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LO STIMOLO PROFETICO
DEL SINODO SULL’EUROPA
Introduzione. - Il Sinodo dei Vescovi dell’Europa. - Crollo delle ideologie? - Esortazione alla magnanimità apostolica. - Vie nuove da percorrere. - L’immutabile centro propulsore. - Ruolo dei Religiosi e protagonismo dei giovani. - Il coinvolgimento salesiano. - Conclusione.
Lettera pubblicata in ACG n. 340
Roma, 4 marzo 1992
Mercoledì delle ceneri
Cari confratelli,
nella Quaresima ci prepariamo con intensità alla contemplazione del mistero pasquale. In esso si concentra tutta la nostra fede e da esso partono tutte le prospettive della nostra missione. Auspico per ogni comunità un clima spirituale di interiorità pasquale, curata dal Direttore e da ciascun confratello, come luce ed energia per gli itinerari programmati di educazione dei giovani alla fede.
Spero che in questo clima si dia speciale rilievo all’ultima circolare sul nostro impegno per le vocazioni.
Nei dati statistici della Congregazione, che si riferiscono allo scorso anno 1991, c’è un punto allarmante circa il numero dei novizi: un calo di più di 80 rispetto all’anno precedente Alcune ragioni potrebbero anche spiegare il fenomeno: di fatto, per esempio, due o tre Ispettorie hanno stabilito una pausa per il loro noviziato in vista di una riorganizzazione delle tappe formative. Il dato negativo, però, rimane come una spia di avviso che richiama a un più intenso e partecipato lavoro di pastorale giovanile secondo il CG23.
Abbiamo urgenza di più numerose e qualificate vocazioni perché c’è tanta gioventù che ha bisogno del carisma di Don Bosco e tante Chiese locali ce lo chiedono con insistenza.
Da ogni continente ci arrivano pressanti richieste.
Ultimamente, dopo i grandi cambi dell’est europeo, ci siamo già impegnati con presenze coraggiose e di frontiera. Così l’Amministratore Apostolico della Russia europea, Mons. Tadeusz Kondrusiewicz, ci ha già impegnati nei territori a lui assegnati con un buon numero di confratelli; inoltre a Mosca l’Ispettoria di Venezia aprirà — su invito delle autorità civili — anche una scuola professionale.
E l’Amministratore Apostolico della Siberia, Mons. Joseph Werth, che risiede a Novosibirsk, ci ha pure invitati con insistenza e ci ha assegnato la città di Aldan (molto più all’est): se ne farà generosamente responsabile l’Ispettoria di Bratislava nella Slovacchia.
Andremo pure in Albania; la Sede Apostolica ci ha chiesto varie presenze: una scuola professionale a Tirana e un centro catechistico a Scutari. Si sono già impegnate per questo compito alcune Ispettorie dell’Italia e l’Ispettoria della Slovenia.
E mi fermo qui, perché se andiamo agli altri continenti le richieste si contano, non esagero, a centinaia.
Ma poi, oltre alle esigenze di queste presenze nuove, urge anche il rinnovamento delle presenze antiche; esso richiede, per una autentica incisività evangelizzatrice, una qualificata iniezione di forze giovani. Noi seguiamo Don Bosco che ci ha sempre lanciato in avanti, non però allo sbaraglio: egli accompagnava la sua magnanimità con la fiducia nella Provvidenza, alimentata da una forte spiritualità, e con l’impegno solerte e quotidiano per le vocazioni, convinto della presenza fecondatrice dello Spirito del Signore.
Ma l’urgenza più grande di vocazioni proviene dall’immensità attuale della messe. I Pastori pregano ed esortano; non si concentrano semplicemente sulle strutture apostoliche di ieri, non si rinchiudono nell’ovile, ma guardano con zelo al mondo di oggi con le sue innumerevoli e incalzanti sfide; le considerano da pastori, non per scoraggiarsi ma per affrontarle.
Dal Vaticano II in qua, nei Sinodi, nelle Conferenze episcopali, nei viaggi papali, negli orientamenti magisteriali, il Successore di Pietro e i Vescovi ci parlano di audacia profetica. Sentono il forte soffio dello Spirito che lancia il Popolo di Dio a un nuovo cominciamento verso il terzo millennio della fede.
È con questa inquietudine di passione apostolica che vorrei presentarvi alcune riflessioni sul recente Sinodo dei Vescovi dell’Europa; esse possono illuminare tutti noi, anche se operanti in altri continenti, sulle vie da seguire per la nuova evangelizzazione.
Presto si celebrerà anche la 4a Assemblea episcopale latino-americana a Santo Domingo, e così pure il Sinodo africano; questi ed altri eventi ecclesiali ci stimolano a incamminarci con coraggio e saggezza per vie nuove.
Il Sinodo dei Vescovi dell’Europa
Annunciato inaspettatamente dal Papa a Velehrad (Moravia) il 22 aprile 1990, si svolse in Vaticano dal 28 novembre al 14 dicembre 1991. Vi hanno partecipato i Vescovi rappresentanti di tutti i Paesi europei, anche della Turchia. Erano presenti, come «delegati fraterni», i rappresentanti delle altre Chiese e denominazioni cristiane, e vari invitati. La partecipazione del Rettor Maggiore insieme ad altri Superiori religiosi è certamente un dono che diviene anche un appello per l’intera Famiglia Salesiana.
L’evento era stato voluto e preparato come «Sinodo speciale» di breve durata: si prevedeva una settimana di interscambio di testimonianze tra est e ovest circa le esperienze di fede degli ultimi 50 anni, e una seconda settimana di orientamenti stimolanti e di criteri di azione che servissero a muovere concretamente i credenti a impegnarsi in un nuovo tipo di evangelizzazione, esigito dai tempi e dalle situazioni socioculturali. Non fu un Sinodo dell’episcopato mondiale, come quello «speciale» del 1985 a vent’anni dalla conclusione del Vaticano II; non intese affrontare temi specifici. Ha voluto intensificare la comunione tra l’est e l’ovest europeo e proclamare il comune proposito di rinnovare le modalità dell’impegno evangelizzatore per un futuro particolarmente sfidante. È stato più un evento profetico che una pianificazione di marcia.
La stessa «Dichiarazione» sinodale afferma che si tratta di un primo passo fatto verso l’aurora del terzo millennio.1
C’è alla base degli orientamenti del Sinodo una attenta considerazione del significato inerente agli straordinari avvenimenti europei del 1989. Essi vanno considerati dai credenti come un «kairós», ossia un momento storico del divenire umano particolarmente ricco della presenza dello Spirito del Signore. Da esso emergono riflessioni pastorali per valutare le situazioni della nuova realtà e individuare urgenze di evangelizzazione: come se il Signore stesso suggerisse ai Pastori quali dovranno essere le vie da far percorrere al Popolo di Dio.
