LETTERA DEL RETTOR MAGGIORE
PASCUAL CHÁVEZ
PRESENTAZIONE DELLA REGIONE DELL’ASIA
SUD
“Ti
abbiamo aspettato, ti abbiamo aspettato tanto,
ma finalmente ci sei: sei tra
noi e non ci fuggirai!”
(MB XVIII, 72)
21 Settembre 2006
Festa
di San Matteo Apostolo
Introduzione
1. Un
grande sogno compiuto
2.
La Regione dell’Asia Sud.
La situazione politica, sociale e
religiosa della Regione: India,
Sri Lanka, Myanmar, Nepal, Kuwait, Yemen
3.
Storia della presenza salesiana nella
Regione
3.1
L’attività missionaria nella prima
metà del secolo
3.2
Due grandi missionari:
L’Arcivescovo Louis Mathias, Don
José Carreño
3.3
Il rapido sviluppo della
Congregazione. I
salesiani nell’India, in Myanmar, nello Sri Lanka, in Nepal, in
Kuwait, nello Yemen
4.
L’attuale presenza salesiana
4.1 Il
coordinamento interispettoriale
4.2
La
formazione. La
formazione permanente. La formazione iniziale
4.3
La
pastorale giovanile. Le
istituzioni educative, gli internati e i convitti, i centri
giovanili, l’apostolato a favore dei giovani a rischio (YaR), i
servizi di orientamento professionale, l’orientamento
vocazionale
4.4
La Famiglia Salesiana
4.5
La
comunicazione sociale
4.6
L’attività missionaria.
La missione di Arunachal. Le parrocchie. Il programma di sviluppo
sociale, parte integrante dell’attività missionaria
5.
La santità dei primi missionari.
L’Arcivescovo Stefano Ferrando, Don
Francesco Convertini
6.
Le grandi sfide della Regione
6.1
Dare Dio ai giovani, priorità
assoluta
6.2
Vivere appassionati per la “missio ad
gentes”
6.3
Irrobustire la vita comune
6.4
Curare l’identificazione carismatica
dei confratelli
Carissimi
confratelli,
tre mesi fa ho pubblicato la lettera di
convocazione del CG26, che ha avuto ovunque un’accoglienza molto
positiva, come testimoniano le innumerevoli e-mails e lettere che ho
ricevute e continuo a ricevere, che esprimono la gioia dei
confratelli per il tema scelto, la loro fierezza di essere figli di
Don Bosco e la loro disponibilità ad operare i cambiamenti
personali, comunitari ed istituzionali necessari al fine di restare
sempre fedeli a Dio, a Don Bosco e ai giovani.
Ora, in
questa mia lettera, voglio proseguire la presentazione delle Regioni.
E subito, mentre comincio a scrivere la lettera, la mia mente è
inondata dai ricordi ancora vivi delle mie due visite alla Regione
dell’ Asia Sud: la prima, nel febbraio 2005, alle Ispettorie di
Kolkata, Guwahati e Dimapur, nel nord-est dell’India, e a Nuova
Delhi, la capitale dell’India, per essere presente
all’inaugurazione delle celebrazioni centenarie della presenza
salesiana in India, e in seguito per presiedere la visita d’insieme;
la seconda, nel febbraio 2006, allo Sri Lanka per la celebrazione dei
cinquant’anni di presenza salesiana in quell’isola-nazione, e
alle Ispettorie indiane di Chennai, Bangalore e Hyderabad, e
particolarmente a Thanjavur, nell’Ispettoria di Tiruchy, per
concludere le celebrazioni centenarie.
Attendo la mia
prossima visita, nel febbraio 2007, alle altre Ispettorie della
Regione: quelle di Bangalore (specificamente nel Kerala, per il
giubileo d’oro della presenza salesiana in quello stato) e di
Mumbai, alla Visitatoria di Panjim (per il giubileo di diamante della
presenza salesiana in quel territorio), alla Visitatoria di Myanmar,
e a Ranchi nell’Ispettoria di Nuova Delhi.
Nelle mie
prime visite alla Regione mi ha impressionato la fecondità con cui
il carisma salesiano è vissuto e si manifesta nelle diverse
Ispettorie. Ho ancora davanti ai miei occhi le migliaia di facce di
giovani, pieni di vita e di entusiasmo, che ho visto nei vari
incontri. Dovunque andavo, sentivo ragazzi e giovani acclamare e
gridare: “Viva Don Bosco!” Come dimenticare l’incontro a
Chennai, dove più di 15.000 giovani provenienti da vari nostri
istituti sono convenuti per un raduno di pace? Tutta quell’esultanza
era espressione della loro gioia di essere stati educati dai figli di
Don Bosco, di appartenere alla Famiglia Salesiana e di incontrare il
successore di Don Bosco.
Questo primo centenario della
presenza salesiana nella Regione è stato veramente un dono di Dio
alla Chiesa e alla Congregazione. Per i salesiani quello che si è
compiuto è stato un secolo per imparare, crescere e portare a
compimento il sogno di Don Bosco in favore dei giovani, un secolo di
benedizioni abbondanti. A questo punto, devo esprimere la
riconoscenza della Congregazione a tutti coloro che sono stati gli
strumenti del meraviglioso sviluppo. La vibrante presenza salesiana
nella Regione oggi è il frutto dell’impresa pionieristica dei
missionari dall’estero, che fecero del “Da
mihi animas” di Don Bosco la ragione
e il motore della loro vita. Essi hanno impiantato il carisma
salesiano, che oggi porta frutti in abbondanza. A tutti questi
missionari, di varie lingue e nazionalità, la stragrande maggioranza
dei quali è già passata alla casa del Padre per ricevere la
ricompensa dei servi fedeli, va il grazie del Rettor Maggiore e
dell’intera Congregazione!
Come ho affermato nell’omelia
della Messa inaugurale delle celebrazioni centenarie a Nuova Delhi,
il 28 febbraio 2005, «non possiamo non essere colpiti
dall’espansione enorme del carisma di Don Bosco, dalla fioritura di
vocazioni, dallo sviluppo della Famiglia Salesiana, fino al punto che
oggi possiamo dire che la Congregazione ha un volto indiano». Certo,
e di questo volto indiano e sud-asiatico vi voglio parlare nelle
pagine seguenti.
1.
Un grande sogno compiuto
La
storia della presenza salesiana nella Regione ha radici molto
lontane. Già nel 1875 Don Bosco parlò dell’India come di uno dei
possibili futuri paesi in cui mandare i suoi missionari.
[1] Un anno dopo, fece
menzione di Ceylon (l’attuale Sri Lanka) tra i campi missionari del
futuro.
[2] In questo stesso anno
Pio IX offriva a Don Bosco un Vicariato nell’India, e l’anno
seguente Don Bosco scriveva a Don Cagliero: «Andremo
ad assumere il Vicariato Apostolico di Mengador (Mangalore)»
e prospettava allo stesso Don Cagliero la possibilità che ne fosse
il Vicario Apostolico.
[3] Finalmente, durante
la notte tra il 9 e il 10 di aprile 1886 Don Bosco ebbe a Barcellona
il sogno missionario, che “egli raccontò a Don Rua (e ad altri),
in una voce rotta dai singulti”.
Don Bosco “vide
un’immensa quantità di giovanetti, i quali, correndo intorno a
lui, gli andavano dicendo: «Ti abbiamo aspettato, ti abbiamo
aspettato tanto, ma finalmente ci sei: sei tra noi e non ci
fuggirai!» […] mentre stava come attonito in mezzo a loro
contemplandoli, vide un immenso gregge di agnelli guidati da una
pastorella, la quale, separati i giovani e le pecore, e messi gli uni
da una parte e le altre dall’altra, si fermò accanto a Don Bosco e
gli disse: «Vedi quanto ti sta innanzi?» «Sì, che lo vedo»,
rispose Don Bosco. «Ebbene, ti ricordi del sogno che facesti all’età
di dieci anni?» Poi, ella fece venire i ragazzi al fianco di Don
Bosco, dicendo a lui e a loro: «Spingi il tuo sguardo e spingetelo
voi tutti e leggete che cosa sta scritto». Un ragazzo lesse:
“Valparaiso,”
un altro “Santiago”,
altri “Pechino”.
Allora la pastorella, che sembrava la maestra dei ragazzi, disse:
«Ora tira una sola linea da una estremità all’altra, da Pechino a
Santiago...». La pastorella continuò, parlando a Don Bosco: «…
Qui vedi dieci altri centri dal mezzo dell’Africa fino a Pechino. E
anche questi centri somministreranno i missionari a tutte queste
altre contrade. Là c’è Hong Kong, là Calcutta… Questi e più
altri avranno case, studi e noviziati»”.
[4]
Ebbene,
vedendo io la moltitudine dei giovani nei vari incontri che ho avuto
con loro nell’India, mi sono ricordato delle parole rivolte a Don
Bosco dai ragazzi nel sogno: “Ti
abbiamo aspettato, ti abbiamo aspettato tanto, ma finalmente ci sei:
sei tra noi e non ci fuggirai!” e,
con gratitudine, le ho viste realizzate. Il nostro lavoro nell’Asia,
specialmente nell’Asia Sud, fu dunque già previsto da Don Bosco,
chiaramente mostrato a lui dalla pastorella dal cielo come parte del
futuro della Congregazione, e ciò che vediamo oggi è il compimento
di quel sogno.
I vescovi del “Padroado” di Mylapore
nell’India sud furono, nelle mani di Dio, gli strumenti immediati
per portare i salesiani nella Regione. Dal 1896 Mons. Antonio de
Souza Barroso ripetutamente chiese a Don Rua di mandare i salesiani a
lavorare nella sua diocesi. Il suo successore fu il vescovo Teotonio
Manuel Ribeiro Vieira de Castro, un grande ammiratore di Don Bosco.
Nel 1885 egli, giovane prete, era stato a Torino per incontrare Don
Bosco e ricevere la sua benedizione. Perciò, quando divenne vescovo
di Mylapore, fu molto desideroso di avere i salesiani nella sua
diocesi e dal 1901 in poi scrisse frequentemente a Don Rua, chiedendo
i salesiani. Finalmente, Don Rua acconsentì ad inviarli, purché
fossero adempiute certe condizioni (per la maggior parte riguardanti
le spese, la residenza ed il mantenimento). Un accordo formale fu
preparato e firmato da Mons. Manuel de Castro e Don Rua a Torino il
19 dicembre 1904. Fu concordato che i salesiani sarebbero stati
mandati a Thanjavur, che allora faceva parte della diocesi di
Mylapore, per assumere un orfanotrofio che là esisteva e una scuola
professionale. In tal modo, il 5 gennaio 1906 il primo gruppo di 5
salesiani, sotto la guida di Don Giorgio Tomatis, arrivò nell’India.
2.
La Regione dell’Asia Sud
Fino
al CG25, l’Asia Sud formava parte della Regione Asia, e più tardi
dell’Australasia. Considerando la crescita costante dei salesiani e
delle opere in questa Regione, il Capitolo Generale 25° ha suddiviso
la Regione in due: l’Asia Est-Oceania e l’Asia Sud. Oggi l’Asia
Sud comprende 9 Ispettorie e la Visitatoria del Konkan in India, le
Visitatorie di Myanmar e dello Sri Lanka, e le comunità e presenze
nelle Isole Andaman (appartenenti all’Ispettoria di Chennai), nel
Nepal (appartenente all’Ispettoria di Kolkata), nello Yemen
(appartenente all’Ispettoria di Bangalore) e nel Kuwait
(appartenente all’Ispettoria di Mumbai).
All’inizio
del secolo ventesimo, al momento dell’arrivo dei salesiani,
l’India, la Birmania (oggi Myanmar) e Ceylon (oggi Sri Lanka) erano
colonie inglesi, mentre il Kuwait era un protettorato britannico.
L’India ottenne l’indipendenza nell’agosto 1947, Myanmar nel
gennaio 1948, lo Sri Lanka nel febbraio 1948, e il Kuwait nel
settembre 1961. Il Nepal era un paese indipendente fin dalla seconda
metà del secolo diciottesimo.
La situazione
politica, sociale e religiosa
Siccome la Regione dell’Asia
Sud è molto vasta e le nazioni che la compongono sono molto diverse
in culture e lingue, considereremo ogni paese separatamente.
India
L’India, situata geograficamente nella
parte sud dell’Asia, con confini estesi dal mare di Arabia al Golfo
del Bengala, si trova tra il Myanmar e il Pakistan.
Originariamente
l’India fu popolata dai Dravidiani, la cui civiltà fu una delle
più antiche nel mondo, andando indietro di almeno 5000 anni. Circa
il 1500 a. C. gruppi di Ariani invasero il subcontinente indiano dal
nord-ovest; la loro fusione con gli abitanti originari diede origine
all’odierna cultura classica indiana.
Più tardi nel
territorio indiano ci furono regolarmente incursioni da parte degli
arabi, dei turchi e di mercanti europei; infine durante il secolo XIX
la Gran Bretagna assunse il controllo politico di quasi tutto il
territorio indiano. Una resistenza prolungata al colonialismo inglese
sfociò nell’indipendenza nel 1947.
Con l’indipendenza,
il subcontinente fu diviso in due: lo stato secolare dell’India e
lo stato musulmano, più piccolo, del Pakistan. Una guerra tra i due
paesi nel 1971 fece sì che il Pakistan Est diventasse una nazione
separata, chiamata Bangladesh.
Le ondate successive di
invasori stranieri lasciarono un’impronta indelebile nella cultura
del subcontinente indiano. Della popolazione totale, circa il 72% è
di origine indo-ariana, il 25% di origine dravidiana. Un numero
considerevole della popolazione viene identificato come Dalit.
Questi entrano nell’elenco di “scheduled
castes” del governo Indiano e possono
accedere a certi benefici sociali. In più ci sono varie tribù che
appartengono alla lista di “scheduled
tribes”.
La religione indù
(dharma)
contempla quattro caste in ordine gerarchico: i brahmin
(la classe sacerdotale), gli kshatriya
(la classe principesca), i vaishya
(la classe commerciale) e i sudra
(la classe operaia). I membri di queste caste principali hanno
oppresso diversi gruppi degli abitanti originari, e li hanno ridotti
ad una classe di “fuori casta”,
i dalit, i
paria. Durante e dopo la lotta per l’indipendenza, c’è stata una
forte reazione nell’India riguardo a questa situazione ingiusta, e
oggi sia il governo che la Chiesa fanno molto per il benessere dei
“fuori casta”. Abbiamo fatto menzione specificatamente di questo
gruppo, perché circa 70% dei cristiani nell’India appartiene ai
dalit, e
in alcune nostre Ispettorie indiane essi costituiscono i principali
destinatari e beneficiari del nostro apostolato.
Oggi,
l’India è la democrazia più grande nel mondo, il secondo paese
più popolato, con una popolazione che supera il miliardo
(1.095.351.995), di cui 80,5% sono indù, 13,4% musulmani, 2,3%
cristiani. Dentro la nazione esistono disuguaglianze enormi tra i
ricchi e i poveri. Il tasso di alfabetizzazione è solo del 59,5%. La
lingua ufficiale è l’hindi,
mentre l’inglese gode di una posizione associata come lingua
nazionale. Inoltre, vi sono 14 altre lingue ufficiali, ciascuna con
la propria scrittura, e 200 altre lingue non ufficiali, senza contare
le migliaia di dialetti. Così, l’India è un vero mosaico di
lingue, culture e tradizioni, che contribuiscono alla sua
sconcertante complessità e ad una ricchezza unica.
Dopo
le elezioni parlamentari del maggio 2004 ci fu un cambio di governo:
da un partito ultra-nazionalista di ideologia hindutva
(cioè esclusivamente indù), si è passato ad una coalizione più
moderata di centro-sinistra, con l’appoggio esterno del partito
comunista. I conflitti interreligiosi (principalmente tra gli indù e
i musulmani) esplodono frequentemente. Anche la persecuzione diretta
o indiretta dei cristiani continua, con qualche incidente violento
ogni tanto. Qui occorre accennare alla promulgazione in alcuni stati
di una legge contro le conversioni, che proibisce la cosiddetta
conversione “forzata” da una religione ad un’altra. Il vero
motivo della legge però è di impedire alla gente delle caste
inferiori e delle tribù elencate di diventare cristiani. Molte volte
i portavoce della Chiesa hanno chiarificato le cose, e cioè che la
conversione per sua intrinseca natura non è forzata, e che non ci
sono conversioni forzate nella Chiesa.
