la consapevolezza dell’importanza di questo Sinodo, della sua preparazione e della sua celebrazione.
Quanto può e deve essere la nostra partecipazione, personale e comunitaria? Non è semplice dare una risposta che risulti facile a tutti. C’è da ripensare — in maniera sintetica — la laboriosa ricerca e il vissuto di una trentina di anni: si guarda ad aspetti già affermati e ripetuti, ma da saper considerare da un’altra ottica. Ciò risulta per se stesso alquanto arduo, ma anche proficuo e stimolante.
Almeno su due punti mi pare che non dovrebbe mancare il nostro apporto: un rinnovato impegno nel vivere, in maniera più convinta e coerente, la nostra vocazione salesiana, ridefinita e riattualizzata autorevolmente nella Regola di vita; e un vivo e assiduo interessamento a quanto nella Chiesa verrà fatto in vista di un’adeguata preparazione al prossimo evento. Questa mia lettera offre alcune indicazioni volte appunto a coinvolgere tutti e ciascuno in tale duplice direzione.
Il 2 febbraio scorso, festa della Presentazione del Signore, ho avuto la fortuna di concelebrare con il Santo Padre nella basilica di San Pietro gremita di religiosi e religiose. Significativa è stata la tradizionale offerta dei ceri. Il Papa all’omelia disse: «Nell’accendere oggi questi ceri che significano la luce di Cristo, iniziamo anche la preparazione della prossima Assemblea del Sinodo dei Vescovi, che tratterà, come sapete, della Vita consacrata e del suo impegno nella Chiesa e nel mondo. Alla soglia dell’anno duemila si occuperà, quindi, della vostra vita, della vostra consacrazione, del vostro modo di partecipare alla evangelizzazione e, per conseguenza, all’attività missionaria della Chiesa. Accompagnate i lavori preparatori con la vostra preghiera! Partecipate attivamente alle consultazioni che vi verranno rivolte. I successori degli Apostoli vogliono aiutarvi ad essere fermento evangelico ed evangelizzatore delle culture del terzo millennio e degli orientamenti sociali dei popoli».3
Quest’ultima espressione del Papa mi fa pensare alla notevole evoluzione della Vita consacrata in questi decenni del postconcilio, nonostante i difetti che non mancano mai nei processi umani; stiamo vivendo gli inizi di una nuova tappa di vitalità nella sua storia secolare. Essa sta uscendo da una stagione alquanto invernale, ma vive ormai in un’ora di primavera e si sta aprendo al futuro per crescere con più vigore e fiducia.
Il Vaticano II ha provocato davvero un nuovo cominciamento ecclesiale. C’è da meditare con gioia, pur in mezzo ad assillanti problemi, su quanto affermò Paolo VI: «Noi stiamo vivendo nella Chiesa un momento privilegiato dello Spirito. Si è felici di porsi sotto la sua mozione. Ci si raccoglie attorno a Lui e ci si vuole lasciare guidare da Lui».4
Dedichiamoci dunque con diligenza alla preparazione di questo Sinodo.
Una difficoltà
Il Sinodo-94 non si dedicherà alla considerazione dell’indole propria dei singoli Istituti e neppure della sola «Vita religiosa», bensì al significato globale e all’importanza ecclesiale di tutta la «Vita consacrata»; entrano in questa ottica anche gli Istituti secolari, le altre forme di speciale consacrazione e le Società di vita apostolica.
Viene spontaneo chiedersi se questa estensione dell’ottica sinodale non esponga al rischio di una certa dispersione e genericismo. L’ampiezza della trattazione non danneggerà l’approfondimento e la concretezza degli orientamenti conclusivi?
Guardando alla iniziata programmazione del lavoro da fare, si può supporre che l’ampliamento dell’ottica non escluda, di fatto, che in momenti specifici i Padri sinodali possano concentrare l’attenzione su alcuni gruppi concreti, per esempio, quelli della «Vita religiosa» in quanto tale; essi costituiscono infatti la «pars magna» della Vita consacrata.
D’altra parte, però, bisogna riconoscere che oggi nel Popolo di Dio — incominciando dai responsabili della pastorale — risulta veramente conveniente, anzi urgente, precisare la dimensione ecclesiale e il ruolo peculiare di tutta la Vita consacrata. In questo senso, l’estensione dell’ambito di considerazione risulterà particolarmente utile almeno per due motivi.
Il primo è quello di approfondire, innanzitutto, gli aspetti sostanziali comuni, senza i quali non si vive la consacrazione; ossia, quella componente di base che sta alla radice della differente indole propria dei singoli gruppi. Così, ad esempio, per noi l’essere «vero cristiano» (che è l’aspetto fondamentale comune) è l’anima dell’essere «salesiano» (che è la differenza della nostra indole propria). Lo affermava già il Capitolo Generale Speciale 20°: la nostra sequela del Cristo — si legge negli Atti — «non è qualcosa di estraneo alla consacrazione battesimale, ma un modo di vivere l’impegno del battesimo, in una delle diverse e complementari vocazioni cristiane, tutte suscitate dallo Spirito. Non ci sono due piani di tale vocazione: quello della Vita religiosa un po’ più alto, e quello della Vita cristiana un po’ più basso. Per chi è religioso, testimoniare lo spirito delle beatitudini con la professione dei voti è la sua unica maniera di vivere il battesimo e di essere discepolo del Signore, compiendo così un servizio differenziato nella missione globale della Chiesa».5
Il secondo è quello di apprezzare «storicamente» la diversità tipologica dei singoli carismi per vedere in essi, contemplando l’esperienza concreta, l’inesauribile creatività dello Spirito del Signore lungo i secoli, in risposta originale alle molteplici e varianti situazioni del contesto in cui la Chiesa realizza la sua missione. Questo obbliga a guardare alla Vita consacrata spingendosi molto più in là delle interpretazioni concettuali elaborate con schemi astratti.
Così si capirà meglio sia la vitalità comune da rinforzare, sia l’originalità di ogni indole propria da interpretare come pluriforme espressione storica dell’unica carità infusa dallo Spirito.
È proprio in tal senso che si sta preparando il Sinodo: d’altra parte è meglio aspettare la sua celebrazione prima di emettere dei giudizi di valore.
Un autorevole sussidio di preparazione
Uscirà presto per nostro uso un sussidio del Consiglio del Sinodo dei Vescovi detto comunemente Lineamenta: sarà uno stimolo alla riflessione lungo la tappa della preparazione. Consta di tre parti complementari:
— la visione dottrinale della Vita consacrata nel mistero della Chiesa (la sua «identità»);
— la sua situazione attuale, dopo il travagliato e fecondo cammino percorso dal Vaticano II ad oggi;
— la sua missione: puntando soprattutto su quali risposte dare alle sfide della nuova evangelizzazione.
Tenendo presente quanto afferma il Concilio, che cioè la Vita consacrata «pur non riguardando la struttura gerarchica della Chiesa, appartiene tuttavia indiscutibilmente alla sua vita e alla sua santità»,6 vien da pensare che i Successori degli Apostoli vorranno mettere in rilievo, anzitutto, i vitali valori inerenti alla sequela del Cristo, gli unici capaci di stimolare «efficacemente tutti i membri della Chiesa a compiere con slancio i doveri della vocazione cristiana».7 I «consacrati» sono chiamati a far scoprire agli altri quanto lo Spirito del Signore ha donato al Popolo di Dio attraverso la loro consacrazione.
Se ci lasciamo interpellare da questo obiettivo sinodale, capiremo meglio che il processo di rinnovamento in cui ci sentiamo coinvolti non può essere solo un problema di metodo e di programmazioni pastorali; esso è in primo luogo un atteggiamento spirituale di opzione fondamentale, una mentalità, un discernimento, una concezione di vita; anzi, proprio tale conversione all’interiorità diviene sorgente e stimolo di ricerca delle metodologie adeguate e costituisce l’anima di ogni programmazione operativa.
