LETTERA DEL RETTOR MAGGIORE
PASCUAL CHÁVEZ
ACG 390 ‘05
“CON IL CORAGGIO DI DON BOSCO NELLE NUOVE FRONTIERE DELLA COMUNICAZIONE SOCIALE”
Introduzione. 1. Approccio storico. Impegno di fedeltà. Valorizzazione della nostra memoria storica. Una nuova mentalità. Una conversione culturale. Urgenza della formazione dei salesiani. Risposta organizzativa e istituzionale. Ulteriori spinte al nostro cammino. 2. Sfide provenienti dalla comunicazione sociale. Sviluppo tecnologico. Novità mediatiche a livello tecnico e strutturale. Caratteristiche della nuova cultura digitale. Alcune sfide in prospettiva educativa. Alcune sfide in prospettiva istituzionale. 3. Orientamenti operativi. 3.1. Cambio di strategia. 3.2. Strumenti di lavoro. 3.2.1. Lettera di Don Vecchi sulla comunicazione sociale. 3.2.2. Sistema Salesiano di Comunicazione Sociale. 3.2.3. Orientamenti per la formazione dei Salesiani in comunicazione sociale. 4. Conclusione.
Roma, 24 giugno 2005
Natività di S. Giovanni Battista
ACG
390
Carissimi Confratelli,
vi scrivo dopo
la solennità di Maria Ausiliatrice, che ho vissuta a Valdocco, dove
insieme a numerosi partecipanti ho inaugurato, prima con una
Concelebrazione Eucaristica, poi con un atto culturale, i restauri
della Basilica finora realizzati. Adesso, nella parte rinnovata, la
Basilica è tutta splendente di luce e di colori; molti di noi mai
avevano potuto vedere tanta bellezza, che gli anni avevano logorato
nella struttura e nella decorazione. Come già ho fatto durante le
celebrazioni di Torino, questa lettera mi offre l’opportunità per
ringraziare tutte le Ispettorie, la Famiglia Salesiana e le
Istituzioni civili, così come le comunità, i numerosi devoti e i
benefattori, che hanno voluto manifestare l’amore a Maria con il
loro contributo economico.
Nel periodo trascorso dopo
l’ultima mia lettera circolare, ho avuto numerosi impegni; in
particolare si sono svolte alcune Visite d’Insieme. Soprattutto
abbiamo vissuto due avvenimenti di portata mondiale, che meritano un
commento: la malattia, la morte, i funerali di Giovanni Paolo II e il
conclave, l’elezione, l’inaugurazione del pontificato di
Benedetto XVI.
Nella testimonianza che ho scritta il
giorno prima della morte di Giovanni
Paolo II ho espresso con riconoscenza
ed ammirazione alcuni tratti che, a mio avviso, hanno fatto di Papa
Wojtyła, una delle figure più importanti del secolo XX e uno dei
pontefici più grandi, al punto da essere già chiamato con
l’appellativo di “Magno”. La sua morte ha suscitato un
coinvolgimento di tantissime persone, che ha superato ogni
aspettativa. Non sono stati i media a produrre tale fenomeno, ma essi
lo hanno reso notizia. Un’autentica fiumana di uomini e donne, di
tutte le parti del mondo, di diverse confessioni, classi sociali,
età, ha riempito Piazza San Pietro e le strade adiacenti in una
inimmaginabile attestazione di stupore, di riconoscenza, di fede, di
Chiesa. A questo si devono aggiungere i milioni di persone che in
tutte le parti del mondo si sono radunate per le celebrazioni e che
hanno seguito i vari avvenimenti attraverso i media.
È
paradossale che sia stata la morte di Giovanni Paolo II a rendere
palese la sua grandezza di uomo, di credente, di pastore. Quanto
disse ai giovani alla fine della sua vita – stando alla parola del
suo segretario personale, che gli avrebbe riferito che Piazza San
Pietro era ricolma di giovani – potrebbe essere valido per
tutti: «Sono andato a trovarvi in tutte le parti del mondo. Oggi voi
venite a trovarmi e ve ne ringrazio».
Sembrava che la
fragilità fisica e la malattia, che lo hanno privato della parola,
ma non hanno piegato la sua ferrea volontà di portare a compimento
la missione che il Signore gli aveva affidata, lo facessero più
bello, più attraente, più eloquente. Al proposito mi vengono alla
mente le parole di Paolo ai Corinzi: «Sappiamo infatti che quando
verrà disfatto questo corpo, nostra abitazione sulla terra,
riceveremo un’abitazione da Dio, una dimora eterna, non costruita
da mani di uomo, nei cieli»; «in realtà quanti siamo in questo
corpo, sospiriamo come sotto un peso, non volendo venire spogliati ma
sopravestiti, perché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita»
(2 Cor 5,
1.4).
Ora egli vive in pienezza accanto a Dio. A noi non
lascia soltanto una memoria, carica di ricordi, ma un testamento
spirituale, quello della sua testimonianza di amore sino alla fine al
Signore Gesù, alla Chiesa, all’uomo. A noi e ai giovani in
particolare lascia quel messaggio, che abbiamo fatto programma di
animazione e governo del sessennio: “Cari salesiani, siate santi!”.
Nei giorni della sede vacante la Chiesa ha intensificato
la sua preghiera. Come al solito il Conclave ha sollevato molte
aspettative. Ciò è naturale; ma questa volta l’attesa è stata
più che mai grande, anche per la presenza massiccia dei media e per
il loro influsso attraverso giornali, riviste, reti televisive,
internet. La comunicazione mediatica giungeva persino a indicare il
programma, le priorità e l’agenda del nuovo Papa. In clima di
orazione e discernimento i cardinali partecipanti hanno eletto colui
che il Signore aveva prescelto, il Card. Josef Ratzinger, che ha
preso il nome programmatico di Benedetto
XVI.
I suoi primi
interventi, in particolare l’omelia di inaugurazione del
pontificato, ci hanno fatto vedere un Papa di mente preclara, con una
profonda formazione umanistica ed una vasta preparazione teologica e
culturale, che preferisce l’essenzialità alla retorica, ma
soprattutto hanno evidenziato l’uomo e il credente. Non meraviglia
dunque che non abbia sentito “il bisogno di presentare un programma
di governo” e che la sua scelta fondamentale sia stata quella di
mettersi “in ascolto della parola e della volontà del Signore” e
lasciarsi guidare da Lui, “cosicché sia Egli stesso a guidare la
Chiesa in questa ora della nostra storia”
[1] .
Tuttavia,
spiegando i segni che caratterizzano il ministero petrino, il pallio
e l’anello, egli ha tracciato con chiarezza le sfide: “condurre
gli uomini fuori dal deserto – il deserto della povertà, della
fame e della sete, dell’abbandono, della solitudine, dell’amore
distrutto, dell’oscurità di Dio, dello svuotamento delle anime
senza più coscienza della dignità e del cammino dell’uomo –
verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio,
verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza”; e “portare
gli uomini - con la rete del Vangelo – fuori dal mare salato di
tutte le alienazioni verso la terra della vita, verso la luce di
Dio”. È il ministero del pastore e del pescatore. Se questo è il
compito che il Papa si sente chiamato a svolgere nella Chiesa, a
tutti ha ricordato l’appello di Giovanni Paolo II, rivolto 26 anni
fa: “Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo!”; ed ha aggiunto:
“Chi fa entrare Cristo, non perde nulla, nulla, assolutamente
nulla, di ciò che rende la vita libera, bella e grande”.
Oggi
mentre diamo il benvenuto al Papa Benedetto XVI, lo accogliamo con
affetto e accompagniamo il suo ministero con la preghiera, come
farebbe Don Bosco, e gli promettiamo fedeltà e collaborazione.
Ed
ora vengo al tema della lettera
circolare: “Con il coraggio di Don
Bosco nelle nuove frontiere della comunicazione sociale”.
Qualcuno si domanderà che cosa c’entri una circolare sulla
comunicazione sociale con le riflessioni e stimoli che ho portato
avanti finora con le mie lettere. Mi hanno indotto a questa scelta
varie ragioni. La prima, più sostanziale, risiede nel fatto che la
comunicazione sociale è uno dei campi prioritari della missione
salesiana (cf. Cost. 6); essa è di tale importanza che finalmente
l’ultimo Capitolo Generale ha deciso di eleggere un Consigliere
generale solo per questa dimensione. Il secondo motivo, più
occasionale, è la ricorrenza del 120° anniversario della lettera di
Don Bosco del 19 marzo 1885 sulla “Diffusione
dei buoni libri”,
[2] vero manifesto della
comunicazione sociale per la Congregazione. L’ultima ragione, più
programmatica, è la Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II Il
Rapido Sviluppo, pubblicata il 24
gennaio 2005 per ricordare il Decreto del Concilio Ecumenico Vaticano
II Inter Mirifica,
che era stato promulgato da Paolo VI poco più di quarant’anni fa.
Ebbene, questo insieme di fattori mi ha convinto dell’opportunità
di scrivere su questo tema.
Prendendo spunto da quanto ho
scritto nelle lettere precedenti, potrei ancora aggiungere: A poco
servirebbe una santità che non è testimoniata, visibile e
leggibile. Sarebbe pressoché inutile una vita consacrata salesiana
che non riesca ad essere comunicata e proposta ad altri. Persino
l’incontro con il Cristo di Don Bosco diventerebbe irrilevante se
questa esperienza non fosse conosciuta, non si rendesse pubblica.
Infine, l’ascolto di Dio è autentico se si trasforma in
testimonianza, perché ogni annunciazione è apportatrice di una
vocazione da vivere e di una missione da svolgere.
Ricordando
la lettera di Don Bosco ai salesiani sulla buona stampa, vogliamo
richiamare alla mente e far risuonare nel cuore l’accorato appello
con cui il nostro Padre ci affida una “parte importantissima della
nostra missione”, “uno dei fini principali della nostra
congregazione”, “una fra le precipue imprese” che gli affidò
la Divina Provvidenza, uno dei mezzi migliori, anzi un mezzo “divino”
per rendere fruttuoso il nostro ministero.
In questo
autentico “testamento” dettato dal suo spirito pastorale, Don
Bosco vuole suscitare la nostra consapevolezza circa la
irrinunciabilità dell’impegno nella comunicazione sociale per il
compimento della missione salesiana. Il linguaggio che egli usa non
lascia adito a dubbi e ad interpretazioni riduttive. Ci parla di
“parte importantissima”, di “fine principale”, di “precipua
impresa”. L’aspetto più sorprendente, tuttavia, è proprio la
chiarezza della sua comprensione della portata della comunicazione
sociale nei processi di rinnovamento del suo tempo e la sua scelta
geniale di essere dentro questo processo innovatore. In tal modo egli
può dare nutrimento culturale ai giovani e ai ceti popolari, che più
degli altri rischiano di essere travolti dal nuovo. Fare opera
culturale, offrire strumenti validi di conoscenza e di formazione,
dare occasioni di svago, sono allo stesso tempo modi per realizzare
una efficace educazione ed evangelizzazione e per coinvolgere gli
stessi giovani come apostoli nella diffusione dei buoni libri.
1.
APPROCCIO STORICO
Impegno di fedeltà
Stando allo spirito di quanto scrive, alla passione per la salvezza
dei giovani che sempre lo ha sospinto, 120 anni fa Don Bosco non ci
ha affidato solo la “diffusione dei buoni libri”; ci ha
richiamato a una “fedeltà” che dobbiamo saper interpretare e
rendere “coordinata” e “completa in tutte le sue parti”, nel
nostro tempo e in ogni contesto, per la realizzazione efficace della
missione salesiana. Non possiamo educare, non possiamo cooperare alla
realizzazione del Regno di Dio senza un impegno serio per la
diffusione della cultura cristianamente
ispirata fra i giovani e il popolo.
