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SPIRITUALITÀ SALESIANA
PER LA NUOVA EVANGELIZZAZIONE
Introduzione. - Non moda né solito ritornello, ma vera esigenza nuova. - Energia indispensabile per il «cammino» di fede. - La realtà porta con sé motivi di sgomento. - Noi siamo radicati nella potenza dello Spirito Santo. - Nel grande alveo della spiritualità «salesiana». - Al seguito di Don Bosco. - Formiamo comunità evangelizzatrici. - Sotto la guida dell’Ausiliatrice, Stella della nuova evangelizzazione. - Auspicio finale.
Lettera pubblicata in ACG n. 334
Roma, 15 agosto 1990
Solennità dell’Assunta
Cari Confratelli,
un saluto cordiale anche dai membri del nuovo Consiglio Generale. Ci riuniamo a giorni per approfondire insieme gli orientamenti del CG23 e per tracciare un programma di animazione e governo che renda incisivi ed efficaci i nostri servizi alle Ispettorie nel presente sessennio. Avete in mano i documenti capitolari e ne state studiando i contenuti.
Vorrei accompagnarvi in questo compito tanto vitale con alcune riflessioni che considero importanti.
Sono due i dati di fondo che illuminano il significato globale del nostro CG23: il primo è che esso intende inserirci efficacemente nel movimento ecclesiale della «nuova evangelizzazione»; il secondo è la convinzione e la constatazione che l’indispensabile energia di marcia nel cammino e negli itinerari di fede è la «spiritualità».
Della nuova evangelizzazione vi ho già parlato;1 qui vi invito a riflettere, invece, sulla nostra «spiritualità».
Il testo capitolare la presenta come il segreto di riuscita nell’educazione dei giovani alla fede.
La nuova evangelizzazione esige molte qualità e competenze. Ma, mentre la spiritualità può supplire, almeno in parte, ad altre carenze, nessun’altra qualità o competenza può supplire alla carenza di essa.
Sarà pertanto conveniente che cerchiamo insieme alcune delle motivazioni per cui siamo chiamati a dare tanto rilievo a questo argomento e ad assegnargli una vera priorità nella programmazione della formazione.
Intanto vi invito a pregare con particolare intensità per il felice esito del Capitolo Generale XIX delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Hanno come tema dei loro lavori: «Educare le giovani: apporto delle FMA a una nuova evangelizzazione nei diversi contesti socio-culturali». Tale tema, come la Madre ha evidenziato nella lettera di indizione del Capitolo, focalizza l’aspetto qualificante della loro missione: «essere nella Chiesa e nella Società a servizio dell’educazione delle giovani secondo il Sistema Preventivo di Don Bosco». Urge anche per loro, come per noi, mettere a confronto le comunità con le istanze educative più urgenti avendo un cuore ardente perché rinnovato da un’autentica spiritualità salesiana.
Non moda né solito ritornello, ma vera esigenza nuova
Qualcuno si chiederà perché il CG23 abbia posto la spiritualità al centro dell’interesse.
Non si starebbe ricorrendo a un tema in certo modo comodo e privo di storicità, in cui ci si rifugerebbe quasi eludendo le difficoltà? Oppure, non sarebbe un invito ad imitare qualche gruppo di moda, magari incline a una certa alienazione dalle sfide della nuova cultura? Ossia, non sarebbe un argomento poco pratico?
Il testo capitolare è decisamente impostato su un’altra prospettiva. La spiritualità di cui parla non è né una moda né un ritornello trito, ma costituisce, per noi, autentica fedeltà al Sistema Preventivo, una condizione pratica per la nuova evangelizzazione e un’esigenza dei tempi nuovi.
Don Bosco, che non amava eludere la realtà, ce lo insegna con la sua persona e con la sua pedagogia.2
Con il termine «spiritualità» il CG23 intende parlare di un’esperienza di Dio, che comporta l’esercizio di quella vita teologale di «fede, speranza e carità» che è frutto dell’inabitazione dello Spirito Santo in noi. Quando il testo parla di fede intende appunto unire vitalmente le tre virtù teologali in un unico stile concreto di vita cristiana, convinta e dinamica.
Santa Caterina da Siena diceva che quando l’esercizio delle virtù teologali è fiacco, il volto della Chiesa diventa pallido. Senza vitalità di fede non si può educare alla fede!
Anima del documento capitolare è un’esperienza di vita e di azione ancorata in Dio, un’energia senza la quale siamo costretti a chiederci se siamo ancora capaci di proseguire nel cammino fino alla meta.
L’interesse per la spiritualità parte proprio da qui: la strada da percorrere è nuova, è un cammino tracciato recentemente, anzi ancora in costruzione, con itinerari non asfaltati ed esposti a prospettive inedite che esigono di ripensare e rivivificare l’identità cristiana. È cambiato il contesto culturale della fede ed è urgente saper delineare e mostrare in noi e nei giovani il nuovo volto del credente con convinzioni profonde, con motivazioni di attualità e con impegni concreti nello stile di vita. Lo Spirito Santo soffia in questo senso: per l’attualità della fede!
D’altra parte il CG23 ci ha fatto constatare di fatto che sta manifestandosi proprio nei gruppi giovanili una crescente domanda di spiritualità.
Sappiamo poi che il Concilio Vaticano II è stato considerato una vera riscoperta dello Spirito Santo come pedagogo-protagonista della fede con speciali interventi in questo scorcio del secondo millennio. I documenti conciliari mostrano una chiara prospettiva di Spirito Santo nella considerazione della Chiesa e della sua missione; in particolare il decreto Perfectae caritatis ricorda ai membri degli Istituti di vita consacrata che «essendo la vita religiosa innanzitutto ordinata a far sì che i suoi membri seguano Cristo... le migliori forme di adattamento alle esigenze del nostro tempo non potranno avere successo, se non saranno animate da un rinnovamento spirituale, al quale spetta sempre il primo posto anche nella promozione delle opere esterne».3
Paolo VI ha percepito con ammirazione e speranza che «noi stiamo vivendo nella Chiesa un momento privilegiato dello Spirito... ci si raccoglie attorno a lui e ci si vuol lasciare guidare da Lui... Egli agisce soprattutto nella missione evangelizzatrice: non a caso il grande inizio dell’evangelizzazione avvenne il mattino di Pentecoste, sotto il soffio dello Spirito».4
I movimenti ecclesiali sorti in questi decenni sono stati considerati ufficialmente, nel loro insieme, come l’espressione di una nuova stagione di spiritualità, frutto della «ricchezza e versatilità delle risorse che lo Spirito alimenta nel tessuto ecclesiale».5
Anche tutto il nostro rinnovamento, guidato dal prezioso lavoro dei Capitoli Generali del postconcilio, viene considerato dal documento capitolare come un coinvolgimento di noi Salesiani nell’attuale impegno ecclesiale di nuova evangelizzazione. Leggete con attenzione l’«Introduzione» del testo: si ispira alla pedagogia storica di Dio e rilegge con sguardo teologale i nostri ultimi Capitoli Generali. Vedrete come la Congregazione è situata nel cuore della Chiesa a servizio, appunto, della nuova evangelizzazione. Il cammino percorso a tal fine è segnato da alcune tappe di ricerca e di approfondimento: parte dalla «missione» – CGS 20 –; questa è indicata come compito assunto dalla «comunità con un progetto» – CG21 –, attraverso il rafforzamento della «consacrazione apostolica» – CG22 – per rispondere alle sfide, molteplici e interpellanti, della gioventù oggi – CG23 –.6
La parola che sintetizza vitalmente e assume, in forma personale e comunitaria, le esigenze di questo nostro storico rinnovamento si chiama «spiritualità».
