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LA NOSTRA PREGHIERA PER LE VOCAZIONI
Introduzione. - Lo Spirito Santo è più potente del secolarismo. - Iniziative per la nostra preghiera vocazionale. - Speciale cura per coinvolgere anche i giovani. - Temi da includere in questa nostra preghiera. - Il salesiano orante alla luce della Pastores dabo vobis. - La preghiera di Don Bosco per le vocazioni. - Intensificare la preghiera esplicita. - Ci affidiamo a Maria.
Lettera pubblicata in ACG n. 341
Roma, 26 giugno 1992
Festa del Sacro Cuore
Cari confratelli,
un saluto fraterno e riconoscente da parte di tutti i membri del Consiglio generale riuniti in sessione plenaria. Nei mesi precedenti essi hanno visitato e animato tante Ispettorie nei vari continenti. Hanno dato la loro salute, il loro affetto, il dono dell’animazione e la condivisione della speranza a voi confratelli. È bello considerare il loro servizio di comunione nel carisma di Don Bosco come un dono di sé, fatto con gioia e semplicità per crescere e testimoniare insieme la stessa carità pastorale in una pluralità di contesti.
In questa riunione plenaria del Consiglio si pensa a voi e si parla di voi, delle situazioni ispettoriali e di alcuni problemi particolarmente urgenti. Abbiamo avuto anche un incontro speciale con tutti gli Ispettori d’Europa sulle sfide di nuova evangelizzazione che provengono da questo dinamico e problematico continente.
Tra le preoccupazioni più vive in tutta la Congregazione, una della prime continua ad essere quella delle vocazioni.
Vi ho appena scritto una circolare al riguardo.1 Penso opportuno ritornare sul tema, non semplicemente per ripetere esortazioni, ma per approfondire l’aspetto più vitale di ciò che dobbiamo fare.
Qualcuno mi ha fatto osservare che il tema della preghiera per le vocazioni, nella suddetta circolare, era presupposto piuttosto che sviluppato. Sappiamo bene, come vi scrivevo, che tra i principi fondanti dell’impegno vocazionale «il primo di tutti è che ogni vocazione è iniziativa di Dio e dono del suo amore; c’è quindi da poggiare tutta l’azione sulla preghiera non dimenticando mai la natura “spirituale” della vocazione».2
D’altra parte, avevamo già riflettuto insieme sulla preghiera salesiana.3 La lettera su Carisma e preghiera poteva risultare sufficiente ad illuminare anche la modalità della nostra preghiera per le vocazioni.
Bisogna però riconoscere che le circolari di mesi anteriori possono facilmente divenire acqua passata che non macina più. Vi invito, dunque, a riflettere più attentamente sulla «nostra preghiera per le vocazioni»: gli Ispettori e i Direttori aiutino i confratelli ad averne consapevolezza.
Ho finito la redazione di questa lettera nella festa del Sacro Cuore. È una festa che ci ricorda quanto ha voluto e fatto Don Bosco per il Cuore di Gesù e come ci ha insegnato a nutrire in noi gli stessi sentimenti del Buon Pastore. Le nostre comunità formatrici solevano avere come speciale patrono appunto il Sacro Cuore.
A Chieri, alcuni giorni addietro, avevo sostato a pregare davanti all’altare della Madonna delle grazie nel duomo, dove Giovanni Bosco, ancor sedicenne, pregò con tanto fervore per la sua propria vocazione; ho chiesto insistentemente alla Vergine che in Congregazione sapessimo pregare di più e meglio per le vocazioni.
Lo Spirito Santo è più potente del secolarismo
Nell’attuale società efficientista rimane poco spazio per la preghiera, come se essa fosse un atteggiamento non produttivo, una specie di tempo perso. Proprio in reazione a questa mentalità deviante si è venuto manifestando nella Chiesa un notevole risveglio di prassi orante. Anche noi siamo chiamati a riattualizzare la nostra identità di consacrazione con un potente risveglio di preghiera salesiana.
Possiamo affermare senz’altro che senza vera preghiera deperisce la vitalità di qualsiasi carisma. Quindi la prima mossa strategica per debellare il secolarismo è il rilancio personale e comunitario della preghiera. Non si tratta semplicemente di favorire un certo intimismo, ma di coltivare in noi quel contemplare realistico che ci mette in dialogo con un Dio, oggettivamente presente nella creazione e nella storia, e che ci parla nel contesto della vita; un Dio che non è mai muto.
Si tratta di essere veramente «credenti», di percepire lo Spirito del Signore nell’esistenza nostra e degli altri, di essere convinti che meditare gli interventi piccoli e grandi della «Provvidenza», come viene chiamata con semplicità dai fedeli, non è un atteggiamento obsoleto. Fa pena vedere alcuni sorridere e parlare di «provvidenzialismo» ormai superato. Quando uno legge la Bibbia s’accorge che il personaggio principale della storia è Dio. La fede è tutta fondata sull’esistenza storica di Gesù Cristo e sugli eventi della sua vita; la Chiesa è, lungo i secoli, una realtà pentecostale rinnovata continuamente dallo Spirito Santo operante tra noi.
Basti pensare, nel nostro piccolo, alle vicende concrete delle origini salesiane: a Don Bosco, a Madre Mazzarello, ai primi loro collaboratori e collaboratrici; ci si trova di fronte a tanti dati e coincidenze che costituiscono una realtà organica intessuta dalla Provvidenza. Come può uno pensare, per esempio, che la vocazione di don Rinaldi, guidata in forma così singolare ed eccezionale dal nostro Padre, non abbia avuto speciali interventi della «Provvidenza»? Don Filippo lo sapeva, ma ne ha sempre parlato assai sobriamente; qualche volta ha fatto allusione al fenomeno del volto di Don Bosco — quando parlava con lui per il suo discernimento vocazionale — irradiato da una luce viva, sia a Mirabello che a Borgo San Martino.4
San Paolo ci ha detto: «La mia parola e il mio messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e della sua potenza, perché la vostra fede non fosse fondata sulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio».5 Chi di noi non si è sentito strumento dello Spirito in tante attività ministeriali, molto più in là delle capacità della propria persona?