Occorre trovare modi efficaci per seminare e far lievitare “un
pensiero di Dio” tra coloro che sono aggrediti da “empietà ed
eresia”.
La genialità del suo impegno per la stampa
viene espressa dalla strategia di formare “un sistema ordinato”
con le pubblicazioni. Per Don Bosco questo significa non trascurare
nessuno e nessun aspetto della vita: trarre alla virtù con letture
edificanti, instillare lo spirito di pietà, preservare dall’errore,
accompagnare nelle ore serene, fare dei giovinetti dei salvatori di
altri giovinetti.
Nella lettera troviamo ben precisate le
scelte operative fatte da Don Bosco nel campo della stampa, e
sappiamo quanto ci tenesse ad essere, in questo ambito, “sempre
all’avanguardia del progresso”. A noi chiede di impegnarci per
“coordinare” questo suo progetto perché divenga “completo in
tutte le sue parti”. Si tratta di un compito impegnativo, che
dobbiamo essere in grado di interpretare con genialità e di rendere
efficace, secondo le esigenze dei tempi e dei luoghi ove operiamo.
Questo è ciò che la Congregazione ha cercato di fare in
fedeltà al nostro Padre, ed è ciò che anche noi oggi siamo
chiamati a realizzare con capacità creativa ed efficacia operativa,
proprio alla luce della circolare del 1885 che ha sempre orientato
l’azione educativa e pastorale salesiana e che è stata definita
dal CGS la “magna
charta
dell’azione salesiana in questo settore” (CGS
450).
In alcuni momenti il nostro atteggiamento è stato
piuttosto difensivo; si è cercato di proteggere dal danno che
potevano arrecare i mezzi di comunicazione; era più una lotta contro
tali mezzi che un impegno per la loro valorizzazione. Questo,
tuttavia, non ha impedito da parte di Rettori Maggiori lungimiranti e
coraggiosi di impiantare editrici che hanno consentito di dare
continuità all’opera di Don Bosco: basti pensare alla fondazione
della SEI da parte di Don Rinaldi e della LDC da parte di Don
Ricaldone. La loro preoccupazione non fu solo quella di avviare
editrici, ma anche di “preparare scrittori, formare tecnici,
perfezionare e moltiplicare le nostre tipografie e librerie”; e
questo avvenne in tutta la Congregazione e non solo in
Italia.
Valorizzazione
della nostra memoria storica La
primavera conciliare e gli stimoli del decreto Inter
Mirifica, approvato il 4 dicembre 1963,
portarono a riflettere nel Capitolo
Generale 19 del 1965 sugli strumenti di
comunicazione sociale, la loro importanza nel nostro apostolato, il
loro uso e funzionamento. Si vide pure la necessità di preparare
salesiani e laici specializzati, per poter valorizzare al meglio le
produzioni in questo campo, per realizzare una pastorale giovanile e
popolare più efficace, per poter collaborare con istituzioni,
associazioni ed enti di comunicazione sociale (cf. CG19,
p. 171). Nel Capitolo Generale del 1965, quarant’anni fa, apparve
comunque evidente la non piena consapevolezza dell’impegno che
l’uso di tali mezzi comportava e si evidenziò soprattutto la
mancanza di personale qualificato. Sulla scia del decreto conciliare
si ebbe dunque una duplice presa di coscienza circa l’enorme
importanza degli strumenti di comunicazione sociale e la necessità
di persone qualificate per la loro valorizzazione a livello educativo
e pastorale. A partire da allora si è fatta molta strada, anche se
talvolta le dichiarazioni sono state più audaci delle realizzazioni.
Il Capitolo Generale
Speciale 20 del 1971-72, alla luce
anche delle nuove indicazioni ecclesiali della Communio
et Progressio che presentano una
visione positiva della nuova era dei media, sottolinea l’importanza
dello straordinario fenomeno degli strumenti di comunicazione sociale
ed evidenzia la loro grande incidenza nella storia e nella vita
dell’uomo. Per evitare di soccombere di fronte al dominio smisurato
che esercitano sulle persone, il Capitolo richiede di fare un lavoro
significativo a livello culturale ed educativo. Occorre aiutare i
giovani ad essere consapevoli e a liberarsi dai condizionamenti,
perché siano in grado di scelte libere e responsabili. Si tratta di
fare un cammino con i giovani perché maturino scelte sviluppando,
anche in riferimento agli strumenti di comunicazione sociale, talenti
individuali (CGS n.
458).
La nuova prospettiva di interpretazione e di
comprensione, la riflessione attenta sull’insegnamento ecclesiale,
l’esperienza e le raccomandazioni di Don Bosco nella circolare del
1885 sono alla base degli orientamenti presenti nelle Costituzioni
rinnovate, che giungono alla loro definitiva approvazione nel
Capitolo Generale 22
del 1984. Secondo il nuovo dettato costituzionale, la comunicazione
sociale diventa una via privilegiata per la nostra missione di
“educatori della fede in ambienti popolari” (Cost. 6). L’articolo
43 poi, recuperando la riflessione approfondita nel CG21, indica la
comunicazione sociale come “campo di azione significativo che
rientra tra le priorità apostoliche della missione salesiana”.
Il Capitolo Generale 21 del
1978 aveva già riconosciuto e sottolineato la portata della
comunicazione sociale (n. 148). Nelle Costituzioni rinnovate,
ispirate anche alla riflessione ecclesiale della Evangelii
Nuntiandi (n. 45), si riafferma in modo
efficace e fedele l’accorato appello di Don Bosco e si riconsegna
alla Congregazione “un campo di azione” di straordinaria
efficacia, a servizio dell’educazione e dell’evangelizzazione.
Essa non è più solo “veicolo” o “insieme di strumenti”, non
solo attività apostolica particolare o ambito della stessa, ma
anche “via maestra da percorrere per realizzare con pienezza
il nostro compito di educatori - pastori - comunicatori”
[3] .
In
questo percorso realizzato dalla Congregazione verso la
riaffermazione di quanto il nostro padre Don Bosco aveva
profeticamente preannunciato e realizzato, non possiamo dimenticare
due documenti che hanno contribuito notevolmente ad arricchire di
attenzione e di positive realizzazioni il cammino: si tratta dei due
scritti di Don Viganò e di Don Vecchi sulla comunicazione sociale.
Già il Rettor Maggiore Don Luigi Ricceri, in occasione
del centenario di fondazione del Bollettino Salesiano, nel 1977 aveva
scritto una lettera sul significato e l’importanza
dell’informazione salesiana: Le
notizie di famiglia. In essa richiamava
la necessità dell’impegno nel campo dell’informazione e in tutto
ciò che si riferisce alla comunicazione sociale. La cura per la
diffusione delle notizie di famiglia serve a coltivare il senso di
appartenenza, a “sentire la gioia di essere figli di Don Bosco” e
a far conoscer le cose che si fanno per creare un’immagine positiva
e accrescere, come diceva Don Bosco, il numero dei benefattori
dell’umanità. Ma sono soprattutto la lettera di Don Viganò e
quella di Don Vecchi sulla comunicazione sociale che hanno dato
spinta, profondità e organicità alla riflessione e alle
realizzazioni in tale campo. Nel frattempo anche il CG23 e il CG24
davano a tale proposito un loro notevole contributo.
Una
nuova mentalità La lettera di Don
Egidio Viganò del 1981, La
comunicazione sociale ci interpella,
[4] interpreta il
significato della lunga riflessione del CG21 e pone forti
provocazioni all’azione dei salesiani nel campo della comunicazione
sociale. Don Viganò invita i salesiani a un cambio
di mentalità nei confronti della
comunicazione sociale. Non possiamo valutarla senza immergerci dentro
la nuova realtà; non possiamo considerarla solo qualcosa da cui
difenderci; occorre conoscerla e soprattutto valorizzarla. Dobbiamo
divenirne sempre più consapevoli; occorre riconoscere la
comunicazione sociale come presenza educativa di massa, plasmatrice
di mentalità e creatrice di cultura. La nostra missione educativa ed
evangelizzatrice si radica necessariamente nell’area culturale;
pertanto dobbiamo essere attenti ai dinamismi dell’attuale
trasformazione culturale, per essere capaci di una presenza
significativa che ci consenta di diffondere i nostri modelli e
valori.
Il Capitolo Generale
23 del 1990 esprime piena
consapevolezza delle nuove condizioni sociali e culturali, in cui le
comunità salesiane si trovano a svolgere la loro missione. Entrati
in un mondo in cui le distanze si annullano per la facilità dei
trasporti e delle comunicazioni, in cui si diffondono e si fondono
tendenze culturali e modalità di vita, dobbiamo trovare capacità di
attenzione ai diversi contesti; si tratta di cogliere i problemi e di
saperli assumere per solidarizzare con la condizione giovanile (n.
17). Sui giovani, in particolare, influiscono notevolmente i
linguaggi e i modelli di vita proposti dalla comunicazione sociale.
Essi si muovono con naturalezza nell’uso di tali strumenti, anche
se tale uso è segnato da ambiguità (n. 63).
Per
accompagnare i giovani nella crescita e nel cammino di fede, per
entrare in sintonia con loro, bisogna trovare modalità nuove ed
efficaci di comunicazione. Come Don Bosco, dobbiamo essere capaci di
“imprese apostoliche originali per difendere e sostenere la fede”
(Cost. 43; cf. CG23,
256). A partire da queste situazioni ed esigenze, il Capitolo
evidenzia la necessità di un nuovo impegno di valorizzazione della
comunicazione sociale per l’educazione dei giovani alla fede.
Occorre differenziare gli interventi: a livello locale bisogna curare
la capacità di utilizzare la CS da parte delle comunità; a livello
ispettoriale è necessario un incaricato per la CS per accompagnare
le comunità; a livello centrale è importante l’animazione del
Consigliere per la CS per la formazione dei salesiani e l’avvio di
progetti in grado di rispondere alle esigenze attuali.
Una
conversione culturale
L’accentuazione e l’insistenza sull’importanza della
comunicazione nel Capitolo Generale 24
del 1996 sono legate certamente alla
nuova prospettiva della condivisione carismatica tra salesiani e
laici. Il coinvolgimento dei laici nello spirito e nella missione di
Don Bosco richiede un particolare impegno nella comunicazione per
maturare capacità di rapporti, una presenza attiva in mezzo ai
giovani, atteggiamenti culturali e spirituali indispensabili per una
comunicazione efficace. Non si tratta, tuttavia, solo di una
riflessione funzionale. È presente la consapevolezza della
situazione culturale e sociale in profondo cambiamento e della stessa
novità e incidenza dei mezzi di comunicazione; in questo campo i
laici possono dare un notevole contributo.
Per la piena
valorizzazione della comunicazione sociale si indicano iniziative ai
vari livelli che coniugano insieme le esigenze della formazione,
dell’organizzazione e dell’uso dei mezzi di comunicazione
sociale. Si insiste in modo particolare che ogni Ispettoria,
accompagnata dal Consigliere generale per la CS, dia vita a un piano
di comunicazione sociale. Lo stesso Rettor Maggiore insieme al suo
Consiglio è invitato a studiare “un piano operativo di
valorizzazione, promozione e coordinamento della comunicazione
sociale, campo di azione significativo che rientra tra le priorità
apostoliche della missione salesiana (Cost. 43)”.
[5]
A una
vera conversione culturale
invita la lettera del Rettor Maggiore Don Juan E. Vecchi del 8
dicembre 1999: La comunicazione nella
missione salesiana.
