ATTI DEL CONSIGLIO GENERALE
LETTERA DEL RETTOR MAGGIORE
Angel Fernández Artime
“APPARTENERE DI PIÙ A DIO, DI PIÙ AI CONFRATELLI,
DI PIÙ AI GIOVANI”
Roma, 16 agosto 2014
Inizio del Bicentenario della Nascita di Don Bosco
1. Sulle orme dei miei predecessori. 2. Un presente da essere vissuto nella fede, con speranza, con realismo e camminando insieme. 3. Appartenendo di più a Dio. 4. Facciamo realtà la ‘utopia’ della fraternità secondo il Vangelo. 5. Con i giovani, per i giovani “nostri padroni”. 6. Congregazione missionaria: quando la diversità è ricchezza. - 6.1. Perché ci sono campi di missione pastorale, dove siamo molto necessari in questo momento … - 6.2. … E perché la diversità è ricchezza. 7. Celebrando il centenario della nascita di Don Bosco. 8. “Prendiamo la Madonna in casa”: «E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé» (Gv 19,27).
Miei cari Confratelli,
Sono trascorsi già tre mesi e mezzo da quando è terminato il CG27 e, anche se ho già potuto comunicarmi con voi per iscritto o con un messaggio audiovisivo, la lettera del Rettor Maggiore che si pubblica negli Atti del Consiglio Generale è un momento speciale.
Ho scelto come titolo di questa mia prima lettera quello stesso del mio intervento alla chiusura del CG27 perché credo che nel contenuto del Capitolo si trovi tutto un programma di riflessione e di azione per il sessennio, che dobbiamo approfondire in momenti e modi diversi. Intendo riferirmi ad alcuni nuclei del Capitolo Generale, ma in primo luogo e soprattutto vorrei esprimere a tutti e ad ognuno di voi, miei Confratelli salesiani, tutto l’affetto e il desiderio che, in qualche giorno, e in qualche luogo del nostro ‘mondo salesiano’, possiamo incontrarci. Sarà un vero regalo ed una gioia per me.
E voglio anche dirvi che, pensando al modo di manifestarvi cosa rappresenta per me questo momento in cui vi scrivo e questo servizio che mi è stato richiesto, ho pensato di cercare e di leggere come fu la prima comunicazione di ognuno dei Rettori Maggiori che mi hanno preceduto. Devo dirvi che è stato un vero piacere e un dono per l’anima incontrarmi con questi testimoni e non posso tralasciare di condividere con voi quel che ho avvertito, perché parla di per sé.
1. SULLE ORME DEI MIEI PREDECESSORI
Devo confessarvi che il solo fatto di scrivere questo rapporto mi commuove, pensando proprio ai Rettori Maggiori che abbiamo avuto. In tutti loro si coglie che questo inizio del loro servizio è stato veramente qualcosa di molto speciale.
Don Michele RUA (Beato), che scrive la sua prima lettera come Rettor Maggiore il 19 marzo 1888, dopo il riconoscimento e il decreto della Santa Sede che lo confermava come Rettor Maggiore, si esprime dicendo che dopo la lettera inviata dallo stesso Capitolo Superiore, egli, per la prima volta, scrive loro nella sua nuova qualità di Rettor Maggiore a cui “nonostante la mia indegnità, sono stato condotto dalla Divina Provvidenza nel modo che è stato manifestato a tutti voi”1. Detto questo, Don Rua comunica che, dopo l’udienza personale col Papa Leone XIII, il Cardinale Vicario gli disse come ultime parole: “Le raccomando la causa di Don Bosco; le raccomando la causa di Don Bosco”2. Successivamente esprime la sua profonda convinzione che i Salesiani debbono essere degni figli di un Padre così grande come fu Don Bosco, di modo che l’impegno principale dev’essere quello di sostenere, e allo stesso tempo sviluppare ancor più, le opere da lui iniziate, seguendo fedelmente i metodi praticati e insegnati da Don Bosco stesso. Poi ringrazia per tutte le lettere ricevute, piene di sentimenti di rispetto e di affetto, e riconosce che tutto ciò è di sollievo al suo dolore (si intende, per la perdita di Don Bosco) e infonde nel suo cuore la fiducia di trovare meno scabroso il suo cammino: “Ciò non ostante non posso nascondere né a me né a voi il grande bisogno che ho delle vostre preghiere. Alla vostra carità pertanto mi raccomando, affinché tutti mi sosteniate colle valide vostre orazioni. Dal canto mio vi assicuro che tenendovi tutti nel mio cuore, ogni giorno nella S. Messa vi raccomanderò al Signore, affinché vi assista colla sua santa grazia, vi difenda da ogni pericolo, e soprattutto ci conceda di trovarci un giorno tutti insieme, nessuno escluso, a cantare le sue lodi in Paradiso, dove ci attende siccome ce lo scrisse, il nostro amatissimo Padre Don Bosco”3.
Don Paolo ALBERA scrive la sua prima lettera a Torino il 25 gennaio 1911. Il Capitolo Generale XI era terminato il 31 agosto 1910. In questa lettera, con tutta la sua semplicità, D. Albera comincia dicendo che è consapevole che con una certa impazienza si aspettava la prima circolare del nuovo Rettor Maggiore e riconosce che, appena concluso il Capitolo Generale, avrebbe dovuto informare delle elezioni dei Superiori e di altre cose importanti4.
Con la semplicità che conosciamo in Don Albera, nella lettera manifesta che la scrive in una data vicina all’anniversario della morte del Venerabile Don Bosco, una data che Don Rua frequentemente sceglieva per scrivere qualcuna delle sue ‘ammirabili circolari’, ed è convinto che “da questa memorabile data più che da altro ne verrà autorità ed efficacia alla povera e disadorna mia parola. Ecco pertanto che io mi presento a voi non già col linguaggio di un superiore e di un maestro, bensì colla semplicità e coll’affetto di un fratello e di un amico. È mio intendimento palesarvi i miei pensieri col cuore alla mano e colla fiducia che la mia voce troverà un’eco fedele in tutti i Salesiani e a tutti servirà di stimolo a mostrarci sempre più degni figli del nostro Venerabile Fondatore e Padre”5. Detto questo, più avanti, nella stessa lettera, col titolo: “… Sotto il peso della responsabilità”, Don Albera scrive una bellissima pagina, dove esprime che si sente sotto un grande peso, e che avrebbe voluto sottrarsi a “un incarico che io conosceva di gran lunga superiore alle mie debolissime forze fisiche, intellettuali e morali”6.
Si vedeva attorniato – sono parole sue – da molti altri meglio preparati per assumere il governo della nostra Pia Società, maggiormente forniti di virtù e di sapienza… Appena poté corse a Valsalice a gettarsi ai piedi di Don Bosco, lamentandosi perché avesse lasciato cadere nelle sue mani il timone della navicella salesiana.. esponendogli, più col pianto che con le parole, le sue ansie, i suoi timori, la sua debolezza7.