Può essere facile qualificare come «storielle» tanti segni — piccoli e non — di interventi sommessi dello Spirito, per evitare di farsi vedere legati a un «soprannaturalismo» ingenuo e sfasato — cosa certamente da evitare —, ma il non prendere in conto tale realtà di intervento della Provvidenza è pericoloso e sottilmente intriso di superbia.
Lo Spirito Santo è oggettivamente attivo nella storia; se non è raggiungibile con determinati approcci delle scienze, lo è però con l’ottica della fede. È presente ed operante; possibile che il credente non se ne possa mai accorgere?
Dio fa conoscere a noi la sua Provvidenza per mezzo dello Spirito: «lo Spirito infatti — dice San Paolo — conosce tutto, anche i pensieri segreti di Dio. Ebbene: noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito che viene da Dio; perciò conosciamo quello che Dio ha fatto per noi. E ne parliamo con parole non insegnate dalla sapienza umana, ma suggerite dallo Spirito di Dio».6
Convinti di questa costante presenza di Dio e dell’intervento permanente della sua potenza, anche se in forma soave e nascosta, sarà più facile sentirsi mossi quotidianamente al dialogo della preghiera.
Una preghiera, quindi, che non è semplice rifugio soggettivo, una specie di alienazione dall’operosità concreta, bensì un dialogo suscitato dallo Spirito presente e vivo nelle persone e negli eventi, un ascolto contemplativo della realtà e un insieme di richieste concrete di ogni confratello che si sente protagonista responsabile di un indispensabile lavoro progettato a favore delle vocazioni.
Iniziative per la nostra preghiera vocazionale
Uno degli aspetti caratteristici dell’intervento dello Spirito del Signore nella storia è appunto quello delle vocazioni. Non sorge infatti nessuna autentica vocazione senza le mozioni dello Spirito Santo.
Saper osservare con intuito di fede e dialogare con Cristo al riguardo è alla base della preghiera per le vocazioni; non solo come tema generico, pur tanto valido, ma come considerazione concreta di persone e di situazioni; una preghiera che sia incontro realista tra persone vive.
Il protagonista che ha l’iniziativa è lo Spirito Santo; attraverso di Lui si apre la nostra fede per scoprire le iniziative di Dio, imparando a leggere la cronistoria di tutti i giorni. Prima c’è da scoprire e ascoltare le proposte di Dio e poi ci si immerge nel dialogo con Lui.
La preghiera in genere è un dialogo che può avere mille prospettive differenti perché si riferisce a un Dio che è ammirevolmente fecondo in iniziative: nell’immensità dell’universo — come Creatore —, nella complessità delle vicende umane — come Salvatore —, nella creatività della trasformazione dei cuori — come Santificatore —.
La preghiera specifica per le vocazioni ha un ambito determinato in vista della ricerca e della preparazione dei collaboratori più stretti di Cristo nella costruzione del Regno. In questo ambito a noi interessa in forma particolare saper percepire e curare le iniziative dello Spirito per l’incremento e la vitalità ecclesiale del carisma di Don Bosco.
Il modello primo della preghiera per le vocazioni lo troviamo nello stesso Gesù Cristo; vedendo Egli le folle come pecore senza pastore, ha detto ai discepoli: «La messe da raccogliere è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate perciò il padrone del campo perché mandi operai a raccogliere la sua messe».7
Parecchie volte Egli stesso ce ne ha dato l’esempio; così per la scelta degli apostoli: «Gesù andò sul monte a pregare e passò tutta la notte pregando Dio. Quando fu giorno, radunò i suoi discepoli: ne scelse dodici e diede loro il nome di apostoli».8
Dobbiamo pensare spesso a questa intera notte di preghiera prima di una scelta vocazionale: è un fatto oltremodo significativo che sottolinea l’origine divina della vocazione e la sua importanza per la missione della Chiesa.
La nostra preghiera per le vocazioni non è da considerarsi alla stregua di una preoccupazione un po’ meschina, una specie quasi di spirito di corpo per la grandezza sociale della Congregazione, ma una risposta all’invito esplicito del Signore e l’assunzione convinta, gioiosa e sacrificata della urgente e vasta missione giovanile e popolare assegnata dallo Spirito al nostro Fondatore come dono apostolico per tutta la Chiesa. Anche la preghiera per le vocazioni salesiane parte dal vedere, come dice l’evangelista, le folle di giovani affamati di verità e di Vangelo vagare come pecore che non hanno pastore.
La preghiera per le vocazioni è, per sua propria natura, assai più ampia della crescita di un carisma: guarda a tutti gli operai della Chiesa.
Sappiamo che Don Bosco ha voluto come finalità peculiare della nostra Congregazione anche quella di un costante impegno per tutte le vocazioni: «Ricordiamoci — ci ha lasciato detto — che noi regaliamo un gran tesoro alla Chiesa, quando procuriamo una buona vocazione; che questa vocazione vada in diocesi, nelle missioni, o in una casa religiosa, non importa; è sempre un gran tesoro che si regala alla Chiesa di Gesù Cristo». E a tal fine ci ha esortati al sacrificio per la promozione di ogni buona vocazione: «Per mancanza di mezzi non si cessi mai di ricevere un giovane che dà buone speranze di vocazione. Spendete tutto quello che avete, e se fa mestieri andate anche a questuare, e se dopo ciò voi vi troverete nel bisogno, non affannatevi che la SS. Vergine in qualche modo, anche prodigiosamente, verrà in vostro aiuto».9
La preghiera salesiana per le vocazioni è, dunque, universale nella sua destinazione; essa ha delle caratteristiche peculiari in quanto sgorga da una carità pastorale impegnata apostolicamente; implica in noi una partecipazione e quasi continuazione dei sentimenti ardenti di salvezza che Gesù nutriva nel suo cuore.
Ma vediamo alcune iniziative di preghiera personale e comunitaria che vanno coltivate nelle nostre case. È indispensabile che la preoccupazione per le vocazioni venga inclusa esplicitamente, in forma rinnovata e intensa, nei momenti di preghiera che sogliamo fare, sia quotidianamente sia in determinate circostanze della nostra vita comunitaria. Deve divenire sempre più un vero respiro spirituale da incrementare a vari livelli.