[6] La CS è pervasiva;
essa connota tutta la presenza salesiana; dobbiamo saper assumere
nuovi punti di vista, facendo attenzione soprattutto “alla capacità
comunicativa e coinvolgente del contesto sui valori tipici della
missione e della spiritualità salesiana” (p. 16). Lo spazio
offerto dalle tecniche moderne di comunicazione ci deve trovare
pronti ad inserirci al loro interno e ad apprezzare quanto ci
consentono a livello di informazione istantanea in tutto il mondo.
Don Vecchi invita a considerare che nuovi punti di vista
possono arricchire il nostro impegno a favore della comunicazione
sociale attraverso la collaborazione laicale e l’attenzione al
territorio. La collaborazione con i laici stimola infatti ad una
integrazione di vedute e di esperienze, che risultano efficaci nella
misura in cui sono frutto di vera reciprocità e sinergia.
L’attenzione al territorio inoltre chiede capacità di
comunicazione al di fuori della comunità religiosa e dei
collaboratori; stimola a domandarci come qualificare la presenza
salesiana nel territorio a livello di attenzione ai giovani e agli
emarginati; ci interroga su come rendere la comunità educativa
pastorale una presenza significativa, capace di coinvolgere e di
irradiare sensibilità nuove.
Urgenza
della formazione dei salesiani
Questa progressiva comprensione della portata e del significato della
comunicazione sociale ha anche fatto prendere coscienza della
necessità di una adeguata formazione da parte dei salesiani.
Il
documento del CG21, dopo la illuminante precisazione della rilevanza
e della valorizzazione della CS, presenta in modo severo la lettura
della situazione circa la formazione dei salesiani, parlando del
dilettantismo e pionierismo di singoli soggetti e della “preoccupante
scarsità di persone e di gruppi di salesiani capaci di elaborare,
attraverso i nuovi linguaggi della CS i contenuti e i messaggi di una
evangelizzazione adattata all’uomo del nostro tempo. Mancano o sono
assolutamente insufficienti i gruppi di riflessione, di ricerca, di
sperimentazione e di elaborazione fondati su serie basi scientifiche”
(CG21, n.
151).
Sulla necessità di formazione, studi, ricerca e
programmazione organica per dare un minimo di competenza ai
confratelli, insiste anche Don Viganò nella sua lettera. In questo
campo specifico della formazione la Congregazione ha fatto scelte
impegnative che trovano riscontro nell’attuale facoltà di Scienze
della Comunicazione Sociale dell’UPS. Si sono realizzate strutture
di animazione a livello centrale e ispettoriale; si sono moltiplicate
le iniziative; ci si è attrezzati di nuovi strumenti e canali di
comunicazione; ma non siamo ancora capaci di costruire un nuovo
areopago nei contesti concreti della nostra vita e della nostra
azione.
Dobbiamo ancora trovare il modo efficace di
confrontarci e di entrare nella nuova cultura, di riuscire a
integrare il nostro pensare e operare nei linguaggi e stili di
comunicazione, di aiutare a maturare una mentalità critica e
creativa nei confronti di messaggi, linguaggi, atteggiamenti,
comportamenti, ecc.
Nella sua lettera Don Vecchi, come già
Don Viganò, sottolinea la necessità di un cammino formativo
adeguato; se le nostre competenze non si evolvono con il cambiamento,
presto o tardi restiamo tagliati fuori. Si richiede
perciò:
-
una formazione di base:
si tratta di imparare a leggere e a valutare quello che tutti usiamo
abitualmente, cioè di formarsi per saper usare bene i nuovi mezzi ed
essere in grado di formare criticamente;
-
un secondo livello di formazione per gli
animatori e operatori educativi e pastorali:
essi devono essere in grado di integrare nelle scelte educative e
pastorali i criteri della comunicazione sociale; non è solo uso di
mezzi e capacità di uso; si tratta di un’opera di inculturazione,
di educazione e pastorale nella nuova cultura dei media ( ACG 370, p.
24);
- un
terzo livello di formazione per gli specialisti:
occorre preparare confratelli nel campo della CS, con un invito
formale a valorizzare la nostra facoltà universitaria.
Proprio
nella prospettiva di un’adeguata formazione, Don Vecchi offre anche
orientamenti pratici molto significativi e illuminanti a livello di
comunità (p. 29-37) e a livello di Ispettoria (p. 37-43).
Risposta
organizzativa e istituzionale
Certo, queste scelte per la comunicazione sociale, operate dai
Capitoli generali o dai Rettori Maggiori, non si sono ridotte alla
riflessione o alla dichiarazione di intenti, magari con delle
realizzazioni operative, ma si sono concretizzate in una risposta
sempre più organica e istituzionale.
Così nel CG22 del
1984 si è avviato il Dicastero della Comunicazione Sociale e si è
affidato il settore ad un membro del Consiglio Generale. Inoltre l’8
dicembre 1989 si è dato inizio all’Istituto di Comunicazione
Sociale presso la nostra Università Pontificia Salesiana, come
impegno connesso con il Centenario della morte di Don Bosco e come
attualizzazione del carisma del nostro caro Padre, che è stato un
grande educatore e comunicatore. Nel discorso di inaugurazione don
Egidio Viganò lo sottolineava: «Siamo convinti che con la creazione
dell’ISCOS – che si affianca ad altre istituzioni
cattoliche già benemerite o nascenti – stiamo giocando una carta
importante, anche se umile, per l’evangelizzazione e l’educazione
dei giovani e del popolo: aiutare a far crescere la capacità di
comunicare con modernità, di dialogare efficacemente con l’uomo
d’oggi».
[7]
Da questa
nuova fondazione la Congregazione si aspetta la formazione ad alto
livello degli educatori e dei comunicatori della Famiglia Salesiana e
la ricerca coraggiosa a tutto campo nella comunicazione sociale, con
attenzione alla teologia e pastorale della stessa comunicazione
sociale, allo studio delle teorie sociali dei media, alla
sperimentazione di metodi di educazione ai media, ai nuovi linguaggi
della catechesi e della comunicazione religiosa, alla produzione di
programmi religiosi ed educativi.
Oggi l’ISCOS è
diventato una facoltà; ciò comporta l’impegno della Congregazione
e della Famiglia Salesiana di preparare un personale adeguato al
nuovo compito. È evidente che il sostegno ad una facoltà di tanta
rilevanza richieda la collaborazione e la corresponsabilità di tutta
la Congregazione, cui qui faccio appello.
Nel CG23 si è
indicata la necessità di un delegato ispettoriale della
comunicazione sociale e nel CG24 si è sottolineata l’esigenza di
un piano ispettoriale di comunicazione sociale, insieme con quella di
rafforzare l’animazione ispettoriale con l’azione attenta del
delegato. Questi due orientamenti sono stati applicati bene, con
successo, in alcune Ispettorie; altre, invece, hanno qui una materia
pendente.
Il nostro recente CG25, considerando la
crescente importanza del settore della comunicazione nel contesto
dell’attività della Congregazione Salesiana, nello spirito dei già
citati articoli 6 e 43 delle Costituzioni, ha deciso di avere un
Consigliere generale dedicato esclusivamente alla Comunicazione
Sociale. A seguito del Capitolo, nel Progetto di animazione e governo
del Rettor Maggiore e del suo Consiglio, è stata data un’attenzione
puntuale a questo settore, indicando obiettivi, processi ed
interventi in quattro aree: la visione d’insieme, l’animazione e
formazione, l’informazione e le imprese.
Ulteriori
spinte al nostro cammino Il
richiamo alla “nuova mentalità” e alla “conversione culturale”
a cui ci hanno invitato i precedenti Rettori Maggiori, ci è venuto
ultimamente ancora dal Santo Padre Giovani Paolo II, il quale nella
già citata Lettera Apostolica del 24 gennaio 2005, Il
Rapido Sviluppo, ha sottolineato che
l’impegno della Chiesa oggi non consiste solo nell’usare i media,
ma richiede di “integrare il messaggio salvifico nella ‘nuova
cultura’ che i potenti strumenti della comunicazione creano e
amplificano” (RS
n. 2).
Questo significa senz’altro che l’utilizzo
delle tecniche e tecnologie attuali della comunicazione sociale fa
parte della missione della Chiesa in questa nostra era; tale uso
riguarda diversi campi di azione: l’informazione religiosa,
l’evangelizzazione, la catechesi, la formazione degli operatori del
settore, l’educazione.
Siamo consapevoli tuttavia che
oggi la comunicazione sociale non si riduce all’uso dei media;
difatti essa è diventata ormai una potentissima agenzia che propone
e veicola forme di vita e di comportamento personale, familiare e
sociale. Per questo non possiamo ignorare – ci dice il Papa –
che “tale cultura prima ancora che dai contenuti, nasce dal
fatto stesso che esistono nuovi modi di comunicare con tecniche e
linguaggi inediti” (RS n.
3). Nella nostra “epoca di comunicazione globale” l’esistenza
umana è chiamata a confrontarsi con i “processi mediatici”. Da
questo confronto nascono convergenze per la “formazione della
personalità e della coscienza, l’interpretazione e la
strutturazione dei legami affettivi, l’articolazione delle fasi
educative e formative, l’elaborazione e la diffusione di fenomeni
culturali, lo sviluppo della vita sociale, politica ed economica”
(n. 3).
Tutto ciò rappresenta una vera sfida,
soprattutto per quanti hanno responsabilità formative nei confronti
di fanciulli e giovani (n. 7). Anche per questo dobbiamo avvertire la
nostra responsabilità nel campo della comunicazione sociale, attuare
una “revisione pastorale e culturale così da essere in grado di
affrontare in modo adeguato il passaggio epocale che stiamo vivendo”
(n. 8).
Per essere in grado di assumere le responsabilità
nell’attuale cultura mediatica, il Papa ci invita ad una “vasta
opera formativa per far sì che i media
siano conosciuti e usati in modo consapevole e appropriato” (n.
11); a una “partecipazione
corresponsabile alla loro gestione”,
facendo appello a una “cultura della corresponsabilità” (n. 11);
a valorizzare ”le grandi potenzialità che i media hanno nel
favorire il dialogo, divenendo veicoli di reciproca conoscenza, di
solidarietà e di pace”. (n. 11).
Anche questo documento
ecclesiale, come è avvenuto nei decenni precedenti, è per noi uno
stimolo a cogliere il nuovo del nostro tempo e ad operare scelte con
la forza e lo spirito di Don Bosco oggi.
2.
SFIDE PROVENIENTI DALLA COMUNICAZIONE SOCIALE
Volendo
vivere in fedeltà a Don Bosco e al suo carisma ed assumere l’ultimo
appello di Giovanni Paolo II sulla comunicazione sociale, apparso
nella Lettera Apostolica Il rapido
sviluppo, vorrei condividere con voi le
sfide che la cultura mediatica ci presenta oggi. In questo modo
potremo poi definire meglio quali orientamenti operativi prendere, in
vista della realizzazione della nostra missione salesiana.
Sviluppo
tecnologico
[8]
Guardando
alla comunicazione come a un sistema complesso, si può dire che la
nascita di una nuova tecnologia non avviene mai indipendentemente dal
contesto sociale, in cui i fattori politici, economici e culturali
svolgono un ruolo determinante. È altrettanto vero però che quando
una nuova tecnologia entra a far parte dell’uso sociale, essa
fornisce un nuovo linguaggio di interpretazione della vita. In questo
senso i vari media aiutano a interpretare in forma nuova l’esistenza
umana e allo stesso tempo rivelano la comprensione che l’uomo ha di
se stesso e del mondo.