Ed ecco, già in questa prima constatazione, un rilievo di cui far tesoro ovunque: la «lettura sapienziale» degli avvenimenti storici del proprio tempo e del proprio contesto.
Non si tratta di una lettura semplicemente sociologica o politica, bensì di una attenta e comunitaria riflessione di fede sulla prospettiva «pastorale» che ci offre il divenire umano in cui siamo inseriti. A tal fine ci si serve senza dubbio anche degli apporti oggettivi delle scienze umane, ma non ci si ferma al loro livello; lo si trascende con la fede, preoccupati di scoprire nelle vicende e nelle interpellanze di «questi» uomini e giovani di oggi i suggerimenti offertici da Dio per cercare nel Vangelo le risposte adeguate da dare ai loro numerosi problemi.
La disattenzione verso il divenire storico, verso gli eventi, verso le situazioni, verso la cultura emergente, sarebbe un atteggiamento veramente deleterio, che tarperebbe le ali alla nostra capacità di nuova evangelizzazione.
Sarebbe troppo astratto ed evasivo riferirsi a un Dio storicamente muto. Il Concilio Vaticano II, invece, ci ha insegnato a lasciarci guidare dallo Spirito del Signore, non solo con mozioni interiori (accompagnate magari da erudizione teologica), ma anche e assai concretamente considerando la sua presenza nella storia che ci interpella continuamente attraverso le vicende dell’esistenza per rileggere con attualità le risposte del Vangelo.
Di fronte a questa prima osservazione circa l’esperienza sinodale, ho pensato con soddisfazione al nostro CG23 che ci ha appunto indirizzati a incominciare il cammino della fede facendo seriamente una lettura pastorale della realtà giovanile e dei suoi contesti. Certo la nostra, in confronto con quella del Sinodo, è una piccola lettura settoriale per il lavoro apostolico quotidiano che dobbiamo svolgere tra i giovani; ma anch’essa si deve inserire nella grande svolta storica letta pastoralmente dai Vescovi.
Crollo delle ideologie?
Il Sinodo ha parlato della caduta del comunismo come sistema di strutturazione della società. L’abbattimento del muro di Berlino, la nuova situazione politica dell’Unione Sovietica e dei Paesi sotto il suo influsso, la disgregazione della Jugoslavia, la caduta del regime in Albania, sono stati degli avvenimenti enormi, impensabili e inattesi, drammaticamente reali e irreversibili.
Sono senz’altro espressione della serietà del cambio epocale in cui viviamo e il collasso di una ideologia mendace.
Questo però non significa che siano finite le ideologie. Innanzitutto ce ne sono altre nell’Europa dell’ovest e nel mondo; ma poi il crollo del socialismo reale lascia tante conseguenze negative di tipo culturale, economico, politico e religioso che permangono come sfide per la fede e che lanciano degli appelli di intervento per una nuova evangelizzazione, soprattutto tra i giovani.
La reazione prodotta nei Pastori non è stata quella di far festa per il crollo dei regimi — anche se hanno ringraziato il Signore per questa specie di «miracolo» storico (ricordiamo l’espressione di indicibile stupore del presidente della Cecoslovacchia, Sig. Havel) —, bensí quella di considerare con più chiarezza e concretezza d’impegno la missione specifica della Chiesa, messa davanti a tanti problemi inediti. I Vescovi non si sono proposti di rispondere con dei suggerimenti di tipo politico, o economico, o culturale — non propri del loro ministero, anche se sono dei fronti veramente impegnativi e indispensabili per tutti —, ma con una preoccupazione religioso-pastorale per illuminare le menti e organizzare la speranza e gli impegni dei discepoli di Cristo e degli uomini di buona volontà.
Dalla lettura sapienziale dei Pastori circa gli effetti del crollo del comunismo risulta una osservazione assai significativa per l’evangelizzazione. Si è parlato di «catastrofe antropologica» per sintetizzare le gravi conseguenze negative di ciò che è avvenuto. Si è constatata infatti la ferita e lo snaturamento della libertà: ossia della persona, della sua coscienza, della sua creatività, degli ideali da perseguire, del significato della vita. Ma si deve aggiungere che il rimedio per tale grave malanno non è da ricercarsi semplicemente nel tipo di libertà proclamata dal consumismo. Purtroppo anche nell’Europa al di qua del muro di Berlino c’erano e ci sono delle deviazioni ideologiche che feriscono la libertà dell’uomo e, quindi, danneggiano la persona e la società. Il Sinodo auspica che la nuova evangelizzazione faccia sì che i cristiani siano davvero e socialmente dei testimoni di Cristo che ci ha liberati, ossia proclamatori del Vangelo che «libera».
Il crollo dell’ideologia imperante all’est mette in rilievo anche le deficienze ideologiche dell’ovest.
Gli studiosi osservano che in questi ultimi decenni nell’Europa occidentale si è constatata una progressiva dissociazione tra credenza e pratica cristiana, con una religiosità «debole» e piuttosto soggettivista, secondo criteri personali; mentre nell’Europa centro-orientale, nonostante le prove mirabili di fedeltà a Cristo e alla Chiesa da parte di non pochi credenti, un consistente numero di cittadini ha dimenticato la fede e molti la avversano. Nei Paesi liberati c’è urgenza di aggiornamento culturale ed ecclesiale, mancanza di risorse, fragilità sociopolitica; si assiste a un vero miraggio del consumismo; e insorgono pericolosamente i nazionalismi.
Così, alla fine del secondo millennio, non si può più parlare di Europa «cristiana», bensì di Europa «pluralistica», con aree di ateismo, agnosticismo, indifferentismo, presenza forte di altre religioni e grave frattura interna del Cristianesimo. Certo, rimangono anche delle sane radici cristiane da rivitalizzare.
Il Sinodo proclama con chiarezza che la Chiesa è invitata, in questo contesto, a dedicarsi con urgenza alla nuova evangelizzazione, in cui si colloca l’impegno per la retta educazione della libertà umana. Gli errori antropologici non sono solo frutto di sistemi totalitari atei; sono anche il risultato del cattivo uso ideologico di certi dati scientifici. È importante che il Vangelo riesca ad occupare lo spazio usurpato dalle intromissioni ideologiche.
Un compito della nuova evangelizzazione è quello di saper unire con saggezza tre grandi fonti di verità al servizio della libertà: l’antropologia di attualità, la lettura in contesto del Vangelo e la Dottrina della Chiesa sulla società. Senza la mutua compenetrazione di questi tre aspetti non ci sarà efficace educazione alla fede.