A livello
politico, vi è il conflitto di lunga data tra l’India e il
Pakistan sulla questione del Kashmir, che per ben tre volte ha
portato le due nazioni alla guerra, fino all’orlo di una guerra
nucleare. Recentemente, però, sembra che ci sia meno tensione e più
apertura al dialogo e si ha l’impressione che la situazione stia
migliorando.
Nell’ultimo decennio, più o meno, la
globalizzazione è arrivata nell’India in maniera notevole. Il
paese è in procinto di diventare una superpotenza economica nei
prossimi decenni, con tutti i mali concomitanti, come il consumismo,
il materialismo e il divario sempre crescente tra gli abbienti e i
non-abbienti. La popolazione dell’India è ancora prevalentemente
rurale e agricola, anche se al momento presente si stanno sviluppando
una vasta gamma di industrie moderne e una molteplicità di servizi,
che alimentano la crescita economica. L’India è in condizione di
trarre vantaggio da un gran numero di gente molto istruita e
competente nella lingua inglese, sì da poter diventare un importante
esportatore di servizi e di perizia nel software. La popolazione
enorme e in crescita è allo stesso tempo la sua risorsa principale
in termini di capitale umano, insieme ai suoi pressanti problemi
sociali ed economici, resi ancor più difficili dal sistema diffuso
delle caste, specialmente nelle zone rurali.
Le origini
del cristianesimo nell’India possono essere fatte risalire a San
Tommaso Apostolo nel 52 d. C.; la Chiesa siro-malabarica rivendica la
sua origine proprio da San Tommaso. Un grande impulso fu dato
dall’arrivo di San Francesco Saverio nel 1542 e dall’attività
missionaria dei Gesuiti. Dopo la loro soppressione nel 1776, vennero
in India i missionari esteri di Parigi (M.E.P.) e lavorarono molto
per l’evangelizzazione. Una parte del gruppo giacobita (che secoli
prima aveva lasciato la Chiesa Cattolica a causa dell’eccessiva
politica latinizzante dei missionari portoghesi) ritornò alla piena
comunione con la Chiesa Cattolica romana nel 1930. E così, oltre la
Chiesa di rito latino, ci sono due altre Chiese Cattoliche in piena
comunione con Roma: la Chiesa siro-malabarica e la Chiesa
siro-malankara, che sono governate dai rispettivi arcivescovi
maggiori; l’arcivescovo maggiore della Chiesa siro-malabarica è
anche cardinale. Al momento presente, ci sono tre cardinali in carica
nell’India, uno dei quali (il cardinale Ivan Dias di Mumbai) è
stato recentemente nominato Prefetto della Congregazione per
l’Evangelizzazione dei Popoli.
I cristiani in India sono
più di 24 milioni, corrispondenti al 2,3% della popolazione; tra
essi i cattolici sono 1,98% della popolazione. Ci sono 21.931
sacerdoti (12.207 diocesani e 9.724 religiosi); le persone consacrate
sono 102.102 di cui 12.802 sono uomini, e 89.300 donne.
[5] Il 68% del clero e
dei religiosi proviene dal sud del paese, dagli stati di Kerala,
Tamil Nadu, Mangalore e Goa. Alcune delle diocesi siro-malabariche
del Kerala hanno un’alta percentuale di cattolici (Palai in Kerala
ha il 50,64% di cattolici), mentre ci sono delle diocesi nel nord
India che hanno meno di 0,02% di cattolici.
La gerarchia
cattolica fu eretta in India nel 1886, quella della Chiesa
siro-malabarica nel 1923, e quella della Chiesa siro-malankara nel
1932. Oltre la Conferenza Nazionale dei Vescovi (CBCI), dal 1987 vi
sono tre altre distinte conferenze dei vescovi per i tre riti
cattolici (latino, siro-malabarico e siro-malankara).
La
comunità cristiana, e più specificamente la comunità cattolica, è
una forza nell’India. Anche se sono una minoranza minuscola, i
cristiani provvedono il 20% dell’educazione primaria nel paese, il
10% dei programmi di alfabetizzazione e di assistenza sanitaria
comunitaria, il 25% della cura degli orfani e delle vedove, e il 30%
della cura dei handicappati, dei lebbrosi e delle vittime di
AIDS.
La sfida più grande che la Chiesa in India deve
affrontare è di lavorare per i più poveri e oppressi, con una
visione e testimonianza chiara ed evangelica, e di promuovere il
dialogo ecumenico e interreligioso tra i membri delle varie religioni
e sette.
Sri Lanka
Lo Sri Lanka
(antecedentemente chiamato Ceylon) è un’isola-nazione tropicale,
circa 31 chilometri a sud dell’India. Si trova in una posizione
strategica nell’oceano indiano, sulla rotta principale di commercio
via mare tra l’Estremo Oriente e l’Africa e l’Europa.
Lo
Sri Lanka ha una storia molto antica: gli esperti attestano che ci
furono colonie nell’isola almeno 130.000 anni fa. Una grande
percentuale della popolazione di oltre 20 milioni è di origine
indiana. Tra di essi, la maggioranza (il gruppo singalese) trova le
sue origini migliaia di anni fa e viene considerata il popolo nativo
del paese; essi sono il 73,8% della popolazione, mentre un numero più
piccolo di tamil dall’India Sud forma il secondo gruppo maggiore
(più di 8,5%) e vive principalmente nella parte nord dell’isola.
La guerra civile tra il popolo singalese e il popolo
tamil, quest’ultimo appoggiato dal gruppo rivoluzionario LTTE, ha
causato più di 100.000 morti negli ultimi due decenni e disperso più
di 200.000 tamil, che hanno cercato rifugio nell’Occidente.
Ultimamente, l’isola è stata molto severamente colpita dallo
tsunami
del 26 dicembre 2004, che ha causato più di 10.000 morti e danni
ingenti. I nostri confratelli hanno mobilizzato rapidamente le
risorse per portare conforto ai parenti dei defunti, insieme a cibo,
tetto e altri aiuti alla gente.
Della popolazione totale,
i buddisti sono 69,1%, i musulmani 7,6%, gli indù 7,1%, i cristiani
8%, e gli altri gruppi non specificati circa 10%.
Già nel
1505 arrivarono nell’isola dei sacerdoti portoghesi. Il lavoro di
evangelizzazione cominciò nel 1543, e fece passi enormi nella prima
metà del secolo diciassettesimo, con l’arrivo di vari gruppi di
missionari. Tra di essi ci fu il Beato Giuseppe Vaz, un sacerdote
proveniente da Goa. Ma durante la seconda metà dello stesso secolo,
quando l’isola-nazione passò sotto il governo degli olandesi
(1650-1795), il lavoro di evangelizzazione incontrò seri ostacoli.
Più tardi, con l’arrivo degli inglesi, la situazione migliorò,
anche se vari fattori contribuirono ad ostacolare le attività della
Chiesa fino all’indipendenza del paese nel 1948.
La
gerarchia cattolica fu eretta nel 1886. Nel 1893 venne aperto un
seminario pontificio a Kandy per provvedere alla formazione
sacerdotale del clero dell’India e dello Sri Lanka. Nel 1955 il
seminario pontificio di Kandy fu trasferito a Pune, nell’India; al
suo posto venne costituito ad Ampitiya il seminario nazionale di
“Nostra Signora dello Sri Lanka” per servire le diocesi dello Sri
Lanka. Oggi la popolazione cattolica conta 1.365.000 (6,8% della
popolazione totale); ci sono 11 diocesi con 1.080 sacerdoti (683
diocesani e 397 religiosi) e un numero totale di 3.038 religiosi, di
cui 577 uomini e 2.461 donne.
[6]
Le sfida
maggiore della Chiesa nello Sri Lanka è di lavorare per la
riconciliazione tra i tamil ed i singalesi, e risolvere il problema
etnico; inoltre di lavorare per un dialogo maggiore con i buddisti.
Myanmar
Il Myanmar (antica Birmania) si trova
nell’Asia sud-est, confinante con la Cina, il Laos, il Bangladesh e
la Tailandia, al margine del Mar di Andaman e il Golfo del Bengala.
La popolazione di Myanmar è circa 48.000.000, di cui i buddisti sono
89%, i cristiani 4%, e i musulmani 4%.
Dal 1988 una
spietata giunta militare governa il paese. Non permette ai cittadini
di fruire dei loro diritti umani, la libertà di auto-determinazione
politica, la libertà della stampa e di espressione. I gruppi etnici
negli stati di Shan, Mon, Karen e Karenni (sui confini con la
Tailandia) sono repressi dal governo per obiettivi militari, seguendo
un piano sistematico di “purificazione etnica”, come viene
chiamato.
L’origine della Chiesa in Myanmar può essere
situata verso la metà del 1500, e specificatamente in un tentativo
di evangelizzazione fatto nel 1544 da un francescano francese. Quasi
un secolo più tardi vennero in Myanmar i cappuccini e, dopo di essi,
i Barnabiti. Durante la prima metà del secolo diciannovesimo, come
conseguenza della guerra tra gli inglesi e i birmani, la Chiesa fu
quasi completamente sterminata, cosicché nel 1866 rimasero solo due
sacerdoti cattolici. Gradualmente la situazione è migliorata, e nel
1995 fu eretta la gerarchia cattolica.
Oggi il Myanmar ha
una popolazione cattolica di più di 620.000 fedeli (1,16%); ci sono
13 diocesi, con 574 sacerdoti (di cui 540 diocesani e 34 religiosi) e
1.627 consacrati religiosi, di cui 139 uomini e 1.488 donne.
[7]
Nel
1965-1966 il governo nazionalizzò tutti gli istituti ecclesiastici.
Tuttavia, nonostante gli ostacoli provenienti dalla situazione
politica, la Chiesa è vibrante e dinamica. Dal 1995 la Conferenza
episcopale del Myanmar preme per la libertà di religione, sulla base
della Costituzione nazionale.
Nepal
Il Nepal,
un paese dell’Asia sud senza sbocco sul mare, si trova in una
posizione strategica tra la Cina e l’India; è un paese che va da
un’altezza di 70 metri fino agli 8.850 metri del monte Everest; 8
delle 10 cime più alte del mondo si trovano nel Nepal.
Il
Nepal è tra i paesi più poveri e sottosviluppati del mondo, avendo
quasi un terzo della popolazione sotto la soglia della povertà. Lo
sviluppo economico del Nepal è molto basso, e questo è dovuto alla
sua arretratezza, alla sua ubicazione geografica remota e senza
sbocco sul mare, alla facilità con cui è soggetto a disastri
naturali e, soprattutto, alla lotta civile interna, condotta da
guerriglieri maoisti e da un numero di gruppi radicali
antimonarchici, insieme a quelli di filo-sinistra. La situazione
precaria ha anche ridotto il turismo, che in tempi migliori era una
delle fonti principali di valuta straniera.
Il Nepal ha
una popolazione di 29 milioni di abitanti ed è governato da un re,
con un parlamento e dei ministri. Ma la situazione politica è
mutevole, se non addirittura anarchica. Un esempio tipico è stato
nel 2001 il massacro di dieci membri della famiglia reale, inclusi il
re e la regina, per le mani del principe ereditario. La maggioranza
della popolazione nepalese è indù. La conversione ad un’altra
religione è proibita per legge.
La fede cattolica fu
portata al Nepal dai missionari gesuiti nel 1628, ma il lavoro di
evangelizzazione da loro intrapreso è stato molto ridotto. Oggi, i
cattolici sono circa 8.000 (0,02%), con 50 sacerdoti (12 diocesani e
38 religiosi), 164 consacrati religiosi, di cui 40 sono uomini e 124
donne.
[8]
La
conversioni dall’induismo, che è la religione nazionale, non
soltanto sono proibite, ma punibili con l’incarcerazione. La
missione cristiana, intesa come una proclamazione esplicita del
Vangelo, è vietata.
Kuwait
Il Kuwait, un
piccolo paese, si trova nel Medio Oriente, tra Iraq e Arabia Saudita,
confinante con il Golfo Persico. Anche se ricco di petrolio, esso è
quasi totalmente dipendente quanto all’importazione di cibo; il 75%
dell’acqua potabile deve essere distillata o importata.
Il
Kuwait ha una popolazione di circa 2.650.000, che include 1.300.000
stranieri; l’85% sono musulmani, mentre l’altro 15% è costituito
da cristiani, indù, zoroastriani, e altri, quasi tutti espatriati.
L’origine del cristianesimo nella regione può essere
fatta risalire indietro fino ai tempi apostolici. Al momento
presente, della popolazione totale i cattolici sono circa 158.500
(5,98%) e appartengono a vari riti. Vi è un vescovo cattolico e una
cattedrale a Kuwait City, e tre altri luoghi per il culto; ci sono 12
sacerdoti, di cui 9 sono religiosi. I consacrati religiosi sono 22,
di cui 13 sono suore.
[9]
Yemen
Lo
Yemen è un altro paese nel Medio Oriente, con una popolazione di
quasi 21.000.000, praticamente tutta musulmana, con un numero
insignificante di giudei, cristiani e indù. La parte nord ottenne
l’indipendenza dall’impero ottomano nel 1918, mentre gli inglesi
si ritirarono dalla parte sud solo nel 1967. Quando il Sud Yemen
prese un orientamento marxista, migliaia di cittadini del sud si
rifugiarono nel nord; tale esodo portò le due regioni in conflitto.
Finalmente, nel 1990 le due regioni si riunirono in una Repubblica
dello Yemen. Ora, relativamente parlando, il paese gode di una certa
armonia.
In una popolazione totale di 21 milioni vi sono
all’incirca di 4.000 cattolici, e anche questi sono per la maggior
parte espatriati filippini e indiani, insieme ad un piccolo gruppo di
iracheni, sudanesi, libanesi, giordani, americani e inglesi. Ci sono
5 sacerdoti salesiani, con il compito di cappellani presso le
Missionarie della Carità di Madre Teresa, ma che provvedono anche ai
bisogni spirituali della piccola popolazione cattolica. Ci sono 4
comunità delle Missionarie della Carità di Madre Teresa, con 24
suore di diversa provenienza. Nel 1998 tre di esse furono uccise da
un fondamentalista islamico: sono state le prime martiri delle
Missionarie della Carità a dare la propria vita per la fede nel
servizio dei poveri. In alcuni centri, dove lavorano i salesiani, si
fanno programmi di animazione per aiutare gli espatriati a resistere
all’attrazione dei fondamentalisti islamici e delle sette
protestanti. Attualmente la situazione sta migliorando, a partire
dall’anno 2000, quando il Presidente diede ordine al Primo Ministro
di riconsegnare alla Chiesa cattolica nello Yemen gli edifici delle
chiese insieme ai loro terreni adiacenti.
3.
Storia della presenza salesiana nella Regione
Il
primo gruppo di salesiani era formato da tre sacerdoti, un chierico,
un coadiutore e un aspirante; erano quattro italiani, un belga e un
francese, sotto la guida di Don Giorgio Tomatis. Si imbarcarono a
Genova il 17 dicembre 1905 e arrivarono a Bombay il 5 gennaio
dell’anno seguente. Ospitati prima dal vescovo di Daman e poi da
quello di Mylapore, arrivarono a Thanjavur, la loro destinazione
missionaria, il 14 gennaio 1906.
Subito presero la
responsabilità dell’orfanotrofio di S. Francesco Saverio e della
scuola elementare della parrocchia. Nell’arco di tre settimane dal
loro arrivo, attivarono un gruppo di cooperatori salesiani e
avviarono l’oratorio festivo, dove alla sera dopo la ricreazione i
ragazzi avevano un’ora di catechismo, insegnato dai cooperatori e
da alcuni dei più grandicelli tra i giovani. Nel febbraio dello
stesso anno diedero inizio a due laboratori.