Don Filippo RINALDI (Beato) scrive la sua prima lettera che viene pubblicata negli Atti del Capitolo Superiore, ‘Atti’ che già con Don Albera avevano fatto la loro apparizione tre anni prima e di cui erano stati pubblicati 13 numeri. Nella prima frase della lettera scrive:”È la prima volta che vi scrivo come Rettor Maggiore, e mi sarebbe caro potervi manifestare in tutta la loro pienezza i sentimenti e gli affetti che la nuova grande responsabilità ha suscitato nel mio cuore in questi giorni memorandi. Ma è facile capire come ciò non sia possibile: nella nostra vita succedono talora avvenimenti così inopinati e imponenti, che le parole non riescono ad esprimere e colorire in modo adeguato ciò ch’essi destano in noi. Lascio perciò alla vostra esperienza e bontà d’interpretarli, questi miei sentimenti ed affetti”8.
Successivamente, Don Rinaldi scrive che, non potendo ringraziare uno per uno ogni salesiano, neppure con una semplice parola, affida il proprio ringraziamento a quelle poche righe che scrive per tutti, aggiungendo che il 24 del precedente mese di aprile, accompagnato da Ispettori e Delegati del Capitolo Generale, e attorniato da confratelli e da giovani dell’Oratorio, si era prostrato, commosso, davanti alla sorridente immagine della nostra Ausiliatrice nel suo bel Santuario, sentendo che tutti erano affidati al suo cuore, come figli amati9.
Don Pietro RICALDONE scrive la sua prima lettera, col suo saluto, il 24 giugno 1932, cominciando in questo modo: “Il mio primo saluto è una preghiera. La nostra Società non è più nelle mani esperte e sante del B. Don Bosco, di Don Rua, di Don Albera, di Don Rinaldi: aiutatemi ad ottenere dal Signore che, nelle mani del vostro nuovo Rettor Maggiore, non abbia ad affievolirsi il fervore del suo zelo e il ritmo della sua espansione”10.
Don Ricaldone chiede scusa per non aver potuto scrivere subito il suo affettuoso e paterno saluto anche se il suo pensiero è corso immediatamente a tutti loro, ma il Capitolo Generale e gli affari urgenti da trattare con gli Ispettori, oltre al viaggio a Roma, glielo hanno impedito. Ringrazia per le adesioni così cordiali ricevute ed accompagnate dalla promessa di averlo presente davanti a Dio e di mantenersi fedeli all’osservanza delle Costituzioni e fortemente attaccati allo spirito del Beato Don Bosco.
In data 24 agosto 1952, Don Renato ZIGGIOTTI scrive la sua prima lettera dicendo di aver atteso che terminasse il Capitolo Generale XVII e che fossero festeggiate le date del 15 e 16 agosto con le nuove professioni nel ricordo della nascita del nostro amato Padre e Fondatore, “prima di inviarvi questa mia prima lettera, che metto sotto la speciale protezione della nostra Madre Maria SS. Ausiliatrice, nel giorno sacro alla sua commemorazione mensile”11.
Il Rettor Maggiore ringrazia, in seguito, per gli auguri che gli sono stati inviati in occasione della sua nomina e assicura il suo ricordo nella preghiera per tutti e ciascuno, particolarmente nel caso che a qualcuno, tra la grande quantità di lettere ricevute, non fosse giunta la dovuta risposta.
Più avanti racconta ai confratelli come è stato il momento della sua elezione, quel 1° agosto. “E fu circa le ore 13 di quel giorno che, completati i lunghi preparativi necessari, il giuramento degli elettori e lo scrutinio solenne, toccò al povero sottoscritto l’onore incomparabile per un Salesiano e insieme la gravissima responsabilità di divenire quinto successore di San Giovanni Bosco. Non vi dico, carissimi Confratelli, la mia confusione e la mia gioia insieme nel vedermi applaudito, festeggiato, abbracciato con visibile commozione da tutti i Membri del Capitolo Generale e in modo particolare da parecchi miei antichi amati Superiori e compagni, dagli anziani e dai giovani, che vedevano chiuso il periodo di lutto e iniziato il nuovo Rettorato”12.
Don Luigi RICCERI scrive le sue prime parole come Rettor Maggiore, datandole in quello che egli chiama ‘glorioso anniversario’, il 16 agosto 1965, dicendo: “Mi presento per la prima volta a voi in un giorno tanto caro al nostro cuore di figli. Ricorre oggi il 150° anniversario della nascita del nostro dolcissimo Padre”13.
Racconta successivamente l’emozione sperimentata celebrando la Santa Messa nella chiesa inferiore del Tempio del Colle, circondato dai Superiori, con Don Ziggiotti, Don Antal, le Madri del Consiglio Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, confratelli, novizi, consorelle, cooperatori, ex-allievi, devoti e amici di Don Bosco, una Messa trasmessa per milioni di persone in undici nazioni, per mezzo della televisione, in ‘Eurovisione’. Il suo pensiero volava al contrasto con quell’umilissimo e ignoto natale del nostro padre 150 anni prima. La sua mente volava a pensare alla Provvidenza e ad intonare con il cuore il Magnificat.
Più avanti, sotto la titolazione di ‘motivi di fiducia’ afferma: “Certo, guardando a Don Bosco, e anche ai suoi Successori, sento tutta la mia pochezza e quanto sia inadeguato a mettermi nella loro scia”14. Don Riceri manifesta che un certo conforto davanti a quel senso di pochezza gli è dato al pensare che è stato chiamato a quel posto nella Congregazione, attraverso il voto espresso dai Capitolari. E che il Signore, che batte strade diverse da quelle degli uomini, ha disposto che fosse chiamato a governare la Congregazione. “Facciamo insieme la sua volontà; a me non rimane che essere sempre più docile, per quanto modesto, strumento nelle mani del buon Dio”15.
Altro motivo di conforto gli è l’affettuosa e sincera carità e la grande fiducia di coloro che sono accanto al nuovo Rettor Maggiore per aiutarlo, confortarlo, ed essere, da veri figli e fratelli, suoi cordiali e fattivi collaboratori.
Infine, manifesta il suo Cuore di Padre dicendo: “Da parte mia, aprendovi tutto il mio cuore, desidero dirvi che mi sento a servizio di ciascuno di voi, col cuore di un padre. L’autorità, ne sono profondamente convinto, oggi specialmente, non è un esercizio di potere, ma esercizio di quella carità che diventa servizio, come quello che un padre e una madre prestano ai loro figliuoli. (…) Vorrei, in una parola, far sentire a ciascuno di voi tutto il mio vivissimo desiderio, la mia volontà, di essere e mostrarmi sempre padre; per questo prego insistentemente Don Bosco e Don Rinaldi, che mi diano qualcosa del loro cuore”16.
Nella solennità dell’Annunciazione, il 25 marzo 1978, Don Egidio VIGANÒ scrive la sua prima lettera ai Confratelli, dicendo loro: “Vi saluto con gioia e speranza e desidero condividere fraternamente con voi alcuni pensieri che ho nel cuore. (…) La Provvidenza ha sconvolto alcuni mesi fa la mia esistenza con il fatto della designazione a vostro Rettor Maggiore. Ormai sta divenendo un abito per me la coscienza delle gravi responsabilità inerenti a questo “servizio di famiglia”, che esige vera paternità spirituale in profonda sintonia con Don Bosco”17.
Don Viganò, in seguito, sottolinea la certezza che il Signore lo aiuta, tuttavia, a percepire la bellezza e l’abbondanza di grazia di questo servizio e, in particolare , l’aiuto materno di Maria che accompagna tale ministero, con la gioia di poter entrare in comunione con ciascuno dei confratelli e con ogni comunità, per riflettere e crescere insieme nella gratitudine e nella fedeltà.