Il Sinodo ha insistito particolarmente su questo tema, facendo vedere che la libertà non è per se stessa un valore assoluto e individualistico, ma che essa stessa è ordinata alla «verità» e alla «comunione». La perfezione della persona umana, infatti, è l’amore: quell’amore di carità che ha la sua sorgente nella vita trinitaria e il suo modello supremo nel mistero di Cristo. Nella cultura occidentale laicista, invece, si assiste a uno sconvolgente «disastro dell’amore» (e quindi della «libertà»), a causa degli egoismi, delle conflittualità, dell’erotismo, delle ingiustizie, della carenza di solidarietà.
Non c’è libertà che ama se manca il dono di sé nel sacrificio e nella solidarietà. L’esperienza insegna che gli sforzi umani, per sé soli, non sapranno mai creare il paradiso sulla terra: né nella persona, né nella famiglia, né nella società, né nella convivenza mondiale. Viene qui da annotare subito, per l’Europa e per tutti i continenti, che non ci sarà «nuova evangelizzazione» se non si saprà permeare con il Vangelo i progressi umani dell’antropologia e della sociologia.
Ed ecco così un appello del Sinodo per l’inculturazione del Vangelo. Gli evangelizzatori di oggi sono chiamati a coltivare una seria preparazione culturale dando un posto non secondario alle attuali scienze dell’uomo. La «nuova evangelizzazione» è di fatto «l’evangelizzazione del nuovo mondo».
Esortazione alla magnanimità apostolica
Qualunque evento ecclesiale è necessariamente localizzato, ma suole portare con sé una risonanza universale perché tocca la vita della fede, che è di tutti anche se parte necessariamente da un’esperienza locale.
Lo affermiamo, in modo speciale, per il recente Sinodo. I Pastori in esso riuniti ne erano pienamente coscienti. Si sono preoccupati, infatti, di evitare nei loro suggerimenti qualunque aspetto che potesse insinuare anche un minimo pericolo di «eurocentrismo». Hanno parlato esplicitamente di una futura unità europea aperta alla solidarietà universale: «L’Europa — dice la Dichiarazione — ha trasmesso a tutto il mondo molte conquiste culturali e tecniche che oggi costituiscono un patrimonio della civiltà universale. Tuttavia la storia dell’Europa conosce anche molti lati oscuri, tra i quali bisogna annoverare l’imperialismo e l’oppressione di molti popoli con lo sfruttamento sistematico dei loro beni. Dobbiamo perciò respingere un certo spirito eurocentrico, di cui possiamo oggi riconoscere tutte le conseguenze».2
Così nella nuova evangelizzazione è indispensabile saper includere anche un forte senso di conversione storica in vista di una società più solidale, che sappia guardare al di là dei propri confini e del proprio interesse.
Il grido del Cristo sofferente giunge oggi drammaticamente da tante parti del mondo: «a questo grido occorre rispondere con concrete scelte concernenti, ad esempio, l’abolizione del commercio delle armi, l’apertura dei nostri mercati, una gestione più equa del debito internazionale, il sostegno a tutto ciò che può favorire lo sviluppo della cultura e dell’economia insieme con la promozione di governi democratici. Del resto, l’Europa stessa può attingere molte ricchezze dai tesori degli altri popoli e delle altre culture... Le molte forme di indigenza e le grandi sofferenze del mondo ci ricordano le promesse escatologiche di Dio, che non possono trovare piena realizzazione su questa terra. Attraverso l’impegno di solidarietà e di carità possiamo però, nel cuore di un’umanità divisa e lacerata, lanciare degli impulsi e coltivare dei semi per il futuro compimento della perfezione eterna».3
In questo senso il Sinodo ha opportunamente messo in rilievo la generosità missionaria dell’Europa lungo i secoli, invitando a continuarla e intensificarla oggi, secondo le possibilità. I vari interventi dei rappresentanti dell’America del nord, dell’America Latina, dell’Africa, dell’Asia e dell’Oceania, presenti in assemblea, hanno confermato con gratitudine questo slancio missionario, sgorgato dall’autentica apostolicità di tanti credenti europei.
C’è di più. La lezione di questo Sinodo si riferisce pure a due aspetti vitali che interessano dappertutto la nuova evangelizzazione.
Il primo è quello di una audacia apostolica della fede che non si spaventa e non arretra di fronte a un compito immane e, a prima vista, quasi impossibile: quello di evangelizzare la costruzione di un’Europa unita; cento popoli tanto conflittuali che dovrebbero convivere e amarsi in una sola patria comune.
Quando uno pensa agli innumerevoli problemi religiosi, politici, economici, culturali, razziali e storici di tale progetto può arrivare a considerare l’affascinante traguardo come una utopia irraggiungibile. E invece le direttive dei Pastori spingono i cristiani a divenire protagonisti del progetto. Ci vorrà tempo, sorgeranno mille difficoltà, la complessità delle cose esigerà scienza, tecnica, dialogo, riconciliazione, costanza. La Chiesa sa bene che tale progetto appartiene anzitutto all’ordine temporale, ma non per questo se ne disinteressa; anzi è convinta che questa è una via particolarmente importante per la sua nuova evangelizzazione. Vuol essere fedele al Concilio che afferma: «l’opera della redenzione di Cristo, mentre per natura sua ha come fine la salvezza degli uomini, abbraccia pure la instaurazione di tutto l’ordine temporale».4 E ciò «non solo non priva l’ordine temporale della sua autonomia, dei suoi propri fini, leggi, mezzi, della sua importanza per il bene degli uomini, ma anzi lo perfeziona nella sua consistenza e nella propria eccellenza e nello stesso tempo lo adegua alla vocazione totale dell’uomo sulla terra».5
Così l’audacia apostolica dell’evangelizzazione non ha paura di affrontare compiti immensi riferiti alla vita concreta dell’ordine temporale perché si sente illuminata e accompagnata nella sua specifica missione religioso-pastorale dalla potenza dello Spirito del Signore.
E qui mi sembra importante sottolineare che il cuore dell’evangelizzatore deve nutrire e coltivare in sé, quotidianamente, l’ardore di una speranza teologale. Il sentirsi chiamato a collaborare in un’ora storica caratterizzata da una più intensa presenza dello Spirito Santo, deve abituarlo a trascendere se stesso e i propri limiti, sicuro di sentirsi mosso da Lui in una Chiesa che «salva» l’uomo d’oggi, inviata a fermentare, come «sacramento», il cambio epocale, anche se esso suole presentarsi con modalità sconcertanti.