Possiamo esemplificare, senza pretese esaustive, se vogliamo essere concreti e intensificare il nostro rinnovamento al riguardo. In molte case si suol fare tale preghiera con forme opportune e svariate; esse tendono a farci divenire — come persone e come comunità — proposte viventi del Signore che chiama attraverso la nostra testimonianza: «essere nella Chiesa segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani».10
A livello personale ogni confratello è chiamato a sensibilizzarsi alle urgenze che provengono dall’abbondanza della messe e dalla scarsità degli operai. Il cuore del salesiano darà così più ampio spazio alla preghiera per le vocazioni in tanti momenti della sua giornata. Sarà una preoccupazione che accompagnerà tutta la sua unione con Dio: nei momenti di maggior intimità — per es. nella meditazione, nell’azione di grazie dopo la comunione, nei momenti di dialogo spontaneo con il Signore, nelle visite, nella recita del rosario (conosco più di un confratello che ogni giorno offre almeno una decina del rosario esplicitamente per le vocazioni), nel lavoro apostolico attraverso giaculatorie, nell’offerta delle proprie sofferenze e prove. I confratelli ammalati e gli anziani, che vivono in una specie di «trappa personale», possono davvero fare molto al riguardo! Sono una riserva orante, un vero tesoro nascosto di valida impetrazione.
A livello di comunità locale ogni casa saprà trovare iniziative da programmare concretamente. Ci sono già interessanti esperienze; per es.: la determinazione di un giorno speciale della settimana per introdurre l’intenzione per le vocazioni in tutte le preghiere comunitarie della giornata; l’adorazione eucaristica settimanale; l’inserimento quotidiano di una supplica per le vocazioni nelle invocazioni delle Lodi e nelle intercessioni del Vespro (nel passato — e le vocazioni non erano tanto scarse — dopo la lettura spirituale comunitaria si pregava con l’intenzione «ut bonos ac dignos operarios»...); la celebrazione mensile della Messa votiva per le vocazioni religiose e sacerdotali; celebrazioni speciali della Parola; peculiari incontri di preghiera con i giovani e i fedeli; ecc. Ciò che importa è creare un clima comunitario e degli impegni frequenti di speciale preghiera per le vocazioni. Nelle comunità di formazione bisognerà curare particolarmente questo aspetto, dando molto rilievo alla preghiera per le vocazioni.
A livello di Ispettoria vanno aumentando le programmazioni ben preparate per sensibilizzare le comunità locali, seguirle, stimolarle nelle loro iniziative, e muoverle verso una convergenza comune in determinati momenti; ad es.: la giornata ispettoriale per le vocazioni con proposta di sussidi sia per l’Eucaristia che per una celebrazione della Parola; così pure la giornata annuale per le missioni salesiane, che porge l’opportunità di programmare comuni impegni di preghiera. Anche a questo livello, ciò che risulta vitale è la sensibilità e l’interesse di animazione che parte da un centro dinamico che ricorda opportunamente ai confratelli una delle finalità della nostra missione.11
A livello di Famiglia Salesiana è facile sollecitare la convergenza dei vari Gruppi in iniziative vocazionali. Offrono speciale opportunità le feste dei nostri Santi e Beati: Don Bosco e Madre Mazzarello, Domenico Savio e Laura Vicuña, i martiri Versiglia e Caravario, ecc. Vanno coltivati i gruppi di preghiera tra i Devoti di Maria Ausiliatrice, gli Amici di Domenico Savio, i giovani impegnati nel Movimento Giovanile Salesiano, le speciali iniziative di preghiera che sorgono in varie parti anche tra i genitori dei Salesiani e delle FMA, tra i Cooperatori e le Cooperatrici e tra gruppi provvidenziali di adorazione. Penso che in questo ambito è possibile fare assai di più.
A livello ecclesiale bisognerà saper partecipare volentieri alle iniziative di preghiera per le vocazioni nella Chiesa locale. C’è poi da ricordare la domenica del Buon Pastore (4a dopo Pasqua) che è «giornata mondiale di preghiera per le vocazioni» in tutta la Chiesa, accompagnata sempre da un messaggio del Papa. Così pure la novena dello Spirito Santo per accompagnare la venuta tra noi del Protagonista delle vocazioni, far apprezzare la disponbilità alle sue mozioni e saperle discernere. Anche la giornata mondiale per le missioni è un’occasione assai propizia. Sono momenti da preparare accuratamente per poterne vivere l’intensità vocazionale.
Questa sventagliata esemplificativa ci ricorda la necessità di una preghiera esplicita — personale e comunitaria — per le vocazioni, da promuovere con entusiasmo.
Speciale cura per coinvolgere anche i giovani
È particolarmente importante ed efficace saper estendere l’impegno della preghiera per le vocazioni più in là della comunità religiosa, coinvolgendo altri gruppi della Famiglia Salesiana e dei fedeli, soprattutto dei giovani. Il progetto vocazionale è rivolto particolarmente ai giovani e li interessa personalmente; serve ammirevolmente a far interpretare la vita stessa come vocazione, a far loro scoprire il proprio posto nella costruzione del Regno e ad assumerlo con consapevolezza e generosità. Attraverso la preghiera, la Parola di Dio scende nel cuore e le mozioni dello Spirito la rendono feconda: «la Parola di Dio, infatti, è viva ed efficace. È più tagliente di qualunque spada a doppio taglio. Penetra a fondo, fino al punto dove si incontrano l’anima e lo spirito, fin là dove si trovano le giunture e le midolla».12
Nella preghiera il giovane impara appunto ad accogliere questa Parola personalizzando concretamente i suoi appelli. È in essa che si verifica quanto diceva Don Bosco, che «in ogni giovane avvi un punto accessibile al bene, e dovere primo dell’educatore è di cercar questo punto, questa corda sensibile del cuore e di trarne profitto».13
Lo si è sperimentato positivamente sia nella esperienza maturante di ciò che si chiama «scuola di preghiera»,14 sia negli incontri e giornate del Movimento Giovanile Salesiano (ispettoriali e interispettoriali), sia nelle grandi concentrazioni giovanili di contenuto spirituale come il Don Bosco 88 e le Giornate ecclesiali della gioventù istituite dal Papa Giovanni Paolo II. Sono veri momenti di grazia nei quali i giovani pregano volentieri ed esprimono pubblicamente il desiderio di un impegno cristiano. In particolare è certamente indispensabile coinvolgere nella preghiera vocazionale i giovani più spiritualmente maturi e che mostrano segni di vocabilità a un più generoso impegno con Cristo.