E, riferendosi a se stesso, esprime quanto segue: “Vorrei avere lo stile piano e penetrante di Don Bosco e la immediatezza di comunione che possedevano gli altri suoi successori, ma a difetto di piacevolezza e di semplicità, ci sia almeno sincerità e sodezza”18.
Spettò a Don Juan Edmundo VECCHI, nella sua funzione di Vicario, trasmettere il messaggio di speranza in memoria di Don E. Viganò, dopo la sua morte accaduta il 23 giugno 1995. Dopo il sereno congedo dal settimo successore di Don Bosco, egli guidò la Congregazione verso la celebrazione del CG24, cui diede iniziò il 18 febbraio 1996 con la sessione di apertura e con la chiusura il 20 aprile, già come Rettor Maggiore.
Per questo è comprensibile che, avendo assunto il governo della Congregazione previamente al Capitolo, la sua prima lettera, dell’8 settembre 1996, sulla Esortazione Apostolica “Vita consacrata”, non abbia alcun riferimento all’inizio del suo servizio come Rettor Maggiore. In questo senso vi è una differenza rispetto a tutte le situazioni precedenti.
Infine, Don Pascual CHAVEZ, eletto Rettor Maggiore nel CG25, comincia la sua prima lettera a tutti i confratelli dopo un periodo di tempo dalla chiusura del Capitolo, che egli qualifica come forte esperienza spirituale salesiana. I documenti capitolari sono già arrivati in quel momento alle Ispettorie e desidera – scrive – mettersi “in contatto con voi attraverso questa mia prima lettera circolare. Scrivere lettere è stata la forma apostolica adoperata da San Paolo, per superare la distanza geografica e l’impossibilità di essere presente in mezzo alle sue comunità, per dare accompagnamento alla loro vita. Con le dovute differenze, anche le lettere del Rettor Maggiore intendono creare vicinanza con le Ispettorie attraverso la comunicazione, condividendo quanto accade nella Congregazione ed illuminando la vita e la prassi educativo-pastorale delle comunità”19.
La lettera è datata alla vigilia dell’Assunzione di Maria e a due giorni dalla data che ricorda la nascita di Don Bosco. In essa Don Pascual desidera esprimere il suo desiderio di essere vicino a tutti: “Non vi nascondo che mi piacerebbe tanto esservi vicino e condividere i vostri lavori attuali e i vostri migliori sogni; in modo particolare, sento nel profondo del cuore il desiderio di pregare per ognuno di voi. Il Signore vi riempia del suo Dono per eccellenza, lo Spirito Santo, perché vi rinnovi e vi santifichi ad immagine del nostro Fondatore”20.
Dopo aver espresso questo desiderio, Don Pascual manifesta la sua intenzione di voler parlare alla Congregazione, in questa prima lettera, della santità, non tanto come se si trattasse di un piccolo trattato, quanto piuttosto di presentarla come dono di Dio e urgenza apostolica.
2. UN PRESENTE DA VIVERE NELLA FEDE, CON SPERANZA, CON REALISMO, E CAMMINANDO INSIEME
Con totale sincerità posso dirvi, cari Confratelli, che mi sono commosso in diversi momenti facendo questo percorso attraverso la Nostra Storia di Congregazione. Questo percorso dopo quel 31 gennaio 1888, quando Don Bosco ci lasciò, mi invita (credo che ci invita) ad un profondo Ringraziamento per tutto quel che è stata la nostra storia. Una storia che sarebbe fatuo contemplare con trionfalismo e che, invece, dobbiamo leggere con uno sguardo di Fede, che ci parla di come il Signore ha voluto scrivere delle belle pagine a favore dei giovani per mezzo di tanti confratelli che ci hanno preceduto.
Pensando alla mia povera persona, posso dirvi che vorrei per me stesso – per servire meglio la Congregazione e la Famiglia Salesiana di cui facciamo parte – tutti ed ognuno di quei tratti più particolari che hanno contraddistinto ognuno dei Rettori Maggiori precedenti, nell’ambito del loro contesto teologico, sociale e di sviluppo della Congregazione.
Non si può esprimere in poche linee il percorso che abbiamo fatto nella nostra Congregazione. Occorrerebbe tutta una pubblicazione storica molto accurata; ma, ad ogni modo, anche gli studiosi della storia della nostra Congregazione ammetteranno che si può parlare di momenti così caratterizzati: di Fondazione, di Consolidamento e Strutturazione (con una forte crescita ed espansione), di Revisione Postconciliare e Definizione Teologica, di Proiezione Pastorale della Missione, e la tappa della Identità Salesiana e Radicalità Evangelica della nostra vita di Consacrati. Tutto questo, si intende, arricchito da tante sottolineature ed opzioni, che sono fatte dai Capitoli Generali, e che posteriormente i diversi Rettori Maggiori fanno proprie.
È bello e molto ricco il patrimonio ricevuto, e rende più grande la nostra responsabilità davanti al Signore, davanti a Don Bosco e anche davanti a coloro che in epoche precedenti hanno dato il meglio di se stessi.
Vi chiederete come mi situo davanti a questa realtà e quale programma di animazione e governo si intravede. Ebbene, personalmente posso condividere con voi quel che ho detto il 25 marzo. Sento che sto vivendo così:
▪ Dal punto di vista della Fede, mi abbandono al Signore.
▪ Perché so di non essere solo, giacché veramente si sperimenta un vissuto di quella ‘forza interiore’ che viene dallo Spirito (“Ti basta la mia grazia”), che è presenza della Madre (“Figlio, ecco tua madre”…). E non sono solo perché si sperimenta quella comunione fraterna e di aiuto da parte dei Confratelli Salesiani (di voi che mi siete accanto nel quotidiano, e di voi che siete in tante parti del mondo come altrettanti ‘Don Bosco oggi’ per i giovani che vi attendono). E non sono solo perché si sperimenta anche il calore affettivo e le attenzioni che ricevo nella nostra Famiglia Salesiana.
▪ E vivo portando i giovani nel cuore. Lo sento molto vivamente, e in modo speciale i più poveri, i più bisognosi, gli ultimi.
Quanto al Programma di Animazione e Governo del sessennio, esso viene splendidamente definito dal CG27, e non dubito che tutto quel che possiamo volere è contenuto in eso, in un modo o nell’altro.
Sarà programma del sessennio:
▪ Continuare a curare la nostra Identità Carismatica in piena fedeltà a Don Bosco, una identità nuova nelle forme e nelle espressioni a 200 anni dalla sua nascita, ma identica nella purezza ed essenzialità del suo carisma, che noi abbiamo ricevuto in eredità.
▪ Garantire in tutte le parti della nostra Congregazione la nostra condizione di Consacrati, come uomini che scegliamo veramente di stare nella Trama di Dio, essendo mistici nella nostra quotidianità.
▪ Curare la realtà umana, affettiva e vocazionale di ogni confratello e delle nostre Comunità. Vogliamo sognare davvero la Utopia di una Fraternità irresistibile dal Vangelo.
▪ Testimoniare in modo più eloquente ed evidente la nostra sobrietà e austerità di Vita, la nostra Povertà che è Lavoro e Temperanza.
▪ Vivere, fino alle ultime conseguenze che si presentano, la opzione per i giovani più poveri. Con umiltà, senza alcun trionfalismo, ma come ai tempi di Don Bosco ci si deve riconoscere principalmente per queste opzioni, decisioni e azioni.
