LETTERA DEL RETTOR MAGGIORE
PASCUAL CHÁVEZ
«DA MIHI ANIMAS, CETERA TOLLE»
Identità
carismatica e passione apostolica
Ripartire
da Don Bosco per risvegliare il cuore di ogni salesiano
1.
CONVOCAZIONE DEL CG26. 1.1 Motivazioni per la scelta del tema.
1.2 Passi compiuti per la determinazione del tema. 1.3 Obiettivo
fondamentale del tema. 1.4 Altri compiti. 2. CONTESTO DEL CG26. 2.1
Bisogni e attese dei giovani. Vita:
bisogni e minacce. – Amore: bisogni e minacce. – Libertà:
bisogni e minacce. 2.2 Sfide sociali
e culturali. Tendenze fondamentali.
– Sfide a livello sociale e culturale. – Sfide culturali della
Congregazione. 2.3 Orientamenti
attuali della Chiesa. Ripartire da
Cristo: la santità come programma pastorale. – Testimoniare
Cristo: l’evangelizzazione come missione prioritaria. – Ritornare
ai giovani: la presenza come segno dell’amore di Cristo. 2.4
Sfide e prospettive della Vita Consacrata. Sfide
della Vita Consacrata. – Prospettive della Vita Consacrata. 2.5
Il cammino della Congregazione. CG22:
Il Capitolo della fedeltà. – CG23: Il Capitolo della missione. –
CG24: Il Capitolo della condivisione con i laici. – CG25: Il
Capitolo della comunità salesiana. 2.6.
Voce delle Ispettorie. 3. IL TEMA DEL CG26. 3.1 Programma di vita di
Don Bosco e del salesiano. 3.2 Identità carismatica: lo spirito
salesiano. 3.3 Passione apostolica: “la gloria di Dio e la salvezza
delle anime”. – 3.4 Da mihi
animas. 3.4.1 Urgenza di
evangelizzare. –3.4.2 Necessità di convocare. 3.5
Cetera tolle. 3.5.1
Povertà evangelica. 3.5.2 Nuove frontiere. 3.6
Condizioni per concretizzare il tema. Processi
da assumere. – Mentalità da convertire. – Strutture da cambiare.
4. PREGHIERA PER IL CG26 –
PREGHIERA A DON BOSCO
Roma,
24 giugno 2006
Natività
di San Giovanni Battista
Carissimi
Confratelli,
mentre vi scrivo, il mio pensiero torna con
fede e riconoscenza a Don Valentín De Pablo, Consigliere generale
per la Regione Africa e Madagascar. La sua scomparsa, improvvisa e
inaspettata, ci ha colti di sorpresa e ci ha lasciati umanamente
sgomenti. Sono grato a tutti voi per le numerose e sentite
attestazioni di vicinanza, partecipazione e cordoglio. Ringraziamo
insieme il Signore per il dono della vocazione salesiana,
presbiterale e missionaria di Don Valentín. Ricordiamolo nella
nostra preghiera. Negli ultimi giorni della sua vita ha partecipato
nel Consiglio generale alla scelta del tema capitolare. Trovandosi
ora presso Dio, egli potrà intercedere per tutti noi, per la buona
riuscita del Capitolo e per la Regione Africa e Madagascar.
1.
CONVOCAZIONE DEL CG26
Nel
giorno onomastico di Don Bosco, nostro amato padre e fondatore, che
per tale occasione raccoglieva attorno sé tutti i ragazzi, i
collaboratori e i benefattori di Valdocco, sono lieto di scrivervi a
nome suo questa lettera, mediante la quale intendo convocare,
a norma dell’articolo 150 delle nostre Costituzioni, il Capitolo
Generale XXVI. Il Capitolo «è il
principale segno dell’unità della Congregazione nella sua
diversità» (Cost.
146). Ci riuniremo insieme per riflettere su come essere «fedeli al
Vangelo e al carisma del Fondatore e sensibili ai bisogni dei tempi e
dei luoghi» (Cost. 146).
In questi momenti Don Bosco sarà certamente con noi.
Vi
invito a guardare a questo evento come ad una nuova Pentecoste nella
vita della Congregazione, che con il Capitolo Generale, «lasciandosi
guidare dallo Spirito del Signore, cerca di conoscere, in un
determinato momento della storia, la volontà di Dio per un miglior
servizio alla Chiesa» (Cost.
146). La grandezza dello Spirito si rivela nella sua potenza, che sa
rinnovare la faccia della terra (cf. Sal
104,30) e fare nuove tutte le cose. Lo Spirito di Dio, presente nei
vari momenti della storia, saprà rendere nuovo il nostro amore a Don
Bosco.
Lo Spirito aleggiava sulla superficie delle acque
alle origini del mondo (cf. Gn
1,2). Fu comunicato all’uomo quando gli fu infuso il soffio di vita
(cf. Gn
2,7). Portò Abramo a rispondere con l’obbedienza della fede a Dio,
quando lo chiamava a lasciare la sua terra e la sua parentela, per
raggiungere la terra della promessa (cf. Gn
12,1-4). Fu dato a Mosè sul Sinai come parola di vita nel dono della
legge (cf. Es
20,1-18). Si impadroniva di uomini e donne di Israele per convertirli
in liberatori della propria gente e in profeti del Dio Altissimo (cf.
At
2,17).
Lo Spirito coprì con la sua ombra la Vergine Maria
e la rese madre del Figlio di Dio (cf. Lc
1,35). Unse Gesù il giorno del suo battesimo e lo sospinse a
predicare il vangelo del Regno (cf. Mc
1,10-15). Fu effuso sugli apostoli sotto forma di lingue di fuoco ed
essi furono trasformati in testimoni credibili del Risorto (cf. At
2,1-11).
Lo Spirito continua oggi ad ispirare la
promozione della vita e della dignità della persona umana; apre le
menti ed i cuori di uomini e donne a Dio e a Cristo; è un dolce
ospite, che non opera forzando ma convincendo e richiedendo docilità
alle sue mozioni.
Il prossimo Capitolo Generale sarà il
26° nella storia della nostra Società. Esso è in continuità con i
Capitoli precedenti nell’impegno sincero di fedeltà dinamica a Dio
e ai giovani. Il CG26 si svolgerà a Roma presso il “Salesianum”
nella Casa Generalizia. Avrà inizio la domenica 24 febbraio 2008 a
Torino, culla del nostro carisma, dove ci recheremo per ritrovare la
casa e il padre e per attingere alle radici del nostro spirito. Lo
inaugureremo con la concelebrazione Eucaristica nella Basilica di
Maria Ausiliatrice e con la visita ai luoghi salesiani, sorgente di
ispirazione e dinamismo. Partiremo quindi per Roma, sede del
Capitolo.
Ho nominato Regolatore don Francesco Cereda,
Consigliere per la Formazione, che da questo momento ha la
responsabilità di accompagnare la preparazione e lo svolgimento del
Capitolo Generale.
“Da
mihi animas, cetera tolle” (cf. Cost.
4) è il tema che, insieme al Consiglio Generale, ho scelto per il
CG26. Tale tema è stato spesso richiamato nelle Visite d’Insieme e
sta molto a cuore a me e ai Consiglieri Generali. Esso rappresenta il
programma spirituale e pastorale di Don Bosco. In esso si concentra
l’identità carismatica e la passione
apostolica del salesiano.
L’argomento
è vasto. Per questo abbiamo voluto focalizzare l’attenzione del
CG26 su quattro aree tematiche: l’urgenza di
evangelizzare, il bisogno di
convocare alla vita consacrata
salesiana, l’esigenza di vivere in
povertà evangelica, la sfida di andare
verso le nuove frontiere
della missione.
1.1.
Motivazioni per la scelta del tema
È
da tempo che ho maturato la convinzione che la Congregazione oggi ha
bisogno di risvegliare il cuore di ogni confratello con la passione
del “Da mihi animas”. Così essa potrà avere l’ispirazione, la
motivazione e l’energia per rispondere alle attese di Dio e ai
bisogni dei giovani e per affrontare con coraggio e competenza le
sfide odierne.
Facendo nostro il motto “Da
mihi animas, cetera tolle”, vogliamo
assumere il programma spirituale ed apostolico di Don Bosco e la
ragione del suo instancabile operare per “la gloria di Dio e la
salvezza delle anime”. Così potremo ritrovare l’origine del
nostro carisma, il fine della nostra missione, il futuro della nostra
Congregazione.
Il bicentenario della nascita di Don Bosco,
il cui traguardo del 2015 appare ormai prossimo, è un invito a
invocare Don Bosco perché ritorni tra noi e tra i giovani: “Don
Bosco ritorna!”. D’altra parte,
esso è uno stimolo per ogni salesiano a ritornare a Don Bosco e ai
giovani: “Ritorniamo a Don Bosco,
ritornando ai giovani!”. Don Bosco e
i giovani sono inseparabili: Don Bosco è il nostro padre e modello;
i giovani sono il luogo in cui “incontrare Dio” (Cost.
95) e “la patria della nostra missione”.
[1] Non potremo tornare a
Don Bosco, se non tornando ai giovani.
L’espressione “Da
mihi animas, cetera tolle” è la
preghiera rivolta a Dio da chi, nella fatica, nell’impegno e nella
sfida apostolica condotti nel Suo nome, rinuncia a tutto e vuol farsi
carico di tutti. Proprio perché preghiera, essa fa comprendere che
la missione non coincide con le iniziative e le attività pastorali.
La missione è dono di Dio, più che compito apostolico; la sua
realizzazione è preghiera in atto. In questo sta la base per
superare l’attivismo e il rischio di essere “bruciati
nell’azione”.
Il programma di Don Bosco riecheggia, mi
sembra, l’espressione «ho sete», che Gesù pronuncia sulla croce
mentre sta consegnando la propria vita per realizzare il disegno del
Padre (Gv
19,28). Chi fa propria questa invocazione di Gesù, impara a
condividere la Sua passione apostolica “fino alla fine”. La
parola di Gesù diventa un appello perché ognuno di noi ravvivi la
sete per le anime e rinnovi la promessa fatta da Don Bosco ai suoi
ragazzi: “Fino all’ultimo respiro la mia vita sarà per voi
giovani”. Il cuore del salesiano si ispira perciò al cuore
trafitto di Cristo.
[2]
Il motto
di Don Bosco è la sintesi della mistica e dell’ascetica salesiana,
come viene espressa nel “sogno dei dieci diamanti”. Qui si
intersecano due prospettive complementari: quella del volto visibile
del salesiano, che manifesta la sua audacia, il suo coraggio, la sua
fede, la sua speranza, la sua consegna totale alla missione, e quella
del suo cuore nascosto di consacrato, la cui nervatura è costituita
dalle convinzioni profonde che lo portano a seguire Gesù nel suo
stile di vita obbediente, povero e casto.
1.2.
Passi compiuti per la determinazione del tema
Per
la scelta del tema del CG26 abbiamo voluto partire dalla vita delle
Ispettorie. In preparazione alla Visita d’Insieme le Ispettorie
erano state invitate a fare una verifica dell’assimilazione del
CG25 e a presentare alcune prospettive di futuro, individuando le
maggiori realizzazioni degli ultimi anni, le sfide più importanti,
le risorse per far fronte al futuro, le difficoltà che si stanno
incontrando.
Le Visite d’Insieme sono diventate così il
primo passo di preparazione al CG26, nel senso che ci hanno fatto
conoscere lo stato della Congregazione con la varietà dei suoi
contesti, le sue fortezze e debolezze, le sue opportunità e
sfide.
Ricorrente e sentito emergeva il bisogno di
infiammare di gioia ed entusiasmo il cuore dei confratelli nel vivere
la vita salesiana e nel realizzare la missione giovanile. Tutto ciò
richiamava la passione del “Da mihi
animas, cetera tolle”. Nello stesso
tempo, con diverse accentuazioni, comparivano altre aree tematiche
comuni, quali l’evangelizzazione, le vocazioni, la povertà e le
nuove frontiere.