Io penso che il Sinodo ci assicura una rinnovata chiarezza e illuminanti approfondimenti, in quanto nelle sue riflessioni partirà dall’angolatura della ecclesialità. Questa, infatti, tocca i «consacrati»; non solo in quanto riferiti direttamente a Cristo, ma anche a tutti i membri del Popolo di Dio, ai fedeli laici e ai Pastori.
Un lavoro sinodale che ci porterà certamente a riflettere sulla base dottrinale della Vita consacrata, partendo prioritariamente non dall’ambito della specificità di ogni Istituto — come siamo soliti fare tra noi —, bensì concentrando l’attenzione sulla qualità di fondo comune da rileggere ecclesialmente attraverso la nostra esperienza peculiare legata a un dono dello Spirito Santo anche per gli altri.
In certo modo siamo invitati a fare un cammino inverso a quello degli ultimi Capitoli Generali: là eravamo impegnati — partendo dagli stimoli conciliari — a definire il nostro carisma ereditato dal Fondatore (passavamo dal patrimonio conciliare comune, allo specifico dell’indole propria); qui, invece, dovremo saper portare — partendo dalla esperienza della nostra identità carismatica — luci ed approfondimenti sui comuni valori di ecclesialità (ossia, passare dallo specifico dell’indole propria al patrimonio vitale comune).
Dal Vaticano II in qua si sono fatti dei progressi di tipo ecclesiologico che hanno bisogno di essere confrontati in vista di una loro mutua illuminazione diretta a creare una crescita armonica: per esempio, tra Chiesa locale e Vita consacrata, tra Ministero e Carisma, tra Comunione e Indole propria, tra Consacrazione e Missione, ecc.
Tutto questo servirà a irrobustire in noi la coscienza dell’ora germinale in cui viviamo: un nuovo inizio della ricorrente giovinezza della Chiesa.
Il Sinodo sarà, quindi, un’ottima occasione per perfezionare il grande impegno di rinnovamento spirituale esteso a tutto il Popolo di Dio, illuminato e riccamente espresso dai molteplici istituti di Vita consacrata. Penso che lo sforzo che faremo nell’individuare alcuni aspetti della nostra vita da offrire come frutto del cammino percorso in questi anni, favorirà in noi stessi una coscienza più lucida dei fondamenti biblici e teologali sia della consacrazione che della missione e dei consigli evangelici, della corresponsabilità di ogni confratello, del decentramento nell’unità e dell’indispensabile e fraterno servizio dell’autorità.
Il rinnovamento incompiuto
Nel considerare il cammino percorso dopo il Vaticano II, si farà una specie di bilancio realistico della evoluzione della Vita consacrata anche in rapporto al divenire della società. I processi di secolarizzazione e di socializzazione infatti hanno avuto un loro peso non indifferente; non si può ignorare l’influsso esercitato da essi sulla evoluzione della Vita consacrata, non tanto per giudicarne un eventuale degrado, bensì in vista di un equilibrato discernimento dei valori positivi e dell’eventuale contestazione evangelica da rinnovare.
Nel cammino postconciliare noi abbiamo raggiunto essenziali progressi: sforzi di rinnovamento, impegni di revisione, di ripensamento, di progettazione, iniziative ed esperienze, problemi e difficoltà. Abbiamo riflettuto più d’una volta su alcuni aspetti particolarmente incisivi di questi decenni.8
Le tappe del nostro cammino sono state scandite da ben cinque Capitoli Generali: — il 19° (1965), in cui si è precisato, tra l’altro, la natura e il funzionamento dello stesso Capitolo Generale: un lavoro indispensabile, previo alle tappe posteriori; — il 20° (1971), che fu il Capitolo «Speciale», compì il delicato, vasto e lungo lavoro di ridefinizione della nostra identità salesiana nella Chiesa; — il 21° (1978) si dedicò soprattutto all’aggiornamento del nostro Progetto educativo-pastorale, al ruolo del Direttore e alla figura del salesiano coadiutore; — il 22° (1984) portò a termine la rielaborazione della nostra Regola di vita; — e il 23° (1990) approfondì e descrisse la messa in atto della nostra metodologia nell’educazione dei giovani alla fede.
Questi grandi Capitoli furono preparati dal concorso dei confratelli di tutte le Ispettorie guardando sia agli orientamenti conciliari che alle svariate esigenze culturali. Vale la pena ricordare l’enorme lavoro di preparazione al Capitolo Generale Speciale (20°), sotto la guida del Rettor Maggiore don Luigi Ricceri.
Nel percorso tra le varie tappe si sono ottenuti certamente molti frutti positivi: il riferimento vivo al Fondatore, la significatività dell’indole propria, la concezione e rielaborazione della Regola di vita, la rivalutazione della Professione religiosa, l’accento messo sullo spirito salesiano, la revisione delle strutture di servizio con il decentramento nell’unità, il criterio oratoriano di azione, la coscienza rinnovata della dimensione comunitaria, la cura della formazione iniziale e permanente, la generosità missionaria, il rilancio della Famiglia Salesiana, il coinvolgimento dei laici, ecc. Ma tutto questo è stato solo avviato nella pratica ed è in divenire; non è ancora concluso. La realtà del rinnovamento è sempre in cammino; porta con sé tendenze nuove, sfide inedite, differenze culturali secondo i contesti e continui problemi da affrontare; inoltre i programmi sessennali dei Capitoli non sono maturati ugualmente in tutte le Ispettorie; rimangono poi tra i confratelli zone di impermeabilità.
Guardando anche agli altri gruppi di Vita consacrata, è oggettivo parlare di rinnovamento «incompiuto». Questo qualificativo di «incompiuto», pur riconoscendo i passi fatti, segnala che ci sono tappe di gradualità e anche dati purtroppo negativi. Basta pensare ai problemi e difficoltà apparsi in questi decenni. Non è il caso di fare qui una specie di elenco dei più gravi, anche perché — trattandosi di tutta la Vita consacrata — coinvolgono le manchevolezze e le carenze di altri settori della Chiesa. Non è facile rinnovare l’intero Popolo di Dio in poco tempo e in tutte le situazioni geografiche. L’incompiutezza, dunque, è palese; ciò che è positivo e fa sperare bene è questo rinnovamento ormai in marcia dappertutto.
Se rivolgiamo lo sguardo più particolarmente alle cose di casa nostra, siamo più che coscienti di vari problemi: la lentezza della ripresa spirituale dovuta a un clima di superficialità, l’oscuramento di alcuni valori essenziali come l’indebolimento dell’ascesi, lo spegnersi dell’entusiasmo apostolico in varie opere, manifestazioni di disorientamento in certi confratelli, il non raggiunto equilibrio — qua e là — di alcune tensioni, il pericolo di un genericismo o di un livellamento che porta all’indebolimento dell’identità, alcune concessioni al dissenso, non poche espressioni di individualismo e di imborghesimento, la non sempre chiara testimonianza pubblica nella società, ecc. Tra la fedeltà al Fondatore e al Concilio, ben definita nel testo costituzionale, e quella che si percepisce nella pratica della vita quotidiana, c’è di fatto — anche se in via di superamento — un divario non indifferente.
La fedeltà per noi consiste nel fare costante riferimento a Don Bosco e nello sforzarci di imitarne il tipo di santità. Se fosse vivo oggi, egli ci stimolerebbe a uno stile di Vita consacrata più significativo a livello pubblico, sia nell’ambito spirituale e ascetico, sia in quello apostolico (dato che entrambi sono mutuamente compenetrati in forma inseparabile); ci muoverebbe anche a escogitare risposte nuove, frutto di interiorità rinnovata, di magnanimità progettuale, di indefesso spirito di sacrificio e di coraggio apostolico.