▪ E tutto questo non lo facciamo da soli. Formiamo parte di una grande Famiglia Salesiana che deve, essa pure, crescere in identità e appartenenza, e disponiamo della grande forza di un laicato ben formato e impegnato nella Missione Condivisa. Traduco in una espressione personale quel che ha espresso il CG24 diciotto anni fa: Arrivato questo momento, la missione condivisa con i laici non è più opzionale, è un’esigenza carismatica.
3. APPARTENENDO DI PIU’ A DIO
Devo confessarvi, cari Confratelli, che espressioni come Primato di Dio, Mistici nello Spirito, Trama di Dio, Vicinanza di Dio, Unione con Dio, Cercatori di Dio… sono espressioni che mi toccano profondamente nel cuore, dicendomi che qui c’è qualcosa di importante, che questa è la chiave, che tutto il resto nel quale spendiamo tante energie ‘ci è dato in aggiunta’, o ‘cade come frutto maturo’, vale a dire è una conseguenza, è garantito.
Allo stesso tempo vi confesso con grande sincerità un timore che ho sperimentato in egual modo nei miei anni di servizio come Ispettore: sento che parlando di questo possono esserci dei confratelli che semplicemente prendono le distanze, che qualificano questo, già ‘a priori’, come teologia sorpassata, come paradigma che ‘non va più’, ‘è ormai fuori uso’.. Eppure si trovano queste stesse espressioni nei più diversi luoghi, in scritti teologici e in riviste di attualità in cui si sente il polso della vita religiosa.
Nel nostro CG27, raccogliendo l’esperienza di tutta la Congregazione, la diagnosi era tra noi coincidente e con altri sguardi.
Credo veramente, Confratelli, che la vita spirituale dev’essere al primo posto21, una vita spirituale che è prima di tutto ricerca di Dio nel quotidiano, in mezzo a quel che facciamo, alle nostre occupazioni. E dico questo perché per noi, come lo fu per Don Bosco nella ricerca del meglio per i suoi giovani, la loro salvezza, e per tutta la vita religiosa di oggi, l’elemento fondamentale di essa è stato, continua ad essere e sarà, la persona del Signore Gesù e il suo messaggio. In definitiva, I centralità di Gesù Cristo nella nostra vita. Può anche darsi che ciò non sia stato mai messo in dubbio, ma non è lo stesso farlo vita e criterio della propria vita.
La nostra vita religiosa – perché, non dobbiamo dimenticarci che la nostra vita non è solo vita salesiana, ma vita religiosa come consacrati Salesiani – non trova la sua ragione d’essere in quel che facciamo, neppure nei modi di organizzarci, né nell’efficienza dei nostri programmi e pianificazioni. O la nostra vita religiosa come consacrati ci fa diventare segno (comunità di uomini credenti al servizio del Regno), oppure corriamo il pericolo di preoccuparci più della nostra forza (caso mai l’avessimo) che del messaggio di Dio.
Il pericolo insito in ogni vita religiosa è quello di perdere la freschezza carismatica. È possibile che ci coinvolgano tanto i lavori, le attività, i compiti (pastorali o meno) ... e possiamo perdere il valore simbolico della nostra vita. Per esempio, quando sento, come mi è capitato recentemente, che in un determinato paese, con grande presenza di opere salesiane, abbiamo un grande riconoscimento per le nostre opere sociali, e invece è poco stimata la nostra condizione di salesiani come persone credenti di vita consacrata, debbo confessarvi che mi preoccupo e mi chiedo: cos’è che non facciamo bene? che cos’è che non riusciamo a testimoniare?
Per questo… quando ci domandiamo che cos’è l’essenziale nella nostra vita, il cammino è quello del ritorno all’incontro con Colui che dà significato ad ogni istante, chiedendoci il perché, per che cosa e per chi facciamo le cose, in base a quale criterio facciamo le nostre scelte e viviamo come viviamo.
Per tutto questo possiamo dire che il nucleo della nostra identità e la ragion d’essere della nostra vita religiosa è, in definitiva, l’esperienza di Dio. E la domanda sulla qualità di vita nella vita religiosa diventa, in definitiva, la domanda circa la qualità di questa esperienza di fede22. Ed è in questo quadro e in questo contesto che il nostro Capitolo, al numero 32, sottolinea che così come per Don Bosco, anche per noi il primato di Dio è il punto di appoggio che dà ragione della nostra presenza nella Chiesa e nel mondo. Tale primato dà significato alla nostra vita consacrata, evita il rischio di lasciarci assorbire dall’attività, dimenticando di essere essenzialmente ‘cercatori di Dio’e testimoni del suo amore in mezzo ai giovani e ai più poveri.
Pertanto, ancora una volta dobbiamo aiutarci, mutuamente, a credere veramente che è questa l’esperienza base della nostra vita, quella di Dio in noi o, detto in altro modo teologico, vivendo tutta la nostra esistenza ‘in Dio’. Cari Confratelli, qualsiasi siano le parole con cui vogliamo esprimerlo, ma… la radice della nostra vita salesiana, come di tutta la vita consacrata, è mistica, perché se quel che ci sostiene, che ci muove, non è un’esperienza reale e nutritiva del Signore, tutto il resto non ci porterà molto lontano. E ogni giorno le stanchezze, le personalità a pezzi, i vuoti esistenziali – anche se credevamo di stare vivendo tutto per Dio – ecc., che così frequentemente vediamo in confratelli nostri, costituiscono una prova dolorosa ma irrefutabile, che è proprio così.
Voglia il Signore concederci il Dono di essere veramente più ‘cercatori di Lui’, dando pienezza di senso al nostro Essere, anzitutto, e al nostro vivere e fare, poi.
4. FACCIAMO REALTÀ LA ‘UTOPIA’ DELLA FRATERNITÀ SECONDO IL VANGELO
‘Casa’ e ‘famiglia’ – leggiamo al numero 48 del nostro CG27 – sono due parole frequentemente usate da Don Bosco per descrivere lo ‘spirito di Valdocco’ che deve risplendere nelle nostre comunità.
L’assemblea capitolare ha fatto una lettura aperta alla speranza ma anche realistica (con le sue luci e ombre) della nostra vita comunitaria, dimensione della nostra vita che, pur potendo avere la maggior forza profetica, è sicuramente quella che ha la ‘salute più fragile’ nella mappa della nostra Congregazione.
Si dice, nel documento capitolare, che dal CG25 in avanti sta crescendo l’impegno per vivere in forma più autentica la nostra vita comunitaria (n. 8) anche se si constatano, dietro il ‘rispetto’ e la ‘tolleranza’, indifferenze e mancanza di cura nei confronti del confratello (n. 9). La comodità e l’attivismo portano a ritenere il tempo che si dedica alla comunità come un tempo ‘rubato’ sia all’ambito della ‘sfera privata’ o alla missione (n. 9). Se rispondiamo con difficoltà alla chiamata di Dio in modo radicale, ciò si deve, in parte, ad una debole convinzione… nel realizzare la comunione nella comunità (n. 36).
Allo stesso tempo, e con uno sguardo positivo e speranzoso, riconosciamo che la vita di comunità è uno dei modi di fare esperienza di Dio. Vivere la “mistica della fraternità” è un elemento essenziale della nostra consacrazione apostolica (n. 40).
E vivere la spiritualità della comunione… e costruire la comunità, suppone di passare dalla vita in comune alla comunione di vita (n. 45).