Già nel
giugno del 1906 essi amministrarono il primo battesimo. Fin
dall’inizio, inoltre, cercarono di promuovere vocazioni indigene.
Così, nell’agosto 1907 un giovane di 28 anni, Ignazio Muthu,
chiese di entrare tra i salesiani a Thanjavur. Nel 1908, insieme ad
un altro aspirante, venne mandato in Italia per fare il suo
noviziato. Dopo il noviziato e dopo gli studi filosofici compiuti in
Portogallo, i due giovani salesiani ritornarono nell’India. Ignazio
Muthu, ordinato il 31 dicembre 1916, fu il primo sacerdote salesiano
indiano.
Mentre stavano compiendosi i primi due anni di
lavoro salesiano a Thanjavur, la morte inaspettata, avvenuta il 19
novembre 1907, di Don Ernest Vigneron, uno dei missionari del primo
gruppo, fu un duro colpo per la comunità salesiana. Ma Dio provvide
in modo singolare. Un altro missionario francese, Don Eugenio
Mederlet, stava viaggiando verso la Cina per raggiungere i missionari
salesiani a Macau. Passando per l’India, si fermò a visitare il
suo amico Don Vigneron. Mentre era ancora in India, il suo amico
morì, e Don Rua mandò un telegramma a Don Mederlet chiedendogli di
restare nell’India per sostituirlo.
Nel 1909 Don
Tomatis, lasciando la missione di Thanjavur alla cura di Don
Mederlet, raggiunse Mylapore (Chennai) per iniziarvi una seconda
fondazione. Anche qui si cominciò con il lavoro per gli orfani in un
orfanotrofio già esistente. Don Tomatis morì inaspettatamente nel
1925.
Intanto, la Santa Sede stava facendo pressione sui
salesiani perché accettassero la vasta missione dell’Assam.
Finalmente, il 13 gennaio 1922 il primo gruppo di 11 missionari (6
sacerdoti e 5 coadiutori), con Don Louis Mathias a capo, arrivò a
Shillong, allora capoluogo dell’Assam. Nel dicembre 1922 Don
Mathias fu nominato Prefetto Apostolico dell’Assam. Da quel momento
non si volse più lo sguardo indietro. Nel 1923 i salesiani
dell’India formarono una “Visitatoria” con sede a Shillong, e
Don Mathias ne fu nominato superiore. Il 28 maggio 1926 la
“Visitatoria” indiana fu elevata ad Ispettoria: Don Mathias
divenne il primo Ispettore, la sede rimase a Shillong, e San Tommaso
Apostolo fu scelto come patrono.
Mentre l’opera
salesiana progrediva molto bene nel nord, la situazione nel sud non
era così incoraggiante. I salesiani ebbero dei problemi con
l’amministrazione diocesana locale. Il vescovo locale si era
dimostrato molto amico e paterno verso i salesiani; non così invece
il Vicario Generale che governò la diocesi durante la lunga assenza
del vescovo in Europa. Perciò, il Visitatore straordinario, Don
Pietro Ricaldone, ritirò i salesiani da Thanjavur e Mylapore e li
mandò a Mumbai e a Vellore. Nel 1928 la missione del Nord Arcot, con
sede a Vellore, fu unita all’arcidiocesi di Madras, la quale a sua
volta fu affidata ai salesiani, e Don Eugenio Mederlet fu nominato
arcivescovo.
Nel 1934 Don Louis Mathias e Don Stefano
Ferrando furono ordinati vescovi, a Shillong e a Krishnagar
rispettivamente. Nel 1935 Mons. Mederlet morì improvvisamente. Mons.
Mathias fu allora trasferito all’arcidiocesi di Madras e Mons.
Ferrando a Shillong. Nel 1939 i salesiani del nord entrarono nella
Birmania (Myanmar) e cominciarono a lavorare a Mandalay; nel 1956
quelli del sud iniziarono l’opera salesiana a Negombo, nello Sri
Lanka.
3.1
L’attività missionaria nella
prima metà del secolo
Dal
1922 fino alla seconda guerra mondiale ci fu un flusso costante di
missionari salesiani, che vennero all’India dall’estero. Dopo la
proclamazione dell’indipendenza, nel 1947, divenne sempre più
difficile per i missionari stranieri entrare in India. Infine, nel
1966 il governo mise fine all’entrata di missionari dall’estero.
Così, dal 1906 fino a 1966, un periodo di 60 anni, più di 450
salesiani da vari paesi sono venuti nell’India come missionari –
la maggior parte di essi dall’Europa, specialmente dall’Italia,
ma alcuni anche dall’Australia e dalle Americhe. La stragrande
maggioranza di essi morirono nell’India, la terra della loro
adozione missionaria; alcuni pochi ritornarono al loro paese nativo
per motivi di salute o per altri motivi connessi. Oggi in India
restano soltanto 31 missionari stranieri.
Fin
dall’inizio, le missioni furono un’espressione privilegiata del
carisma salesiano tra la gioventù. Partire dall’educazione dei
giovani per arrivare all’evangelizzazione della gente locale:
questa, si può dire, fu la strategia missionaria specifica adottata
dai salesiani in tutte le loro missioni. Ma l’opera missionaria
nell’India presenta alcune caratteristiche proprie, che la
distinguono dall’opera missionaria altrove nella Congregazione.
In primo luogo, va sottolineato che fin dall’inizio i
missionari furono un gruppo internazionale proveniente da diversi
paesi, presentando così la realtà di una Chiesa universale. Era
d’aiuto anche il fatto che questi missionari mantenevano il
contatto con i paesi d’origine per il sostegno economico e
psicologico, tanto necessario per lo sviluppo rapido della missione.
Dovunque veniva iniziata un’opera missionaria salesiana, si vedeva
la trasformazione, la crescita, il progresso in tutta la zona
circostante.
Anche la presenza di un numero consistente
di coadiutori salesiani, che lavoravano a fianco dei sacerdoti,
mettendo mano ad ogni tipo di lavoro qualificato, fece un’impressione
molto favorevole, perché parlava della fondamentale uguaglianza
delle persone in un paese dominato da divisioni di tribù e di casta,
e dove ogni casta è legata ad un determinato tipo di lavoro. Il
ruolo del coadiutore salesiano nelle missioni è stato decisivo per
la qualità e profondità della sua testimonianza laicale.
Così,
la proclamazione del vangelo e la celebrazione dei sacramenti
andarono di pari passo con l’educazione e il lavoro professionale,
dando una forte testimonianza sulla dignità della persona umana e
del lavoro umano. La rete delle scuole, dei centri di addestramento
professionale, degli internati e dei convitti per ragazzi e ragazze,
che rapidamente apparvero dappertutto nel territorio missionario,
ebbe un profondo impatto trasformatore su una società che da tempo
era stagnante e isolata, e l’aprì al vasto mondo circostante,
dando una testimonianza credibile della potenza del Vangelo e delle
sue implicazioni sociali di larga portata.
Una seconda
caratteristica del lavoro missionario nell’India fu quella della
formazione dei missionari in loco.
Mons. Mathias insistette con i superiori di mandare giovani
all’India, dove avrebbero iniziato il noviziato, passando poi
attraverso le fasi formative nei luoghi del loro futuro ministero,
imparando la lingua, i costumi e le tradizioni della gente locale,
che essi avrebbero servito. La loro giovinezza, energia e zelo fecero
in modo che si adattassero molto rapidamente alle condizioni locali e
si dimostrassero poi dei leaders e pionieri eccezionali nelle aree
cui furono assegnati. Insieme a questa opzione a favore dei
missionari giovani dall’estero, vi fu anche quella di reclutare
vocazioni locali fin dall’inizio. Questa scelta coraggiosa, che
andava contro la tendenza allora praticata altrove di contare
esclusivamente sui missionari dall’estero, si dimostrò sapiente e
lungimirante, perché essa preparò i salesiani indiani, che crebbero
e lavorarono spalla a spalla con i confratelli di origine straniera,
ad assumere le redini del governo e dell’amministrazione quando i
missionari stranieri furono internati nei campi militari durante la
guerra, o non poterono più entrare nel paese dopo la proclamazione
dell’indipendenza. Il lavoro missionario quindi non cessò, quando
l’afflusso di missionari dall’estero venne meno. Continuò, ma in
mani diverse, a lungo ammaestrate dallo spirito e zelo dei primi
pionieri.
La terza caratteristica significativa della
strategia missionaria nell’India, potremmo dire, fu la fondazione
di istituti missionari di suore da parte dei vescovi salesiani. Le
Suore Missionarie di Maria Ausiliatrice, le Suore Catechiste di Maria
Immacolata, le Suore Visitatrici di Don Bosco, e altri istituti
fondati recentemente, misero a disposizione delle giovani chiese del
nord-est gruppi zelanti e dedicati di suore locali, che facevano il
giro dei villaggi e delle piccole città catechizzando, provvedendo
alle necessità sanitarie, e, in generale, prendendo cura delle donne
e dei bambini. Nei posti missionari, nei dispensari, nelle scuole e
negli internati queste brave suore integravano stupendamente il
lavoro dei sacerdoti e dei coadiutori negli angoli più lontani del
campo missionario.
Bisogna anche evidenziare il gruppo
intrepido di catechisti laici in ogni posto di missione. Nei villaggi
più lontani e inaccessibili, che i sacerdoti o le suore potevano
visitare solamente poche volte all’anno, questi catechisti umili,
pur essendo non molto istruiti e scarsamente retribuiti, erano la
faccia visibile della Chiesa, raccogliendo la gente per la preghiera
tutte le domeniche, dando loro l’istruzione, visitando gli
ammalati, preparando i fedeli per i sacramenti, accompagnando i
missionari nelle loro visite, traducendo i discorsi nelle lingue
locali, e facendo i primi contatti in nuovi territori. Le Chiese
missionarie devono molto a questi catechisti poveri e semplici, che
sono stati all’avanguardia della spinta missionaria ad
gentes.
Da solo 5.000
cattolici nell’Assam, quando arrivarono i primi missionari nel
nord-est dell’India e accettarono la missione dell’Assam dai
Padri Salvatoriani, la Chiesa cattolica è cresciuta a 1,3 milioni di
fedeli oggi, nello spazio di poco più di 80 anni.
Ciò
che ho detto dell’attività missionaria nel nord-est può essere
detto ugualmente delle altre parti della Regione, con le debite
proporzioni.
3.2
Due grandi missionari
A
questo punto, sento il bisogno di fare una parentesi per rendere
omaggio a due eminenti missionari, al cui zelo missionario,
entusiasmo, capacità amministrativa e lungimirante visione si può
attribuire l’impiantarsi e lo svilupparsi del carisma salesiano.
Durante le mie recenti visite alla Regione, ho sentito parlare di
loro con grande rispetto e stima.
L’Arcivescovo
Louis Mathias (1887-1965)
Il
primo è Don Louis Mathias, il capo della prima spedizione
missionaria nel nord India, un salesiano francese, una persona molto
dinamica. È indubbiamente il salesiano più illustre dell’India
del secolo scorso.
Fin dall’inizio egli mise in azione
quello che più tardi sarebbe stato il motto ufficiale del suo
episcopato, “Aude et spera”.
Osando e sperando, a dispetto delle circostanze avverse, egli portò
alla rapida crescita del numero dei salesiani e delle loro attività,
nel periodo della sua responsabilità di Ispettore dell’India.
[10]
Don
Mathias non fu soltanto un leader entusiasta, ma anche una persona
capace di destare quell’entusiasmo in altri. Egli dimostrò grande
ingegnosità nel superare i seri problemi che la nuova missione
dell’Assam dovette affrontare, a causa della mancanza di uomini e
di mezzi sufficienti. Una della sue imprese nell’Assam fu di creare
e mantenere lo “spirito di famiglia”, specialmente nelle case di
formazione. Fu un organizzatore formidabile e il cervello di ogni
progettazione nelle missioni. Aveva il controllo di tutto, ma nello
stesso tempo lasciava spazio all’iniziativa locale, affinché i
missionari non si sentissero soffocati, ma sostenuti. Don Ricaldone,
Visitatore straordinario nel 1927, lo descrisse come uno che
“possedeva capacità straordinarie per il suo ufficio. Era
intelligente: sapeva come ottenere l’appoggio di altri. Ma
soprattutto, fu un uomo di pietà e di osservanza religiosa
esemplare.” Grazie al suo grande amore per Don Bosco, fece i passi
necessari per impiantare la Congregazione non solo nell’Assam, ma
anche a Calcutta, Bombay, Madras, Nord Arcot e Krishnagar. Lo
sviluppo della missione dell’Assam sotto la sua leadership fu tale
che la Santa Sede nel 1934 costituì a Shillong una diocesi,
nominando Don Mathias suo primo vescovo.
Nello
stesso anno però, essendo morto l’arcivescovo salesiano di Madras,
Mons. Mathias fu trasferito a Madras per prenderne il posto. Madras
era tutto un altro mondo, ma egli si adattò alla nuova situazione.
Quando poi la Santa Sede unì l’Arcidiocesi di Madras con la
diocesi di Mylapore, creando così la nuova Arcidiocesi di
Madras-Mylapore, egli fu nominato suo primo Arcivescovo. Durante i
trent’anni passati a Madras, si dimostrò uno dei vescovi più
dinamici dell’India. Ogniqualvolta i principi o gli interessi della
Chiesa venivano attaccati dal governo in qualsiasi parte dell’India,
egli alzava la sua voce di protesta e spesso con successo. A buon
diritto è stato detto che la gerarchia, il clero e i laicato
nell’India sono debitori a Mons. Mathias per gli enormi servizi da
lui resi alla Chiesa nell’India. Il lavoro che fece
nell’Arcidiocesi di Madras-Mylapore è semplicemente
monumentale.
Egli rimase sempre un figlio devoto di Don
Bosco. Fu estremamente generoso verso la Congregazione. Alcune delle
migliori parrocchie e scuole salesiane a Madras (ora Chennai) sono
doni dell’Arcivescovo Mons. Mathias alla Congregazione.
Don
José Carreño (1905-1986)
Un
altro salesiano significativo, che lasciò una forte impronta nel sud
dell’India, fu Don José Carreño, originario della Spagna. Se
Mons. Mathias fu il salesiano più illustre dell’India durante il
secolo scorso, si può dire che Don Carreño fu il salesiano più
amato nell’India sud durante lo stesso secolo.
[11]
Quando i
salesiani dovettero ritirarsi da Thanjavur, Nord Arcot divenne il
campo del loro apostolato e Tirupattur nel Nord Arcot fu il cuore del
mondo salesiano nell’India sud. Don Carreño fece palpitare questo
cuore di amore per il Cristo. È stato detto che come maestro dei
novizi, incarico che gli fu affidato quando non aveva ancora
trent’anni, faceva innamorare i novizi del Sacro Cuore di
Gesù.
Riproduco qui due lettere di due suoi novizi,
perché danno un quadro nitido di Don Carreño. La prima è di Hubert
D’Rosario, che più tardi divenne Arcivescovo di Shillong-Guwahati.
Egli scrisse: «Il mio maestro di
noviziato fu Don Carreño. Egli si preoccupava di noi come un padre…
Ci sentivamo attratti a lui e cercavamo di imitarlo. Egli inculcava
in noi dei valori duraturi… Era un insegnante brillante, un
predicatore convincente… Avevamo sempre tanta voglia di ascoltare
le sue conferenze, che egli preparava così bene. Eravamo conquistati
dal suo cuore paterno. La gioia, l’amore, la pace e la speranza
erano le cose che si respiravano in quella casa… Quella casa era
come il paradiso».
[12] La seconda
testimonianza è di Don Luigi Di Fiore, che più tardi fu Ispettore
di Madras: «Senza dubbio l’eredità
più preziosa che Don Carreño tramandò a noi fu lo spirito
salesiano nelle sue caratteristiche: la sete per le anime, la carità
fraterna e lo spirito di famiglia, poggiato sulla preghiera, sul
lavoro, sull’allegria, su un sano ottimismo e sull’ospitalità».