Per esempio, il libro
ha dato origine e impulso all’individualità, privilegiando
l’approccio logico - lineare ed enfatizzando la razionalità.
All’interno del testo scritto ci si può muovere avanti e indietro;
tuttavia l’organizzazione espositiva è sequenziale e presuppone un
concatenamento tra ciò che viene prima e ciò che viene dopo. La
potenza della scrittura conferisce al testo scritto il primato della
precisione nella trasmissione di contenuti letterari, poetici,
filosofici, teologici, politici. Ciò non è facilmente sostituibile
con il puro linguaggio visivo.
La televisione
preferisce la ripetizione al posto dell’analisi, i miti invece dei
fatti. Essa punta sulla spettacolarizzazione; svolge quindi il ruolo
di grancassa, al fine di attirare l’attenzione di molti nella
grande piazza televisiva, dove viene chiesto più il consenso corale
che quello personale. È il chiacchiericcio e il cambio di immagine
che producono il perenne incantesimo. La sincronizzazione dell’utenza
genera gruppi di condivisione delle emozioni; i giovani si
incontrano, discutono sui loro programmi preferiti, ripetono battute
e modi di dire; gli adulti si scambiano opinioni in rapporto
all’appartenenza a un programma o a un altro. La forza della
televisione sta nella magia del vedere l’immagine e il movimento;
per quanto ci si sia abituati, la scatola magica incanta tutti.
Ci
sono altre tecnologie correlate alla
televisione, che hanno sviluppato un
processo di interattività sempre maggiore e indipendente,
introducendo delle modalità operative che si potrebbero raggruppare
sotto la parola controllo.
Il videoregistratore
analogico, per esempio, ha dato
all’utente la possibilità di cambiare il tempo e il luogo di
fruizione di un programma e ha favorito inoltre la diffusione di
materiale video in contesti diversi dal luogo di produzione.
Il
comando a distanza
ha sviluppato lo stile dello zapping,
che non è semplicemente un vagare da un canale all’altro, ma che
può diventare un montaggio in diretta di spezzoni di programmi e che
spesso è una scappatoia all’invadenza pubblicitaria.
La
videocamera,
dalla ormai tramontata VHS all’attuale digitale, ha trasformato
l’utente in piccolo produttore di scene di vita quotidiana.
Il
computer
ha raccolto in sé i vari linguaggi dei media classici: scrittura,
immagine, suono, animazione, video, grafica, ecc., dando origine ad
una forma di comunicazione che ha sviluppato i concetti di
multimedialità, interattività, interfaccia, non linearità,
navigazione, ipertesto, accesso, ecc.
Oggi con una spesa contenuta un utente può montare una stazione di
composizione video o audio, diventando egli stesso un produttore.
Internet,
definita anche la rete delle reti,
è la metafora della nuova comunicazione. Internet, come il telefono,
ha annientato lo spazio e il tempo; ma mentre per il telefono passa
solo la voce , in internet si è strutturato un nuovo modo di vivere
e di pensare. Non lineare, bidirezionale, sconfinata, interattiva,
mutante, fluttuante, la rete è un luogo, un linguaggio, un modo di
essere e di pensare la comunicazione, che suscita notevole interesse
e preoccupazione.
Attraverso la rete, centinaia di
milioni di utenti si scambiano quotidianamente ogni genere di
messaggi, accedono a documenti, partecipano a gruppi telematici, si
incontrano attraverso conferenze elettroniche, discutono su ogni tipo
d’argomento. Sempre di più internet diventa uno spazio per la
propria promozione personale, di gruppo, aziendale o istituzionale.
[9]
Con
internet si sono rese virtuali tutte le attività umane, ma
soprattutto si è avviato un processo di decentramento del potere e
controllo comunicativo, come mai era avvenuto nella storia. Sul
versante positivo si può guardare a internet come alla grande
occasione di crescita intellettuale dell’umanità. Se non
prevarranno totalmente le ragioni economiche, la rete è come un
flusso di sapere al quale, con scelte politiche ed economiche mirate,
tutti potrebbero attingere.
Due specialisti del tema
[10] affermano che se si
vuole capire la realtà virtuale
è importante capire come noi percepiamo la realtà quotidiana che ci
circonda. La realtà virtuale è un modo per visualizzare, manipolare
e interagire con il computer e con informazioni estremamente
complesse. Il metodo che si interessa dell’interazione fra macchina
e uomo viene chiamato comunemente interfaccia.
La
realtà virtuale non è altro che il metodo più nuovo in una lunga
catena di interfacce. Essa in un certo senso vorrebbe rendere
invisibile il computer trasformando la complessità dei dati in
rappresentazioni tridimensionali con le quali si possa interagire,
per dare spazio maggiore alla libertà e creatività dell’utente.
Questo non vuol dire che la libertà e la creatività dell’utente
siano garantite o aumentate dalla realtà virtuale. Si può dire che
essa è in maniera indiretta il riconoscimento della complessità con
cui l’uomo interagisce e agisce in un ambiente, per conoscere,
comunicare e rappresentare se stesso e il mondo. Forse il servizio
più grande che la realtà virtuale può dare alla cultura di oggi è
il recupero della realtà.
Novità
mediatiche a livello tecnico e strutturale
La
radio e la televisione avevano introdotto il modello culturale del
consumismo di massa. La digitalizzazione porta a una forma di
consumismo personale e, secondo alcuni, anche a una vera e propria
cultura digitale. A questo proposito conviene evidenziare alcune
transizioni di tipo tecnico e strutturale, che il diffondersi della
digitalizzazione ha favorito.
1.
Dall’uno - molti al molti - molti.
Il flusso della trasmissione dei mass-media era del tipo uno-molti,
unidirezionale, intransitivo e tendenzialmente recettivo, se non
proprio passivo. Quello dei media digitalizzati è invece del tipo
molti - molti, uno - uno, tutti - tutti. Il flusso è transitivo,
interattivo, bidirezionale, anzi reticolare. È possibile la
reciprocità e lo scambio: si può ricevere e ridonare in
simultanea.
2.
Dalla centralizzazione alla
decentralizzazione. Europa e Stati
Uniti hanno conosciuto due diversi sviluppi per quanto riguarda i
mass-media, in particolare radio e televisione. L’Europa ha una
storia di monopoli di stato, mentre gli Stati Uniti hanno avuto
subito il monopolio del mercato. Tuttavia dagli anni settanta in
Europa c’è stata la nascita delle emittenti radiofoniche e
televisive indipendenti; nel giro di pochi anni si sono moltiplicate
le voci e le immagini dell’etere, con un progressivo passaggio da
una cultura mediatica controllata e gestita da pochi a una cultura
controllata e gestita da molti. Si è verificato un progressivo
cammino verso forme comunicative più pluraliste e partecipative. Con
l’avvento della digitalizzazione la decentralizzazione è lo status
vivendi della forma comunicativa. A
livello radiofonico, per esempio, è oggi possibile ascoltare nella
rete centinaia di radio da tutte le parti del mondo.
3.
Dalla comunicazione locale a quella
internazionale. La progressiva
sostituzione delle antiche antenne con le parabole è indice di un
ampliamento del bacino di proposte a livello televisivo, che supera i
confini nazionali e culturali. La digitalizzazione attraverso la rete
non fa altro che amplificare questa tendenza alla
globalizzazione.
4.
Dai mass-media ai personal-media.
La costruzione di media di piccole dimensioni e il progressivo
abbattimento dei prezzi hanno allargato il bacino di utenza dei
personal media.
Personal computer, cellulare, palmare, carta di credito, carta di
identità viaggiano tutti a ritmo di bit
e assicurano un continuo e personale controllo sulle nostre scelte e
azioni. Il rovescio della medaglia è che la digitalizzazione
consente anche il controllo da parte di poteri occulti, come i
servizi segreti, o da parte dei grandi centri commerciali per
rilevare i profili della clientela. Di conseguenza la
digitalizzazione richiede di tenere sempre sveglia la coscienza per
il diritto alla privacy
dei cittadini e per la difesa della democrazia.
5.
Dalla programmazione di massa alla
programmazione personale. Il
moltiplicarsi delle offerte e dei canali mediatici, in particolare in
internet, sta sviluppando nuovi stili di consumo e nuove abitudini
culturali. La rete testimonia un nuovo modo di scambiarsi
informazioni e di gestire oggetti culturali come la musica e i film;
questo solleva non pochi problemi a livello giuridico e morale. Su
questo versante si è aperto da tempo il grande dibattito sulla
criptazione dei linguaggi, la difesa dei diritti d’autore, la
proprietà culturale, la privacy dell’utente.
6.
Dal software proprietario all’Open Source.
A riguardo del software ci sono due concezioni diverse. La visione
della “sorgente chiusa”, ossia del software proprietario, si basa
su criteri prevalentemente aziendali ed economici, rivendica la
professionalità e il marchio di garanzia, assicura l’utenza nella
facilità dell’uso. La visione della “sorgente aperta”, detta
anche Open Source,
sostiene che il codice del software deve essere conosciuto per
lasciare la libertà all’utente non solo di usarlo e adattarlo alle
sue esigenze, ma anche di migliorarlo mettendo a disposizione degli
altri il proprio contributo. La visione di un sapere condiviso è a
beneficio di tutti. Il superamento del “divario digitale” tra
nord e sud del mondo passa anche attraverso la scelta di una
tecnologia che permetta l’accesso all’informazione come diritto
di tutti e non solo di coloro che se lo possono permettere. La
“sorgente aperta” è un modo di andare verso una
democratizzazione dell’informazione e della
cultura.
Caratteristiche
della nuova cultura digitale L’uso
dei nuovi media ha fatto emergere una cultura, che presenta alcune
caratteristiche che sono meritevoli di attenzione, perché indicano
dei compiti per l’educazione e la formazione.
1. Viviamo
in una cultura della velocità.
La comunicazione oggi viaggia molto velocemente. Basti pensare alla
posta elettronica. Anche quando paradossalmente diciamo che internet
è lento, esso viaggia con una accelerazione fino a poco tempo fa
impensabile. La magia di una tecnologia come internet consiste nello
sperimentare attraverso semplici azioni il prolungamento del nostro
corpo attorno al mondo. Clicco un indirizzo e mi ritrovo in Vaticano,
clicco un altro indirizzo e scarico degli aggiornamenti per un
programma o dei documenti. Il tutto avviene istantaneamente. La
velocità è una caratteristica che si è integrata con molte altre
realtà: automobili, aerei, sport, medicina, economia, ecc. Ci sono
anche problemi legati alla velocità; soprattutto per coloro che non
riescono ad andare veloci si genera emarginazione. Oggi categorie
come gli anziani, i disabili, i poveri, o coloro che non si
inseriscono nel modello sociale dominante, vengono emarginati.
2.
In secondo luogo, il metodo dell’interfaccia
sta creando nuovi atteggiamenti e
mentalità. L’interfaccia è il mezzo di interazione fra uomo e
macchina. Lo sviluppo dell’interfaccia ha posto l’accento sulla
necessità da parte della persona di agire. Questa attitudine viene
poi riportata anche in ambito sociale. Ognuno oggi vuole essere
soggetto attivo della propria vita e della vita sociale.
L’interfaccia diventa quindi metafora degli ambienti, del design,
dell’educazione, della vita sociale, ecc. Legato al concetto di
interfaccia c’è quello di modello comunicativo. Bisogna dire che
viviamo ancora all’interno di modelli pseudo-democratici, dove si
offre l’illusione di partecipazione; in realtà il cittadino oggi
ha un potenziale prevalente di consumo. Siamo liberi di decidere
quello che vogliamo comprare, ma abbiamo molto meno potere nel
decidere cosa si debba produrre.