Io penso che il rinnovamento postconciliare ci stia facendo crescere in questa fedeltà dinamica, pur constatando la sua incompiutezza: si può dire che siamo sulla buona strada.
In certe zone, però, se ai pericoli e agli aspetti negativi sopra indicati si aggiunge la drammaticità di crescenti vuoti di personale e dell’invecchiamento, che porta con sé una condizione precaria per non poche opere, il rinnovamento dovrà cercare con coraggio soluzioni inedite, lasciandosi guidare dal criterio della significatività, sul quale veniamo insistendo da tempo.
Ad ogni modo, una sinfonia incompiuta è pur sempre una sinfonia!
La celebrazione del Sinodo è occasione propizia per correggere le stonature.
Aspetti di ecclesialità nella nostra esperienza post-conciliare
Nel percorso postconciliare abbiamo fatto esperienza, con vero profitto, di alcuni grandi valori ecclesiali inerenti alla nostra specifica vocazione. Riflettere su di essi apre a noi la possibilità di offrire alla preparazione del Sinodo (nelle varie riunioni locali e generali) elementi concreti per il rinnovamento della Vita consacrata. Ne enumeriamo alcuni sottolineando in essi l’aspetto di ecclesialità nel suo senso più profondo: ossia, non solo di «sentire con la Chiesa» e di «operare nella Chiesa», ma di «identificarsi con Essa» nel vivere la propria vocazione come espressione della sua vitalità di grazia, di dottrina e di responsabilità evangelizzatrice.
Mi sembrano particolarmente suggestivi gli aspetti seguenti: il fatto che la nostra vocazione si incarna in un carisma; il sentirci permeati da una speciale consacrazione; il concepire la professione religiosa come alleanza con Dio in vista di un peculiare progetto evangelico; il formar parte — con l’indole propria — della sacramentalità del Popolo di Dio; il qualificarci in esso, per iniziativa dello Spirito, con una specifica scelta di campo.
Abbiamo sperimentato quotidianamente il mistero della Chiesa vivendo questi aspetti; i quali, poi — anche se con esperienze tipologiche differenti, specialmente circa la scelta operativa — sono comuni agli altri consacrati. Vale dunque la pena di farli emergere come fonti vive di ecclesialità. Ne abbiamo già parlato tante volte, ma qui lo facciamo guardando al tema del prossimo Sinodo.
— Carisma. Il fatto che il carisma dei Fondatori sia considerato una «esperienza dello Spirito Santo» trasmessa, custodita e sviluppata 9 come dono al Popolo di Dio, ci ha fatto sentire più viva la partecipazione al mistero della Chiesa, sperimentando la dimensione pentecostale della nostra vocazione: vitalmente ecclesiale perché carismatica.
La considerazione della varietà dei carismi ci ha spinti, non tanto a seguire teorie e interpretazioni più o meno generiche, bensì a rifarci con più attenzione alla permanente presenza, storica e creativa, dello Spirito Santo. Il carisma del Fondatore non è un dono vago ed astratto — una specie di mito senza storia —, ma un vissuto evangelico, una realtà impastata di cronaca; la sua identità è iscritta in vari tipi di esistenza cristiana ed è ordinata costitutivamente alla vita della Chiesa. Così abbiamo imparato a ricercare l’origine di ogni tipo di Vita consacrata innanzitutto nell’iniziativa dello Spirito del Signore lungo il corso dei secoli.
Perciò noi, invece di guardare, per esempio, ai monaci del deserto come ai prototipi iniziali della nostra Vita consacrata, scorgiamo piuttosto il nostro peculiare dono nel modello di vita degli Apostoli, a cui ci rimanda sostanzialmente l’esperienza di Spirito Santo vissuta dal Fondatore. La consapevolezza di essere uniti da legami particolari allo Spirito Santo, mentre ci offre orizzonti più vasti nella ricerca dei modelli, intensifica la nostra conoscenza della vitalità della Chiesa.
Ciò che c’è di nuovo in ogni carisma — la dimensione profetica che esso evidenzia nella missione salvifica del Popolo di Dio — suole essere una lettura particolare del Vangelo, un modo coraggioso di affrontare le nuove sfide della società. Rilanciare un carisma significa riscoprire questi nuclei innovativi immessi in esso dallo Spirito.
Di fatto, poi, la storia ci insegna che un carisma può provocare anche resistenze, senza per questo diminuire né «l’ardimento delle iniziative, né la costanza nel donarsi, né l’umiltà nel sopportare i contrattempi: il giusto rapporto fra carisma genuino, prospettiva di novità e sofferenza interiore comporta una costante storica di connessione tra carisma e croce».10 Possiamo dire — in questa prospettiva carismatica — che un importante apporto della Vita consacrata alla penetrazione e partecipazione al mistero della Chiesa è il protagonismo dello Spirito Santo, la sua presenza vivificatrice e animatrice nel Corpo, la sua multiforme fecondità diretta a creare comunione, il suo ruolo di costruttore dell’unità organica e cattolica attraverso i preziosi apporti di tante differenze.
Ma poi dobbiamo aggiungere che lo Spirito dona carismi appropriati e molteplici anche ai Pastori, incaricati di farli convergere nella comunione ecclesiale: al Papa e ai Vescovi Egli dona il carisma del coordinamento dei carismi; ed è proprio per questo che il sottolineare il protagonismo dello Spirito illumina a giorno l’organicità della Chiesa come «Corpo di Cristo». Prima, infatti, delle diversità proprie della struttura gerarchica, prima delle differenze dei doni e dei compiti, e anche durante l’esercizio dei vari ministeri e uffici, c’è il mistero della Chiesa in cui tutti sono chiamati a dare il primato alla «vita nello Spirito».11
Sì: il riferimento allo Spirito come fonte di vita è per tutti fondamento e sorgente di una genuina ecclesialità.
— Consacrazione. Il Vaticano II ha provocato un vero capovolgimento nella maniera d’interpretare la «Vita consacrata». Questa stessa terminologia, ora in uso, procede dal consecratur della Lumen gentium.12 Da chi è «consacrata» questa vita? La risposta si trova appunto in quel verbo, usato al passivo; esso proclama Dio protagonista — attraverso il ministero della Chiesa — di una speciale consacrazione: non è un’unzione sacramentale, ma una «solenne benedizione», come dice il Rituale della Professione, che assicura uno speciale dono e assistenza dello Spirito Santo.
Da questo punto di vista, il qualificativo «consacrata» appare l’elemento che fonda l’ecclesialità di tale vita.
L’atto divino del «consacrare» inserisce — nella linea del Battesimo e della Cresima — una speciale «presenza» dello Spirito Santo: con essa Egli s’impegna a coinvolgere, guidare, sostenere e alimentare coloro che professano i consigli evangelici. La «consacrazione», vista come «particolare presenza dello Spirito», diviene fonte viva di speranza e dimostra così un aspetto del ruolo vivificante dello Spirito in quanto «anima» della Chiesa.
E c’è un’osservazione anch’essa importante da aggiungere: l’atto consacrante di Dio col dono del suo Spirito coinvolge simultaneamente sia la «vocazione» che la «missione»; è Iddio che, donando il suo Spirito, «chiama», «consacra» e «invia» in un unico atto di provvidenza e di predilezione. Da questo punto di vista «vocazione», «consacrazione» e «missione» sono inseparabili. Così «consacrazione» e «missione» appaiono come due aspetti costitutivi di una stessa realtà, in cui essi coesistono in mutuo interscambio: indicano un progetto di vita evangelico peculiarmente animato dalla presenza amorosa dello Spirito Santo.