[13]
Nel 1944
Don Carreño fu nominato Ispettore dell’Ispettoria dell’India
sud, e nel primo raduno del Consiglio si prese la decisione di
consacrare l’Ispettoria al Sacro Cuore di Gesù. Molti salesiani
dell’India sud attribuiscono la crescita fenomenale dell’Ispettoria
del sud all’amore di Don Carreño per il Sacro Cuore e alla
consacrazione dell’Ispettoria al Sacro Cuore di Gesù. Il
contributo più notevole di Don Carreño all’India salesiana è
stato lo sforzo di aumentare il numero dei candidati indigeni alla
vita salesiana. Già nel 1893 il Papa Leone XIII aveva scritto: «…la
sorte della Chiesa nell’India non avrebbe mai potuto avere radici
solide senza la dedizione continua di un clero indigeno nell’India,
pio e zelante».
[14] Don Carreño era
pienamente d’accordo con il Papa circa l’importanza delle
vocazioni indigene alla vita salesiana.
Con l’inizio
della seconda guerra mondiale, cessò il flusso di personale
dall’Europa. Ma ciò che fu peggio, i salesiani italiani e tedeschi
furono internati nei campi di concentramento, e quindi l’Ispettoria
rimase con pochissimi salesiani. Don Carreño nel 1943 aprì un
aspirantato a Tirupattur. All’inizio, accolse solo quei giovani che
avevano finito la scuola secondaria, ma poi, accorgendosi che erano
troppo pochi per il tanto lavoro futuro, cominciò ad accogliere
anche ragazzi più giovani. Questo orientamento è rimasto fino al
presente nell’India, e se oggi i salesiani indiani sono così
numerosi, ciò è dovuto alla lungimiranza e al coraggio di Don
Carreño.
3.3
Il rapido sviluppo della
Congregazione
Nel 1923
fu eretta la “Visitatoria” indiana, con sede a Shillong; il 28
maggio 1926 essa fu elevata al grado di Ispettoria, sotto il
patrocinio di San Tommaso Apostolo. Successivamente, il 24 gennaio
1934 l’Ispettoria salesiana dell’India fu suddivisa in due:
l’Ispettoria dell’India nord, con patrono San Giovanni Bosco e
con sede a Shillong, che più tardi fu trasferita a Calcutta
(Kolkata); e l’Ispettoria dell’India sud, con patrono San Tommaso
Apostolo e con sede a Vellore, che fu più tardi trasferita a Madras
(Chennai).
Il 17 ottobre 1959 fu separata da Kolkata
l’Ispettoria di Guwahati, avente Maria Ausiliatrice come patrona.
Il 31 gennaio 1972 la “Visitatoria” di Mumbai fu eretta come
Ispettoria, che ebbe come patrono San Francesco Saverio. Il 19 marzo
1979 l’Ispettoria di Bangalore fu separata dall’Ispettoria di
Chennai e assunse come patrono il Sacro Cuore di Gesù, mentre l’8
dicembre 1981 l’Ispettoria di Dimapur fu separata da Guwahati e
prese San Francesco di Sales come patrono. Il 24 aprile 1992
Hyderabad, che fino allora faceva parte dell’Ispettoria di
Bangalore, fu eretta come Ispettoria e dedicata a San Giuseppe,
mentre la Delegazione di Nuova Delhi, che faceva parte
dell’Ispettoria di Kolkata, fu canonicamente eretta come Ispettoria
il 24 gennaio 1997 sotto il patrocinio di Gesù Buon Pastore. Il 5
agosto1999 l’Ispettoria di Chennai fu divisa in due, la parte sud
formando un’Ispettoria avente Nostra Signora della Salute come
patrona e la sede a Tiruchy. Infine, nel 2004 tre Delegazioni sono
state elevate al grado di Visitatorie, ed hanno avuto inizio
rispettivamente: il 6 agosto quella di Myanmar, separata da Kolkata,
con Maria Ausiliatrice come patrona; il 15 agosto quella dello Sri
Lanka separata da Chennai, con San Giuseppe come patrono; e il 31
agosto quella della regione Konkan, separata da Mumbai, con il Beato
Giuseppe Vaz come patrono.
I
salesiani in Myanmar
Nel
1894 Don J. L. Lafon fondò a Mandalay un orfanotrofio per i ragazzi
cinesi, che poi ampliò per accogliere orfani di diverse nazionalità
che si trovavano nella Birmania, e al quale più tardi aggiunse anche
una scuola. Data la crescita continua della scuola e dell’internato,
e considerando la sua età che avanzava, Don Lafon non poteva
condurre l’opera da solo. Quindi, nel 1928, con l’approvazione
del vescovo Mons. Falière, scrisse all’Ispettore salesiano, Don
Mathias, chiedendo che i salesiani prendessero la responsabilità
dell’opera. Finalmente, nel 1939, un gruppo di sei salesiani, con a
capo Don Antonio Alessi, arrivò a Mandalay per assumere la direzione
dell’internato e della scuola.
Come avviene spesso
all’inizio di un’opera, anche in Myanmar i salesiani dovettero
passare un periodo molto duro per varie difficoltà, soprattutto
economiche. Presto, poi, Mandalay divenne il campo di battaglia tra i
giapponesi e gli inglesi. Durante la guerra, i salesiani perdettero
praticamente tutto ciò che possedevano, ma grazie a Dio nessuno
perse la vita. In più, essi diedero alloggio a molta gente, tra cui
10 seminaristi, orfani e famiglie di rifugiati. Dopo la guerra si
ritornò gradualmente alla vita normale, grazie all’aiuto delle
autorità inglesi. Ma poco tempo dopo fu una guerra civile a
scoppiare dentro lo stesso Myanmar, e anche questa volta i salesiani
dovettero soffrire molto.
Nel 1952 i salesiani
accettarono la parrocchia di Thingangyung, a circa 5 km. da Yangon.
Nel 1957 aprirono l’aspirantato ad Anisakan. Nel 1964 il primo
gruppo di 3 novizi cominciò il noviziato ad Anisakan e dopo la
professione continuò la formazione del postnoviziato nella stessa
casa. Poi venne la rivoluzione socialista del 1965, e tutti i
missionari dall’estero furono espulsi e le scuole private
nazionalizzate. Solo Don Fortunato Giacomin, un missionario italiano,
riuscì a rimanere nel paese e tenne insieme i nuovi professi, agendo
come il loro superiore, come professore di filosofia e teologia,
tutto insieme.
Nel 1975 fu aperta la missione di Lashio,
grazie allo zelo missionario di Mons. Jocelyn Madden; la missione
continuò a fiorire fino a diventare infine una diocesi, con Mons.
Charles Bo, SDB, primo vescovo. Nel 1977 fu aperta una casa di
formazione a Yangon per gli studenti di teologia, che frequentavano
il seminario maggiore interdiocesano. Nel 1988 si diede inizio
all’aspirantato di Hsipaw e alla missione degli stati Wa.
Fin
dagli inizi il Myanmar formava parte della Ispettoria di Kolkata. Nel
1964 diventò una Delegazione con il proprio Delegato. Finalmente,
considerando la necessità di aiutare la Delegazione di Myanmar a
svilupparsi, e vista anche la crescita continua seppur lenta del
numero di confratelli, il numero costante di prenovizi e novizi, la
possibilità di uno sviluppo complessivo della regione, la stima e
l’incoraggiamento dei vescovi e, soprattutto, la fedeltà
indefettibile e l’attaccamento dei confratelli a Don Bosco,
specialmente durante gli anni di prova, il Rettor Maggiore nel 2002
decise di elevare la Delegazione di Myanmar al grado di Visitatoria.
L’erezione avvenne successivamente, il 13 giugno 2004.
I
salesiani nello Sri Lanka
Don
Enrico Remery, un salesiano francese dell’Ispettoria di Chennai,
diede inizio alla presenza salesiana nell’isola nel 1956 nelle
vicinanze della città di Colombo; nel 1962 fu aperto un istituto a
Ettukal-Negombo. Anche se l’opera progrediva gradualmente, Don
Remery rimase solo per parecchi anni, perché il governo dello Sri
Lanka non permetteva agli indiani di entrarvi.
Per molto
tempo, i giovani confratelli dallo Sri Lanka vennero mandati in India
per la loro formazione iniziale; ma anche ciò divenne impossibile
per motivi politici. A seguito di ciò, nel 1976 si diede inizio a
Kandy ad un centro di formazione per i giovani confratelli avviati al
sacerdozio. Oggi nello Sri Lanka ci sono diverse case di formazione:
un aspirantato, un prenoviziato, un noviziato e un postnoviziato. Per
gli studi teologici i candidati vengono mandati agli studentati di
teologia nell’India o altrove.
Nel 1993 lo Sri Lanka
divenne una Delegazione dell’Ispettoria di Chennai. Nell’arco di
un decennio, la Delegazione si sviluppò, dotandosi di una
infrastruttura quasi completa per l’animazione e l’amministrazione.
Perciò, nel 2003, l’Ispettore di Chennai, con il consenso del suo
Consiglio e in consultazione con il Delegato dello Sri Lanka, chiese
al Rettor Maggiore di separare la Delegazione dello Sri Lanka
dall’Ispettoria di Chennai e di erigerla come Visitatoria. La
Visitatoria dello Sri Lanka è stata canonicamente eretta il 13
giugno 2004.
I salesiani nel
Nepal
La presenza salesiana
nel Nepal ha avuto inizio nel 1992. Don Antonio Sharma, SJ, Prefetto
Apostolico, comprò un pezzo di terreno a Dharan e invitò i
salesiani a prendere cura della missione, che consisteva di circa 300
cattolici o 93 famiglie nella località e in sei centri vicini. I
salesiani hanno dato inizio ad una scuola a Kathmandu, la capitale,
nel 2000. Attualmente, abbiamo una comunità e una presenza nel
Nepal, che fa parte dell’Ispettoria di Kolkata, con due confratelli
prestati dall’Ispettoria di Bangalore.
I
salesiani nel Kuwait
La
presenza salesiana nel Kuwait è incominciata nel 2000, quando il
Rettor Maggiore, Don Juan Vecchi, affidò il Kuwait ai salesiani
dell’Ispettoria di Mumbai, perché iniziassero una scuola per i
figli di lavoratori, impiegati in prevalenza nel lavoro delle
costruzioni. La maggioranza di essi è di origine indiana o
filippina.
I salesiani nello
Yemen
A Madre Teresa di
Calcutta fu chiesto dal governo dello Yemen di aprire un’opera nel
paese per prendere cura degli anziani e abbandonati. Ella accettò la
proposta, a condizione che le sue Suore avessero un cappellano per
provvedere ai loro bisogni spirituali. Quando il governo acconsentì
alla sua richiesta, ella chiese aiuto al Rettor Maggiore, Don Egidio
Viganò, il quale chiese all’Ispettoria di Bangalore di mandare dei
salesiani come cappellani per le Suore di Madre Teresa nello
Yemen.
La prima presenza salesiana fu stabilita nel 1987 a
Sana’a, la capitale dello Yemen; un simile lavoro di cappellania si
attuò anche in altri luoghi: nel 1988 a Hodeidah, nel 1989 a Taiz e
nel 1991 ad Aden. In tutti questi centri, oltre ad essere cappellani
ufficiali delle Missionarie della Carità, i salesiani prendono cura
dei gruppi significativi di cattolici, per la maggiore parte
lavoratori espatriati.
4.
L’attuale presenza salesiana
Oggi,
la regione dell’Asia Sud ha 9 Ispettorie e 3 Visitatorie, con circa
2400 confratelli e 170 novizi, in 359 centri; di questi, 270 sono
case canonicamente erette e 89 presenze approvate, non ancora erette
canonicamente. Nella Regione ci sono 5 arcivescovi e 6 vescovi
salesiani. L’età media dei confratelli è di 40,3 anni. Inoltre,
sono molti i missionari che sono partiti dall’India per le diverse
parti del mondo, per portare il Vangelo e impiantare il carisma
salesiano. Il piccolo seme seminato nel terreno indiano cent’anni
fa è oggi cresciuto in un grande albero, producendo frutti di
evangelizzazione e attività missionaria in tutto il mondo.
4.1
Il coordinamento
interispettoriale
Nella
Regione è stata costituita una Conferenza interispettoriale, con i
propri statuti, che si raduna due volte l’anno: una volta in
sessione plenaria e un’altra con un raduno di carattere esecutivo.
La Conferenza salesiana dell’Asia Sud (SPCSA) ha il suo centro a
Nuova Delhi e agisce come strumento di comunicazione e di
collaborazione interispettoriale, come pure per l’animazione e le
relazioni pubbliche. Il segretario della Conferenza è incaricato del
centro e cura la pubblicazione di un bollettino biennale (SPCSA
Bulletin).
Sotto la
responsabilità della Conferenza ci sono quattro commissioni
interispettoriali, guidate da delegati interispettoriali nominati
dalla Conferenza stessa, che seguono i quattro principali settori del
nostro apostolato: la formazione, la pastorale giovanile, la Famiglia
Salesiana e la comunicazione sociale, l’animazione missionaria. La
Conferenza Regionale elabora il suo progetto per il sessennio, basato
sul progetto di governo e animazione del Rettor Maggiore e del suo
Consiglio. Così pure, ognuna delle quattro commissioni
interispettoriali ha il suo programma, ispirato allo stesso modello.
Vi è una sufficiente interazione tra le commissioni, che
s’incontrano regolarmente. Le loro attività vengono seguite dalla
Conferenza, che ogni anno approva e valuta i loro programmi e i
preventivi, e provvede alle spese necessarie. La difficoltà sta nel
creare una visione comune della Regione ed impegnare adeguato
personale e risorse finanziarie per realizzare e sostenere opere ed
attività significative al livello della Regione.
4.2
La formazione
La
formazione permanente
Al
livello interispettoriale la Conferenza Regionale ha un centro di
formazione permanente a Bangalore, Don
Bosco Yuva Prachodini, e lo fornisce di
salesiani qualificati dalle diverse Ispettorie. Programmi di
rinnovamento vengono fatti regolarmente per i leaders delle comunità,
per i formatori e per gli animatori della pastorale giovanile, sia
salesiani che altri religiosi. Il centro gestisce anche un corso (che
si conclude con gli esercizi spirituali) della durata di un mese per
tutti i diaconi delle diverse Ispettorie prima della loro
ordinazione. Così pure realizza un corso per i confratelli che si
preparano alla professione perpetua.
La
formazione iniziale
Più del
40% dei salesiani della Regione sono nelle tappe della formazione
iniziale. Questo è un fatto che riconosciamo con gioia e
gratitudine. Ma è anche una chiamata alla responsabilità per
assicurare una qualità alta di formazione, la quale è di
fondamentale importanza per il futuro della Regione.
Nella
Regione vi sono due studentati di teologia, entrambi aggregati alla
Facoltà di Teologia dell’UPS. Quello del sud (“Kristu Jyoti
College”, Bangalore) offre una specializzazione in catechetica e
pastorale giovanile (Viswadeep),
conferendo il baccalaureato in teologia e la licenza in teologia,
pastorale giovanile ed educazione nella fede; dal 1984 pubblica una
rivista trimestrale intitolata Kristu
Jyoti. L’altro del nord (“Sacred
Heart Theological College”, Shillong) offre una specializzazione in
missiologia; dal 1979 pubblica una rivista missiologica che tratta
temi teologici connessi con la missione della Chiesa nella società
contemporanea dell’India; dal 2000 il nome della rivista è Mission
Today. I due teologati e le
specializzazioni che offrono sono aperti anche ai religiosi e
religiose di altre Congregazioni.
Ci sono, inoltre,
quattro comunità formatrici per studenti di teologia, che
frequentano i seminari di altri religiosi o della diocesi. Quest’anno
abbiamo un numero complessivo di 206 studenti di teologia. L’anno
scorso sono state 44 le ordinazioni sacerdotali. Al “Sacred Heart
Theological College” di Shillong c’è pure un centro per la
formazione specifica dei salesiani coadiutori: il corso di 2 anni
conferisce un diploma riconosciuto dall’UPS ed è aperto ad altri
religiosi e religiose.
La Regione, poi, ha nove case di
postnoviziato, una delle quali, appartenente all’Ispettoria di
Kolkata, è esclusivamente per i salesiani coadiutori. Il
postnoviziato di Nashik, nell’Ispettoria di Mumbai, è aggregato
alla facoltà di filosofia dell’UPS e pubblica una rivista
trimestrale di natura scientifica intitolata Divyadaan.