La magnanimità dell’evangelizzatore si nutre sempre alla sorgente della speranza. Potremmo dire che il «miracolo», di cui ha parlato il presidente Havel, potrà essere moltiplicato nella nuova pastorale dalla speranza cristiana degli evangelizzatori.
Il secondo aspetto vitale è la consapevolezza che i cambiamenti a cui assistiamo oggi nel mondo portano con sé, come dice il Concilio, una «cultura emergente» che si va sempre più universalizzando. L’attenta lettura dell’esposizione introduttiva della Gaudium et spes 6 ci assicura che ormai l’uomo, in qualsiasi continente, «vive oggi un periodo nuovo della sua storia», con una «vera trasformazione sociale e culturale».7
Non si tratta solo dell’Europa, ma di una nuova epoca storica che nasce per tutti. Le culture dei singoli popoli dovranno necessariamente prendere in conto tali profonde trasformazioni. «A poco a poco si prepara una forma più universale di cultura umana, che tanto più promuove ed esprime l’unità del genere umano, quanto meglio rispetta le particolarità delle diverse culture».8
La nuova evangelizzazione non potrà prescindere da questo fatto; dovrà aiutare a superare i ricorrenti pericoli di deviazione che provengono dai vari nazionalismi, continentalismi, razzismi, ideologismi che ingabbiano il dinamismo delle culture — naturalmente aperto al divenire di tutti gli uomini — in steccati chiusi all’universalità e al futuro. Pericolosi esempi di tale miopia ce ne sono un po’ dappertutto, mossi più da passioni e progetti parziali che dall’intelligenza di fede.
Ora si dà il fatto che in Europa si sta muovendo con maggiore accelerazione la maturazione simultanea di vari segni dei tempi, così da presentare alla fede e al Vangelo un insieme di sfide assai urgenti che, se potranno ricevere una risposta adeguata dalla Chiesa, serviranno di stimolo e, in parte, anche di avanguardia ispiratrice per tutti. Sarà una nuova evangelizzazione caratterizzata dalla capacità d’inculturazione e da una autentica missionarietà, preoccupata anche di tanti nuovi aeropaghi pagani, e dalla convivenza di razze, culture e religioni differenti. Ma la costruzione di questa società pluralista è un traguardo che ha bisogno di Dio.
L’evangelizzazione di una nuova Europa non sarà «restaurazione» di qualcosa di ieri, ma nuovo cominciamento della fede in una convivenza di popoli finora inedita: sarà novità di presenza dello Spirito Santo nella cultura emergente per dar luogo a una civiltà dell’amore finora sconosciuta.
La magnanimità apostolica richiede una mentalità aperta, nutrita di mondialità e di solidarietà universale: qualità, queste, che crescono genuinamente nel mistero vivo della Chiesa di Cristo. Educare i giovani alla fede, quindi, vorrà dire saper formare in loro anche i valori della mondialità e della solidarietà con tutti i popoli.
Vie nuove da percorrere
In una lettera circolare inviata circa tre anni fa 9 vi parlavo soprattutto del cambio di mentalità che suppone in noi la nuova evangelizzazione. Ora il Sinodo dei Vescovi d’Europa ci propone alcuni massicci problemi che vanno emergendo e che sono da affrontare percorrendo vie nuove. Si riferiscono propriamente all’Europa, ma offrono di fatto luce a tutti. Sono sfide che procedono dalla nuova situazione culturale e che mettono in evidenza alcune delle maggiori difficoltà per gli operatori di pastorale.
Oggi, nel continente europeo, molti destinatari non conoscono affatto il messaggio del Vangelo; altri, pur essi numerosi, anche se lo conoscono rimangono increduli o indifferenti; in non pochi persiste ancora una positiva ricerca di una esperienza di trascendenza, ma credono di poterla trovare in altre religioni; non mancano, poi, coloro che rifiutano esplicitamente il Cristianesimo, fortemente segnati da un antropocentrismo scientista che fa crescere in loro la convinzione di essere giunti ormai a un’epoca «postcristiana», e così giudicano antiquato e prescientifico e da eliminare il patrimonio del Vangelo nei suoi punti più costitutivi, in particolare nel suo insegnamento morale.10
Da questa situazione derivano grosse sfide al Vangelo, se lo si vuole leggere in contesto. La Parola di Dio, infatti, è tale che — anche se pronunziata integralmente venti secoli fa — è rivolta ai problemi concreti di tutte le generazioni. Ora, i suddetti atteggiamenti rappresentano un po’ la spia o la punta dell’immenso iceberg dell’attuale cambio epocale.
Nello scrutare il contesto i Padri sinodali hanno rilevato principalmente i seguenti maggiori problemi:
— l’«ottica materialista» con cui si pretende di interpretare l’antropologia;
— il «laicismo politico» che dovrebbe essere messo alla base della nuova città democratica e pluralista;
— la «vasta fascia pagana», specialmente di tanti non battezzati, interessati solo ai bisogni immediati;
— il «relativismo religioso» di fronte alle svariate proposte di trascendenza delle religioni.
Ormai l’Europa è davvero un continente pluriculturale, plurinazionale, plurirazziale e plurireligioso; potrà divenire una patria comune di una civiltà solidale? Il Sinodo risponde con speranza. L’Europa oggi assomiglia a un immenso crogiolo, o a un alto forno, per la fusione di un nuovo tipo di «cittadinanza».
L’evangelizzazione dovrà ricercare nuove strategie per illuminare e rispondere a sfide finora sconosciute, in particolare ai quattro maggiori problemi sopra indicati.
Vediamo di indicare alcune delle vie che vengono suggerite a noi in quanto evangelizzatori dei giovani, in relazione ai suddetti temi.
— L’ottica materialista, molto diffusa, non è un semplice atteggiamento grossolano da ignoranti; essa è piuttosto intimamente legata al progresso scientifico-tecnico. Si cerca di modellare un tipo di cittadino critico, sicuro di sé, formalmente rispettoso degli altri, ma senza convinzioni legate a principi di trascendenza. Alla domanda: quale uomo per la nuova cultura?, risponde su un piano «razionale», filosofico-scientifico, che esclude dall’antropologia un vero ricorso a Dio. È una mentalità di «dotta ignoranza», che pretende di formulare, tra l’altro, una etica totalmente nuova da tradurre, quando si può, anche in leggi sociali.