Queste e altre constatazioni troviamo nella riflessione capitolare che, senza dubbio, stiamo leggendo e meditando. Non mi trattengo più a lungo su questo punto. Non è necessario raccogliere altre citazioni per mostrare tutto un mosaico di luci e di ombre. La domanda, alla luce del nostro CG27, è: che cosa dobbiamo curare, che cosa dobbiamo cambiare, che cosa dobbiamo continuare a fare e che cosa no, affinché realmente la nostra vita comunitaria abbia tutta la forza di attrazione che ha la Fraternità vissuta secondo il Vangelo, fino al punto di essere ‘irresistibile’ nella sua attrazione?
Certamente la vita comunitaria ha, come ha scritto un autore, “tutto l’incanto di ciò che è difficile e di quel che è possibile, della grazia e della debolezza. Solamente con la grazia di Dio si rimane in comunità e si approfondisce questa esperienza… Ed è una penitenza ed un’ascesi che purifica ed esercita nella collaborazione, nella partecipazione e nella comunione. Ma è anche, e soprattutto, un incanto. Si sta in comunità per essere felici e sono molti quelli che ci riescono (…) e se vogliamo parlare dell’incanto della vita comunitaria bisogna dire una parola sulle distanze corte dell’amore fraterno. Ciò suppone presenza, affetto reciproco e correzione fraterna, l’interessarsi gli uni per gli altri, l’aiutarsi mutuamente; in definitiva, l’amore fraterno in tutto il suo dispiegamento. Il cuore chiede ed esige. La vita comunitaria del futuro sarà fraterna o non sarà del tutto23. È questo uno degli ingredienti che più cercano i candidati di oggi, e non sempre quel che incontrano maggiormente”24.
Questa dimensione della vita religiosa è oggi indubbiamente una grande forza testimoniale. Come in gran parte dei nostri contesti sociali, esistono, a fianco di realtà positive, una crescente incomunicabilità, isolamento, un individualismo che va aumentando e una solitudine che, in molte culture, è la grande malattia del nostro tempo, così come la sua sorella gemella, la depressione. La testimonianza delle comunità religiose, anche delle nostre, dovrebbe costituire un vero annuncio evangelico, una buona notizia, autentica provocazione o interpellanza.
Per questo, vi confesso che una delle mie maggiori inquietudini è quella di pensare, vedere, immaginare, comunicarci in che modo possiamo camminare nella direzione adeguata, di fronte a questa realtà debole di non poche presenze nostre. Confratelli, tante volte la nostra comunione di vita viene sacrificata da altre cose! Mi chiedo, per esempio, perché noi, che dovremmo essere degli esperti in umanesimo, soprattutto per la nostra condizione di educatori dei giovani, abbiamo a fianco nelle nostre comunità, a volte nel refettorio o in stanze contigue, dei confratelli che sono feriti nel loro cuore, lacerati dalla solitudine e dalla disillusione, fratelli che hanno voluto essere felici come salesiani e non lo sono. È vero che questa non è tutta la realtà della nostra Congregazione, anzi al contrario, però è anche una realtà presente e dovrebbe bastarci un solo caso, un solo confratello ferito perché sanguinasse il cuore un po’ a tutti. Nel nostro caso credo che si potrebbe qualificare come peccato, se a parole o coi fatti o con i silenzi, rispondessimo come Caino di fronte alla domanda del Signore “Dov’è tuo fratello?” Non lo so – rispose – Sono forse io il custode di mio fratello?” (Gn 4,9). Sì, lo siamo! Non custodi, ma curatori di lui.
La nostra grande sfida, cari Confratelli, per ogni Ispettore, Consiglio, Direttore e ognuno dei nostri Confratelli in ognuna delle comunità del mondo salesiano è questa: Fare della nostra Comunità un vero spazio di vita di comunione. Come passare da una vita in comune con momenti stabiliti, regolamenti, pianificazioni – che certamente ci possono essere di aiuto – a una vita di comunione? Senza dubbio ciò supporrà conversione personale e pertanto comunitaria, occorrerà un impegno affettivo ed effettivo per portare avanti questo intento; si tratta di un processo che richiede da noi di ammettere che ognuna delle tappe della nostra vita è un’opportunità per crescere, per aprirsi alla novità di un incontro più autentico con i Confratelli con la forza che dà Dio, per rendere più visibile la sua presenza tra noi.
5. CON I GIOVANI, PER I GIOVANI “NOSTRI PADRONI”
L’espressione non è mia, è di Don Bosco, molto frequente in lui: “I giovani sono i nostri padroni”25; e nei loro confronti egli mantenne sempre un atteggiamento di autentico servitore.
È affascinante, cari Confratelli, tutto quello che abbiamo come scritti nel patrimonio della nostra Congregazione, da Don Bosco stesso fino ad oggi, in rapporto alla nostra priorità: i giovani e specialmente i più poveri. Ciò si deve al fatto che l’abbiamo veramente nel nostro cuore, nel nostro DNA, come ho detto più volte. E si deve anche al fatto che, a volte, dobbiamo ricordarcelo affinché sia più evidente questa nostra predilezione, ricordarcelo e ricordarlo ad altri per non dimenticarlo.
Don Bosco, ci ricorda lo stesso CGS XX, diede una consegna molto speciale tra i ricordi ai primi missionari, che conserva la sua piena attualità per tutti noi: “Fate che il mondo conosca che siete poveri negli abiti, nel vitto, nelle abitazioni e voi sarete ricchi davanti a Dio e diverrete padroni del cuore degli uomini”26
Se è stato così lungo tutta la nostra storia di Congregazione, alla luce del CG27, cari Confratelli, e con una decisa opzione per essere servitori dei giovani, tale opzione per i giovani, e specialmente per i più poveri, diventa, deve diventare in modo imperativo, lo sforzo massimo e il tratto distintivo della Congregazione in questo sessennio, con un profondo senso di Dio ed essere vera profezia di fraternità, in cui la nostra opzione per i più bisognosi sia così evidente da non esserci bisogno di parole per spiegarlo. “Il mondo ci riceverà sempre con piacere fino a tanto che le nostre sollecitudini saranno dirette ai fanciulli più poveri, più pericolanti della società. Questa è per noi la vera agiatezza che nessuno verrà a rapirci”27.
L’opzione per i poveri sarà in questo modo la versione più evangelica del nostro voto di povertà, e ci aiuterà, sicuramente, a superare l’inclinazione così naturale che abbiamo noi umani, persone e istituzioni, ad associarci col potere e i potenti, ad avere e possedere in eccesso, inclinazione totalmente contraria al Vangelo e alla prassi di Gesù.
Confratelli, quando il nostro recente Capitolo Generale afferma che vogliamo essere una Congregazione di poveri e per i poveri, perché come Don Bosco crediamo che questo dev’essere il nostro modo di vivere con radicalità il Vangelo e la maniera di essere più disponibili alle esigenze dei giovani, non sta pensando solamente che sia un suggerimento per i salesiani più sensibili o un po’ più generosi, ma lo prospetta come un operare nella nostra vita un autentico esodo28. Dev’essere qualcosa di essenziale per il nostro essere Salesiani di Don Bosco, e quel che deve stare a cuore ad ogni salesiano. L’eccezione dovrà essere quella dei confratelli che non si sentono capaci – perché qualcosa non va bene nella loro vita – ed allora potranno fare assegnamento sulla nostra fraternità e il nostro aiuto, ma non dovrebbe trattarsi mai di una opzione per la tiepidezza, per la mediocrità nella dedizione, il defilarsi dall’opzione per i più poveri, e meno ancora dovrebbe darsi il caso di un ragazzo, una ragazza, un adolescente o un giovane che debba lasciare la casa di Don Bosco perché non dispone di risorse economiche per pagare questo o quello.