— Il Santo Padre ce lo ha ricordato con insistenza: prima, nella Lettera del Centenario 88: «L’originalità e l’audacia della proposta di una “santità giovanile” è intrinseca all’arte educativa di Don Bosco, che può essere giustamente definito “maestro di spiritualità giovanile”»;7 poi nel Messaggio al CG23: «un aspetto da approfondire con cura è la “spiritualità giovanile”... non basta far leva sulla semplice razionalità di un’etica umana... Occorre suscitare convinzioni personali profonde che portino ad un impegno di vita ispirato ai perenni valori del Vangelo».8 E ancora nel discorso della sua visita al Capitolo: «Quanto bisogno c’è oggi nella Chiesa che si educhino i giovani... ad una concreta “spiritualità”».9
— Il Rettor Maggiore, da parte sua, aveva già insistito — proprio in relazione al CG23 — su questo argomento con i confratelli e nelle comunità in vista di suscitare una vera spiritualità tra i giovani. Nel commento alla Strenna-90 chiama in causa la testimonianza della comunità: «Il Sistema Preventivo esige spiritualità: il cammino “da fede a fede” si percorre partendo da educatori che hanno “fatto il pieno” di spiritualità. Essa non è un’energia per sole élites».10 Nel discorso all’apertura del Capitolo presenta il Sistema Preventivo come frutto e fonte di spiritualità salesiana: «La grande sfida che ci lancia il tema del Capitolo è quella della “spiritualità evangelizzatrice e missionaria” nelle nostre comunità. Siamo “educatori” perché siamo pastori della Chiesa di Cristo. La qualità pastorale è l’anima della nostra competenza pedagogica, così come il “da mihi animas” è il segreto vivificante dell’intero nostro spirito».11 Nel concludere la sua Relazione sullo Stato della Congregazione (1984-1990) propone la spiritualità come il grande segreto di riuscita del nostro rinnovamento apostolico: «la condizione di fondo che urge di più per la nostra attività salesiana si esprime con una parola che diviene per noi appello: “spiritualità”!».12 E nel discorso di chiusura al Capitolo presenta le tensioni di alcuni poli della nostra vita,13 per poi affermare che la forza di unificazione sgorga immancabilmente da un’intensa spiritualità: «La sintesi viva tra questi due poli è resa possibile da una forza proveniente dall’alto... che vincola inseparabilmente tra loro l’unione con Dio e lo stare con i giovani... La forza propria della nostra spiritualità salesiana [è] espressione dinamica e quotidiana della grazia di unità».14
— Infine, la Radiografia dei Capitoli ispettoriali e il conseguente Documento di lavoro precapitolare si soffermano sugli aspetti positivi di un’esperienza vissuta in parecchie Ispettorie suggerendo proposte di approfondimento e di sviluppo precisamente a favore di una concreta spiritualità giovanile. Enumerano, in questo senso, molti dati positivi, elementi di contenuto, modalità e mezzi di crescita, aspetti critici e difficoltà, vincoli con l’impegno vocazionale, e suggeriscono anche quali sarebbero i nuclei fondamentali di una spiritualità giovanile salesiana. «La proposta di ricerca sulla SGS — vi si legge — viene incontro ad una esigenza avvertita: si vuole approfondire nell’oggi quella proposta di vita cristiana a cui Don Bosco sollecitava e impegnava i suoi ragazzi. Non si tratta di uno studio storico, ma di raccogliere l’eredità dello spirito di Don Bosco, di rivisitare la sua tipica esperienza spirituale ed educativa, di riscoprire la forza educativa dell’ideale di santità a cui sollecitava i suoi giovani».15
A ragione, perciò, tutto il documento capitolare concentra gli orientamenti e le proposte su un cammino di fede che ha come energia di percorso la spiritualità; a due livelli: quello della spiritualità dei confratelli e quello della spiritualità dei giovani, in forma distinta e articolata ma vitalmente complementare e organicamente unita.
Non dimentichiamoci che è solo lo Spirito Santo — come scrive Paolo VI — che «suscita la nuova creazione, l’umanità nuova a cui l’evangelizzazione deve mirare, con quella unità nella varietà che l’evangelizzazione tende a provocare nella comunità cristiana. Per mezzo di Lui il Vangelo penetra nel cuore del mondo, perché Egli guida al discernimento dei segni dei tempi — segni di Dio — che l’evangelizzazione discopre e mette in valore nella storia».16
Energia indispensabile per il «cammino» di fede
La spiritualità di cui parla il testo capitolare è legata al concetto di «cammino» o di «itinerario». Il cammino, nella Bibbia, suole iniziare da una situazione di crisi per procedere poi verso la meta con una peculiare energia di viaggio; pensiamo ad Abramo ed a Mosé.
Per noi, nel cammino indicato dal CG23, la peculiare energia di viaggio è appunto la spiritualità. Essa non suggerisce risposte puntuali alle tante sfide che ci interpellano: non è un cofano di formule. La crisi attuale, infatti, ci chiama a rispondere non solo a difficoltà classiche e ricorrenti; le sfide, che da essa provengono, appaiono piuttosto come «indicazioni di un “cambio di epoca” che dobbiamo imparare a vagliare alla luce della fede».17 La spiritualità aiuta a discernere, ad affrontare i problemi e infonde voglia di camminare verso la meta: è sorgente di entusiasmo. Consiste in un modo tipico di vivere il Vangelo «in situazione»; perciò è essenzialmente creativa, sempre in dialogo con la vita concreta; è anche audace.
Una spiritualità, soprattutto quella «salesiana» — per la sua sintonia con la realtà —, va non solo proposta e riproposta, ma va continuamente incarnata e rivitalizzata perché possa crescere ed agire sempre con attualità. Certo: essa rimane fedele ai valori vitali delle origini e della tradizione viva, ma è chiamata per sua natura ad essere feconda ed a scendere nei gangli della realtà per divenire dono di vita, risposta appropriata ed anche contestazione evangelica.
Porta con sé una intrinseca forza trasformatrice perché è espressione di una fede concepita come energia della storia. Una fede (che è anche speranza e carità) non semplicemente legata a una dottrina che illumina l’intelligenza, ma atteggiamento personale, quale progressiva esperienza di Dio che diviene forza di sintesi vitale in ogni soggetto, nella sua libertà, nelle sue convinzioni e, quindi, nella sua condotta. Questo atteggiamento si caratterizza oggi per una forte dimensione sociale, come ci ha ricordato ripetutamente il Santo Padre e come proclama esplicitamente l’Esortazione apostolica Christifideles laici: siano i giovani «protagonisti di evangelizzazione e artefici del rinnovamento sociale».18
Vi dicevo nel Commento alla Strenna-90 che la fede a sé stante non esiste; chi esiste ed agisce è il «credente»: ebbene, la spiritualità è l’atteggiamento proprio dei credenti impegnati! Saper coltivare nelle comunità una vera novità spirituale e far sorgere nelle nostre presenze una graduale spiritualità giovanile significa vivificare la fede per lanciarla come una freccia nella famiglia, nel quartiere, nella società, ad orientarne il divenire, affinché sia più in consonanza con il piano del Creatore.
Stiamo assistendo oggi al declino di varie ideologie; è un fatto impressionante che invita a riflettere. Certe ideologie pretendevano di occupare tra i giovani lo spazio e il ruolo della fede. E purtroppo sembrava che la formazione alla fede spesso non sapesse suscitare credenti capaci di evangelizzare i segni dei tempi: lo confessava lo stesso Concilio Vaticano II.19 Ecco il punto. L’ascesa e la fortuna delle ideologie, ieri, fanno pensare a una epoca di debolezza nella formazione alla fede, a una insufficienza pedagogica e pastorale nel presentare la Pasqua del Signore come punto centrale della storia.
La fede che ci impegniamo a far crescere nei giovani — dice il testo capitolare — “non è disgiunta o giustapposta a ciò che è umano, storico, temporale, secolare, ma, germinando all’interno di tutto questo, lo risignifica, lo illumina, e anche lo trascende allargando i nostri orizzonti al di là della storia”.20
Non uno spiritualismo di fuga, ma una spiritualità di frontiera, di ricerca, di iniziativa, di coraggio, in una parola, di realismo. Questo non diminuisce le difficoltà; ma, invece di eluderle, ne prende coscienza, le analizza e le affronta.
Basti pensare all’importanza data dal testo capitolare alla prima area del cammino («verso la maturità umana»), considerata non come un settore separato ma come una dimensione presente in ogni passo del cammino, tutta rivolta (anche con l’apporto delle scienze dell’educazione) alla ricerca di senso, alla percezione della vita come dono e compito, alla diagnosi del vuoto degli idoli che incombono. La spiritualità degli educatori proclama di fatto che «la fede richiama la vita, e la vita riconosciuta nel suo valore, sente — in certa maniera — il bisogno della fede. In forza della grazia non c’è frattura ma continuità tra creazione e redenzione».21
La realtà porta con sé motivi di sgomento
L’ora storica in cui viviamo è complessa e densa di prospettive di futuro, in bene e in male. Il processo di secolarizzazione sta portando con sé valori e disvalori. Per disgrazia, l’evolversi della convivenza umana si inclina spesso verso il negativo. La perdita incombente più pericolosa è quella di prescindere dalla fede.
Lo si è constatato concretamente nella preparazione e nello svolgimento del CG23. Basta tener presente il lavoro fatto nelle Ispettorie e nell’assemblea capitolare per individuare le difficoltà che incontriamo oggi nel nostro impegno educativo. La Bibbia ci suggerisce che la consapevolezza di trovarsi in situazione di crisi è condizione iniziale per allestire il campo base da cui parte il cammino del superamento: ricordiamo l’Esodo o la parabola del figlio prodigo.
Per questo il Capitolo ha cercato innanzitutto di considerare, con sguardo pastorale, i vari contesti: dal consumismo alle povertà, dai popoli decolonizzati all’attuale esodo dai regimi totalitari, dai grandi Stati alle minoranze etniche, dalla visione cattolica alle tante denominazioni cristiane, dall’ateismo alle grandi religioni. In questi contesti le istituzioni educative (la famiglia, la scuola, l’associazionismo, la comunicazione sociale, l’avviamento al lavoro) si trovano in una delicata situazione di ricerca del proprio ruolo. I giovani vi appaiono insoddisfatti, in ricerca di valori, con domande di nuovi rapporti. Se li si osserva nei loro atteggiamenti verso la fede, vi si trovano molti lontani ed estranei, non pochi indifferenti, altri anche aperti a un discorso religioso ma con scelte eterogenee; ci sono per fortuna anche dei giovani cristiani praticanti, ma a volte senza maggiori ideali; infine, ci sono quelli impegnati che trovano nella fede una concreta guida di vita e che divengono fermento per gli altri («giovani per i giovani»!).
Da questo sguardo capitolare e dai vivaci dibattiti assembleari si sono individuate alcune delle sfide più urgenti, di estensione universale «Sono sfide che si presentano per una parte come provocazioni alla nostra vocazione di educatori alla fede; e per l’altra come opportunità reali cariche di potenzialità. Sono occasioni nuove che sollecitano la creatività e il coraggio».22
Ne vengono indicate cinque:
— La sfida della lontananza-estraneità dal mondo della fede.
— La sfida della povertà che svigorisce e deprime l’ambiente togliendogli dignità umana.
— La sfida dell’irrilevanza della fede nella vita e nella cultura: è una mentalità sottilmente deleteria che esige una profonda risignificazione dei valori e un adeguato livello culturale nella presentazione degli eventi di salvezza.