L’uomo sarebbe un essere puramente terreno, per il quale non avrebbe senso l’annunzio evangelico; né peccato, né redenzione, né immortalità. Detto così, in forma troppo rapida, potrebbe sembrare a qualcuno un’ottica facile da correggere, ma la realtà è ben altra. L’educatore alla fede è chiamato a dare una risposta competente, e per questo dovrà curare almeno due aspetti abbastanza esigenti e complementari: innanzitutto una adeguata preparazione antropologica, così da saper dialogare con l’attuale progresso scientifico; e poi la duttilità di far vedere che la fede non è mai in vero contrasto con la ragione e che questa è di per sé e storicamente aperta alla trascendenza. Quindi una competenza, culturalmente nuova, su ciò che è l’uomo in questa sua maturazione critica.
Mi pare importante per noi Salesiani sottolineare questo aspetto. Esso comporta una seria rivalutazione, per esempio, della «scuola», secondo il profondo rinnovamento che le ha richiesto il Vaticano II. La via della scuola appartiene certamente alla nuova evangelizzazione: è la terza «parola-simbolo» del nostro criterio oratoriano di rinnovamento.11
Altro che lasciarla per poter fare pastorale moderna! C’è in essa un compito dei più urgenti per l’evangelizzazione. Il Santo Padre ha recentemente affermato, nel primo convegno nazionale della Chiesa italiana sulla scuola cattolica,12 che essa è luogo di cultura ai fini dell’educazione e porta in sé grandi risorse per la nuova evangelizzazione. Il dialogo tra fede e cultura è fondamentale: «la Chiesa si aspetta molto dalla scuola cattolica per la sua stessa missione in un mondo in cui la sfida culturale è la prima, la più provocante e gravida di effetti».13
Giustamente nel Sinodo si è sottolineata l’importanza che dovranno avere nella nuova evangelizzazione le Scuole e le Università cattoliche, nelle quali la promozione culturale e scientifica cresce in armonia con la fede. La Dichiarazione sinodale afferma esplicitamente che «nei Paesi recentemente liberati dal comunismo è impellente la necessità di creare Università e Scuole cattoliche».14
Una via nuova è, dunque, quella di ripensare la «scuola» secondo le esigenze del Vangelo in contesto.
— Il laicismo politico ha forte incidenza sulla dimensione democratica della società pluralista; e ciò ha molti risvolti sulla vita di fede soprattutto dei fedeli laici e dei giovani. Come osserva l’enciclica Centesimus annus, si tende oggi a considerare l’agnosticismo come filosofia e atteggiamento fondamentale per una mentalità democratica; il credente, convinto di una ben definita visione di fede circa l’uomo, sarebbe democraticamente inaffidabile perché non accetterebbe che la verità venga determinata dalla maggioranza e sia politicamente variabile.15
Di fronte a tale giudizio la nuova evangelizzazione dovrà dare particolare importanza all’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa, che illumina appunto la convivenza democratica con la verità integrale sulla persona e sulla società.
Alla sua luce si apre il vasto orizzonte della vera «laicità», proclamata acutamente dal Vaticano II, e che comporta nell’attività evangelizzatrice un grande rilancio della vocazione e missione dei fedeli laici nel mondo. Il «laicismo» è sempre succube a qualche ideologia che snatura la capacità di interpretare rettamente l’ordine temporale. Urge presentare con aggiornata lucidità una fede che sappia percepire in tutta la realtà creata le autonomie volute e inserite dal Creatore nella natura stessa delle cose.
Ecco allora una nuova via anche per noi da percorrere con costanza e dedizione nell’evangelizzazione: quella del «progetto-laici» e della dimensione sociale della carità a cui ci invita appunto il CG23.16
— La vasta fascia pagana soprattutto di giovani che non sanno nulla di Cristo e della sua Chiesa interpella la comunità cristiana. Essi prescindono dalle usuali mediazioni pastorali della vita parrocchiale, hanno bisogno di specifici interventi da inventare con fantasia missionaria e con appropriata pedagogia. In questo nuovo fronte noi Salesiani dovremo saper ripensare con originalità l’approccio ai giovani e anche la gerarchia delle verità rivelate da presentare; ciò richiede gradualità pedagogica e molta creatività pastorale.
Quanto ci ha detto il Papa sulla «preventività» dovrà, qui, essere considerato con particolare attenzione: «l’arte di educare in positivo, proponendo il bene in esperienze adeguate e coinvolgenti, capaci di attrarre per la loro nobiltà e bellezza; l’arte di far crescere i giovani “dall’interno”, facendo leva sulla libertà interiore, contrastando i condizionamenti e i formalismi esteriori; l’arte di conquistare il cuore dei giovani per invogliarli con gioia e con soddisfazione verso il bene, correggendo le deviazioni e preparandoli al domani attraverso una solida formazione del carattere».17
Evidentemente, trattandosi di «missionarietà» giovanile, questo ci indica come nuova via da rilanciare quella del «criterio oratoriano» di Don Bosco. La nuova evangelizzazione esige da noi una generosa «rifondazione dell’Oratorio», che è poi quanto ci richiede il CG23.18
— Il relativismo religioso parte dal fatto positivo di una qualche apertura alla trascendenza e della ricerca di una esperienza religiosa, approda però spesso ad espressioni religiose non cristiane. Non si può dimenticare, poi, che sono presenti in Europa delle benemerite chiese cristiane non cattoliche ed aumenta sempre più il numero di immigrati appartenenti a grandi religioni nate in altri continenti; inoltre si assiste oggi al diffondersi di varie sette.
È un dato di fatto abbastanza complesso che obbliga a incorporare robustamente nella nuova evangelizzazione le esigenze proprie di una mentalità ecumenica e di una capacità di dialogo religioso. È una situazione assai delicata da affrontare con svariati impegni, a seconda dei gruppi religiosi, e da portare avanti con convinzioni chiare circa la propria identità cattolica.
Nell’individuare nuove vie per l’evangelizzazione, a noi in questo ambito interessano due aspetti che l’evangelizzatore deve acquisire e approfondire: essere segni e portatori di fede con chiara «mentalità ecumenica»; e formarsi a una «capacità di dialogo» per mettere in luce con gradualità pedagogica il mistero di Cristo, la sua oggettività e la sua centralità.
Questa via nuova tocca più direttamente la formazione o il cambio di mentalità degli evangelizzatori.
Dei due aspetti indicati, il primo (quello della mentalità ecumenica) richiede da noi una attenta revisione dei programmi di studio, nella formazione dei confratelli, per ciò che si riferisce alle altre Chiese cristiane, circa le grandi religioni e anche circa la conoscenza delle sette più presenti sul territorio. Ciò aiuterà a a coltivare più realisticamente l’identità della propria fede cattolica fondandosi molto su dati storici, non tanto per dimostrare una tesi, quanto per conoscere il pensiero religioso degli uomini con cui conviviamo.
