CAPITOLO GENERALE XXVIII
SALESIANI DI DON BOSCO
“Quali salesiani
per i giovani di oggi?”
Riflessione postcapitolare
CG28
Roma, 16 agosto 2020
atti
del Consiglio generale
della Società salesiana
di San Giovanni Bosco
ORGANO UFFICIALE DI ANIMAZIONE E DI COMUNICAZIONE PER LA CONGREGAZIONE SALESIANA
N. 433
anno CII
settembre 2020
“Quali salesiani
per i giovani di oggi?”
RIFLESSIONE POSTCAPITOLARE
DELLA SOCIETÀ DI SAN FRANCESCO DI SALES
INDICE
Presentazione
LINEE PROGRAMMATICHE DEL RETTORE MAGGIORE PER LA CONGREGAZIONE SALESIANA DOPO IL CAPITOLO GENERALE 28
SALESIANO DI DON BOSCO PER SEMPRE. Un sessennio per crescere nell’identità salesiana
In una Congregazione dove siamo invitati dal “DA MIHI ANIMAS, COETERA TOLLE
A vivere il “SACRAMENTO SALESIANO DELLA PRESENZA
La formazione per essere SALESIANI PASTORI OGGI
PRIORITÀ ASSOLUTA per i giovani, i più poveri e i più abbandonati e indifesi
INSIEME AI LAICI NELLA MISSIONE E NELLA FORMAZIONE. La forza carismatica offertaci dai laici e dalla Famiglia Salesiana
È L’ORA DI UNA MAGGIORE GENEROSITÀ NELLA CONGREGAZIONE. Una Congregazione universale e missionaria
Accompagnando i giovani verso un FUTURO SOSTENIBILE
MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ PAPA FRANCESCO AI MEMBRI DEL CG28
Ravvivare il dono che avete ricevuto
L’“opzione Valdocco” e il dono dei giovani
L’“opzione Valdocco” e il carisma della presenza
L’“opzione Valdocco” nella pluralità delle lingue
L’“opzione Valdocco” e la capacità di sognare
“QUALI SALESIANI PER I GIOVANI DI OGGI?”
Priorità della missione salesiana tra i giovani di oggi
Riconoscere
Interpretare
Scegliere
Profilo del salesiano oggi
Riconoscere
Interpretare
Scegliere
Insieme ai laici nella missione e nella formazione
Riconoscere
Interpretare
Scegliere
DELIBERAZIONI DEL CG28
Modifiche delle Costituzioni
Elezione del Rettor Maggiore (Cost. 128)
Elezione del Vicario del Rettor Maggiore e dei Consiglieri generali (Cost. 142 §1)
Modifiche dei Regolamenti generali
Compiti del Consigliere regionale (Reg. 135)
Uso del sistema informatico nelle votazioni elettive (Reg. 131)
Deliberazione
Modalità di svolgimento della visita straordinaria (Reg. 104)
ALLEGATI
Discorso del Rettor Maggiore Don Ángel Fernández Artime all’apertura del CG28
Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica
Lettera dei giovani al CG28
Discorso del Rettor Maggiore Don Ángel Fernández Artime alla chiusura del CG28
Cronaca dei lavori del CG28
ELENCO DEI PARTECIPANTI AL CG28
PRESENTAZIONE DEL RETTOR MAGGIORE
Miei cari Confratelli,
sono trascorsi quattro mesi dalla chiusura del Capitolo generale 28°, concluso in anticipo di tre settimane rispetto a quanto programmato a causa della pandemia, che ha reso impossibile la nostra permanenza a Valdocco. Oggi mi rivolgo a voi con questa presentazione, con un sentimento di profonda gioia per ciò che abbiamo vissuto a Valdocco e con la soddisfazione per quello che è stato – credo – un lavoro fruttuoso, svolto da tutti noi Capitolari e concluso in seguito all’interno del Consiglio generale. L’Assemblea capitolare, infatti, ha affidato al Rettor Maggiore e al suo Consiglio l’incarico di terminare ciò che al momento della chiusura anticipata era rimasto incompiuto.
Il documento, che giunge ora a tutti i confratelli attraverso questa pubblicazione, ha come sottotitolo “Riflessione postcapitolare” e non “Documenti capitolari”, come abitualmente avveniva in passato. Questo perché l’Assemblea capitolare non è arrivata all’approvazione finale del testo con una votazione. Solo alcune deliberazioni capitolari, specialmente quelle a carattere giuridico, hanno visto la luce nelle prime quattro settimane dei nostri lavori.
