351-400|it|394 Identità carismatica e passione apostolica

LETTERA DEL RETTOR MAGGIORE

PASCUAL CHÁVEZ


«DA MIHI ANIMAS, CETERA TOLLE»

Identità carismatica e passione apostolica
Ripartire da Don Bosco per risvegliare il cuore di ogni salesiano



1. CONVOCAZIONE DEL CG26.  1.1 Motivazioni per la scelta del tema. 1.2 Passi compiuti per la determinazione del tema. 1.3 Obiettivo fondamentale del tema. 1.4 Altri compiti. 2. CONTESTO DEL CG26. 2.1 Bisogni e attese dei giovani. Vita: bisogni e minacce. – Amore: bisogni e minacce. – Libertà: bisogni e minacce. 2.2 Sfide sociali e culturali. Tendenze fondamentali. – Sfide a livello sociale e culturale. – Sfide culturali della Congregazione. 2.3 Orientamenti attuali della Chiesa. Ripartire da Cristo: la santità come programma pastorale. – Testimoniare Cristo: l’evangelizzazione come missione prioritaria. – Ritornare ai giovani: la presenza come segno dell’amore di Cristo. 2.4 Sfide e prospettive della Vita Consacrata. Sfide della Vita Consacrata. – Prospettive della Vita Consacrata. 2.5 Il cammino della Congregazione. CG22: Il Capitolo della fedeltà. – CG23: Il Capitolo della missione. – CG24: Il Capitolo della condivisione con i laici. – CG25: Il Capitolo della comunità salesiana. 2.6. Voce delle Ispettorie. 3. IL TEMA DEL CG26. 3.1 Programma di vita di Don Bosco e del salesiano. 3.2 Identità carismatica: lo spirito salesiano. 3.3 Passione apostolica: “la gloria di Dio e la salvezza delle anime”. – 3.4 Da mihi animas. 3.4.1 Urgenza di evangelizzare. –3.4.2  Necessità di convocare. 3.5 Cetera tolle.  3.5.1 Povertà evangelica. 3.5.2 Nuove frontiere. 3.6 Condizioni per concretizzare il tema. Processi da assumere. – Mentalità da convertire. – Strutture da cambiare. 4. PREGHIERA PER IL CG26 – PREGHIERA A DON BOSCO

Roma, 24 giugno 2006

Natività di San Giovanni Battista

Carissimi Confratelli,

mentre vi scrivo, il mio pensiero torna con fede e riconoscenza a Don Valentín De Pablo, Consigliere generale per la Regione Africa e Madagascar. La sua scomparsa, improvvisa e inaspettata, ci ha colti di sorpresa e ci ha lasciati umanamente sgomenti. Sono grato a tutti voi per le numerose e sentite attestazioni di vicinanza, partecipazione e cordoglio. Ringraziamo insieme il Signore per il dono della vocazione salesiana, presbiterale e missionaria di Don Valentín. Ricordiamolo nella nostra preghiera. Negli ultimi giorni della sua vita ha partecipato nel Consiglio generale alla scelta del tema capitolare. Trovandosi ora presso Dio, egli potrà intercedere per tutti noi, per la buona riuscita del Capitolo e per la Regione Africa e Madagascar.

1. CONVOCAZIONE DEL CG26

Nel giorno onomastico di Don Bosco, nostro amato padre e fondatore, che per tale occasione raccoglieva attorno sé tutti i ragazzi, i collaboratori e i benefattori di Valdocco, sono lieto di scrivervi a nome suo questa lettera, mediante la quale intendo
convocare, a norma dell’articolo 150 delle nostre Costituzioni, il Capitolo Generale XXVI. Il Capitolo «è il principale segno dell’unità della Congregazione nella sua diversità» (Cost. 146). Ci riuniremo insieme per riflettere su come essere «fedeli al Vangelo e al carisma del Fondatore e sensibili ai bisogni dei tempi e dei luoghi» (Cost. 146). In questi momenti Don Bosco sarà certamente con noi.

Vi invito a guardare a questo evento come ad una nuova Pentecoste nella vita della Congregazione, che con il Capitolo Generale, «lasciandosi guidare dallo Spirito del Signore, cerca di conoscere, in un determinato momento della storia, la volontà di Dio per un miglior servizio alla Chiesa» (
Cost. 146). La grandezza dello Spirito si rivela nella sua potenza, che sa rinnovare la faccia della terra (cf. Sal 104,30) e fare nuove tutte le cose. Lo Spirito di Dio, presente nei vari momenti della storia, saprà rendere nuovo il nostro amore a Don Bosco.

Lo Spirito aleggiava sulla superficie delle acque alle origini del mondo (cf.
Gn 1,2). Fu comunicato all’uomo quando gli fu infuso il soffio di vita (cf. Gn 2,7). Portò Abramo a rispondere con l’obbedienza della fede a Dio, quando lo chiamava a lasciare la sua terra e la sua parentela, per raggiungere la terra della promessa (cf. Gn 12,1-4). Fu dato a Mosè sul Sinai come parola di vita nel dono della legge (cf. Es 20,1-18). Si impadroniva di uomini e donne di Israele per convertirli in liberatori della propria gente e in profeti del Dio Altissimo (cf. At 2,17).

Lo Spirito coprì con la sua ombra la Vergine Maria e la rese madre del Figlio di Dio (cf.
Lc 1,35). Unse Gesù il giorno del suo battesimo e lo sospinse a predicare il vangelo del Regno (cf. Mc 1,10-15). Fu effuso sugli apostoli sotto forma di lingue di fuoco ed essi furono trasformati in testimoni credibili del Risorto (cf. At 2,1-11).

Lo Spirito continua oggi ad ispirare la promozione della vita e della dignità della persona umana; apre le menti ed i cuori di uomini e donne a Dio e a Cristo; è un dolce ospite, che non opera forzando ma convincendo e richiedendo docilità alle sue mozioni.

Il prossimo Capitolo Generale sarà il 26° nella storia della nostra Società. Esso è in continuità con i Capitoli precedenti nell’impegno sincero di fedeltà dinamica a Dio e ai giovani. Il CG26 si svolgerà a Roma presso il “Salesianum” nella Casa Generalizia. Avrà inizio la domenica 24 febbraio 2008 a Torino, culla del nostro carisma, dove ci recheremo per ritrovare la casa e il padre e per attingere alle radici del nostro spirito. Lo inaugureremo con la concelebrazione Eucaristica nella Basilica di Maria Ausiliatrice e con la visita ai luoghi salesiani, sorgente di ispirazione e dinamismo. Partiremo quindi per Roma, sede del Capitolo.

Ho nominato Regolatore don Francesco Cereda, Consigliere per la Formazione, che da questo momento ha la responsabilità di accompagnare la preparazione e lo svolgimento del Capitolo Generale.

Da mihi animas, cetera tolle” (cf. Cost. 4) è il tema che, insieme al Consiglio Generale, ho scelto per il CG26. Tale tema è stato spesso richiamato nelle Visite d’Insieme e sta molto a cuore a me e ai Consiglieri Generali. Esso rappresenta il programma spirituale e pastorale di Don Bosco. In esso si concentra l’identità carismatica e la passione apostolica del salesiano.

L’argomento è vasto. Per questo abbiamo voluto focalizzare l’attenzione del CG26 su quattro aree tematiche: l’urgenza di
evangelizzare, il bisogno di convocare alla vita consacrata salesiana, l’esigenza di vivere in povertà evangelica, la sfida di andare verso le nuove frontiere della missione.

1.1. Motivazioni per la scelta del tema

È da tempo che ho maturato la convinzione che la Congregazione oggi ha bisogno di risvegliare il cuore di ogni confratello con la passione del “Da mihi animas”. Così essa potrà avere l’ispirazione, la motivazione e l’energia per rispondere alle attese di Dio e ai bisogni dei giovani e per affrontare con coraggio e competenza le sfide odierne.

Facendo nostro il motto “
Da mihi animas, cetera tolle”, vogliamo assumere il programma spirituale ed apostolico di Don Bosco e la ragione del suo instancabile operare per “la gloria di Dio e la salvezza delle anime”. Così potremo ritrovare l’origine del nostro carisma, il fine della nostra missione, il futuro della nostra Congregazione.

Il bicentenario della nascita di Don Bosco, il cui traguardo del 2015 appare ormai prossimo, è un invito a invocare Don Bosco perché ritorni tra noi e tra i giovani: “
Don Bosco ritorna!”. D’altra parte, esso è uno stimolo per ogni salesiano a ritornare a Don Bosco e ai giovani: “Ritorniamo a Don Bosco, ritornando ai giovani!”. Don Bosco e i giovani sono inseparabili: Don Bosco è il nostro padre e modello; i giovani sono il luogo in cui “incontrare Dio” (Cost. 95) e “la patria della nostra missione”. [1] Non potremo tornare a Don Bosco, se non tornando ai giovani.

L’espressione “
Da mihi animas, cetera tolle” è la preghiera rivolta a Dio da chi, nella fatica, nell’impegno e nella sfida apostolica condotti nel Suo nome, rinuncia a tutto e vuol farsi carico di tutti. Proprio perché preghiera, essa fa comprendere che la missione non coincide con le iniziative e le attività pastorali. La missione è dono di Dio, più che compito apostolico; la sua realizzazione è preghiera in atto. In questo sta la base per superare l’attivismo e il rischio di essere “bruciati nell’azione”.

Il programma di Don Bosco riecheggia, mi sembra, l’espressione «ho sete», che Gesù pronuncia sulla croce mentre sta consegnando la propria vita per realizzare il disegno del Padre (
Gv 19,28). Chi fa propria questa invocazione di Gesù, impara a condividere la Sua passione apostolica “fino alla fine”. La parola di Gesù diventa un appello perché ognuno di noi ravvivi la sete per le anime e rinnovi la promessa fatta da Don Bosco ai suoi ragazzi: “Fino all’ultimo respiro la mia vita sarà per voi giovani”. Il cuore del salesiano si ispira perciò al cuore trafitto di Cristo. [2]

Il motto di Don Bosco è la sintesi della mistica e dell’ascetica salesiana, come viene espressa nel “sogno dei dieci diamanti”. Qui si intersecano due prospettive complementari: quella del volto visibile del salesiano, che manifesta la sua audacia, il suo coraggio, la sua fede, la sua speranza, la sua consegna totale alla missione, e quella del suo cuore nascosto di consacrato, la cui nervatura è costituita dalle convinzioni profonde che lo portano a seguire Gesù nel suo stile di vita obbediente, povero e casto.

1.2. Passi compiuti per la determinazione del tema

Per la scelta del tema del CG26 abbiamo voluto partire dalla vita delle Ispettorie. In preparazione alla Visita d’Insieme le Ispettorie erano state invitate a fare una verifica dell’assimilazione del CG25 e a presentare alcune prospettive di futuro, individuando le maggiori realizzazioni degli ultimi anni, le sfide più importanti, le risorse per far fronte al futuro, le difficoltà che si stanno incontrando.

Le Visite d’Insieme sono diventate così il primo passo di preparazione al CG26, nel senso che ci hanno fatto conoscere lo stato della Congregazione con la varietà dei suoi contesti, le sue fortezze e debolezze, le sue opportunità e sfide.