Il secondo aspetto (quello del dialogo) ci riporta al Sistema Preventivo nella sua capacità di avvicinamento e di interscambio, di rispetto e di simpatia per le persone anche se non sempre si possono condividere le loro opinioni. È importante far rivivere in noi, qui, tutto il patrimonio spirituale e metodologico che è contenuto nel nostro nome-simbolo di «Salesiani»; esso esige da noi amabilità, servizio, dialogo, interscambio paziente. Ci fa ripensare, come voleva Don Bosco, al nostro patrono S. Francesco di Sales, alla sua straordinaria carità pastorale soprattutto nella difficile missione dello Chablais.
Urge acquisire tra noi una mentalità ecumenica capace di dialogo.
Penso che la considerazione di questi quattro maggiori problemi, anche se presentati in forma molto succinta, porti a individuare delle vie nuove: sia nell’intensificare la qualità pastorale della scuola, sia nel dedicarsi a programmare e realizzare il Progetto-laici e la dimensione sociale della libertà, sia nel rilanciare l’Oratorio con iniziative di associazionismo, sia nel formarsi una mentalità dialogante in rapporto alle varie esperienze religiose.
Così la nuova evangelizzazione crescerà come forza dinamica nel complicato cambio epocale che ci sfida. La fede è energia del divenire e fedeltà alla missione ricevuta dal Signore: non è passività né ripetizione, ma nuovo cominciamento. Costa; ma è indispensabile.
L’immutabile Centro propulsore
C’è una precisa presa di posizione nella Dichiarazione del Sinodo per assicurare l’autenticità dell’evangelizzazione in un contesto tanto nuovo e variegato. «Non è sufficiente — si legge nel testo — prodigarsi per diffondere i “valori evangelici” come la giustizia e la pace. Solo se è annunciata la persona di Gesù Cristo, l’evangelizzazione si può dire autenticamente cristiana. I valori evangelici infatti non possono essere separati da Cristo stesso, che ne è la fonte e il fondamento e costituisce il centro di tutto l’annuncio evangelico».19
Si tratta di percepire e di far scoprire in Cristo la grande sfida odierna di una nuova scelta di Dio: non il Dio che possiamo immaginare noi, ma quello che è oggettivamente vero in sé e nella storia; non una elaborazione religiosa dal basso, ma una rivelazione divina dall’alto, di tipo storico; non la profezia imperfetta di un uomo, ma l’incarnazione umana di Dio; non una ripetizione da assuefatti, ma la scoperta entusiasmante di ogni giorno.
Un Dio che ci ama, un Dio che ci crea, un Dio che ci parla, un Dio solidale che soffre e vince con noi. Non, dunque, un Dio ignoto e lontano, ma un Dio che ci è vicino come Padre, un Dio che si fa uno di noi, un Dio che viene per te e ti perdona il peccato, un Dio che ti ricostruisce dal di dentro fino a farti superare la stessa morte, un Dio che non ti toglie il dolore ma che lo fa fruttificare per la felicità definitiva. Il Vangelo di Cristo consiste nel proclamare ad ognuno: Dio ti ama, Dio è con te, Dio ti salva!
Mi piace qui ricordare quanto avevamo già riflettuto all’affrontare per la prima volta il tema della nuova evangelizzazione. Ci sono da considerare seriamente, dicevamo, tante «novità» proprie del divenire culturale; il non farlo ci paralizzerebbe. Ma «oggi, come ieri e come domani, permane viva, affascinante e decisiva la suprema novità del Cristianesimo nella storia: quella della Pasqua del Cristo.
È una novità di tipo storico-teologale. Non è sufficiente riconoscerne in astratto l’eccezionalità; urge presentarla come la più importante “notizia” per l’oggi, che stupisce, che rinnova, che sa rispondere agli interrogativi più angustianti, che apre la vita di ognuno e la storia dell’umanità alla trascendenza: si tratta della misteriosa dimensione escatologica (ossia, della meta finale, già realmente presente e influente) che incide anche sulle culture umane, le illumina, le giudica, le purifica, ne discerne e ne può promuovere i valori emergenti. La nuova evangelizzazione poggia tutta su questo evento supremo: il “novissimo” per eccellenza! Non c’è, né ci sarà mai novità più grande di questa: è metro di confronto per ogni altra novità; non invecchia; è la perenne massima meraviglia dell’inserzione di Dio nella storia; è la creazione nuova che si anticipa nel nostro mondo vecchio. Bisogna saper rendere visibile e comunicare questa suprema novità».20
Dunque, il Vangelo è questo; non ce n’è un altro! Non può cambiare perché neppure Iddio saprebbe inventare un evento maggiore di questo; esso è per sempre l’espressione suprema del suo amore all’uomo. Se si parla di «nuova» evangelizzazione è «perché — dice il Sinodo — lo Spirito Santo rende sempre nuova la Parola di Dio e sollecita continuamente gli uomini nel loro intimo. È nuova, questa evangelizzazione, anche perché non è legata immutabilmente a una determinata civiltà, in quanto il Vangelo di Gesù Cristo può risplendere in tutte le culture».21
Ruolo dei Religiosi e protagonismo dei giovani
La missione evangelizzatrice è compito di tutto il Popolo di Dio. Nel nuovo modo di rapportarsi della Chiesa con il mondo emerge una esigenza molto rilevante per l’impegno dei fedeli laici. Essi si collocano in prima fila nelle novità dell’ordine temporale e della cultura emergente. Insieme a loro, però, e come anima dinamizzante, c’è la vita consacrata, che ricorda a tutti, con intensità speciale, che non si può trasformare il mondo e offrirlo al Padre senza lo spirito delle beatitudini.22 Occupano, perciò, un posto strategico nella nuova evangelizzazione i Religiosi e le Religiose. La storia ci fa constatare che si deve ad essi in gran parte la prima evangelizzazione dei cinque continenti. Paolo VI, nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, parla con riconoscenza del loro «apporto immenso» di ieri e di oggi: «Grazie alla loro consacrazione religiosa, essi sono per eccellenza volontari e liberi per lasciare tutto e per andare ad annunziare il Vangelo fino ai confini del mondo. Essi sono intraprendenti, e il loro apostolato è spesso contrassegnato da una originalità, una genialità che costringono all’ammirazione. Sono generosi; li si trova spesso agli avamposti della missione, ed assumono i più grandi rischi per la loro salute e per la loro stessa vita. Sì, veramente, la Chiesa deve loro molto».23-24
I gravi problemi del contesto hanno bisogno con urgenza del rinnovamento dei Religiosi/e, con la testimonianza di una maggior qualità della loro identità e del loro apostolato: «le loro comunità potranno offrire a tutta l’Europa la testimonianza vitale del radicalismo evangelico, se diventerà ancora più intenso in loro l’appello a ciò che è essenziale nella vita consacrata».25 Quel «se» ci fa riflettere molto. I compiti principali da realizzare sono: il primato della spiritualità; la consapevolezza dell’ecclesialità dei carismi della vita religiosa; e la necessità di una pastorale d’insieme ispirata all’ancora attuale documento pastorale Mutuae relationes.