Come ho detto in altre occasioni, a causa delle circostanze che abbiamo dovuto vivere il CG28 è stato un Capitolo “speciale”. Tuttavia, non è stato un Capitolo privo di orientamenti e di linee programmatiche. Di fatto, il documento che vi presento contiene una prima parte che, sia io sia i confratelli del Consiglio generale, consideriamo molto importante per l’animazione, il governo e la vita della Congregazione nel prossimo sessennio.
Si tratta delle linee programmatiche che il Rettor Maggiore offre alla Congregazione per il sessennio 2020-2026. In questa ampia proposta trovate, cari Confratelli, la riflessione seguita al Capitolo generale, frutto dello stesso Capitolo e della sintesi del cammino percorso nella nostra Congregazione nei precedenti sei anni. Si tratta di una ricca ed ampia riflessione che raccoglie anzitutto lo spirito di quanto è contenuto nel Messaggio che il Santo Padre Francesco ha inviato al Capitolo generale; raccoglie inoltre quegli elementi che il Papa ha indicato come essenziali e che erano già presenti nella riflessione sviluppata dall’Assemblea capitolare sui primi due nuclei tematici. Il terzo nucleo – come sapete – è stato elaborato dal Consiglio generale.
Queste linee programmatiche dovranno essere certamente motivo di studio, analisi e approfondimento sia da parte delle ispettorie sia da parte di ciascun confratello, specialmente da parte dei direttori per il loro servizio di animazione e governo delle comunità locali. Do per presupposto che essa sia oggetto di studio da parte dell’Ispettore e del suo Consiglio.
Ritengo che, pur con diverse velocità, legate alla particolarità di ciascuna ispettoria, tutta la Congregazione debba percorrere questo cammino, che è identitario, carismatico e offre linee-guida e linee di azione per il nostro presente.
Al testo programmatico del sessennio segue il Messaggio del Santo Padre, che senza dubbio raggiungerà il cuore di ogni salesiano, e sarà anzitutto motivo di meditazione, di studio, di approfondimento e di confronto personale.
I tre nuclei proposti come temi del lavoro capitolare hanno avuto un ampio sviluppo, anche se non hanno attraversato tutte le fasi di studio e di elaborazione pensate inizialmente. I testi offrono ricche riflessioni, precise e opportune proposte per la vita delle ispettorie e di tutte le nostre presenze nel mondo.
Infine, nel documento sono raccolte le deliberazioni capitolari e, come in tutti i capitoli generali, alcuni allegati con messaggi e discorsi.
Ritengo che il documento che ora avete tra le mani permetterà di approfondire le motivazioni ecclesiali, carismatiche e identitarie che ci aiuteranno a proseguire il cammino di fedeltà che, come Congregazione e in modo personale, desideriamo continuare. Oggi il nostro mondo, la Chiesa e i giovani insieme alle loro famiglie, hanno bisogno di noi come ieri, per continuare a vivere un cammino di fedeltà al Signore Gesù. Hanno bisogno di noi come persone significative e coraggiosamente profetiche. Che il Signore ci conceda questo dono. Con la mediocrità e le paure potremo offrire ai giovani poche cose, che non saranno in grado di trasformare la loro vita e riempirla di senso.
Sono oltremodo convinto che tutti desideriamo appartenere a una Congregazione che si sente molto viva e nella quale ciascun confratello rinnova la propria consegna di sé ogni giorno: non in qualunque modo, ma sentendo che ne vale la pena.
Desidero profondamente che questo “speciale” CG28 aiuti ciascun confratello a ravvivare la passione apostolica che caratterizzò il nostro Padre Don Bosco, per essere altri Don Bosco oggi, in ogni parte del mondo, in ogni cultura e in ogni situazione.
Aggiungo una richiesta. Mentre consegno questo documento, con uno sguardo di fede e con grande fiducia chiedo a ciascuno di voi, cari Confratelli, di farne motivo di preghiera, oggetto di studio paziente, di lettura attenta e meditata, affinché esso possa toccare il vostro cuore. Vi chiedo di interiorizzare la spiritualità che troverete in queste riflessioni capitolari, di entrare in dialogo con le proposte che vogliono essere significative e profetiche nel nostro modo di assumerle e tradurle nella vita. Penso che un significativo tempo di studio, di conoscenza e interiorizzazione e di dialogo, cuore a cuore, davanti al Signore, debba essere il compito principale affidato a ciascun confratello, a ciascuna ispettoria e visitatoria, a ciascuna regione e conferenza interispettoriale.