Ricorrente e sentito emergeva il bisogno di infiammare di gioia ed entusiasmo il cuore dei confratelli nel vivere la vita salesiana e nel realizzare la missione giovanile. Tutto ciò richiamava la passione del “
Da mihi animas, cetera tolle”. Nello stesso tempo, con diverse accentuazioni, comparivano altre aree tematiche comuni, quali l’evangelizzazione, le vocazioni, la povertà e le nuove frontiere.

Al termine della sessione plenaria del Consiglio Generale del dicembre 2005 - gennaio 2006, ogni Consigliere mi ha consegnato le sue proposte in vista del CG26. Anche qui il tema più indicato, con motivazioni e sottolineature diverse, si riferiva al ritorno al carisma di Don Bosco, all’identità salesiana e alla passione apostolica. Insieme ad esso emergevano anche argomenti specifici, quali l’evangelizzazione oggi, le vocazioni alla vita salesiana consacrata, la povertà, i nuovi orizzonti della missione salesiana, la formazione, la comunicazione.

Il processo per la scelta del tema si è concluso con la riflessione comune, tenutasi nel raduno straordinario del Consiglio Generale dal 3 al 12 aprile scorso. Esso ci ha portato alla definizione del tema sopra indicato.

1.3. Obiettivo fondamentale del tema

L’obiettivo fondamentale del Capitolo Generale XXVI è quello di rafforzare la nostra identità carismatica con il ritorno a Don Bosco, risvegliando il cuore di ogni confratello con la passione del “
Da mihi animas, cetera tolle”.

Questo obiettivo richiede di approfondire la nostra conoscenza di Don Bosco e di prendere in mano le Costituzioni, in particolare il capitolo secondo sullo spirito salesiano, per rinnovare il nostro impegno di identificarci con lui, padre e maestro, e per ispirarci alle sue grandi convinzioni.

Domanda pure di accendere il fuoco della passione spirituale ed apostolica nel cuore di ogni confratello, aiutandolo a motivare e ad unificare la sua vita con l’impegno della realizzazione della “gloria di Dio e salvezza delle anime”.

La vicinanza dell’anno 2015, bicentenario della nascita di Don Bosco, rappresenta una grazia per la Congregazione, che è chiamata ad incarnare nei diversi contesti il suo carisma, ossia lo spirito e la missione del nostro fondatore e padre. Tale celebrazione costituirà quasi un traguardo del CG26.

Per raggiungere l’obiettivo del CG26 è necessaria innanzitutto una miglior
conoscenza di Don Bosco: occorre studiarlo, amarlo, imitarlo e invocarlo (Cost. 21). Dobbiamo conoscerlo come maestro di vita, alla cui spiritualità ci abbeveriamo come figli e discepoli; come fondatore, che ci indica la strada della fedeltà vocazionale; come educatore, che ci ha lasciato quale preziosissima eredità il Sistema preventivo; come legislatore, in quanto le Costituzioni, che egli direttamente e la storia salesiana successiva ci hanno dato, ci offrono una lettura carismatica del vangelo e della sequela di Cristo. [3]

Oggi più che ieri e domani più di oggi, c’è il grave rischio di spezzare i legami vivi che ci tengono uniti a Don Bosco. Siamo ad oltre un secolo dalla sua morte. Sono ormai decedute le generazioni di salesiani che erano venute a contatto con lui e lo avevano conosciuto da vicino. Aumenta il distacco cronologico, geografico e culturale dal fondatore. Viene a mancare quel clima spirituale e quella vicinanza psicologica, che consentivano uno spontaneo riferimento a Don Bosco e al suo spirito, anche alla semplice vista del suo ritratto. Ciò che ci è stato tramandato può andare smarrito. Allontanati dal fondatore, sbiadita l’identità carismatica, indeboliti i legami al suo spirito, se non ravviviamo le nostre radici corriamo il pericolo di non avere futuro né diritto di cittadinanza.

Più che di crisi di identità, ritengo che per noi salesiani esista oggi una crisi di
credibilità. Ci troviamo in una situazione di stallo. Sembra di essere sotto la tirannia dello “statu quo”; esistono resistenze al cambiamento, più inconsce che intenzionali. Anche se convinti dell’efficacia dei valori evangelici, facciamo fatica a raggiungere il cuore dei giovani, per i quali dovremmo essere segni di speranza. Siamo scossi dal fatto che nella costruzione della loro vita la fede risulti irrilevante. Constatiamo una scarsa sintonia con il loro mondo e una lontananza, per non dire estraneità, dai loro progetti. Percepiamo che i nostri segni, gesti e linguaggi non sono efficaci; sembra che non incidano nella loro vita.

Accanto allo slancio vitale, capace di testimonianza e di donazione fino al martirio, la vita salesiana conosce pure «l’insidia della mediocrità nella vita spirituale, dell’imborghesimento progressivo e della mentalità consumistica».
[4] Nei documenti che la tradizione ha chiamato “testamento spirituale”, Don Bosco ha lasciato scritto: «Dal momento che comincerà [ad] apparire agiatezza nella persona, nelle camere o nelle case, comincia nel tempo stesso la decadenza della nostra congregazione […] Quando cominceranno tra noi le comodità o le agiatezze, la nostra pia società ha compiuto il suo corso». [5]

La scarsità delle vocazioni e le fragilità vocazionali mi portano a pensare che molti forse non sono convinti dell’utilità sociale, educativa ed evangelizzatrice della nostra missione; altri forse trovano il nostro impegno di lavoro non adeguato alle loro aspirazioni, perché non sappiamo reinvestire e rinnovare; alcuni forse si sentono imprigionati dalle emergenze, fattesi sempre più incalzanti.

Urge
ritornare ai giovani con maggiore qualificazione. È tra i giovani che Don Bosco ha elaborato il suo stile di vita, il suo patrimonio pastorale e pedagogico, il suo sistema, la sua spiritualità. Unica fu la missione di Don Bosco. Egli fu sempre e solo con i giovani e per i giovani, anche quando per motivi particolari non poteva essere sempre materialmente a contatto con loro, anche quando la sua azione non era direttamente al loro servizio. Per questo egli difese tenacemente il suo carisma di fondatore per i giovani di tutto il mondo, di fronte alle pressioni di ecclesiastici non sempre lungimiranti. Missione salesiana è “predilezione” per i giovani. Al suo stato iniziale tale predilezione è dono di Dio, ma spetta poi alla nostra intelligenza ed al nostro cuore assumerla, svilupparla, compierla.

Il vero salesiano non diserta il campo giovanile. Salesiano è colui che dei giovani ha una conoscenza vitale: il suo cuore pulsa là dove pulsa quello dei giovani. Il salesiano vive per loro, esiste per i loro problemi. Essi sono il senso della sua vita: il suo lavoro, studio, affettività, tempo libero sono per loro. Salesiano è chi dei giovani ha una conoscenza esistenziale, ma anche teorica, che gli permetta di scoprire i loro bisogni, così da creare una pastorale giovanile adeguata ai tempi.

Oggi è necessario approfondire la
pedagogia salesiana. C’è bisogno cioè di studiare e realizzare quell’aggiornato sistema preventivo auspicato da Don Egidio Viganò. Si tratta, da parte degli operatori e degli studiosi, di sviluppare le sue grandi virtualità, di modernizzarne i principi, i concetti, gli orientamenti, di interpretare oggi le sue idee di fondo: la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime; la fede viva, la ferma speranza, la carità pastorale; il buon cristiano e l’onesto cittadino; il trinomio “allegria, studio, e pietà”; le “tre S”: salute, scienza, santità; la pietà, moralità, cultura; l’evangelizzazione e la civilizzazione.

Lo stesso si dica per i grandi orientamenti di metodo
: farsi amare prima di - piuttosto che - farsi temere; ragione, religione, amorevolezza; padre, fratello, amico; familiarità soprattutto in ricreazione; guadagnare il cuore; l’educatore consacrato al bene dei suoi allievi; ampia libertà di saltare, correre, schiamazzare a piacimento. Tutto ciò va riletto per giovani “nuovi”, chiamati a vivere in una vastissima ed inedita gamma di situazioni e problemi, in tempi decisamente mutati, nei quali le stesse scienze umane sono in fase di riflessione critica.

Urge conoscere, approfondire e vivere la
spiritualità di Don Bosco. La conoscenza degli aspetti esteriori della vita di Don Bosco, delle sue attività e del suo metodo educativo non basta. Alla base di tutto, quale sorgente della fecondità della sua azione e della sua attualità, c’è qualcosa che spesso ci sfugge: la sua profonda esperienza spirituale, quella che si potrebbe chiamare la sua “familiarità” con Dio. Chissà che non sia proprio questo il meglio che di lui abbiamo per invocarlo, imitarlo, metterci alla sua sequela per incontrare Cristo e farlo incontrare ai giovani!

Pervenire ad una precisa identificazione dell’esperienza spirituale di Don Bosco non è un’impresa facile. Questo è forse l’ambito di Don Bosco meno approfondito. Don Bosco è un uomo tutto teso al lavoro, non ci offre descrizioni delle sue evoluzioni interiori, né ci lascia riflessioni esplicite sulla sua vita spirituale; non scrive diari spirituali; non dà interpretazioni; preferisce trasmettere uno spirito, descrivendo le vicende della sua vita oppure attraverso le biografie dei suoi giovani. Non basta certo dire che la sua è spiritualità di chi svolge una pastorale attiva, non contemplativa, una pastorale di mediazione fra spiritualità dotta e spiritualità popolare.
[6]

Al centro della sua spiritualità c’è solo Dio da conoscere, amare e servire, mediante la realizzazione di una non elusiva vocazione personale, centrata sulla dedizione religiosa ed apostolica - benefica, educativa, pastorale - ai giovani, soprattutto poveri ed abbandonati, in funzione della loro salvezza integrale, sul modello di Cristo salvatore e alla scuola di Maria Madre e Maestra. Non per nulla il sostantivo più frequente ad esempio in un suo volume di lettere è “Dio” e il verbo più frequente, dopo “fare”, è “pregare”.
[7]

La matrice dell’esperienza spirituale di Don Bosco è riassunta nel motto
Da mihi animas, cetera tolle, cioè la desiderata salvezza delle anime e niente altro. La citazione di Gen. 14, 21 in lui assume caratteristiche proprie, dal momento che della espressione biblica fa una lettura accomodatizia, allegorica, giaculatoria. Il termine animas indica le persone ed in concreto i ragazzi con cui ha a che fare, visti nella prospettiva della loro salvezza definitiva. Il cetera tolle significa il distacco da tutto, che non si traduce nell’annientamento di sé e nella fusione in Dio; si tratta di un’ascesi apostolica. Per Don Bosco il distacco è lo stato d’animo necessario per la più assoluta libertà e disponibilità alle esigenze dell’apostolato.

1.4. Altri compiti

Oltre l’approfondimento del tema proposto, il CG26 ha pure altri compiti particolari. Il primo tra questi riguarda l’elezione del Rettor Maggiore e dei membri del Consiglio Generale per il periodo 2008 - 2014.

C’è poi l’adempimento e la verifica di alcune richieste fatte dal CG25 o cambiamenti da esso introdotti. In linea con quanto indicato ai nn. 112 e 115, si ritiene importante un ripensamento organizzativo e strutturale dei dicasteri della nostra missione salesiana: pastorale giovanile, missioni, comunicazione sociale. Il CG25 domanda pure una riflessione sulla configurazione delle tre Regioni di Europa (cf. nn. 124, 126, 129). Si sente inoltre l’esigenza, dopo il cambiamento costituzionale avvenuto, di fare una valutazione circa l’affidamento della Famiglia salesiana al Vicario del Rettor Maggiore (cf.
CG25, 133).