— La sfida dell’incontro con le altre religioni: è un’interpellanza molto comune in Asia e in Africa, ma che si fa presente un po’ ovunque con il flusso migratorio intercontinentale. Ognuna di queste religioni, pur con i valori positivi che comporta, presenta speciali difficoltà di evangelizzazione a causa della sua forte inserzione culturale.
— Infine, la sfida della vita: essa è «sintesi e matrice di tutte le altre e tutte le attraversa».23 La intensità e la risonanza delle ansie, desideri, ricerche, sensibilità, ideali, delusioni, amarezze coinvolgono, in un modo o nell’altro, tutta l’esistenza e aprono facilmente l’animo dei giovani all’insicurezza, al relativismo, all’incostanza, al dubbio infecondo.
L’insieme di tutte queste interpellanze e di tanti problemi può insinuare un senso di impotenza che ci fa dubitare della raggiungibilità della meta proposta.
Alle suddette sfide dobbiamo aggiungere le difficoltà interne che incontriamo nel valutare oggettivamente le nostre attuali forze in Congregazione (come più d’un capitolare ha fatto osservare): allora può anche apparire all’orizzonte una qualche tentazione di sgomento. Quando si sente parlare di invecchiamento in varie Ispettorie, di diminuzione delle vocazioni, di lentezza nel rinnovamento, di poca qualità pastorale, di carenza d’intelligenza nel discernere i segni dei tempi, di superficialità spirituale o di genericismo, ecc., nasce un terribile dubbio: non sarà, tutto ciò (con sfide e problemi), una zavorra così pesante da rendere impossibile il decollo del volo?
E se poi ci riferiamo anche alla provocazione globale di fondo che scuote tutta la Chiesa a causa delle gravi ambivalenze insite nella cultura emergente: scienza e fede, natura e grazia, cultura e Vangelo, tecnica ed etica, teologia e magistero, ecc., si vedono aumentare i banchi di nebbia del percorso.
Eppure il Signore ci chiama e ci invia per la nuova evangelizzazione. E noi ci incamminiamo avendo l’umiltà di riconoscere che il nostro compito non è illimitato e che oggi, più che ieri, esso deve contare, più che sulla quantità, sulla qualità delle persone e delle comunità.
Noi dobbiamo saper guardare alle sfide, ai problemi e alle difficoltà non per perderci d’animo, ma per calcolare oggettivamente dove impegnare il nostro coraggio.
Intanto cerchiamo di non tralasciare la considerazione dei frutti già ottenuti; ricordiamo il Progetto-Africa, i Capitoli Generali di rinnovamento, i progetti educativo-pastorali, gli sforzi di formazione permanente, il fiorire di iniziative di tipo oratoriano, il volontariato, i gruppi di animatori, il risveglio dei Cooperatori e degli Exallievi, la collaborazione nella Famiglia Salesiana, ecc., ripensiamo all’ondata di grazia dell’88, guardiamo a Don Bosco e alle nostre origini, pensiamo a quei giovani che con noi hanno raggiunto la santità, a quelli che sono impegnati nei gruppi che ormai costituiscono un movimento di spiritualità giovanile.
La storia ci insegna che non c’è un inizio di Vangelo senza innumerevoli problemi e difficoltà. Gli Apostoli si sono lanciati ad evangelizzare il mondo in condizioni perdenti, più delle nostre; i Santi, i Fondatori, Don Bosco, i grandi missionari non sono retrocessi di fronte alle difficoltà, bensì hanno guardato in faccia alle necessità, convinti dell’indispensabilità del mistero di Cristo e sicuri dell’intervento della potenza del suo Spirito.
La nuova evangelizzazione ci coinvolge in un momento in cui è
in pieno svolgimento un trapasso epocale che ricorda quelli più determinanti nella storia dell’uomo; siamo chiamati a saper vivere in questa ora densa di speranza. Sarebbe ingenuo rifugiarsi nella nostalgia di situazioni ormai irreversibili. Il Signore ci ha consacrati per il futuro dei giovani; ci ha inviati a un compito affascinante e Lui stesso ci accompagna costantemente nello svolgimento; vuole che siamo protagonisti di una rinnovata ora di fede cristiana che sia fermento storico per l’inizio del terzomillennio.
Non, dunque, diffidenza; ma speranza!
Noi siamo radicati nella potenza dello Spirito Santo
Senza interiorità coraggiosa non si incomincerà a camminare; e invece riusciremo nella complessa impresa se avremo «spiritualità».
L’analisi delle sfide ci fa percepire che è ormai urgente comunicare progressivamente ad ogni giovane un aggiornato e originale progetto di vita cristiana secondo cui egli «impara ad esprimere un modo nuovo di essere credente nel mondo, e organizza la vita attorno ad alcune percezioni di fede, scelte di valori e atteggiamenti evangelici: vive una spiritualità».24
Nelle prime due parti del testo capitolare l’accento è messo direttamente sulla spiritualità che bisogna curare nei giovani; ma il discorso è tutto animato dalla spiritualità educativa dei confratelli. Nella terza parte, poi, si sottolinea in modo specifico l’indispensabilità di tale spiritualità nella comunità salesiana.
Infatti nel cammino dell’evangelizzazione la comunità salesiana si sente di nuovo chiamata da Dio; ripensa la missione ricevuta, è convinta che Dio opera nella storia, sa che l’esperienza di Don Bosco è profetica e sempre valida,25 e riscopre che la nostra tradizione ha parlato appunto del Sistema Preventivo come di un progetto di spiritualità.26 Sente che deve procedere «dalla fede alla fede», dalla propria spiritualità comunitaria a quella dei giovani.
La risposta alle sfide incomincia nei confratelli profondamente animati da una mistica apostolica, rivolta a suscitare una graduale spiritualità giovanile. Di fronte alla gravità delle sfide dovremo sposare l’urgenza di essere «uomini spirituali» nel senso proclamato dall’apostolo Paolo. Non diffidenza ma speranza, dicevamo.
A prima vista ci sembrerebbe di essere incapaci di raggiungere il traguardo, ma, in realtà, «lo possiamo perché non viviamo più nella nostra debolezza, ma siamo fortificati dallo Spirito. Quanti si lasciano guidare dallo Spirito si preoccupano di quello che vuole lo Spirito. Quanti si lasciano guidare dalla propria debolezza cercano di soddisfare il loro egoismo».27 Vale la pena di rileggere personalmente tutto il capo 8 dell’epistola di S. Paolo ai Romani.
La spiritualità di cui ci parla il CG23 è un’esperienza viva della presenza dello Spirito Santo, che si è resa più intensa dopo la pentecoste del Concilio Vaticano II. Si tratta della scoperta personale e comunitaria di un Dio inserito nella storia e nella propria vita. Giustamente un famoso convertito ha intitolato un suo libro: Dio esiste, io l’ho incontrato.28 Ognuno di noi dovrebbe poter dire lo stesso. In un ambiente secolarizzato, dove sembrerebbe permanente «l’eclissi di Dio», va emergendo la consapevolezza della necessità di sperimentarne la presenza e di proclamarla nella convivenza sociale. Uno dei grandi teologi del nostro secolo, Karl Rahner, crede che la persona «pia» di domani o sarà un «uomo spirituale», cioè uno che ha fatto esperienza personale di Dio, o cesserà di essere «pio».
Il Popolo di Dio oggi ha più che mai urgenza di quelle spiritualità che — come ha affermato uno studioso — rendono conto delle responsabilità dell’uomo, che danno un valore all’esistenza quotidiana, alla dimensione sociale, ai problemi del lavoro, al mondo tecnico e, in modo generale, alla storia.
Noi siamo convinti che la nostra spiritualità si colloca in questa prospettiva; anzi, consideriamo tale prospettiva come una delle grandi caratteristiche che ne denotano l’originalità e l’attualità.
Il dato fondante di ogni vera spiritualità di futuro è innanzitutto la riscoperta dello Spirito Santo e la radicazione della propria vita nella sua forza di amore unificante. Anche il Papa, nel suo discorso ai capitolari, lo ha affermato: «Spiritualità significa partecipazione viva alla potenza dello Spirito Santo... Da essa procede la forza di sintesi personale tra fede e vita».29
La rivelazione ci offre una concezione dinamica dello Spirito Santo che irrompe personalmente nella storia e che agisce costantemente lungo tutto il tempo della Chiesa. Per capirne la missione e l’efficacia, dice S. Gregorio Nazianzeno, bisogna saper pensare «alla maniera dei pescatori (gli Apostoli), non alla maniera di Aristotele» (senza per questo disistimare i grandi valori scientifici). Giustamente uno studioso del Cristianesimo ha osservato: «Quando parliamo di “spirito”, quando diciamo che Dio è “spirito”, che cosa vogliamo dire? Parliamo greco o ebraico? Se parliamo greco, diciamo che Dio è immateriale, ecc. Se parliamo ebraico, diciamo che Dio è un uragano, una tempesta, una potenza irresistibile. Da ciò tutte le ambiguità quando si parla di spiritualità. La spiritualità consiste nel divenire immateriali o nell’essere animati dallo Spirito Santo?».30
La vera spiritualità porta con sé entusiasmo e coraggio perché è consapevole di questa costante animazione dello Spirito.