Questa osservazione ha un’incidenza non piccola sulla interpretazione stessa della Vita consacrata. La «missione» non è qualcosa di esterno identificabile semplicemente con l’«azione apostolica», ma è una iniziativa divina che la precede e la guida; essa è inclusa direttamente nella consacrazione e viene manifestata e definita nella «scelta di campo» iscritta nel carisma del Fondatore. Perciò dalla missione nascono tratti fisionomici che informano l’impegno stesso dei consigli evangelici e ne determinano la tipologia ecclesiale e le modalità di realizzazione. Il fare i voti non rimanda a una promessa vaga e generica, indica invece far propria la radicalità battesimale in maniera ben definita da una peculiare fisionomia derivata appunto dalla missione assegnata da Dio.
Quindi non più tensione tra «consacrazione» e «missione» (soprattutto nei gruppi di Vita apostolica), ma mutua compenetrazione e circolarità nell’interscambio dei valori ecclesiali. Dire «Vita consacrata» significa indicare nel Popolo di Dio una porzione scelta e designata dal Signore a bene (santificazione e apostolato) della Chiesa, la quale viene così arricchita da una grande varietà di carismi, «come una Sposa adornata per il suo Sposo; per mezzo di essa si manifesta la multiforme sapienza di Dio».13
Questa visione conciliare della «consacrazione», mentre risulta capace di rinnovare profondamente l’interiorità spirituale dei consacrati, sottolinea un aspetto vitale della loro ecclesialità: la sacra Gerarchia interviene nell’atto di consacrazione, per assicurare con il suo ministero la realizzazione della vocazione e missione espressa dai differenti carismi considerati un bene peculiare e proprio da curare e da difendere.
— Professione. Si chiama professione l’atto con cui chi è stato scelto e chiamato si dona totalmente a Dio (il suo significato pieno lo si ha nella «professione perpetua»); si impegna inoltre a seguire radicalmente Cristo, mettendo in luce qualche aspetto del suo insondabile mistero. L’approfondimento del senso teologale della consacrazione aiuta a precisare ciò che fa il soggetto nella sua professione: egli propriamente non «si consacra» (infatti «viene consacrato»); egli «offre se stesso» con un’oblazione totale. L’aspetto radicale di questa oblazione è racchiuso e manifestato nei «consigli evangelici»; in essi si misura la generosità della risposta alla chiamata divina. La consacrazione da parte di Dio e la donazione totale di sé con i consigli evangelici da parte del soggetto si uniscono inseparabilmente nella «professione». Così nel «professo» abitano gli effetti della particolare presenza dello Spirito insieme alla sua volontà di oblazione radicale; egli si chiamerà «consacrato» e la sua esistenza «Vita consacrata».
E qui vediamo che l’aggettivo «consacrato» porta in sé un doppio significato: quello dell’azione divina («consacrato da Dio») e quello della donazione radicale, nella quale penetra vitalmente la speciale assistenza dello Spirito («consacrato a Dio»): l’una e l’altra sono dovute alla presenza amorosa dello Spirito Santo.
L’impegno radicale di praticare i consigli evangelici è incluso in una vera «alleanza» (personale e di gruppo) con Dio attraverso il Fondatore, considerato a maniera di padre o patriarca; un’alleanza che fa concepire l’emettere i voti come una concreta risposta al progetto peculiare suggerito dallo Spirito al Fondatore. Il fatto dell’intima unità tra «consacrazione» e «missione» comporta che i consigli evangelici siano innervati vitalmente nella peculiare missione ricevuta nella consacrazione e nel progetto concreto espresso nel carisma. Così la Professione non è semplicemente fare i voti, ma il proposito di viverli secondo il carisma del Fondatore. La realizzazione della missione dà il tono concreto e la fisionomia ecclesiale a tutto ciò che si è offerto nella professione. La donazione di sé nella pratica dei consigli evangelici viene determinata e misurata dalla realizzazione della propria missione nella Chiesa, secondo la Regola di vita da essa stessa approvata.
Giustamente la Lumen gentium afferma: «poiché i consigli evangelici, per mezzo della carità alla quale conducono, uniscono in modo speciale i loro seguaci alla Chiesa e al suo mistero, la loro vita spirituale deve essere pure radicalmente donata (“devoveatur”!) al bene di tutta la Chiesa. Di qui sorge il dovere di lavorare, secondo le loro forze e il genere della propria vocazione, sia con la preghiera sia anche con l’opera attiva, a radicare e consolidare negli animi il Regno di Cristo e a dilatarlo in ogni parte della Terra».14
Così, anche da questo punto di vista, viene messa in luce l’ecclesialità della Vita consacrata; a ragione «la Chiesa difende e sostiene l’indole propria» dei vari carismi.15 «Indole propria» che è inerente alle diverse professioni dei consigli evangelici e che «comporta anche uno stile particolare di santificazione e di apostolato, con una sua determinata tradizione».16
Queste differenze carismatiche iscritte nella stessa professione sono state suscitate dallo Spirito precisamente per arricchire e dinamizzare la Chiesa nella realizzazione della sua missione di salvezza.
— Sacramentalità. La presentazione conciliare della Chiesa come universale «Sacramento di salvezza» ha fatto ricuperare a questo termine il significato di testimonianza e di segno credibile inerente all’esistenza cristiana: i battezzati devono essere «segni e portatori» del mistero di Cristo tra gli uomini.
La Chiesa ha, quindi, una sua natura sacramentale manifestata da una policromia di vocazioni che la rendono significativa tra la gente in tante forme differenti. La Vita consacrata fa parte rilevante di questa «natura sacramentale» della Chiesa.17 La Lumen gentium afferma, infatti, che per mezzo dei «consacrati» la Chiesa può presentare meglio Cristo, «o mentre contempla sul monte, o annunzia il Regno di Dio alle turbe, o risana i malati e i feriti e converte a miglior vita i peccatori, o benedice i fanciulli e fa del bene a tutti, sempre obbediente alla volontà del Padre che lo ha mandato».18
Questa molteplice significatività ecclesiale, oltre a far cogliere la pluralità dei valori teologali e cristologici inerenti alla Vita consacrata, indica concretamente la ragione dei molti modi in cui i suoi membri vengono associati alla missione propria del Popolo di Dio «a un titolo nuovo e speciale»:19 essi «meglio manifestano i beni celesti già presenti in questo mondo, meglio testimoniano la vita nuova ed eterna acquistata dalla redenzione di Cristo, e meglio preannunziano la futura risurrezione e la gloria del Regno celeste...; (inoltre) rendono palese l’elevazione del Regno di Dio sopra tutte le cose terrestri e le sue esigenze supreme; dimostrano pure a tutti gli uomini la preminente grandezza della forza di Cristo regnante e l’infinita potenza dello Spirito Santo, mirabilmente operante nella Chiesa».20
Quest’ottica della speciale significatività della Vita consacrata aiuta anche a interpretare quei «più» («più da vicino», «più intimamente», «in maniera più salda e più sicura», ecc.) con cui i testi conciliari si riferiscono ad essa. Piuttosto che nell’ordine della dignità e della santità, questi «più» mettono in rilievo il suo essere segno speciale nella Chiesa, ossia la «dimensione sacramentale», con cui la Vita consacrata manifesta al mondo la pluriforme ricchezza e utilità dei valori cristiani.
In particolare proclama apertamente l’indole escatologica del Popolo di Dio. I consacrati, con la loro donazione totale attraverso la pratica dei consigli evangelici, divengono un segno visibile della forza della risurrezione, si sforzano di essere esperti nel discernere l’azione di Cristo risorto nella storia e testimoniano gli impegni e la gioia della speranza nella preparazione del ritorno del Signore con l’attesa di «cieli nuovi e terra nuova».21
Quindi, anche da questo punto di vista della significatività viene affermata, in modo particolarmente concreto e attraente, l’ecclesialità viva e benefica della Vita consacrata.