Infine, si ritiene necessario riflettere sulla figura e i compiti dell’economo locale (
Cost. 184), al fine di dare una risposta alle problematiche attuali.

2. CONTESTO DEL CG26

La storicità della vita e il principio dell’incarnazione fanno sì che non possiamo prescindere dai condizionamenti storici, che diventano non soltanto palcoscenico della vita e della missione salesiana, ma anche sfide e possibilità per queste. Vorrei quindi descrivere brevemente il contesto in cui si svolgerà il CG26, nella prospettiva dell’identità carismatica e della passione apostolica.

2.1. Bisogni e attese dei giovani

Appena ordinato prete, mentre completa la sua formazione pastorale nel Convitto ecclesiastico a Torino, Don Bosco, con la guida illuminata di Don Cafasso, incomincia a percorrere la vie della città; frequenta le botteghe, i cantieri, i mercati, le carceri; conosce direttamente la situazione di molti giovani, le loro miserie e le loro aspirazioni. Tutto questo gli fa sentire l’urgenza che qualcuno si prenda cura di loro, li assista, si preoccupi della loro salvezza. Nasce l’idea dell’Oratorio, in cui Don Bosco realizzerà la sua vocazione.
[8] Il grido dei giovani spiega la passione incondizionata del suo programma: “Da mihi animas, cetera tolle”.

Se oggi vogliamo ritornare a Don Bosco per approfondire e rinnovare la nostra identità vocazionale, dobbiamo anche noi ripartire dai giovani, capire le loro attese, ascoltare in loro quello che Dio ci chiede.

I giovani, anche se vivono in contesti diversi, hanno in comune la sensibilità ai grandi valori della vita, dell’amore e della libertà, ma incontrano anche molte difficoltà nel viverli. Noi non possiamo non guardare ai loro bisogni e alle loro attese e nello stesso tempo non accorgerci degli ostacoli e delle minacce che incontrano.

Vita: bisogni e minacce

I giovani ricercano
qualità di vita: hanno voglia di vivere pienamente la vita; ricercano modelli di vita significativi; desiderano costruire la propria vita a partire dall’autostima e dall’accettazione positiva di sé. Sentono l’esigenza di nuovi valori, quali la centralità della persona, la dignità umana, pace e giustizia, tolleranza, solidarietà. Ricercano spiritualità e trascendenza, per trovare equilibrio e armonia in questo mondo frenetico e frammentato; desiderano una religiosità soggettiva, sincera, non istituzionale. Nella ricerca del senso della vita richiedono accompagnamento da parte di adulti che li ascoltino, li capiscano e siano capaci di orientarli.

La situazione di
povertà, generata da un sistema neoliberale, obbliga molti giovani alla sopravvivenza. Oltre 200 milioni di giovani, il 18% della gioventù mondiale, vive con meno di 1 dollaro al giorno e circa 515 milioni con meno di 2 dollari. Nel 2002 sono stati stimati 175 milioni gli emigranti a livello mondiale, 26 milioni dei quali sono giovani. La mancanza di lavoro, lo sfruttamento ed un sistema educativo precario e selettivo limitano le loro prospettive di futuro: 88 milioni di giovani sono disoccupati; 130 milioni di ragazzi non hanno alcuna istruzione.

La cultura della
violenza è vissuta come reazione al disagio; si notano i fenomeni della droga, del terrorismo, delle guerre, i ragazzi soldato, i genocidi. I livelli di delinquenza sono drammaticamente cresciuti nei paesi in via di sviluppo. La delinquenza giovanile è spesso correlata con l’abuso di alcool e di droghe; in Africa essa è collegata alla fame, alla povertà, alla disoccupazione.

Minacce contro la vita e la sua dignità sono costituite da
aborto, suicidio, eutanasia, torture, che generano una cultura di morte e la perdita del senso della vita. In un anno praticano l’aborto 5 milioni di ragazze di età compresa tra i 15 e i 19 anni. Anche la vita cristiana rischia di non essere valida per i giovani, se non riesce a superare la dicotomia tra fede e vita.

Amore: bisogni e minacce

La sensibilità, le forme comunicative ed espressive dei giovani, il loro linguaggio, i loro stili di vita stanno diventando sempre più differenti rispetto a quelli degli adulti. Assumono rilevanza la centralità del corpo e dell’immagine, il valore della
sessualità e del mondo affettivo, i nuovi linguaggi che aprono a nuove forme di comunicazione e di rapporti, resi possibili dalle nuove tecnologie.

Esiste da parte dei giovani una forte domanda di
nuovi rapporti di amicizia, di affetto, di compagnia, per superare le carenze affettive che li rendono insicuri, poco fiduciosi in sé e incapaci di stabilire rapporti stabili e profondi. Il bisogno di rapporti significativi tra adulti e giovani domanda ascolto e accoglienza.

Soprattutto tra i giovani appaiono
nuove forme d’impegno e di partecipazione nel sociale, attraverso reti multiple e aperte di appartenenza, di prossimità, di socialità ristretta e immediata, che si situano tra lo spazio della vita privata e quella pubblica, come le esperienze di volontariato o di servizio civile nelle sue svariate forme e stili, i movimenti no-global, ecologisti, pacifisti, ecc.

Costituisce una minaccia quella cultura che promuove un
amore possessivo e superficiale, che cerca la soddisfazione immediata del piacere, che promuove la commercializzazione del corpo e lo sfruttamento sessuale, le gravidanze precoci di più di 14 milioni di adolescenti, l’instabilità dei rapporti di coppia. L’AIDS provoca infermità gravi e genera paura: almeno il 50% delle nuove infezioni da HIV sono tra i giovani; circa 10 milioni di giovani è affetto da AIDS, di cui 6,2 nell’Africa Sub-Sahariana e 2,2 in Asia. Attualmente sono stimati in circa 15 milioni i ragazzi sotto i 18 anni che sono orfani a causa dell’AIDS; di essi circa 12 milioni vivono nell’Africa Sub-Sahariana e il numero potrebbe salire a 18 milioni nel 2010 [9] . La Chiesa trova difficoltà nel presentare una proposta morale significativa per i giovani.

Libertà: bisogni e minacce

I giovani sentono il bisogno di costruire la
propria identità. Essi possiedono una grande quantità di conoscenze e di esperienze, ma vivono una notevole frammentazione e disorientamento, con scarsi punti di riferimento significativi; questo li rende incerti e fragili di fronte alla ricerca della propria identità e alla definizione del proprio futuro. Sentono poi un grande bisogno di felicità: essere felici è il sogno e il progetto più grande che i giovani portano nel cuore. Affermano il diritto alla differenza, che superi la tendenza alla omologazione della società globalizzata e riconosca il valore dell’esperienza vitale al di sopra di ogni ideologia e dottrina. Hanno l’esigenza di essere riconosciuti e di essere protagonisti nella vita sociale, lavorativa e politica.

La
manipolazione culturale attraverso i mezzi di comunicazione sociale favorisce una cultura superficiale, consumista ed edonista. Sono un ostacolo quegli atteggiamenti che condizionano fortemente il costruirsi dell’identità: il conformismo come adattamento acritico, il pragmatismo preoccupato di ricercare il risultato immediato, la mentalità relativista ed individualista con la quale si ricerca una libertà slegata da ogni valore.

2.2. Sfide sociali e culturali

Non possiamo dimenticare che la Congregazione vive oggi la sua identità carismatica e la sua missione giovanile all’interno di culture e di società che presentano contesti differenziati. Il rapporto con la cultura e la rilevanza sociale giocano un ruolo decisivo per l’efficacia della sua presenza. Nella pluralità dei contesti, cerchiamo perciò di evidenziare alcuni aspetti comuni.

Tendenze fondamentali

Occorre notare in primo luogo l’esistenza di due
tendenze trasversali che caratterizzano il cambio epocale che stiamo vivendo: da un lato, esiste una tendenza all’omogeneità culturale, che cerca di ricopiare il modello occidentale con l’abolizione delle differenze; dall’altro, vi sono forti contrapposizioni culturali di matrice religiosa che portano ad una crescente differenziazione, per esempio, tra l’islam e l’occidente, tra la società secolarizzata e il cristianesimo.

In secondo luogo, si deve rilevare il fenomeno della
globalizzazione, incrementato dallo sviluppo tecnologico, che permea molti aspetti della società e della cultura. Dal punto di vista economico si diffonde ovunque il modello neoliberale, basato sul sistema di mercato, che tende a predominare sugli altri valori umani delle persone e dei popoli. Dal punto di vista culturale si impone un processo di omologazione delle culture verso il modello occidentale, con il graduale dileguarsi delle differenze culturali e politiche dei popoli. Infine, l’impatto dei mezzi di comunicazione sociale e la rivoluzione informatica inducono profondi cambiamenti nel costume, nella distribuzione della ricchezza, nell’impostazione del lavoro, attraverso una cultura mediatica e una società dell’ informazione.

Sfide a livello sociale e culturale

Si nota una forte tendenza alla
mobilità umana espressa da masse umane che, sospinte dalla povertà, dalla fame e dal sottosviluppo, emigrano verso i paesi della ricchezza e del benessere. Un aspetto di tale fenomeno è l’urbanizzazione o la migrazione interna ai paesi. C’è la perdurante sfida della povertà, della fame, delle malattie e del sottosviluppo, insieme alle sfide che provengono dallo sfruttamento dei bambini e dei minori nei volti tragici dell’emarginazione, del lavoro minorile, del turismo sessuale, della mendicità, dei ragazzi della strada, della delinquenza minorile, dei bambini soldato, della mortalità infantile. Si consolida una visione della società basata sui consumi e si diffonde ovunque una mentalità consumista, sia nei paesi ricchi che in quelli in via di sviluppo.

La paradossale
cultura della vita e della morte entra in confronto con lo sviluppo delle biotecnologie e dell’eugenetica. Esiste uno squilibrio tra lo sviluppo dell’uomo e dei popoli e le tecnologie dell’informazione e della comunicazione. C’è un crescente consolidarsi della cultura dell’individualismo, che origina una visione relativista della realtà e dell’uomo. Da tale visione antropologica deriva una nuova formulazione dei valori umani, basata sul relativismo etico, che il Papa Benedetto XVI non esita a chiamare “dittatura”. Anche una diffusa fragilità psicologica e motivazionale può essere collegata a queste espressioni del pensiero debole. Cresce il problema educativo in riferimento alla trasmissione dei valori, a causa delle continue trasformazioni del costume, dell’influsso delle mode, dei modelli.

L’allargarsi poi del fenomeno della
secolarizzazione esalta svariate forme di umanesimo senza Dio e relega nel privato tutte le espressioni di fede religiosa. Il pluralismo nei temi della famiglia, della vita, dell’amore, del sesso, un nuovo senso del sacro, la crisi delle istituzioni tradizionali, il facile accesso agli stupefacenti sono sfide provocanti. Si nota il radicarsi del fondamentalismo religioso e la conseguente difficoltà ad un dialogo di reciprocità tra le diverse fedi. Sorgono nuovi movimenti religiosi come risposta ai bisogni di spiritualità e di aggregazione religiosa; tra essi non vanno trascurati il fenomeno delle sette e il cosiddetto movimento “New Age”.