In questo compito, però, bisognerà saper curare lo stile della preghiera: che sia vivace ed ecclesialmente aggiornata, che punti sulla gioia di sentirsi amici di Cristo, che faccia percepire la indispensabile missione storica della Chiesa nel mondo, che sia allenamento alla generosità e alla disponibilità.
A tal fine sarà bene riascoltare insieme alcune affermazioni dell’ultimo Capitolo Generale.
«La preghiera è il linguaggio datoci dallo Spirito per rivolgerci al Padre. Ebbe nei tempi passati forme pedagogiche adeguate alle condizioni dei giovani di allora. Per noi è oggi urgente ripensare momenti e forme convenienti di iniziazione».15
Nel cammino da percorrere per far maturare la fede, «la partecipazione più intensa al mistero della Chiesa si realizza attraverso la preghiera, l’ascolto della Parola, la celebrazione della salvezza».16 È durante questi momenti di interiorità che il giovane può percepire l’iniziativa dello Spirito rivolta proprio a lui; infatti, «la preghiera-meditazione fa passare dalla superficie della vita all’interno di essa: la persona vi incontra se stessa e sente con più facilità l’appello che Dio le rivolge».17
Dunque, bisognerà saper dare alla preghiera con i giovani delle forme pedagogicamente adattate e profondamente genuine, che incidano nel cuore; il Capitolo sottolinea appunto che «la preghiera salesiana sa accettare le nuove modalità che aiutano i giovani a incontrare il Signore nella vita quotidiana. È, cioè, flessibile e creativa, attenta agli orientamenti rinnovatori della Chiesa».18
Gli animatori e le comunità che hanno sperimentato questo coinvolgimento sanno che risulta gradito e che influisce profondamente sui giovani, soprattutto su quelli più impegnati. Se nella Chiesa si è venuto constatando in questi anni un ritorno dei giovani alla preghiera, sarà urgente per noi saper programmare continue iniziative che la promuovano. Nel fervore della preghiera si sperimenterà davvero che lo Spirito del Signore è il grande protagonista delle vocazioni e che la Sua presenza si manifesta nel «mistero della vocazione», quale dialogo ineffabile tra Dio e questo giovane, facendolo uscire dall’anonimato superficiale e dagli egoismi effimeri.
Temi da includere in questa nostra preghiera
La preghiera salesiana non può prescindere dalle concrete iniziative qui sopra indicate, ma la sua provenienza dalla carità pastorale ci spinge effettivamente più in là. Essa infatti — come abbiamo visto — 19 matura e perfeziona se stessa in quella unione con Dio che ci porta a vivere la carità pastorale come testimoni operosi per il Regno. Quindi estende i suoi orizzonti su noi stessi e le nostre attività.
Che cosa significa concretamente per noi pregare per le vocazioni? Essendo noi apostoli per le vocazioni, ci interessa praticare una metodologia pastorale e pedagogica al riguardo. In tal senso sono state proposte varie riflessioni nella circolare C’è ancora terreno buono per i semi.20
Ecco perché non possiamo contentarci di esercizi di pietà — pur validi —, ma dobbiamo orientarci su obiettivi concreti, che suppongono tutto un coinvolgimento personale e comunitario da tradurre in operosità. Non si tratterà solo di pregare per avere delle nuove vocazioni, ma anche di pregare e di operare per ottenere la crescita e la perseveranza delle vocazioni già maturate, incominciando da quelle dei confratelli di ogni comunità, e di impegnarci in quella formazione permanente che ci rinnova nella docilità allo Spirito del Signore.
Per questo è conveniente ritornare un momento sugli orientamenti metodologici indicati nella citata circolare dell’8 dicembre 1991; gli itinerari da progettare hanno bisogno di essere poggiati su un’intensa e specifica preghiera in vista di una loro concreta attuazione. Così quelle indicazioni costituiscono anche dei temi particolarmente impegnativi da includere nel dialogo con il Signore.
Ricordiamoli rapidamente:
— essere una comunità propositiva: pregare affinché la comunità sia «segno» e «scuola di fede»; ciò ingloba la vitalità spirituale di tutta la pastorale giovanile sottolineando la sua inseparabile dimensione vocazionale. Questo tema può alimentare la preghiera personale e comunitaria, per es., nei tempi forti, fino a far rifiorire nei confratelli una vera conversione;
— personalizzare l’itinerario di fede: qui la preghiera fa rivolgere lo sguardo e la preoccupazione all’un per uno, alla necessità dei contatti apostolici personali, alla direzione spirituale, all’esercizio vocazionale del sacramento della Penitenza, all’avviare la libertà del giovane a crescere in una spiritualità apostolica sentita, sviluppando opportunamente la 4a area del cammino del CG23 «verso un impegno per il Regno»;
— creare esperienze maturanti: qui la preghiera sollecita lo spirito d’iniziativa ed accompagna le programmazioni concrete che aiutano il giovane a crescere nella fede, nella scelta di Dio, negli impegni apostolici e missionari, nelle esperienze di gruppo, rinnovando con la preghiera la nostra missione oratoriana;
— saper chiamare e accompagnare: certamente la preghiera stimola in noi, anzitutto, il coraggio di chiamare in forma delicata e penetrante come aspetto inerente alla personalizzazione dell’educazione alla fede, e poi assicura la costanza di un accompagnamento amichevole, sia per superare le varie difficoltà che si presenteranno, sia per far maturare gradualmente verso un ideale cristiano di esistenza;
— i primi responsabili: pregare per coloro che sono chiamati in modo speciale ad influire educativamente sui giovani vocabili: per i genitori, per il Direttore, per l’Ispettore e per chi segue più personalmente i candidati.