Ecco il punto! I Religiosi, primi evangelizzatori dei continenti, erano ripieni dell’ardore della fede, apostoli della Chiesa e collaboratori dei Pastori. Per noi Salesiani, nel nostro piccolo, possiamo ricordare nomi come Cagliero, Fagnano, Milanesio, Lasagna, Costamagna, Balzola, Evasio Rabagliati, Cimatti, Versiglia e Caravario, ecc. Il loro esempio ci chiede di rinnovare la qualità della testimonianza e dell’azione. È ormai classica l’affermazione di Giovanni Paolo II: novità di ardore, novità di metodo, novità di espressioni.
In un’intervista al teologo Max Thurian su «quale nuova evangelizzazione?», gli hanno chiesto se c’è un qualche modello di evangelizzatore che lo affascini particolarmente oggi. Ha risposto senza indugi che egli considera un modello sublime quello del santo Curato d’Ars, divenuto tra i suoi mediatore convincente di chi è Dio e dell’infinita sua misericordia. Ossia, che c’è bisogno nell’evangelizzatore di una capacità di contatto e di trasmissione del mistero di Cristo che permei veramente la sua personale esistenza: più testimonianza che ragionamenti.
Ebbene, se noi Salesiani ci chiedessimo a chi possiamo rivolgere lo sguardo per avere un modello ispiratore, penso non ci sia il minimo dubbio nel dire che dobbiamo guardare a Don Bosco. Certamente non per approfondire le novità culturali di oggi, bensì per riflettere con lui sui tre elementi segnalati dal Papa per l’efficacia della nuova evangelizzazione. Don Bosco evangelizzatore dei giovani ci stimola e ci è modello in ognuno dei tre elementi: l’ardore, il metodo e le espressioni.
— Nell’ardore: Don Bosco ci insegna l’intensità pastorale del «Da mihi animas»; è il primato dello spirito salesiano che deve caratterizzare la nostra novità di ardore. Questo impegno lo abbiamo assunto negli anni postconciliari; trascurarlo significa renderci incapaci a educare alla fede.
— Nel metodo, ossia nell’arte educativa, con cui Don Bosco visse la sua prassi pastorale, tenendo noi attentamente in conto le interpellanze attuali della «nuova educazione».26 Il Santo Padre ci ha scritto la lettera Iuvenum Patris precisamente per rivalutare questo tesoro di criteriologia educativa.
— Nelle espressioni: considerando l’instancabile creatività apostolica di Don Bosco pensiamo, per esempio, alle sue iniziative (assai originali per i coetanei) circa il tempo libero, circa il tipo di scuola popolare, circa l’avviamento al mondo del lavoro, circa la comunicazione sociale, circa la fiducia nell’associazionismo giovanile. Oggi ci sono tante situazioni inedite che richiedono evangelizzatori inventivi, mossi dal suo medesimo ardore spirituale e dai suoi stessi criteri metodologici.
Il CG23 ci ha invitati a «rifondare l’Oratorio» con il rinnovamento in fedeltà dinamica a questi principi che brillano nel nostro Fondatore. Vogliamo essere davvero, ispirandoci a lui, protagonisti della nuova evangelizzazione.
Il recente Sinodo fa, poi, un particolare appello ai «giovani affinché siano innanzitutto essi stessi gli evangelizzatori delle nuove generazioni».27 Noi dobbiamo impegnarci ad essere i portatori e gli animatori di questo appello, convinti che «i giovani — così leggiamo nella Christifideles laici — non devono essere considerati semplicemente come l’oggetto della sollecitudine pastorale della Chiesa: essi sono di fatto, e devono venire incoraggiati ad esserlo, soggetti attivi, protagonisti dell’evangelizzazione e artefici del rinnovamento sociale».28
Le deliberazioni del CG23 richiedono di essere attentamente studiate in ogni comunità per programmarne concretamente la realizzazione.
Il coinvolgimento salesiano
Credo sia un dovere del Rettor Maggiore quello di invitare i confratelli a vibrare concretamente con la Chiesa, nelle sue esperienze di Spirito Santo e nei suoi audaci propositi apostolici. Il Sinodo dei Vescovi dell’Europa è un evento ecclesiale che ci deve scuotere; in primo luogo i confratelli dell’Europa, ma poi — in differenti modi — tutti nei cinque continenti. Così lo sapranno fare, più avanti, i confratelli dell’America Latina, e poi quelli dell’Africa dopo i rispettivi Sinodi episcopali, la cui risonanza toccherà tutta la Congregazione. Ognuno di questi eventi è un momento di grazia per la Chiesa universale, e quindi per tutta la Congregazione.
Intanto le Ispettorie europee (ben 40!) sono impegnate, nel prossimo giugno, in una riunione di tutti gli Ispettori alla Casa Generalizia per studiare, insieme con il Rettor Maggiore e il Consiglio generale, le iniziative da prendere per incamminarsi — d’accordo con gli altri gruppi della Famiglia Salesiana — sulle piste indicate dal Sinodo. Ci sarà in agosto, al Colle Don Bosco, il «Confronto-92» con i giovani delle nostre presenze europee per lanciarli in questa direzione di futuro. Abbiamo già avuto, a Roma, riunioni con alcuni Ispettori dell’Est accompagnati dai loro Consigli, per discernere il da farsi nei complessi problemi sorti; così pure con i Delegati di pastorale giovanile di quelle regioni, perché essi hanno da creare con urgenza tutta una novità di approccio ai giovani.
Insomma, in sintonia con il Sinodo, c’è tutta una volontà di comunione e di partecipazione che stimola soprattutto il rinnovamento della nostra pastorale giovanile. Il fatto d’incamminarsi fa crescere in queste Ispettorie vitalmente il senso di Chiesa e offrirà continui e promettenti suggerimenti di creatività apostolica.
Per tutte le Ispettorie, poi, c’è da ispirarsi a quanto la celebrazione di questo Sinodo significa per la Chiesa universale.