— Scelta di campo. La consacrazione apostolica comporta, da parte dello stesso Spirito del Signore, l’assegnazione di destinatari preferenziali nella missione evangelizzatrice. Così, per esempio, per coloro che sono inviati alla gioventù, significa interpretare la propria missione come intrinsecamente vincolata con l’età evolutiva dell’uomo; ossia di sentirsi chiamati ad incarnare con competenza le proprie attività nel campo dell’educazione. La scelta di campo — che in questo caso è «scelta educativa» — diviene, di fatto, il primo passo per l’inculturazione del Vangelo; un passo dove bisogna saper rendere inseparabili tra loro: fede e vita, Vangelo e cultura.
Per noi questo aspetto è stato esposto estesamente nel CG23; lo abbiamo anche commentato in una speciale circolare sulla «nuova educazione».22 In essa affermavamo appunto che «l’evangelizzatore-educatore» deve coltivare le doti proprie di un «artista» di Dio per essere capace di comporre in unità i differenti aspetti da integrare nella crescita organica dell’educando. In quest’ora di grandi trasformazioni, alle esigenze della nuova evangelizzazione si aggiungono, quindi, anche quelle di una «nuova educazione». Da questo punto di vista, sono non poche le novità umane da conoscere e da approfondire; ciò fa vedere come il considerare l’uomo quale via per la missione della Chiesa, porta con sé molte concrete conseguenze per quanto riguarda il processo d’inculturazione. Oggi possiamo affermare che il motto «evangelizzare educando ed educare evangelizzando» esprime l’esigenza di una metodologia da valorizzare dovutamente, in tutta l’opera richiesta da una nuova evangelizzazione: permeare di Vangelo la cultura come veicolo di salvezza. Il messaggio evangelico non deve, però, diluirsi nella cultura, bensì continuare ad essere sempre il suo orizzonte e lo stimolo imprescindibile di progresso.
E c’è di più. Vediamo che la scelta educativa va iscritta nel più ampio campo della «promozione umana» che, d’altra parte, è stato sempre legato all’esercizio concreto della carità cristiana. Da questo punto di vista la scelta di campo fa percepire oggi, con particolare preoccupazione, alcune priorità che ne caratterizzano l’attualità: l’opzione preferenziale per i poveri, la solidarietà secondo la dottrina sociale della Chiesa, il discernimento etico nella formazione della coscienza, la realtà del peccato, la necessità e urgenza di proclamare gli eventi della Pasqua di Cristo.
La nostra esperienza ci insegna che la scelta di campo diviene una specie di crogiuolo dove si fondono e diventano agibili gli anteriori aspetti di ecclesialità; e appare come un’espressione concreta e indispensabile per l’esercizio della maternità della Chiesa a favore della maturazione cristiana dell’uomo.
Le riflessioni fatte — senza pretesa di essere esaustive — sugli aspetti fin qui considerati e di per sé già conosciuti («carisma», «consacrazione», «professione», «sacramentalità» e «scelta di campo»), le consideriamo come un frutto benefico della nostra esperienza postconciliare; con esse siamo entrati nell’orbita pentecostale del Concilio. Possono offrire valide luci anche a tutto il processo di rinnovamento della Vita consacrata. Si tratta infatti di intensificare, con la presenza e potenza dello Spirito, l’insondabile mistero di Cristo nel tempo; di rendere vivo e contemporaneo il carisma dei Fondatori e delle Fondatrici; di affacciarci alle soglie del terzo millennio con le energie fresche della risurrezione.
Grandi traguardi aperti
Il Sinodo certamente rivolgerà la sua attenzione anche su non pochi e gravi problemi che sono rimasti aperti nel processo di rinnovamento.
Bisogna dire che in tutta la Vita cristiana, e quindi anche in quella consacrata, l’incompiutezza è inerente alla nostra stessa condizione di «viatori». La consapevolezza di questa nostra condizione non dovrebbe ingenerare scoraggiamento, ma piuttosto aiutarci a vedere con chiarezza i traguardi da raggiungere con gradualità, con sacrificio sorretto dalla speranza. Perciò, nel guardare al divario che tuttora esiste tra l’ideale descritto nei documenti di rinnovamento e il vissuto quotidiano, dobbiamo saper individuare i punti più significativi e strategici su cui puntare con lucida e costante fedeltà. Sono traguardi da raggiungere, verso i quali però ci sentiamo già incamminati; hanno bisogno di continuo approfondimento, di revisione e di opportuna riprogettazione.
Nella preparazione dei «Lineamenta» sono stati enumerati vari «problemi» rimasti aperti; qui preferiamo parlare per noi di «traguardi» non ancora raggiunti. Ne indichiamo alcuni dei più importanti, non per recriminare su deviazioni o manchevolezze (che purtroppo ci sono), ma per motivare il nostro impegno in preparazione al Sinodo, come vi dicevo più sopra.
Ci riferiamo più direttamente alla nostra situazione salesiana, per tradurre il nostro eventuale apporto ai lavori sinodali non solo in riflessioni da offrire, ma anche e soprattutto in testimonianze da vivere. Proseguendo con fiducia e costanza nel percorso iniziato, intendiamo impegnarci già fin d’ora in un rinnovamento più autentico, guardando ad alcune direttrici che ci paiono più urgenti. La loro considerazione ci serve di esame di coscienza.
— Vita nello Spirito. Il rinnovamento della Vita consacrata è legato radicalmente a una «vita nello Spirito» vissuta intensamente; perché è lo Spirito che anima e fa crescere la vocazione. Nella nostra esperienza postconciliare, gli elementi ecclesiali sopra indicati hanno alimentato una adeguata pedagogia formativa (per le tappe iniziali e per la formazione permanente) ed hanno contribuito a migliorare senz’altro la nostra vita personale e comunitaria. Però si tratta di un cammino mai finito, molto esigente, che purtroppo è ostacolato dal clima secolarizzato dell’ambiente in cui viviamo.
La nostra «vita nello Spirito» è di tipo attivo, frutto di quella consacrazione apostolica che costituisce la sorgente di tutta la nostra santificazione. Ha come dinamismo centrale la «carità pastorale», portatrice della «grazia di unità» che rende possibile la sintesi vitale tra contemplazione e azione.
Questo spirito salesiano è stato vissuto in maniera eminente da non pochi confratelli nella breve storia della Congregazione: la nostra Famiglia può già ammirare tra i suoi membri 3 santi, 5 beati, 7 venerabili, più di 12 servi di Dio (senza contare i numerosi martiri spagnoli). Essi ci assicurano che il nostro proposito di santificazione è animato da quel «nuovo e permanente ardore» che costituisce la condizione prima per ogni evangelizzazione.
Ci ricorda inoltre, con la chiarezza della testimonianza, che, tra i giovani, non siamo semplicemente degli «educatori», ma dei «consacrati», ossia degli uomini di Dio, inviati a educare. Un lavoro, quindi, destinato ad essere la tipica espressione di una forte appartenenza a Colui che ci manda: è questa l’anima del Sistema Preventivo. Le conseguenze di questo fatto sono molte e tanto decisive, sia per la vita personale che comunitaria.
Il Papa ci ha invitati ad evitare i pericoli sia dell’«intimismo» che dell’«attivismo». Ci siamo impegnati a curare il nostro tipo di preghiera23 e a permeare l’azione apostolica giovanile di spirito salesiano.24 In questo sforzo c’è sempre da crescere, ben consapevoli del fatto che alcuni camminano troppo lentamente.
Dobbiamo considerare la vita nello Spirito come il primo traguardo sempre aperto. In tal senso attendiamo dal Sinodo-94 luci e incoraggiamento che diano sufficiente spazio anche alla peculiare originalità della Vita consacrata attiva, forse un po’ dimenticata o non sufficientemente approfondita finora negli orientamenti ufficiali. Per questo ci siamo proposti di saper imitare di più il Fondatore e di conoscere meglio la dottrina spirituale di S. Francesco di Sales, per offrire una testimonianza apostolica caratteristica attraverso la nostra specifica partecipazione alla vita e santità della Chiesa.