Quindi il nostro dialogo con il Signore in risposta al suo appello a pregare per le vocazioni si arricchisce di tanti temi concreti. Essi allargano i contenuti della nostra preghiera per le vocazioni; servono, inoltre, a dimostrare che la preghiera deve, per noi, essere legata all’azione vocazionale, così che entrambe, in fusione vitale, proclamino la verità di una unione con Dio che esplode in carità pastorale.
Per tutto questo, però, c’è bisogno di una sensibilità nuova, di abbandono di certe modalità abitudinarie divenute di fatto ormai superficiali, di ripensamento in profondità, di rilancio del carisma: ossia di una conversione spirituale e apostolica.
«La Parola di Dio — affermano le Costituzioni — ci chiama a una continua conversione», e la frequenza del sacramento della Riconciliazione diviene anche un impegno vocazionale: «esso ci dona la gioia del perdono del Padre, ricostruisce la comunione fraterna e purifica le intenzioni apostoliche».21 E così la nostra preghiera per le vocazioni, proiettata nella concretezza di una feconda pastorale giovanile, ci porta davvero, se convertiti, «a celebrare la liturgia della vita»,22 ossia a far sì che lo stesso nostro lavoro per le vocazioni risulti veramente la preghiera salesiana completa.
Alla preghiera si aggiunge anche lo spirito di mortificazione che accompagna la fedeltà al lavoro; nel sacrificio apostolico si rispecchia la verità della preghiera. Don Albera, parlando di questa necessità della mortificazione, assicurava la validità delle suppliche, perché «i desideri consistenti in sole parole costano poco e valgono meno».23
Senza dubbio è bello parlare di teologia della creazione e di teologia dell’incarnazione, ma è indispensabile aggiungere anche la teologia della croce. Siamo invitati a capire sempre più profondamente il valore, l’importanza e la centralità della passione e morte di Gesù Cristo. Don Bosco ha vissuto questo aspetto con generosità.
Il fenomeno dell’invecchiamento, delle malattie, di tante sofferenze, potrebbe divenire un tesoro assai fecondo se vissuto con atteggiamento orante. Quindi la relazione tra la teologia dell’incarnazione e la storia della salvezza va contemplata alla luce del mistero pasquale. Parlare di mortificazione e di croce non significa divenire pessimisti ed alieni alla gioia, bensì imitare e partecipare alla preghiera di Gesù impastata del realismo di quella speranza che lo portò alla donazione totale di sé sulla croce.
Il salesiano orante alla luce della «Pastores dabo vobis»
Don Bosco diceva che la preghiera è «l’opera delle opere»; essa porta all’unione con Dio, da cui procede l’intensità della carità pastorale con il dono vitale della «grazia di unità». Senza preghiera diviene impossibile la sintesi tra fede e vita. La preghiera, infatti, è esperienza personale di Dio, eleva dall’ascolto alla condivisione, dalla meditazione alla contemplazione; scatena un movimento interiore per cui l’amore prende il sopravvento e ci fa entrare direttamente nel cuore di Dio, oltrepassando il dialogo per divenire «amore unitivo».
Abbiamo già visto come San Francesco di Sales sia maestro in questa visione della preghiera che conduce l’orante alla liturgia della vita. L’amore unitivo è situato nell’intimo della persona e ne permea tutto l’essere con la sua intrinseca carica operativa; genera nel cuore un modo spirituale di essere dinamico, quale «cosciente partecipazione dell’amore stesso di Dio attraverso la donazione di sé, nella disponibilità pratica all’opera di salvezza. È un atteggiamento interiore di carità, che è proteso verso l’azione apostolica, nella quale si concretizza, si manifesta, cresce e si perfeziona».24 La nostra preghiera per le vocazioni dovrebbe raggiungere questo livello, che è quello proprio della preghiera salesiana che sfocia nell’estasi della vita e dell’azione.
Le Costituzioni ci dicono che lo spirito salesiano ha come «centro» e «sintesi» la carità pastorale,25 portatrice di quel dinamismo unitivo capace di trasformare il nostro lavoro in preghiera. Una carità pastorale che Don Bosco ci ha insegnato a esprimere con il motto «da mihi animas» e che don Rinaldi ha tradotto magistralmente con l’espressione «respiro per le anime».26 È a questo «respiro» che dobbiamo far arrivare la nostra preghiera per le vocazioni, vivendo in noi i sentimenti stessi del cuore di Cristo. Ossia: non semplicemente una preghiera che si limita a momenti determinati (pur tanto indispensabili), ma che permea e stimola il cuore affinché trasformi tutta la vita in testimonianza gioiosa della propria vocazione e ogni azione apostolica in impegno vocazionale.
Vi invito, cari confratelli, a prendere in mano l’Esortazione apostolica Pastores dabo vobis per leggere con attenzione quanto afferma circa la carità pastorale.27 Nei numeri 21 e seguenti il documento ci offre un prezioso e autorevole insegnamento sulla configurazione con Cristo-Pastore, che costituisce appunto l’ideale e l’anima dello spirito salesiano di Don Bosco.
È bello, e per noi stimolante, veder situata la vita spirituale (e quindi anche l’esercizio della preghiera) all’interno stesso dell’impegno apostolico e sentir affermare che tra consacrazione e missione (tra preghiera e lavoro) c’è mutua compenetrazione organica: «la missione non è un elemento esteriore e giustapposto alla consacrazione, ma ne costituisce la destinazione intrinseca e vitale: la consacrazione è per la missione. Così, non solo la consacrazione, ma anche la missione sta sotto il segno dello Spirito, sotto il suo influsso santificatore. Così è stato di Gesù. Così è stato degli apostoli e dei loro successori».28
E l’essenziale e permanente esigenza di unità tra la vita interiore e le tante azioni e responsabilità dell’apostolato trova la piena e adeguata risposta precisamente nell’energia della carità pastorale, a cui tende per se stessa la nostra preghiera.
Osserviamo come il documento presenti questa famosa carità pastorale. Il modello a cui guardare per indicarne le caratteristiche è Cristo-Buon Pastore, rivelatore dell’amore di Dio testimoniato da Lui fino alle più estreme conseguenze con il dono totale di sé nel servizio, nell’umiltà e nella più generosa solidarietà.