Miei carissimi Confratelli, la promulgazione di questa Riflessione postcapitolare avviene il 16 agosto 2020, a duecentocinque anni dalla nascita di Don Bosco e a centosessantadue anni dall’inizio della nostra Congregazione. Fino ad oggi, il cammino della nostra Congregazione e della Famiglia Salesiana è stato bellissimo. Se la nostra risposta continuerà ad essere fedele al Signore, non c’è dubbio che sarà molto di più quello che si scriverà per il bene dei giovani mediante la consegna quotidiana di noi stessi, ovunque ci sarà un giovane che abbia bisogno di salesiani in grado di essere amici, fratelli e padri.
La nostra Madre Ausiliatrice ci accompagna in questo cammino e, come con Don Bosco, continuerà a fare tutto Lei. Da Lei impariamo cosa significhi ascoltare attentamente la voce dello Spirito Santo ed essere docili a Lui; impariamo a coltivare la profondità della vita in Dio e la dedizione semplice e convinta ogni giorno. Questo ci renderà sempre più autentici segni e portatori dell’Amore di Dio ai giovani.
Alla nostra Madre Ausiliatrice ci affidiamo «per essere, tra i giovani, testimoni dell’amore inesauribile del suo Figlio» (C. 8).
Don Ángel Fernández Artime
Rettor Maggiore
Roma, 16 agosto 2020
Anniversario della nascita di Don Bosco
LINEE PROGRAMMATICHE DEL RETTORE MAGGIORE PER LA CONGREGAZIONE SALESIANA DOPO IL CAPITOLO GENERALE 28
Miei carissimi Confratelli salesiani di tutto il mondo,
mi rivolgo con molto piacere a tutti voi dopo il Capitolo generale e dopo la conclusione della prima sessione plenaria del nuovo Consiglio generale. Con questa lettera, che ho condiviso con tutto il Consiglio generale, intendo offrire a tutti voi, cari Confratelli, una vera “tabella di marcia” per il prossimo sessennio, dal momento che l’interruzione del Capitolo generale, nel bel mezzo del suo svolgimento, non ci ha permesso di avere i documenti capitolari, che sarebbero stati la norma e la guida per i prossimi sei anni.
Davanti alla dolorosa realtà della pandemia causata dal virus COVID-19, che ha colpito e che continua tuttora ad affliggere duramente il mondo, abbiamo sperimentato qualcosa di unico: l’interruzione di un Capitolo generale. È la prima volta che accade un fatto simile nella storia della nostra Congregazione – se si esclude il tragico evento della Prima guerra mondiale, che ha reso impossibile celebrare, durante il Rettorato di don Paolo Albera, il XII Capitolo generale; la celebrazione di quel Capitolo dovette attendere quasi dodici anni.
Nel nostro caso, tuttavia, l’interruzione dei lavori capitolari non vuol dire in alcun modo che il Capitolo generale 28° sia stato povero di significato e non abbia prodotto ricchezza di contenuti. Inoltre, tutti i capitolari sono rientrati nelle proprie ispettorie (alcuni dopo diversi mesi di attesa a Valdocco) arricchiti dall’esperienza accumulata e da un sentire salesiano nutrito e rafforzato alle “fonti di Valdocco”, le fonti della nostra nascita carismatica.
Nonostante la minaccia della pandemia e il rischio della sospensione dell’assemblea, durante l’ultima settimana il Capitolo generale ha potuto eleggere il Rettor Maggiore e tutti i membri del Consiglio generale, e affidare a noi il compito di continuare la riflessione su quei punti che non erano stati affrontati.
Questa mia lettera e tutto ciò che è contenuto nel volume intitolato “Riflessione postcapitolare” vuole essere una risposta fedele al mandato ricevuto dall’Assemblea capitolare.
A ciò va aggiunto il senso di profonda gratitudine al Signore per ciò che abbiamo vissuto; soprattutto per averlo vissuto a Valdocco. Il nostro CG28, infatti, è stato segnato in modo speciale dal fatto che si è svolto a Valdocco, culla del nostro carisma, luogo santo dove il nostro padre Don Bosco «rispondeva alla vita dei giovani con un volto e una storia»1. Ecco, abbiamo vissuto il nostro Capitolo generale a Valdocco con la chiara consapevolezza che questa è la casa di tutti.
È quanto ci ha ricordato il Santo Padre Francesco, che voleva fare a Don Bosco, nella persona dei suoi figli riuniti in assemblea capitolare, il bellissimo dono di venirci a trovare.