Giovanni Paolo II, nel discorso rivoltoci nella sua indimenticabile visita al Capitolo 23°, ce lo ha ricordato con incisività: «Mi piace sottolineare anzitutto, come elemento fondamentale, la forza di sintesi unitiva che sgorga dalla carità pastorale. Essa è frutto della potenza dello Spirito Santo che assicura l’inseparabilità vitale tra unione con Dio e dedizione al prossimo, tra interiorità evangelica e azione apostolica, tra cuore orante e mani operanti. I due grandi Santi, Francesco di Sales e Giovanni Bosco, hanno testimoniato e fatto fruttificare nella Chiesa questa splendida “grazia di unità”. Le segrete ricchezze che essa porta con sé sono la conferma esplicita, provata con tutta la vita dei due Santi, che l’unione con Dio è la vera sorgente dell’amore operoso del prossimo».25
Siamo grati al Santo Padre anche per l’esortazione apostolica Pastores dabo vobis in cui — come vi dicevo all’inizio — ci viene presentata la carità pastorale appunto con queste caratteristiche di potenzialità unitiva. La grazia di unità frutto della carità pastorale nella vita salesiana è racchiusa in quel «respiro per le anime» con cui don Rinaldi commentava lo spirito di Don Bosco.26
C’è, però, un aspetto spirituale che presenta tra noi delle deficienze: è quello dell’impegno ascetico. Non c’è vera vita nello Spirito senza concreta ascesi. Certamente l’ascesi deve essere in armonia con l’indole propria del nostro carisma,27 ma essa ci vuole sempre, quotidianamente, e in abbondanza. È questo, forse, il punto più debole della nostra ripresa spirituale. Eppure ogni forma di Vita consacrata è stata in ogni tempo un esercizio di ascesi. Ricordiamo ancora una volta l’affermazione di S. Ignazio di Loiola: «Più mortificazione di amor proprio che della carne; e più mortificazione delle passioni che preghiera: a un uomo che tiene mortificate le passioni, deve bastare un quarto d’ora per incontrare Dio».28
Il «da mihi animas» va sempre accompagnato dal mistero della croce («cetera tolle»), che ne rende feconda l’azione.
— Senso vivo della comunione ecclesiale. Un altro traguardo aperto, che incontra — più d’una volta — particolari difficoltà è quello della nostra presenza concreta nelle Chiese locali.
Il Sinodo-85, a vent’anni dall’evento conciliare, ci ha ricordato che «l’ecclesiologia di comunione è l’idea centrale e fondamentale nei documenti del Concilio». Bisognerà che la nostra Vita consacrata manifesti meglio l’incorporazione delle presenze salesiane all’interno della comunione organica della Chiesa, caratterizzata simultaneamente dalla diversità e dalla complementarità delle vocazioni.
Il mistero della comunione dovrà illuminare, per noi, sia la dottrina circa la Chiesa universale che quella circa la Chiesa particolare. Riflettiamo su quanto alcuni anni fa (1978) il Santo Padre ha raccomandato ai Superiori generali: «Voi siete con la vostra vocazione per la Chiesa universale, attraverso la vostra missione in una determinata Chiesa locale. Quindi la vostra vocazione per la Chiesa universale si realizza entro le strutture della Chiesa locale. Bisogna far di tutto affinché la Vita consacrata si sviluppi nelle singole Chiese locali, affinché contribuisca all’edificazione spirituale di esse, affinché costituisca la loro particolare forza. L’unità con la Chiesa universale, attraverso la Chiesa locale: ecco la vostra via!».29
Un problema concreto, al riguardo, sono i rapporti con i responsabili locali della pastorale. Il documento Mutuae relationes aveva auspicato con speranza una più agevole e fraterna comunione; il che in varie situazioni non si è sempre verificato. Facciamo voti che questo sia un punto affrontato con speciale attenzione nel Sinodo-94.
È importante che tutti i Pastori abbiano una conoscenza del dono della Vita consacrata più in sintonia con l’ecclesiologia del Concilio e ne sappiano apprezzare, curare e coordinare le ricchezze. Aveva già detto chiaramente il Mutuae relationes: «Anima del corpo ecclesiale è detto lo Spirito Santo: nessun membro del Popolo di Dio, qualunque sia il ministero a cui dedica l’opera sua, riassume personalmente in sé, nella loro totalità, doni uffici e compiti, ma deve entrare in comunione con gli altri. Le differenze nel Popolo di Dio, sia di doni che di funzioni, convergono insieme tra loro e si completano a vicenda per l’unica comunione e missione».30
Da parte nostra siamo chiamati a collaborare con più duttilità e comprensione, dando vita a un dialogo fraterno che non si interrompa davanti alle difficoltà e che cerchi costantemente di superare gli intoppi. In questo ambito, oltre a una formazione dottrinale più completa e specifica, occorre prestare attenzione alle persone concrete con le loro mentalità e i loro temperamenti; il dialogo avrà bisogno, perciò, di intelligente pedagogia, di fraterna convivenza, di salesiana bontà e di santa pazienza.
Le nostre presenze (oratori, centri giovanili, scuole, parrocchie, ecc.) sono di tipo pastorale (la nostra è una «missione giovanile e popolare»), al servizio di un territorio; debbono avere una loro peculiare caratteristica (almeno ci stiamo sforzando perché l’abbiano) da incorporare e armonizzare con i progetti delle Chiese locali per arricchirne le possibilità di servizio. L’esperienza ci insegna che, se concorriamo a stabilire le condizioni richieste, lo si può realizzare abbastanza armonicamente.
Evidentemente si dovrà migliorare, da parte nostra, la fedeltà al magistero e agli orientamenti pastorali del Successore di Pietro,31 la conoscenza e l’adesione al ministero proprio dell’Episcopato, al ruolo dei vari organismi pastorali (in particolare a quello dei consigli presbiterale e pastorale), alla collaborazione con il laicato.
Senz’altro ogni iniziativa pastorale ha oggi urgente bisogno di maggior comunione ecclesiale, e, per noi, di una comunione costruita con la bontà.
— Significatività. È questo un aspetto legato al concetto di «segno» proprio della Vita consacrata, considerata in generale come partecipazione alla natura sacramentale della Chiesa: ma ogni carisma vi partecipa con una propria modalità. Tale modalità è chiamata a divenire progetto concreto nelle presenze e nelle opere. Esse dovrebbero manifestare chiaramente nel territorio il proprio carisma.
Ora, in un momento di forte trasformazione culturale, di rinnovamento pastorale nella Chiesa, di coinvolgimento dei fedeli laici, di sfide inedite e di nuove povertà, e insieme di riduzione di personale in non poche regioni, si rende indispensabile e vitale riconsiderare la significatività delle presenze, prendendo nella dovuta considerazione gli aspetti fondamentali del proprio rinnovamento postconciliare. Ne ha parlato negli ACG il Vicario generale, don Juan E. Vecchi, riferendosi alla «persona del salesiano», alla «comunità», alla «qualità pastorale», alla «capacità di aggregare altre forze», all’«impatto sul territorio».32
È un traguardo aperto e urgente. Si è cercato di affrontarlo a volte con soluzioni parziali, ma senza esito veramente positivo; non basta solo il ridimensionamento delle opere, o certe forme di inserimento tra i poveri, o l’invenzione di altri tipi di vita comunitaria, o, meno ancora, la rinuncia alle opere proprie. Non è semplicemente un problema di strutture, di fantasia individualista, di criteri desunti da posizioni a volte un po’ ideologiche, ma di traduzione operativa del progetto evangelico del Fondatore.