La carità pastorale è partecipazione viva dell’intenso amore salvatore di Cristo: è «dono gratuito dello Spirito Santo, e nello stesso tempo compito e appello alla risposta libera e responsabile».29
Guardando al mistero di Cristo si percepisce con chiarezza che il suo contenuto essenziale è il dono totale di sé nella missione, un dono che non ha confini, un dono fatto con gioia e di buon animo, un dono che si esprime in simpatia e amabilità perché ama i destinatari «con cuore nuovo, grande e puro, con autentico distacco da sé, con dedizione piena, continua e fedele, e insieme con una specie di “gelosia” divina (cf. 2 Cor 11,2), con una tenerezza che si riveste persino delle sfumature dell’affetto materno».30
Ricordiamo Don Bosco che afferma: «Basta che siate giovani perché io vi ami assai. Io per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo, per voi sono disposto anche a dare la vita».31
La carità pastorale — afferma il Papa — «non è soltanto quello che facciamo, ma il dono di noi stessi, che mostra l’amore di Cristo per il suo gregge. La carità pastorale determina il nostro modo di pensare e di agire, il nostro modo di rapportarci alla gente. E risulta particolarmente esigente per noi».32 Possiamo dire che essa connota in senso sacrificale tutta la nostra esistenza di consacrati per la missione salesiana; trova così il suo approdo e la sua sorgente, il dono di sé e la capacità di viverlo nella Eucaristia come espressione sacramentale della nostra incorporazione esistenziale a Cristo.
Se, dunque, la nostra preghiera per le vocazioni è orientata a maturare nella carità pastorale, vorrà dire che essa deve estendersi molto più in là di un esercizio di pietà. Essa ci porta a lavorare per le vocazioni con svariate iniziative (incominciando da quelle indicate nei temi sopra menzionati); si tratta di rapportarle a una genuina carità pastorale in risposta all’appello rivolto da Gesù per gli operai della messe.
E così ogni confratello e ogni comunità sono chiamati a curare con maggior interiorità apostolica la loro attività e i progetti di proposta vocazionale: «l’orientamento vocazionale — infatti — costituisce il vertice e il coronamento della nostra azione educativa pastorale. Esso non è però un momento terminale del cammino di fede, ma un elemento ovunque presente, e qualificante ogni area di intervento e ogni tappa».33
Se la preghiera salesiana sfocia nella carità pastorale e se questa si traduce, per la forza dello Spirito Santo, in vita ed azione, vorrà dire che l’autenticità della nostra preghiera per le vocazioni si misura dalla qualità educativa e pastorale della nostra vita e delle nostre attività.
Sì: la preghiera per le vocazioni richiede conferma della sua autenticità nella nostra testimonianza quotidiana; mentre, d’altra parte, la nostra attività vocazionale è genuina e feconda solo se sgorga veramente da una preghiera viva, personale e comunitaria, che la nutra costantemente con la sua linfa.
Penso sia questo il metro per misurare la sincerità della nostra preghiera per le vocazioni. Ad essa si applica quanto afferma l’apostolo Giacomo: «La preghiera sincera di una persona buona è molto potente. Il profeta Elia era soltanto un uomo come noi. Egli pregò con insistenza chiedendo che non venisse la pioggia, e non piovve sulla terra per tre anni e sei mesi. Poi pregò ancora, chiedendo che piovesse, e dal cielo venne la pioggia, e la terra fece crescere i suoi frutti».34
Senza preghiera non c’è feconda pastorale vocazionale. Ma la preghiera che sfocia nella carità pastorale, animando i tre poli della «persona», della «comunità» e della «presenza ministeriale»,35 diviene impegno quotidiano di vita e di azione.
È sintomatico che Don Bosco abbia detto di aver dato il nome di «Oratorio» alla sua opera per indicare chiaramente come la preghiera sia la sola potenza su cui dobbiamo fare assegnamento: la sua unione con Dio si è effusa nel fare l’oratorio!
La preghiera di Don Bosco per le vocazioni
Quando pregava Don Bosco per le vocazioni? Si potrebbe rispondere a questa domanda con la famosa affermazione di Pio XI durante il processo di canonizzazione del nostro Padre. All’obiezione di quando pregasse, vista l’enorme quantità di impegni operativi, il Papa rispose: «E quando non pregava?». Sì: l’attività vocazionale di Don Bosco è la misura della sua preghiera per le vocazioni.
Il suo secondo successore, don Paolo Albera, ci ha lasciato due importanti lettere circolari riferentisi al nostro tema: una all’inizio del suo rettorato nel maggio 1911 Sullo spirito di pietà, e l’altra — quasi al termine del suo mandato — Sulle vocazioni nella solennità di Pentecoste del 15 maggio 1921. In esse si può vedere tutto il cuore di Don Bosco orante per le vocazioni: «Si sarebbe detto — scrive don Albera — che Don Bosco era una preghiera continua, una non mai interrotta unione con Dio. In qualunque momento ricorressimo a lui per consiglio, sembrava interrompesse i suoi colloqui con Dio per darci udienza, e che da Dio gli fossero ispirati i pensieri e gli incoraggiamenti che ci regalava».36
È significativa l’espressione “Don Bosco era una preghiera continua”. Certamente il Signore ascolta con predilezione la preghiera che si traduce in dono di sé nell’esistenza e nell’attività della vita; l’orante partecipa così al mistero di Cristo, fatto sacerdote e ostia nel realismo concreto della sua stessa esistenza umana. In Don Bosco non c’è separazione tra preghiera e azione: l’una e l’altra costituiscono i battiti del suo cuore; la fonte, però, è la sua preghiera maturata in amore unitivo. Dimostra il suo amore alla Chiesa dedicandosi costantemente, tra l’altro, alla ricerca e formazione di vocazioni. Ne preparò ogni anno a decine, raggiungendo un totale di varie migliaia.
