251-300|it|293 Partecipazione attiva e disciplina religiosa

5.


NUOVO IMPEGNO NELLA DISCIPLINA RELIGIOSA



Introduzione. - «Svegliare l’aurora!». - Curare una strategia di partecipazione attiva. - Don Bosco curava diligentemente una disciplina dello spirito. - Novità d’impegno nella disciplina religiosa. - Siamo «discepoli». - Conclusione.

Lettera pubblicata in ACS n. 293



Roma, Vigilia di Pentecoste 1979


Carissimi:


quest’anno la conclusione del mese di maggio ci fa vivere, con gli Apostoli e con Maria, nell’attesa orante che caratterizza i giorni che vanno dall’Ascensione alla Pentecoste: giorni di contemplazione in ricerca, giorni di preghiera nella speranza, giorni di comunione nel mistero. È la Chiesa degli inizi, piccola e senza esperienza dei popoli, ma con i suoi migliori e con il più alto potenziale di futuro.

Se è vero che oggi siamo tutti chiamati a vivere un nuovo clima di Pentecoste, cerchiamo di imitare Maria e gli Apostoli nell’aspettativa e nella disponibilità allo Spirito Santo.

Nei miei contatti, sempre più frequenti, con i confratelli di tante Ispettorie mi convinco ogni giorno più che la Congregazione sta entrando in sintonia con l’attuale ora privilegiata dello Spirito del Signore.

II nostro rilancio mariano e la strenna sul Sistema Preventivo di Don Bosco stanno suscitando un po’ ovunque iniziative di ripresa in profondità che aprono il cuore alla fiducia.

Il Santo Padre, nella sua prima enciclica Redemptor Hominis, ci dice che siamo anche noi, in certo modo, nel tempo di un «nuovo Avvento, ch’è tempo di attesa» (RH 1), e ci domanda: «che cosa occorre fare, affinché questo nuovo Avvento della Chiesa, congiunto con l’ormai prossima fine del secondo Millennio, ci avvicini a Colui che la

S. Scrittura chiama “padre per sempre”, Pater futuri saeculi?» (RH 7)



«Svegliare l’aurora!»


Tanti eventi ecclesiali recenti (l’elezione dei due successori di Paolo VI, il dinamico ministero di Giovanni Paolo II, la Conferenza episcopale di Puebla, oltre a vari anteriori eventi legati al Concilio Ecumenico Vaticano II e, per noi, anche i due ultimi Capitoli Generali e altre iniziative della Famiglia Salesiana), vanno manifestando un processo globale assai positivo di ripresa della vocazione cristiana e religiosa.

Nasce, così, nell’animo del credente un senso spontaneo di giubilo, sì da ripetere col salmista: «Svegliati, mio cuore, svegliatevi, arpa e cetra, voglio svegliare l’aurora!» (Salmo 56).

Oggi c’è davvero da pensare che assistiamo, nella Chiesa, all’aurora di una nuova epoca di genuinità cristiana e crescita evangelica.

Ma ecco: l’ora degli inizi, in una storia alla quale dobbiamo partecipare come protagonisti, non si accontenta semplicemente con un nostro atteggiamento da poeti che contemplano passivamente ciò che fa la natura. Siamo noi stessi che, in sintonia con lo Spirito del Signore, siamo chiamati a «svegliare l’aurora». Un’epoca nuova nella storia non si riduce mai a sola evoluzione, ma è frutto di impegno, ossia di decisa e costante volontà; tocca ai nostri sforzi costruirla!

Per questo urge che, insieme alla constatazione delle iniziative di Dio e all’attrattiva di novità che avvolge la nascita di un’altra originale giornata di vita ecclesiale, ci sia anche la coscienza della nostra responsabilità, la ricerca di una metodologia di partecipazione e una programmazione realista e pratica della nostra collaborazione.