Al termine della sessione plenaria del
Consiglio Generale del dicembre 2005 - gennaio 2006, ogni Consigliere
mi ha consegnato le sue proposte in vista del CG26. Anche qui il tema
più indicato, con motivazioni e sottolineature diverse, si riferiva
al ritorno al carisma di Don Bosco, all’identità salesiana e alla
passione apostolica. Insieme ad esso emergevano anche argomenti
specifici, quali l’evangelizzazione oggi, le vocazioni alla vita
salesiana consacrata, la povertà, i nuovi orizzonti della missione
salesiana, la formazione, la comunicazione.
Il processo
per la scelta del tema si è concluso con la riflessione comune,
tenutasi nel raduno straordinario del Consiglio Generale dal 3 al 12
aprile scorso. Esso ci ha portato alla definizione del tema sopra
indicato.
1.3. Obiettivo
fondamentale del tema
L’obiettivo
fondamentale del Capitolo Generale XXVI è quello di rafforzare la
nostra identità carismatica con il ritorno a Don Bosco, risvegliando
il cuore di ogni confratello con la passione del “Da
mihi animas, cetera tolle”.
Questo
obiettivo richiede di approfondire la nostra conoscenza di Don Bosco
e di prendere in mano le Costituzioni, in particolare il capitolo
secondo sullo spirito salesiano, per rinnovare il nostro impegno di
identificarci con lui, padre e maestro, e per ispirarci alle sue
grandi convinzioni.
Domanda pure di accendere il fuoco
della passione spirituale ed apostolica nel cuore di ogni
confratello, aiutandolo a motivare e ad unificare la sua vita con
l’impegno della realizzazione della “gloria di Dio e salvezza
delle anime”.
La vicinanza dell’anno 2015,
bicentenario della nascita di Don Bosco, rappresenta una grazia per
la Congregazione, che è chiamata ad incarnare nei diversi contesti
il suo carisma, ossia lo spirito e la missione del nostro fondatore e
padre. Tale celebrazione costituirà quasi un traguardo del
CG26.
Per raggiungere l’obiettivo del CG26 è necessaria
innanzitutto una miglior conoscenza di
Don Bosco: occorre studiarlo, amarlo,
imitarlo e invocarlo (Cost.
21). Dobbiamo conoscerlo come maestro di vita, alla cui spiritualità
ci abbeveriamo come figli e discepoli; come fondatore, che ci indica
la strada della fedeltà vocazionale; come educatore, che ci ha
lasciato quale preziosissima eredità il Sistema preventivo; come
legislatore, in quanto le Costituzioni, che egli direttamente e la
storia salesiana successiva ci hanno dato, ci offrono una lettura
carismatica del vangelo e della sequela di Cristo.
[3]
Oggi più
che ieri e domani più di oggi, c’è il grave rischio di spezzare i
legami vivi che ci tengono uniti a Don Bosco. Siamo ad oltre un
secolo dalla sua morte. Sono ormai decedute le generazioni di
salesiani che erano venute a contatto con lui e lo avevano conosciuto
da vicino. Aumenta il distacco cronologico, geografico e culturale
dal fondatore. Viene a mancare quel clima spirituale e quella
vicinanza psicologica, che consentivano uno spontaneo riferimento a
Don Bosco e al suo spirito, anche alla semplice vista del suo
ritratto. Ciò che ci è stato tramandato può andare smarrito.
Allontanati dal fondatore, sbiadita l’identità carismatica,
indeboliti i legami al suo spirito, se non ravviviamo le nostre
radici corriamo il pericolo di non avere futuro né diritto di
cittadinanza.
Più che di crisi di identità, ritengo che
per noi salesiani esista oggi una crisi di credibilità.
Ci troviamo in una situazione di stallo. Sembra di essere sotto la
tirannia dello “statu quo”; esistono
resistenze al cambiamento, più inconsce che intenzionali. Anche se
convinti dell’efficacia dei valori evangelici, facciamo fatica a
raggiungere il cuore dei giovani, per i quali dovremmo essere segni
di speranza. Siamo scossi dal fatto che nella costruzione della loro
vita la fede risulti irrilevante. Constatiamo una scarsa sintonia con
il loro mondo e una lontananza, per non dire estraneità, dai loro
progetti. Percepiamo che i nostri segni, gesti e linguaggi non sono
efficaci; sembra che non incidano nella loro vita.
Accanto
allo slancio vitale, capace di testimonianza e di donazione fino al
martirio, la vita salesiana conosce pure «l’insidia della
mediocrità nella vita spirituale, dell’imborghesimento progressivo
e della mentalità consumistica».
[4] Nei documenti che la
tradizione ha chiamato “testamento spirituale”, Don Bosco ha
lasciato scritto: «Dal momento che comincerà [ad] apparire
agiatezza nella persona, nelle camere o nelle case, comincia nel
tempo stesso la decadenza della nostra congregazione […] Quando
cominceranno tra noi le comodità o le agiatezze, la nostra pia
società ha compiuto il suo corso».
[5]
La
scarsità delle vocazioni e le fragilità vocazionali mi portano a
pensare che molti forse non sono convinti dell’utilità sociale,
educativa ed evangelizzatrice della nostra missione; altri forse
trovano il nostro impegno di lavoro non adeguato alle loro
aspirazioni, perché non sappiamo reinvestire e rinnovare; alcuni
forse si sentono imprigionati dalle emergenze, fattesi sempre più
incalzanti.
Urge ritornare ai
giovani con maggiore qualificazione. È
tra i giovani che Don Bosco ha elaborato il suo stile di vita, il suo
patrimonio pastorale e pedagogico, il suo sistema, la sua
spiritualità. Unica fu la missione di Don Bosco. Egli fu sempre e
solo con i giovani e per i giovani, anche quando per motivi
particolari non poteva essere sempre materialmente a contatto con
loro, anche quando la sua azione non era direttamente al loro
servizio. Per questo egli difese tenacemente il suo carisma di
fondatore per i giovani di tutto il mondo, di fronte alle pressioni
di ecclesiastici non sempre lungimiranti. Missione salesiana è
“predilezione” per i giovani. Al suo stato iniziale tale
predilezione è dono di Dio, ma spetta poi alla nostra intelligenza
ed al nostro cuore assumerla, svilupparla, compierla.
Il
vero salesiano non diserta il campo giovanile. Salesiano è colui che
dei giovani ha una conoscenza vitale: il suo cuore pulsa là dove
pulsa quello dei giovani. Il salesiano vive per loro, esiste per i
loro problemi. Essi sono il senso della sua vita: il suo lavoro,
studio, affettività, tempo libero sono per loro. Salesiano è chi
dei giovani ha una conoscenza esistenziale, ma anche teorica, che gli
permetta di scoprire i loro bisogni, così da creare una pastorale
giovanile adeguata ai tempi.
Oggi è necessario
approfondire la pedagogia salesiana.
C’è bisogno cioè di studiare e realizzare quell’aggiornato
sistema preventivo auspicato da Don Egidio Viganò. Si tratta, da
parte degli operatori e degli studiosi, di sviluppare le sue grandi
virtualità, di modernizzarne i principi, i concetti, gli
orientamenti, di interpretare oggi le sue idee di fondo: la maggior
gloria di Dio e la salvezza delle anime; la fede viva, la ferma
speranza, la carità pastorale; il buon cristiano e l’onesto
cittadino; il trinomio “allegria, studio, e pietà”; le “tre
S”: salute, scienza, santità; la pietà, moralità, cultura;
l’evangelizzazione e la civilizzazione.
Lo stesso si
dica per i grandi orientamenti di metodo:
farsi amare prima di - piuttosto che - farsi temere; ragione,
religione, amorevolezza; padre, fratello, amico; familiarità
soprattutto in ricreazione; guadagnare il cuore; l’educatore
consacrato al bene dei suoi allievi; ampia libertà di saltare,
correre, schiamazzare a piacimento. Tutto ciò va riletto per giovani
“nuovi”, chiamati a vivere in una vastissima ed inedita gamma di
situazioni e problemi, in tempi decisamente mutati, nei quali le
stesse scienze umane sono in fase di riflessione critica.
Urge
conoscere, approfondire e vivere la spiritualità
di Don Bosco. La conoscenza degli
aspetti esteriori della vita di Don Bosco, delle sue attività e del
suo metodo educativo non basta. Alla base di tutto, quale sorgente
della fecondità della sua azione e della sua attualità, c’è
qualcosa che spesso ci sfugge: la sua profonda esperienza spirituale,
quella che si potrebbe chiamare la sua “familiarità” con Dio.
Chissà che non sia proprio questo il meglio che di lui abbiamo per
invocarlo, imitarlo, metterci alla sua sequela per incontrare Cristo
e farlo incontrare ai giovani!
Pervenire ad una precisa
identificazione dell’esperienza spirituale di Don Bosco non è
un’impresa facile. Questo è forse l’ambito di Don Bosco meno
approfondito. Don Bosco è un uomo tutto teso al lavoro, non ci offre
descrizioni delle sue evoluzioni interiori, né ci lascia riflessioni
esplicite sulla sua vita spirituale; non scrive diari spirituali; non
dà interpretazioni; preferisce trasmettere uno spirito, descrivendo
le vicende della sua vita oppure attraverso le biografie dei suoi
giovani. Non basta certo dire che la sua è spiritualità di chi
svolge una pastorale attiva, non contemplativa, una pastorale di
mediazione fra spiritualità dotta e spiritualità popolare.
[6]
Al centro
della sua spiritualità c’è solo Dio da conoscere, amare e
servire, mediante la realizzazione di una non elusiva vocazione
personale, centrata sulla dedizione religiosa ed apostolica -
benefica, educativa, pastorale - ai giovani, soprattutto poveri ed
abbandonati, in funzione della loro salvezza integrale, sul modello
di Cristo salvatore e alla scuola di Maria Madre e Maestra. Non per
nulla il sostantivo più frequente ad esempio in un suo volume di
lettere è “Dio” e il verbo più frequente, dopo “fare”, è
“pregare”.
[7]
La
matrice dell’esperienza spirituale di Don Bosco è riassunta nel
motto Da mihi animas, cetera tolle, cioè
la desiderata salvezza delle anime e niente altro. La citazione di
Gen. 14,
21 in lui assume caratteristiche proprie, dal momento che della
espressione biblica fa una lettura accomodatizia, allegorica,
giaculatoria. Il termine animas
indica le persone ed in concreto i ragazzi con cui ha a che fare,
visti nella prospettiva della loro salvezza definitiva. Il cetera
tolle significa il distacco da tutto,
che non si traduce nell’annientamento di sé e nella fusione in
Dio; si tratta di un’ascesi apostolica. Per Don Bosco il distacco è
lo stato d’animo necessario per la più assoluta libertà e
disponibilità alle esigenze dell’apostolato.
1.4.
Altri compiti
Oltre
l’approfondimento del tema proposto, il CG26 ha pure altri compiti
particolari. Il primo tra questi riguarda l’elezione del Rettor
Maggiore e dei membri del Consiglio Generale per il periodo 2008 -
2014.
C’è poi l’adempimento e la verifica di alcune
richieste fatte dal CG25 o cambiamenti da esso introdotti. In linea
con quanto indicato ai nn. 112 e 115, si ritiene importante un
ripensamento organizzativo e strutturale dei dicasteri della nostra
missione salesiana: pastorale giovanile, missioni, comunicazione
sociale. Il CG25 domanda pure una riflessione sulla configurazione
delle tre Regioni di Europa (cf. nn. 124, 126, 129). Si sente inoltre
l’esigenza, dopo il cambiamento costituzionale avvenuto, di fare
una valutazione circa l’affidamento della Famiglia salesiana al
Vicario del Rettor Maggiore (cf. CG25,
133).
Infine, si ritiene necessario riflettere sulla
figura e i compiti dell’economo locale (Cost.
184), al fine di dare una risposta alle problematiche attuali.