Il Papa mi aveva anticipato alcuni mesi prima il suo personale desiderio di venire a Valdocco. All’inizio del Capitolo generale i dialoghi avuti con i responsabili delle visite del Papa hanno confermato la visita prevista nei giorni del 6 e 7 marzo. Tutto era pronto. Lo aspettavamo venerdì 6 marzo a mezzogiorno. Sarebbe stato con noi a Valdocco fino al mattino del giorno 7 e poi avrebbe fatto visita alla sua famiglia. Purtroppo, la pandemia da coronavirus e le restrizioni imposte in tutto lo Stato italiano hanno reso impossibile questa visita – che sarebbe stata un evento unico nella nostra storia, almeno per la durata temporale della presenza del Santo Padre e la sua diretta partecipazione al Capitolo generale, come egli desiderava.
Per telefono il Papa ci ha lasciato un saluto che ho condiviso con tutta l’assemblea capitolare; e il giorno dopo abbiamo avuto tra le mani il Messaggio da lui indirizzato al CG28, che trovate all’interno di questa pubblicazione.
Fin dall’inizio del CG28 abbiamo vissuto con una forte consapevolezza, che ci ha condotto a metterci nella disposizione mediante la quale «lo Spirito fa rivivere il dono carismatico del [nostro] fondatore». Questo desiderava il Santo Padre, invitandoci a non chiudere le finestre al rumore e al vociare che saliva dal cortile di Valdocco, evocando il primo oratorio. Questo «rumore di sottofondo» deve accompagnarci, renderci inquieti e intrepidi nel nostro discernimento.
Di questo ci occuperemo nei prossimi sei anni, per il bene dei giovani del mondo. Giovani che hanno avuto un volto concreto e visibile nello splendido gruppo che ha vissuto il Capitolo generale con noi per alcuni giorni, che ci ha sfidato, che ci ha parlato con il cuore e con la mente e che ci ha commosso.
E poiché a Valdocco tutto ci parla di Don Bosco e dei suoi giovani, e perché i giovani di oggi ci chiamano, ci parlano e ci aspettano, ci proponiamo come Congregazione alcune mete che ci metteranno nella condizione di dare una risposta alla realtà di oggi, e che ci faranno uscire dalle nostre paure e dalle nostre “zone di conforto”, ovunque si trovino e quali che esse siano.
Queste linee, cari confratelli, hanno l’obiettivo di diventare un programma d’azione per il prossimo sessennio, in assoluta continuità con il cammino precedentemente percorso dalla Congregazione e che, anche per questo motivo, ci infonde forza e coraggio.
Sono varie le sfide che dobbiamo affrontare nei prossimi sei anni. Ve le presento come frutto della riflessione svolta durante il Capitolo generale e dopo di esso. Le offro a tutta la Congregazione, avendo conosciuto in dettaglio nei sei anni passati la realtà che stiamo vivendo e, ultimamente, il cammino della Chiesa. Le propongo a tutte le ispettorie, dopo averle condivise con i membri del Consiglio generale, perché queste sfide devono essere lo specchio davanti al quale ogni ispettoria del mondo è chiamata a confrontarsi e devono diventare i criteri per definire le finalità, gli obiettivi, i processi e le azioni concrete per il prossimo sessennio, in tutti i luoghi dove il carisma dei figli di Don Bosco ha messo radici.
Le sfide alle quali dare la nostra risposta e gli obiettivi da perseguire sono i seguenti:
1. SALESIANO DI DON BOSCO PER SEMPRE. Un sessennio per crescere nell’identità salesiana
2. In una Congregazione dove siamo invitati dal “DA MIHI ANIMAS, CETERA TOLLE”
3. A vivere il “SACRAMENTO SALESIANO DELLA PRESENZA”
4. La formazione per essere SALESIANI PASTORI OGGI
5. PRIORITÀ ASSOLUTA per i giovani, i più poveri e i più abbandonati e indifesi
6. INSIEME AI LAICI NELLA MISSIONE E NELLA FORMAZIONE. La forza carismatica che i laici e la Famiglia Salesiana ci offrono
7. È L’ORA DI UNA MAGGIORE GENEROSITÀ NELLA CONGREGAZIONE. Una Congregazione universale e missionaria
8. Accompagnando i giovani verso un FUTURO SOSTENIBILE
1. SALESIANO DI DON BOSCO PER SEMPRE: «Frate o non frate, io resto con don Bosco» (Cagliero). UN SESSENNIO PER CRESCERE NELL’IDENTITÀ SALESIANA
«Il Signore ci ha donato don Bosco come padre e maestro.