Sfide culturali della Congregazione

Naturalmente le sfide non provengono solo dal mondo esterno, ma sorgono anche dall’interno della stessa Congregazione e sono d’indole diversa: l’invecchiamento dei confratelli in alcune zone della Congregazione, la fragilità della funzione del governo ai vari livelli, la disparità di condizioni di vita dei salesiani rispetto all’ambiente di povertà e miseria.

Si notano anche un diverso impatto della cultura giovanile, con i suoi atteggiamenti e modelli di vita, sulla vita personale e comunitaria dei confratelli, la difficoltà a confrontarsi con un mondo giovanile molto variegato dal punto di vista delle idee e dei comportamenti, l’accentuazione diversa del rapporto tra educazione ed evangelizzazione, le differenti sensibilità in merito all’impatto sociale della nostra missione di promozione umana. In alcuni contesti fortemente secolarizzati risulta problematico il senso specifico da dare all’azione evangelizzatrice e alla proposta esplicita di Cristo Salvatore dell’uomo.

Persistono qua e là la superficialità spirituale, il genericismo pastorale, la lontananza dal mondo giovanile, le problematiche relative all’inculturazione del carisma, la scarsa conoscenza di Don Bosco e della sua opera.

2.3. Orientamenti attuali della Chiesa

Nello spirito del Concilio Vaticano II, i cui insegnamenti, come ha dichiarato recentemente Benedetto XVI, «si rivelano … particolarmente pertinenti in rapporto alle nuove istanze della Chiesa e della presente società globalizzata»
[10] , noi troviamo oggi i grandi orientamenti ecclesiali nella Esortazione Apostolica Vita Consecrata (1996), nella Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte (2001), nell’Istruzione Ripartire da Cristo (2002) e nell’Enciclica Deus Caritas Est (2005).

Ripartire da Cristo: la santità come programma pastorale

Ripartire da Cristo significa proclamare che la vita consacrata è speciale sequela di Lui e «memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù».
[11] Ciò «comporta una particolare comunione d’amore con Lui, diventato il centro della vita e la fonte continua di ogni iniziativa». [12] «Bisogna ripartire da Cristo, perché da Lui sono partiti i primi discepoli in Galilea; da Lui, lungo la storia della Chiesa, sono partiti uomini e donne di ogni condizione e cultura che, consacrati dallo Spirito in forza della chiamata, per Lui hanno lasciato famiglia e patria e Lo hanno seguito incondizionatamente, rendendosi disponibili per l'annuncio del Regno e per fare del bene a tutti (cf. At 10, 38)». [13]

Gesù Cristo, “oggi, ieri e sempre” (
Ebr 13,8), è il programma pastorale della Chiesa del Terzo Millennio: «un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture, anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e una comunicazione efficace». [14] Anche noi salesiani, come qualsiasi comunità o gruppo ecclesiale, dobbiamo tradurre tale programma in orientamenti pastorali adatti, «che consentono all’annuncio di Cristo di raggiungere le persone, plasmare le comunità, incidere in profondità mediante la testimonianza dei valori evangelici nella società e nella cultura». [15]

«Non esito a dire», con Giovanni Paolo II, «che la prospettiva in cui deve porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità»
[16] ; è il «fondamento della programmazione pastorale» [17] . Innanzitutto viene la nostra santità! Ve l’ho detto fin dall’inizio del mio ministero di Rettor Maggiore e ve l’ho scritto nella mia prima lettera. [18] Ve lo ripeto oggi con più convinzione e urgenza: la santità «è “il dono più prezioso che possiamo offrire ai giovani” (Cost. 25); è il traguardo più alto che dobbiamo proporre con coraggio a tutti. Solo in un clima di santità vissuta i giovani avranno la possibilità di operare scelte coraggiose di vita, di scoprire il disegno di Dio sul loro futuro, di apprezzare il dono della vocazione di speciale consacrazione». [19]

Oltre a presentare un modello comunitario di santità attraente, dobbiamo suscitare e sostenere nei giovani «un vero anelito alla santità, un desiderio forte di conversione e di rinnovamento personale in un clima di sempre più intensa preghiera e di solidale accoglienza del prossimo, specialmente quello più bisognoso».
[20] Da veri educatori dobbiamo offrire «una vera e propria pedagogia della santità» [21] , che proponga percorsi adattati ai ritmi dei singoli, ci abiliti ad essere guide esperte del cammino spirituale e faccia diventare le nostre comunità «luoghi per l’ascolto e la condivisione della parola, la celebrazione liturgica, la pedagogia della preghiera, l'accompagnamento e la direzione spirituale». [22]

Testimoniare Cristo: l’evangelizzazione come missione prioritaria

«Noi non possiamo non parlare delle cose che abbiamo visto e ascoltato» (
At 4,20), risposero Pietro e Giovanni al primo divieto di evangelizzare, che le autorità di Gerusalemme cercarono di imporre loro subito dopo la Pasqua. Noi salesiani siamo presenti in paesi di antica evangelizzazione, dove sta tramontando una condizione di “società cristiana”, e in paesi che accolgono con gioia la prima evangelizzazione. «Occorre riaccendere in noi lo slancio delle origini, lasciandoci pervadere dall'ardore della predicazione apostolica seguita alla Pentecoste. Dobbiamo rivivere in noi il sentimento infuocato di Paolo, il quale esclamava: “Guai a me se non predicassi il Vangelo!”(1 Cor 9,16)». [23]

«Chi ha scoperto Cristo – diceva Benedetto XVI ai giovani a conclusione della GMG in Colonia – deve portare altri verso di Lui. Una grande gioia non si può tenere per sé. Bisogna trasmetterla. In vaste parti del mondo esiste oggi una strana dimenticanza di Dio. Sembra che tutto vada ugualmente anche senza di Lui. Ma al tempo stesso esiste anche un sentimento di frustrazione, di insoddisfazione di tutto e di tutti».
[24] E ai religiosi di Roma: «Vostro primo e supremo anelito sia testimoniare che Dio va ascoltato e amato con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze, prima di ogni altra persona e cosa. Non abbiate paura di presentarvi, anche visibilmente, come persone consacrate, e cercate in ogni modo di manifestare la vostra appartenenza a Cristo, il tesoro nascosto per il quale avete lasciato tutto (…) La Chiesa ha bisogno della vostra testimonianza, ha bisogno di una vita consacrata che affronti con coraggio e creatività le sfide del tempo presente». [25]

La grande sfida che ci sta davanti nel millennio appena iniziato è appunto di «fare della Chiesa
la casa e la scuola della comunione». [26] Compito di estrema importanza nella nuova evangelizzazione, affidato alla vita consacrata, [27] è la testimonianza della comunione, «segno per il mondo e forza attrattiva che conduce a credere in Cristo», [28] vissuta «prima di tutto al proprio interno e poi nella stessa comunità ecclesiale, ed oltre i suoi confini, aprendo o riaprendo costantemente il dialogo della carità, soprattutto dove il mondo di oggi è lacerato da odio etnico o da follie omicide» [29] . In un’epoca caratterizzata dalla mondializzazione e dal ritorno del nazionalismo, anche la nostra Congregazione, proprio perché internazionale, è «mandata ad annunziare, con la testimonianza della propria vita, il valore della fraternità cristiana e la forza trasformante della Buona Novella» [30] e a «tener vivo il senso di comunione tra i popoli, le razze, le culture» [31] . Le nostre comunità sono chiamate a diventare «luoghi di addestramento all’integrazione e all’inculturazione, e insieme una testimonianza dell’universalità del messaggio cristiano». [32]

Più che delle nostre presenze, opere e strutture, la Chiesa ha bisogno della nostra presenza, della nostra vita consacrata, della radicalità nella sequela di Cristo. Ce lo ha ricordato il Papa Benedetto: «Di fronte all’avanzata dell’edonismo, a voi è richiesta la coraggiosa testimonianza della castità, come espressione di un cuore che conosce la bellezza e il prezzo dell’amore di Dio. Di fronte alla sete di denaro, la vostra vita sobria e pronta al servizio dei più bisognosi ricorda che Dio è la ricchezza vera che non perisce. Di fronte all’individualismo e al relativismo, che inducono le persone ad essere unica norma a se stesse, la vostra vita fraterna, capace di lasciarsi coordinare e quindi capace di obbedienza, conferma che voi ponete in Dio la vostra realizzazione. Come non auspicare che la cultura dei consigli evangelici, che è la cultura delle Beatitudini, possa crescere nella Chiesa, per sostenere la vita e la testimonianza del popolo cristiano».
[33]

Ritornare ai giovani: la presenza come segno dell’amore di Cristo

I giovani sono “per la Chiesa un dono speciale dello Spirito di Dio. Noi salesiani non possiamo guardarli che come Gesù, con compassione (cf. Mc 6,34), non dobbiamo dare loro altro che, come Gesù, l’evangelo di Dio (ib.), e non abbiamo altro da fare che, come Gesù, prenderci cura delle loro necessità (cf. Mc 6,37). C’è «una gioventù che esprime un anelito profondo, nonostante possibili ambiguità, verso quei valori autentici che hanno in Cristo la loro pienezza … Se ai giovani Cristo è presentato col suo vero volto, essi lo sentono come una risposta convincente e sono capaci di accoglierne il messaggio, anche se esigente e segnato dalla Croce» [34] . Come Giovanni Paolo, pure noi non dovremmo esitare a «chiedere loro una scelta radicale di fede e di vita, additando un compito stupendo: quello di farsi «sentinelle del mattino» (cfr Is 21,11-12) in questa aurora del nuovo millennio». [35]

La loro evangelizzazione, mediante la presenza amabile e proposte adatte ed esigenti, ci obbliga a ridare slancio, coraggio e profondità di fede alla
pastorale giovanile, che può rischiare di restare pastorale d’intrattenimento o di sola educazione civica, di formazione culturale o di generica apertura al trascendente. Il richiamo diretto ai destinatari della nostra missione ci impegna a riflettere e operare scelte “a partire dai giovani” e non dai nostri problemi, e a ritornare ai giovani, che sono la “patria”  della nostra missione, il tempio della nostra esperienza di Dio.

Ai giovani offriamo, oltre che l’annuncio della Parola (
kerygma-martyria) e la celebrazione dei Sacramenti (leiturgia), il servizio della carità (diakonia), il quale è per noi educazione, non «una specie di attività di assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma [un servizio che] appartiene alla natura» stessa della Chiesa, «espressione irrinunciabile della sua stessa essenza». [36]

Una vera sfida che ci interpella seriamente e coinvolge pure tutta la Chiesa, è il problema delle vocazioni. Vogliamo stimolare i giovani a «prendere coscienza della propria attiva responsabilità nella vita ecclesiale. Accanto al ministero ordinato, altri ministeri, istituiti o semplicemente riconosciuti, possono fiorire a vantaggio di tutta la comunità, sostenendola nei suoi molteplici bisogni».
[37] . È «compito primario» di tutti noi «quello di proporre coraggiosamente, con la parola e con l’esempio, l’ideale della sequela di Cristo, sostenendo poi la risposta agli impulsi dello Spirito nel cuore dei chiamati». [38]

2.4. Sfide e prospettive della Vita Consacrata

Sfide della Vita Consacrata

La Vita Consacrata presenta oggi notevoli sfide. Più che soffermarsi sulle sue sfide esterne, quali il secolarismo, il relativismo e la globalizzazione, mi sembra più utile accennare alle sue sfide interne.