Don Albera, ricordando il suo esempio, scrive: «dovremmo gloriarci di essere chiamati “questuanti” o “cercatori di vocazioni” presso tutti i popoli».37
Visse con i giovani creando un ambiente favorevole alle vocazioni; scrutandoli uno per uno con la preoccupazione di una promozione vocazionale; invocò i lumi dello Spirito Santo per discernere; dedicò innumerevoli ore al ministero del sacramento della Riconciliazione, guidando spiritualmente tanti giovani all’ideale della donazione di sé; li entusiasmò per i grandi orizzonti delle missioni e li impegnò in concrete iniziative apostoliche; anche nelle sue famose passeggiate autunnali era sempre attento a scoprire e incoraggiare vocazioni. Le ricercava soprattutto tra le famiglie cristiane popolari, portatrici di una prassi quotidiana di fede.
Diede importanza al clima di pietà, fu realista nel far evitare certi pericoli del mondo e nel curare la purezza del cuore: considerò la moralità come un vero semenzaio di vocazioni. Animò Domenico Savio nella fondazione e sviluppo della Compagnia dell’Immacolata. Orientò tutta la pratica del Sistema Preventivo verso la pastorale vocazionale. Vi si impegnò sempre, senza scoraggiamenti e con molta sollecitudine, convinto che il Signore proporziona le vocazioni alle necessità dei tempi.
Come abbiamo visto, non fu mai del parere di respingere qualche vocazione a causa della povertà del candidato e della sua famiglia; cercò sempre i mezzi necessari per aiutarla. Quando scriveva ai suoi missionari — Cagliero, Lasagna, ecc. — insisteva presso di loro sulla ricerca e cura delle vocazioni.
Forse l’iniziativa che più manifesta il suo dinamismo orante per le vocazioni è l’«Opera di Maria Ausiliatrice» per le cosiddette vocazioni «tardive». Un’opera posta sotto gli auspici della Madonna ed espressione profetica di una creatività pastorale che non incontrò facilmente la simpatia di tutti, in particolare di Mons. Gastaldi; egli, però, ottenuto il beneplacito del Santo Padre e di vari Vescovi, la portò avanti con sacrifici ottenendo magnifici risultati.
I giovani maturi in età furono centinaia. Li chiamò «Figli di Maria». Essi rallegrarono i suoi ultimi anni di vita. Don Filippo Rinaldi, che era stato uno dei primi e che poi era divenuto presto loro direttore, lo informava periodicamente sui loro progressi.
Questa iniziativa era stata una audace novità nella pastorale vocazionale dell’epoca: novità di età, novità di estrazione («tra la zappa e il martello», diceva), novità di corsi appropriati di studio, novità di stile di formazione. Un centro che divenne fonte di ottimi preti e di schiere di missionari: «questi giovani adulti e di buon criterio — affermava — appena siano preti, renderanno molto frutto».38 L’Opera era affiancata da una associazione i cui membri si obbligavano a concorrere con offerte e altri mezzi alle spese dei candidati.
Tutto questo fa pensare alla concretezza dell’amore di Don Bosco alla Chiesa e alla operosità della sua carità pastorale: «il Signore ci verrà in aiuto — ripeteva — se facciamo ogni sforzo per le vocazioni». Se nell’unione con Dio, fonte della carità pastorale, l’impegno personale più intimo e fecondo è la preghiera, bisogna riconoscere che l’azione a favore delle vocazioni del nostro Padre è la riprova più incontestabile che vibrava incessante in lui una specialissima preghiera per le vocazioni.
Intensificare la preghiera esplicita
Senza dubbio c’è oggi da ricuperare in Congregazione una maggior intensità e genuinità della preghiera per le vocazioni. L’insistenza sulla caratteristica salesiana di una preghiera che porta alla vita è indispensabile e benefica per l’identità del nostro carisma.
Ma, supposta la consapevolezza di questa identità, c’è da prendere in conto lo stato di fervore e il livello di profondità con cui si sta vivendo di fatto il carisma nelle comunità.
Perché in questi anni abbiamo dichiarato guerra alla superficialità? Perché il Concilio ci ricorda che la vita consacrata è ordinata innanzitutto a far sì che i suoi membri seguano Cristo e si uniscano a Dio e che perciò sono chiamati oggi a un forte rinnovamento spirituale, al quale spetta il primo posto anche nelle opere esterne di apostolato? 39 Non c’è forse il pericolo, per noi, di trincerarci nel lavoro e nell’azione guardando più alle attività delle mani che alla vitalità del cuore? «Estasi dell’azione» e «scusa dell’azione» non si identificano affatto. La «scusa dell’azione» può essere un trabocchetto deleterio; essa è una caricatura dell’«estasi dell’azione» descritta da San Francesco e vissuta da Don Bosco.
Oggi i tempi esigono un più esplicito ritorno alla preghiera. Se ne osserva un vero rilancio in tutta la Chiesa anche tra i giovani, come già notavo. È una preghiera che vibra in sintonia con il risveglio della fede: essere credenti impegnati e non solo fedeli abitudinari comporta un dialogo più esplicito, più intenso, più frequente con il Signore. In un clima di secolarismo si sente una pressante necessità di meditazione e di approfondimento della fede; non pochi tra i fedeli — anche giovani — sono portati ad ascoltare meglio la Parola di Dio e a dialogare più profondamente con il Signore. I religiosi, che sono chiamati ad essere — così diceva Paolo VI — degli «specialisti della preghiera», devono impegnarsi a crescere in questa loro peculiare competenza: «la missione — infatti — esige da tutti coloro che sono inviati di esercitare la coscienza della carità nel dialogo della preghiera».40 Giustamente lasciò scritto il nostro beato Luigi Versiglia, vescovo e martire: «Il missionario che non sta unito con Dio è un canale che si stacca dalla sorgente; se prega molto, farà anche molto».
Bisogna saper ridonare qualità e priorità ai momenti espliciti di preghiera, curandone le modalità di rinnovamento e illuminandone opportunamente l’importanza. Costituiscono una riserva vitale per suscitare vero entusiasmo verso il proprio carisma e concorrono a far divenire i confratelli proposta viva di Cristo ai giovani.
Proprio perché la nostra preghiera sfocia in testimonianza di vita e in azione apostolica, dobbiamo curare che essa sia genuina, rinnovata, frequente e coinvolgente.