Tutte le case di postnoviziato hanno strutture adeguate, biblioteche
ben fornite e personale dedicato, anche se in alcune manca un numero
sufficiente di professori qualificati; in questi casi, vengono
sostenute con personale preparato di altre Ispettorie. Quattro
studentati sono anche affiliati alle università statali per
conseguire il baccalaureato. In totale, gli studenti postnovizi sono
295. Dopo gli studi filosofici, i giovani salesiani fanno il loro
tirocinio o continuano ulteriormente il loro training accademico o
professionale. Quest’anno, 84 di essi hanno emesso la professione
perpetua.
Le case di noviziato nella Regione sono nove.
Il 24 maggio 2006,138 novizi hanno emesso la loro prima professione,
mentre 171 novizi sono entrati nei noviziati. La Regione conta poi su
10 case di prenoviziato, che forniscono un gruppo ben preparato di
novizi ogni anno. Vorremmo notare, inoltre, che nella Regione vi sono
solo 163 salesiani coadiutori a confronto di 2.247 sacerdoti e
chierici. La proporzione è di 1 coadiutore a confronto di 14
sacerdoti e chierici.
Vi sono anche altri aspetti che
sembrano aver bisogno di essere rinvigoriti, come, per esempio, la
formazione dei formatori, che comporta l’istituzione di un
programma serio, la formazione specifica salesiana, che richiede
corsi solidi di salesianità nelle varie fasi formative con testi
appropriati e professori qualificati, e il “Curatorium” da far
funzionare bene per le case di formazione aperte a studenti di
diverse Ispettorie. Bisogna partire dalla consapevolezza che la
formazione è prima di tutto responsabilità di tutta la
Congregazione come tale, che ha la prima responsabilità di
assicurare l’identità carismatica dei salesiani.
4.3
La pastorale giovanile
La
pastorale in favore dei giovani è ben organizzata. Al livello
regionale c’è un delegato per l’animazione giovanile, che viene
nominato dalla Conferenza ispettoriale. Egli è anche il delegato per
la Regione nel settore dell’educazione e della cultura. In più,
ogni Ispettoria ha il proprio delegato, assistito da commissioni e
sotto-commissioni, per le cinque dimensioni della pastorale
giovanile. La maggior parte di queste commissioni funziona
organizzando programmi nelle scuole, nei centri giovanili e nelle
parrocchie. Le Ispettorie in maggioranza hanno il loro progetto
educativo-pastorale e cercano di attuarlo. In generale, si scorge la
tendenza di dare più enfasi alle attività e iniziative che alla
formazione e animazione progressiva. C’è bisogno di una
progettazione migliore e di una pastorale giovanile più unificata.
Le istituzioni
educative
L’apostolato
salesiano per la gioventù nella Regione prende varie forme. La più
importante, avendo anche il più grande numero di beneficiari, è
l’educazione. Parlando dello scenario educativo nell’India, già
avevo indicato che i cristiani sono responsabili del 20% degli
istituti di educazione primaria. Possiamo anche affermare che i
salesiani giocano un ruolo significativo nell’impegno educativo del
paese mediante le loro istituzioni educative.
I primi
missionari presero sul serio la loro missione di evangelizzare
educando, e la loro opera missionaria fu sempre legata
all’educazione. L’attenzione fu centrata sulle scuole, primarie e
secondarie, accademiche e professionali, perché l’educazione di
base era il bisogno fondamentale dei giovani. Presto, però, i
salesiani diedero inizio anche a dei collegi universitari. Di fatto,
il primo collegio universitario nella Congregazione, “St. Anthony’s
College”, fu aperto a Shillong, nell’Ispettoria di Guwahati, nel
1934. Oggi ci sono collegi universitari anche in altre parti della
Regione, e questi conferiscono i gradi universitari di laurea e
post-laurea. Ora che l’educazione di base sta diventando molto
estesa e accessibile, c’è uno spostamento di enfasi
dall’educazione primaria all’educazione superiore, e quindi si
sente un bisogno maggiore nelle varie Ispettorie di aprire più
collegi universitari.
Si osserva che nelle città
principali le nostre scuole e i nostri collegi hanno molta difficoltà
per far fronte alle domande di ammissione, tale è la ressa di
domande per un’educazione di buona qualità, così che nelle scuole
si fanno due turni – al mattino e al pomeriggio – e i collegi
universitari sono diurni o serali. Nella Regione si dà un totale di
196 scuole e collegi universitari, con un numero complessivo di
230.375 studenti. Queste istituzioni educative sono ben conosciute e
apprezzate per il buon livello di disciplina, per la loro educazione
integrale e per i risultati eccellenti. Se Don Bosco è generalmente
conosciuto e rispettato in tutta l’India, ciò è dovuto molto alla
rete di solide istituzioni educative che abbiamo nel paese.
Ci
sono però molti giovani che non possono frequentare la scuola o il
collegio universitario per vari motivi: la mancanza di mezzi, il
lavoro a tempo parziale, l’età superata, la mancanza di posti
nelle istituzioni formali, ecc. Per aiutare questi giovani in
difficoltà, molte Ispettorie organizzano scuole serali, luoghi per
studiare alla sera, e scuole e collegi per imparare a distanza.
Queste istituzioni sono assai apprezzate e frequentate, e i risultati
molto incoraggianti.
C’è inoltre il fatto della
disoccupazione, che è un problema serio nell’India. Anche se si
parla di un boom economico, i posti di lavoro sono scarsi e difficili
da trovare. L’educazione da sola non prepara la persona per un
lavoro decoroso. Occorrono quindi delle istituzioni professionali e
agricole per fornire ai giovani le capacità richieste. I salesiani
della Regione hanno preso a cuore questo problema. Gestiscono 85
istituzioni professionali e 2 istituzioni agricole, servendo un
totale di 14.030 giovani. Tra queste istituzioni, ci sono collegi
universitari d’ingegneria e d’informatica, e altre che offrono
una formazione tecnica e professionale per preparare una manodopera
qualificata. In tutte e due queste categorie, accanto alle
istituzioni che offrono l’educazione formale, ci sono anche molte
che provvedono l’educazione non-formale agli studenti che, in un
modo o in un altro, non si qualificano per l’ammissione alle
istituzioni formali. Anche questo è un aiuto notevole per ridurre la
disoccupazione.
Gli internati
e i convitti
Nell’insieme
delle istituzioni educative, gli internati e i convitti meritano una
parola come mezzi attuali di pastorale giovanile. Gli internati sono
per i ragazzi di diversa provenienza che frequentano la scuola:
ragazzi dei villaggi dove non ci sono scuole, ragazzi di famiglie
dove non ci sono le minime agevolazioni per lo studio, ragazzi orfani
o di famiglie separate; questo tipo di internato, specialmente nelle
zone missionarie e povere, serve per evangelizzare e inculcare i
valori cristiani ai cristiani e non-cristiani ugualmente, e impartire
una buona educazione. I convitti sono generalmente per gli studenti
universitari e giovani lavoratori, e sono considerati un mezzo
attuale di apostolato e di trasmissione di valori cristiani. Nella
Regione ci sono 214 internati e convitti, con un totale di 20.440
interni.
I centri
giovanili
In tutte le
Ispettorie della Regione vi sono oratori giornalieri e festivi, che
nella Regione sono chiamati in generale centri giovanili. Ci sono 168
tali centri, cui affluiscono quasi 59.000 giovani (più ragazzi che
ragazze), con qualche variazione nella regolarità della frequenza.
La maggior parte di essi è collegata con una scuola o una parrocchia
salesiana. Bisogna dire che precedentemente ci fu una media di
frequenza più alta; ma il numero dei centri giovanili è ancora in
aumento, e i metodi di animazione e i programmi si stanno
aggiornando. Gli oratori/centri giovanili di Shillong, Panjim,
Chennai e Kochi, avendo una lunga storia ed esperienza, hanno avuto
un grande impatto sul territorio; i centri più recenti di Guwahati,
Ranchi, Hyderabad, Mumbai e Tiruchy offrono ai giovani una varietà
di servizi e forse ne raggiungono un numero maggiore.
Per
quanto riguarda i gruppi e i movimenti, bisogna riconoscere che non
hanno avuto molto successo nella Regione, anche se c’è stato il
gruppo giovanile Friends
(Amici) che ha funzionato bene per certo periodo di tempo. Lo
scoutismo, invece, riceve grande attenzione in moltissime scuole, e
ogni tre anni si celebra il jamboree
degli scout (chiamato Boscoree)
nelle diverse Ispettorie a turno, attirando più di duemila giovani
esploratori ed esploratrici da tutta l’India. Questo evento viene
preparato minuziosamente per tutto un anno, con un iter e un tema, e
lo si celebra nello stile e con elementi tipici del folclore
multiculturale dell’India. È un’esperienza gioiosa e formativa,
una miscela tipica di spiritualità giovanile salesiana con un
contesto religiosamente pluralistico.
L’apostolato
in favore dei giovani a rischio (YaR)
Negli
ultimi decenni i confratelli della Regione dell’Asia Sud hanno
fatto molta strada nel loro intervento in favore dei giovani a
rischio (Youth at Risk).
I confratelli impegnati in questo lavoro fanno un apostolato
tipicamente salesiano, e meritano ogni sostegno, apprezzamento e
aiuto.
I “giovani a rischio” includono diversi gruppi
di giovani, sia ragazzi che ragazze. Il primo gruppo è costituito
dai cosiddetti ragazzi della strada, che nelle principali città
dell’India sono migliaia. Molti di essi non hanno una casa o
genitori; altri fuggono dalla casa e girano nelle città raccogliendo
stracci riciclabili dalle pattumiere; alcuni lavorano come
portabagagli non-autorizzati nelle stazioni ferroviarie o ai
capolinea degli autobus. Siccome sono sotto il controllo dei leaders
di una banda, una buona percentuale dei loro guadagni giornalieri
viene consegnato forzatamente ai loro capi. I raccoglitori di stracci
sono spesso perseguiti dalla polizia e qualche volta sessualmente
abusati da persone adulte, mentre le ragazze vengono forzate alla
prostituzione; alloggiano sotto i ponti, nei tubi di scarico non
usati, o in baracche abbandonate.
Il lavoro a favore di
questi ragazzi della strada fu iniziato da un gruppo intraprendente
di studenti di teologia a Bangalore nell’anno 1980. Oggi ha
suscitato entusiasmo nei cuori dei salesiani praticamente in tutte le
Ispettorie dell’India. A questi ragazzi viene offerta una casa,
dove trovano un senso di appartenenza e si sentono amati. I nomi che
diamo a queste case dicono tutto: Sneha
Bhavan, Valsalya Bhavan, Anbu Illam
(tutti e tre significano “casa di amore”), Asha
Alayam (“casa di speranza”),
Shelter Don Bosco
(“rifugio Don Bosco”), Don Bosco
Veedu (“casa di Don Bosco”), ecc.
In molte città dell’India, nelle stazioni ferroviarie e nei
principali capolinea degli autobus, i salesiani, con l’aiuto delle
autorità comunali, hanno installato una rete telefonica gratuita,
chiamata Child Line.
Attraverso questa facilitazione qualsiasi ragazzo in difficoltà, o
chiunque trova un ragazzo in difficoltà, può chiamare il numero
specificato e così può trovare aiuto.
Un
altro gruppo di giovani a rischio è quello dei ragazzi lavoratori,
maschi e femmine. La Costituzione dell’India stabilisce che
l’educazione è obbligatoria per tutti fino all’età di 14 anni,
e che l’impiego dei ragazzi al di sotto di 14 anni è punibile per
legge; ma migliaia di ragazzi vengono costretti a lavorare, anche fin
dall’età di cinque anni. I salesiani intervengono a favore di
questi ragazzi: spesso con l’aiuto della polizia, li salvano dalla
prepotenza dei loro padroni, li portano in centri di riabilitazione
e, con l’assistenza del dipartimento di educazione, offrono loro un
corso di recupero, inserendoli nel sistema scolastico a seconda della
loro età.
In alcune Ispettorie della Regione, i
salesiani intervengono pure a favore dei tossicodipendenti,
specialmente i giovani, e aiutano a disintossicarli e riabilitarli
alla vita sociale; alcuni membri della Famiglia Salesiana danno un
aiuto per salvare le ragazze dalla prostituzione, e offrono
assistenza alle cosiddette “sex workers”. Molto significativa in
questo campo è l’azione di riabilitazione fatta dai salesiani
nello Sri Lanka per le giovani vittime di abusi sessuali, che
proviene dal turismo sessuale da parte degli stranieri che vengono
nell’isola.
Al centro SPCSA a Nuova Delhi si è
stabilito un forum per affrontare i bisogni dei giovani a rischio,
con un salesiano addetto a tempo pieno. Molti salesiani e membri
della Famiglia Salesiana sono qualificati per lavorare con i giovani
a rischio. In tutto, ci sono nella Regione 207 centri dove i giovani
a rischio trovano alloggio ogni giorno, o che servono come centri di
riabilitazione per loro. Sono circa 34.000 i giovani di questa
categoria che vengono aiutati ogni anno in diversi modi.
I
servizi di orientamento professionale
Praticamente
in tutte le Ispettorie della Regione ci sono dei servizi speciali per
i giovani: i servizi di orientamento professionale e i centri di
consulenza psicologica. Questi centri o servizi a livello
ispettoriale di counselling psicologico sono effettuati da personale
qualificato.
Sono 33 i centri di questo tipo, che
assistono un numero notevole di giovani; tra di essi Vazhikaatti
nelle Ispettorie di Chennai e Tiruchy sono degni di nota, perché
preparano i giovani per un impiego nel campo di lavoro.
L’orientamento
vocazionale
In generale,
ogni Ispettoria ha un piano di promozione vocazionale e un promotore
vocazionale. Nell’insieme, il processo di selezione dei candidati
mediante interviste e campi-scuola è molto solido, e di conseguenza,
riusciamo ad avere buone vocazioni.
Ciononostante,
giacché il reclutamento dei ragazzi viene fatto ad un’età
adolescenziale, c’è anche una buona percentuale di abbandoni della
vita salesiana durante il periodo della formazione iniziale. Si nota
anche che la maggioranza delle vocazioni non viene dalle nostre
parrocchie e scuole. Forse manca un piano di orientamento vocazionale
al livello locale, mediante il quale ogni comunità e ogni
confratello si senta responsabile per il discernimento e la guida di
quei giovani che mostrano segni di vocazione e, mediante la
preghiera, la testimonianza raggiante della vita consacrata ed una
presenza evangelizzatrice tra i giovani, deponga il seme di una
vocazione salesiana nei loro cuori.
Per “scuole
apostoliche” e “aspirantati”
intendiamo quegli internati accanto a scuole o collegi, dove si
prende cura dei possibili candidati per il sacerdozio o la vita
religiosa salesiana e li si prepara per il prenoviziato. La Regione è
benedetta, avendo 26 di tali centri fiorenti, veri vivai di vita
salesiana per le centinaia di vocazioni salesiane che sbocciano ogni
anno.
Concludendo questa carrellata sulle istituzioni a
favore dei giovani, si deve dire che, perché sia più efficace e
duratura, la pastorale giovanile nella Regione ha bisogno di essere
più unificata e più centrata sull’obiettivo primario
dell’educazione dei giovani alla fede; dovrà accompagnare il
processo di crescita dei giovani, invece di moltiplicare le attività;
usando una migliore progettazione e coordinamento, coinvolgerà i
collaboratori laici in una visione comune e in un impegno condiviso.
In ogni caso, l’opzione preferenziale salesiana per la gioventù
povera ha trovato espressioni privilegiate e creative in tutta la
Regione, di cui può essere legittimamente fiera.