Ci sarà forse qualcuno che penserà che si tratta di qualcosa di bello ma irrealizzabile, qualcuno che dirà che dobbiamo sostenere scuole, spese, ed io dico loro che con la generosità, con la chiarezza della opzione, con la ricerca di aiuti, con risorse per borse di studio, con la capacità che certamente abbiamo di generare solidarietà quando si tratta di aiutare coloro che hanno di meno, potremo fare realtà che una casa salesiana non sia mai inaccessibile per coloro che hanno di meno (che si tratti di una scuola, un oratorio, una casa famiglia, un centro giovanile..). Vorrei ricordare quanto già ho detto nelle parole conclusive del Capitolo Generale: Sono i giovani, specialmente i più poveri, quelli che ci salveranno. Essi sono un dono per noi, salesiani, sono veramente “il nostro roveto ardente” davanti al quale toglierci i sandali29. È questa la chiave della nostra paternità come educatori, datori di vita, fino a dare la nostra vita, consegnarla per gli ultimi poiché, rispondendo alla chiamata del Signore, abbiamo deciso di donarla. Se siamo stati capaci del più (il ‘sì’ per tutta la vita) non è per restare nel meno, nel non essere alternativa per nessuno, segno di nulla.
Sono convinto – senza conoscere ancora tutta la Congregazione – che è molta la dedizione e la generosità che esiste, ma ciò che è ben centrato in Dio e negli ultimi non può tranquillizzarci e compensare le realtà esistenti in cui non stiamo rispondendo a quel che Don Bosco farebbe oggi. È in questo senso che incoraggio tutti i confratelli a metterci in un vero atteggiamento di conversione a Dio, ai fratelli e ai giovani, come ci chiede il CG27.
Siamo per i giovani dei veri padri e fratelli, come lo fu Don Bosco e come ci ha ricordato, a suo tempo, Giovanni Paolo II, quando ci disse, nel CG23: “Al centro delle vostre attenzioni ci siano, dunque, sempre i giovani, speranza della Chiesa e del mondo, verso i quali tutti guardano con fiducia e trepidazione. Nelle nazioni più ricche, come nei paesi più poveri, siate sempre al loro servizio; specialmente siate attenti a coloro che sono più deboli ed emarginati. Recate ad ognuno di essi la speranza del Vangelo, perché li aiuti ad affrontare con coraggio la vita, resistendo alle tentazioni dell’egoismo e dello scoraggiamento. Siate per loro padri e fratelli, come Don Bosco vi ha insegnato”30.
6. CONGREGAZIONE MISSIONARIA: QUANDO LA DIVERSITÀ È RICCHEZZA
Sotto questo titolo o epigrafe voglio dire qualcosa di semplice e chiaro: La dimensione missionaria fa parte della nostra IDENTITÀ e la diversità culturale, la multiculturalità e la interculturalità sono una ricchezza verso cui camminare in questo sessennio.
Secondo la ‘Evangelii Gaudium’31 l’annuncio del Vangelo è missione di tutto il popolo di Dio ed è annuncio per tutti, dove “non c’è Giudeo né Greco… perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). Implica l’essere fermento di Dio in mezzo all’umanità, una umanità e un Popolo di Dio con molti volti, con molti sviluppi storici e culture diverse, dove tutti siamo dei discepoli missionari.
Il Papa fa una chiamata all’Evangelizzazione di tutti i popoli e noi dirigiamo il nostro sguardo, sempre per riconoscerci nella nostra identità, verso il carattere missionario della nostra Congregazione. Don Bosco volle che la Società Salesiana fosse decisamente missionaria. Nel 1875, tra il piccolo gruppo dei primi salesiani, ne scelse dieci perché andassero in America; prima della sua morte aveva già inviato 10 spedizioni missionarie e 153 si trovavano in America al momento della sua morte, quasi il 20% dei salesiani del momento, secondo il catalogo della Congregazione del 1888.
Questa identità missionaria, conservata e curata col passar degli anni, portò il Capitolo Generale Speciale a fare una chiamata speciale che io vorrei rinnovare oggi, alle porte del Bicentenario della nascita di Don Bosco e come omaggio vivente a lui: “Il Capitolo Generale Speciale lancia un appello a tutte le Ispettorie, anche a quelle più povere di personale, perché, obbedendo all’invito del Concilio e sull’audace esempio del nostro Fondatore, contribuiscano, con personale proprio, in forma definitiva o temporanea, all’annuncio del Regno di Dio”32.
Credo sinceramente, cari Confratelli, che questa chiamata abbia oggi piena attualità nella realtà della nostra Congregazione. Quando parlo di omaggio a Don Bosco nella celebrazione del Bicentenario della sua nascita, non lo dico in un contesto celebrativo vuoto o per fare statistiche, ma perché credo veramente – ed è stata la sensibilità del CG27 – che una grande ricchezza della nostra Congregazione sia proprio la sua capacità missionaria, la possibilità di essere lì dove si ha più bisogno di noi nell’Evangelizzazione, anche se tutte le forze sono molto valide in qualsiasi posto ci troviamo. In questo senso approfitto di questa occasione per invitare tutti i salesiani SDB – e di cuore estendo il mio invito a tutta la Famiglia Salesiana – affinché, al momento opportuno, la ‘Evangelii Gaudium’ sia letta, meditata e condivisa. Certamente ci farà molto bene; in molti posti non è ancora conosciuta.
6.1 Perché ci sono campi di missione dove siamo molto necessari in questo momento …
In questo senso, e non solo per l’anno 2015 ma per tutto il sessennio, vogliamo che si traduca in realtà l’aiuto reale in alcune aree di missione che presentano una maggiore fragilità in questo momento, per esempio, tra le altre:
Il lavoro missionario in Amazzonia, specialmente a Manaus, Campo Grande, e Venezuela…
Il lavoro missionario nel Chaco Paraguayo.
Il lavoro missionario in alcune regioni della Pampa e della Patagonia Argentina.
La presenza missionaria presso comunità di immigranti negli Stati Uniti.
La presenza missionaria in Medio Oriente, tremendamente castigata per di più da diversi conflitti bellici, come ben sappiamo.
La presenza missionaria tra i mussulmani, dal Nord Africa fino ai paesi del Golfo Arabico o il Pakistan…
La nuova presenza missionaria che richiede il Progetto Europa e che ha molto a vedere con gli ultimi, attratti dalle diverse migrazioni.