Sappiamo che Egli suole manifestare la sua potenza non «nel vento fortissimo» o «nel terremoto» o «nel fuoco» ma paradossalmente «in un lieve sussurro», come lo sperimentò il profeta Elia;31 ma la sua rimane pur sempre potenza irresistibile. Lo Spirito Santo si presenta, più che come «potere assoluto», come «Amore infinito»; tocca efficacemente il cuore, rafforza «l’uomo interiore»; si fa presente quasi nascondendosi. «L’uomo spirituale» è il suo capolavoro, frutto dell’energia del suo dono di carità.
Questa soave presenza è, dunque, efficace con la potenza dell’Amore. E la potenza dell’amore è forza di unità: un’unità che non sopprime la distinzione, ma che esclude la separazione; è come un riflesso del mistero di Dio. L’unità che si trova nella Trinità non è precedente alle Persone, ma dipendente dalla loro distinzione: procede dalla suprema estasi d’amore del mutuo dono totale di ciascuna Persona; è un’unità dinamica, frutto del vicendevole donarsi dei Tre; essa ha, nello Spirito Santo, l’esplosione unitiva di tutta la forza dell’amore divino. Certo, la Trinità è «mistero», ma se Dio non fosse trino non sarebbe «l’Amore»; e noi non sapremmo nulla del suo Spirito e non capiremmo mai la «grazia di unità» che infonde nel nostro cuore con la carità pastorale!
Infatti lo Spirito Santo è anche l’estremo aprirsi di Dio al di fuori di sé, nella storia dell’uomo, con il «mistero dell’unione» in Cristo, con la «forza della comunione» nella Chiesa, con la «grazia di unità» nella persona, con l’«energia di unificazione» nel divenire umano e nel creato, in quanto la sua potenza d’amore fa progredire l’universo in vista della ricapitolazione di tutte le cose in Cristo.
La spiritualità ha come base di lancio il mettersi in sintonia con lo Spirito per lasciarsi guidare dalla sua forza. Con Lui diviene possibile una sintesi reale tra fede e vita: l’unità nella distinzione e la distinzione nell’unità, ossia l’organicità, la coordinazione, il completamento, la sublimazione. Essa assicura l’identità cristiana come espressione di personalità unificata, dotata di creatività sociale e apostolica anche come impegno nel mondo.
Molto ci sarà da dire sulla spiritualità, ma il primo passo da curare è proprio questa radicazione nello Spirito. Essa si colloca al di là delle mode e delle utopie; sia i conservatori che i progressiti non sogliono discernere l’autentica presenza dello Spirito Santo: gli uni perché più d’una volta Egli non si esprime nelle forme a loro care, gli altri perché perdono andatura quando gli eventi non si muovono secondo le loro previsioni.
Per fortuna questa radicazione spirituale è da tempo oggetto delle nostre preoccupazioni in Congregazione. Tutto il processo del nostro rinnovamento postconciliare si è mosso in questo senso; basterebbe rifarsi a quanto abbiamo spesso riflettuto sulla nostra «interiorità apostolica» (commentando l’art. 3 delle Costituzioni).
Ciò che si vede urgente è il compito di intensificare il clima spirituale in ogni comunità, in ciascun confratello: testimoniare insieme la presenza dello Spirito Santo attraverso una carità pastorale che ci faccia vivere quotidianamente il «da mihi animas» e per la quale possiamo ripetere con il salmista: «Con Dio noi faremo cose grandi ed Egli annienterà chi ci opprime»32 e così cancellare ogni scoraggiamento e atteggiamento dimissionario.
Nel grande alveo della spiritualità «salesiana»
Noi qualifichiamo il nostro tipo di spiritualità come spiritualità «salesiana».
Il termine rimanda a S. Francesco di Sales, una delle più alte figure della spiritualità cristiana. All’origine dell’uso di questo qualificativo c’è Don Bosco. Quando egli coinvolse il primo gruppo di giovani a stare con lui per esercitarsi nella carità pastorale propria della sua missione educativa, scelse per loro l’appellativo di «salesiani».33 Volle anche che l’istituzione religiosa da lui fondata si chiamasse ufficialmente «Società di S. Francesco di Sales». Desiderava che i suoi guardassero a S. Francesco di Sales, quale «pastore zelante e dottore della carità» — come riportano le Costituzioni —;34 le quali precisano anche che con ciò intendeva ispirarsi «alla bontà e allo zelo» di lui,35 privilegiandone gli atteggiamenti di amorevolezza, di gioia, di dialogo, di convivenza, di amicizia e di paziente costanza, secondo quel ricco «umanesimo»36 che ha caratterizzato la vita e l’agire dell’instancabile vescovo di Ginevra.
Può essere interessante per noi riconoscere che l’attrattiva di Don Bosco per S. Francesco di Sales risale agli anni della sua formazione e del suo perfezionamento pastorale: «La carità e la dolcezza di S. Francesco di Sales — recita il quarto proposito della sua prima messa — mi guidino in ogni cosa».37 Questa attrattiva non si è mai affievolita lungo la sua vita, come dimostra ciò che ha fatto o fatto fare in onore del caro Patrono.38
Nell’assumere e nell’applicare anche alla spiritualità dei giovani il qualificativo di «salesiana», il testo capitolare non intende proporlo come «il distintivo particolare di un gruppo: indica, invece, la fonte carismatica»39 che, attraverso Don Bosco, si ricollega all’ampia corrente spirituale di S. Francesco di Sales, tutta protesa verso la sequela di Cristo nell’attrattiva del suo amabile cuore di Salvatore.
Non si tratta, quindi, di una qualifica concorrenziale, con certo sapore di amor proprio, quasi si trattasse del nome di una squadra sportiva in allenamento per competere con altri, bensì di un titolo di identificazione evangelica, nell’orbita di una scelta spirituale collaudata e ampia nella Chiesa, e particolarmente attuale per la sua sintonia con gli orientamenti conciliari: basti pensare che la recente Esortazione apostolica Christifideles laici conclude il suo capo 4° circa i molteplici operai laici della vigna del Signore appunto con la citazione di una bella pagina di un’opera particolarmente significativa della spiritualità di S. Francesco di Sales.40
Considero importante, anche per noi, sottolineare questo aspetto ampio ed ecclesiale del qualificativo «salesiana», per ridare un posto più consono e influente a S. Francesco di Sales nella nostra spiritualità; egli, infatti, è il dottore di quella carità pastorale che è «il centro e la sintesi» del nostro spirito apostolico.41
In una circolare del 1921 don Paolo Albera, secondo successore di Don Bosco, esortava i confratelli a celebrare degnamente il terzo centenario della morte di S. Francesco di Sales (28 dicembre dell’anno seguente 1922): «Noi, che da lui dobbiamo non solo prendere il nome, ma altresì lo spirito — scriveva —, abbiamo il dovere di precedere tutti gli altri nel celebrarlo degnamente». Affermava che era stata una deliberazione provvidenziale («bellamente e sapientemente coordinata al compimento dei disegni di Dio») la scelta per noi dell’appellativo di «Salesiani»; e aggiungeva che essa «fa apparire la missione di Don Bosco ai nostri giorni come un riflesso, o meglio una continuazione di quella iniziata più di tre secoli fa dal Salesio. Per questo...il terzo centenario della morte del nostro Patrono deve primieramente eccitarci ad uno studio più intimo e profondo della sua vita e dei suoi scritti in correlazione con l’Opera nostra, divenuta ormai l'“Opera salesiana” per antonomasia, e perciò stesso destinata a diffondere e popolarizzare, con tutti i mezzi di cui dispone, il suo spirito e la sua dottrina, già perfettamente assimilati da Don Bosco e da lui genialmente trasfusi nel suo sistema educativo».42
S. Francesco di Sales, insieme ad altri grandi (S. Teresa, S. Giovanni della Croce, S. Ignazio di Loyola, ecc.) è uno degli iniziatori di un movimento spirituale di forte rinnovamento.
Ha reso amabile la pratica del Vangelo nel mondo valorizzando tutte le condizioni e gli stati di vita; ha armonizzato l’interiorità con l’attività esterna; ha dato importanza al quotidiano; ha lottato contro il rigore che caratterizzerà poi il giansenismo; ha insistito sulla necessità per tutti di una concreta spiritualità. Egli chiamò questo rinnovamento spirituale «devozione», un nome che per molti oggi non è gradito perché può significare una semplice adesione a delle pratiche religiose senza profondità di vita; per lui, però, era la nuova spiritualità, ossia un livello di carità che «ci spinge ad operare con cura, spesso e con prontezza»; «è una sorta di agilità e vivacità spirituale»: «per essere “devoti” — scrive —, oltre alla carità, bisogna avere grande vivacità e prontezza nel compierne gli atti»; essa «rende la carità pronta, attiva e diligente».43 E inoltre afferma che «la vita devota è dolce, facile e piacevole», «è la perfezione della carità».44 La «devozione» si adatta a tutte le vocazioni e professioni, «non rovina proprio niente, anzi perfeziona tutto»; «pretendere di eliminare la “vita devota” dalla caserma del soldato, dalla bottega dell’artigiano, dalla corte del principe, dall’intimità degli sposi, è un errore, anzi una eresia».45
Il suo libro Introduzione alla vita devota (Filotea) ha lanciato un vero messaggio di spiritualità per tutti, ricuperando l’importanza del laicato e del lavoro umano. Giustamente è un libro che ha fatto fortuna: più di 1.300 edizioni! un tesoro che anche la mentalità odierna non trova estraneo. «Se esiste al mondo — scrive un recente biografo del Santo — un libro rivoluzionario, eccolo: l’introduzione di tutta l’esistenza umana nella “devozione”, l’immissione in Dio di tutto ciò che vogliamo, pensiamo, facciamo, amiamo, speriamo e produciamo».46
Don Bosco, che ha scelto S. Francesco di Sales come Patrono e ha voluto il suo motto «da mihi animas» come sintesi della propria spiritualità, dimostra — come ho appena ricordato — profonda affinità e una vera congenialità con questa visione, così da applicarne creativamente le prospettive alla gioventù nel suo Sistema Preventivo e nel coinvolgimento di tante forze in quella che oggi chiamiamo Famiglia «Salesiana».47
Ma S. Francesco di Sales, cuore missionario, oltre a sentire l’estrema urgenza di lanciare un rinnovamento spirituale per tutti, capì che ciò esigeva un’illuminazione dottrinale dell’amore di carità, almeno per i più impegnati. Per questo si dedicò a redigere il suo Trattato dell’amore di Dio, pensato e scritto in mezzo ai suoi molteplici impegni pastorali; un libro nato dalla riflessione sulla prassi apostolica e destinato all’azione evangelizzatrice. Un libro di vita, quasi una sua autobiografia: lo sforzo di progredire costantemente in un progetto di crescita spirituale, non con uno schema monastico, ma con un itinerario apostolico. Diremmo oggi, un libro impegnato, quale «vademecum» del discepolo che vuol vivere nel mondo come credente. La spiritualità dovrebbe permeare e identificarsi con la vita stessa, la vita quotidiana, la vita con le sue vicissitudini imprevedibili, con le sofferenze e le gioie, con le amicizie e le separazioni, con le difficoltà e le consolazioni. In questa ottica approfondisce, in particolare, il valore spirituale dell’«estasi dell’azione», invogliando ogni cristiano ad essere vero discepolo di Cristo in mezzo alle responsabilità e preoccupazioni dell’esistenza: una simbiosi viva tra prassi e fede.