Nonostante il riferimento autorevole dell’Esortazione Apostolica sulla vita consacrata, non è sempre chiaro quale debba essere la sua
identità. Le proposte insistenti di una sua rifondazione rischiano di far smarrire la consapevolezza della sua presenza nella Chiesa. Il mancato discernimento poi sulle nuove forme di vita consacrata offre un’immagine confusa della stessa. La debolezza della teologia delle vocazioni cristiane infine rende ancora più incerta tale identità.

La vita consacrata non riesce sempre a trovare le vie per esprimere la sua
profezia e credibilità. La missione ha bisogno di spingersi con maggior audacia sulle frontiere della povertà e dell’evangelizzazione. La sequela di Cristo domanda di trovare forme di autentica radicalità evangelica. La vita fraterna fa difficoltà a manifestare la comunione di fronte alle nuove esigenze dell’interculturalità e della globalizzazione. La vita spirituale è ancora alla ricerca delle modalità per essere vissuta e comunicata.

Una sfida, sentita spesso come minaccia, riguarda l’
incertezza del futuro della vita consacrata, soprattutto per gli interrogativi che si pongono sulla sua sopravvivenza in alcune aree geografiche. La diminuzione numerica, l’assenza di vocazioni, l’invecchiamento creano nelle Congregazioni mancanza di prospettive, necessità di pesanti ridimensionamenti, ricerca di nuovi equilibri culturali. A ciò si aggiungono talvolta scarsa vitalità, fragilità vocazionali, dolorosi abbandoni. Tutto ciò favorisce demotivazione, scoraggiamento e paralisi. In queste condizioni è arduo trovare una strategia di speranza, che apra orizzonti, offra cammini e assicuri la leadership.

Prospettive della Vita Consacrata

Rifacendoci specialmente al Congresso internazionale della vita consacrata del novembre 2004, intitolato “Passione per Cristo, passione per l’umanità”, si possono individuare alcune prospettive del suo cammino odierno.

Si ritiene importante innanzitutto saper s
uscitare fascino per la forma di vita consacrata, rendendola bella e attraente. Fascino è ciò che produce allegria comunicativa, forte attrazione, soave freschezza, stimolante ottimismo. La vita consacrata deve continuare a suscitare grazia e simpatia, fantasia e immaginazione; essa deve far sorgere forza, entusiasmo, aspettativa. Tale fascino deriva dalla percezione della sua vitalità, che si esprime nel primato di Dio e nell’intimità vissuta con Lui, nella centralità di Cristo e dei consigli evangelici, nella disponibilità allo Spirito e nella profondità della vita spirituale, nella forza e audacia della missione, nell’accoglienza fraterna e nella comunione, nella conversione personale e comunitaria.

Nella vita consacrata si ritiene poi importante
sviluppare l’identità carismatica Senza una proposta carismatica, avvincente e coinvolgente, è difficile il processo di identificazione vocazionale. La debolezza di proposta provoca lo sviluppo di identità incerte e confuse. Il ritorno al carisma del Fondatore è uno degli elementi decisivi di identità. Oggi la sociologia evidenzia come la cultura dell’eccellenza, la ricerca della visibilità e il senso di appartenenza aiutino lo sviluppo dell’identità dei gruppi religiosi. È nostro compito saper valorizzare teologicamente e carismaticamente questi indicatori sociologici, attraverso l’eccellenza evangelica della vita consacrata, la testimonianza visibile e attraente della nostra vocazione, il forte senso di appartenenza alla comunità e Congregazione.

La vita consacrata deve
essere segno profetico e credibile, ossia deve continuare la ricerca per trovare forme di profezia e credibilità, non solo personali ma anche istituzionali. Deve tornare ad uno stile di vita più semplice e povero, sobrio ed essenziale. C’è bisogno di semplificare le strutture, che sovente sono diventate un grande peso e che rendono servizi, ma che non sempre fanno presente Dio. La vita consacrata deve essere una forma di vita alternativa, diventare proposta e ispirazione di una nuova cultura, avere un atteggiamento critico e farsi contestazione profetica nei confronti della società e del mondo ecclesiastico.

Occorre
formare persone appassionate. Dio nutre una grande passione per il suo popolo; a questo Dio appassionato la vita consacrata guarda con attenzione. Essa deve quindi formare persone appassionate per Dio e come Dio. La passione per Dio e la passione per l’umanità sono tuttavia un punto d’arrivo, più che di partenza. È importante confermare i fratelli nella vocazione, ravvivare il dono da essi ricevuto mediante la professione religiosa, motivare la risposta generosa, sostenere la fedeltà vocazionale. La formazione offre motivazioni, propone orizzonti di significato, indica cammini di crescita per tutte le fasi della vita, apre al discernimento spirituale, sostiene la vocazione.

2.5. Il cammino della Congregazione

Il cammino che la Congregazione sta compiendo trova la sua radice nell’impegno di rinnovamento della vita consacrata promosso dal Concilio Vaticano II. Si può rilevare la grande ricchezza di riflessioni e orientamenti operati nei Capitoli Generali, che ha portato ad una presa di coscienza sempre più piena dell’identità e della missione del salesiano e della comunità oggi.

La riflessione, incominciata nell’ampia analisi e negli orientamenti del
Capitolo Generale Speciale (CGS), si è andata successivamente approfondendo, anche alla luce dei vari documenti ecclesiali. In esso troviamo i grandi orizzonti e i fondamenti basilari del progetto di vita salesiano oggi, solidamente radicato nell’identità carismatica e nella specifica missione per i giovani, attuata comunitariamente e in solidarietà con la Famiglia Salesiana e con i laici.

Rileggendo gli orientamenti del CGS, abbiamo già un quadro del cammino che la Congregazione percorrerà nei successivi Capitoli Generali. Vale la pena richiamare questi punti di sintesi: riscoperta della nostra identità, senso vivo della presenza attiva di Dio, missione giovanile e popolare, costruzione della comunità, valorizzazione della Famiglia Salesiana, unità nel decentramento.

Un primo approfondimento di alcuni di questi elementi di base, in modo particolare la missione evangelizzatrice tra i giovani, fu operato già nel
CG21. La riflessione è andata poi affinandosi sempre più nei Capitoli seguenti.

CG 22: Il Capitolo della fedeltà

Il CG22 è stato dedicato alla
revisione delle Costituzioni, alla luce del Vaticano II e del CGS. Si può senz’altro chiamare il Capitolo della identità carismatica e missionaria della Congregazione e, conseguentemente, della fedeltà dei Salesiani a tale identità e missione.

Il CG22 ha prodotto il testo rinnovato delle Costituzioni, «documento autorevole  - diceva Don Viganò nel discorso conclusivo - che aiuta a misurare la verità e l’attualità della nostra scelta evangelica di vita e della nostra specifica missione nella storia. Ecco oggi rinnovata la “carta di identità” dei salesiani di Don Bosco nel popolo di Dio!».
[39]

L’approvazione del testo rinnovato delle Costituzioni è un appello alla fedeltà. Don Viganò richiamava le parole dette da Don Bosco ai salesiani all’indomani dell’approvazione delle prime Costituzioni: «La gran cosa che dobbiamo fare è di adoperarci a praticare in ogni modo le Regole ed eseguirle bene. Bisogna tenerci fissi al nostro codice, studiarlo in tutte le sue particolarità, capirlo, praticarlo».
[40] Don Bosco poi nel suo Testamento spirituale scriveva: «Se mi avete amato in passato, continuate ad amarmi in avvenire colla esatta osservanza delle nostre costituzioni».

Tutto ciò è illuminante per il CG26, in cui vogliamo riappropriarci di Don Bosco e rileggere la sua figura nell’attualità. Assumere le Costituzioni come base della formazione e della vita del salesiano e della comunità, è la via per conoscere e attualizzare Don Bosco; viceversa conoscere di più Don Bosco ci porta a vivere in modo più pieno la Regola di vita salesiana.

CG 23: Il Capitolo della missione

Il CG23 si può giustamente definire il Capitolo della missione, quella “missione giovanile e popolare” di cui parlava già il CGS, che il CG23 vuole appunto approfondire, riprendendo anche alcuni elementi del CG21.

Il documento capitolare,
Educare i giovani alla fede, mette chiaramente in evidenza i tratti di questa missione: la scelta decisa dei giovani nell’attuale loro situazione e nei diversi contesti, con un’attenzione speciale ai più bisognosi; un’autentica educazione alla fede con una esplicita azione evangelizzatrice che non si fermi alla soglia del Vangelo; un’educazione aperta all’impegno sociale, alla formazione della coscienza, alla crescita nell’amore; un’educazione alla fede che porti a scelte vocazionali; la proposta della spiritualità giovanile salesiana.

Tutto ciò si richiama al carisma e alla missione originali di Don Bosco, da attualizzare oggi; nell’atto di fede espresso a conclusione del documento capitolare si parla di “riascoltare la voce di Don Bosco oggi”. E come condizione di efficacia evangelizzatrice il Capitolo richiede la testimonianza della comunità.

CG 24: Il Capitolo della condivisione con i laici

Il CG24, approfondendo ulteriormente il carisma salesiano, richiama un altro elemento dell’Oratorio di Valdocco: la capacità di Don Bosco di coinvolgere molti nella sua missione per i giovani. Il Capitolo ci rivolge l’invito a rinnovare il cuore oratoriano per condividere con i laici non solo la missione, ma anche lo spirito salesiano. È un nuovo paradigma di rapporto tra i salesiani e i laici, chiamati a condividere la medesima missione e spiritualità.

Tra gli aspetti sottolineati dal Capitolo, si rilevano particolarmente gli elementi della pedagogia e della spiritualità da vivere insieme; la qualificazione della formazione; il ruolo essenziale dei consacrati come “anima della CEP”; la comunità salesiana garante e testimone del carisma. Il Capitolo fa poi un esplicito riferimento alle opere gestite da laici, all’interno del progetto salesiano, per le quali si esige chiarezza di intenti e di opzioni, per garantire il carisma.

Anche se il tema del CG24 riguarda la sfera dei laici collaboratori, tuttavia in molti passaggi si riferisce specificamente alla Famiglia Salesiana, al suo coinvolgimento e all’impegno della comunità nei suoi riguardi. Ciò porta a sottolineare, anche in vista del CG26, l’importanza della sua valorizzazione da parte dei salesiani.

CG 25: Il Capitolo della comunità salesiana

Il CG25 ha approfondito un altro elemento essenziale del progetto salesiano:
“La comunità salesiana oggi”. Partendo dal fatto che Don Bosco ha riunito attorno a sé una comunità di consacrati per la salvezza dei giovani, il Capitolo evidenzia gli elementi fondamentali per un progetto di comunità salesiana, educatrice ed evangelizzatrice: la vita fraterna, la testimonianza evangelica, la presenza animatrice tra i giovani.

Si può osservare che, ancora una volta, sono strettamente uniti fra loro il riferimento chiaro ai valori evangelici del primato di Dio, della sequela di Cristo, dell’ amore fraterno, insieme allo slancio missionario dello stare con i giovani alla maniera di Don Bosco. In questa linea c’è pure la sottolineatura della proposta vocazionale. Un ruolo essenziale, che il CG25 evidenzia per la realizzazione del progetto comunitario, secondo la mente di Don Bosco, è quello del Direttore.

Da questa rapida scorsa sui Capitoli Generali seguiti al Concilio Vaticano II si vede lo sviluppo e l’approfondimento successivo dei temi fondamentali del nostro progetto di vita di consacrati, missionari dei giovani, secondo la mente di Don Bosco. Un Capitolo, come il CG26, centrato su Don Bosco, sul suo carisma e la missione, attualizzati oggi, potrà servire da verifica e rilancio del cammino fatto.