3. In terzo luogo, la
nuova cultura presenta una visione
polifonica della
realtà. Oggi è più difficile raggiungere delle certezze o verità,
perché si trovano immerse nel mare di tutte le verità rivendicate
come assolute. L’istituzione che oggi vuole sostenere la sua
unicità si trova posta a confronto con mille altre. Al sito di una
chiesa si affiancano i moltissimi siti di chiese, religioni e sette,
dalle più tradizionali alle più estemporanee. È cultura della
compresenza, potenzialmente cultura del dialogo, ma anche dell’odio.
Il relativismo è una facile conseguenza di questa cultura. La rete
mette in evidenza come oggi si viva nella compresenza dei contrari.
Che ci siano diversi modi di vedere le cose lo testimoniano le
diverse culture. Tuttavia oggi l’offerta indiscriminata di tutto e
del suo contrario è a portata di un click. È una cultura che
presuppone solo adulti e che non rispetta lo sviluppo evolutivo della
persona, scaricando sul singolo la responsabilità per le sue
scelte.
4. Molto legato al punto precedente è
l’atteggiamento del nomadismo,
che la rete può sviluppare. Nella rete si naviga. Questo passaggio
da un punto all’altro della rete a volte si riflette anche nello
stile di vita come passaggio da un’esperienza all’altra. Nella
sua forma positiva questa è una cultura del distacco, della ricerca,
dell’offerta; tuttavia nella rete si può trovare anche l’abuso e
la prevaricazione. Da questo punto di vista l’esperienza della rete
mette in evidenza la necessità di formare persone responsabili. Non
sono sufficienti i sistemi di controllo; oggi bisogna educare alla
maturità e alla capacità di fare scelte coerenti con la propria
visione di fede e con i propri progetti di vita.
5. La
rete stessa può essere uno strumento di
educazione e formazione. La nuove
tecniche di apprendimento elettronico offrono a zone remote la
possibilità di essere raggiunte da programmi e offerte di educazione
difficilmente realizzabili senza rete. La rete inoltre rende
possibile il contatto, la conoscenza e la denuncia di fatti che
avvengono nel mondo, come le guerre, gli abusi ambientali, gli odi
razziali, ecc. La stessa comunità scientifica collabora oggi molto
più alacremente attraverso la rete. L’Open
Source è proprio possibile grazie alla
rete, così come è possibile conoscere forme associative come le
ONG, Medici senza frontiere, Amnesty International, istituzioni come
la FAO, l’UNESCO e le infinite organizzazioni di volontariato.
6.
Bisogna riconoscere che questo ambiente altamente mediatizzato ci
spinge sempre di più verso una quasi totale dipendenza
tecnologica. L’aspetto meno visibile
ma più interessante è che il computer sta diventando sempre più un
componente ambientale. Gli uffici sono sempre più computerizzati; la
casa stessa, partendo dal microonde della cucina fino al controllo
vocale della luce, sta diventando progressivamente un ambiente
computerizzato. I cellulari sono sempre di più computer a portata di
mano. Tutto il commercio elettronico viaggia sulla rete; le
innovazioni tecnologiche viaggiano in rete. Per poter comunicare, per
tanti aspetti, ci crea la necessità di una tecnologia sempre più
sofisticata.
7. Proprio perché la rete sta diventando il
luogo dove si imposta il futuro, essa stessa sta generando quello che
oggi viene chiamato il divario digitale
(“digital divide”).
Basta guardare ad alcune statistiche che riguardano la penetrazione
di internet nel mondo: Africa 1,5%, Medio Oriente 7,5%, Asia, 8,4%,
America Latina e Caraibi 10,3%, Europa 35,5%, Australia e Oceania
48,6%, USA 64,7%. Nella sola città di New York ci sono più accessi
che in tutta l’Africa. Il 15% della popolazione mondiale, quella
dei paesi sviluppati, utilizza oltre la metà delle linee telefoniche
fisse e il 70% di quelle mobili. Il 60% della popolazione mondiale,
quella dei paesi in via di sviluppo, utilizza solo il 5% delle
connessioni internet mondiali. Oltre al “sud” del mondo esistono
i vari “sud” delle nazioni, delle regioni, delle città e dei
quartieri. Tutto questo porta nuovamente a riflettere sull’importanza
di non staccare il problema della cultura digitale dal rapporto con
l’economia, la politica e la giustizia, sia a livello locale sia a
livello internazionale. In tal senso la nuova situazione culturale e
tecnologica ci interroga sull’esclusione ed emarginazione.
8.
I media elettronici influenzano il modo di realizzare il controllo
nella vita sociale; ciò mette in discussione il concetto di autorità
in una società mediatica. In un modello sociale basato sulla carta
stampata, due sono i requisiti per accedere al foro pubblico e agli
incarichi di autorità: saper leggere e scrivere. Chi non fosse in
grado di farlo non potrebbe accedere al dibattito pubblico. Ora i
media elettronici possono favorire l’accesso di tutti ai mondi
informativi; in tal modo si destabilizza il rapporto di controllo
informativo gerarchico. Questo provoca delle situazioni non
facilmente controllabili. Da una parte infatti le istituzioni, che
detenevano il controllo dell’informazione, sono oggi facilmente
messe da parte e quindi il concetto stesso di autorità e di verità
entra in crisi. Dall’altra parte, a causa di questa provvisorietà,
c’è una corsa delle istituzioni ad entrare in gioco con la
spettacolarizzazione, tipica del linguaggio massmediatico, in una
affannosa caccia all’audience, legando pericolosamente il concetto
di verità con quello di quantità.
Alcune
sfide in prospettiva educativa
Questo
nuovo ambiente culturale è frutto di mutamenti sociali, culturali,
tecnologici, politici ed economici. Esso ha una caratteristica
fondamentale molto importante: la capacità di far convergere
l’utilizzo dei diversi linguaggi e di creare una cultura sempre in
evoluzione e tensione fra ordine e caos o, se piace di più, tra già
e non ancora. Dalle caratteristiche di questa nuova cultura
potrebbero nascere alcuni atteggiamenti e modalità interessanti per
chi opera in ambito educativo, per ciò che riguarda sia il modo di
vedere sia il modo di impostare il proprio intervento.
La
cultura dei media è cultura
dell’azione, di partecipazione,
interazione, costruzione della realtà e della vita; quindi è più
vicina ai verbi che ai sostantivi. Urge comunicare più che parlare
di comunicazione.
È cultura
dei processi, che hanno alla base
certamente strutture anche complesse, ma che devono mettere in grado
l’individuo o la comunità di agire, di comunicare, di costruire. È
molto più importante il coinvolgimento delle persone
nell’intervenire sul processo, che i risultati del processo
stesso.
È cultura
dell’incontro. Il concetto di
deterritorializzazione sta a indicare la non necessità del luogo
fisico; quello che è importante è l’attività che si viene a
stabilire fra i partecipanti all’incontro. Saranno quindi da
pensare i luoghi dell’incontro educativo, ma prima ancora le
modalità comunicative dell’incontro e il perché le persone
dovrebbero incontrarsi.
Nella sua versione utopica è
cultura della condivisione
e dell’annullamento della proprietà intellettuale, in vista della
compartecipazione e dell’accesso di tutti al bene della cultura.
Tale bene nella sua multiformità e multiespressività storica e
geografica, dovrebbe essere fortemente condiviso, interpretato,
dialogato, criticato e costruito attraverso dei processi dinamici di
partecipazione interculturale.
Non si sottrae all’accusa
di essere una cultura dell’informazione e di produrne in quantità
così abbondante da farne perdere il valore. Tuttavia, la tecnologia
della rete per sua natura genera una cultura
dell’interscambio più che
dell’informazione centro - periferia. A causa di impostazioni
politico-economiche può essere anche una tecnologia che genera una
cultura della divisione, “digital divide”, ma per sua natura è
una tecnologia che può favorire l’incontro, il dialogo e la
comunicazione al di là dei confini territoriali, culturali,
religiosi, politici ed economici.
La cultura di oggi sta
tentando con difficoltà di armonizzare le proprietà logico -
razionali sviluppate nel corso dei secoli, con quelle dei nuovi media
elettronici. È una cultura dei sensi.
Ciò che si sta sperimentando è il travaglio che ogni metamorfosi
culturale porta in sé, con la fatica di ripensarsi non solo a
livello individuale, ma anche a livello collettivo.
Non è
un caso che si viva il paradosso della globalizzazione e
contemporaneamente dell’insorgere di nazionalismi esasperati. Tutti
i cambiamenti portano con sé conflitti; la ricerca del dialogo può
attenuarli e aprirli a una reciproca scoperta. Per questo è
importante adottare un’ottica pluralista, dove si accolgono punti
di vista e modi di espressione diversi. I media possono aiutare a
sviluppare una cultura del pluralismo proprio perché essi stessi
sono una pluralità di linguaggi.
Per questo si parla di
“democrazia dei sensi”
[11] come condizione per
il superamento di una cultura altamente orientata al visivo e al
razionale. L’arte e i media sono forse i due ambiti in cui si è
percepita maggiormente questa urgenza di armonizzare e integrare la
complementarità dei sensi e quindi dei linguaggi.
Ecco
qui, cari confratelli, un immenso campo di lavoro e, nel contempo,
una grandissima risorsa nella misura in cui le sfide che ci presenta
la cultura mediatica influiscono nella nostra pedagogia e diventano
proposte educative. Altrimenti solamente ne subiamo le conseguenze,
ma non provocano in noi quel cambiamento che renderebbe più efficace
la nostra azione educativa. Non possiamo dimenticare che la nostra
Congregazione “evangelizza educando ed educa
evangelizzando”.
Alcune
sfide in prospettiva istituzionale
Naturalmente
la comunicazione sociale pone pure delle sfide alla Congregazione,
alla sua vita e alla sua formazione. Noi dobbiamo ripensare la nostra
esistenza all’interno di questa cultura mediatica, ma dobbiamo
prestare attenzione anche a cosa comunichiamo. Noi possiamo
trasmettere moltissime informazioni e conoscenze attraverso le nuove
tecnologie, ma è anche vero che noi comunichiamo soprattutto quello
che siamo. Possiamo quindi essere esperti e professionalmente
preparati, ma allo stesso tempo comunicare la nostra mediocrità e
meschinità, oppure la nostra coerenza e onestà.
La
sfida della comunicazione del carisma.
Tutti noi dovremmo domandarci che cosa stiamo comunicando come
Congregazione con il nostro stile di vita e con le nostre scelte
istituzionali: stiamo comunicando la scelta radicale per Dio e per il
Signore Gesù, la fraternità della vita comunitaria, la scelta
privilegiata per i giovani poveri e abbandonati, il senso della vita
e la speranza, la dedizione incondizionata e la bellezza del dono
gratuito? Non si tratta solo quindi di guardare come comunichiamo:
quali mezzi utilizziamo, a quali linguaggi ricorriamo, con quale
cultura comunichiamo; occorre anche prestare attenzione se stiamo
comunicando il carisma.
Un elemento che caratterizza lo
stile di vita è il tenore in cui si vive. La sfida oggi è
l’essenzialità delle scelte. All’immagine della gratuità della
vita religiosa dovrebbe corrispondere uno stile di vita che
testimonia che Dio è sufficiente e che i giovani, ai quali siamo
destinati, sono più importanti di moltissime altre cose. In una
cultura del superfluo dovremmo testimoniare la cultura
dell’essenziale. La nostra comunità e il nostro carisma debbono
essere visibili, ma la nostra visibilità è la testimonianza:
“essere segni e portatori dell’amore di Dio ai giovani” (Cost.