Ogni confratello deve sentirsi interpellato direttamente perché, come vi dicevo, «senza “persona”, non c’è preghiera!».41
Ma poi sono invitati ad assumere speciali iniziative al riguardo l’Ispettore e il Direttore; il loro interesse e i loro interventi possono ottenere un vero balzo in avanti in questo compito tanto vitale.
Il CG23 impegna l’Ispettore in una verifica concreta e gli chiede di nominare all’interno dell’équipe ispettoriale di pastorale giovanile un animatore che orienti, coordini, promuova e tenga i necessari collegamenti con le iniziative vocazionali.42
Il Direttore, poi, è chiamato a guidare una nuova qualità pastorale tra i suoi confratelli, che essi divengano animatori della comunità educativa e della Famiglia Salesiana, che assicurino i diversi ruoli di servizio, che sappiano fare la proposta vocazionale e accompagnino i più impegnati; lui stesso ricuperi il ruolo di orientatore dei giovani attraverso l’incontro personale e di gruppo e sappia coinvolgerli in momenti forti di preghiera.43
Ci affidiamo a Maria
Don Bosco ha sperimentato l’efficacia materna della Madonna nella ricerca delle vocazioni, nel loro discernimento, nella loro maturazione. A Lei ha affidato quell’iniziativa originale di creatività pastorale per le vocazioni «tardive» che ha chiamato «Opera di Maria Ausiliatrice». Ha sempre coltivato una straordinaria fiducia nella sua sollecitudine di intercessione specialmente nei tempi difficili per le vocazioni.
Bisognerà far rivivere continuamente in Congregazione quel solenne atto di affidamento fatto dal CG22, in cui abbiamo affidato a Lei anche «la fecondità vocazionale»,44 nella convinzione che con Lei possiamo «metter mano a grandi cose» per il bene della gioventù. Infatti, come dicono le Costituzioni, «crediamo che Maria è presente tra noi e continua la sua “missione di Madre della Chiesa e Ausiliatrice dei Cristiani”».45
In particolare siamo convinti che la Madonna, intimamente unita allo Spirito, è nella storia «madre ed educatrice» delle vocazioni.
Maria è definita dal Papa «la persona umana che più di ogni altra ha corrisposto alla vocazione di Dio»;46 ha nutrito ed educato Gesù che è stato, possiamo dire, la «vocazione-suprema». Quando nel tempio di Gerusalemme Maria ritrova Gesù dodicenne e gli manifesta la pena di Giuseppe e sua durante i tre giorni impiegati nella ricerca, si sente rispondere: «Perché cercarmi tanto? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?».47 Possiamo considerare questa risposta come la confidenza del figlio adolescente che manifesta ai genitori la sua vocazione. Quanto avrà meditato Maria sulla vocazione di Gesù e anche sulla sua propria! Io lo andavo considerando mentre ascoltavo un inno mariano cantato con fervore da un gruppo di giovani oratoriani: «Io vorrei tanto parlare con Te (Maria) di quel Figlio che amavi: io vorrei tanto ascoltare da Te quello che pensavi quando hai udito che Tu non saresti più stata tua e questo Figlio che non aspettavi non era per te...».
L’accettazione generosa e la realizzazione piena della propria vocazione ha reso felice (beata!) Maria nel suo cuore e l’ha resa protagonista nella storia dell’umanità, più importante e benefica di tanti personaggi potenti e sapienti.
Il suo canto del Magnificat ci rivela la gioia personale e il rilievo storico che porta con sé la vocazione: è infatti la realizzazione di un progetto di Dio. I progetti di Dio sono tutti espressioni di amore verso la persona del chiamato e sono impegni di bene per la fraternità e la salvezza degli altri. Quando nel «Padre nostro» preghiamo «venga il tuo Regno», chiediamo al Signore di essere collaboratori dei suoi progetti, così come lo è stata in pienezza Maria. Da Lei impariamo a considerare la vocazione come un vero tesoro da apprezzare, da proporre, da difendere, da far fruttare in ogni giovane che ci avvicina.
Supplichiamo la Madonna di accompagnarci come Madre premurosa specialmente nell’intensificazione e qualificazione della nostra preghiera per le vocazioni, fatta con gli stessi sentimenti del cuore di Gesù Cristo suo figlio.
Don Bosco ci ricorda che, affidati a Lei, possiamo “por mano a cose grandi».
Rinnoviamo, cari confratelli, la nostra preghiera per gli operai della messe; essa ci aiuterà a testimoniare ogni giorno con gioia la nostra vocazione.
Don Egidio Viganò
NOTE LETTERA 52
1 cf. ACG n. 339
2 ACG 339, pag. 19
3 cf. ACG n. 338: Carisma e preghiera
4 cf. ACG 332, pag. 11
5 1 Cor 2,4-5
6 1 Cor 2,10-13
7 Mt 9,35-38
8 Lc 6,12
9 MB V, 396-397
11 cf. Cost 6 e 28
12 cf. Cost 6 e 28
13 MB V, 367
14 cf. ACG 339, pag. 26-27
15 CG23 139
16 GC23 148
17 CG23 155
18 GC23 176
19 cf. ACG n. 338
20 cf. ACG n. 339
23 Lettere circolari di D. Paolo Albera ai Salesiani, Direzione Generale Opere Salesiane, Torino, 1965, pag. 513
24 ACG 338, pag. 24
26 cf. ACG 332, pag. 37 ss
27 cf. Pastores dabo vobis 21 e ss
32 Pastores dabo vobis 23
33 CG23 247 e ss
34 Gc 5,17-18
35 cf. ACG 338, pag. 26-34
36 Lettere circolari di D. Paolo Albera ai Salesiani, Direzione Generale Opere Salesiane, Torino, 1965, pag. 37
37 ib. pag. 498
38 cf. Annali, vol. I, pag. 212
39 cf. PC 2a
41 ACG 338, pag. 28
42 cf. CG23 253
43 cf. CG23 218. 226. 232. 234. 243. 249
44 cf. Commento alla preghiera di affidamento in ACG 322, pag. 15-21
46 Pastores dabo vobis 82
47 Lc 2, 49