È famosa quella sua intuizione sintetica: «L’uomo è la perfezione dell’universo; lo spirito è la perfezione dell’uomo; l’amore è la perfezione dello spirito e la carità è la perfezione dell’amore».48
È una spiritualità apostolica nella quale si sentí attratto Don Bosco. Non è perciò senza significato che il nostro Fondatore, ormai al termine della sua vita, abbia incaricato don Giulio Barberis, maestro dei novizi, di far meglio conoscere S. Francesco di Sales scrivendone la vita «adatta ai suoi giovani, nella quale fosse come incarnata la vita cristiana».49
A sua volta don Filippo Rinaldi, già Rettor Maggiore, pregò don Eugenio Ceria di dedicarsi ad approfondire e far conoscere meglio in Congregazione le opere di S. Francesco di Sales e la sua dottrina.
Giovanni Paolo II ha detto di Don Bosco che è un «genio del cuore»; ebbene, in S. Francesco di Sales il cuore trova non solo uno dei più simpatici interpreti delle sue ricchezze umane perfezionate dalla carità, ma anche l’acuto pensatore contemplativo dei suoi battiti fino alle supreme altezze dell’estasi del dono di sé nell’attività apostolica.
Molti, nella Chiesa, si sentono attratti da questo tipo di spiritualità del vescovo di Ginevra. Papa Giovanni XXIII, ad esempio, lo chiamava «il mio S. Francesco di Sales»; e già nel lontano 1903, il 29 gennaio, scriveva di lui nel suo «Giornale dell’Anima»: «Che bella figura di uomo, di sacerdote, di vescovo! Se io dovessi essere come lui, non mi farebbe nulla anche se mi creassero papa».50
Dunque, quando noi parliamo di spiritualità «salesiana» sentiamo di camminare insieme a Don Bosco, in una corrente spirituale, assai ampia, a cui S. Francesco di Sales ha impresso, in forma dinamica e incarnata, il sigillo supremo dell’amore peculiare della carità apostolica.
Un appellativo, quindi, che intende rilanciare tra i giovani il gusto di Dio, la festa della vita, l’impegno per la storia, la responsabilità per il creato e una generosa corresponsabilità ecclesiale.
Al seguito di Don Bosco
Noi siamo chiamati «Salesiani di Don Bosco».
La nostra spiritualità “salesiana” ci è stata lasciata in eredità dal Fondatore; rapporta, dice il testo capitolare, all’«esperienza spirituale vissuta al seguito di Don Bosco»;51 è collegata all’umanesimo devoto di S. Francesco di Sales «ritradotto da Don Bosco nell’esperienza dell’Oratorio».52
Ci dobbiamo chiedere in che cosa consista questa «ritraduzione». La risposta ci porterebbe lontano; ma la linea sostanziale da seguire mi sembra felicemente rintracciabile in una affermazione di don Filippo Rinaldi raccolta in un Bollettino Salesiano: «S. Francesco di Sales è il Maestro di una dottrina spirituale che vive e palpita nelle sue opere (scritti) immortali; Don Bosco, invece, ha impresso la sua spiritualità non sulla carta ma nella Società da lui creata... La dottrina c’era già; Dio chiamava Don Bosco a realizzarla e a vitalizzarla nella Famiglia da lui fondata a salvezza della gioventù».53
La nostra spiritualità salesiana, dunque, è profondamente arricchita e orientata dalla dottrina di S. Francesco di Sales, ma ha caratteristiche proprie con una forte dimensione pedagogica, giovanile e popolare, impressale da Don Bosco; esse specificano in modo originale i tratti del suo volto.
L’eredità di un Fondatore non è statica, ma è «trasmessa ai propri discepoli per essere da questi vissuta, custodita, approfondita e costantemente sviluppata in sintonia con il Corpo di Cristo in perenne crescita».54
Ce lo ha ricordato esplicitamente il Papa, parlando della prassi educativa del nostro Padre: «Il suo messaggio pedagogico richiede di essere ancora approfondito, adattato, rinnovato con intelligenza e coraggio, proprio in ragione dei mutati contesti socioculturali, ecclesiali e pastorali».55
La spiritualità nostra e la spiritualità dei giovani sono, in certo senso, distinte, ma strettamente e mutuamente legate così da non separarsi mai. Ricordiamo, per esempio, come i confratelli pregavano con i giovani e che il Giovane Provveduto era praticamente il comune libro di preghiera.56 Con ragione si è detto che il commento di Alberto Caviglia alla Vita di Domenico Savio — scritta da Don Bosco —, mentre approfondisce la spiritualità giovanile, risulta un valido studio della stessa spiritualità del santo educatore.
Le Costituzioni, d’altra parte, ci assicurano che la spiritualità con cui viviamo e testimoniamo il nostro progetto di vita salesiana «è il dono più prezioso che possiamo offrire ai giovani».57
Qual è, allora, il tipo di spiritualità che ci specifica?
È risaputo che la radicazione nello Spirito Santo è unica, ma multiforme. Egli dà origine a una molteplicità meravigliosa di atteggiamenti spirituali con una fecondità inesauribile e con una creatività continua.
Senza entrare in delicati e complessi problemi, ci interessa cercar di cogliere qui alcune note caratteristiche della specifica spiritualità di Don Bosco, per avere come una fotografia della nostra fisionomia spirituale, perché su di essa dobbiamo concentrare i nostri sforzi di rinnovamento. Lo stesso Spirito Santo ci ha aiutato a scattare questa fotografia nei Capitoli Generali del postconcilio, così che abbiamo potuto presentare alla Chiesa la nostra «carta d’identità» con il testo rinnovato delle Costituzioni.
Il documento del CG23 ci offre l’opportunità di sottolineare, in questa ricerca, una interessante novità d’impostazione: quella di ripensare gli elementi specificanti la nostra spiritualità 58 partendo dall’ottica della spiritualità giovanile sperimentata in questi anni.59
Quella dei giovani è una spiritualità di inizio; ubbidisce alla legge della gradualità soggetta alla progressione del tempo e agli alti e bassi dell’instabilità giovanile. Deve adattarsi ed aiutare i giovani partendo dalla situazione e dallo stato reale in cui si trovano.
Don Bosco, sin dai primi anni del suo sacerdozio, intuì la possibilità di accompagnare i giovani alla pienezza della vita cristiana, proporzionata alla loro età, con un tipo di spiritualità giovanile organizzata attorno ad alcune idee-forza aperte alla fede, tributarie senz’altro del suo tempo ma anche profetiche, e portate avanti con ardore e con genialità pedagogica. Il CG23 rilegge queste idee-forza e ci invita a organizzare la vita dei giovani attorno ad esse e ad insistervi con scelte di valori e atteggiamenti evangelici.60
Il testo capitolare le chiama nuclei fondamentali e, senza essere esclusivo, propone i seguenti:
— una base di realismo pratico centrata sul quotidiano (Don Bosco parlava del «senso religioso del dovere» nei singoli momenti della giornata);
— un atteggiamento di speranza, impastato di «gioia», legato ai valori della crescita giovanile (Don Bosco scriveva nel Giovane Provveduto: «Io voglio insegnarvi un metodo cristiano che sia nel tempo stesso allegro e contento: serviamo il Signore in santa allegria»);
— una forte e personale amicizia con «Cristo», conosciuto e frequentato nella preghiera, nell’Eucaristia e nel Vangelo (Don Bosco considerava la pedagogia eucaristica come punto culminante della sua prassi educativa);
— un senso sempre più responsabile e coraggioso d’appartenenza alla «Chiesa», sia particolare che universale61 (Don Bosco instillava nei giovani un grande amore alla Chiesa, al Papa e ai Vescovi);
— un «impegno» concreto e operoso di bene secondo le proprie responsabilità sociali e i bisogni materiali e spirituali degli altri 62 (Don Bosco curava concretamente il coinvolgimento dei giovani migliori nell’attività apostolica);
— e, come clima familiare di crescita, una dimensione mariana che si affida con semplicità e fiducia al materno Aiuto della Madonna63 (Don Bosco concepiva la devozione a Maria come il sostegno per la crescita della fede nei giovani).