4.4
La Famiglia Salesiana
Parlando
di Famiglia Salesiana nella Regione, le prime da menzionare sono
certamente le Figlie di Maria
Ausiliatrice (FMA), che hanno lavorato
e lavorano insieme ai salesiani per lo sviluppo del carisma e della
missione salesiana. La loro presenza in India risale al 1922, quando
Don Tomatis, nel suo ritorno in India dopo un periodo di vacanza in
Italia, portò con sé sei suore salesiane. All’inizio, esse
lavorarono dappertutto a fianco dei salesiani, principalmente
prendendo cura delle ragazze e delle donne povere. Vennero poi
regolarmente dall’Europa successivi gruppi di missionarie FMA, che
incominciarono ad accogliere le vocazioni locali, sì che l’Istituto
andò via via irrobustendosi e arricchendosi di suore indiane.
Durante la seconda guerra mondiale, le FMA affrontarono gli stessi
problemi e le stesse privazioni dei salesiani e, più tardi, furono
soggette alle stesse restrizioni imposte all’entrata di missionari
dall’estero. Oggi nella Regione ci sono 1.208 suore professe e 80
novizie, senza contare le 11 suore e 5 novizie nelle due comunità
del Myanmar, che appartengono all’Ispettoria della Cambogia. La
Regione delle FMA è divisa in 6 Ispettorie ed ha 150 centri.
Poco
dopo il loro arrivo a Thanjavur, i salesiani videro la necessità di
avere collaboratori laici per il lavoro missionario. Nel giro di tre
settimane, Don Tomatis diede inizio ad un centro dell’Associazione
dei Cooperatori salesiani a Thanjavur.
Nel secolo passato, dovunque andavano, sia i salesiani che le Figlie
di Maria Ausiliatrice provvedevano con entusiasmo a formare centri
locali di Cooperatori. Specialmente dopo la spinta data dal Vaticano
II all’apostolato laicale, e dopo la riscoperta della Famiglia
Salesiana da parte del Capitolo Generale Speciale, i Cooperatori
salesiani nella Regione sono cresciuti in numero, giungendo al
contempo a comprendere più chiaramente la loro vocazione salesiana,
il loro ruolo indispensabile nella missione salesiana e la loro
giusta collocazione nella Famiglia Salesiana e nella Chiesa. Oggi
nella Regione ci sono 133 centri e 2.507 Cooperatori che hanno fatto
la promessa. I centri locali sono animati dai rispettivi delegati
locali SDB/FMA, e al livello ispettoriale e interispettoriale da un
Consiglio congiunto dei centri SDB/FMA e dai loro
Delegati.
Praticamente ovunque nell’India si trovano gli
Ex-allievi/e di Don Bosco e delle FMA.
Molti di loro occupano posizioni di rilievo nella società, anche
negli uffici di governo. In qualche stato alcuni ministri sono
Ex-allievi. Vi sono 102 centri attivi di Exallievi di Don Bosco e
26.025 membri iscritti all’Associazione.
Il numero delle
Volontarie di Don Bosco
è esiguo: meno di una dozzina, e tutte nelle Ispettorie di Chennai e
Kolkata. Il gruppo delle VDB è ancora da rilanciare.
Nella
Regione vi sono altri gruppi della Famiglia Salesiana, fondati da
salesiani:
—
Le Suore Missionarie di Maria
Ausiliatrice (MSMHC) sono state fondate
nel 1942 dal Servo di Dio Mons. Stefano Ferrando, Arcivescovo di
Shillong, nell’Ispettoria di Guwahati. Ciò che lo portò a dar
origine a questo gruppo di Suore fu il fatto che durante la seconda
guerra mondiale i missionari dall’estero furono internati nei campi
di concentramento e il lavoro di evangelizzazione cominciava a
rallentarsi. Mentre pensava al coinvolgimento delle donne come
evangelizzatrici nei villaggi, gli capitò di vedere un gruppo di
ex-allieve delle FMA a Guwahati, che aiutavano la gente in generale e
prendevano cura dei soldati feriti. Esse desideravano diventare
religiose e dedicare la loro vita alle opere di carità. Mons.
Ferrando fondò l’Istituto cominciando da questo gruppo. Oggi sono
931 suore in 156 comunità, e lavorano in 48 diocesi dell’India,
dell’Italia, dell’Africa e del Brasile. La maggioranza di esse fa
opera di evangelizzazione nei villaggi, altre dirigono scuole,
oratori, orfanotrofi, case per anziani, e cliniche
gratuite.
— Le
Suore Catechiste di Maria Immacolata
Ausiliatrice (SMI) sono state fondate
nel 1948 dal Vescovo Mons. Louis LaRavoire Morrow a Krishnagar,
Ispettoria di Kolkata. La loro spiritualità è basata su quella di
santa Teresa di Lisieux e sul sistema preventivo di Don Bosco. Il
mantenere contatti stretti con le famiglie è una delle loro
principali attività apostoliche, oltre alla gestione di oratori,
scuole primarie, centri di lavoro, case per anziani, ecc. Sono più
di 500, e hanno comunità anche fuori dell’India.
Questi
due istituti di donne consacrate sono ufficialmente riconosciuti come
membri della Famiglia Salesiana, mentre altri aspettano di essere
riconosciuti ed accettati. Tra questi altri vi sono:
—
I Discepoli (Istituto Secolare Don
Bosco), fondato nel 1973 da Don Joe
D’Souza dell’Ispettoria di Nuova Delhi, è un gruppo di uomini e
donne. Le 313 sorelle e gli 87 fratelli lavorano in 194 centri in 46
diocesi (41 diocesi indiane e 5 italiane). Come i discepoli mandati a
due a due dal Signore, anch’essi lavorano in piccoli gruppi,
portando il messaggio del Vangelo alla gente e vivendo come i primi
discepoli, non possedendo alcuna proprietà, né terra né
istituzioni, ma vivendo tra la gente e come essa vive, accettando il
cibo e l’alloggio che viene loro offerto dalla gente. In ogni
diocesi essi sono sotto la cura del vescovo locale.
—
Le Suore di Maria Ausiliatrice (SMA),
fondate nel 1976 dal recentemente scomparso Don Antonio Muthamthotil,
hanno 91 membri, vivono in 21 comunità, e lavorano in 7 diocesi
dell’India. Il loro apostolato si estende dall’evangelizzazione
diretta alla cura dei ragazzi della strada. In molti posti aiutano i
salesiani nel loro apostolato.
—
Le Suore Visitatrici di Don Bosco
(VSDB), fondate nel 1983 da Mons.
Hubert D’Rosario, Arcivescovo di Shillong, nell’Ispettoria di
Guwahati, hanno 81 religiose professe e 17 novizie, e lavorano in 15
comunità in 4 diocesi del nord-est dell’India. Il loro apostolato
principale è l’evangelizzazione mediante le visite alle famiglie,
particolarmente nei villaggi, e mediante programmi di sviluppo
sociale.
— La
Società Missionaria di S. Paolo,
fondata nel 1990 da Mons. Charles Bo, Arcivescovo di Yangon
(Myanmar), ha due rami: il ramo maschile, chiamato Fratelli
Missionari di San Paolo, che comprende
2 sacerdoti, altri membri professi e 2 novizi, e lavora in 6 comunità
e in 3 diocesi; il ramo femminile, chiamato Sorelle
Missionarie di San Paolo, che ha 74
professe e 12 novizie, e lavora in 22 comunità in 5
diocesi.
— Le
Suore Adoratrici del Cuore Immacolato di
Maria, fondate nel 1991 da Mons. Lucas
Sirkar, quando era vescovo di Krishnagar. Sono 60 suore professe e 11
novizie, e lavorano in 6 comunità e in 2 diocesi. Come il loro nome
stesso suggerisce, il loro apostolato principale è l’adorazione
perpetua del Santissimo Sacramento. Esse sono impegnate anche in
qualsiasi attività apostolica che il vescovo chieda
loro.
Praticamente tutte le Ispettorie hanno un salesiano
come Delegato per la Famiglia Salesiana. In alcune Ispettorie, i
Consigli ispettoriali SDB e FMA fanno raduni congiunti per uno
scambio di vedute circa la missione comune e la progettazione di
iniziative congiunte, e celebrano la “Giornata della Famiglia
Salesiana” una volta all’anno.
4.5
La comunicazione sociale
Di
fronte alla vastità del subcontinente indiano, con la sua immensa
popolazione, la grande varietà di lingue e la completa estraneità
delle sue culture e consuetudini, i primi missionari incominciarono
subito il lavoro faticoso di imparare diverse lingue: l’inglese,
lingua parlata dal governo e dall’élite indiana, e anche la lingua
locale della gente che intendevano servire. Ma il compito più
difficoltoso era di comprendere un contesto così diverso da quello
dell’Europa cristiana e inculturare se stessi in esso.
I
salesiani della Regione utilizzarono tutti i mezzi che Don Bosco
usava per guadagnare le anime e diffondere i valori del Vangelo: aule
scolastiche animate e piene di racconti e quiz su temi educativi e
catechetici, insieme allo sport, ai giochi, alla musica, alle recite
e alle passeggiate. Appena sette anni dopo il loro arrivo, i
salesiani organizzarono una banda musicale, completa di tutto, a
Mylapore.
[15] A Mumbai, la banda
fu considerata un “buon mezzo per fare propaganda”.
[16] A Goa, una colonia
portoghese, si incominciò l’opera salesiana con il calcio e con
l’oratorio.
[17] A Thanjavur, più di
30.000 persone, in maggioranza indù, vennero per assistere alla
sacra rappresentazione della Passione di Cristo.
[18] Il nuovo ambiente
salesiano offrì all’India nuovi segni e simboli per esprimere la
gioia e l’ottimismo cristiano.
In breve, i salesiani
crearono un ”ambiente comunicativo”, entro cui i valori
evangelici potevano essere trasmessi e il carisma salesiano
impiantato. Alla radice del loro potenziale comunicativo c’era
l’impulso dello zelo pastorale, che li stimolava a superare le
proprie limitazioni. Alcuni salesiani impararono le lingue locali
così bene che divennero promotori illustri delle culture locali,
producendo grammatiche e libri in quelle lingue.
[19]
Dopo
non molto tempo incominciarono le iniziative maggiori di
comunicazione con l’apertura delle officine di stampa: nel 1922
(cioè, nello stesso anno del loro arrivo in Assam) a Shillong, nel
1924 a Tanjore, nel 1925 a Calcutta, e nel 1948 a Tirupattur. Ci sono
almeno otto di queste officine di stampa nella Regione che, oltre a
pubblicare della buona letteratura, addestrano i giovani lavoratori
alla stampa professionale. L’avvio del centro culturale a Vaduthala
nel 1975 e del centro catechetico a Kolkata nel 1977 diede un impulso
alla produzione di sussidi catechistici e audiovisivi. Ora, nella
Regione ci sono circa una dozzina di case editrici, centri di cultura
e di comunicazione, con nomi diversi e in lingue diverse, ognuno con
i propri obiettivi: l’Ispettoria di Mumbai ha due centri, Kolkata
uno, Guwahati tre, Bangalore due, Chennai due, e Tiruchy uno. Oltre
alla pubblicazione di libri, questi centri producono anche riviste,
audio-cassette e sussidi audiovisivi.
Nel 1930 i salesiani
cominciarono la pubblicazione di una rivista intitolata Don
Bosco in India. Dal 1951 venne stampato
in India il Bollettino Salesiano,
che poi dal 1976 fu chiamato Don Bosco
Salesian Bulletin.
Oggi, il Bollettino Salesiano
viene stampato non solo in inglese, ma anche in sei lingue
vernacolari. Nel 1937, quando Mons. Mathias cominciò a pubblicare il
periodico The Clergy Monthly
(Mensile per il Clero), c’erano circa 20 pubblicazioni nella
Regione, ma per vari motivi quasi tutte hanno cessato di essere
pubblicate. L’unica che rimane ancora è in lingua tamil, Arumbu,
e ha una tiratura di 20.000 copie.
Dal 1933 si pubblicò
un notiziario ispettoriale, unico per tutta l’India salesiana. La
creazione di nuove Ispettorie diede origine a nuovi notiziari. Oggi
undici delle 12 circoscrizioni hanno i propri notiziari. Inoltre,
varie organizzazioni e istituzioni nella Regione anche i propri
notiziari per i loro specifici uditori. E la Regione non manca di
pubblicazioni di libri scientifici, principalmente da parte dei due
teologati di Bangalore e Shillong.
Sussidi catechistici e
pubblicazioni religiose, produzioni audio e video, programmi per
radio e televisione e films sono prodotti regolarmente. Degni di nota
sono Catechetics India,
una rivista pubblicata trimestralmente, e Johnny,
un film prodotto nel 1994 nella lingua Malayalam sui primi anni della
vita di Don Bosco e, a sua continuazione, un secondo film, Bosco,
realizzato nel 1999; tutti e due i film sono doppiati in inglese e in
alcune lingue indiane.
Anche il compito di risvegliare i
giovani all’uso critico dei media mediante “media education” ha
fatto dei progressi. Alcuni salesiani impegnati nel ministero rurale
usano “folk media” per coscientizzare la gente oppressa nei
villaggi lontani a lottare per la loro dignità e i loro diritti.
Anche qui, è degno di nota il film Mathia,
realizzato a buon mercato nella lingua Kokborok, che vinse un premio
internazionale per il suo valore sociale.
Corsi
universitari di laurea nei media di comunicazione sono stati avviati
nel “St. Anthony’s College” a Shillong (Ispettoria di Guwahati)
e nel “Don Bosco College” ad Angadikadavu (Ispettoria di
Bangalore) per offrire una gamma di training professionale nei media
e nella tecnologia informatica. Il contributo dei salesiani alla
comunicazione sociale nella Chiesa e nella società è stato
riconosciuto dal fatto che due salesiani sono stati eletti presidenti
di SIGNIS-INDIA e di ICPA (Associazione della Stampa Cattolica in
India).
La svolta decisiva nel campo della comunicazione
è avvenuta nel marzo 1993, quando la Conferenza ispettoriale
salesiana dell’India costituì BOSCOM-INDIA, un organismo esecutivo
nazionale per coordinare le iniziative di comunicazione delle
Ispettorie. Le più significative tra queste sono stati due sussidi
completati in vista del nuovo millennio: un piano di formazione dei
salesiani nella comunicazione sociale, intitolato Shepherds
for an Information Age (“Pastori per
un epoca informatica”) e Don Bosco
Multimedia India, il primo catalogo
completo di tutti i centri di produzione dell’India.
Per
quanto incoraggiante sembri questo progresso nella comunicazione
sociale, le iniziative salesiane nell’Asia Sud sono solo una goccia
nel vasto oceano che è il complesso mediatico.
[20] La sfida è di fare
del “Da mihi animas”
la base di ogni progetto comunicativo ai livelli ispettoriale e
regionale, di cercare di essere attuali ed efficienti nel contesto
locale e, allo stesso tempo, di essere aperti alla condivisione e
sinergia dentro la Regione più ampia dell’Asia Sud e perfino con
il resto del mondo salesiano. Tutto ciò richiederà dai salesiani
una collaborazione stretta con gli esperti laici delle diverse
culture e degli sfondi religiosi della realtà sud
asiatica.
4.5
L’attività missionaria
I
salesiani indiani hanno seguito le scelte operate dai primi
missionari che portarono il carisma salesiano all’India. In forza
della strategia di reclutamento vocazionale dei primi missionari
(specialmente di Don Carreño), molti giovani da diverse parti del
paese entrarono tra i salesiani, e portarono avanti la missione dal
punto in cui i missionari l’avevano lasciata. L’azione del
governo che fermò l’afflusso di missionari dall’estero non poté
perciò diminuire la spinta e le attività missionarie dei tempi
precedenti. I confratelli indiani mantennero il passo con uguale zelo
e coraggio.
I superiori (ecclesiastici e salesiani) li
trovarono ben formati e pronti ad assumere responsabilità di
animazione e di leadership ai livelli diocesani, ispettoriali e
locali. Oggi, tutti i 10 arcivescovi e vescovi e i 12 superiori delle
circoscrizioni giuridiche salesiane sono di origine indigena; così
pure praticamente tutti i superiori locali.
Proprio come i
primi missionari avevano incoraggiato e promosso le vocazioni
indiane, i confratelli indiani stessi curarono le vocazioni locali.