2.
CONTESTO DEL CG26
La
storicità della vita e il principio dell’incarnazione fanno sì
che non possiamo prescindere dai condizionamenti storici, che
diventano non soltanto palcoscenico della vita e della missione
salesiana, ma anche sfide e possibilità per queste. Vorrei quindi
descrivere brevemente il contesto in cui si svolgerà il CG26, nella
prospettiva dell’identità carismatica e della passione
apostolica.
2.1. Bisogni e
attese dei giovani
Appena
ordinato prete, mentre completa la sua formazione pastorale nel
Convitto ecclesiastico a Torino, Don Bosco, con la guida illuminata
di Don Cafasso, incomincia a percorrere la vie della città;
frequenta le botteghe, i cantieri, i mercati, le carceri; conosce
direttamente la situazione di molti giovani, le loro miserie e le
loro aspirazioni. Tutto questo gli fa sentire l’urgenza che
qualcuno si prenda cura di loro, li assista, si preoccupi della loro
salvezza. Nasce l’idea dell’Oratorio, in cui Don Bosco realizzerà
la sua vocazione.
[8] Il grido dei giovani
spiega la passione incondizionata del suo programma: “Da
mihi animas, cetera tolle”.
Se
oggi vogliamo ritornare a Don Bosco per approfondire e rinnovare la
nostra identità vocazionale, dobbiamo anche noi ripartire dai
giovani, capire le loro attese, ascoltare in loro quello che Dio ci
chiede.
I giovani, anche se vivono in contesti diversi,
hanno in comune la sensibilità ai grandi valori della vita,
dell’amore e della libertà, ma incontrano anche molte difficoltà
nel viverli. Noi non possiamo non guardare ai loro bisogni e alle
loro attese e nello stesso tempo non accorgerci degli ostacoli e
delle minacce che incontrano.
Vita:
bisogni e minacce
I giovani
ricercano qualità di vita:
hanno voglia di vivere pienamente la vita; ricercano modelli di vita
significativi; desiderano costruire la propria vita a partire
dall’autostima e dall’accettazione positiva di sé. Sentono
l’esigenza di nuovi valori,
quali la centralità della persona, la dignità umana, pace e
giustizia, tolleranza, solidarietà. Ricercano spiritualità
e trascendenza, per trovare equilibrio
e armonia in questo mondo frenetico e frammentato; desiderano una
religiosità soggettiva, sincera, non istituzionale. Nella ricerca
del senso della vita richiedono accompagnamento
da parte di adulti che li ascoltino, li capiscano e siano capaci di
orientarli.
La situazione di povertà,
generata da un sistema neoliberale, obbliga molti giovani alla
sopravvivenza. Oltre 200 milioni di giovani, il 18% della gioventù
mondiale, vive con meno di 1 dollaro al giorno e circa 515 milioni
con meno di 2 dollari. Nel 2002 sono stati stimati 175 milioni gli
emigranti a livello mondiale, 26 milioni dei quali sono giovani. La
mancanza di lavoro, lo sfruttamento ed un sistema educativo precario
e selettivo limitano le loro prospettive di futuro: 88 milioni di
giovani sono disoccupati; 130 milioni di ragazzi non hanno alcuna
istruzione.
La cultura della violenza
è vissuta come reazione al disagio; si notano i fenomeni della
droga, del terrorismo, delle guerre, i ragazzi soldato, i genocidi. I
livelli di delinquenza sono drammaticamente cresciuti nei paesi in
via di sviluppo. La delinquenza giovanile è spesso correlata con
l’abuso di alcool e di droghe; in Africa essa è collegata alla
fame, alla povertà, alla disoccupazione.
Minacce contro
la vita e la sua dignità sono costituite da aborto,
suicidio, eutanasia, torture, che
generano una cultura di morte e la perdita del senso della vita. In
un anno praticano l’aborto 5 milioni di ragazze di età compresa
tra i 15 e i 19 anni. Anche la vita cristiana rischia di non essere
valida per i giovani, se non riesce a superare la dicotomia
tra fede e vita.
Amore:
bisogni e minacce
La
sensibilità, le forme comunicative ed espressive dei giovani, il
loro linguaggio, i loro stili di vita stanno diventando sempre più
differenti rispetto a quelli degli adulti. Assumono rilevanza la
centralità del corpo e dell’immagine, il valore della sessualità
e del mondo affettivo, i nuovi linguaggi
che aprono a nuove forme di
comunicazione e di rapporti, resi possibili dalle nuove
tecnologie.
Esiste da parte dei giovani una forte domanda
di nuovi rapporti
di amicizia, di affetto, di compagnia, per superare le carenze
affettive che li rendono insicuri, poco fiduciosi in sé e incapaci
di stabilire rapporti stabili e profondi. Il bisogno di rapporti
significativi tra adulti e giovani domanda ascolto e
accoglienza.
Soprattutto tra i giovani appaiono nuove
forme d’impegno e di partecipazione
nel sociale, attraverso reti multiple e aperte di appartenenza, di
prossimità, di socialità ristretta e immediata, che si situano tra
lo spazio della vita privata e quella pubblica, come le esperienze di
volontariato o di servizio civile nelle sue svariate forme e stili, i
movimenti no-global, ecologisti, pacifisti, ecc.
Costituisce
una minaccia quella cultura che promuove un amore
possessivo e superficiale, che cerca la
soddisfazione immediata del piacere, che promuove la
commercializzazione del corpo e lo sfruttamento sessuale, le
gravidanze precoci di più di 14 milioni di adolescenti,
l’instabilità dei rapporti di coppia. L’AIDS
provoca infermità gravi e genera paura: almeno il 50% delle nuove
infezioni da HIV sono tra i giovani; circa 10 milioni di giovani è
affetto da AIDS, di cui 6,2 nell’Africa Sub-Sahariana e 2,2 in
Asia. Attualmente sono stimati in circa 15 milioni i ragazzi sotto i
18 anni che sono orfani a causa dell’AIDS; di essi circa 12 milioni
vivono nell’Africa Sub-Sahariana e il numero potrebbe salire a 18
milioni nel 2010
[9] . La Chiesa trova
difficoltà nel presentare una proposta morale significativa per i
giovani.
Libertà: bisogni e
minacce
I giovani sentono il
bisogno di costruire la propria
identità. Essi possiedono una grande
quantità di conoscenze e di esperienze, ma vivono una notevole
frammentazione e disorientamento, con scarsi punti di riferimento
significativi; questo li rende incerti e fragili di fronte alla
ricerca della propria identità e alla definizione del proprio
futuro. Sentono poi un grande bisogno di
felicità: essere felici è il sogno e
il progetto più grande che i giovani portano nel cuore. Affermano il
diritto alla differenza, che superi la
tendenza alla omologazione della società globalizzata e riconosca il
valore dell’esperienza
vitale al di sopra di ogni ideologia e dottrina. Hanno l’esigenza
di essere riconosciuti e di essere
protagonisti nella vita sociale,
lavorativa e politica.
La manipolazione
culturale attraverso i mezzi di
comunicazione sociale favorisce una cultura superficiale, consumista
ed edonista. Sono un ostacolo quegli atteggiamenti che condizionano
fortemente il costruirsi dell’identità: il conformismo
come adattamento acritico, il pragmatismo
preoccupato di ricercare il risultato
immediato, la mentalità relativista ed
individualista con la quale si ricerca
una libertà slegata da ogni valore.
2.2.
Sfide sociali e culturali
Non
possiamo dimenticare che la Congregazione vive oggi la sua identità
carismatica e la sua missione giovanile all’interno di culture e di
società che presentano contesti differenziati. Il rapporto con la
cultura e la rilevanza sociale giocano un ruolo decisivo per
l’efficacia della sua presenza. Nella pluralità dei contesti,
cerchiamo perciò di evidenziare alcuni aspetti comuni.
Tendenze
fondamentali
Occorre notare
in primo luogo l’esistenza di due tendenze
trasversali che caratterizzano il
cambio epocale che stiamo vivendo: da un lato, esiste una tendenza
all’omogeneità culturale, che cerca di ricopiare il modello
occidentale con l’abolizione delle differenze; dall’altro, vi
sono forti contrapposizioni culturali di matrice religiosa che
portano ad una crescente differenziazione, per esempio, tra l’islam
e l’occidente, tra la società secolarizzata e il
cristianesimo.
In secondo luogo, si deve rilevare il
fenomeno della globalizzazione,
incrementato dallo sviluppo tecnologico, che permea molti aspetti
della società e della cultura. Dal punto di vista economico si
diffonde ovunque il modello neoliberale, basato sul sistema di
mercato, che tende a predominare sugli altri valori umani delle
persone e dei popoli. Dal punto di vista culturale si impone un
processo di omologazione delle culture verso il modello occidentale,
con il graduale dileguarsi delle differenze culturali e politiche dei
popoli. Infine, l’impatto dei mezzi di comunicazione sociale e la
rivoluzione informatica inducono profondi cambiamenti nel costume,
nella distribuzione della ricchezza, nell’impostazione del lavoro,
attraverso una cultura mediatica e una società dell’
informazione.
Sfide a livello
sociale e culturale
Si nota
una forte tendenza alla mobilità umana
espressa da masse umane che, sospinte dalla povertà, dalla fame e
dal sottosviluppo, emigrano verso i paesi della ricchezza e del
benessere. Un aspetto di tale fenomeno è l’urbanizzazione o la
migrazione interna ai paesi. C’è la perdurante sfida
della povertà, della fame, delle
malattie e del sottosviluppo, insieme alle sfide che provengono dallo
sfruttamento dei bambini e dei minori nei volti tragici
dell’emarginazione, del lavoro minorile, del turismo sessuale,
della mendicità, dei ragazzi della strada, della delinquenza
minorile, dei bambini soldato, della mortalità infantile. Si
consolida una visione della società basata sui consumi e si diffonde
ovunque una mentalità consumista,
sia nei paesi ricchi che in quelli in via di sviluppo.
La
paradossale cultura della vita e della
morte entra in confronto con lo
sviluppo delle biotecnologie e dell’eugenetica. Esiste uno
squilibrio tra
lo sviluppo dell’uomo e dei popoli e le tecnologie
dell’informazione e della comunicazione. C’è un crescente
consolidarsi della cultura
dell’individualismo, che origina una
visione relativista della realtà e dell’uomo. Da tale visione
antropologica deriva una nuova formulazione dei valori umani, basata
sul relativismo etico, che il Papa Benedetto XVI non esita a chiamare
“dittatura”. Anche una diffusa fragilità psicologica e
motivazionale può essere collegata a queste espressioni del pensiero
debole. Cresce il problema educativo in
riferimento alla trasmissione dei valori, a causa delle continue
trasformazioni del costume, dell’influsso delle mode, dei
modelli.
L’allargarsi poi del fenomeno della
secolarizzazione
esalta svariate forme di umanesimo senza Dio e relega nel privato
tutte le espressioni di fede religiosa. Il pluralismo nei temi della
famiglia, della vita, dell’amore, del sesso, un nuovo senso del
sacro, la crisi delle istituzioni tradizionali, il facile accesso
agli stupefacenti sono sfide provocanti. Si nota il radicarsi del
fondamentalismo religioso
e la conseguente difficoltà ad un dialogo di reciprocità tra le
diverse fedi. Sorgono nuovi movimenti
religiosi come risposta ai bisogni di
spiritualità e di aggregazione religiosa; tra essi non vanno
trascurati il fenomeno delle sette e il cosiddetto movimento “New
Age”.
Sfide culturali della
Congregazione
Naturalmente
le sfide non provengono solo dal mondo esterno, ma sorgono anche
dall’interno della stessa Congregazione e sono d’indole diversa:
l’invecchiamento dei confratelli in alcune zone della
Congregazione, la fragilità della funzione del governo ai vari
livelli, la disparità di condizioni di vita dei salesiani rispetto
all’ambiente di povertà e miseria.