Queste idee-forza o nuclei fondamentali, uniti alla considerazione delle quattro aree del cammino di fede presentate dal testo (Uomo, Cristo, Chiesa, Regno),64 ci invitano a ripensare il Sistema Preventivo come espressione viva e prassi pedagogica della nostra specifica spiritualità, ossia «come modo di vivere e di comunicare il Vangelo».65 Da quest’ottica del cammino di fede dei giovani possiamo rivisitare i principali elementi caratterizzanti il nostro volto spirituale di Salesiani di Don Bosco.
Si tratta, qui, solo di indicarli, perché ognuno di essi è già stato considerato e sviluppato in questi anni del postconcilio, anche se è da auspicare uno studio globale al riguardo, più profondo ed organico.
Il ricordarli, partendo dall’ottica dell’educazione dei giovani alla fede, potrà contribuire a rendere più concreta la programmazione della formazione permanente, tanto raccomandata dal Capitolo.
Eccone i principali.
— Innanzitutto l’interiorità apostolica: 66 è il nostro dinamismo spirituale di base; essa, con la grazia di unità propria della carità pastorale, ci colloca sul versante della spiritualità di vita attiva, unendo dall’interno «consacrazione» e «missione» in una sintesi di vita squisitamente apostolica: «un amore che si dona gratuitamente — dicono le Costituzioni —, attingendo alla carità di Dio che previene ogni creatura con la sua Provvidenza, l’accompagna con la sua presenza e la salva donando la vita».67 Questa peculiare e fondamentale “interiorità apostolica” comporta per noi che «il rinnovamento spirituale e quello pastorale sono due aspetti che si compenetrano e sono interdipendenti tra loro».68
C’è tra questi due aspetti, per noi, mutua immanenza e una vera reciprocità; hanno però la loro fonte causativa nella vita personale di unione con Dio.
— Poi, la testimonianza della centralità di Cristo-Buon Pastore:69 è Lui il centro vivo ed esistenziale della nostra vita consacrata (pratica dei consigli evangelici). Tutti i consacrati sono centrati su Cristo, ma la nostra specifica testimonianza è caratterizzata dall’aspetto pedagogico-pastorale con cui guardiamo a Cristo come «Buon Pastore», che ha creato l’uomo e ne ama le qualità, che lo ha redento e ne perdona i peccati, e che lo rende nuova creatura attraverso il suo Spirito. Questa centralità di Cristo-Pastore deve brillare come sole nei nostri ambienti attraverso un rinnovato slancio eucaristico e con tante iniziative, che esprimono un modo quotidiano di vivere e di educare che «permea le nostre relazioni con Dio, i rapporti personali e la vita di comunità, nell’esercizio di una carità che sa farsi amare».70 La sottolineatura di Cristo «Buon Pastore» comporta certamente la generosità della dedizione ai giovani fino alla croce, ma mette in evidenza anche «l’atteggiamento che conquista con la mitezza e il dono di sé»,71 con la bontà, l’amorevolezza e l’amicizia, sviluppando tutta un’ascesi spirituale del “farsi amare” propria del cuore oratoriano.72
Il testo capitolare insiste sulla eliminazione delle distanze tra noi e i giovani: «farsi prossimo, accostarsi a loro è per noi il primo passo»,73 saper «valorizzare il patrimonio che ogni giovane ha in sé»,74 offrirgli «un ambiente carico di vita e ricco di proposte».75
Questo primo passo per avviarsi insieme nel cammino si chiama «presenza»: un valore da ricuperare! Non qualsiasi presenza, ma una presenza «pastorale», o se volete «ministeriale» o anche «sacramentale», perché deve essere portatrice di Cristo; attenta, sì, ai sentimenti e alle aspirazioni dei giovani, ma carica, in se stessa, di chiari messaggi evangelici e di percettibile amore di carità.
— Inoltre, l’impegno educativo come «missione»:76 la nostra sequela del Cristo è contrassegnata «da uno speciale dono di Dio, la predilezione per i giovani... Per il loro bene offriamo generosamente tempo, doti e salute».77 La nostra missione nella Chiesa si specifica nella prassi educativa: «Don Bosco ci ha insegnato a riconoscere la presenza operante di Dio nel nostro impegno educativo, a sperimentarla come vita e amore».78
Sappiamo che la missione «dà a tutta la nostra esistenza il suo tono concreto, specifica il compito che abbiamo nella Chiesa e determina il posto che occupiamo tra le famiglie religiose».79
Così, per la nostra spiritualità il momento educativo diviene «il luogo privilegiato del nostro incontro con Dio».80
Essendo «educativa», questa spiritualità sarà sempre attenta al contesto del mondo e alle sfide della gioventù: esigerà flessibilità, creatività ed equilibrio,81 e cercherà con serietà le competenze pedagogiche appropriate. È la stessa consacrazione salesiana che, dall’interno del suo «respiro per le anime», assume i valori pedagogici e li vive come espressione concreta di spiritualità.
Nell’ambito della missione, considero stimolante sottolineare anche l’influsso esercitato sulla nostra spiritualità, con interpellanze concrete, dalla presenza tra i destinatari preferenziali lasciatici da Don Bosco: i giovani poveri e bisognosi dei ceti popolari! L’originale ascesi del «farsi amare» è una risposta evangelica a tante carenze di questi giovani; essa ci ricorda, inoltre, che il contatto con le povertà giovanili non ha suscitato in Don Bosco nessun’ombra di reazione ideologica, bensì un’intensificazione pedagogica della carità pastorale, per risvegliare in lui e nei suoi l’amore paterno e materno della missione educatrice.
— Cura della concretezza ecclesiale:82 «la presenza di un autentico senso di Chiesa sia nella vita della comunità, sia nelle attività educativo-pastorali. La vita e l’opera salesiana è una concreta esperienza di Chiesa: ci consideriamo situati “nel cuore della Chiesa”»;83 «ci sentiamo parte viva di essa e coltiviamo in noi e nelle nostre comunità una rinnovata coscienza ecclesiale. La esprimiamo nella filiale fedeltà al successore di Pietro e al suo magistero, e nella volontà di vivere in comunione e collaborazione con i vescovi, il clero, i religiosi e i laici».84
La terza «area del cammino di fede» proposta dal testo capitolare tratta appunto dei passi da fare e degli atteggiamenti da curare «verso una intensa appartenenza ecclesiale»; e il quarto «nucleo fondamentale» della spiritualità giovanile insiste a sua volta sulla formazione alla comunione ecclesiale, nelle sue espressioni concrete di strutture locali e di istituzione universale con un «amore specifico al Papa e l’adesione convinta al suo magistero».85 Tale cura di comunione ecclesiale vitalizza anche tutto il campo dell’attività vocazionale.
Una spiritualità, perciò, che ci fa sentire e ci rende oggettivamente, anche nell’opinione degli altri credenti, un vero «dono» dello Spirito alla Chiesa per intensificarne la comunione e collaborare alla sua missione: «Le necessità dei giovani e degli ambienti popolari, la volontà di agire con la Chiesa e in suo nome muovono ed orientano la nostra azione pastorale per l’avvento di un mondo più giusto e più fraterno in Cristo».86
— Un altro elemento specificante è la gioia nell’operosità: 87 è un aspetto inerente a tutto lo stile oratoriano e alla psicologia protesa al futuro, propria del cuore adolescente. Siamo nati sul «Colle delle Beatitudini giovanili» e ne spargiamo le ricchezze evangeliche per il mondo. Viviamo una spiritualità di allegria, di famiglia, condivisa «in clima di mutua confidenza e di quotidiano perdono»,88 tutta permeata di speranza che «diffonde gioia e sa educare alla letizia della vita cristiana e al senso della festa»,89 perché pratichiamo una pedagogia che «crede nelle risorse naturali e soprannaturali dell’uomo, pur non ignorandone la debolezza».90 Questo clima di gioia e di ottimismo non è ingenuità o superficialità, ma frutto di vera speranza teologale e di meditata sintonia pedagogica con tanti valori positivi posti dal Creatore nel cuore dei giovani.
E appunto perché frutto della speranza, è una gioia vissuta in una intensa operosità, fatta di «lavoro e temperanza», ossia di un impegno anche ascetico che accompagna costantemente lo svolgersi della missione.91
— Infine, la dimensione mariana: 92 la nostra missione educativa è partecipazione alla maternità ecclesiale di Maria. È una dimensione che merita un commento speciale; lo faremo più avanti.
Qui solo aggiungiamo che la spiritualità salesiana di Don Bosco, riletta dall’angolatura del cammino di fede per i giovani di oggi, diviene per noi l’anima della nuova evangelizzazione: «nuova — come ha detto il Papa — nel suo ardore, nel suo metodo, nelle sue espressioni», ossia animata da entusiasmo e appropriata ai tempi che comportano un vasto e delicato cambio di mentalità.93 Ne ha avuto chiara coscienza il CG23; afferma infatti, che «è nuovo il contesto, sono nuovi anche gli obiettivi generali a cui la evangelizzazione tende: si tratta di rinnovare il tessuto nuovo della società, accettando di rinnovare anzitutto lo spirito evangelico nelle comunità ecclesiali».94
Abbiamo, dunque, una spiritualità salesiana ben specifica con degli aspetti assai concreti su cui concentrare la programmazione della formazione permanente nelle Ispettorie e nelle Case, proponendoci anche di scrutare più a fondo il cuore di Don Bosco.