Lo studiamo e lo imitiamo, ammirando in lui uno splendido accordo di natura e di grazia. Profondamente uomo, ricco delle virtù della sua gente, egli era aperto alle realtà terrestri; profondamente uomo di Dio, ricolmo dei doni dello Spirito Santo, viveva “come se vedesse l’invisibile”» (C. 21).
Nel mio ultimo intervento nell’aula capitolare, durante il discorso di chiusura del CG28, ho fatto riferimento a un dialogo avuto con un confratello il giorno prima. Egli chiese di parlare con me e mi disse: «Non lasciateci soli. Abbiamo bisogno di aiuto per essere veramente salesiani, per non perdere la nostra identità».
Ho sentito profondamente che in quel momento il Signore ci parlava anche attraverso questo nostro confratello. E ci faceva capire l’importanza e l’urgenza di crescere e consolidare l’identità carismatica nella nostra Congregazione.
Il punto di partenza essenziale e fondamentale è la nostra condizione di consacrati. Il futuro della vita consacrata, e la vita salesiana per noi consacrati, ha la sua ragion d’essere nel suo fondamento, che è Gesù Cristo. Come consacrati, la sequela di Cristo plasma la nostra identità integrando in essa la nostra formazione pastorale. Come consacrati, come salesiani di Don Bosco, Dio ci rende «memoria viva del modo di vivere e di agire di Gesù»2. E la sfida vocazionale, per tutta la vita consacrata e per noi in modo particolare come salesiani di Don Bosco, è quella di «tornare sempre a Gesù», rinunciando a tutto ciò che non è Lui o che ci allontana da Lui.
Con molta umiltà e chiarezza di visione dobbiamo riconoscere che la via d’uscita dalle crisi della vita religiosa, della vita salesiana, delle difficoltà di ogni Ispettoria, non si troverà nei nuovi progetti, né nei piani strategici, né in una “programmazione 3.0”. Il più delle volte, di fronte al disincanto, alla stanchezza esistenziale, alla mancanza di motivazione..., si tratta di tornare a Cristo, alla vita religiosa, alla vita consacrata salesiana. Perché possiamo vivere credendo erroneamente che nel fare le cose tutto abbia un senso. No, cari confratelli: senza Gesù Cristo al centro del nostro pensare, sentire, vivere, sognare, lavorare..., non c’è futuro, e non possiamo offrire nulla di significativo. Nelle parole di Papa Francesco: «Il Signore chiede tutto, e quello che offre è la vera vita, la felicità per la quale siamo stati creati. Egli ci vuole santi e non si aspetta che ci accontentiamo di un’esistenza mediocre, annacquata, inconsistente»3.
Non dimentichiamo che la missione salesiana e la stessa Congregazione sono nate da Dio, suscitate dal suo Spirito: «Con sentimento di umile gratitudine crediamo che la Società di San Francesco di Sales non sia nata da un progetto umano, ma da un’iniziativa di Dio» (C.1); e che ognuno di noi, Salesiani di Don Bosco, è inviato ai giovani da Dio stesso che ci manda (C.15).
Dopo questo “speciale” Capitolo Generale 28, penso che ci si aspetti da noi Salesiani, 162 anni dopo l’inizio della nostra Congregazione, di essere pronti e agili nell’ascoltare il soffio dello Spirito di Dio, lo Spirito Santo, per continuare ad avere Gesù Cristo Signore come fondamento e centro della nostra vita, per rinnovare la profezia che deve caratterizzare la nostra vita, e per continuare a crescere in umanità, fino a diventare quegli “esperti in umanità” che sanno guardare e contemplare, fino a lasciarsi commuovere, il dolore e i bisogni dei nostri fratelli e sorelle (a cominciare da quelli delle nostre comunità), dei giovani, dei ragazzi e delle ragazze e delle loro famiglie. Dobbiamo assumere con serietà il nostro servizio profetico. Il nostro contributo specifico è quello di essere icona dello stile di vita di Gesù, totalmente consacrato al Padre e al Suo progetto per l’umanità: il Regno. Perciò ci si aspetta da noi che siamo segni e testimoni della presenza paterna di Dio – che è una presenza dolce, capace di uno sguardo di tenerezza e con le braccia aperte, spalancate soprattutto ai più poveri, ai nostri giovani – , facendo diventare realtà la nostra fraternità, rendendola attraente, affascinante, e vivendo con semplicità e sobrietà.