2). Questa sfida tutto il cammino di santità, di primato della vita
spirituale, di applicazione del CG25, che dovrà trovare espressione
anche nella comunicazione sociale. In questo senso tutte le lettere
precedenti, tradotte nella vita, trovano un’espressione nella
comunicazione sociale.
Occorre il coraggio di una
revisione seria dello stile di vita. Dovremmo essere testimoni della
gratuità del regno di Dio, assertori nella vita e nelle scelte che
la cosa più importante sono Dio e i fratelli. Da un punto di vista
comunicativo questo è molto più importante di tutti i siti web,
radio, televisioni o giornali che possiamo avere, perché di fatto se
non cambia la mentalità, anche ciò che produrremo con gli strumenti
della comunicazione non farà altro che riflettere quello che siamo.
La comunicazione non è solo fatta di parole o di immagini, ma anche
di scelte e comportamenti che implicano la coerenza tra quello che
affermiamo e quello che facciamo.
La novità non si trova
attraverso un lifting
di facciata, ma nella rinnovata voglia di giocarsi il tutto e per
tutto sui problemi concreti dei giovani e delle nuove povertà
emergenti. La credibilità della Chiesa, come quella della
Congregazione, ce la giochiamo attraverso un processo di acquisizione
di coerenza e radicalità evangelica. La comunicazione sociale potrà
aiutare a far scoprire ai giovani il fascino della vocazione
salesiana e sarà una forma di proposta vocazionale.
La
sfida della tecnologia. Questo è un
campo molto importante. A livello di mezzi di comunicazione dovremmo
riflettere sulla metafora di “Davide e Golia”. La nostra
Congregazione, come del resto la Chiesa, di fronte ai giganti e agli
imperi della comunicazione deve scegliere terreni e strategie diverse
per poter proporre qualcosa di alternativo alla cultura dominante. In
altre parole, abbiamo bisogno di strutture leggere di comunicazione,
fortemente motivate ma estremamente flessibili. La rete offre
certamente spazi più accessibili; ma anche strumenti come la radio,
soprattutto in aree di sviluppo, possono dare un ottimo contributo,
come dimostrano le emittenti radio in alcune delle nostre missioni.
Non dobbiamo dimenticare, anzi occorre rivalutare tutta
la tradizione della comunicazione salesiana, che va dall’animazione
di strada, al cortile, al teatro, alla musica, alla liturgia. Il
problema più urgente è di coltivare il desiderio di stare con i
giovani e la gente. La forza delle forme di comunicazione
interpersonale e di gruppo è insostituibile a qualsiasi forma di
mediatizzazione tecnologica, per quanto raffinata essa sia; entrambe
sono forme di comunicazione da sviluppare, dando il primato comunque
alla relazione e all’incontro personale.
La
sfida dell’utilizzo del tempo. Oggi è
essenziale educarsi all’utilizzo del tempo a disposizione. È
statisticamente in aumento il tempo trascorso dai giovani davanti o
con i media; per il fatto che viviamo in una cultura mediatica, penso
che anche noi salesiani non ne siamo immuni. La sfida è formativa,
non solo nel senso di educazione ai media, ma piuttosto di una
formazione alla responsabilità nella gestione della propria vita.
Gli anni della formazione sono essenziali e dovrebbero essere tempo
da investire in una preparazione culturale e professionale seria. Le
stesse comunità dovrebbero essere palestre di comunicazione e di
incontro, più che luoghi di scambio e di fruizione di informazioni.
L’eccesso di informazioni ci fa vivere nella frammentazione;
dobbiamo trovare unità e sintesi nella nostra vita attraverso la
concentrazione della formazione.
La
sfida dei mezzi di comunicazione sociale. Dal
discorso fatto fin qui è evidente che nei mezzi di comunicazione
sociale che usiamo si manifesta quello che siamo. La Congregazione
deve essere presente in questo mondo dei media. Si tratta di
abilitarsi all’uso degli strumenti; ma si tratta anche di
riflettere sul modello comunicativo che stiamo utilizzando per far
crescere la stessa Congregazione e la sua comunicazione.
Il
rischio in questo momento è che noi focalizziamo la nostra
attenzione sull’uso degli strumenti e sulla loro efficacia, quando
invece dobbiamo anzitutto concentrarci sulla nostra capacità di
comunicare e creare comunicazione e su ciò che comunichiamo. È la
tensione e la passione verso la missione che fa da segnale di quello
che siamo e di quello che comunicheremo. Mi sembra che Don Bosco, per
la passione che aveva per i giovani più bisognosi, è riuscito ad
escogitare e inventare forme di aggregazione e comunicazione che
funzionavano. Dove sono le nostre passioni oggi? Dove sta il nostro
cuore? Quali sono i nostri reali interessi? Dove ci siamo giocando
totalmente?
La sfida della
formazione. I mezzi di comunicazione
sociale e la cultura che veicolano richiedono un notevole impegno
formativo. Un primo compito è senza dubbio la formazione ad un uso
critico dei mezzi di comunicazione sociale e quindi la formazione
della coscienza. Da una parte si deve imparare ad apprezzare questa
“scuola di massa” (Cost. 43) come un dono di Dio, che offre
grandi possibilità per l’educazione e l’evangelizzazione.
D’altra parte, però, occorre diventare consapevoli di come i media
vengano utilizzati per sfruttare, manipolare, dominare e corrompere.
Si richiede dunque la formazione ad un buono spirito di discernimento
e, più ampiamente, una comprensione informata circa la natura dei
mass-media, le tecniche da loro usate e l’impatto che esse hanno
sui recettori. Diventa necessario inculcare il principio etico
fondamentale, e cioè che la persona umana e la comunità umana sono
il fine e la misura dell’uso dei mezzi di comunicazione sociale. La
comunicazione dovrebbe essere fatta da persone a beneficio dello
sviluppo integrale delle persone.
Non basta essere buoni
“consumatori” dei mezzi di comunicazione sociale. Bisogna saperli
usare come strumenti di educazione e pastorale. Ciò richiede
competenza e impiego dei vari strumenti; occorre anche capacità di
integrare il messaggio educativo ed evangelico nella stessa cultura
dei media. Ciò suppone non solo di conoscere bene le tecniche, ma di
saper leggere in profondità l’attualità sociale e culturale.
Il
campo della comunicazione sociale non si esaurisce nei mezzi di
comunicazione sociale. La comunicazione sociale produce, anzi è, una
cultura, e questa costituisce una grande sfida da affrontare
specialmente nel campo della formazione, la quale non consiste
semplicemente nell’impartire conoscenze e capacità, ma
essenzialmente nell’aiutare ad effettuare una trasformazione nel
profondo di se stesso, al livello dei propri affetti, convinzioni,
motivazioni. Ci sono degli aspetti della cultura moderna della
comunicazione sociale che creano problemi per la formazione, mentre
ci sono altri aspetti la promuovono.
La cultura della
comunicazione sociale, per esempio, tende a ignorare la dimensione
interiore e trascendente della persona, e cerca di costruire
l’identità della persona in termini della sua risposta alla
situazione che vive. Essendo essa una cultura dell’immagine, è
effimera e non porta ad una vera introspezione; anzi, tende alla
superficialità. Per di più, la cultura della comunicazione sociale
tende ad un relativismo, sostituendo la verità con l’opinione, e
offrendo informazioni e opinioni di ogni tipo, lasciando tutto alla
libera scelta dei recettori; diventa difficile allora veder chiaro e
la verità spesso viene offuscata da sondaggi pubblici. E dato
l’immediatismo coltivato dalla cultura della comunicazione sociale,
non viene favorita la formazione che è un lavoro lento e paziente,
richiedendo molto sforzo e duro lavoro.
D’altra parte,
ci sono degli aspetti della cultura della comunicazione sociale che
spingono ad un miglioramento specialmente della metodologia del
compito formativo. Per esempio, è tipico della cultura della
comunicazione sociale pensare sempre in termini delle reazioni dei
recettori. Si è molto sensibili alla loro condizione e capacità, ai
loro bisogni e interessi. E questo è un aspetto necessario nel
lavoro formativo; si tratta di prendere come punto di partenza il
soggetto, le sue capacità e possibilità, le sue possibili reazioni,
non il curricolo da impartire.
Ancora: la cultura della
comunicazione sociale è più intuitiva che analitico-sistematica;
non è portata a lunghi e astratti discorsi che fanno appello alla
testa, ma fa uso di messaggi che sono brevi, semplici e chiari e che
fanno appello anche alle emozioni, cioè a tutta la persona. E qui,
di nuovo, ci sarebbe un campo enorme su cui riflettere, se si pensa
alla metodologia dell’insegnamento in uso nelle case di formazione.
Inoltre, la cultura della comunicazione sociale si basa sull’immagine
più che sulle parole. L’immagine del viso di un Papa Giovanni
Paolo II che soffre è più eloquente che un fiume di parole che
parlano della sua sofferenza.
3.
ORIENTAMENTI OPERATIVI
3.1.
Cambio di strategia
Siamo
così giunti - in questa ultima parte della lettera - alle scelte
operative, al momento cioè di assumere l’esempio di Don Bosco, di
mettere a frutto la ricchezza e la fecondità del carisma salesiano,
di tentare di dare risposte apostoliche nuove e creative davanti alle
sfide della cultura della comunicazione sociale e di fronte ai nuovi
bisogni dei giovani, questa porzione la
più delicata e la più preziosa dell’umana società.
[12]
Dovendo
proporci alcuni orientamenti operativi che scaturiscono dalla
riflessione precedente, penso che sia importante realizzare un cambio
di strategia, che possa aiutarci a
migliorare la nostra riflessione ed azione. L’idea di questa
strategia nasce da una duplice constatazione. Da una parte, ci
troviamo davanti ad una produzione di documenti della Congregazione,
anche sul tema della comunicazione sociale, svariata, ricca e
potenzialmente feconda, che costituisce una saggia tradizione di
analisi ed interpretazione della realtà, una criteriologia basata
sulle nostre fonti carismatiche ed un vero programma d’azione
apostolica della missione salesiana rinnovata. Dall’altra parte, ci
troviamo con la difficoltà, la fatica e il rischio di non essere
così creativi, propositivi ed efficaci nella capacità di fare di
questa dottrina una realtà di vita ed azione.
Quello che
è scritto magari non viene letto; ciò che si legge a volte non
diventa riflessione feconda; quello su cui si riflette spesso non
trascina verso l’azione trasformatrice della realtà. Come spezzare
questa catena che imprigiona tanta energia apostolica? Come
sconfiggere questo blocco nella comunicazione? Come rendere
significativi ed operativi i nostri documenti? Come fare dunque per
rendere significativa ed operativa anche la presente lettera del
Rettor Maggiore?
In un ambiente contadino di gente
semplice, saggia e capace di scherzare, così come anche abituata
alla fatica, ho ascoltato un detto popolare, che prima mi ha fatto
sorridere e poi mi ha invitato a pensare. Lo condivido con voi, con
l’intenzione di accendere un sorriso e di proporvi una strategia.
Un vecchio contadino diceva così: non
puoi mangiare una frittata se prima non rompi le uova.
Gran parte della ricchezza nutritiva di una frittata è rinchiusa
dentro l’uovo; evidente, no?; ma, se si lascia lì, mai diventa un
delizioso cibo, e persino, prima o poi, si imputridisce, perde il suo
potenziale alimentario, e a quel punto il suo contenuto diventa
sgradevole e può anche far male.