2.6. Voce delle Ispettorie

Come vi dicevo, il punto di partenza per la scelta del tema del CG26 è stato la realtà delle Ispettorie, come fu rilevata particolarmente nelle Visite d’Insieme.

In queste è emersa l’importanza dei processi avviati a riguardo della
comunità salesiana. Si era chiesto infatti alle Ispettorie di valutare la ricezione del CG25, ossia la sua accoglienza, le difficoltà incontrate e gli impegni assunti nella sua applicazione. La comunità è ritenuta il centro di ogni strategia di rinnovamento. Occorre continuare a curare la sua vita spirituale e fraterna, a garantirne la consistenza quantitativa e qualitativa, ad assicurare la sua animazione soprattutto attraverso l’azione del direttore, a favorire la sua capacità di discernimento e di progettazione.

Le Visite d’Insieme hanno anche evidenziato le prospettive e i bisogni più sentiti dalle Ispettorie. Si è espressa innanzitutto l’esigenza di ravvivare la
passione apostolica di ogni confratello; non si ritiene possibile infatti il rinnovamento della vita spirituale e pastorale della comunità, senza un cammino personale. Si sono rilevati ancora attivismo e dispersione e quindi superficialità spirituale e mediocrità pastorale. Si è consapevoli che il fuoco dell’amore pastorale, lo zelo apostolico e il cuore oratoriano trovano la loro sorgente prima di tutto nella vita spirituale. La missione non deve identificarsi con le opere, le attività e le iniziative; essa è l’espressione dell’ardore per la salvezza delle anime.

È poi emersa la coscienza delle urgenze dell’
evangelizzazione. Ogni Regione ha le sue sfide. La Chiesa attraverso i Sinodi continentali ha espresso i suoi nuovi compiti nelle Esortazioni apostoliche postsinodali “Ecclesia in Africa”, “Ecclesia in America”, “Ecclesia in Asia”, “Ecclesia in Europa”, “Ecclesia in Oceania”. Anche la Congregazione sente l’urgenza di aggiornare le sue scelte evangelizzatrici, che aveva già espresse nel CG23. Basti pensare alle sfide poste dalle religioni non cristiane, in particolare dall’islam, al fenomeno delle sette, al relativismo e al laicismo, alla povertà e all’esclusione sociale, alle opportunità offerte dall’immigrazione, alle frontiere della missione “ad gentes”. Le Ispettorie hanno evidenziato l’esigenza di un impegno più esplicito di evangelizzazione nel campo dell’educazione.

Un altro bisogno molto sentito riguarda la cura delle
vocazioni consacrate salesiane. Le esperienze della Congregazione dopo il CG24 ci dicono che per la fecondità del carisma di Don Bosco c’è bisogno dei consacrati. All’interno di una pastorale giovanile esplicitamente vocazionale, occorre una specifica attenzione alla realtà della vocazione consacrata salesiana. Occorre pure un notevole impegno per approfondire l’identità, favorire la visibilità, curare la formazione, proporre la vocazione del salesiano coadiutore.

Nelle Visite d’Insieme è stato accentuato l’appello alla
povertà evangelica. Nella Congregazione c’è la consapevolezza che i contesti di povertà e quelli di benessere, per motivi diversi, ci chiedono una vita più semplice, essenziale, austera. La nostra testimonianza rischia di non essere credibile, se non si trovano vie ed espressioni che manifestino visibilmente una vita povera. Il consumismo e l’imborghesimento stanno generando individualismo ed estenuano lo slancio apostolico. La “ricerca delle comodità e delle agiatezze” diventano un freno al senso pastorale e alla dedizione apostolica. La povertà domanda di esprimersi anche come profezia istituzionale; c’è bisogno di trasparenza nelle decisioni, condivisione dei beni, solidarietà con i bisognosi. Dobbiamo tornare ad essere una Congregazione di poveri e una Congregazione per i poveri.

Le Ispettorie si interrogano infine sulle nuove
forme di povertà giovanili. Si sente il bisogno di riflettere sulle nuove povertà e di ritornare a stare con i giovani. Non abbiamo ancora sufficientemente analizzato ciò che ci tiene lontano dai giovani e cercato quindi ciò che facilita il nostro stare con loro. Nelle Ispettorie c’è in atto un processo per andare ai giovani più bisognosi e per collocarsi dove essi si trovano. La Congregazione ha bisogno di mobilitare le sue migliori forze, quelle più disponibili e generose, perché siano pronte ad andare nelle situazioni più ardue, rischiose ed esigenti della missione.

Le Visite d’Insieme hanno individuato anche problemi specifici per ogni Regione, come per esempio la realtà del ridimensionamento, dell’inculturazione della formazione, della formazione dei laici. Il tema del CG26 potrà offrire visioni e prospettive, che potranno illuminare anche queste situazioni più particolari.

3. IL TEMA DEL CG26

Il tema del CG26 risulta fortemente provocante e stimolante. Il “
Da mihi animas, cetera tolle” porta il confratello e la comunità alla sorgente dell’essere consacrati, in particolare al cuore della missione, che altro non è che l’essere totalmente presi da Dio così da diventare sua presenza trasfigurante tra i giovani. La passione per Dio e la passione per l’umanità, che la vita consacrata si sente oggi chiamata a suscitare, trova nel programma di Don Bosco del “Da mihi animas” una perfetta traduzione salesiana.

3.1. Programma di vita di Don Bosco e del salesiano

Nel “
Da mihi animas, cetera tolle” noi figli di Don Bosco troviamo il motivo e il metodo per affrontare l’attuale sfida culturale con lucidità e coraggio.

Il “
Da mihi animas” pone al centro della vita del consacrato salesiano il senso della paternità di Dio, le ricchezze della morte e della resurrezione di Cristo e la potenza dello Spirito, che sono donate ad ogni giovane. Nello stesso tempo sollecita in lui l’ardente desiderio di far conoscere e gustare ai giovani queste loro possibilità, perché abbiano una vita felice, illuminata dalla fede, in questo mondo, e l’abbiano salva per l’eternità. Lo spinge a darsi da fare, a impiegare tutte le forze e tutti i mezzi, anche quando si tratta di un solo giovane, di una sola anima.

Il “
cetera tolle” motiva il consacrato salesiano a prendere le distanze da quel “modello liberale” di vita consacrata, descritto nella lettera “Sei tu il mio Dio, fuori di te non ho altro bene”. [41] L’attribuzione della crisi alla cultura imperante, cioè a fattori quali il secolarismo, il consumismo, l’edonismo, non è sufficiente. La vita consacrata storicamente nasce come proposta alternativa, movimento contro-culturale, contestazione e ripresa della fede in situazione di stallo. È la debolezza di motivazioni e di identità di fronte al mondo che oggi la rende fragile.

Il motto programmatico di Don Bosco sintetizza la nostra spiritualità (cf. Cost. 4). Esso è valido per tutti i salesiani in ogni stagione della vita. Non solo per coloro che per età o salute si trovano pieni di energia, ma anche per gli anziani o gli ammalati. La passione del Da mihi animas significa il fuoco della carità. Essa non si esprime solo nell’instancabile laboriosità educativa pastorale, ma si manifesta pure nella pazienza e nella sofferenza, che nella croce di Cristo assumono valenza salvifica.

3.2. Identità carismatica: lo spirito salesiano

Mi permetto ora una citazione di 120 anni fa che, se non fosse per alcuni termini obsoleti, potrebbe essere scambiata per contemporanea. Si tratta di una fonte esterna a Don Bosco; essa ci offre la lettura che altri facevano della sua opera, rilevando l’identità del carisma del nostro santo fondatore.

Si tratta del Card. Vicario di Roma, Lucido Maria Parocchi, che nel 1884 si domandava quale fosse lo specifico della Società salesiana e così rispondeva: «Intendo di parlarvi di ciò che distingue la vostra Congregazione, ciò che forma il vostro carattere; così come i francescani si distinguono per la povertà, i domenicani per la difesa della fede, i gesuiti per la cultura. Essa ha in sé qualche cosa che si apparenta a quella dei francescani, dei domenicani e dei gesuiti, ma se ne distingue per l’oggetto e le modalità… Che cosa dunque di speciale vi sarà nella Congregazione Salesiana Quale sarà il suo carattere, la sua fisionomia Se ne ho ben compreso, se ne ho ben afferrato il concetto, il suo carattere specifico, la sua fisionomia, la sua nota essenziale, è la carità esercitata secondo le esigenze del secolo:
Nos credidimus Charitati. Deus caritas est». [42]

Il capitolo secondo delle Costituzioni delinea in modo particolare i tratti dello spirito salesiano, mettendo sin dall’inizio, quasi sulle labbra di Don Bosco, le parole di Paolo alla comunità di Filippi: «
Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare. E il Dio della pace sarà con voi» (Fil 4,9).

Mi sembra indovinata la scelta di questo testo per introdurre l’identità dello spirito salesiano, perché si tratta di un «richiamo, affettuoso e accorato insieme, alla fedeltà a Don Bosco, come fonte primaria dello spirito salesiano in quanto è lui stesso per primo, come Paolo, genuino imitatore del Vangelo di Cristo e perciò autorevole e per noi indispensabile modello».
[43]

Oggi si parla tanto di “
rifondazione della Vita Consacrata”. L’espressione è valida, se con essa si vuole esprimere il bisogno di portarla al suo fondamento, che altro non è che il Signore Gesù: «Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo» (1 Cor 3,11). Questo processo inoltre può risultare fruttuoso, se con esso si vuol riportare la Vita Consacrata al Fondatore di ogni carisma: «Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che dovete fare» (Fil 4,9). Qualsiasi altra interpretazione che si voglia dare al tentativo di rifondazione è condannata al fallimento.

Lo spirito salesiano era stato definito nel CGS come «il nostro modo proprio di pensiero e di sentimento, di vita e di azione, nel mettere in opera la vocazione specifica e la missione che lo Spirito Santo non cessa di darci» (
CGS, 86). Lo spirito salesiano è anzitutto lo “spirito di Don Bosco”, ossia la vocazione, la vita, l’opera e l’insegnamento del nostro padre; esso viene poi realizzato concretamente nella storia e nella vita della Congregazione e della Famiglia salesiana, ossia nella vita e santità dei salesiani (cf. CGS, 87). In seguito nei Capitoli Generali 21 e 22 la definizione sarà arricchita in modo più organico.

Il capitolo secondo delle Costituzioni presenta gli atteggiamenti di fondo che animano il salesiano: la carità pastorale, che è il centro e la sintesi dello spirito salesiano e che trova la sua sorgente nel Cuore di Cristo apostolo del Padre; l’unione con Dio, segreto di crescita nella carità pastorale, nella visione di fede ed in un permanente impegno di speranza nella vita quotidiana; il senso di Chiesa; l’amore di predilezione verso i giovani, l’amorevolezza come espressione della paternità spirituale, l’ambiente di famiglia, l’ottimismo e la gioia, il lavoro e la temperanza, la creatività e la flessibilità, il sistema preventivo come sintesi di questo impegno; infine Don Bosco come modello concreto dello spirito salesiano.

3.3. Passione apostolica: “la gloria di Dio e la salvezza delle anime”

La gloria di Dio e la salvezza delle anime furono la passione di Don Bosco. Promuovere la gloria di Dio e la salvezza delle anime equivale a conformare la propria volontà a quella di Dio, che comunica Se stesso come Amore, manifestando in questo modo la sua gloria e il suo immenso amore per gli uomini, che vuole siano tutti salvi.