Il Signore risorto invitava i suoi discepoli a tornare in Galilea per incontrarlo e rivederlo. Questo invito è per noi estremamente attuale e, esprimendomi in chiave salesiana, vorrei dire che la nostra Galilea per l’incontro con il Signore oggi, come salesiani di don Bosco, passa per Valdocco, gli inizi di Valdocco, anche fragili, ma con quella forza e passione della frase: «frate o non frate resto con don Bosco», che il giovane Giovanni Cagliero espresse con tanto ardore ed entusiasmo giovanile. Valdocco è, infatti, l’atmosfera spirituale e apostolica nella quale ciascuno di noi respira l’aria dello Spirito, dove alimentiamo e rafforziamo la nostra identità carismatica. È il luogo della “trasfigurazione” per ogni salesiano che, prendendosi cura di tutti gli elementi della nostra spiritualità, potrà contribuire a rendere ciascuna delle nostre case un’autentica Valdocco, dove sia possibile incontrare faccia a faccia, nella vita quotidiana, il nostro Signore Gesù Cristo.
Gesù passa, guarda con amore e ci chiama a seguirlo. E nel mistero di questa chiamata, nello sguardo che non ci giudica ma ci scruta dentro e ci guarda, nell’avventura di camminare sulle sue orme, ognuno può scoprire il progetto che Dio ha pensato per ciascuno di noi in forma originale. Oggi molti di coloro che decidono di abbandonare la Congregazione soffrono della stessa cosa: non essere venuti a contatto con il Signore Gesù e non aver avuto la stessa passione del giovane Cagliero di stare con Don Bosco per seguire Gesù. Ecco perché a volte qualsiasi altra offerta pastorale che abbia barlumi di autonomia, di autogestione, di indipendenza, di gestione di sé e delle proprie risorse economiche, esercita in alcuni fratelli un fascino sufficiente per spingerli a chiedere di andare altrove. Dobbiamo onestamente riconoscere che è così. A volte anche il dono del ministero presbiterale non è compreso pienamente e viene strumentalizzato e vissuto come “potere”. Questo fatto oscura l’alleanza che Dio ha stabilito con noi con il dono della consacrazione religiosa che è al centro della nostra vita personale e comunitaria.
PROPOSTA
Questo sessennio si dovrà distinguere per un profondo lavoro in Congregazione per crescere nella profondità carismatica, nell’identità salesiana, in tutte le fasi della vita, con un impegno serio in ogni ispettoria e in ogni comunità salesiana, per giungere a dire come Don Bosco: «Ho promesso a Dio che fin l’ultimo respiro, sarebbe stato per i miei poveri giovani»4.
Per questa ragione:
In ogni tappa della formazione, con la profondità che le corrisponde, cureremo come urgenza e bisogno inderogabili gli elementi che danno identità carismatica ad ogni salesiano e che ci fanno innamorare di Don Bosco e dei giovani con il cuore di Gesù Buon Pastore.
Daremo priorità ai caratteri della nostra identità carismatica di persone consacrate che ci rendono segni profetici: una vita felice che si radica nel Vangelo, una fede forte ancorata a Dio; una comunione che rende attraente la vita comunitaria, un atteggiamento profetico di fronte all’ingiustizia e al male, e uno sguardo di speranza insieme al desiderio di conversione.
Nelle ispettorie, si dovrà attentamente discernere sulle obbedienze date ai confratelli, per non rischiare di perdere il senso autentico e la passione del cuore salesiano e per non cadere in forme di genericismo carismatico o orientarsi verso realtà pastorali diocesane che portano alla separazione dalla Congregazione.
Continuiamo a prestare molta attenzione affinché come Congregazione non siamo catturati dal «virus del clericalismo e del carrierismo»5.
Nella riflessione e condivisione all’interno di ogni comunità valorizziamo la prima parte del documento «Animazione e governo della comunità. Il servizio del direttore salesiano», che presenta “l’identità consacrata salesiana”.
2. In una Congregazione dove è URGENTE il “DA MIHI ANIMAS CETERA TOLLE”
«Con senso di umile gratitudine crediamo che la Società di san Francesco di Sales è nata non da solo progetto umano, ma per iniziativa de Dio. Per contribuire alla salvezza della gioventù, “questa porzione la più delicata e la più preziosa dell’umana società”, lo Spirito Santo suscitò, con l’intervento materno di Maria, san Giovanni Bosco.