Tra gli aspetti stimolanti possiamo sottolineare i seguenti:
— la consapevolezza dell’importanza storica dell’ora che viviamo e la sua lettura «sapienziale» per il rinnovamento dell’azione pastorale;
— la educazione a una fede che sia energia di vita per la persona, per la famiglia, per la società da rinnovare;
— la magnanimità apostolica e la speranza radicata nella potenza dello Spirito Santo per progettare grandi impegni apostolici di futuro;
— l’urgenza e la vera natura della nuova evangelizzazione con la centralità del mistero di Cristo nella prospettiva di molte vie da percorrere;
— l’interpretazione evangelica di una svolta antropologica frenata da svariate deviazioni ideologiche, che richiede l’illuminazione della verità rivelata a favore della libertà umana;
— l’inculturazione del Vangelo come dimensione missionaria dell’educazione alla fede: un nuovo umanesimo da purificare e promuovere, dove appaia chiara anche una giusta promozione della donna;
— il superamento di ogni nazionalismo e continentalismo per una formazione concreta alla solidarietà universale;
— la dedicazione alla formazione del laicato che occupa un posto di frontiera nella missione della Chiesa per il mondo;
— l’interscambio di doni tra esperienze ecclesiali diverse con l’emergere di una viva testimonianza del mistero della croce e dell’indispensabilità vitale del ministero di Pietro;
— l’auspicio di inseparabilità, nel cuore degli evangelizzatori, tra «spiritualità», «liturgia» e «teologia», come testimonianza di sintesi vitale della fede;
— la formazione della coscienza nel delicato campo della condotta morale; ecc.
Tutti questi aspetti (e altri ancora) sono entrati in qualche modo nel clima degli interventi, dei dialoghi e dei documenti del Sinodo dei Vescovi d’Europa.
È conveniente, perciò, far tesoro di questa visita dello Spirito Santo in un’ora storica che accomuna sempre più i popoli, con le loro culture, verso una convergenza universale, dove la fede cristiana è luce di verità ed energia di coesione.
Conclusione
Nel Sinodo si è parlato spesso anche della Madonna. Si è riconosciuta più volte e con commozione la sua materna protezione durante gli anni bui della terribile dittatura. Si è insistito nell’affermare che i grandi eventi dell’89 sono legati a un suo speciale intervento; la sua maternità per la Chiesa nella storia è permanente e misteriosamente efficace; Essa è davvero l’Aiuto dei cristiani.
Trattando della nuova evangelizzazione il Sinodo ha pensato a Lei sempre unita con noi nell’atteggiamento di preghiera, nel cuore della Chiesa come a Pentecoste, per invocare con sicura speranza lo Spirito Santo; si è ricordata a proposito l’affermazione di Paolo VI: «Possa Ella rifulgere come Stella dell’evangelizzazione da rinnovare sempre».29
E siccome tutti i veri apostoli della fede hanno bisogno di una continua autoevangelizzazione di se stessi, «attraverso la preghiera e la meditazione assidua della Parola di Dio, nonché lo sforzo quotidiano di metterla in pratica»,30 si è guardato a Lei come a modello altissimo che «ci insegna ad accogliere in noi la Parola di Dio e a metterla in pratica con tutto il cuore: “e Sua madre serbava tutte queste parole nel suo cuore” — Lc 2,51 —. Così Ella ha accompagnato, a fianco di suo Figlio, l’inizio dell’evangelizzazione».31
I padri sinodali hanno invocato Maria con il titolo di Odighitria, perché indica a tutti il cammino per giungere a Cristo e per procedere senza soste verso la vera fede.
È con questa fiducia, frutto di speranza viva, che noi ricorriamo a Lei convinti che tutto il nostro impegno di educazione dei giovani alla fede ha in Lei la Maestra e la Guida.
Don Bosco ci ha insegnato ad amarla e ad invocarla come Ausiliatrice proprio per la sua permanente maternità sempre attiva lungo il pellegrinaggio della Chiesa nei secoli.
Possiamo pensare che il recente Sinodo sia stato un dono significativo della Madre della Chiesa per incamminarci meglio verso i traguardi del terzomillennio.
Siamole grati e sentiamoci da Lei invitati ad assumere con coraggio l’arduo e complesso compito di essere evangelizzatori dei giovani oggi.
Un cordiale saluto a tutti nella gioia del mistero pasquale.
Con affetto in Don Bosco,
D. Egidio Viganò
NOTE LETTERA 51
1 Alcuni dati di questo Sinodo:
Participanti:
138 membri: 29 Vescovi dell’est e 38 dell’ovest; 11 Delegati fraterni (erano assenti i rappresentanti di 5 chiese ortodosse: Russia, Romania, Serbia, Bulgaria e Grecia); 8 Superiori religiosi; vari «auditores» e «adiutores» e altri invitati tra cui il Presidente, Vicepresidente e Segretario della Conferenza europea dei Religiosi/e e di alcune altre.
Regolatori:
3 Presidenti delegati (cardinali: Lustiger, Klemp, Martínez Somalo)
1 Relatore: Card. Ruini, con 2 segretari speciali: Mons. Vilk, Mons. Lehemann;
1 Segretario generale: Mons. Schotte.
Documenti principali:
Indicazioni della Segreteria del Sinodo, 12 aprile 1991
Lettera del Papa da Fatima, 13 maggio 1991
Lettera sui rapporti con gli Ortodossi, 31 maggio 1991
Discorso del Papa alla Commissione preparatoria, 5 giugno 1991
Il «Sommario», 10 novembre 1991
Le due relazioni del Card. Ruini «prima e dopo gli interventi in aula»
I discorsi del Papa
La Dichiarazione
Svolgimento:
15 Congregazioni generali
125 interventi orali
6 sessioni di circoli linguistici (di 12 gruppi)
5 audizioni di invitati speciali
6 GS 4-10
7 ib. 4
8 GS 54
09 cf. ACG n. 331
10 In un’inchiesta del 1981, per esempio, fatta in nove Paesi occidentali (Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia, Spagna, Olanda, Belgio, Irlanda, Danimarca), risultano i seguenti dati:
Coloro che credono in qualche modo
– in Dio, sono il 75%
– nell’anima, il 58%
– nel peccato, il 57%
– nella vita dopo la morte, il 43%
– nel diavolo, il 25%
– nella reincarnazione, il 21%
cf. J. STOETZEL: I valori del tempo presente. Un’inchiesta europea, SEI, Torino 1984, cap. 4
12 20-23 novembre 1991
13 Osservatore Romano 24-11-1991
15 cf. Centesimus annus 46
16 cf. CG23 246; e 203 ss.
18 cf. CG23 345-350
20 ACG 331, pag. 11-12
24 I Religiosi e le Religiose oggi in Europa sono 460.000: la metà della cifra mondiale.
26 cf. ACG n. 337
31 Dichiarazione, conclusione