Formiamo comunità evangelizzatrici
Vi dicevo nella «Presentazione» degli Atti del CG23 che il soggetto primo di tutto il discorso capitolare, il filo conduttore che lega le varie parti del testo è la nostra comunità di consacrati: essa è il principale destinatario del documento; ad essa spetta la responsabilità e l’impegno della realizzazione del cammino di fede per i giovani. Ogni comunità dovrà perciò preoccuparsi della spiritualità salesiana ai suoi due livelli: quello da far crescere gradualmente nella gioventù, e quello da testimoniare nella propria vita quotidiana.
Ci vengono proposti tre aspetti complementari da curare: la comunità come segno della fede,95 come scuola di fede,96 e come centro di comunione e partecipazione.97
Gli animatori primi della comunità, l’Ispettore e il Direttore, dovranno saper rivolgere la programmazione postcapitolare a questo obiettivo: «la formazione permanente, che abilita il salesiano nella sua missione di educatore e pastore, deve diventare allora una costante inderogabile della sua vita».98 C’è da prendere consapevolezza dell’urgenza di suscitare nell’ambiente una spiritualità giovanile salesiana e, in conseguenza, di mettere la comunità in stato di fecondità spirituale, portandola «a ripensarsi e a rinnovarsi — come dice il testo — alla luce del Vangelo e della Regola di vita»:99 ossia, a progredire seriamente nel processo di rinnovamento già indicato da anni. Bisognerà, poi, che la comunità ispettoriale e quella locale prendano sul serio il loro compito, programmino, valutino, rivedano con costanza quanto è stabilito al riguardo nelle deliberazioni capitolari.
Vediamo i tre aspetti indicati dal testo.
— La comunità come «segno di fede» esige un serio ripensamento dell’autenticità della propria testimonianza evangelica. La condizione di fondo è qui: lavorare e vivere insieme come gruppo di «credenti» con stile salesiano, che proclamano esistenzialmente il mistero di Cristo Buon Pastore vivendo la Regola di Don Bosco. La comunità stessa diviene «fede-segno» in quanto i suoi membri esprimono con gioia e costanza nella vita quotidiana i valori della spiritualità salesiana tutta rivolta ai giovani.
Il testo insiste specialmente sulla cura dell’«interiorità apostolica».100 Abbiamo considerato più d’una volta gli elementi vitali che la compongono. Ultimamente don Rinaldi ci si è presentato come l’«autorevole interprete della nostra interiorità apostolica»;101 converrà rileggerne il messaggio. Là troveremo che la spiritualità salesiana ha come sorgente e valore supremo l’unione con Dio; «l’impegno apostolico dinamico e creativo sgorga costantemente dall’ardore della carità verso Dio: di lì procede la famosa “grazia di unità” della nostra carità pastorale!».
Ricordiamo i tre elementi ivi indicati: «il respiro per le anime (il bel commento al “da mihi animas”), il lavoro apostolico indefesso, e la fedeltà quotidiana alla preghiera».102 Sono elementi che dovranno entrare nei contenuti dei programmi di formazione permanente in risposta alle sfide, se vogliamo proprio divenire «segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani, specialmente ai più poveri».103 Saremo così degli uomini e delle comunità «spirituali», capaci di suscitare e animare con attualità una concreta spiritualità giovanile salesiana.
— La comunità come «scuola di fede» è quella che «fa della missione la sua ragion d’essere e di operare».104 Qui entra in gioco la dimensione pedagogica dell’attività comunitaria. Per essere educatori validi c’è da includere nell’interiorità apostolica una maggior conoscenza e presenza del mondo dei giovani; è questo un aspetto caratterizzante ogni nostra attività, che deve essere simultaneamente spirituale, pastorale e pedagogica.
«Si tratta di operare un vero salto di qualità, un ritorno ai giovani con rinnovata sensibilità pastorale e con più spiccata competenza educativa».105 Per individuare e guidare con efficacia i suoi sforzi in questo senso, la comunità dovrà elaborare, applicare, rivedere e aggiornare attentamente il suo «Progetto educativo pastorale», prendendo in conto il cammino di fede proposto dal CG23 e traducendolo in itinerari concreti, adeguati al tipo di gioventù e al contesto dell’opera.
Per essere «scuola di fede» oggi è indispensabile unire insieme l’«essere segni» con l’«essere amici», avere fuoco nel cuore e sacrificio nel dono di sé, esercitarsi simultaneamente nell’unione con Dio e nel coltivare l’esperienza diretta del mondo dei giovani, con «ascolto delle loro domande e aspirazioni, acquisizione della loro cultura e del loro linguaggio, e disponibilità a condividere esperienze e progetti pensati non soltanto per loro, ma anche e soprattutto con loro».106 Non si tratta di indebolire il «segno», ma di renderlo pedagogicamente significativo. Se non si ha significatività pastorale e pedagogica nel territorio e nella Chiesa, la nostra presenza non potrà essere considerata «scuola di fede».
Ma è anche indispensabile, per essere veramente tale, che la comunità divenga esperienza viva di Chiesa, e, in concreto, della Chiesa locale (parrocchia, diocesi, conferenza episcopale); perciò «deve inserirsi con chiarezza nei progetti e proposte di pastorale giovanile nella Chiesa locale. Da essa deve imparare a ricevere stimoli, ma anche a comunicare esperienze».107
Per questo le deliberazioni capitolari ricordano varie responsabilità sia alla Comunità ispettoriale che a quella locale. Solo in una comunità «scuola di fede» potrà fiorire una educazione che sia «pedagogia di santità».
— La comunità come «centro di comunione e partecipazione» si riferisce tanto alla più ampia comunità educativa, quanto ai vari Gruppi della Famiglia Salesiana.
«La comunità — dice il testo —, in forza della sua vita consacrata, diventa centro di comunione e partecipazione, capace di radunare e stimolare coloro che lo Spirito chiama a lavorare per i giovani».108
Ecco una prospettiva lanciata dai Capitoli Generali anteriori che ha urgente bisogno di essere realizzata con una più condivisa volontà, con maggior efficacia e dedicazione. Le deliberazioni capitolari sono chiare e cogenti. Il non metterle in pratica sarebbe segno di incapacità, o di disattenzione, o di comodismo, ossia, in definitiva, di mancanza di spiritualità salesiana. Sarebbe triste assistere al declino di alcune nostre presenze per mancanza di fuoco nel cuore dei confratelli. L’«uomo spirituale» è possibile in tutte le età e in tutte le condizioni di vita; il «cuore oratoriano» è condizione salesiana dalla prima professione fino all’ultimo respiro.
Il punto forte di questo terzo impegno comunitario è, secondo il testo capitolare, quello del coinvolgimento dei laici. Il termine «laici» è ampio e non si applica allo stesso modo a tutti. Nella nostra esperienza ne distinguiamo differenti gruppi: quello dei «Cooperatori» (per vivere in pienezza la vocazione cristiana), quello degli «Exallievi» (più vincolati all’aspetto culturale educativo), quello dei «Collaboratori» (che include anche persone dei due gruppi anteriori, ma che può essere più ampio), quello dei «Membri della comunità educativa» (tra cui soprattutto i genitori dei giovani nostri destinatari, oltre a tutti coloro che si dedicano con noi al loro servizio).
Il coinvolgimento e la valorizzazione dei laici esige nei confratelli la capacità di stabilire con loro rapporti di corresponsabilità matura, secondo la natura dei gruppi. Non è cosa facile; comporta un profondo cambio di mentalità e una adeguata modalità di tratto e di relazioni. Ma, soprattutto, esige di saper intraprendere con loro «un serio cammino di formazione. Le esperienze fatte finora garantiscono, pur con alcune difficoltà, risultati soddisfacenti».109
Ecco, allora, un campo assai concreto di novità d’impegno per la spiritualità salesiana, così aperta e in consonanza con tutte le condizioni laicali. Quindi tra le priorità da programmare ci sarà quella della formazione dei laici!
Il Capitolo ricorda, più avanti, anche l’importanza dell’organicità nell’operare, l’urgenza dell’impegno vocazionale, gli appelli della comunicazione sociale, e presenta inoltre alcuni orientamenti operativi per situazioni particolari. Sono tutte indicazioni assai concrete affinché la comunità divenga protagonista di nuova evangelizzazione tra i giovani. Il gran segreto per muovere il tutto è sempre la spiritualità salesiana, testimoniata dalla comunità come «segno di fede», come «scuola di fede» e come «centro di comunione e partecipazione».
Cari Ispettori, cari Direttori e Confratelli tutti, mettiamoci di buona volontà a fare subito qualcosa di più.
Sotto la guida dell’Ausiliatrice,
Stella della nuova evangelizzazione
Prima di concludere mi sembra assai utile, e per noi particolarmente gradito, aggiungere ancora una riflessione: circa la dimensione mariana della nostra spiritualità. Di essa, come dicevo, parla in varie parti il testo capitolare.
La spiritualità salesiana è fortemente mariana; come d’altronde lo è ogni spiritualità.
Il Papa ha auspicato che l’Ausiliatrice sia per la nostra Famiglia «la Stella della nuova evangelizzazione».110 Guarderemo, dunque, a questa Stella e ci lasceremo condurre da Lei quale nostra «Maestra e Guida».