La strategia che vi
propongo consiste allora non nel creare nuovi orientamenti operativi,
ma piuttosto nel fare dei passi concreti per sprigionare la vita che
si trova latente nel patrimonio dottrinale della Congregazione e
progettare i modi di incarnarlo nelle nostre comunità educative
pastorali e nel territorio. C’è tanta luce, tanta ispirazione
carismatica, tanta energia apostolica nelle proposte dei nostri
documenti! Tuttavia essi corrono il rischio di non diventare un vero
nutrimento per la vita e l’azione. Vi invito dunque a trovare il
tempo di rileggere i documenti e di approfondire la realtà della
cultura contemporanea; di disporci a riflettere personalmente, in
comunità e nella comunità educativa pastorale; di confrontare le
idee con la realtà dei giovani; di avere il coraggio di decidere un
piano di azione
da tradurre nella vita pastorale quotidiana.
Alcune
Ispettorie hanno già fatto molto in questo settore della nostra
missione; altre stanno facendo opzioni coraggiose e creative; altre
sono ancora agli inizi. Nell’intenzione di essere realisti,
generosi ma concreti, occorre fare delle scelte. L’Ispettore ed il
suo Consiglio, il Delegato ispettoriale per la Comunicazione sociale
e la sua équipe, in coordinamento con i Delegati ispettoriali per la
Pastorale Giovanile e per la Formazione, il Direttore con la comunità
salesiana e la comunità educativa pastorale, s’impegnino nel
trovare le modalità pratiche più adeguate alla propria realtà.
Vi
propongo perciò, come strategia, di migliorare e mettere in pratica
il piano ispettoriale di comunicazione
sociale, che fa parte del Progetto
educativo pastorale ispettoriale. Vi invito a lavorare creativamente
ed operativamente su questi tre documenti: la lettera di Don Vecchi,
La comunicazione nella missione
salesiana (ACG 370); il sussidio
operativo offerto all’inizio di quest’anno dal Dicastero per la
Comunicazione Sociale, intitolato Sistema
Salesiano di Comunicazione Sociale; e
gli Orientamenti per la Formazione dei
Salesiani in Comunicazione Sociale,
elaborato in sinergia dai Dicasteri della Comunicazione Sociale,
della Formazione e della Pastorale Giovanile, che verrà pubblicato
durante quest’anno. Stimolati da questi documenti, avremo una
diagnosi della realtà, sceglieremo i passi concreti da fare
attraverso il piano ispettoriale, potremo eseguire questi passi in
sinergia e verificare periodicamente il cammino fatto.
Nei
paragrafi seguenti mi permetto di presentare questi documenti,
facendo alcune sottolineature, specialmente circa i loro aspetti
operativi, ed invitandovi ad attuare questa proposta strategica a
servizio dei giovani. Sono sicuro della vostra disponibilità nel
comprendere l’urgenza di tale scelta.
3.2.
Strumenti di lavoro
3.2.1
Lettera di Don Vecchi sulla comunicazione sociale
Nella
sua lettera La comunicazione nella
missione salesiana. “È
straordinario! Fa sentire i sordi e fa parlare i muti”
(ACG 370), Don Vecchi ci ha lasciato un insieme di riflessioni ed una
serie di proposte operative, che possono e debbono illuminare e
muovere la nostra missione salesiana. Ogni salesiano, ogni comunità
e tutte le Ispettorie sono chiamate a prendere coscienza
dell’importanza della comunicazione ed a porla come punto costante
della loro agenda apostolica. Sottolineo due idee e gli orientamenti
pratici di questo documento, mentre vi incoraggio a tornare al testo
originale e a trasformarlo in vita.
La comunicazione
sociale, con i vari mezzi e le nuove tecnologie, è importante nella
nostra vita e nella nostra missione – scriveva Don Vecchi, seguendo
il Magistero della Chiesa – non soltanto perché offre la
possibilità di diffondere l’educazione e l’evangelizzazione a
milioni di persone, ma sopratutto perché costituisce una “centrale
di cultura”, una scuola di modelli di
comportamento, di percezione del senso della vita, di etica che
reinterpreta i valori, di esercizio del potere e dell’economia.
Questa novità è significativa e decisiva: come ho detto
ripetutamente in questa lettera, non basta usare i nuovi linguaggi ed
i nuovi mezzi di comunicazione; è necessario soprattutto integrare
il messaggio nella nuova cultura.
Questa novità culturale
ci sfida ad un cambio di mentalità, ad una vera “conversione
culturale”. Non è sufficiente fare
del bene all’interno delle nostre case; siamo chiamati a progettare
la nostra azione “dal di fuori”, ascoltando le aspettative e
domande della società e interagendo in modo da trasformare
positivamente questa stessa società. Occorre costruire dialogo,
integrazione e reciprocità con i laici e tutta la comunità
educativa; essere animatori del territorio e coinvolgere altre
istituzioni sociali in una sinergia a favore dei giovani; usare i
nuovi mezzi, compresa la rete web,
per creare spazi d’incontro ed essere lievito in questo nuovo
areopago.
Don Vecchi proponeva poi una duplice serie di
orientamenti pratici: la prima, più legata alla comunità locale e
all’urgenza di educare alla comunicazione in casa nostra; la
seconda, affidata a tutta l’Ispettoria e al bisogno di trasformare
la situazione sociale e la cultura per il bene dei giovani.
Ogni
comunità è convocata a migliorare la
comunicazione istituzionale; a progettare e realizzare nelle comunità
educative pastorali l’educazione alla comunicazione e l’educazione
con i media, l’educomunicazione,
che include l’educazione all’uso dei linguaggi e dei media; ad
utilizzare i media nell’educazione e nell’evangelizzazione a
scuola, in parrocchia, all’oratorio, ecc.; ad essere in dialogo con
i comunicatori, gli artisti e gli editori, specialmente se sono
giovani; ad aiutare i nuovi poveri, i nuovi esclusi dalle tecnologie
comunicative; a migliorare la competenza mediale.
E
simultaneamente ogni
Ispettoria è chiamata a progettare ed
esercitare i diritti ed i doveri di cittadinanza: conoscendo e
facendo rispettare le leggi ed i diritti dei cittadini e delle
istituzioni; sviluppando, per esempio, azioni di tutela dei diritti
dei ragazzi, della famiglia, ecc.; aprendosi ad altre istituzioni che
agiscono a favore del bene comune. Sotto questo profilo la
comunicazione sociale è una grande opportunità per educare e per
creare occasioni di cittadinanza attiva.
Per animare queste iniziative, già i nostri Capitoli generali
avevano istituito la funzione del Delegato ispettoriale per la
comunicazione sociale (cf. CG23), della sua équipe e del piano
ispettoriale di comunicazione sociale (cf. CG24).
Questo
non è un lavoro per soli esperti, è un lavoro
di tutti; gli esperti sono benvenuti,
perché aiutano al lavoro partecipativo, ma tutti hanno una loro
parte da svolgere. Se parliamo di mezzi e di nuove tecnologie è
perché ci interessa la cultura e la qualità di vita, la costruzione
di una società più giusta e fraterna. I mezzi diventano mediazioni
del Regno. Le riflessioni e le proposte operative che nasceranno
dalla rilettura di questa lettera nelle comunità locali siano
condivise con gli organi di animazione e governo dell’Ispettoria,
perché diventino parte del piano ispettoriale di comunicazione
sociale al servizio dell’educazione e della pastorale.
3.2.2.
Sistema Salesiano di Comunicazione Sociale
Tutti
noi conosciamo il Sistema Preventivo:
l’abbiamo imparato nell’esperienza vissuta con i salesiani che ci
hanno educati e formati; l’abbiamo approfondito con lo studio
scientifico; lo realizziamo e comunichiamo continuamente sia con la
testimonianza, la condivisione di vita, la pratica educativa, che con
la parola e l’insegnamento. Sappiamo anche che il Sistema
Preventivo, che Don Bosco ha sognato e vissuto, evidentemente non è
riducibile alle classiche pagine scritte nel 1877, ma piuttosto è –
come scriveva Don Egidio Viganò – “un insieme organico di
convinzioni, di atteggiamenti, di azioni, di interventi, di mezzi,
metodi e strutture, che ha costituito progressivamente un
caratteristico modo generale di essere e di agire, personale e
comunitario - di Don Bosco, dei singoli
Salesiani e della Famiglia.” (ACG 290, p. 10).
Un sogno
simile – e non è casuale la scelta del termine “sistema” –
si è concretizzato nelle pagine del Sistema
Salesiano di Comunicazione Sociale
(SSCS), che presenta le linee orientative per la Congregazione
Salesiana. Il Dicastero per la Comunicazione Sociale ha raccolto la
tradizione dottrinale e operativa di questo settore della vita e
della missione salesiana e, dopo un dialogo fecondo di consultazione,
ha costruito questo strumento di lavoro. Ho la speranza che queste
pagine diventino illuminanti e feconde. Si tratta di uno strumento
di lavoro, con il quadro di riferimento
storico e dottrinale e le linee politiche congregazionali di
funzionamento della comunicazione sociale, per la costruzione e
l’aggiornamento costante del piano ispettoriale di comunicazione
sociale e la sua realizzazione. È affidato particolarmente
all’Ispettore ed al suo Consiglio, al Delegato ispettoriale per la
comunicazione sociale e la sua commissione, perché lo facciano
oggetto di studio.
Lo stesso Consigliere generale per la
comunicazione sociale presenta il Sistema Salesiano di Comunicazione
Sociale “come un progetto organico ed unitario, con una visione
condivisa di valori e di missione nitidamente salesiana, con
politiche e azioni pianificate nelle aree di
animazione e formazione, informazione,
produzione, e con la gestione delle strutture organizzative e dei
processi di comunicazione ed articolazione in rete con i vari settori
all’interno della Congregazione e della Famiglia Salesiana e,
all’esterno, con gli organismi della Chiesa, con il territorio e
con la società in senso più ampio” (SSCS 19). In questo strumento
di lavoro troviamo delineate l’identità
(i suoi destinatari, i suoi traguardi, le sue convinzioni, la sua
missione, le sue politiche e criteri di azione, i suoi soggetti), il
funzionamento e l’organizzazione
del Sistema Salesiano di Comunicazione
Sociale.
Non è mia intenzione presentare in dettaglio
questo strumento di lavoro; dobbiamo andare al testo, lasciarci
guidare dal testo e, mossi dallo spirito del testo, dare risposte
aderenti ai bisogni reali delle nostre comunità educative pastorali.
Vorrei evidenziare alcune pagine che, per la loro semplicità e
praticità, possono sfuggire all’attenzione. Nel documento del SSCS
troviamo due allegati: il primo riguarda una lista sintetica delle
principali fonti congregazionali:
Costituzioni, Regolamenti, Capitoli generali, Atti del Consiglio
Generale, ecc., che ci presentano la comunicazione sociale in chiave
salesiana; il secondo è un quadro sinottico, una mappa
per la costruzione del piano
ispettoriale di comunicazione sociale.
Questi
allegati sono un eloquente simbolo e un urgente programma. Sono un
simbolo
che ci spinge a tornare sempre alle fonti, alle nostre radici. Per
esempio, rileggere gli articoli 6 e 43 delle nostre Costituzioni e
accettare la sfida della comunicazione contemporanea, che rinnova la
nostra consapevolezza di essere animati dallo Spirito che mosse Don
Bosco ad essere all’avanguardia dei tempi nell’uso della
comunicazione sociale per l’educazione e l’evangelizzazione dei
giovani poveri e degli ambienti popolari. Lo stesso Spirito ci muove
oggi ad essere creativi, coraggiosi ed organizzati. Questi allegati
esprimono anche un programma;
seguendo gli aspetti elencati e gli orientamenti suggeriti in quella
mappa, siamo chiamati a diagnosticare, pianificare, realizzare e
verificare sistematicamente la comunicazione sociale nelle nostre
Ispettorie. Ci aiutano a pianificare e gestire l’animazione e la
formazione nella comunicazione sociale, l’informazione e le
relazioni pubbliche, le nostre imprese di comunicazione sociale con
la stessa carità pastorale di Don Bosco.