Così, anche quegli stati che non avevano tante vocazioni locali
nella prima metà del secolo, come il Karnataka nel sud e gli stati
dell’India centrale e nord-est, ora raccolgono una messe abbondante
di vocazioni, specialmente dai gruppi tribali e adivasi. Alcune delle
Ispettorie del nord e del nord-est non dipendono più dagli stati del
sud per le vocazioni, come avveniva una volta.
La storia
dell’evangelizzazione progredisce in modo continuo e sicuro, senza
publicizzazione, per paura di malintesi e ostacoli da parte dei
fondamentalisti. Contro la critica che viene avanzata, che le
missioni salesiane abbiano distrutto le ricche culture tribali della
zona, non lasciandone alcuna traccia, abbiamo il magnifico Centro
Don Bosco per le Culture Indigene a
Shillong, dove, in 13 sale d’esposizione, sono preservati e messi
in mostra i vari manufatti e prodotti tradizionali di tutte le tribù
del nord-est. Con una biblioteca specializzata di circa 10.000
volumi, il centro offre facilità per la ricerca, per seminari e
convegni sulle culture tribali del nord-est e sullo sviluppo
culturale della gente.
Un altro aspetto molto consolante
dell’attività missionaria della Regione è che, dopo aver ricevuto
dei missionari dall’estero per circa sei decenni, ora sta pagando
il debito che ha nei confronti della Chiesa e della Congregazione.
Dal 1980 la Regione sta mandando missionari in altre parti del mondo
per piantare il vangelo e per disseminare il carisma di Don Bosco.
Quando Don Egidio Viganò lanciò il “Progetto Africa” 25 anni
fa, la Regione diede una risposta molto positiva al suo appello. La
circoscrizione dell’Africa Est, prima come Delegazione e poi come
Ispettoria, ha avuto sempre a capo salesiani dell’India, e oggi 65
salesiani indiani lavorano là come missionari; alcuni sono tornati
in India per un motivo o l’altro, uno è stato ucciso e un altro è
morto nell’Africa Est. Ci sono poi 16 salesiani indiani che
lavorano in altre Ispettorie dell’Africa, 16 nella Regione
dell’Asia Est, 4 nella Regione dell’Italia - Medio Oriente e nei
paesi europei e 3 nell’America del sud. Così, il numero totale dei
missionari della Regione che lavorano all’estero è di 107
[21] , inclusi i 24 che
sono stati offerti a me come un dono del Centenario.
Una
menzione particolare merita la missione
di Arunachal, che è qualcosa di molto
speciale nell’attività missionaria della Regione. Arunachal
Pradesh è uno degli stati indiani, nell’estremità nord-est
dell’India, confinante con la Cina. La sua popolazione è
completamente tribale; questi tribali hanno vissuto per secoli in
virtuale ignoranza, superstizione, assoluta povertà, oblio e
isolamento, oppressi da consuetudini sociali malsane, tagliati fuori
dal resto del mondo. I salesiani del nord-est sono stati i pionieri
nel portare la fede cristiana e l’educazione a questa bellissima
terra e al suo popolo.
Il governo indiano aveva
promulgato una legge proibendo ai missionari di entrare in Arunachal
Pradesh, per il motivo pretestuoso di preservare incontaminata la
cultura delle tribù. L’educazione e l’evangelizzazione
nell’Arunachal iniziò nel 1978, quando un certo signor Wanglat
Lowangcha, giovane capo di una delle tribù, venne a Shillong in
cerca di una scuola per mandarvi i suoi giovani. Lì incontrò Don
Tommaso Menamparampil (l’attuale arcivescovo di Guwahati), che
ricevette i giovani molto cordialmente; l’amicizia che si instaurò
aprì la strada per una visita di Don Tommaso in Arunachal entro
qualche mese. Quella visita poteva concludersi tragicamente perché
la jeep in cui viaggiava si scontrò con la jeep di un convoglio
militare. Don Tommaso fu ferito, e mentre si ristabiliva nella casa
di Wanglat, il capo della tribù gli chiese di battezzarlo insieme
alla sua famiglia. Quella tragica notte si cambiò nell’alba di
un’epoca gloriosa per il popolo di Arunachal.
Il
racconto dell’incontro e del battesimo clandestino del capo-tribù
si diffuse rapidamente nell’Ispettoria di Guwahati (attualmente
Dimapur e Guwahati) e i salesiani aprirono le porte delle loro scuole
alla gioventù tribale di Arunachal. Quando gli studenti ritornavano
a casa per le vacanze, la gente fu sorpresa nel vederli educati e ben
istruiti. Ciò portò molti a mandare un maggior numero dei loro
ragazzi alle scuole cattoliche; e finalmente essi stessi
abbracciarono il cattolicesimo e ricevettero il battesimo. Wanglat
divenne un apostolo della sua gente. Un anno dopo il suo battesimo
egli preparò 600 persone del suo villaggio per il battesimo. Il
governo non permise al vescovo salesiano, Mons. Robert Kerketta, e ad
altri di entrare nel territorio. Ma la gente tenne duro e costrinse
le autorità a permettere l’entrata dei missionari nel proprio
territorio.
Più e più giovani vennero a studiare nelle
nostre scuole, e ritornarono come apostoli ed evangelizzatori della
propria gente. Il processo è continuato finché finalmente oggi,
dopo un quarto di un secolo, la Chiesa nell’Arunachal Pradesh è
ben stabilita, con due diocesi, a capo di una delle quali c’è un
vescovo salesiano. L’educazione è stata un mezzo potente per
portare questo popolo alla luce!
Le
parrocchie
La maggior parte
del lavoro missionario fatto dai salesiani della Regione durante
l’ultimo secolo è stato realizzato attraverso le parrocchie. Ad
esse si aggiungevano le stazioni missionarie, alcune delle quali, nei
primi tempi, distavano tanto che per raggiungerle occorreva un
viaggio di molti giorni a piedi. In alcune zone missionarie
dell’Assam il missionario impiegava un intero anno per visitare
tutti i villaggi e i posti di missione. Nel centro parrocchiale
c’erano generalmente la scuola e l’internato, uno per i ragazzi,
diretto dai salesiani, e un altro per le ragazze, diretto dalle
suore. Così, attraverso la parrocchia e la scuola, l’opera di
evangelizzazione e l’educazione del popolo e dei giovani
ricevettero una certa sistematicità e consistenza.
Gradualmente,
le stazioni missionarie si svilupparono divenendo parrocchie mature,
con una varietà di servizi, e più tardi, man mano che il numero dei
fedeli aumentava, le parrocchie furono unite costituendo una diocesi.
Oggi abbiamo un numero totale di 207 parrocchie e centri missionari,
che provvedono ai bisogni spirituali di 705.530 fedeli.
Il
programma di sviluppo sociale, parte integrante dell’attività
missionaria
Nella situazione
plurireligiosa dell’India, l’evangelizzazione diretta e il lavoro
missionario non sono sempre possibili. E allora, i programmi di
sviluppo sociale sono in alcune zone l’unico metodo possibile di
evangelizzazione.
Un’altra ragione della grande
importanza data ai programmi di sviluppo sociale nella Regione è il
fatto che la stragrande maggioranza della popolazione dell’India
vive ancora in condizioni di sottosviluppo. L’educazione, l’inizio
del vero sviluppo, spesso manca, specialmente nelle zone rurali. Per
di più, ci sono problemi sociali urgenti, che il missionario deve
affrontare, se vuol assicurare che il suo lavoro evangelizzatore sia
efficace e significativo per la gente – problemi come la povertà
economica, la disuguale distribuzione dei beni, l’oppressione dei
poveri da parte dei ricchi e dei potenti, ecc.
I
salesiani della Regione affrontano questi problemi con vera
competenza e visione evangelica, e sono decisi a difendere gli
oppressi, i calpestati e gli sfruttati, gli ignoranti e gli
illetterati. In ogni Ispettoria della Regione molti salesiani e un
team di personale qualificato conducono programmi e stanziano fondi e
forze di lavoro per raggiungere questi scopi. Pienamente appoggiati
dalle Ispettorie, contano su uffici di sviluppo ben equipaggiati e
provvisti di personale, sia salesiano che laico; i progetti vengono
finanziati da fondi locali e, in larga misura, dal Rettor Maggiore e
dalle agenzie estere che raccolgono fondi per le popolazioni
bisognose.
Nella Regione vi sono almeno 138 opere di
sviluppo sociale e i loro beneficiari ammontano a circa 80.000
persone di varie categorie e di diversi bisogni. Tra le più
significative di queste iniziative per l’elevazione sociale dei più
poveri sono: la rete di Bosco Reach Out
nel nord-est, il Bosco Gramin Vikas
Kendra nel distretto di Ahmednagar
nell’Ispettoria di Mumbai, il Peoples’
Action for Rural Awakening (“Azione
del popolo per il risveglio rurale”) nell’Andhra Pradesh, il
Peoples’ Movement
(“Movimento popolare”) nelle colline di Jawadhi nell’Ispettoria
di Chennai, e il Fishermen Community
Development Programme (“Programma di
sviluppo per la comunità dei pescatori”) a Kollam nell’Ispettoria
di Bangalore. Non si può tralasciare di far menzione della
straordinaria opera di soccorso prestata dai salesiani dello Sri
Lanka e delle zone litorali delle Ispettorie di Chennai e Tiruchy nel
periodo dopo lo tsunami
del dicembre 2004, e il lavoro paziente per riabilitare i pescatori e
gli orfani dislocati dalla disastrosa onda di maremoto.
5.
La santità dei primi missionari
Una
vera impiantazione del carisma comporta pure frutti di santità. Qui
vorrei ricordare due missionari, che presero sul serio la loro
vocazione ad essere missionari, e la loro chiamata alla santità. I
loro nomi sono tra i Servi di Dio della nostra
Società.
L’Arcivescovo
Stefano Ferrando (1895-1978)
Stefano
Ferrando nacque il 28 settembre 1895 in una famiglia molto religiosa
di Rossiglione, nella provincia di Genova. Più tardi egli dirà:
«dalla mia famiglia ho ricevuto un’eredità ricca di un grande
amore per Dio e per la Madonna, uno spirito di sacrificio e una
natura allegra».
[22]
Subito
dopo la sua prima professione nel 1912, quando gli fu chiesto dai
superiori quale fosse la sua opzione per il futuro apostolato, egli
scelse senza esitazione di essere missionario. Dopo aver fatto il
servizio militare durante la guerra, nel corso del quale ricevette
attestati e medaglie per il suo valore e il suo coraggio, fu ordinato
sacerdote nel 1923. Il suo sogno missionario si compì quando gli fu
consentito di partire per l’India, insieme ad un chierico e otto
giovani novizi. Giunse a Shillong il 22 dicembre di quell’anno.
Arrivato nella terra del suo sogno missionario, il suo
zelo apostolico non ebbe limite. All’inizio fu “socio”, poi
maestro dei novizi e direttore della casa di formazione. Durante
questo tempo doveva anche sostituire il Prefetto Apostolico, Mons.
Mathias, nella sua assenza. Anche quando adempiva queste
responsabilità, era un missionario nel profondo del cuore e non
perdette mai l’occasione di visitare i villaggi e predicare il
Vangelo.
Nel 1934 fu consacrato vescovo di Krishnagar e
l’anno dopo, 1935, trasferito a Shillong. Il suo motto episcopale
fu: “Apostolo di Cristo”.
Come un apostolo di Cristo, egli visitò le zone missionarie ed i
villaggi a piedi, quanto la sua salute permetteva. Soleva dire ai
sacerdoti: «Non potete girare nelle macchine per convertire le
anime; per avvicinarvi al popolo e risolvere i loro problemi, dovete
andare a piedi»,
[23] e quindi, anche come
vescovo, camminava per miglia e miglia in cerca di anime. Seguendo
l’esempio dell’Apostolo delle genti, egli si fece tutto a tutti,
imparando le lingue della sua gente, i loro costumi e usanze per
comprendere il loro ethos e predicare loro Cristo più efficacemente.
Mons. Ferrando fu vescovo di Shillong per 35 lunghi anni,
nel corso dei quali sviluppò bene la diocesi. Spesso pregava:
“Signore, come pastore del gregge, io offro la mia vita come
sacrificio per il bene delle pecore, la salvezza delle anime affidate
alla mia cura”. Il Signore veramente ascoltò la sua preghiera e
benedisse la sua diocesi di Shillong, che si è moltiplicata, al
punto che oggi nel nord-est dell’India ci sono 3 arcidiocesi e 10
diocesi.
Con lo stesso zelo apostolico, egli si prese cura
delle vocazioni locali e fondò la congregazione religiosa delle
“Suore Missionarie di Maria Ausiliatrice”, di cui abbiamo parlato
sopra. Era conosciuto ed apprezzato per la sua semplicità, la sua
giovialità e, soprattutto, la sua santità. Morì nel 1978 e fu
inizialmente sepolto nella tomba della sua famiglia a Rossiglione.
Più tardi, aderendo al suo desiderio di avere le sue ossa sepolte
nel suolo delle colline khasi, le sue spoglie sono state trasferite
nella cappella del convento della Casa Generalizia delle Suore. Nel
1998 è stata introdotta la causa della sua beatificazione e
canonizzazione.
Don Francesco
Convertini (1898-1976)
Francesco
Convertini nacque nel 1898 a Papariello, un villaggio nella Murgia in
provincia di Brindisi in Italia. Perse il padre quando aveva neppur
due mesi di età, e sua madre, dopo essersi risposata, morì quando
Francesco aveva 11 anni. Fu allora il patrigno a prendersi cura
dell’orfano. Ancor ragazzo, lavorò prestando servizio, con un
modesto salario, in due famiglie contadine, che erano gentili verso
di lui. Imparò a leggere e scrivere, s’innamorò anche di una
ragazza, dicendole di esser disposto a sposarla. Dopo il servizio
militare prestato durante la guerra, insoddisfatto del lavoro di
contadino, trovò lavoro come funzionario a Torino.
A
Torino avvenne la svolta decisiva nella sua vita. Entrando nella
Basilica di Maria Ausiliatrice per fare la sua confessione, Francesco
incontrò Don Amadei, il quale gli chiese senza mezzi termini:
«Vorresti diventare missionario?». Per qualche tempo egli si
dimenticò dell’incidente, ma più tardi incontrò di nuovo Don
Amadei, e alla fine decise di diventare un missionario. Si fece animo
e spiegò le cose alla sua ragazza.
Entrò
nell’Aspirantato Missionario “Mons. Cagliero” di Ivrea, dove
dovette studiare insieme a compagni che erano undici anni più
giovani di lui. Non era molto intelligente, ma il desiderio di essere
missionario lo spronò. Uno dei suoi insegnanti disse: “Francesco
imparò più sulle ginocchia che seduto nell’aula di studio,”
[24] tale era il suo
amore per Gesù Eucaristico, alla cui presenza passava lunghe ore in
preghiera.
Nel 1927 ricevette l’abito clericale dal
Rettor Maggiore Don Filippo Rinaldi, il quale lo aveva già assegnato
alle missioni dell’Assam. Una volta arrivato nell’Assam, fece il
suo noviziato e gli studi per il sacerdozio, e fu ordinato prete nel
1935. Durante i suoi anni di formazione, aveva imparato
un’infarinatura di khasi, la lingua parlata a Shillong. Dopo
l’ordinazione fu mandato a Krishnagar e, povero come era nelle
lingue, dovette imparare una nuova lingua, il Bengalese. In verità,
non imparò mai il Bengalese sufficientemente per poter conversare
facilmente, ancor meno per tenere omelie domenicali eloquenti. Ma la
gente lo amò per la sua semplicità e si attaccò a lui molto
facilmente. Apprezzavano le sue prediche, date in un Bengalese un po’
sconnesso, perché vedevano la convinzione con cui parlava.
Compresero che il predicatore era un esempio vivo del messaggio che
comunicava.
Don Convertini guadagnò anime per Cristo
mediante la preghiera, la predicazione e il sacrificio. Facendosi uno
con il popolo indiano, egli esultò quando l’India ottenne
l’indipendenza nel 1947, e pianse con loro la morte del Mahatma
Gandhi; pur essendo italiano di nascita, era indiano nel cuore:
chiese ed ottenne la cittadinanza indiana. Il vescovo e i sacerdoti,
le suore e i laici, tutti lo volevano come confessore, perché
trovavano in lui la personificazione della misericordia di Dio. La
sua povertà era proverbiale: nato povero, povero per vocazione e per
scelta, egli rimase povero come la sua gente, e spesso andava a piedi
nudi.