Si notano anche un
diverso impatto della cultura giovanile, con i suoi atteggiamenti e
modelli di vita, sulla vita personale e comunitaria dei confratelli,
la difficoltà a confrontarsi con un mondo giovanile molto variegato
dal punto di vista delle idee e dei comportamenti, l’accentuazione
diversa del rapporto tra educazione ed evangelizzazione, le
differenti sensibilità in merito all’impatto sociale della nostra
missione di promozione umana. In alcuni contesti fortemente
secolarizzati risulta problematico il senso specifico da dare
all’azione evangelizzatrice e alla proposta esplicita di Cristo
Salvatore dell’uomo.
Persistono qua e là la
superficialità spirituale, il genericismo pastorale, la lontananza
dal mondo giovanile, le problematiche relative all’inculturazione
del carisma, la scarsa conoscenza di Don Bosco e della sua
opera.
2.3. Orientamenti
attuali della Chiesa
Nello
spirito del Concilio Vaticano II, i cui insegnamenti, come ha
dichiarato recentemente Benedetto XVI, «si rivelano …
particolarmente pertinenti in rapporto alle nuove istanze della
Chiesa e della presente società globalizzata»
[10] , noi troviamo oggi
i grandi orientamenti ecclesiali nella Esortazione Apostolica Vita
Consecrata (1996), nella Lettera
Apostolica Novo Millennio Ineunte
(2001), nell’Istruzione
Ripartire da Cristo (2002)
e nell’Enciclica Deus Caritas Est
(2005).
Ripartire da Cristo:
la santità come programma pastorale
Ripartire
da Cristo significa proclamare che la vita consacrata è speciale
sequela di Lui e «memoria vivente del modo di esistere e di agire di
Gesù».
[11] Ciò «comporta una
particolare comunione d’amore con Lui, diventato il centro della
vita e la fonte continua di ogni iniziativa».
[12] «Bisogna ripartire
da Cristo, perché da Lui sono partiti i primi discepoli in Galilea;
da Lui, lungo la storia della Chiesa, sono partiti uomini e donne di
ogni condizione e cultura che, consacrati dallo Spirito in forza
della chiamata, per Lui hanno lasciato famiglia e patria e Lo hanno
seguito incondizionatamente, rendendosi disponibili per l'annuncio
del Regno e per fare del bene a tutti (cf.
At 10, 38)».
[13]
Gesù
Cristo, “oggi, ieri e sempre” (Ebr
13,8), è il programma pastorale della Chiesa del Terzo Millennio:
«un programma che non cambia col variare dei tempi e delle culture,
anche se del tempo e della cultura tiene conto per un dialogo vero e
una comunicazione efficace».
[14] Anche noi salesiani,
come qualsiasi comunità o gruppo ecclesiale, dobbiamo tradurre tale
programma in orientamenti pastorali adatti, «che consentono
all’annuncio di Cristo di raggiungere le persone, plasmare le
comunità, incidere in profondità mediante la testimonianza dei
valori evangelici nella società e nella cultura».
[15]
«Non
esito a dire», con Giovanni Paolo II, «che la prospettiva in cui
deve porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità»
[16] ; è il «fondamento
della programmazione pastorale»
[17] . Innanzitutto viene
la nostra santità! Ve l’ho detto fin dall’inizio del mio
ministero di Rettor Maggiore e ve l’ho scritto nella mia prima
lettera.
[18] Ve lo ripeto oggi
con più convinzione e urgenza: la santità «è “il dono più
prezioso che possiamo offrire ai giovani” (Cost.
25); è il traguardo più alto che dobbiamo proporre con coraggio a
tutti. Solo in un clima di santità vissuta i giovani avranno la
possibilità di operare scelte coraggiose di vita, di scoprire il
disegno di Dio sul loro futuro, di apprezzare il dono della vocazione
di speciale consacrazione».
[19]
Oltre a
presentare un modello comunitario di santità attraente, dobbiamo
suscitare e sostenere nei giovani «un vero anelito alla santità, un
desiderio forte di conversione e di rinnovamento personale in un
clima di sempre più intensa preghiera e di solidale accoglienza del
prossimo, specialmente quello più bisognoso».
[20] Da veri educatori
dobbiamo offrire «una vera e propria pedagogia
della santità»
[21] , che proponga
percorsi adattati ai ritmi dei singoli, ci abiliti ad essere guide
esperte del cammino spirituale e faccia diventare le nostre comunità
«luoghi per l’ascolto e la condivisione della parola, la
celebrazione liturgica, la pedagogia della preghiera,
l'accompagnamento e la direzione spirituale».
[22]
Testimoniare
Cristo: l’evangelizzazione come missione prioritaria
«Noi
non possiamo non parlare delle cose che abbiamo visto e ascoltato»
(At 4,20),
risposero Pietro e Giovanni al primo divieto di evangelizzare, che le
autorità di Gerusalemme cercarono di imporre loro subito dopo la
Pasqua. Noi salesiani siamo presenti in paesi di antica
evangelizzazione, dove sta tramontando una condizione di “società
cristiana”, e in paesi che accolgono con gioia la prima
evangelizzazione. «Occorre riaccendere in noi lo slancio delle
origini, lasciandoci pervadere dall'ardore della predicazione
apostolica seguita alla Pentecoste. Dobbiamo rivivere in noi il
sentimento infuocato di Paolo, il quale esclamava: “Guai a me se
non predicassi il Vangelo!”(1 Cor
9,16)».
[23]
«Chi ha
scoperto Cristo – diceva Benedetto XVI ai giovani a conclusione
della GMG in Colonia – deve portare altri verso di Lui. Una grande
gioia non si può tenere per sé. Bisogna trasmetterla. In vaste
parti del mondo esiste oggi una strana dimenticanza di Dio. Sembra
che tutto vada ugualmente anche senza di Lui. Ma al tempo stesso
esiste anche un sentimento di frustrazione, di insoddisfazione di
tutto e di tutti».
[24] E ai religiosi di
Roma: «Vostro primo e supremo anelito sia testimoniare che Dio va
ascoltato e amato con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte
le forze, prima di ogni altra persona e cosa. Non abbiate paura di
presentarvi, anche visibilmente, come persone consacrate, e cercate
in ogni modo di manifestare la vostra appartenenza a Cristo, il
tesoro nascosto per il quale avete lasciato tutto (…) La Chiesa ha
bisogno della vostra testimonianza, ha bisogno di una vita consacrata
che affronti con coraggio e creatività le sfide del tempo presente».
[25]
La grande
sfida che ci sta davanti nel millennio appena iniziato è appunto di
«fare della Chiesa la casa e la scuola
della comunione».
[26] Compito di estrema
importanza nella nuova evangelizzazione, affidato alla vita
consacrata,
[27] è la testimonianza
della comunione, «segno per il mondo e forza attrattiva che conduce
a credere in Cristo»,
[28] vissuta «prima di
tutto al proprio interno e poi nella stessa comunità ecclesiale, ed
oltre i suoi confini, aprendo o riaprendo costantemente il dialogo
della carità, soprattutto dove il mondo di oggi è lacerato da odio
etnico o da follie omicide»
[29] . In un’epoca
caratterizzata dalla mondializzazione e dal ritorno del nazionalismo,
anche la nostra Congregazione, proprio perché internazionale, è
«mandata ad annunziare, con la testimonianza della propria vita, il
valore della fraternità cristiana e la forza trasformante della
Buona Novella»
[30] e a «tener vivo il
senso di comunione tra i popoli, le razze, le culture»
[31] . Le nostre comunità
sono chiamate a diventare «luoghi di addestramento all’integrazione
e all’inculturazione, e insieme una testimonianza dell’universalità
del messaggio cristiano».
[32]
Più che
delle nostre presenze, opere e strutture, la Chiesa ha bisogno della
nostra presenza, della nostra vita consacrata, della radicalità
nella sequela di Cristo. Ce lo ha ricordato il Papa Benedetto: «Di
fronte all’avanzata dell’edonismo, a voi è richiesta la
coraggiosa testimonianza della castità, come espressione di un cuore
che conosce la bellezza e il prezzo dell’amore di Dio. Di fronte
alla sete di denaro, la vostra vita sobria e pronta al servizio dei
più bisognosi ricorda che Dio è la ricchezza vera che non perisce.
Di fronte all’individualismo e al relativismo, che inducono le
persone ad essere unica norma a se stesse, la vostra vita fraterna,
capace di lasciarsi coordinare e quindi capace di obbedienza,
conferma che voi ponete in Dio la vostra realizzazione. Come non
auspicare che la cultura dei consigli evangelici, che è la cultura
delle Beatitudini, possa crescere nella Chiesa, per sostenere la vita
e la testimonianza del popolo cristiano».
[33]
I giovani sono “per la Chiesa un
dono speciale dello Spirito di Dio”.
Noi salesiani non possiamo guardarli
che come Gesù, con compassione (cf. Mc
6,34), non dobbiamo dare loro altro che, come Gesù, l’evangelo di
Dio (ib.),
e non abbiamo altro da fare che, come Gesù, prenderci cura delle
loro necessità (cf. Mc
6,37). C’è «una gioventù che esprime un anelito profondo,
nonostante possibili ambiguità, verso quei valori autentici che
hanno in Cristo la loro pienezza … Se ai giovani Cristo è
presentato col suo vero volto, essi lo sentono come una risposta
convincente e sono capaci di accoglierne il messaggio, anche se
esigente e segnato dalla Croce»
[34] . Come Giovanni
Paolo, pure noi non dovremmo esitare a «chiedere loro una scelta
radicale di fede e di vita, additando un compito stupendo: quello di
farsi «sentinelle del mattino» (cfr Is
21,11-12) in questa aurora del nuovo
millennio».
[35]
La loro
evangelizzazione, mediante la presenza amabile e proposte adatte ed
esigenti, ci obbliga a ridare slancio, coraggio e profondità di fede
alla pastorale giovanile,
che può rischiare di restare pastorale d’intrattenimento o di sola
educazione civica, di formazione culturale o di generica apertura al
trascendente. Il richiamo diretto ai destinatari della nostra
missione ci impegna a riflettere e operare scelte “a partire dai
giovani” e non dai nostri problemi, e a ritornare ai giovani, che
sono la “patria” della nostra missione, il tempio della
nostra esperienza di Dio.
Ai giovani offriamo, oltre che
l’annuncio della Parola (kerygma-martyria)
e la celebrazione dei Sacramenti (leiturgia),
il servizio della carità (diakonia),
il quale è per noi educazione, non «una specie di attività di
assistenza sociale che si potrebbe anche lasciare ad altri, ma [un
servizio che] appartiene alla natura» stessa della Chiesa,
«espressione irrinunciabile della sua stessa essenza».
[36]
Una vera
sfida che ci interpella seriamente e coinvolge pure tutta la Chiesa,
è il problema delle vocazioni. Vogliamo stimolare i giovani a
«prendere coscienza della propria attiva responsabilità nella vita
ecclesiale. Accanto al ministero ordinato, altri ministeri, istituiti
o semplicemente riconosciuti, possono fiorire a vantaggio di tutta la
comunità, sostenendola nei suoi molteplici bisogni».
[37] . È «compito
primario» di tutti noi «quello di proporre coraggiosamente, con la
parola e con l’esempio, l’ideale della sequela di Cristo,
sostenendo poi la risposta agli impulsi dello Spirito nel cuore dei
chiamati».
[38]
2.4.
Sfide e prospettive della Vita Consacrata
Sfide
della Vita Consacrata
La
Vita Consacrata presenta oggi notevoli sfide. Più che soffermarsi
sulle sue sfide esterne, quali il secolarismo, il relativismo e la
globalizzazione, mi sembra più utile accennare alle sue sfide
interne.
Nonostante il riferimento autorevole
dell’Esortazione Apostolica sulla vita consacrata, non è sempre
chiaro quale debba essere la sua identità.