Curare una strategia di partecipazione attiva


Per costruire bene un aereo sicuro e veloce ci vuole una sofisticata e precisa tecnica; per preparare convenientemente un astronauta si esigono non poche qualità personali e prolungati e severi esercizi di addestramento; per cambiare le strutture di una società è indispensabile non solo saper formulare un progetto coraggioso, ma anche programmare concretamente la sua realizzazione e dedicarsi ad essa con grandi sacrifici; per rinnovare il mondo e salvare l’uomo la sapienza divina ha inventato il mistero pasquale in cui va incluso un posto centrale per la rinuncia di sé fino alla morte. Non c’è salvezza né vero amore senza sacrificio: non c’è rinascita ecclesiale senza libera accettazione della croce. Il vero discepolo di Cristo contempla l’aurora di un nuovo giorno non da una poltrona ma dal monte Calvario, pensando non a sminuirne l’incanto e la bellezza ma ad assumere la responsabilità con cui gli tocca riempire le susseguenti ore di luce con gesti di amore; è, questa, una fatica giornaliera che comporta lotta e sacrificio.

In un’ora di inizi e di speranze, come la nostra, è pedagogicamente indispensabile centrare la nostra attenzione su un dato di fatto senza del quale non potremo essere protagonisti della novità che nasce. Si tratta di una metodologia, indispensabile per l’amore cristiano: la disciplina dello spirito.

L’impegno ascetico, che è esercizio di amore nella rinuncia e nel sacrificio come dono di sé, forma parte del mistero cristiano in modo essenziale; esso, poi, caratterizza con un accento tutto peculiare la natura stessa della vita religiosa; non esiste un solo Istituto che abbia sviluppato il carisma del Fondatore senza l’ascesi di una disciplina concreta.

Urge, dunque, aver chiara coscienza di questo elemento tanto pratico, sul quale hanno insistito fortemente tutti i santi e del quale ci ha parlato, in modo assai esigente, anche il nostro caro Fondatore.



Don Bosco curava diligentemente una disciplina dello spirito


Don Bosco voleva che i suoi Salesiani vivessero una concreta disciplina di vita religiosa. Oltre la sua caratteristica pedagogia del «lavoro» e della «temperanza», insisteva sull’adesione libera e semplice ma concreta alle Costituzioni. «L’osservanza delle nostre regole costa fatiche» — scriveva lui stesso ai confratelli in una circolare del 1884 —. [...] «Miei cari, vogliamo forse andare in paradiso in carrozza? Noi appunto ci siam fatti religiosi non per godere, ma per patire e procacciarci meriti per l’altra vita; ci siamo consecrati a Dio non per comandare, ma per obbedire; non per attaccarci alle creature, ma per praticare la carità verso il prossimo mossi dal solo amor di Dio; non per far una vita agiata, ma per essere poveri con Gesù Cristo, patire con Gesù Cristo sovra la terra per farci degni della sua gloria in cielo» .1

E nella sua prima lettera circolare (che abbiamo già ricordata in gennaio),2 Don Bosco insisteva assai chiaramente. «Primo oggetto della nostra Società è la santificazione dei suoi membri. Perciò ognuno nella sua entrata si spogli di ogni altro pensiero, di ogni altra sollecitudine. Chi ci entrasse per godere una vita tranquilla, aver comodità [...], egli avrebbe un fine storto e non sarebbe più quel “sequere me” del Salvatore, giacché seguirebbe la propria utilità temporale, non il bene dell’anima. [...] Noi mettiamo per base la parola del Salvatore che dice: [...] “Chi vuol farsi mio discepolo [...] mi segua con la preghiera, colla penitenza e specialmente rinneghi se stesso, tolga la croce delle quotidiane tribolazioni e mi segua”. [...] Ma fino a quando seguirlo? Fino alla morte e, se fosse mestieri, anche ad una morte di croce».3

Agli stessi ragazzi dell’Oratorio, che sapeva guidare con tanto intuito verso la santità, Don Bosco raccomandava come strada maestra quella dell’allegria intimamente legata al pieno adempimento dei propri doveri (cf. per es., cap. 18 della «Vita di Savio Domenico»).