In un frammento quasi unico della sua “storia dell’anima” (1854), Don Bosco confesserà il suo segreto circa le finalità della sua azione: «Quando mi sono dato a questa parte di sacro ministero intesi consacrare ogni mia fatica alla maggior gloria di Dio ed a vantaggio delle anime, intesi di adoperarmi per fare buoni cittadini in questa terra, perché fossero poi un giorno degni abitatori del cielo. Dio mi aiuti di poter così continuare fino all’ultimo respiro di mia vita . Così sia».
[44]

In Don Bosco la santità rifulge dalle sue opere, ma le opere sono solo l’espressione della sua fede. Non sono le opere in sé che fanno l’apostolo, come ci dice Paolo: «Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità …non sono nulla»
(1 Cor 13,1); ma è certamente una fede ravvivata dalla carità operosa che rende santo l’apostolo: “Dai frutti conoscerete le sue opere” (cf. Mt 7,16.20).

Alla “vita in Dio” e alla “unione con Dio”, reale e non solo psicologica, sono invitati tutti i cristiani. Unione con Dio è vivere in Dio la propria vita; è stare alla Sua presenza; è partecipazione alla vita divina che è in noi. Don Bosco fa della rivelazione di Dio la ragione della propria vita, secondo la logica delle virtù teologali: con una fede che diventa segno affascinante per i giovani, con una speranza che diventa parola luminosa per loro, con una carità che diventa gesto di amore verso i medesimi.

Don Bosco è sempre stato fedele alla sua missione di carità effettiva. Là dove un misticismo spurio avrebbe tagliato i ponti con la realtà, la fede lo ha obbligato a restare in trincea per estrema fedeltà ai giovani bisognosi. Là dove poteva subentrare stanchezza e rassegnazione, lo sorresse la via indicata da Paolo:
Caritas Christi urget nos (2 Cor 5,14) La sua carità non si è mai arrestata di fronte alle difficoltà: Mi sono fatto tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno (1 Cor 9,22). Non temeva le sconfitte in campo educativo, ma l’inerzia e il disimpegno.

In Don Bosco si ha una teologia spirituale attiva; egli tende all’azione sotto lo stimolo dell'urgenza e della coscienza di una missione divina. La scelta dell’operosità offre al suo modo di interpretare l’ascesi un’accentuazione particolare: essa è solo in vista dell’azione apostolica. Se in S. Alfonso l’ascesi è soprattutto interna all’uomo, in Don Bosco acquista senso in relazione al lavoro: essa consiste nell’impegnarsi nelle opere che Dio assegna da compiere.

In Don Bosco si scopre il senso della relatività delle cose e contemporaneamente della loro necessaria utilizzazione per lo scopo che gli sta a cuore. Egli preferisce non attaccarsi rigidamente a certi schemi; meglio dunque una lettura più pratica, pastorale, spirituale, che teologico-speculativa. In lui la passione apostolica ha una sua specificità: la salvezza è da ottenere con i metodi dell’amorevolezza, della mitezza, allegria, umiltà, pietà eucaristica e mariana, della carità verso Dio e gli uomini.

3.4. Da mihi animas

Per Don Bosco la prima parte del motto, “
Da mihi animas”, esprime dunque lo zelo per la salvezza delle anime, che si concretizza nella urgenza di evangelizzare e nella necessità di convocare vocazioni alla vita consacrata salesiana

3.4.1. Urgenza di evangelizzare

È necessario motivare e spingere all’evangelizzazione. Ci rifacciamo all’esempio di Don Bosco, che sentiva come compito urgente la salvezza della gioventù: egli «non fece passo e non pronunciò parola che non avesse di mira la salvezza della gioventù» (
Cost. 21). Ci riferiamo poi ai bisogni di tutti i popoli di conoscere il vangelo, che è fonte di umanizzazione e di promozione umana.

È prioritario che la Congregazione scelga principalmente di assumere il compito dell’evangelizzazione nel campo dell’educazione. D’altra parte, là dove assumiamo compiti diretti nell’evangelizzazione, non possiamo non educare; in particolare non è possibile per noi salesiani una catechesi senza educazione.

L’evangelizzazione oggi presenta nuovi compiti a seconda delle aree regionali ed è quindi importante che ogni Regione studi le sue frontiere nell’evangelizzazione. Essa richiede anche maggior mobilità, per spostarsi là dove la missione chiama.

3.4.2. Necessità di convocare

Anche qui ci rifacciamo prima di tutto a Don Bosco. Egli si è reso conto che di fronte ai numerosi bisogni dei giovani non ce la faceva da solo. Per questo ha fatto appello alla disponibilità e alla competenza di numerose persone. Ha capito poi che per la continuità e la forza del suo carisma aveva bisogno di persone consacrate; in particolare ha compreso la necessità di avere salesiani preti e salesiani laici.

Anche noi, soprattutto dopo il CG24, ci siamo accorti che è necessario coinvolgere i laici, ma che il carisma non va avanti, se non c’è un nucleo forte e identificato di consacrati. Come pure ci siamo resi conto che la Congregazione mette a rischio la sua identità se perde la sua componente consacrata laicale. In modo particolare occorre tenere viva nella Congregazione la vocazione del salesiano coadiutore.

Diventa per noi allora necessario acquisire la capacità di coinvolgere, di convocare e di proporre ai giovani l’esperienza carismatica di Don Bosco, chiamandoli a stare con lui per sempre. Come pure occorre poi avere una proposta sistematica di accompagnamento delle vocazioni alla vita consacrata salesiana nelle sue due forme presbiterale e laicale.

3.5. Cetera tolle

Per Don Bosco la seconda parte del motto, “
cetera tolle”, significa il distacco da quanto ci può allontanare da Dio e dai giovani. Per noi oggi esso si concretizza nella povertà evangelica e nella scelta di andare incontro ai giovani più “poveri, abbandonati e pericolanti”, essendo sensibili alle nuove povertà e collocandoci nelle nuove frontiere dei loro bisogni.

3.5.1. Povertà evangelica

La vita consacrata del futuro si realizzerà nella sua concentrazione sulla sequela radicale di Cristo obbediente, povero e casto. Se tutti e tre i consigli evangelici ci parlano della nostra totale offerta a Dio e dedizione ai giovani, la povertà ci porta a donarci senza riserve né indugio, fino all’ultimo respiro della nostra vita, come fece Don Bosco. La pratica dei consigli evangelici libera in noi le risorse più nascoste della disponibilità.

Non c’è nulla di più contraddittorio e incoerente che fare la professione della donazione totale della nostra persona attraverso i consigli evangelici e vivere poi riservando per noi le nostre energie e capacità, vivendo part-time la missione, cedendo alla seduzione dell’imborghesimento, andando in una sorta di pensione vocazionale durante l’anzianità, rimanendo indifferenti al dramma della povertà in cui si dibattono milioni di persone nel mondo.

Noi salesiani testimoniamo la povertà con il lavoro instancabile e la temperanza, ma anche con l’austerità, la semplicità e l’essenzialità di vita, la condivisione e la solidarietà, la gestione responsabile delle risorse. La nostra povertà ci chiede una riorganizzazione istituzionale del lavoro, che ci aiuti a superare il rischio di essere imprenditori dell’educazione più che educatori, o gestori di imprese educative più che apostoli attraverso l’educazione. Chi ha scelto di seguire Gesù, ha scelto di fare proprio il suo stile di vita, di non arricchirsi, di vivere la beatitudine della povertà e della semplicità di cuore, di avere sempre familiarità con i poveri.

3.5.2. Nuove frontiere

L’immagine di Don Bosco che percorre le strade di Torino per cercare i giovani più bisognosi non è un mero aneddoto. Per noi è un imperativo e una forma naturale di agire. L’ascesi del sistema preventivo richiede di andare ai giovani più bisognosi e di collocarci là dove essi si trovano. Occorre individuare personalmente ed istituzionalmente ciò che non ci lascia vedere la loro realtà oppure, pur vedendola, non ci permette di reagire con la mente e il cuore di Don Bosco. La disponibilità domanda di essere pronti ad andare nelle situazioni più ardue, rischiose, difficili ed esigenti della missione.

Parlare di nuove povertà vuol dire tener presente che oggi tutti i giovani sono bisognosi, ma che lo sono soprattutto coloro in cui si accumulano la povertà materiale e quella affettiva, spirituale, culturale. Parlare di nuove frontiere, in riferimento ai diversi contesti in cui realizziamo la missione salesiana, può significare avere attenzione all’immigrazione, all’esclusione sociale, alla discriminazione, allo sfruttamento sessuale, al lavoro minorile, alla mancanza di senso religioso.

La scelta per i giovani più poveri e per le nuove frontiere dove essi ci attendono, ha la sua sorgente e la sua motivazione più profonda nell’amore di Dio che ci spinge a una carità operativa. Questo ci libera da qualsiasi tendenza ideologica o sociologizzante.
[45] Tale scelta ha inoltre una finalità evangelizzatrice, come indica Gesù nella sinagoga di Nazareth all’inizio del suo ministero: «Lo spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione, e mi ha mandato per annunziare il Vangelo ai poveri» (Lc 4,18). Non si tratta dunque di ridurre la nostra scelta per i poveri a mera promozione umana, ma di donare loro il tesoro di Gesù e del suo Vangelo.

3.6. Condizioni per concretizzare il tema

Per favorire la concretizzazione del tema, occorre assicurare alcune condizioni: assunzione di processi, conversione di mentalità, cambiamento di strutture.

Processi da assumere

Tenendo presente l’obiettivo del CG26, che consiste nel rafforzare la nostra identità carismatica ripartendo da Don Bosco e nel risvegliare il cuore di ogni confratello con la passione del “
Da mihi animas, cetera tolle”, è doveroso rendersi conto che tale obiettivo si realizza attraverso alcuni processi da attivare.

L’identità carismatica ci chiede una
conoscenza matura di Don Bosco, delle sue motivazioni, delle sue grandi scelte spirituali e apostoliche, ed una conoscenza delle Costituzioni, che sono il Don Bosco oggi.

La passione apostolica esige il risveglio di un’
evangelizzazione esplicita in tutte le nostre presenze, il coraggio di una proposta vocazionale alla vita consacrata salesiana, il rinnovamento di uno stile di vita povero, austero, solidale, la ricerca di campi di lavoro che ci permettano di concentrarci sulle priorità educative ed evangelizzatrici della nostra missione più che nella gestione delle opere, identificare le nuove povertà e frontiere nel proprio contesto e rivalutare le nostre opere e le nostre attività dal punto di vista carismatico.

Il primo passo di questo processo sarà
realizzato mediante il coinvolgimento delle comunità e attraverso i Capitoli Ispettoriali, nei quali occorre individuare la chiamata di Dio in riferimento agli aspetti suindicati, la lettura della situazione delle comunità a tale riguardo e l’identificazione delle sfide che si presentano, la proposta di passi da compiere per il loro rinnovamento.

Il secondo passo corrisponderà alla
celebrazione del CG26 e agli orientamenti operativi che esso vorrà dare a tutta la Congregazione.