Le proposte insistenti di una sua rifondazione rischiano di far
smarrire la consapevolezza della sua presenza nella Chiesa. Il
mancato discernimento poi sulle nuove forme di vita consacrata offre
un’immagine confusa della stessa. La debolezza della teologia delle
vocazioni cristiane infine rende ancora più incerta tale
identità.
La vita consacrata non riesce sempre a trovare
le vie per esprimere la sua profezia e
credibilità. La missione ha bisogno di
spingersi con maggior audacia sulle frontiere della povertà e
dell’evangelizzazione. La sequela di Cristo domanda di trovare
forme di autentica radicalità evangelica. La vita fraterna fa
difficoltà a manifestare la comunione di fronte alle nuove esigenze
dell’interculturalità e della globalizzazione. La vita spirituale
è ancora alla ricerca delle modalità per essere vissuta e
comunicata.
Una sfida, sentita spesso come minaccia,
riguarda l’incertezza
del futuro della
vita consacrata, soprattutto per gli interrogativi che si pongono
sulla sua sopravvivenza in alcune aree geografiche. La diminuzione
numerica, l’assenza di vocazioni, l’invecchiamento creano nelle
Congregazioni mancanza di prospettive, necessità di pesanti
ridimensionamenti, ricerca di nuovi equilibri culturali. A ciò si
aggiungono talvolta scarsa vitalità, fragilità vocazionali,
dolorosi abbandoni. Tutto ciò favorisce demotivazione,
scoraggiamento e paralisi. In queste condizioni è arduo trovare una
strategia di speranza, che apra orizzonti, offra cammini e assicuri
la leadership.
Prospettive
della Vita Consacrata
Rifacendoci
specialmente al Congresso internazionale della vita consacrata del
novembre 2004, intitolato “Passione per Cristo, passione per
l’umanità”, si possono individuare alcune prospettive del suo
cammino odierno.
Si ritiene importante innanzitutto saper
suscitare fascino per
la forma di vita consacrata, rendendola bella e attraente. Fascino è
ciò che produce allegria comunicativa, forte attrazione, soave
freschezza, stimolante ottimismo. La vita consacrata deve continuare
a suscitare grazia e simpatia, fantasia e immaginazione; essa deve
far sorgere forza, entusiasmo, aspettativa. Tale fascino deriva dalla
percezione della sua vitalità, che si esprime nel primato di Dio e
nell’intimità vissuta con Lui, nella centralità di Cristo e dei
consigli evangelici, nella disponibilità allo Spirito e nella
profondità della vita spirituale, nella forza e audacia della
missione, nell’accoglienza fraterna e nella comunione, nella
conversione personale e comunitaria.
Nella vita consacrata
si ritiene poi importante sviluppare
l’identità carismatica Senza una
proposta carismatica, avvincente e coinvolgente, è difficile il
processo di identificazione vocazionale. La debolezza di proposta
provoca lo sviluppo di identità incerte e confuse. Il ritorno al
carisma del Fondatore è uno degli elementi decisivi di identità.
Oggi la sociologia evidenzia come la cultura dell’eccellenza, la
ricerca della visibilità e il senso di appartenenza aiutino lo
sviluppo dell’identità dei gruppi religiosi. È nostro compito
saper valorizzare teologicamente e carismaticamente questi indicatori
sociologici, attraverso l’eccellenza evangelica della vita
consacrata, la testimonianza visibile e attraente della nostra
vocazione, il forte senso di appartenenza alla comunità e
Congregazione.
La vita consacrata deve essere
segno profetico e credibile, ossia deve
continuare la ricerca per trovare forme di profezia e credibilità,
non solo personali ma anche istituzionali. Deve tornare ad uno stile
di vita più semplice e povero, sobrio ed essenziale. C’è bisogno
di semplificare le strutture, che sovente sono diventate un grande
peso e che rendono servizi, ma che non sempre fanno presente Dio. La
vita consacrata deve essere una forma di vita alternativa, diventare
proposta e ispirazione di una nuova cultura, avere un atteggiamento
critico e farsi contestazione profetica nei confronti della società
e del mondo ecclesiastico.
Occorre formare
persone appassionate. Dio nutre una
grande passione per il suo popolo; a questo Dio appassionato la vita
consacrata guarda con attenzione. Essa deve quindi formare persone
appassionate per Dio e come Dio. La passione per Dio e la passione
per l’umanità sono tuttavia un punto d’arrivo, più che di
partenza. È importante confermare i fratelli nella vocazione,
ravvivare il dono da essi ricevuto mediante la professione religiosa,
motivare la risposta generosa, sostenere la fedeltà vocazionale. La
formazione offre motivazioni, propone orizzonti di significato,
indica cammini di crescita per tutte le fasi della vita, apre al
discernimento spirituale, sostiene la vocazione.
2.5.
Il cammino della Congregazione
Il
cammino che la Congregazione sta compiendo trova la sua radice
nell’impegno di rinnovamento della vita consacrata promosso dal
Concilio Vaticano II. Si può rilevare la grande ricchezza di
riflessioni e orientamenti operati nei Capitoli Generali, che ha
portato ad una presa di coscienza sempre più piena dell’identità
e della missione del salesiano e della comunità oggi.
La
riflessione, incominciata nell’ampia analisi e negli orientamenti
del Capitolo Generale Speciale (CGS),
si è andata successivamente approfondendo, anche alla luce dei vari
documenti ecclesiali. In esso troviamo i grandi orizzonti e i
fondamenti basilari del progetto di vita salesiano oggi, solidamente
radicato nell’identità carismatica e nella specifica missione per
i giovani, attuata comunitariamente e in solidarietà con la Famiglia
Salesiana e con i laici.
Rileggendo gli orientamenti del
CGS, abbiamo già un quadro del cammino che la Congregazione
percorrerà nei successivi Capitoli Generali. Vale la pena richiamare
questi punti di sintesi: riscoperta della nostra identità, senso
vivo della presenza attiva di Dio, missione giovanile e popolare,
costruzione della comunità, valorizzazione della Famiglia Salesiana,
unità nel decentramento.
Un primo approfondimento di
alcuni di questi elementi di base, in modo particolare la missione
evangelizzatrice tra i giovani, fu operato già nel CG21.
La riflessione è andata poi affinandosi sempre più nei Capitoli
seguenti.
CG 22: Il Capitolo
della fedeltà
Il CG22 è
stato dedicato alla revisione delle
Costituzioni, alla luce del Vaticano II
e del CGS. Si può senz’altro chiamare il Capitolo della identità
carismatica e missionaria della Congregazione e, conseguentemente,
della fedeltà dei Salesiani a tale identità e missione.
Il
CG22 ha prodotto il testo rinnovato delle Costituzioni, «documento
autorevole - diceva Don Viganò nel discorso conclusivo - che
aiuta a misurare la verità e l’attualità della nostra scelta
evangelica di vita e della nostra specifica missione nella storia.
Ecco oggi rinnovata la “carta di identità” dei salesiani di Don
Bosco nel popolo di Dio!».
[39]
L’approvazione
del testo rinnovato delle Costituzioni è un appello alla fedeltà.
Don Viganò richiamava le parole dette da Don Bosco ai salesiani
all’indomani dell’approvazione delle prime Costituzioni: «La
gran cosa che dobbiamo fare è di adoperarci a praticare in ogni modo
le Regole ed eseguirle bene. Bisogna tenerci fissi al nostro codice,
studiarlo in tutte le sue particolarità, capirlo, praticarlo».
[40] Don Bosco poi nel
suo Testamento spirituale scriveva: «Se mi avete amato in passato,
continuate ad amarmi in avvenire colla esatta osservanza delle nostre
costituzioni».
Tutto ciò è illuminante per il CG26, in
cui vogliamo riappropriarci di Don Bosco e rileggere la sua figura
nell’attualità. Assumere le Costituzioni come base della
formazione e della vita del salesiano e della comunità, è la via
per conoscere e attualizzare Don Bosco; viceversa conoscere di più
Don Bosco ci porta a vivere in modo più pieno la Regola di vita
salesiana.
CG 23: Il Capitolo
della missione
Il CG23 si
può giustamente definire il Capitolo della missione, quella
“missione giovanile e popolare” di cui parlava già il CGS, che
il CG23 vuole appunto approfondire, riprendendo anche alcuni elementi
del CG21.
Il documento capitolare, Educare
i giovani alla fede,
mette chiaramente in evidenza i tratti
di questa missione: la scelta decisa dei giovani nell’attuale loro
situazione e nei diversi contesti, con un’attenzione speciale ai
più bisognosi; un’autentica educazione alla fede con una esplicita
azione evangelizzatrice che non si fermi alla soglia del Vangelo;
un’educazione aperta all’impegno sociale, alla formazione della
coscienza, alla crescita nell’amore; un’educazione alla fede che
porti a scelte vocazionali; la proposta della spiritualità giovanile
salesiana.
Tutto ciò si richiama al carisma e alla
missione originali di Don Bosco, da attualizzare oggi; nell’atto di
fede espresso a conclusione del documento capitolare si parla di
“riascoltare la voce di Don Bosco oggi”. E come condizione di
efficacia evangelizzatrice il Capitolo richiede la testimonianza
della comunità.
CG 24: Il
Capitolo della condivisione con i laici
Il
CG24, approfondendo ulteriormente il carisma salesiano, richiama un
altro elemento dell’Oratorio di Valdocco: la capacità di Don Bosco
di coinvolgere molti nella sua missione per i giovani. Il Capitolo ci
rivolge l’invito a rinnovare il cuore oratoriano per condividere
con i laici non solo la missione, ma anche lo spirito salesiano. È
un nuovo paradigma di rapporto tra i salesiani e i laici, chiamati a
condividere la medesima missione e spiritualità.
Tra gli
aspetti sottolineati dal Capitolo, si rilevano particolarmente gli
elementi della pedagogia e della spiritualità da vivere insieme; la
qualificazione della formazione; il ruolo essenziale dei consacrati
come “anima della CEP”; la comunità salesiana garante e
testimone del carisma. Il Capitolo fa poi un esplicito riferimento
alle opere gestite da laici, all’interno del progetto salesiano,
per le quali si esige chiarezza di intenti e di opzioni, per
garantire il carisma.
Anche se il tema del CG24 riguarda
la sfera dei laici collaboratori, tuttavia in molti passaggi si
riferisce specificamente alla Famiglia Salesiana, al suo
coinvolgimento e all’impegno della comunità nei suoi riguardi. Ciò
porta a sottolineare, anche in vista del CG26, l’importanza della
sua valorizzazione da parte dei salesiani.
CG
25: Il Capitolo della comunità salesiana
Il
CG25 ha approfondito un altro elemento essenziale del progetto
salesiano: “La comunità salesiana
oggi”. Partendo dal fatto che Don
Bosco ha riunito attorno a sé una comunità di consacrati per la
salvezza dei giovani, il Capitolo evidenzia gli elementi fondamentali
per un progetto di comunità salesiana, educatrice ed
evangelizzatrice: la vita fraterna, la testimonianza evangelica, la
presenza animatrice tra i giovani.
Si può osservare che,
ancora una volta, sono strettamente uniti fra loro il riferimento
chiaro ai valori evangelici del primato di Dio, della sequela di
Cristo, dell’ amore fraterno, insieme allo slancio missionario
dello stare con i giovani alla maniera di Don Bosco. In questa linea
c’è pure la sottolineatura della proposta vocazionale. Un ruolo
essenziale, che il CG25 evidenzia per la realizzazione del progetto
comunitario, secondo la mente di Don Bosco, è quello del
Direttore.
Da questa rapida scorsa sui Capitoli Generali
seguiti al Concilio Vaticano II si vede lo sviluppo e
l’approfondimento successivo dei temi fondamentali del nostro
progetto di vita di consacrati, missionari dei giovani, secondo la
mente di Don Bosco. Un Capitolo, come il CG26, centrato su Don Bosco,
sul suo carisma e la missione, attualizzati oggi, potrà servire da
verifica e rilancio del cammino fatto.
2.6.