Abbiamo visto che l’elemento fondamentale e vitalizzante di ogni spiritualità è la radicazione nello Spirito Santo. Orbene: Maria, dopo Cristo, è l’espressione più alta di quanto lo Spirito Santo opera nella storia della salvezza: Essa è il capolavoro dello Spirito. Quanto più si guarda a Maria tanto più si può capire e tanto meglio si può partecipare alla presenza vivificante dello Spirito Santo.
Dal Vaticano II in poi si è cercato di approfondire sempre di più il rapporto «Spirito Santo-Maria». Il Papa Paolo VI nella Marialis cultus ha sottolineato la fecondità quest’ottica: «Da tale approfondimento — afferma — emergerà, in particolare, l’arcano rapporto tra lo Spirito di Dio e la Vergine di Nazaret e la loro azione sulla Chiesa».111
È facile osservare che tutta l’esistenza di Maria è «segnata» dallo Spirito Santo così da essere considerata Sua «Icona», o, come dice la Lumen gentium, (nel testo latino) «Sacrario» dello Spirito Santo,112 ossia la parte centrale, segreta e riservata, del tempio; da lì è portatrice per tutti di Spirito Santo. Lo indicano anche i titoli che il Concilio le riconosce di «Avvocata, Ausiliatrice, Soccorritrice, Mediatrice»,113 che proclamano in Lei una interessante e speciale sintonia con l’opera vivificante dell’«altro Paraclito». Maria è capolavoro, immagine e portatrice dello Spirito Santo perché da Lui pienamente «plasmata e resa nuova creatura»:114
— nel Concepimento è «Immacolata»: l’inizio della nuova creazione, piena di grazia;
— nell’Annunciazione è «Vergine-Madre»: l’Arca viva della nuova Alleanza;
— nella Visitazione è «Sapienza profetica»: la Credente che legge il libro della storia;
— a Natale è «Compimento della Promessa»: la Generatrice del Cristo-Messia;
— sul Calvario è «Madre degli uomini»: la nuova Eva dell’umanità redenta;
— a Pentecoste è «Regina degli Apostoli»: la grande Orante a favore della Chiesa;
— nell’Assunzione è «l’Ausiliatrice di tutti»: l’Interceditrice escatologica di salvezza.
Tanta grandezza e bellezza è in Lei opera dello Spirito Santo; posta all’incrocio dei due Testamenti, Ella è la «Figlia di Sion», l’«Icona del Mistero» e il Modello della Chiesa, talmente vincolata con lo Spirito da rimanere indissolubilmente associata alle Sue iniziative di salvezza, implorando per tutti la Sua presenza ed accompagnandone maternamente i doni (pensiamo alla storia del nostro carisma); per questo brilla costantemente nei secoli come Stella dell’evangelizzazione.115
In Lei troviamo il prototipo di ogni spiritualità; infatti — dice il Concilio — Maria, «abbracciando con tutto l’animo, e senza essere ritardata da alcun peccato, la volontà divina di salvezza, si è offerta totalmente come la serva del Signore alla persona e all’opera del Figlio suo, mettendosi al servizio del mistero della redenzione sotto di Lui e con Lui, con la grazia di Dio onnipotente».116
Questa sua peculiare spiritualità la possiamo cogliere nel cantico profetico del «Magnificat»,117 in cui Maria si proclama piena di gioia, al di sopra delle sue debolezze, convinta della misericordiosa forza di Dio, che ci vuol bene e guarda a noi per fare grandi cose, dando così continuamente prova della Sua potenza, perché rovescia le difficoltà e dà risposta alle sfide; Egli è sempre fedele verso il suo Popolo e, secondo la promessa, lo porta in definitiva alla vittoria.
Il Magnificat è davvero l’inno della spiritualità cristiana per ogni nuova evangelizzazione, espressione di entusiasmo perché sguardo acuto di fede, proposito sicuro di speranza, inno immortale di amore salvifico.
Auspicio finale
Permettetemi, cari confratelli, di riportare qui, come conclusione, quanto ho suggerito ai capitolari alla chiusura del CG23: La nostra Congregazione si è affidata solennemente a Maria il 14 gennaio 1984, all’inizio del CG22. Le Costituzioni dicono che tale affidamento ci aiuta a «diventare tra i giovani testimoni dell’amore inesauribile del suo Figlio».118
Affidiamo a Lei il proposito di procedere nel cammino della fede intensificando la cura e l’approfondimento della spiritualità salesiana di Don Bosco. Chiediamo a Lei che ci aiuti a condividere con i giovani quel magnifico «patrimonio spirituale» collocato nell’orbita dell’umanesimo cristiano di S. Francesco di Sales e ritradotto e collaudato magistralmente dal nostro Padre a favore della gioventù popolare. Maria stessa ha guidato il nostro Fondatore nell’originalità di questa esperienza educativa e gli ha insegnato a portare i giovani alla santità. Come materna risposta al nostro affidamento, ci aspettiamo dall’intercessione di Maria il dono della pienezza dello Spirito Santo che ci assicuri un cuore veramente oratoriano per essere nel mondo validi educatori dei giovani alla fede.119
Radicati nella potenza dello Spirito, più in là di ogni diffidenza che possa nascere dalle difficoltà circostanti o dalle nostre limitazioni, viviamo con gioia la spiritualità salesiana per la nuova evangelizzazione, proclamando con i fatti al mondo le ragioni della nostra speranza.120
A tutti auguro un sincero impegno, personale e comunitario, per l’applicazione del CG23: sarà la nostra miglior preparazione all’avvento del terzo-millennio.
Con affetto in Don Bosco,
D. Egidio Viganò
NOTE LETTERA 45
1 ACG n. 331
2 cf. La vita interiore di Don Bosco, Strenna 1981, commento del Rettor Maggiore
6 cf. CG23, Educare i giovani alla fede: Documenti Capitolari, Ed. SDB, Roma 1990, 1-14
08 CG23 313
10 Strenna 1990, commento del Rettor Maggiore
11 CG23 326
12 La Società di S. Francesco di Sales nel sessennio 1984-1990: Relazione del Rettor Maggiore al CG23, Roma, febbraio 1990, p. 272
13 CG23 348
14 CG23 349
15 Schemi precapitolari 536; per la radiografia dei CI cf. 213-244
17 CG23 91
18 ChL 46
19 cf. GS 19
20 CG23 117
21 CG23 120
22 CG23 75
23 ib. 87
24 CG23 158
25 ib. 89-93
26 ib. 158
27 Rm 8, 4-5
28 ANDRÉ FROSSARD, Dieu existe, je l’ai rencontré - Fayard, Paris 1969
29 CG23 334
30 J. DANIÉLOU, citato in CONGAR, Credo nello Spirito Santo, I, pag.18, Queriniana 1981
31 1 Re 19, 11-14
32 Sal 107, 14
33 cf. MB V, 9
37 SAN GIOVANNI BOSCO, Scritti pedagogici e spirituali, a c. di AA.VV., pag. 315 - LAS Roma 1987
38 cf. Indice analitico delle MB
39 CG23 158
40 cf. ChL 56
42 Lettere circolari di don Paolo Albera, pag. 552-553 - Torino, Direzione Generale, 1965
43 Oeuvres de Saint François de Sales. édition compléte, Monastère de la Visitation, Annecy, tome III (1893), Introduction à la Vie Dévote, Première Partie, ch. I, pag. 13-16 passim
44 ib. ch. II, pag. 16-19 passim
45 ib. ch. III, pag. 19-20
46 GIORGIO PAPÀSOGLI, Come piace a Dio, pag. 366 - Città Nuova Ed., 1981
47 cf. J. PICCA e J. STRUS, San Francesco di Sales e i Salesiani di Don Bosco - LAS Roma 1986
48 Oeuvres..., o.c., tome V (1894), Traité de l’Amour de Dieu, vol. II, Livre X, ch. I, p. 165
49 G. BARBERIS, Vita di S. Francesco di Sales: libri quattro proposti alla gioventù, I, 5 - Torino, Libreria salesiana, 1902
50 GIOVANNI XXIII, Il Giornale dell’Anima, pag. 201 - Ed. Paoline, 1989
51 CG23 92
52 ib. 158
53 Bollettino Salesiano, Don Bosco alla scuola di S. Francesco di Sales, agosto 1967, 1-4
55 IP 13
56 Il manuale dal titolo Pratiche di pietà in uso nelle case salesiane fu fatto pubblicare da don Albera solo nel 1916
58 cf. Cost 1-3 e 10-21
59 cf. CG23 158-180
60 cf. ib. 158
61 CG23 171-172
62 cf. ib. 161
63 ib. 157, 177
64 cf. ib. 120-156
65 Cost 20; cf. CG23 326 e 350
66 CG23 221
68 CG23 217
69 ib. 103, 112, 113, 118, 130, 131, 132 e passim
72 cf. ACG n. 326, «Studia di farti amare»
73 CG23 97
74 ib. 99
75 ib. 100
76 ib. 94, 95, 102, 104, 106, 108, ecc.
78 CG23 94
80 CG23 95
82 CG23 140 ss, 169 ss, 222, 226
85 CG23 172
87 CG23 152, 165, 166
92 CG23 157 e 177
93 cf ACG n. 331
94 CG23 4
95 ib. 216
96 ib. 217
97 ib. 218
098 CG23 220
099 ib. 215
100 ib. 221
101 ACG 332, pag. 37 ss
102 ib. pag. 38 ss
104 CG23 217
105 ib. 225
106 ib. 225
107 CG23 226
108 ib. 218
109 CG23 233
110 ib. 335
113 ib. 62
114 ib. 56
115 cf. EN 82
116 LG 56
117 cf. Lc 1, 46-55
119 CG23 357
120 cf. 1 Pt 3, 15