E sappiamo che nella sua prassi educativa «Don Bosco, quantunque sempre dolcissimo, non passava facilmente sopra le mancanze di disciplina».4

Possiamo ricordare anche quel suo severo monito sul futuro della nostra Famiglia: «Finché i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice si consacreranno alla preghiera e al lavoro, praticheranno la temperanza, e coltiveranno lo spirito di povertà, le due Congregazioni faranno del gran bene; ma se per disgrazia rallentano il fervore, e rifuggono dalla fatica, e amano le comodità della vita, esse avranno fatto il loro tempo, incomincerà per loro la parabola discendente, sbatteranno a terra e si sfasceranno».5

E la forte espressione posta a conclusione del quaderno delle sue «Memorie»: «Quando cominceranno tra noi le comodità e le agiatezze, la nostra Pia Società ha compiuto il suo corso».6

Ho voluto citare queste parole tanto ammonitrici non certo per iniziare, qui, una elegia di sconforto che, tra l’altro, sarebbe in contrasto con quanto sono venuto esprimendo all’inizio; anche se è vero che in ogni tempo ci sono delle manchevolezze da correggere ed è continuamente necessario che ci si ricordi il significato della croce nella vita di fede e quello dell’ascesi e della disciplina nella vita religiosa.



Novità d’impegno nella disciplina religiosa


Intendo, dunque, invitarvi a riflettere sull’importante aspetto della «disciplina religiosa», non perché sgomentato da una costatazione di rilassatezza e decadenza, quanto piuttosto perché spronato dall’urgenza di saper assumere presto e con intelligenza gli indispensabili valori di un’ascesi rinnovata.

Gli attuali forti cambiamenti, più che l’infedeltà, sembrano aver contribuito ad eclissare momentaneamente tra i religiosi il senso profondamente evangelico di una concreta disciplina di vita, quasi come reazione a una specie di moralismo formalista, a una mancanza di sensibilità del nuovo processo di personalizzazione, a una certa alienazione dagli attuali grandi impegni di riforma della società; e anche come sopravvalutazione di ciò che c’è di positivo nei segni dei tempi senza curarsi di percepirne le ambiguità e senza dar rilievo ai gravi disorientamenti provocati da una moda secolarista sul cui appiattito orizzonte non appare ormai più la sagoma della croce.

Da una simile reazione può facilmente derivare anche la rilassatezza, come triste conseguenza di una mentalità sfasata che ha urgente bisogno di conversione. Infatti, la storia e l’esperienza ci insegnano che la vita religiosa riprende vigore proprio quando rinasce in essa la coscienza e la pratica, sia personale che comunitaria, del tipo di disciplina ascetica voluta dal Fondatore.

Il Papa Paolo VI diceva ai membri di un Capitolo Generale: «L’amore alla disciplina, che un alterato concetto di questo termine vorrebbe oggi far apparire come limitazione, e non invece come garanzia e sostegno dell’apostolato, sorregga, come roccia che mai non crolla, gli ideali dell’orazione, della vita religiosa, e dell’attività di ministero e di formazione» (28 agosto 1974, al CG dei Rogazionisti).

«L’unione fa la forza, ma la disciplina fa l’unione»! aveva già detto Pio XI parlando dell’importanza della corresponsabilità e della capacità di collaborazione (12 giugno 1929, alla Federazione Nazionale Cattolica Francese).

Perché possa riprendere sempre più in Congregazione il vigore della vocazione e l’intensità della comunione, è necessario che ci dedichiamo a verificare e a rinnovare la pratica della disciplina salesiana di don Bosco. Per un aiuto di riflessione applicativa, ho chiesto al «mio più vicino collaboratore», il caro don Scrivo, Vicario generale a cui «è affidata la cura e la responsabilità della vita e della disciplina religiosa» (Cost 138), di voler precisare alcune esigenze di questa nostra disciplina costruttiva che appaiono più sostanziali nell’ora attuale.

È proprio perché vogliamo contribuire all’esito di una bella giornata preannunciata dall’attuale aurora che urge far riprendere validità e vigoria tra noi a certi valori ascetici della nostra professione religiosa.

Possiamo richiamare alla memoria, come testimonianza profetica di attualità, l’autorevole appello alla disciplina, nella vita della Chiesa, lanciato dai due nuovi Pontefici.