Era un amico per tutti, i grandi e i piccoli, i
ricchi e i poveri. Venendo in contatto con la semplicità di Don
Convertini, alcune persone importanti del Bengala si convertirono al
cattolicesimo; altri rimanevano impressionati e lo chiamavano “un
profeta e un santo”; altri ancora erano “affascinati dal modo con
cui faceva il segno della croce”, mentre vi erano quelli che
dichiaravano che “la presenza stessa di questo santo sacerdote era
un’ispirazione”.
[25]
Consumato dal lavoro e tormentato da parecchi acciacchi,
morì l’11 febbraio 1976. Tutti coloro che conoscevano Don
Convertini potevano confermare che egli fu una testimonianza vivente
del Vangelo che predicava. La causa della sua beatificazione è stata
ufficialmente introdotta nel 1997.
6.
Le grandi sfide della Regione
La
Regione dell’Asia Sud, pullulante di milioni di giovani, che si
sforzano di costruire un futuro migliore per se stessi e, allo stesso
tempo, sono dotati di ricche risorse umane, di talenti, creatività
ed energia, è un vasto campo, ancora molto promettente, per la
missione salesiana.
I primi cento anni della presenza e
attività salesiana nella Regione hanno visto un’esuberante
fioritura di iniziative e di opere, che si accordano bene con i
diversi e pressanti bisogni dei giovani e dei poveri. Il futuro
lancia una seria sfida ed è molto incoraggiante, a condizione però
che i salesiani siano fedeli al proprio carisma salesiano e ai
destinatari della loro missione: se evangelizzare è la sfida
principale, prioritario sarà vivere il vangelo, a livello personale
e comunitario.
6.1
Dare Dio ai giovani, priorità
assoluta
Il clima
culturale della Regione respira Dio. L’anima dell’India, dello
Sri Lanka e di Myammar è profondamente religiosa. Anche quando
sembra schiacciata sotto la povertà opprimente, le divisioni rigide
delle caste e una miriade di altre contraddizioni sociali, la sua
ricerca millenaria di Dio è instancabile e profonda. Se in diverse
forme soffre per la fame di beni essenziali per la vita delle
persone, essa ha fame ancora più intensamente di un’esperienza di
Dio. E quando appare sulla scena una persona autenticamente
religiosa, essa tocca l’anima del popolo immediatamente. Pensate
all’impatto profondo che ha avuto un Mahatma Gandhi o una Madre
Teresa sul popolo del subcontinente indiano.
Perciò,
l’offerta più efficace che i salesiani della Regione possono dare
ai poveri e ai giovani è di dare loro Dio, rivelando ad essi il suo
vero nome e il suo volto nella persona di Gesù Cristo, mediante la
testimonianza della propria vita personale e comunitaria. Ecco allora
la necessità di dare il primato assoluto a Dio, e di tener viva la
passione per Dio e per i giovani. «Come Don Bosco, siamo chiamati
tutti e in ogni occasione a essere educatori alla fede. La nostra
scienza più eminente è quindi conoscere Gesù Cristo e la gioia più
profonda è rivelare a tutti le insondabili ricchezze del suo
mistero» (Cost.
34).
Ciò comporta che ogni attività deve mirare con
chiarezza all’evangelizzazione e all’educazione alla fede dei
giovani. È questione di essere chiari riguardo a chi noi siamo, da
che parte stiamo, e cosa vogliamo fare per i giovani. Le nostre
Costituzioni lo esprimono con molta franchezza: «Camminiamo con i
giovani per condurli alla persona del Signore risorto affinché,
scoprendo in lui e nel suo Vangelo il senso supremo della propria
esistenza, crescano come uomini nuovi» (Cost.
34).
6.2
Vivere appassionati per la “missio
ad gentes”
Missione
non vuol dire semplicemente attività, iniziative, opere, strutture.
È prima di tutto una passione per la salvezza dei giovani, una
passione che ha la sua fonte «nel cuore stesso di Cristo, apostolo
del Padre» (Cost.
11). È la passione che riecheggiava nel cuore di Don Bosco, il
motore segreto nel profondo del suo essere, che infondeva energia e
dava vitalità a tutto ciò che faceva o diceva. Don Bosco viveva e
respirava il Da mihi animas
con ogni fibra della sua esistenza. Questo motto sintetizzò in modo
meraviglioso l’essenza della sua spiritualità. Quella stessa
passione per la salvezza dei giovani s’impossessò dei primi
missionari, e li spinse avanti per fare le cose incredibili che
spiegano la crescita meravigliosa e la varietà della presenza
salesiana nella Regione.
Naturalmente, in un contesto
multireligioso, questo processo è delicato e carico di difficoltà,
specialmente in alcune situazioni e zone, dove potrebbe essere
facilmente frainteso e considerato come proselitismo. Ma ciò non
dovrebbe trattenerci, perché è diritto inalienabile di ogni persona
di conoscere Dio e suo Figlio, Gesù Cristo, pur nel rispetto
completo della sua libertà. Né può questo processo essere
semplicemente improvvisato. In un contesto multireligioso come quello
dell’Asia Sud, l’evangelizzazione e l’educazione alla fede
devono essere progettate con cura, perseguite con diligenza ed
eseguite con fermezza, con obiettivi, strategie e linee d’azione
appropriate per ciascuna situazione e per ciascun contesto. In
quest’area – bisogna ammetterlo, cari confratelli – c’è
ancora molto lavoro da fare, e si richiede capacità d’immaginazione
e creatività.
Tutto ciò implica che lo zelo missionario,
espressione concreta della passione apostolica del Da
mihi animas, debba continuare senza
sosta. Lungi dal permettere che possa diminuire o raffreddarsi con il
passar del tempo, esso deve piuttosto intensificarsi e crescere
sempre più. Non possiamo arrivare ad essere semplicemente
compiaciuti del passato glorioso. Cristo rimane ancora da proclamare,
il Vangelo da predicare e la Chiesa e il carisma salesiano devono
radicarsi in molte più aree e in molti più giovani che aspettano la
Buona Novella. L’amore di Cristo ci
spinge (2 Cor 5,14) a disseminare il
Vangelo.
La Regione ha ricevuto molto negli ultimi
cent’anni attraverso missionari intrepidi, di grande calibro umano
ed indiscussa santità. Ora dovrà fare per la missione salesiana nel
mondo ciò che i missionari italiani ed europei hanno fatto nei primi
cent’anni della vita della Congregazione, cioè riempire il mondo
con giovani missionari, ardenti e coraggiosi, che sentano la missio
ad gentes come compito apostolico
ineludibile. L’Asia Sud deve, dunque, alzare gli occhi, aprire il
cuore, allargare gli orizzonti e inviare personale ad ulteriori campi
di missione nella Regione stessa e in tutto il mondo. Le missioni
salesiane del mondo intero hanno bisogno di questo, oggi più che
mai! Mi procura profonda emozione il trovare missionari di questa
Regione già in varie parti del mondo, particolarmente nell’Africa,
dove stanno scrivendo pagine d’oro di gesta missionarie. Ma
sinceramente credo, e lo chiedo con urgenza, che si possa fare di
più. L’Asia Sud può e deve restare missionaria! Questa è la sua
ora, perché è forte nello spirito, ricca di entusiasmo apostolico e
benedetta con tante giovani vocazioni. A nome della Congregazione e
dei giovani del mondo vi prego: “vi aspettiamo, venite tra noi, non
ci potete fuggire!”.
6.3
Irrobustire la vita comune
Il
carisma salesiano genera una vita fraterna apostolica che Don Bosco
sintetizzava in tre elementi: vivere e lavorare in
unum locum, in unum spiritum, in unum agendi finem
(CGS,
498). Le nostre Costituzioni hanno raccolto questa ispirazione con un
indicativo imperativo: «Vivere e lavorare insieme è per noi
salesiani una esigenza fondamentale e una via sicura per realizzare
la nostra vocazione» (Cost.
49). Oggi c’è un sentito bisogno di aiutare le comunità salesiane
a realizzare ed approfondire questo stile comune di vita e presenza
tra i giovani, che superi l’individualismo, l’attivismo, la
settorializzazione.
La consistenza, numerica e
qualitativa, delle comunità è un compito da non trascurare;
garantisce, infatti, la presenza educativa tra i giovani e
l’efficacia evangelizzatrice della missione apostolica. Questo
esige dal governo a livello ispettoriale di arrivare ad un equilibrio
mirato tra espansione e consolidamento delle opere; i salesiani non
possono – né debbono – sentirsi responsabili di dare risposta a
tutte le necessità dei giovani più poveri, anche se urgenti; un
ministero efficace non è da identificare con la molteplicità delle
offerte, ma con la qualità del servizio dato. Proprio per questo, il
numero di confratelli nelle singole comunità è da adeguare alla
complessità della missione apostolica comune.
Nel
contesto multietnico e pluriculturale, che caratterizza la Regione
dell’Asia Sud, la presenza di comunità apostoliche che siano
testimoni trasparenti di fraternità, di sincera accettazione e mutua
stima favorisce l’impiantazione del vangelo e il risanamento della
società. Costruire comunità fraterne è già evangelizzazione in
atto, il modo più efficace di portare il vangelo oggi. Si dovrà
dunque assicurare una forma di vita fraterna nelle comunità che
eviti ogni genere di discriminazione; qualsiasi ineguaglianza,
consentita o semplicemente sofferta, danneggerebbe la qualità della
nostra testimonianza e metterebbe a rischio l’evangelizzazione.
È, dunque, da incoraggiarsi che nelle comunità, siano
locali o ispettoriali, dove ci sia una marcata presenza di culture,
etnie e caste diverse, si studino e si mettano in atto processi ed
iniziative per aiutare i confratelli ad affrontare ed apprezzare le
differenze e a superare possibili disagi o malintesi. Non sarebbe da
escludere di trattare queste questioni a livello regionale per
arrivare, tramite un miglior discernimento, a fare delle scelte
condivise e comuni nella Regione.
6.4
Curare l’identificazione
carismatica dei confratelli
Dati i numeri in crescita,
la formazione è indispensabile per mantenere ed approfondire
l’identificazione carismatica; essa rimane un punto cruciale per
assicurare che la crescita non sia solo nei numeri, ma soprattutto
nella qualità. La formazione, sia iniziale che permanente, deve
tener vivo lo spirito, lo zelo e la spinta missionaria che
caratterizzano attualmente la Regione. Abbiamo bisogno di salesiani
di qualità, salesiani di forte identità carismatica, salesiani
infiammati di passione apostolica.
La formazione deve
essere in primo luogo rivolta ad incendiare e tenere viva ed efficace
la passione apostolica del Da mihi
animas nel suo duplice punto di
riferimento: la passione per Dio e la passione per i giovani e i
poveri. Senza questa fiamma nel cuore, siamo inutili, senz’anima,
senza meta, sballottati da ogni capriccio e ghiribizzo, senza un’idea
chiara di dove siamo diretti. Questa duplice passione è anzitutto un
dono di Dio, dato in germe insieme alla vocazione salesiana. Ma
questo dono iniziale è anche una responsabilità e un compito:
quello di attizzare la fiamma, farla crescere, tenerla sempre accesa
e luminosa. Questo è il compito
principale della formazione iniziale e
permanente: far
sì che la passione apostolica del Da
mihi animas diventi il centro, la
sintesi, il punto focale della propria esistenza, il cuore della
propria spiritualità.
Tale formazione, per essere
attuale, deve essere profondamente inculturata, cioè radicata prima
di tutto nel vangelo, vissuto secondo il carisma salesiano, e
nondimeno nella cultura, nelle tradizioni e nell’ethos del popolo
che siete chiamati a servire. Attraverso i salesiani dell’Asia Sud,
Don Bosco deve avere una faccia indiana, birmana, nepalese,
singalese. Il Vangelo e il carisma salesiano, piantati nel suolo
fertile dell’Asia Sud, devono mettere radici, crescere e fiorire.
Ciò significa imparare la lingua, assimilare la cultura, adottare le
sane tradizioni della gente, specialmente dei giovani e dei poveri.
Allo stesso tempo, si dovrà essere consapevoli, e agire
in conseguenza, che nessuna cultura, per quanto sia antica e nobile,
è un assoluto. Come ogni impresa umana, essa ha le sue limitazioni e
i suoi difetti, a volte anche seri. Ogni cultura ha bisogno di essere
purificata e perfezionata dal Vangelo. Ogni cultura, per essere
fedele a se stessa, deve aprirsi ad altre culture. Chiudendosi, essa
ristagna, avvizzisce e muore. Invece, aprendosi e interagendo con
altre culture si rinvigorisce e fiorisce.
Una formazione
che dura tutta la vita, assunta come progetto personale e vissuta
nella comunità, aiuta ad avere i piedi fermamente piantati nelle
realtà socio-culturali della gente, in modo però da mantenere la
mente aperta a tutto ciò che è vero e buono dovunque si trova,
portando – come si dice oggi – a pensare globalmente ma agire
localmente.
C’è molto ancora da fare! L’Asia Sud non
può riposare sugli allori, per così dire, contemplando il passato
glorioso. Le celebrazioni centenarie devono stimolare a spingere lo
sguardo in avanti e far progredire la grande missione del Signore e
il sogno di Don Bosco nella Regione.
Che il Signore,
mediante l’assistenza materna di Maria e l’intercessione di Don
Bosco, benedica questo nobile compito e lo faccia fiorire per la sua
gloria e per la salvezza dei giovani!
Cordialmente,
don Pascual Chávez Villanueva
[1]
Cfr. Memorie Biografiche
di San Giovanni Bosco (MB) XI, p. 408.
[2]
Cfr. MB XII, p. 315.
[3]
Cfr. MB XIII, p. 36.
[4]
MB XVIII, p. 72-73.
[5]
Cfr. Annuarium Statisticum Ecclesiae 2004,
Secretaria Status, Rationarium Generale Ecclesiae, Libreria Editrice
Vaticana, 2006, pp. 174, 205, 212, 221.
[6]
Ibid.
[7]
Ibid.
[8]
Ibid.
[9]
Ibid.
[10]
Cfr.. Thekkedath, J. A History of the Salesians
of Don Bosco in India, Vol. II, pp. 1368-1375.
[11]
Ibid. pp. 1375-1379.
[12]
Ibid. p. 1375.
[13]
Ibid. pp. 1375-76.
[14]
Leo XIII, Ad
Extremas, n. 4, 24 giugno 1893.
[15]
Cfr. Thekkedath, A History I, p. 29.
[16]
Cfr. Thekkedath, A History I, p. 271.
[17]
Cfr. Thekkedath, A History I, p. 720.
[18]
Cfr. Thekkedath, A History I ,p. 65.
[19]
Cfr.. Sebastian Karotemprel (ed.), The Catholic
Church in Northeast India, 1890-1990, Shillong Vendrame
Institute, 1993, p. 503.
[20]
Le cifre in India sono
incredibili: 55.780 giornali; una radio sotto il controllo del
governo con 213 centri di trasmissione in 24 lingue e 146 dialetti;
un’industria cinematografica che è la più grande nel mondo, con
una media di produzione annuale di 880 film di lungometraggio e 1200
film di cortometraggio.
[21]
Uno di essi che lavora
nell’America del sud, Don Giorgio Puthenpura, ha fondato una
congregazione religiosa per donne, denominata “Suore della
Risurrezione”. La loro fondazione ufficiale avvenne nel 1987 ed
esse furono accettate nella Famiglia Salesiana nel 2004. Con il loro
motto, “Cristo è risorto, risorgiamo con Lui anche noi”, esse
predicano la Parola, inculturano il Vangelo e insegnano la fede ai
poveri mediante la catechesi.
[22]
J. Puthenkalam & A. Mampra, Sanctity in the
Salesian Family, p. 529.
[23]
Ibid., p. 533.
[24]
Ibid., p. 551.
[25]
Ibid. 558-559.