Le presenze apostoliche saranno veramente significative se risponderanno, tra l’altro, a due esigenze: la prima è il manifestare l’insieme del proprio rinnovamento carismatico, e non solo qualche suo aspetto parziale; e la seconda è la capacità di rispondere alle richieste più urgenti dei destinatari nei territori e nelle culture dove siamo collocati.
Certamente ciò esigerà anche riferirsi alla quantità delle forze; è una tentazione pericolosa per la significatività il voler affrontare ogni necessità. Si tratta di porre ‘segni’ di risposta alle sfide con l’autenticità del proprio carisma; di viverlo qui ed oggi con novità di forme (e, se fosse necessario, anche con riduzione di presenze), ma in genuina fedeltà al progetto comune.
La significatività per noi dovrà sempre essere congiunta alla «scelta educativa», perché è in quel campo che siamo stati inviati ad operare. È lì che ci impegniamo con la nostra professione ed è lì che si svolge la nostra dimensione profetica.
— Missionarietà. L’attuale situazione socioculturale ha aperto tanti aeropaghi nuovi alla missione della Chiesa.33 Ormai c’è da assumere un criterio missionario un po’ dappertutto. In particolare, se il rinnovamento comporta per noi una adeguata «rifondazione dell’Oratorio»34 così come l’ha realizzato il Fondatore e lo hanno proposto le Costituzioni,35 diviene un urgente traguardo quello di convertirci — come ci ha detto il Papa — in veri «missionari dei giovani», non solo — come è evidente — per gli inviati «ad gentes», ma in tutte le presenze. Questo atteggiamento comporta speciali iniziative di convivenza e di dialogo per l’evangelizzazione, una capacità di adattamento, una creatività apostolica, fondate sui criteri permanenti del Sistema Preventivo e applicate opportunamente ai diversi tipi di presenze.
Bisognerà coltivare lo spirito d’iniziativa, che non si accontenta di camminare, come si dice, «in difensiva», ma che studia «l’attacco», ossia il momento opportuno per orientare la vita e proporre il Vangelo. C’è da pensare ai primi grandi missionari — gli Apostoli — che non tacitarono mai la missione che portavano dentro di sé ovunque. Voglio dire che l’essere chiamati «missionari dei giovani» non è semplicemente un appellativo bello e, diciamo pure, attuale, ma un impegno di conversione in vista di un nuovo modo di presenza evangelizzatrice.
Il CG23 ce ne ha descritto ampiamente le modalità; la difficoltà sta proprio nel saperle mettere in pratica. Si tratta, dunque, di un traguardo aperto, al cui raggiungimento però stiamo concentrando da anni i migliori sforzi.
— Inculturazione. Infine, c’è il traguardo dell’inculturazione, non solo nelle missioni propriamente dette, ma ovunque. Viviamo infatti — come si è detto — un’ora di trasformazione culturale che, attraverso l’esplosione dei segni dei tempi, provoca la crescita di una cultura planetaria, la quale dinamizza poi necessariamente le varie culture locali. Anche se la cultura non è in sé stessa un assoluto, essa condiziona la vita di ognuno: il linguaggio, i modi di vivere, i tipi di apprezzamento dei valori, un sistema di pensiero e di giudizio, realtà tutte che costituiscono l’atmosfera in cui respira ogni persona. Ora, la Parola di Dio è stata proferita per essere «contemporanea» ad ogni generazione umana in qualsiasi regione della terra. Sarà, quindi, necessario saperla rivestire di contemporaneità locale.
A tal fine diviene imprescindibile una retta inculturazione. Questa esige, da una parte e in primo luogo, la chiarezza e integrità di ciò che si deve inculturare; e, dall’altra, la competenza nel linguaggio, il discernimento delle modalità di vita, la consapevolezza dei cambi circa l’apprezzamento dei valori, la conoscenza e la capacità di valutare i sistemi di pensiero e di giudizio.
Non è compito facile, e neppure è compito a termine, perché ci troviamo solo agli albori di una nuova epoca storica. È un compito da realizzare ecclesialmente.
L’accelerazione di tanti dinamismi può condurre più di uno al relativismo e anche allo scoraggiamento. Il fatto, però, di poter contare su una verità salvifica in ordine all’uomo e alla sua storia, rivelataci da Dio stesso, ci presenta la strada dell’inculturazione come l’opzione indispensabile per realizzare la nostra vocazione.
In particolare, per ciò che si riferisce alla nostra consacrazione, l’inculturazione consente una sana pluriformità di modalità di vita, purché radicata con chiarezza e con integralità di contenuti nell’unica comune vocazione, secondo il progetto evangelico descritto nella Regola di vita. L’opera graduale d’inculturazione esige una Vita consacrata autentica e fedele all’indole propria del carisma del Fondatore, e una attenta capacità critica nel discernere i valori culturali da assumere e integrare.
Ecco un grande traguardo sempre aperto; esso tocca oggi tutta la Chiesa ed esige una continua capacità di analisi dei rapporti tra unità e pluriformità, rispettando sempre il primato della Parola di Dio e del carisma del Fondatore sul divenire dei valori culturali.
Affinché il Vangelo o un carisma vengano inculturati è assolutamente necessario che conservino la loro specifica identità. Così si vede subito che il lavoro da realizzare è complesso: c’è bisogno di attenzione, sensibilità e studio sia per le novità che per la tradizione; i «progressisti» infatti corrono il rischio di stravolgere le origini, mentre i «tradizionalisti» corrono il rischio di misconoscere la contemporaneità e di non capire le proposte che ci fa il Signore attraverso i segni dei tempi; entrambi non sanno discernere la natura propria dei doni di Dio con la loro originale trascendenza — ordinata per sé stessa a incarnarsi —, e la modalità storica, di fatto transitoria, degli schemi culturali, pur essendo stati — ieri — l’involucro prezioso dei doni di Dio.
Il giusto discernimento dei passi da fare in un campo tanto delicato, non è impegno da lasciare all’arbitrarietà dei singoli, ma va assunto in proprio dalla comunità ai vari livelli, sotto la guida dei responsabili designati.
Esigenze della nuova evangelizzazione
Oggi la Chiesa dedica una speciale attenzione alla nuova evangelizzazione ed auspica che la Vita consacrata concorra con generoso slancio.
Ci si chiede, perciò, quali siano le principali esigenze che procedono da questo compito. La risposta sarebbe lunga; qui basta indicare due linee complementari: una riguarda i soggetti chiamati ad evangelizzare; l’altra i peculiari contenuti culturali da prendere in considerazione.
— Da parte dei soggetti si può ricordare l’espressione programmatica di Giovanni Paolo II circa l’evangelizzazione: «nuova nell’ardore, nuova nei metodi, nuova nelle espressioni».
Il rinnovamento della Vita consacrata deve confrontarsi coraggiosamente con le esigenze della nuova evangelizzazione; esse richiedono una specie di conversione da ognuno e dalle comunità. Ci deve essere un «nuovo ardore» nella testimonianza del proprio carisma con una vita nello Spirito che rinnovi la profonda comunione con il mistero di Cristo; una «novità di metodo» nell’intraprendenza apostolica che esprima il fervore carismatico dell’indole propria; e una «novità di espressioni» (con spirito d’iniziativa) nel tradurre il nuovo metodo nelle attività e nelle opere, in sincera comunione ecclesiale. La nuova evangelizzazione esige, dunque, la pienezza di testimonianza della carità pastorale del proprio carisma per irradiare con la vita stessa la luce e il calore del Vangelo.
Il nostro CG23 ci ha spronato proprio a questo;36 in particolare insistendo su una comunità che sia davvero «segno di fede», formata cioè da membri che siano «uomini spirituali»; che sia anche «scuola di fede», ossia veramente «missionaria» tra i giovani, facendo dell’evangelizzazione la sua ragion d’essere e di operare; e, infine, che divenga «centro di comunione e partecipazione», capace di radunare e stimolare altri collaboratori, in sintonia con i progetti delle Chiese locali.