Rinforzare le giovani presenze missionarie di prima Evangelizzazione in Asia e Oceania: Mongolia, Cambogia, Bangladesh, Laos…
6.2. … E perché la diversità è ricchezza
In più di una occasione, nella mia vita salesiana, ho sentito dire da chi aveva più vocazioni che essi, nel proprio paese o Ispettoria non avevano bisogno di aiuti, poiché avevano un numero sufficiente vocazioni. Ma proprio per questo, e perché la differenza, la diversità, la multiculturalità e interculturalità è una ricchezza, diventa ogni volta più necessario tale aiuto, anche per garantire l’identità del carisma salesiano, che non sia monocolore, per favorire l’interscambio di confratelli tra le Ispettorie per alcuni anni, offrire temporaneamente confratelli alle Ispettorie più bisognose, oltre a quelli che si offrono come missionari ‘ad gentes’ in risposta a questa chiamata e ad altre che verranno; e in tal modo anche preparare i confratelli, in tutte le parti del mondo, con uno sguardo più globale e universale. Noi Salesiani di Don Bosco, anche se abbiamo una organizzazione giuridica che si concretizza nelle Ispettorie, non facciamo professione religiosa per un luogo, una terra o una appartenenza. Siamo Salesiani di Don Bosco nella Congregazione e per la Missione, là dove più ci sia bisogno di noi e dove sia possibile il nostro servizio.
Sono consapevole che questo messaggio può risultare sorprendente, ma dobbiamo essere arditi nel sognare, cari Confratelli, e non aver paura della novità, per quanto esigente sia, se è buona in se stessa. Una concretizzazione semplice ma immediata di questo che dico è, per esempio, la necessità di preparare i giovani salesiani nell’apprendimento delle lingue; quante più lingue, tanto meglio. È passato il tempo, che io stesso ho vissuto, in cui imparare una lingua estera era qualcosa di superfluo e quando andare nel paese vicino, anche se la frontiera distava solo cinquanta chilometri, era ‘andare all’estero’ e riusciva molto difficile ottenere i permessi all’interno della Congregazione. Dobbiamo preparare le nostre nuove generazioni, pertanto, nell’apprendimento degli idiomi e, tra essi, l’apprendimento della lingua italiana perché non avvenga, col tempo, che l’accesso alle fonti e agli scritti originali del nostro Fondatore e della Congregazione siano qualcosa di proibitivo, data l’ignoranza.
Così pure desidero sottolineare che non dobbiamo avere paura e fare resistenza al fatto che i nostri giovani confratelli studino fuori della propria Ispettoria. Non si ama meno la propria terra, le proprie radici e le proprie origini per il fatto di non studiare nello stesso luogo. Non è vero, e non vi è nessun pericolo di perdere il senso della realtà. Al contrario, si allarga molto lo sguardo e la capacità di capire la diversità e la differenza, qualcosa di essenziale nel nostro mondo di oggi e di domani.
7. CELEBRAND IL BICENTENARI DELLA NASCITA DI DON BOSCO
Quando starete leggendo questa mia lettera, avremo già inaugurato l’anno del Bicentenario della nascita di Don Bosco: il 15 agosto in Castelnuovo Don Bosco e il 16 agosto al Colle Don Bosco. Sotto la guida del nostro Rettor Maggiore Emerito, D. Pascual Chávez, abbiamo avuto un intenso triennio di preparazione in tutta la Congregazione, approfondendo la realtà storica, la pedagogia e la spiritualità del nostro Fondatore.
Mi pare opportuno dire che l’anno di celebrazione che abbiamo iniziato ha un doppio volto. Uno esterno, più pubblico e ufficiale, e uno interiore, più intimo.
Duecento anni dalla nascita di Don Bosco, suscitato dallo Spirito Santo con l’intervento di Maria (cfr. Cost 1), è un tempo sufficiente per vedere e comprendere quel che abbiamo ereditato. In primo luogo, la vita di un uomo di Dio, un Santo che con cuore di padre visse quel che aveva promesso: “Ho promesso a Dio che fin l’ultimo mio respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani”33. E abbiamo ereditato la responsabilità di vivere, e di far diventare realtà, l’autenticità di un carisma che è nato non da un progetto umano, ma dall’iniziativa di Dio per contribuire alla salvezza della gioventù (cfr. Cost 1).
Celebrare nella società, nelle città, col popolo di Dio, il Bicentenario della nascita di Don Bosco ci permette di riconoscere che cosa significa per noi avere come Padre Don Bosco.
▪ È una opportunità per sentirci grati al Signore perché, duecento anni dopo la nascita di Don Bosco, ci troviamo qui, come dono di Dio per i giovani. Opportunità per riconoscere Dio presente nella nostra storia, poiché constatiamo che Lui (il Dio della Vita), ci ha sempre preceduti.
▪ È un impegnarci di più con forza del Vangelo che deve giungere in modo speciale ai giovani, e tra loro agli umili, a quelli che, senza aver fatto nulla perché ciò avvenga, sono stati esclusi dalla festa della vita.
▪ È un momento opportuno per raccontare nuovamente l’attualità di un carisma che si colloca al centro dei problemi del mondo d’oggi, in modo speciale del mondo dei giovani. Perché Don Bosco continua ad avere oggi parole e proposte per i giovani del mondo, giacché, anche se sono cambiate le situazioni ed i contesti, tuttavia il cuore dei giovani, di ciascun giovane, continua ad avere gli stessi palpiti di entusiasmo e di apertura alla Vita.
▪ Il carisma salesiano è stato ed è il regalo che il nostro Dio fa al mondo, avendo scelto Don Bosco per esso. Perciò insistiamo tanto, con convinzione, sul fatto che Don Bosco è un bene della Chiesa e di tutta l’Umanità34. Egli si è formato nel tempo, dai primi momenti dell’esistenza sulle braccia di Mamma Margherita, fino all’amicizia con buoni maestri di vita e, soprattutto, nella vita quotidiana con i giovani che, plasmando nel quotidiano il suo cuore, lo hanno aiutato ad essere più di Dio, più degli uomini e più per i giovani stessi.
Celebrare il Bicentenario nell’interiorità della nostra Congregazione e della nostra Famiglia Salesiana, significa vivere quel che San Paolo raccomanda a Timoteo chiedendogli che ‘ravvivi il Dono che ha ricevuto’. Per questo, ogni volta che un salesiano, un membro della nostra Famiglia Salesiana, vive in pienezza la propria vocazione, è a sua volta un dono di Dio al mondo.
Celebrare il Bicentenario nell’intimità del focolare (come devono essere tutte e ognuna delle nostre comunità) vuol dire lasciarci interpellare nel nostro essere e nel nostro vivere, fino a poterci dire, con sguardo limpido e trasparente, che “la santità dei figli sia prova della santità del Padre”35.
Questa celebrazione significa anche rievocare duecento anni di storia di uomini e donne che hanno dato la vita per questo ideale, tante volte in modo eroico, in condizioni difficili, a volte anche estreme. Questo è un tesoro inestimabile che solo Dio può apprezzare nella giusta misura e a Lui lo affidiamo.
Noi siamo tra quelli che credono che quel 1815, con la chiamata alla vita di Giovannino Bosco e la sua elezione da parte del Signore, è stato solo l’inizio di una lunga catena di testimoni e che anche noi, come Don Bosco, vogliamo impegnarci ad aiutare a scrivere il futuro della vita, e vita di credenti, dei giovani e tra di loro i più bisognosi, con i colori della speranza.
Infine, e brevemente per non dilungarmi di più, desidero sottolineare la singolarità che ha il carisma salesiano in quella nostra peculiarità nota come Sistema Preventivo, che è molto più di un metodo educativo. È una vera e ricca forma di spiritualità, un modo straordinario di concepire il senso della vita nell’ottica di Dio, essendo così un grande dono della nostra Congregazione e Famiglia alla Chiesa. Ma di questo scriverò più ampiamente nella lettera sulla Strenna alla fine dell’anno.