Voce delle Ispettorie
Come
vi dicevo, il punto di partenza per la scelta del tema del CG26 è
stato la realtà delle Ispettorie, come fu rilevata particolarmente
nelle Visite d’Insieme.
In queste è emersa l’importanza
dei processi avviati a riguardo della comunità
salesiana. Si era chiesto infatti alle
Ispettorie di valutare la ricezione del CG25, ossia la sua
accoglienza, le difficoltà incontrate e gli impegni assunti nella
sua applicazione. La comunità è ritenuta il centro di ogni
strategia di rinnovamento. Occorre continuare a curare la sua vita
spirituale e fraterna, a garantirne la consistenza quantitativa e
qualitativa, ad assicurare la sua animazione soprattutto attraverso
l’azione del direttore, a favorire la sua capacità di
discernimento e di progettazione.
Le Visite d’Insieme
hanno anche evidenziato le prospettive e i bisogni più sentiti dalle
Ispettorie. Si è espressa innanzitutto l’esigenza di ravvivare la
passione apostolica
di ogni confratello; non si ritiene possibile infatti il rinnovamento
della vita spirituale e pastorale della comunità, senza un cammino
personale. Si sono rilevati ancora attivismo e dispersione e quindi
superficialità spirituale e mediocrità pastorale. Si è consapevoli
che il fuoco dell’amore pastorale, lo zelo apostolico e il cuore
oratoriano trovano la loro sorgente prima di tutto nella vita
spirituale. La missione non deve identificarsi con le opere, le
attività e le iniziative; essa è l’espressione dell’ardore per
la salvezza delle anime.
È poi emersa la coscienza delle
urgenze dell’evangelizzazione.
Ogni Regione ha le sue sfide. La Chiesa attraverso i Sinodi
continentali ha espresso i suoi nuovi compiti nelle Esortazioni
apostoliche postsinodali “Ecclesia in Africa”, “Ecclesia in
America”, “Ecclesia in Asia”, “Ecclesia in Europa”,
“Ecclesia in Oceania”. Anche la Congregazione sente l’urgenza
di aggiornare le sue scelte evangelizzatrici, che aveva già espresse
nel CG23. Basti pensare alle sfide poste dalle religioni non
cristiane, in particolare dall’islam, al fenomeno delle sette, al
relativismo e al laicismo, alla povertà e all’esclusione sociale,
alle opportunità offerte dall’immigrazione, alle frontiere della
missione “ad gentes”. Le Ispettorie hanno evidenziato l’esigenza
di un impegno più esplicito di evangelizzazione nel campo
dell’educazione.
Un altro bisogno molto sentito riguarda
la cura delle vocazioni consacrate
salesiane. Le esperienze della
Congregazione dopo il CG24 ci dicono che per la fecondità del
carisma di Don Bosco c’è bisogno dei consacrati. All’interno di
una pastorale giovanile esplicitamente vocazionale, occorre una
specifica attenzione alla realtà della vocazione consacrata
salesiana. Occorre pure un notevole impegno per approfondire
l’identità, favorire la visibilità, curare la formazione,
proporre la vocazione del salesiano coadiutore.
Nelle
Visite d’Insieme è stato accentuato l’appello alla povertà
evangelica. Nella Congregazione c’è
la consapevolezza che i contesti di povertà e quelli di benessere,
per motivi diversi, ci chiedono una vita più semplice, essenziale,
austera. La nostra testimonianza rischia di non essere credibile, se
non si trovano vie ed espressioni che manifestino visibilmente una
vita povera. Il consumismo e l’imborghesimento stanno generando
individualismo ed estenuano lo slancio apostolico. La “ricerca
delle comodità e delle agiatezze” diventano un freno al senso
pastorale e alla dedizione apostolica. La povertà domanda di
esprimersi anche come profezia istituzionale; c’è bisogno di
trasparenza nelle decisioni, condivisione dei beni, solidarietà con
i bisognosi. Dobbiamo tornare ad essere una Congregazione di poveri e
una Congregazione per i poveri.
Le Ispettorie si
interrogano infine sulle nuove forme di
povertà giovanili. Si sente il bisogno
di riflettere sulle nuove povertà e di ritornare a stare con i
giovani. Non abbiamo ancora sufficientemente analizzato ciò che ci
tiene lontano dai giovani e cercato quindi ciò che facilita il
nostro stare con loro. Nelle Ispettorie c’è in atto un processo
per andare ai giovani più bisognosi e per collocarsi dove essi si
trovano. La Congregazione ha bisogno di mobilitare le sue migliori
forze, quelle più disponibili e generose, perché siano pronte ad
andare nelle situazioni più ardue, rischiose ed esigenti della
missione.
Le Visite d’Insieme hanno individuato anche
problemi specifici per ogni Regione, come per esempio la realtà del
ridimensionamento, dell’inculturazione della formazione, della
formazione dei laici. Il tema del CG26 potrà offrire visioni e
prospettive, che potranno illuminare anche queste situazioni più
particolari.
3. IL TEMA DEL
CG26
Il tema del CG26
risulta fortemente provocante e stimolante. Il “Da
mihi animas, cetera tolle” porta il
confratello e la comunità alla sorgente dell’essere consacrati, in
particolare al cuore della missione, che altro non è che l’essere
totalmente presi da Dio così da diventare sua presenza trasfigurante
tra i giovani. La passione per Dio e la passione per l’umanità,
che la vita consacrata si sente oggi chiamata a suscitare, trova nel
programma di Don Bosco del “Da mihi animas” una perfetta
traduzione salesiana.
3.1. Programma di vita di Don Bosco
e del salesiano
Nel “Da
mihi animas, cetera tolle” noi figli
di Don Bosco troviamo il motivo e il metodo per affrontare l’attuale
sfida culturale con lucidità e coraggio.
Il “Da
mihi animas” pone al centro della
vita del consacrato salesiano il senso della paternità di Dio, le
ricchezze della morte e della resurrezione di Cristo e la potenza
dello Spirito, che sono donate ad ogni giovane. Nello stesso tempo
sollecita in lui l’ardente desiderio di far conoscere e gustare ai
giovani queste loro possibilità, perché abbiano una vita felice,
illuminata dalla fede, in questo mondo, e l’abbiano salva per
l’eternità. Lo spinge a darsi da fare, a impiegare tutte le forze
e tutti i mezzi, anche quando si tratta di un solo giovane, di una
sola anima.
Il “cetera
tolle” motiva il consacrato salesiano
a prendere le distanze da quel “modello liberale” di vita
consacrata, descritto nella lettera “Sei
tu il mio Dio, fuori di te non ho altro bene”.
[41] L’attribuzione
della crisi alla cultura imperante, cioè a fattori quali il
secolarismo, il consumismo, l’edonismo, non è sufficiente. La vita
consacrata storicamente nasce come proposta alternativa, movimento
contro-culturale, contestazione e ripresa della fede in situazione di
stallo. È la debolezza di motivazioni e di identità di fronte al
mondo che oggi la rende fragile.
Il motto programmatico di
Don Bosco sintetizza la nostra spiritualità (cf. Cost. 4). Esso è
valido per tutti i salesiani in ogni stagione della vita. Non solo
per coloro che per età o salute si trovano pieni di energia, ma
anche per gli anziani o gli ammalati. La passione del Da mihi animas
significa il fuoco della carità. Essa non si esprime solo
nell’instancabile laboriosità educativa pastorale, ma si manifesta
pure nella pazienza e nella sofferenza, che nella croce di Cristo
assumono valenza salvifica.
3.2.
Identità carismatica: lo spirito salesiano
Mi
permetto ora una citazione di 120 anni fa che, se non fosse per
alcuni termini obsoleti, potrebbe essere scambiata per contemporanea.
Si tratta di una fonte esterna a Don Bosco; essa ci offre la lettura
che altri facevano della sua opera, rilevando l’identità del
carisma del nostro santo fondatore.
Si tratta del Card.
Vicario di Roma, Lucido Maria Parocchi, che nel 1884 si domandava
quale fosse lo specifico della Società salesiana e così rispondeva:
«Intendo di parlarvi di ciò che distingue la vostra Congregazione,
ciò che forma il vostro carattere; così come i francescani si
distinguono per la povertà, i domenicani per la difesa della fede, i
gesuiti per la cultura. Essa ha in sé qualche cosa che si apparenta
a quella dei francescani, dei domenicani e dei gesuiti, ma se ne
distingue per l’oggetto e le modalità… Che cosa dunque di
speciale vi sarà nella Congregazione Salesiana Quale sarà il suo
carattere, la sua fisionomia Se ne ho ben compreso, se ne ho ben
afferrato il concetto, il suo carattere specifico, la sua fisionomia,
la sua nota essenziale, è la carità esercitata secondo le esigenze
del secolo: Nos credidimus Charitati.
Deus caritas est».
[42]
Il capitolo
secondo delle Costituzioni delinea in modo particolare i tratti dello
spirito salesiano, mettendo sin dall’inizio, quasi sulle labbra di
Don Bosco, le parole di Paolo alla comunità di Filippi: «Ciò
che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è quello che
dovete fare. E il Dio della pace sarà con voi»
(Fil 4,9).
Mi
sembra indovinata la scelta di questo testo per introdurre l’identità
dello spirito salesiano, perché si tratta di un «richiamo,
affettuoso e accorato insieme, alla fedeltà a Don Bosco, come fonte
primaria dello spirito salesiano in quanto è lui stesso per primo,
come Paolo, genuino imitatore del Vangelo di Cristo e perciò
autorevole e per noi indispensabile modello».
[43]
Oggi si
parla tanto di “rifondazione della
Vita Consacrata”. L’espressione è
valida, se con essa si vuole esprimere il bisogno di portarla al suo
fondamento, che altro non è che il Signore Gesù: «Infatti nessuno
può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che
è Gesù Cristo» (1 Cor
3,11). Questo processo inoltre può risultare fruttuoso, se con esso
si vuol riportare la Vita Consacrata al Fondatore di ogni carisma:
«Ciò che avete imparato, ricevuto, ascoltato e veduto in me, è
quello che dovete fare» (Fil
4,9). Qualsiasi altra interpretazione che si voglia dare al tentativo
di rifondazione è condannata al fallimento.
Lo spirito
salesiano era stato definito nel CGS come «il nostro modo proprio di
pensiero e di sentimento, di vita e di azione, nel mettere in opera
la vocazione specifica e la missione che lo Spirito Santo non cessa
di darci» (CGS,
86). Lo spirito salesiano è anzitutto lo “spirito di Don Bosco”,
ossia la vocazione, la vita, l’opera e l’insegnamento del nostro
padre; esso viene poi realizzato concretamente nella storia e nella
vita della Congregazione e della Famiglia salesiana, ossia nella vita
e santità dei salesiani (cf. CGS,
87). In seguito nei Capitoli Generali 21 e 22 la definizione sarà
arricchita in modo più organico.
Il capitolo secondo
delle Costituzioni presenta gli atteggiamenti di fondo che animano il
salesiano: la carità pastorale, che è il centro e la sintesi dello
spirito salesiano e che trova la sua sorgente nel Cuore di Cristo
apostolo del Padre; l’unione con Dio, segreto di crescita nella
carità pastorale, nella visione di fede ed in un permanente impegno
di speranza nella vita quotidiana; il senso di Chiesa; l’amore di
predilezione verso i giovani, l’amorevolezza come espressione della
paternità spirituale, l’ambiente di famiglia, l’ottimismo e la
gioia, il lavoro e la temperanza, la creatività e la flessibilità,
il sistema preventivo come sintesi di questo impegno; infine Don
Bosco come modello concreto dello spirito salesiano.
3.3.
Passione apostolica: “la gloria di Dio e la salvezza delle
anime”
La gloria di Dio e
la salvezza delle anime furono la passione di Don Bosco. Promuovere
la gloria di Dio e la salvezza delle anime equivale a conformare la
propria volontà a quella di Dio, che comunica Se stesso come Amore,
manifestando in questo modo la sua gloria e il suo immenso amore per
gli uomini, che vuole siano tutti salvi.