Giovanni Paolo I ne ha parlato esplicitamente nel suo primo discorso ai Cardinali e poi, di nuovo, anche al Clero romano. Egli non alludeva a una «piccola disciplina» di formalità, bensì alla «disciplina grande». Essa «esiste soltanto, se l’osservanza esterna è frutto di convinzioni profonde e proiezione libera e gioiosa di una vita vissuta intimamente con Dio. [... Questa] grande disciplina richiede un clima adatto».7

E Giovanni Paolo II nel suo radiomessaggio inaugurale ribadisce questo stesso concetto. «La fedeltà significa, ancora, culto della grande disciplina della Chiesa. [...] La disciplina, infatti, non tende già a mortificare, ma a garantire il retto ordinamento che è proprio del Corpo mistico, quasi ad assicurare la regolare e fisiologica articolazione tra tutte le membra che lo compongono».8



Siamo «discepoli»


In definitiva, carissimi, il significato profondo (non solo etimologico) della disciplina è legato al concetto di «discepolo». La nostra disciplina religiosa appartiene, da una parte, al proposito radicale di sequela del Cristo, e, dall’altra, al progetto storico assunto liberamente e pubblicamente con l’atto della professione, per cui abbiamo scelto di restare con Don Bosco, secondo le Costituzioni della Società di

S. Francesco di Sales (cf. Cost 73 e 74).

Essere discepoli del Cristo, nella vita religiosa, comporta una illuminata adesione al mistero pasquale della croce, consolidata da un progetto concreto di esistenza elaborato dal Fondatore e testimoniato sia da lui che dalla tradizione viva del proprio Istituto: quindi implica anche, per noi, essere discepoli di Don Bosco. Si tratta, qui, di un tipo carismatico di disciplina che ci fa ascoltare e seguire il nostro Santo come Maestro e Guida non solo nei vasti obiettivi della sua missione, ma anche nelle esigenze delle direttive pratiche del suo «stile particolare di santificazione e di apostolato» (MR 11) che incarna nella Chiesa un carisma specifico dello Spirito Santo.

Non mancano ragioni per avvalorare questa maniera di essere discepoli.

Innanzitutto la Sacra Scrittura al presentarci il tema delI’Alleanza — e la vocazione religiosa è da interpretarsi sullo schema dell’Alleanza! —, lo poggia su due colonne: l’intimità con Dio, che è l’anima dell’alleanza e che aiuta a plasmare nell’uomo un cuore nuovo; e la pratica dei comandamenti, come risposta esistenziale e come misura concreta di adesione all’alleanza. Il centro vitale dell’alleanza è costituito dall’«amicizia» ma viene accompagnato e difeso dalla «legge» quale pedagogo.

La disciplina, così, appare come la pedagogia di una libertà storicamente impegnata in un amore d’alleanza. In tale schema, è ugualmente vero che un’osservanza senza amore non ha vita; ma anche che un amore senza osservanza è falso.

Ricordiamo quanto dice S. Giovanni: «Se mettiamo in pratica i comandamenti di Dio, noi possiamo avere la certezza di conoscere Dio: se uno dice “io conosco Dio”, ma non osserva i suoi comandamenti, è un bugiardo: la verità non è in lui. Se uno invece ubbidisce alla sua parola, l’amore di Dio è veramente perfetto in lui» (1Gv 2, 3-4).

Una seconda ragione la possiamo trovare nell’enciclica Retemptor Hominis. In essa il Santo Padre insiste sulla centralità che occupano nella vita della Chiesa l’Eucaristia e la Penitenza.

Orbene: l’Eucaristia esprime l’apice del mistero dell’alleanza pasquale nelle parole consacratorie che proclamano il senso massimo dell’amore, «questo è il mio corpo e questo è il mio sangue dato per voi»: dunque, il sacrificio di sé per gli altri.

La Penitenza, poi, è il sacramento della conversione a una ascesi che esige pentimento e la purificazione del cuore: convertitevi e credete al Vangelo! «Senza questo costante e sempre rinnovato sforzo per la conversione — dice il Papa —, la partecipazione all’Eucaristia sarebbe priva della sua piena efficacia redentrice» (RH 20). La Penitenza comporta, insieme all’umile verifica delle proprie manchevolezze, il proposito pratico di una condotta da discepolo.