8. “PRENDIAMO LA MADONNA IN CASA”. «E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé» (Gv 19,27)
Ho voluto terminare questa mia prima lettera circolare con le stesse parole che usò Don E. Viganò nella sua prima lettera su Maria che rinnova la Famiglia Salesiana di Don Bosco36. Don Viganò ci racconta che mentre ascoltava la sera del Venerdì Santo di quell’anno il racconto evangelico della morte del Signore secondo Giovanni, con Maria e il Discepolo ai piedi della croce, rimase particolarmente colpito, con una convinzione che lo porta a dire: sì!, dobbiamo ripeterci mutuamente come programma per il nostro rinnovamento l’affermazione dell’evangelista: “Prendiamo la Madonna in casa”.
Don Bosco ebbe una vivissima consapevolezza della presenza personale di Maria nella propria vita, nella sua vocazione e nella sua missione apostolica. “Maria Santissima è la fondatrice e sarà il sostegno delle nostre opere”37, e noi Salesiani, come parte della nostra Famiglia Salesiana, siamo convinti del ruolo indiscutibilmente particolare che Maria ha avuto nella vita di Don Bosco e della Congregazione. Maria è stata per Don Bosco la Madre attenta dei suoi giovani e la loro educatrice interiore. Ed è stata sempre per lui la Madre verso la quale ha avuto una devozione tenera e virile, semplice e vera.
Allo stesso tempo Don Bosco, da vero educatore e catechista, riuscì in maniera eccezionale a fare sì che in casa, nella casa dei suoi giovani, Valdocco, il clima di famiglia risultasse sempre avvolto da una presenza materna: Maria.
Oggi, duecento anni dopo la nascita di Don Bosco, possiamo dire che la devozione a Maria, per noi soprattutto come Ausiliatrice, risulta di fatto come un elemento costitutivo del ‘fenomeno salesiano’ nella Chiesa, e forma parte imprescindibile del nostro carisma: permea la sua fisionomia e gli da vitalità.
Maria, che è la Donna dell’Ascolto, Madre della nuova comunità e Serva dei poveri ci accompagni e ci benedica. A Lei ci dirigiamo con la stessa preghiera di Papa Francesco38:
Stella della nuova evangelizzazione,
aiutaci a risplendere nella testimonianza della comunione,
del servizio, della fede ardente e generosa,
della giustizia e dell’amore verso i poveri,
perché la gioia del Vangelo
giunga sino ai confini della terra
e nessuna periferia sia priva della sua luce.
Madre del Vangelo vivente,
sorgente di gioia per i piccoli,
prega per noi.
Amen. Alleluia.
Vi saluto fraternamente, con affetto
Angel Fernández Artime, sdb
Rettor Maggiore
1 Lettere Circolari di Don Michele Rua ai Salesiani, Direzione Generale Opere Don Bosco, Torino,1965,p.25
2 Ibidem, p.26
3 Ibidem, p.27
4 Lettere Circolari di Don Paolo Albera ai Salesiani, Direzione Generale Opere Don Bosco, Torino, 1965,p.6
5 Ibidem, p.8
6 Ibidem, p.13
7 Ibidem, p.13
8 Atti del Capitolo Superiore della Pia Società Salesiana, Anno III, n.14, 1922, p.4
9 Ibidem, p.4-5
10 Atti del Capitolo Superiore della Società Salesiana, Anno XIII, n.58, 1932,p.2
11 Atti del Capitolo Superiore della Società Salesiana, Anno XXXII, n.169,1952,p.2
12 Ibidem,p.3
13 Atti del Capitolo Superiore della Società Salesiana, Anno XLVI,n.262,p.2
14 Ibidem, p.4
15 Ibidem, p.5
16 Ibidem, p.5
17 Atti del Consiglio Superiore della Società Salesiana, Anno LVII, 1978, n.289, p.3
18 Ibidem, p.2
19 Atti del Consiglio Generale della Società Salesiana, Anno LXXXIII, n.379, p.3
20 Ibidem, p.4
21 CG27, Introduzione, p.21, in Giovanni Paolo II, ‘Vita consacrata’,n.93: “La vita spirituale deve essere al primo posto … Da questa opzione prioritaria, sviluppata nell’impegno personale e comunitario, dipendono la fecondità apostolica, la generosità nell’amore per i poveri, la stessa attrattiva vocazionale sulle nuove generazioni”.
22 La citazione testuale è come segue: “Il nucleo dell’identità e la ragione d’essere della vita religiosa e di ogni vita cristiana è l’esperienza di Dio. Si può parlare di esperienza di Dio, di fede radicale, di priorità assoluta del Regno di Dio e della sua giustizia, di vivere la vita in chiave escatologica… Poco importano i nomi. L’importante è tenere ben presente che tale esperienza nucleare è ciò che dà un significato a tutto in questo genere di vita, è quel che dà qualità di vita ai suoi membri e fa sì che si tratti veramente di vocazione e non di una semplice professione. La domanda circa la qualità di vita nella vita religiosa è la domanda circa la qualità di questa esperienza di fede” (in traduzione nostra da: FERNANDO PRADO (ed.), Adonde el Senhor nos lleve, P.Claretiane, Madrid, 2004, 31).
23 Questa frase in corsivo è una opzione personale mia, data la importanza che le attribuisco. L’autore non l’ha evidenziata in modo particolare.
24 J. M. ARNAIZ, ! Que ardan nuestros corazones. Devolver el encanto a la vida consagrada!, Publicaciones Claretianas, Madrid, 2007, 95
25 Capitolo Generale Speciale Salesiano, Roma, 1971, Atti, n.351
26 Ibidem, n.597, citando MB XI, 389-390
27 Ibidem, n.597, citando MB XVII, 272
28 Cfr. CG25,n.55. Il neretto è opzione mia.
29 CG27, n.52, citando Es 3,2 e “Evangelii Gaudium”,n.169
30 GIOVANNI PAOLO II, Discorso ai Capitolari, in CG23, n.331.
31 Cf. Evangelii Gaudium, n.111, 115 e 120
32 CGS, n.477
33 Cost. 1, cfr. MO, 16
34 Come dice Papa Francesco nella ‘Evangelii Gaudium’, n. 130:”Lo Spirito Santo arricchisce tutta la Chiesa che evangelizza abche con diversi carismi. Essi sono doni per rinnovare ed edificare la Chiesa. Non sono un patrimonio chiuso, consegnato ad un gruppo perché lo custodisca; (…). Un chiaro segno dell’autenticità di un carisma è la sua ecclesialità, la sua capacità di integrarsi armonicamente nella vita del Popolo santo di Dio per il bene di tutti”.
35 Consiglio dato da un pio e benevolo cooperatore e che Don Rua cita e mette come parola d’ordine nella lettera dell’8 febbraio 1888, a otto giorni dalla morte di Don Bosco, nella lettera diretta ai direttori delle case salesiane comunicando i suffragi per Don Bosco. Cfr. Lettere circolari di Don Michele Rua ai salesiani, Direz. Generale Opere Don Bosco, Torino, 1965, p.14.
36 Atti del Consiglio Generale della Società Salesiana, Anno LVII, n.289,p.4
37 Sistema Preventivo. Regolamenti, n.92
38 Evangelii Gaudium, n.288