— Quanto ai contenuti culturali, urge prestare attenzione ai valori maturati nella cultura emergente: annunciano vere novità. È vero che bisogna saperli discernere dentro la loro innata ambivalenza, ma essi portano con sé tante novità da battezzare e nelle quali saper incarnare il Vangelo di Cristo e il proprio carisma. Basti pensare all’emergenza dell’ordine temporale e alla giusta valutazione dei valori della laicità; ai progressi fatti nella concezione della convivenza cittadina e alle nuove frontiere aperte alla dimensione sociale della fede; alla promozione dei rapporti di reciprocità tra uomini e donne e a quanto da ciò deriva per il rinnovamento della società e della Chiesa, alle delicate sfide della vita, della giustizia, della pace, della solidarietà, dell’ecologia, con tanti quesiti da risolvere dal punto di vista etico.
In particolare a noi interessa il campo dei giovani (aperto alla intraprendeza di non pochi gruppi di Vita consacrata): è qui che si è chiamati ad offrire le migliori energie per riallacciare il dialogo con i giovani e per educarli alla fede. La scelta educativa traccia un cammino non semplice da percorrere in vista della nuova evangelizzazione.
Ci aspettiamo dal Sinodo
una rinnovata presenza del mistero di Cristo nel mondo
Che cosa ci possiamo aspettare dal Sinodo-94? Certamente molti frutti. Non è il caso di ipotizzarne un elenco.
L’assemblea sinodale affronterà il tema della Vita consacrata guardando globalmente alla sua natura e missione nella Chiesa. I successori degli Apostoli, chiamati a curare il rinnovamento dell’intero Popolo di Dio, saranno preoccupati di tradurre in forme pastorali rinnovate i grandi principi e orientamenti conciliari.
Certamente dal Sinodo ci arriveranno orientamenti rinnovatori: dal primato della «vita nello Spirito» alla considerazione dei rapporti di comunione sia con i Pastori (un rilancio del Mutuae relationes) che con i fedeli laici, a una visione comune della dottrina della Chiesa locale, all’apprezzamento della pluriformità carismatica nel processo di rinnovamento, ad alcuni problemi concreti riguardanti specialmente la «vita religiosa», ecc.
Potremmo dire però che ci aspettiamo, come frutto globale, non tanto la soluzione di problemi specifici per questo o quel gruppo, quanto un forte rilancio della «Vita consacrata» nei suoi aspetti essenziali e vitali. Essa infatti, attraverso la feconda azione dello Spirito Santo nei Fondatori e nelle Fondatrici lungo i secoli, è chiamata a manifestare la ricchezza del mistero di Cristo facendo risplendere nella Chiesa — suo «Corpo» nella storia — la multiforme grazia di Cristo-Capo.
La Vita consacrata evoca e conserva anche una speciale comunione con la Chiesa celeste attraverso tanti eminenti uomini e donne, santi, che hanno testimoniato e hanno abbellito con le loro esperienze la Chiesa: «come in un albero piantato da Dio e in un modo mirabile e molteplice ramificatosi nel campo del Signore, sono cresciute varie forme di vita solitaria e comune e varie famiglie, che si sviluppano sia per il profitto dei loro membri, sia per il bene di tutto il Corpo di Cristo».37 Questa fecondità carismatica maturata nella storia rimane viva e influente, con vincoli di comunione di grazia, nella Gerusalemme del cielo.
I discepoli sono chiamati a manifestare oggi il mistero di Cristo rendendo presenti vitalmente i Fondatori e le Fondatrici; la loro vita rinnovata apparirà come un’esegesi spirituale o un vasto commento esistenziale dell’inesauribile patrimonio del Vangelo. I consacrati di oggi, invece di intrattenersi in demitizzazioni delle proprie origini, sappiano far percepire viva questa ineffabile comunione dei santi. È questo il modo più autentico con cui i Fondatori e le Fondatrici si sentono anch’essi impegnati dal cielo a collaborare alla nuova evangelizzazione.
Conclusione:
Maria, Modello e Aiuto della Vita consacrata
Dalla città dei Santi la prima a intervenire, a guidare il Sinodo e a renderlo fecondo sarà la Vergine Maria, Modello e Aiuto della Vita consacrata. Essa ha sempre accompagnato maternamente l’opera dello Spirito Santo distributore dei carismi: ne sono testimoni i Fondatori e le Fondatrici e la dimensione mariana dei loro istituti. Maria è Aiuto della Chiesa nei tempi difficili, è Stella della nuova evangelizzazione, è Guida dei Pastori.
Piena di grazia dal primo istante della sua concezione, Ella ha vissuto tutta la sua vita come un’esperienza di Spirito Santo; dopo Gesù, Ella è certamente il modello più alto di Vita consacrata: della totale donazione a Dio, della missione materna verso Cristo, di un intenso itinerario di fede, dell’esempio impareggiabile di prima discepola nella sequela del Signore, dell’essere segno e portatrice delle ricchezze del suo mistero a tutti gli uomini, dell’amore ineffabile alla Chiesa di cui è, con la sua stessa esistenza, profezia e madre.
Maria ci invita a pregare per questo Sinodo e a prepararlo, per quanto ci riguarda, con viva attenzione e speranza. È un evento che lancerà la Vita consacrata ad assumere — con il suo intervento materno — un ruolo particolarmente incisivo nei tempi nuovi.
Un aspetto della nostra preparazione sarà quello di approfondire la vocazione salesiana con l’ottica sinodale di un carisma vivo per la Chiesa di oggi, come abbiamo cercato di suggerire in queste riflessioni. Maria ci accompagnerà a percepire più ecclesialmente il significato e l’importanza di Don Bosco e a vivere con rinnovato impegno il suo progetto evangelico secondo le esigenze della nuova evangelizzazione. Ci ha già aiutato ad avviarci nei grandi Capitoli postconciliari, ci sta guidando nell’attuazione del CG23, e ci sospingerà sempre più pressantemente — con il nuovo Sinodo — verso quei traguardi sempre aperti che ci aiuteranno ad essere autentici e più credibili «missionari dei giovani», cioè protagonisti — con loro — di una nuova era di presenza della fede nella società.
Che Don Bosco interceda!
Cordiali saluti con il comune impegno di tendere ai traguardi indicati per rendere sempre più efficace nella Chiesa il patrimonio di Vita consacrata ereditato dal Fondatore.
Con affetto nel Signore,
D. Egidio Viganò
NOTE LETTERA 53
1 Pastores dabo vobis 19-33
3 Osservatore Romano, 3-4 febbraio 1992
5 CGS 106
7 ib.
8 cf., per es.: i Capitoli Generali 19, 20, 21, 22, 23; e poi, ACG 312: Il testo rinnovato della nostra Regola di vita; ACG 316: Attualità e forza del Vaticano II; ACG 319: L’88 ci invita a una speciale rinnovazione della Professione; ACG 320: La Guida di lettura delle Costituzioni; ACG 330: Il centenario di Don Bosco e il
nostro rinnovamento; ecc.
17 cf. MR 10
21 Ap 21,1
22 cf. ACG n. 337
23 cf. ACG n. 338
24 cf. CGS e ACG n. 334
25 CG23 332
26 cf. ACG n. 332
27 cf. ACG n. 326
28 cf. ACG n. 338
29 Osservatore Romano, 27 novembre 1978
31 cf. ACG n. 315
32 cf. ACG n. 340
33 cf. Enciclica Redemptoris missio, soprattutto n. 37b,c; 69 e 70; e ACG n. 336
36 cf. CG23 4, 90-91 e 215-220