Aggiungo ancora
due indicazioni metodologiche. Il Piano ispettoriale di comunicazione
sociale deve essere costruito e realizzato con la maggiore e migliore
partecipazione
possibile, ai diversi livelli, e deve essere costantemente animato e
periodicamente verificato dagli organi di animazione e governo
dell’Ispettoria. Non interessa tanto un piano ben strutturato,
quanto un piano condiviso, che aiuti a camminare, a servire i giovani
e la gente, a lievitare la cultura per trasformare la società.
Questa insistenza può forse sembrare ad alcuni eccessiva; ma c’è
una grande differenza tra il giungere alla meta da soli e l’essere
in cammino insieme. Quanto più ci sentiamo e siamo parte di un
progetto comune, tanto più diventiamo capaci di costruire comunità
e qualità di vita.
Una seconda indicazione riguarda la
varietà delle situazioni delle nostre Ispettorie. La mappa proposta
dal documento non implica che tutti dobbiamo fare tutto e subito;
occorre però che scegliamo con realismo e generosità i passi che
possiamo compiere, secondo le necessità e le nostre forze. Non
abbiamo il potere dei Golia
della comunicazione sociale, ma nelle nostre comunità educative, nei
nostri gruppi, con i nostri mezzi alternativi abbiamo tantissime
opportunità di Davide di
evangelizzare, di educare, di costruire una società più giusta e
più fraterna. Riconoscere i nostri valori, i nostri mezzi e le
nostre competenze, organizzarci e creare sinergie, convocare altri al
di fuori di casa nostra, che hanno buona volontà e collaborare con
loro, è una sapienza ed una politica che ci fa toccare con mano “la
bontà delle colombe unita alla furbizia dei serpenti” per
incarnare il Regno nella diversità dei contesti in cui ci troviamo.
Il Piano ispettoriale di comunicazione sociale vuol diventare
espressione della nostra speranza nel dinamismo del vangelo, che Gesù
ha paragonato alla energia del lievito nella massa (cf. Mt
13,33).
3.2.3.
Orientamenti per la formazione dei Salesiani in Comunicazione
Sociale
Non c’è
comunità salesiana o comunità educativo-pastorale salesiana più
comunicativa di quella che testimonia la sequela di Cristo nel
servizio dei giovani poveri. Dunque, la testimonianza di Cristo e del
suo Vangelo è il messaggio fondamentale di ogni comunicazione. Se
questa manca, non c’è teoria, né tecnica o mezzo di comunicazione
che possa sostituirla. La fedeltà a Don Bosco e ai giovani poveri ci
chiede di comunicare attraverso la testimonianza, la condivisione, la
totale dedizione alla missione, “fino all’ultimo respiro”.
Proprio per questo motivo Don Bosco non risparmiò linguaggio, mezzo
o strumento, tradizionale o d’avanguardia, con i quali potesse
testimoniare ed annunciare ai giovani e al popolo la buona novella,
in modo che potessero diventare onesti cittadini e buoni cristiani.
Quando leggiamo la descrizione che Don Egidio Viganò fa di Don
Bosco come geniale comunicatore sociale,
rimaniamo sbalorditi (cf. ACG 302, pp.
8-12). La fedeltà a Don Bosco e ai giovani ci spinge ad essere
testimoni trasparenti, e dunque anche buoni comunicatori sociali,
sviluppando i nostri doni di natura con una buona formazione.
Già
nel 1981 Don Egidio Viganò presentava una sintetica proposta di
formazione in comunicazione sociale per i salesiani, sviluppata in
tre livelli: livello generale di base; livello degli animatori e
degli operatori educativi e pastorali; livello di preparazione
specialistica (cf. ACG 302). Don Vecchi, nel 2000, riprendeva questa
proposta nella lettera sopra presentata, e ci parlava dell’urgenza
di qualificarci: “L’unica strada utile da seguire è quella della
formazione. La nuova alfabetizzazione, cioè la capacità di leggere
e scrivere nella cultura dei media, riguarda tutte le persone e, per
quanto concerne la fede, tutti i credenti. Quanto più dovrà
interessare ad educatori ed evangelizzatori!” (ACG 370, p. 22).
Il
Dicastero per la Comunicazione Sociale ha assunto in forma rinnovata
questo tema nel 2004: ha studiato la storia dei diversi programmi
congregazionali di formazione alla comunicazione sociale; ha fatto un
rilevamento dei dati di quale formazione in tale ambito si offra
nella formazione iniziale in tutta la Congregazione; ha convocato la
Consulta mondiale di comunicazione sociale, che si è svolta a Roma
nel luglio 2004. Questa Consulta ha riflettuto sul progetto di un
itinerario di formazione in comunicazione sociale ed ha offerto al
Dicastero un’analisi ed una interpretazione dei dati della realtà
della formazione in comunicazione sociale nella Congregazione, con
alcuni criteri che dovrebbero guidare tale formazione ed alcune
scelte operative possibili circa l’itinerario.
Il
Dicastero per la Comunicazione Sociale insieme con il Dicastero per
la Formazione, partendo dalla riflessione offerta dalla Consulta, ha
elaborato alcuni Orientamenti per la
Formazione dei salesiani in Comunicazione Sociale
di prossima pubblicazione. Si tratta di uno degli interventi previsti
nel Progetto di Animazione del Sessennio (cf. ACG 380, p. 48). Sin
d’ora invito i formatori ad accogliere questo sussidio, che cerca
di garantire sempre meglio la formazione del salesiano come educatore
e pastore, e perciò come comunicatore.
Il Delegato
ispettoriale per la Formazione e la sua équipe, insieme al Delegato
ispettoriale per la Comunicazione e la sua équipe, illuminati da
questi Orientamenti, cercheranno i contenuti e le modalità della sua
realizzazione. Essi riguardano sia la formazione iniziale, che quella
permanente. Per la formazione iniziale non si tratterà soltanto di
inserire una nuova disciplina – appunto, di comunicazione – in
ogni fase del curriculum formativo progettato dalla Ratio,
ma di avere una molteplice attenzione: l’insistenza sullo stile
comunicativo; l’animazione di esperienze e riflessioni di vita e
lavoro salesiano, profondamente legati alla cultura giovanile e
popolare, e dunque fortemente comunicative; lo sviluppo della
dimensione comunicativa dei corsi già previsti dalla Ratio;
l’organizzazione di laboratori di educomunicazione per chi non
abbia avuto quest’opportunità nella propria educazione previa alla
formazione iniziale; la creazione di spazi di formazione in
comunicazione sociale per i formatori e per i docenti dei formandi;
la realizzazione di laboratori-stages di linguaggi, arti e media, di
nuove tecnologie, specialmente quelle più adeguate per l’interazione
educativa, per l’annuncio e la celebrazione della fede, per il
racconto e la condivisione dei valori, per la comunicazione simbolica
e rituale; l’apprendimento ed il miglioramento della competenza
comunicativa popolare, con i linguaggi tradizionali ed i mezzi
“poveri”, alternativi e popolari; l’apprendimento della
grammatica del linguaggio digitale e i suoi molteplici usi per la
conoscenza, la comunicazione e la creazione di spazi di incontro;
ecc.
Anche in questo caso, quanto più si riesce a
coinvolgere gli stessi formatori, docenti e formandi nella
costruzione di un Itinerario “a misura” della comunità formativa
e nella sua realizzazione, tanto più pienamente si raggiungono gli
obiettivi di questi Orientamenti. Nessun maestro può insegnare
quello che l’allievo non è disposto a insegnare a se stesso,
soprattutto nella sapienza e nell’arte di comunicare, che è
partecipazione e comunione di vita. Lo stesso si dica per la
formazione permanente.
4 –
Conclusione
Concludo questa
mia lettera nella data della natività di san Giovanni Battista, “il
più grande tra i nati di donna” (Mt 11,11), l’uomo
dell’austerità e dell’essenziale, della parola franca e
dell’apertura al nuovo, dell’amore alla verità e
all’autenticità, della testimonianza forte e trasparente. Ecco “la
voce che grida nel deserto” annunciando la Parola che viene. Ecco
il maestro che addita ai suoi discepoli l’Agnello di Dio presente
in mezzo a loro. Una splendida icona per il comunicatore!
Il
nostro caro Don Bosco celebrava proprio in questa data il suo
onomastico, una vera festa di famiglia, dei giovani, dei salesiani,
dei cooperatori, degli exallievi, che facevano a gara per esprimere
il loro amore e la loro riconoscenza al “padre”. Ecco l’uomo
che aveva capito che non bastava fare il bene, ma che questo doveva
essere conosciuto, che l’educazione è questione del cuore e che,
dunque, non bastava amare, ma che gli altri dovevano sentire di
essere amati. Questo è il linguaggio salesiano della comunicazione.
Anche noi oggi ci stringiamo spiritualmente attorno a
lui, come suoi figli, per ringraziarlo di quanto ha significato nella
vita di tutti e di ciascuno di noi, che non ci spieghiamo senza di
lui, dal momento in cui abbiamo fatto nostra la sua esperienza di
fede, il suo progetto di vita, la sua passione per la salvezza dei
giovani. Naturalmente il nostro affetto va accompagnato dal nostro
rinnovato impegno di essere fedeli a lui, al suo carisma, alla sua
missione, alle sue scelte, come questa della “diffusione dei buoni
libri” al servizio della Chiesa e della società, e fedeli ai
giovani d’oggi tanto influenzati dai mezzi moderni di comunicazione
sociale, tanto sensibili ai nuovi linguaggi, e tanto bisognosi di
educatori e guide competenti.
Non ci farebbe male leggere
di nuovo quella lettera programmatica di Don Bosco per trovare in
essa la luce e la spinta per questa doppia fedeltà, e collocarci con
il suo coraggio nelle nuove frontiere della comunicazione sociale.
A
Maria Santissima, madre e maestra, affido le vostre persone, le
vostre intenzioni e i vostri sforzi per essere buoni
educatori-pastori-comunicatori.
Don Pascual Chávez
V.
[1]
BENEDETTO XVI, Omelia
per il solenne inizio del Ministero Petrino,
OR,
25.04.2005
[2]
Epistolario di S.
Giovanni Bosco (a cura di E. CERIA),
vol. IV, pp. 318-321
[3]
Il Progetto di Vita
dei Salesiani di Don Bosco - Guida
alla lettura delle Costituzioni, Roma
1986, p. 363.
[4]
Pubblicata in ACS
n. 302, 1 ottobre 1981
[5]
CG24,
n. 137
[6]
Pubblicata in ACG
n. 370, 8 dicembre 1999
[7]
Cf. F. LEVER, a cura di,
I programmi religiosi alla radio e
televisione, LDC, Torino 1991, p.
138.
[8]
Cf. F. PASQUALETTI, New
Media e cultura digitale. Una sfida all’educazione,
in Orientamenti pedagogici,
vol. 51, gennaio - febbraio 2004.
[9]
Cfr. G.S. JONES (a cura di), Virtual culture:
Identity & communication in cybersociety, London, Sage,
1997.
[10]
S. AUKSTAKALNIS - D. BLATNER, Silicon mirage.
The art and science of virtual reality, Berkeley (CA), Peachpit
Press, 1992.
[11]
Cfr. J. E. BERENDT, The third ear. On listening
to the world, New York, Henry Holt & Company, 1992.
[12]
MB II, 45. Cf. Cost. 1
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