In un frammento
quasi unico della sua “storia dell’anima” (1854), Don Bosco
confesserà il suo segreto circa le finalità della sua azione:
«Quando mi sono dato a questa parte di sacro ministero intesi
consacrare ogni mia fatica alla maggior gloria di Dio ed a vantaggio
delle anime, intesi di adoperarmi per fare buoni cittadini in questa
terra, perché fossero poi un giorno degni abitatori del cielo. Dio
mi aiuti di poter così continuare fino all’ultimo respiro di mia
vita . Così sia».
[44]
In Don
Bosco la santità rifulge dalle sue opere, ma le opere sono solo
l’espressione della sua fede. Non sono le opere in sé che fanno
l’apostolo, come ci dice Paolo: «Se anche parlassi le lingue degli
uomini e degli angeli, ma non avessi la carità …non sono nulla»
(1 Cor
13,1); ma
è certamente una fede ravvivata dalla carità operosa che rende
santo l’apostolo: “Dai
frutti conoscerete le sue opere” (cf. Mt
7,16.20).
Alla “vita in Dio” e alla “unione con
Dio”, reale e non solo psicologica, sono invitati tutti i
cristiani. Unione con Dio è vivere in Dio la propria vita; è stare
alla Sua presenza; è partecipazione alla vita divina che è in noi.
Don Bosco fa della rivelazione di Dio la ragione della propria vita,
secondo la logica delle virtù teologali: con una fede che diventa
segno affascinante per i giovani, con una speranza che diventa parola
luminosa per loro, con una carità che diventa gesto di amore verso i
medesimi.
Don Bosco è sempre stato fedele alla sua
missione di carità effettiva. Là dove un misticismo spurio avrebbe
tagliato i ponti con la realtà, la fede lo ha obbligato a restare in
trincea per estrema fedeltà ai giovani bisognosi. Là dove poteva
subentrare stanchezza e rassegnazione, lo sorresse la via indicata da
Paolo: Caritas Christi urget nos
(2 Cor
5,14) La sua carità non si è mai arrestata di fronte alle
difficoltà: Mi sono fatto tutto a tutti
per salvare ad ogni costo qualcuno (1
Cor 9,22). Non temeva le sconfitte in
campo educativo, ma l’inerzia e il disimpegno.
In Don
Bosco si ha una teologia spirituale attiva; egli tende all’azione
sotto lo stimolo dell'urgenza e della coscienza di una missione
divina. La scelta dell’operosità offre al suo modo di interpretare
l’ascesi un’accentuazione particolare: essa è solo in vista
dell’azione apostolica. Se in S. Alfonso l’ascesi è soprattutto
interna all’uomo, in Don Bosco acquista senso in relazione al
lavoro: essa consiste nell’impegnarsi nelle opere che Dio assegna
da compiere.
In Don Bosco si scopre il senso della
relatività delle cose e contemporaneamente della loro necessaria
utilizzazione per lo scopo che gli sta a cuore. Egli preferisce non
attaccarsi rigidamente a certi schemi; meglio dunque una lettura più
pratica, pastorale, spirituale, che teologico-speculativa. In lui la
passione apostolica ha una sua specificità: la salvezza è da
ottenere con i metodi dell’amorevolezza, della mitezza, allegria,
umiltà, pietà eucaristica e mariana, della carità verso Dio e gli
uomini.
3.4. Da
mihi animas
Per Don
Bosco la prima parte del motto, “Da
mihi animas”, esprime dunque lo zelo
per la salvezza delle anime, che si concretizza nella urgenza di
evangelizzare e nella necessità di convocare vocazioni alla vita
consacrata salesiana
3.4.1.
Urgenza di evangelizzare
È
necessario motivare e spingere all’evangelizzazione. Ci rifacciamo
all’esempio di Don Bosco, che sentiva come compito urgente la
salvezza della gioventù: egli «non fece passo e non pronunciò
parola che non avesse di mira la salvezza della gioventù» (Cost.
21). Ci riferiamo poi ai bisogni di
tutti i popoli di conoscere il vangelo, che è fonte di umanizzazione
e di promozione umana.
È prioritario che la Congregazione
scelga principalmente di assumere il compito dell’evangelizzazione
nel campo dell’educazione. D’altra parte, là dove assumiamo
compiti diretti nell’evangelizzazione, non possiamo non educare; in
particolare non è possibile per noi salesiani una catechesi senza
educazione.
L’evangelizzazione oggi presenta nuovi
compiti a seconda delle aree regionali ed è quindi importante che
ogni Regione studi le sue frontiere nell’evangelizzazione. Essa
richiede anche maggior mobilità, per spostarsi là dove la missione
chiama.
3.4.2. Necessità di
convocare
Anche qui ci
rifacciamo prima di tutto a Don Bosco. Egli si è reso conto che di
fronte ai numerosi bisogni dei giovani non ce la faceva da solo. Per
questo ha fatto appello alla disponibilità e alla competenza di
numerose persone. Ha capito poi che per la continuità e la forza del
suo carisma aveva bisogno di persone consacrate; in particolare ha
compreso la necessità di avere salesiani preti e salesiani
laici.
Anche noi, soprattutto dopo il CG24, ci siamo
accorti che è necessario coinvolgere i laici, ma che il carisma non
va avanti, se non c’è un nucleo forte e identificato di
consacrati. Come pure ci siamo resi conto che la Congregazione mette
a rischio la sua identità se perde la sua componente consacrata
laicale. In modo particolare occorre tenere viva nella Congregazione
la vocazione del salesiano coadiutore.
Diventa per noi
allora necessario acquisire la capacità di coinvolgere, di convocare
e di proporre ai giovani l’esperienza carismatica di Don Bosco,
chiamandoli a stare con lui per sempre. Come pure occorre poi avere
una proposta sistematica di accompagnamento delle vocazioni alla vita
consacrata salesiana nelle sue due forme presbiterale e
laicale.
3.5.
Cetera tolle
Per Don
Bosco la seconda parte del motto, “cetera
tolle”, significa il distacco da
quanto ci può allontanare da Dio e dai giovani. Per noi oggi esso si
concretizza nella povertà evangelica e nella scelta di andare
incontro ai giovani più “poveri, abbandonati e pericolanti”,
essendo sensibili alle nuove povertà e collocandoci nelle nuove
frontiere dei loro bisogni.
3.5.1.
Povertà evangelica
La vita
consacrata del futuro si realizzerà nella sua concentrazione sulla
sequela radicale di Cristo obbediente, povero e casto. Se tutti e tre
i consigli evangelici ci parlano della nostra totale offerta a Dio e
dedizione ai giovani, la povertà ci porta a donarci senza riserve né
indugio, fino all’ultimo respiro della nostra vita, come fece Don
Bosco. La pratica dei consigli evangelici libera in noi le risorse
più nascoste della disponibilità.
Non c’è nulla di
più contraddittorio e incoerente che fare la professione della
donazione totale della nostra persona attraverso i consigli
evangelici e vivere poi riservando per noi le nostre energie e
capacità, vivendo part-time la missione, cedendo alla seduzione
dell’imborghesimento, andando in una sorta di pensione vocazionale
durante l’anzianità, rimanendo indifferenti al dramma della
povertà in cui si dibattono milioni di persone nel mondo.
Noi
salesiani testimoniamo la povertà con il lavoro instancabile e la
temperanza, ma anche con l’austerità, la semplicità e
l’essenzialità di vita, la condivisione e la solidarietà, la
gestione responsabile delle risorse. La nostra povertà ci chiede una
riorganizzazione istituzionale del lavoro, che ci aiuti a superare il
rischio di essere imprenditori dell’educazione più che educatori,
o gestori di imprese educative più che apostoli attraverso
l’educazione. Chi ha scelto di seguire Gesù, ha scelto di fare
proprio il suo stile di vita, di non arricchirsi, di vivere la
beatitudine della povertà e della semplicità di cuore, di avere
sempre familiarità con i poveri.
3.5.2.
Nuove frontiere
L’immagine
di Don Bosco che percorre le strade di Torino per cercare i giovani
più bisognosi non è un mero aneddoto. Per noi è un imperativo e
una forma naturale di agire. L’ascesi del sistema preventivo
richiede di andare ai giovani più bisognosi e di collocarci là dove
essi si trovano. Occorre individuare personalmente ed
istituzionalmente ciò che non ci lascia vedere la loro realtà
oppure, pur vedendola, non ci permette di reagire con la mente e il
cuore di Don Bosco. La disponibilità domanda di essere pronti ad
andare nelle situazioni più ardue, rischiose, difficili ed esigenti
della missione.
Parlare di nuove povertà vuol dire tener
presente che oggi tutti i giovani sono bisognosi, ma che lo sono
soprattutto coloro in cui si accumulano la povertà materiale e
quella affettiva, spirituale, culturale. Parlare di nuove frontiere,
in riferimento ai diversi contesti in cui realizziamo la missione
salesiana, può significare avere attenzione all’immigrazione,
all’esclusione sociale, alla discriminazione, allo sfruttamento
sessuale, al lavoro minorile, alla mancanza di senso religioso.
La
scelta per i giovani più poveri e per le nuove frontiere dove essi
ci attendono, ha la sua sorgente e la sua motivazione più profonda
nell’amore di Dio che ci spinge a una carità operativa. Questo ci
libera da qualsiasi tendenza ideologica o sociologizzante.
[45] Tale scelta ha
inoltre una finalità evangelizzatrice, come indica Gesù nella
sinagoga di Nazareth all’inizio del suo ministero: «Lo spirito del
Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione,
e mi ha mandato per annunziare il Vangelo ai poveri» (Lc
4,18). Non si tratta dunque di ridurre la nostra scelta per i poveri
a mera promozione umana, ma di donare loro il tesoro di Gesù e del
suo Vangelo.
3.6. Condizioni
per concretizzare il tema
Per
favorire la concretizzazione del tema, occorre assicurare alcune
condizioni: assunzione di processi, conversione di mentalità,
cambiamento di strutture.
Processi
da assumere
Tenendo presente
l’obiettivo del CG26, che consiste nel rafforzare la nostra
identità carismatica ripartendo da Don Bosco e nel risvegliare il
cuore di ogni confratello con la passione del “Da
mihi animas, cetera tolle”, è
doveroso rendersi conto che tale obiettivo si realizza attraverso
alcuni processi da attivare.
L’identità carismatica ci
chiede una conoscenza matura di Don
Bosco, delle sue motivazioni, delle sue
grandi scelte spirituali e apostoliche, ed una conoscenza
delle Costituzioni, che sono il Don
Bosco oggi.
La passione apostolica esige il risveglio di
un’evangelizzazione
esplicita in tutte le nostre presenze, il coraggio di una
proposta vocazionale alla vita
consacrata salesiana, il rinnovamento di uno stile
di vita povero, austero, solidale, la
ricerca di campi di lavoro che
ci permettano di concentrarci sulle priorità educative ed
evangelizzatrici della nostra missione più che nella gestione delle
opere, identificare le nuove povertà e frontiere nel proprio
contesto e rivalutare le nostre opere e le nostre attività dal punto
di vista carismatico.
Il primo passo di questo processo
sarà realizzato mediante il
coinvolgimento delle comunità e attraverso i Capitoli Ispettoriali,
nei quali occorre individuare la
chiamata di Dio in riferimento agli aspetti suindicati, la lettura
della situazione delle comunità a tale riguardo e l’identificazione
delle sfide che si presentano, la proposta di passi da compiere per
il loro rinnovamento.
Il secondo passo corrisponderà
alla celebrazione del CG26
e agli orientamenti operativi che esso vorrà dare a tutta la
Congregazione.
Mentalità da
convertire
C’è bisogno di
mettere in atto un processo di conversione personale in riferimento
all’identità carismatica salesiana, responsabilizzando ogni
confratello a risvegliare l’entusiasmo e la fedeltà vocazionale, a
cambiare il suo cuore, a vivere la passione apostolica. Si tratta
prima di tutto di un cambio di mentalità.