Mentalità da convertire

C’è bisogno di mettere in atto un processo di conversione personale in riferimento all’identità carismatica salesiana, responsabilizzando ogni confratello a risvegliare l’entusiasmo e la fedeltà vocazionale, a cambiare il suo cuore, a vivere la passione apostolica. Si tratta prima di tutto di un cambio di mentalità.

Ciò richiede di avviare azioni di forte impatto motivazionale dal punto di vista spirituale e psicologico nei confratelli, migliorandone l’identificazione carismatica e l’autostima.

Per questo occorre attivare dinamiche di rafforzamento dell’essere consacrati salesiani; assumere con convinzione uno stile di vita semplice e povero, prendendo le distanze dal “modello liberale” di vita consacrata; impegnarsi nella missione evangelizzatrice verso i giovani con dedizione apostolica; rendersi disponibili all’aggiornamento e al rinnovamento; favorire il progetto comunitario.

Strutture da cambiare

Il processo di cambiamenti strutturali deve essere coerente con la convinzione che “la missione non coincide con le iniziative e le attività pastorali”.

Ciò richiede di attivare azioni effettive di cambiamento delle strutture di vita comunitaria e di esercizio della missione: modelli alternativi di opere, revisione dei ruoli dei salesiani nell’esercizio della missione, gestione delle opere complesse.

Queste attuazioni debbono essere guidate da decisioni di governo coraggiose che rendano credibili le nostre convinzioni.

4. PREGHIERA PER IL CG26

Concludo, rivolgendo un appello alle Ispettorie, Visitatorie e Delegazioni, alle comunità e ai confratelli, perché si mettano in clima di Capitolo Generale, raccolti attorno a Maria, in comune preghiera, attenti alla voce dello Spirito.

Il CG non si riduce all’Assemblea degli Ispettori e Delegati, ma comprende il cammino che va dalla sua convocazione fino alla approvazione degli orientamenti: esso coinvolge tutte le comunità e ciascun confratello.

Il CG è importante soprattutto per i processi che avvia. Tali processi non si completano in un sessennio, ma liberano dinamismi di trasformazione che vanno oltre il periodo tra un Capitolo Generale e l’altro.

Il CG è un tempo intenso di formazione permanente, che favorisce il cambio di mentalità. Esso ci fa guardare allo specchio della chiamata di Dio espressa nelle Costituzioni, non tanto per scoraggiarci osservando la nostra realtà, quanto per aiutarci a cercare insieme le vie che ci avvicinino ad una risposta più piena.

Il CG ci pone in un atteggiamento di discernimento della volontà di Dio sulla Congregazione nell’oggi della storia, perché possiamo rispondere meglio al suo disegno e alle attese dei giovani. Ciò richiede un forte clima di preghiera e di ascolto della parola di Dio.

A Maria, che con il suo intervento materno ha collaborato perché lo Spirito Santo suscitasse San Giovanni Bosco (cf.
Cost. 1), che a lui ha indicato «il suo campo di azione tra i giovani e l’ha costantemente guidato e sostenuto specialmente nella fondazione della nostra Società» (Cost. 8), affidiamo questa Pentecoste salesiana che sarà il CGXXVI. Con il suo aiuto potremo così continuare fedelmente la missione tra i giovani come «testimoni dell’amore inesauribile del suo Figlio» (Cost. 8).

Vi propongo ora una preghiera, indirizzata al nostro padre Don Bosco, che potrà essere recitata nelle comunità e dai singoli confratelli, perché ci ottenga dal Signore di risvegliare nei nostri cuori la passione del “
Da mihi animas, cetera tolle” e ci assista nella preparazione e nella celebrazione del CG26, dal quale attendiamo copiosi frutti per la nostra Congregazione e per i giovani.

PREGHIERA A DON BOSCO

DON BOSCO,

Tu sei stato suscitato dallo Spirito Santo,
con l’intervento materno di Maria,
per contribuire alla salvezza della gioventù.

Tu sei stato a noi donato dal Signore come padre e maestro,
e ci hai consegnato un programma affascinante di vita
nella massima “Da mihi animas, cetera tolle”.

Tu ci hai trasmesso, sotto l’ispirazione di Dio,
uno spirito originale di vita e azione,
il cui centro e la cui sintesi è la carità pastorale.

Fa che il nostro cuore possa essere infiammato
dal fuoco dell’ardore e dello slancio evangelizzatore,
per essere segni credibili dell’amore di Dio ai giovani

Fa che sappiamo accettare con serenità e gioia
le esigenze quotidiane e le rinunce della vita apostolica
per la gloria di Dio e la salvezza delle anime.

Fa che il Capitolo Generale possa aiutarci
a rafforzare l’identità carismatica
e a risvegliare la passione apostolica.

AMEN

Cordialmente,

   
Don Pascual Chávez V.

    Rettor Maggiore



[1] E. VIGANÒ, Consagración apostólica y novedad cultural. Ed. CCS (Madrid 1987) p. 159.
[2] Cf. BENEDETTO XVI, Deus Caritas est, n. 12.
[3] Cf. P. CHAVEZ, “Contemplare Cristo con lo sguardo di Don Bosco”,  ACG 384 (2003).
[4] CIVCSVA, Ripartire da Cristo, n. 12.
[5] P. BRAIDO (Ed.),  Don Bosco educatore, scritti e testimonianze. Roma LAS 1997, pp. 409, 437.
[6] Cf. P. BRAIDO, La liturgia della vita nel servizio della carità tra i giovani di un contemplativo nell’azione, in E. CARR (a cura di), Spiritus spiritualia nobis dona potenter infundit. A proposito di tematiche liturgico-pneumatologiche. Studi in onore di Achille M. Triacca, Roma 2005, pp. 143-157.
[7] Cf. F. MOTTO, Verso una storia di don Bosco più documentata e più sicura, in “Ricerche Storiche Salesiane”  41 (luglio-dicembre 2002) p. 250-251.
[8] Cf. G. BOSCO, Memorie dell’Oratorio, Seconda decade, cap. 11 e 12.
[9] I dati sono riportati in United Nations World Youth Report (www.un.org/esa/socdev/unyin/wyr05.htm)
[10] BENEDETTO XVI, Primo Messaggio al termine della concelebrazione eucaristica con i Cardinali elettori in Cappella Sistina, 20 aprile 2005, 3. OR 21 aprile 2005, p. 9.
[11] GIOVANNI PAOLO II, Vita Consecrata, n. 22
[12] CIVCSVA, Ripartire da Cristo, n. 22
[13] CIVCSVA, Ripartire da Cristo, n. 21
[14] GIOVANNI PAOLO II , Novo Millennio Ineunte,  n. 29
[15] Ib.
[16] GIOVANNI PAOLO II, Novo Millennio Ineunte, n. 30
[17] GIOVANNI PAOLO II, Novo Millennio Ineunte, n. 31
[18] Cf. P. CHAVEZ, Cari Salesiani, siate santi, ACG 379 (2002) pp. 3-39.
[19] P. CHAVEZ, Discorso alla chiusura del CG25, ACG 378 (2002), n. 196.
[20] GIOVANNI PAOLO II, Vita Consecrata,  n. 39.
[21] GIOVANNI PAOLO II , Novo Millennio Ineunte, n. 31
[22] CIVCSVA, Ripartire da Cristo, n. 8
[23] GIOVANNI PAOLO II , Novo Millennio Ineunte, n. 40
[24] BENEDETTO XVI, Omelia nella Messa di chiusura della Giornata Mondiale della Gioventù, Colonia, 21 agosto 2005. OR 21-22 agosto 2005 p. 11
[25] BENEDETTO XVI, Discorso ai religiosi, alle religiose e ai membri di Istituti Secolari e di Società di Vita Apostolica della Diocesi di Roma, Vaticano, 10 dicembre 2005. OR 11 dicembre 2005, p. 5
[26] GIOVANNI PAOLO II, Novo Millennio Ineunte, n. 43
[27] «Alle persone consacrate si chiede di essere davvero esperte di comunione e di praticarne la spiritualità, come testimoni ed artefici di quel progetto di comunione che sta al vertice della storia dell'uomo secondo Dio» (Vita Consecrata, n.46; cf. anche n. 51).
[28] GIOVANNI PAOLO II, Christifideles Laici, n. 31
[29] GIOVANNI PAOLO II, Vita Consecrata, n. 51; cf. Ripartire da Cristo, n. 28
[30] GIOVANNI PAOLO II, Vita Consecrata, n. 51.
[31] Ib.
[32] CIVCSVA, Ripartire da Cristo, n. 29
[33] BENEDETTO XVI, Discorso ai religiosi, alle religiose e ai membri di Istituti Secolari e di Società di Vita Apostolica della Diocesi di Roma, Vaticano, 10 dicembre 2005. OR 11 dicembre 2005, p. 5
[34] GIOVANNI PAOLO II, Novo Millennio Ineunte, n. 9
[35] Ib.
[36] BENEDETTO XVI, Deus Caritas est, n. 25
[37] GIOVANNI PAOLO II, Novo Millennio Ineunte, n. 46
[38] GIOVANNI PAOLO II, Vita Consecrata, n. 64
[39] CG22, n. 59
[40] MB XII, p. 80-81. Cf. CG22, n. 91
[41] P. CHAVEZ, Sei tu il mio Dio, fuori di te non ho altro bene, ACG 382 (2003) pp. 3-28
[42] BS 8 – 1884 – n. 6, pp. 89-90
Il Cardinale continua così: «Il secolo presente soltanto colle opere di carità può essere adescato e tratto al bene. Il mondo ora null’altro vuole e conosce, fuorché le cose materiali; nulla vuol sapere delle cose spirituali. Ignora le bellezze della fede, disconosce le grandezze della religione, ripudia la speranza della vita avvenire, rinnega lo stesso Dio. Questo secolo comprende della Carità soltanto il mezzo e non il fine e il principio. Sa fare l’analisi di questa virtù ma non sa comporre la sintesi.
Animalis homo non percipit quae sunt spiritus Dei: così S. Paolo. Dire agli uomini di questo secolo: “Bisogna salvare le anime che si perdono, è necessario istruire coloro che ignorano i principi della religione, è d’uopo far elemosina per amor di quel Dio che un giorno premierà i generosi”, gli uomini di questo secolo non capiscono.
Bisogna dunque adattarsi al secolo, il quale vola, vola. Ai pagani Dio si fa conoscere per mezzo della legge naturale; si fa conoscere agli Ebrei col mezzo della Bibbia; ai Greci scismatici per mezzo delle grandi tradizioni dei padri; ai protestanti per mezzo del Vangelo; al presente secolo colla carità. Dite a questo secolo: vi tolgo i giovani dalle vie perché non siano colti sotto i tramvai, perché non cadano in un pozzo; li ritiro in un ospizio perché non logorino la loro fresca età in vizi e nei bagordi; li raduno nelle scuole per educarli, perché non diventino il flagello della società, non cadano in una prigione; li chiamo a me e li vigilo perché non si cavino gli occhi gli uni gli altri, e allora gli uomini di questo secolo capiscono e incominciano a credere»
[43] Il Progetto di vita dei Salesiani di Don Bosco. Guida alla lettura delle Costituzioni Salesiani, Roma, 1986, p. 142.
[44] Cf. G. BOSCO, Piano di regolamento per l’Oratorio maschile di S. Francesco di Sales in Torino nella regione Valdocco. Introduzione, in P. BRAIDO (Ed.), Don Bosco Educatore. Scritti e Testimonianze. Roma, LAS 1997, p. 111.
[45] Cf. BENEDETTO XVI, Deus caritas est, n. 31b