A ragione, dunque, il Papa afferma «che la Chiesa del nuovo Avvento, la Chiesa che si prepara di continuo alla nuova venuta del Signore, deve essere la Chiesa dell’Eucaristia e della Penitenza» (RH 20).

Un’altra ragione, da non sottovalutare, è che gli stessi giovani, a cui siamo inviati, hanno bisogno della nostra testimonianza di disciplina religiosa, sia personale che comunitaria, come di un segno evidente e tangibile della nostra missione ecclesiale a loro servizio. Essi devono poter indurre dal nostro modo di vivere che il battesimo è per noi un impegno radicale di lotta spirituale che ci incammina, come discepoli di Cristo, verso il martirio quale espressione suprema del dono di sé agli altri, e che la professione religiosa ci ha incorporati a una comunità organica e apostolica che realizza nella Chiesa un progetto collaudato di servizio pedagogico. L’occhio attento e penetrante dell’educando scopre facilmente che la presenza di una saggia disciplina deve permeare tutto il processo educativo in modo tale che l’«essere formato» comporti di per sé l’«essere disciplinato»; la disciplina, infatti, accompagna l’uomo maturo come una qualità definitiva che gli assicura l’armonia e la padronanza delle sue doti ed energie.

Questo bisogno di veder testimoniata una disciplina equilibrata e libera, che rafforzi la convivenza nella comunione e moltiplichi l’efficacia di un impegno di servizio, è particolarmente sentito nell’attuale società, sballottata tra gli estremismi del totalitarismo e dell’anarchia.

Infine, come motivazione terapeutica, se si vuole evitare davvero quel «male oscuro dell’individualismo» di cui ci ha parlato il nostro benemerito don Ricceri in una circolare del 1977.9 L’individualismo vive strettamente legato all’indisciplina ed è un cancro che annulla alle radici la possibilità di rinnovamento della vita religiosa. Urge, oggi, saper trasfondere nella condotta quotidiana le ricchezze concrete dell’obbedienza religiosa e ricuperare il significato realista del voto corrispondente; essi approdano logicamente alle esigenze pratiche della disciplina religiosa, imitando e seguendo concretamente quel Cristo che «fu obbediente a Dio fino alla morte, e alla morte in Croce» (Fil 2,8). L’imborghesimento e la dissoluzione individualista della comunità sono frutto di una carenza di disciplina vincolata con la dimenticanza del mistero pasquale.

Cari confratelli, concludendo la sua prima enciclica il Papa esprime un caloroso e umile invito alla preghiera: «Supplico — egli dice — soprattutto Maria, la celeste Madre della Chiesa, affinché si degni in questa preghiera del nuovo Avvento dell’umanità di perseverare con noi» (RH 22).

Ebbene: Essa che ha vissuto con gioia la più bella aurora della storia della salvezza, ed ha abbracciato con generosità la difficile disciplina del suo ministero di madre del Cristo fino a salire con lui al Calvario, ci ha dimostrato anche con la sua personale testimonianza che il massimo amore passa solo per questa strada. Chiediamole con fiducia che ci accompagni, quale Ausiliatrice della nostra vocazione di alleanza, aiutandoci a saper intensificare e rinnovare sia l’intimità della nostra amicizia con Dio, sia la volontà pratica d’impegno della nostra disciplina religiosa.

Vi saluto tutti e vi prego di completare queste mie riflessioni sulla disciplina religiosa con l’approfondimento delle precisazioni pratiche presentate da don Scrivo.

Don Bosco ci ottenga luce e coraggio

Fraternamente,

D. Egidio Viganò



NOTE LETTERA 5 --------------------------------------------


1 MB XVII, 15-17

2 cf. ACS n. 291

3 MB VIII, 828-829

4 MB VI, 306

5 MB X, 651-652

6 MB X, 652 nota 1

7 Osservatore Romano, 8 settembre 1978

8 Osservatore Romano, 18 ottobre 1978

9 ACS n. 286, aprile-maggio 1977