Ciò richiede
di avviare azioni di forte impatto motivazionale dal punto di vista
spirituale e psicologico nei confratelli, migliorandone
l’identificazione carismatica e l’autostima.
Per
questo occorre attivare dinamiche di rafforzamento dell’essere
consacrati salesiani; assumere con convinzione uno stile di vita
semplice e povero, prendendo le distanze dal “modello liberale”
di vita consacrata; impegnarsi nella missione evangelizzatrice verso
i giovani con dedizione apostolica; rendersi disponibili
all’aggiornamento e al rinnovamento; favorire il progetto
comunitario.
Strutture da
cambiare
Il processo di
cambiamenti strutturali deve essere coerente con la convinzione che
“la missione non coincide con le iniziative e le attività
pastorali”.
Ciò richiede di attivare azioni effettive
di cambiamento delle strutture di vita comunitaria e di esercizio
della missione: modelli alternativi di opere, revisione dei ruoli dei
salesiani nell’esercizio della missione, gestione delle opere
complesse.
Queste attuazioni debbono essere guidate da
decisioni di governo coraggiose che rendano credibili le nostre
convinzioni.
4. PREGHIERA PER
IL CG26
Concludo, rivolgendo
un appello alle Ispettorie, Visitatorie e Delegazioni, alle comunità
e ai confratelli, perché si mettano in clima di Capitolo Generale,
raccolti attorno a Maria, in comune preghiera, attenti alla voce
dello Spirito.
Il CG non si riduce all’Assemblea degli
Ispettori e Delegati, ma comprende il cammino che va dalla sua
convocazione fino alla approvazione degli orientamenti: esso
coinvolge tutte le comunità e ciascun confratello.
Il CG
è importante soprattutto per i processi che avvia. Tali processi non
si completano in un sessennio, ma liberano dinamismi di
trasformazione che vanno oltre il periodo tra un Capitolo Generale e
l’altro.
Il CG è un tempo intenso di formazione
permanente, che favorisce il cambio di mentalità. Esso ci fa
guardare allo specchio della chiamata di Dio espressa nelle
Costituzioni, non tanto per scoraggiarci osservando la nostra realtà,
quanto per aiutarci a cercare insieme le vie che ci avvicinino ad una
risposta più piena.
Il CG ci pone in un atteggiamento di
discernimento della volontà di Dio sulla Congregazione nell’oggi
della storia, perché possiamo rispondere meglio al suo disegno e
alle attese dei giovani. Ciò richiede un forte clima di preghiera e
di ascolto della parola di Dio.
A Maria, che con il suo
intervento materno ha collaborato perché lo Spirito Santo suscitasse
San Giovanni Bosco (cf. Cost. 1),
che a lui ha indicato «il suo campo di azione tra i giovani e l’ha
costantemente guidato e sostenuto specialmente nella fondazione della
nostra Società» (Cost.
8), affidiamo questa Pentecoste salesiana che sarà il CGXXVI. Con il
suo aiuto potremo così continuare fedelmente la missione tra i
giovani come «testimoni dell’amore inesauribile del suo Figlio»
(Cost. 8).
Vi
propongo ora una preghiera, indirizzata al nostro padre Don Bosco,
che potrà essere recitata nelle comunità e dai singoli confratelli,
perché ci ottenga dal Signore di risvegliare nei nostri cuori la
passione del “Da mihi animas, cetera
tolle” e ci assista nella
preparazione e nella celebrazione del CG26, dal quale attendiamo
copiosi frutti per la nostra Congregazione e per i
giovani.
PREGHIERA A DON
BOSCO
DON
BOSCO,
Tu
sei stato suscitato dallo Spirito Santo,
con
l’intervento materno di Maria,
per
contribuire alla salvezza della gioventù.
Tu
sei stato a noi donato dal Signore come padre e maestro,
e
ci hai consegnato un programma affascinante di vita
nella
massima “Da mihi animas, cetera tolle”.
Tu
ci hai trasmesso, sotto l’ispirazione di Dio,
uno
spirito originale di vita e azione,
il
cui centro e la cui sintesi è la carità pastorale.
Fa
che il nostro cuore possa essere infiammato
dal
fuoco dell’ardore e dello slancio evangelizzatore,
per
essere segni credibili dell’amore di Dio ai giovani
Fa
che sappiamo accettare con serenità e gioia
le
esigenze quotidiane e le rinunce della vita apostolica
per
la gloria di Dio e la salvezza delle anime.
Fa
che il Capitolo Generale possa aiutarci
a
rafforzare l’identità carismatica
e
a risvegliare la passione
apostolica.
AMEN
Cordialmente,
Don
Pascual Chávez V.
Rettor Maggiore
[1]
E. VIGANÒ, Consagración
apostólica y novedad cultural. Ed. CCS
(Madrid 1987) p. 159.
[2]
Cf. BENEDETTO XVI, Deus
Caritas est, n. 12.
[3]
Cf. P. CHAVEZ,
“Contemplare Cristo con lo sguardo di
Don Bosco”, ACG 384 (2003).
[4]
CIVCSVA, Ripartire
da Cristo, n. 12.
[5]
P. BRAIDO (Ed.), Don
Bosco educatore, scritti e testimonianze.
Roma LAS 1997, pp. 409, 437.
[6]
Cf. P. BRAIDO, La
liturgia della vita nel servizio della carità tra i giovani di un
contemplativo nell’azione, in E. CARR
(a cura di), Spiritus spiritualia nobis
dona potenter infundit. A proposito di tematiche
liturgico-pneumatologiche. Studi in onore di Achille M. Triacca,
Roma 2005, pp. 143-157.
[7]
Cf. F. MOTTO, Verso
una storia di don Bosco più documentata e più sicura, in
“Ricerche Storiche Salesiane” 41 (luglio-dicembre 2002) p.
250-251.
[8]
Cf. G. BOSCO, Memorie
dell’Oratorio, Seconda decade, cap.
11 e 12.
[9]
I dati sono riportati in
United Nations World Youth Report
(www.un.org/esa/socdev/unyin/wyr05.htm)
[10]
BENEDETTO XVI, Primo
Messaggio al termine della
concelebrazione eucaristica con i Cardinali elettori in Cappella
Sistina, 20 aprile 2005, 3. OR 21 aprile 2005, p.
9.
[11]
GIOVANNI PAOLO II, Vita
Consecrata, n. 22
[12]
CIVCSVA, Ripartire
da Cristo, n. 22
[13]
CIVCSVA, Ripartire
da Cristo, n. 21
[14]
GIOVANNI PAOLO II , Novo
Millennio Ineunte, n. 29
[15]
Ib.
[16]
GIOVANNI PAOLO II, Novo
Millennio Ineunte, n. 30
[17]
GIOVANNI PAOLO II, Novo
Millennio Ineunte, n. 31
[18]
Cf. P. CHAVEZ, Cari
Salesiani, siate santi, ACG 379 (2002)
pp. 3-39.
[19]
P. CHAVEZ, Discorso
alla chiusura del CG25, ACG 378 (2002),
n. 196.
[20]
GIOVANNI PAOLO II, Vita
Consecrata, n. 39.
[21]
GIOVANNI PAOLO II , Novo
Millennio Ineunte, n. 31
[22]
CIVCSVA, Ripartire
da Cristo, n. 8
[23]
GIOVANNI PAOLO II , Novo
Millennio Ineunte, n.
40
[24]
BENEDETTO XVI, Omelia
nella Messa di chiusura della Giornata Mondiale della Gioventù,
Colonia, 21 agosto 2005. OR 21-22
agosto 2005 p. 11
[25]
BENEDETTO XVI, Discorso
ai religiosi, alle religiose e ai membri di Istituti Secolari e di
Società di Vita Apostolica della Diocesi di Roma,
Vaticano, 10 dicembre 2005. OR 11
dicembre 2005, p. 5
[26]
GIOVANNI PAOLO II, Novo
Millennio Ineunte, n.
43
[27]
«Alle persone consacrate
si chiede di essere davvero esperte di comunione e di praticarne la
spiritualità, come testimoni ed artefici di quel progetto di
comunione che sta al vertice della storia dell'uomo secondo Dio»
(Vita
Consecrata, n.46; cf. anche n.
51).
[28]
GIOVANNI PAOLO II,
Christifideles Laici, n.
31
[29]
GIOVANNI PAOLO II, Vita
Consecrata, n. 51; cf. Ripartire
da Cristo, n. 28
[30]
GIOVANNI PAOLO II, Vita
Consecrata, n. 51.
[31]
Ib.
[32]
CIVCSVA, Ripartire
da Cristo, n. 29
[33]
BENEDETTO XVI, Discorso
ai religiosi, alle religiose e ai membri di Istituti Secolari e di
Società di Vita Apostolica della Diocesi di Roma,
Vaticano, 10 dicembre 2005. OR 11
dicembre 2005, p. 5
[34]
GIOVANNI PAOLO II, Novo
Millennio Ineunte, n.
9
[35]
Ib.
[36]
BENEDETTO XVI, Deus
Caritas est, n. 25
[37]
GIOVANNI PAOLO II, Novo
Millennio Ineunte, n.
46
[38]
GIOVANNI PAOLO II, Vita
Consecrata, n. 64
[39]
CG22, n. 59
[40]
MB XII, p.
80-81. Cf. CG22, n. 91
[41]
P. CHAVEZ, Sei
tu il mio Dio, fuori di te non ho altro bene,
ACG 382 (2003) pp. 3-28
[42]
BS 8 – 1884 – n. 6,
pp. 89-90
Il Cardinale continua così: «Il secolo presente
soltanto colle opere di carità può essere adescato e tratto al
bene. Il mondo ora null’altro vuole e conosce, fuorché le cose
materiali; nulla vuol sapere delle cose spirituali. Ignora le
bellezze della fede, disconosce le grandezze della religione, ripudia
la speranza della vita avvenire, rinnega lo stesso Dio. Questo secolo
comprende della Carità soltanto il mezzo e non il fine e il
principio. Sa fare l’analisi di questa virtù ma non sa comporre la
sintesi. Animalis homo non percipit quae
sunt spiritus Dei: così S. Paolo. Dire
agli uomini di questo secolo: “Bisogna salvare le anime che si
perdono, è necessario istruire coloro che ignorano i principi della
religione, è d’uopo far elemosina per amor di quel Dio che un
giorno premierà i generosi”, gli uomini di questo secolo non
capiscono.
Bisogna dunque adattarsi al secolo, il quale vola,
vola. Ai pagani Dio si fa conoscere per mezzo della legge naturale;
si fa conoscere agli Ebrei col mezzo della Bibbia; ai Greci
scismatici per mezzo delle grandi tradizioni dei padri; ai
protestanti per mezzo del Vangelo; al presente secolo colla carità.
Dite a questo secolo: vi tolgo i giovani dalle vie perché non siano
colti sotto i tramvai, perché non cadano in un pozzo; li ritiro in
un ospizio perché non logorino la loro fresca età in vizi e nei
bagordi; li raduno nelle scuole per educarli, perché non diventino
il flagello della società, non cadano in una prigione; li chiamo a
me e li vigilo perché non si cavino gli occhi gli uni gli altri, e
allora gli uomini di questo secolo capiscono e incominciano a
credere»
[43]
Il Progetto di vita
dei Salesiani di Don Bosco. Guida alla
lettura delle Costituzioni Salesiani, Roma, 1986, p. 142.
[44]
Cf. G. BOSCO, Piano
di regolamento per l’Oratorio maschile di S. Francesco di Sales in
Torino nella regione Valdocco. Introduzione,
in P. BRAIDO (Ed.), Don Bosco Educatore.
Scritti e Testimonianze. Roma, LAS
1997, p. 111.
[45]
Cf. BENEDETTO XVI, Deus caritas est, n. 31b