Formò in lui un cuore di padre e di maestro, capace di una dedizione totale: “Ho promesso a Dio che fin l’ultimo respiro sarebbe stato per i miei poveri giovani» (C.1)
Le testimonianze dei primi tempi della nostra storia congregazionale, e la riflessione che essa ha sviluppato nel corso degli anni, evidenziano un fatto molto significativo: l’espressione che meglio esprime lo zelo e la carità pastorale dei salesiani di Don Bosco è “Da mihi animas, coetera tolle”.
Quel ragazzo, Domenico Savio, che, alla presenza di quel giovane sacerdote di 34 anni che era Don Bosco, vide quella scritta all’ingresso del suo ufficio, la comprese perfettamente: «Ho capito; qui non havvi negozio di danaro, ma negozio di anime»6. Guardando Don Bosco, apprendiamo la sua profonda spiritualità e quelle speciali qualità di educatore che segnarono il suo modo di relazionarsi con gli adolescenti e i giovani. In Don Bosco e nella sua storia incontriamo la base della nostra azione educativo pastorale, che si caratterizza per una proposta di vita cristiana molto concreta; per l’attenzione nei confronti di ciascun giovane, con l’impegno di offrire risposte concrete alle loro esigenze; per la fiducia nella presenza di Dio.
Il nostro compito, soprattutto nell’accompagnamento dei giovani, si deve caratterizzare per la capacità pedagogica e spirituale creativa tipica del nostro padre Don Bosco, attraverso la quale possiamo superare le distanze nei confronti della sensibilità delle nuove generazioni, offrendo loro un ascolto amorevole e una comprensione compassionevole, suscitando i grandi interrogativi sul mistero della vita e aiutandoli a cercare il Signore e ad incontrarsi con Lui.
Il Capitolo generale 26° affrontava precisamente tutto questo riflettendo sul motto di Don Bosco: “Da mihi animas, cetera tolle”. Ebbene, con la visione di oggi e con la conoscenza della nostra realtà, penso di poter dire che per noi è necessario e urgente che la nostra Congregazione viva, respiri e cammini cercando di fare del “Da mihi animas, cetera tolle” una realtà nell’annuncio del Vangelo, a favore dei nostri giovani e per il bene di noi stessi.
La nostra missione ci pone molto spesso sulla frontiera, dove entriamo abitualmente a contatto con cristiani di altre confessioni, con membri di altre religioni, con non credenti o credenti lontani: anche con loro e per loro vogliamo portare avanti la missione. Ogni tempo e ogni luogo sono adatti per il Vangelo.
Miei cari Confratelli, in quest’ora dopo il CG28
È urgente dare priorità assoluta all’impegno per l’evangelizzazione dei giovani con proposte consapevoli, intenzionali ed esplicite. Siamo invitati a far conoscere loro Gesù e la Buona Novella del Vangelo per la loro vita.
È urgente aiutare i giovani (e le loro famiglie) a scoprire la presenza di Cristo nella loro vita come chiave per la felicità e il significato dell’esistenza.
È urgente accompagnare i bambini, gli adolescenti e i giovani nel loro processo di educazione alla fede, affinché possano aderire personalmente alla persona di Cristo.
È urgente essere “veri educatori” che, per esperienza personale, accompagnano il giovane nel dialogo con Dio nella preghiera e nella celebrazione dei sacramenti.
Senza questo, cari confratelli, altri titanici sforzi della Congregazione tenderanno alla bontà della promozione umana e all’assistenza sociale - che sono sempre molto necessari, e appartengono alla nostra identità carismatica - ma non ci porteranno alla prima ragione per cui lo Spirito Santo ha suscitato il carisma salesiano in Don Bosco: «Fedeli agli impegni che Don Bosco ci ha trasmesso, siamo evangelizzatori dei giovani» (C. 6). La prima finalità della nostra pastorale giovanile è la conversione delle persone al vangelo di Gesù Cristo.
Con tutte le sfumature della sensibilità storica, che vogliamo avere presenti, e la comprensione linguistica dell’epoca, che riteniamo necessaria, non possiamo prescindere dall’elemento essenziale e costitutivo che ha caratterizzato l’azione educativo-pastorale di Don Bosco, che il Rettor Maggiore Don Vecchi esprimeva così: «La pedagogia di Don Bosco è una pedagogia dell’anima, della grazia, del soprannaturale. Quando riusciamo ad attivare questa energia, inizia il lavoro più fecondo dell’educazione. L’altro, valido in sé, è proprio e concomitante a questo, che lo trascende»7.
Il “cetera tolle” ci rende disponibili a lasciare tutto ciò che ci impedisce di andare incontro a chi ha più bisogno di noi. È l’ascesi che emana dall’opzione precedente, rinunciando a molto (gusti personali, preferenze, e persino azioni e servizi legittimi), a ciò che non ci permette di dedicare tutte le energie del cuore pastorale a ciò a cui abbiamo dato priorità.
PROPOSTA
Perciò, propongo alla nostra Congregazione per il prossimo sessennio di essere esigenti con noi stessi nel rispondere alla «URGENZA DI RIPROPORRE CON PIÙ CONVIZIONE IL PRIMO ANNUNCIO, perché “non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio” (ChV, 214)»8.
Per questa ragione:
Il Rettor Maggiore e il suo Consiglio, e ogni Ispettoria, saranno impegnati in questo sessennio a prendere le opportune decisioni per qualificare la presenza salesiana nell’evangelizzazione e nell’educazione alla fede. È questa una autentica conversione pastorale, personale e comunitaria, a cui siamo chiamati.
Promuoveremo una pastorale giovanile che accompagni i giovani in vista della loro maturazione personale, della crescita nella loro fede e abbia come principio unificante la dimensione vocazionale (DF 140, ChV 254)9.
Continueremo a impegnarci a tutti i livelli della nostra Congregazione per realizzare «un cambiamento di mentalità di fronte alla missione da compiere» (Papa Francesco al CG28)10.
Faremo conoscere e stimare come pilastro fondamentale della nostra opera di evangelizzazione e educazione ciò che è stato essenziale per Don Bosco e per tante generazioni di Salesiani: la bellissima presenza della nostra Madre Ausiliatrice nelle nostre proposte educative e nella nostra preghiera con i giovani.
3. VIVERE IL “SACRAMENTO SALESIANO” DELLA PRESENZA
«La nostra vocazione è segnata da uno speciale dono di Dio, la predilezione per i giovani: “Basta che siate giovani, perché io vi ami assai”. Questo amore, espressione della carità pastorale, dà significato a tutta la nostra vita.
Per il loro bene offriamo generosamente tempo, doti e salute: “Io per voi studio, per voi lavoro, per voi vivo, per voi sono disposto anche a dare la vita”» (C. 14)
Papa Francesco nel suo messaggio al Capitolo ci ha parlato de “l’opzione Valdocco e il carisma della presenza”, quel carisma che mi permetto liberamente di qualificare come “sacramento salesiano” della presenza. Il Papa scrive che «prima delle cose da fare, il salesiano è il ricordo vivente di una presenza dove disponibilità, ascolto, gioia e dedizione sono le note essenziali per risvegliare i processi. La gratuità della presenza salva la Congregazione da ogni ossessione attivista e da ogni riduzionismo tecnico-funzionale. La prima chiamata è quella di essere una presenza gioiosa e libera in mezzo ai giovani». Il nostro essere discepoli del Signore, il nostro modo autentico e profondo di essere apostoli dei giovani passa anzitutto attraverso il nostro stare in mezzo alla gente e, in modo speciale, in mezzo ai ragazzi e ai giovani.
Quanto è stato detto in modo colloquiale, non può essere espresso meglio. Si tratta, cari confratelli, di recuperare il primo amore vocazionale, quello che tutti noi abbiamo sperimentato quando abbiamo sentito che il Signore ci chiamava ad essere presenza gioiosa e gratuita in mezzo ai giovani. Mi azzardo a dire che non esiste un solo salesiano che, in un modo o nell’altro, non abbia sentito questo nel suo cuore.
Durante il CG28 abbiamo riflettuto su questo aspetto. Ci siamo resi conto che molti giovani vivono in una vera situazione di orfanezza anche se hanno i genitori. I giovani stessi ci hanno detto nel loro messaggio al CG28: «Siamo spaventati, confusi, frustrati, e sentiamo un grande bisogno di essere amati... sperimentiamo la difficoltà di fronte all’impegno... Crediamo che la nostra società sia individualista e troppo spesso diventiamo individualisti... Vogliamo poter tornare al primo amore che è Cristo, per essere suoi amici. C’è in noi un forte desiderio di realizzazione spirituale e personale. Vogliamo camminare verso la crescita spirituale e personale e vogliamo farlo con voi, Salesiani».11
Non dubitiamo di questa verità dei giovani stessi, che contemporaneamente abbiamo riconosciuto nell’aula capitolare: «Ci chiedono tempo e noi diamo loro spazio; ci chiedono relazione e noi forniamo loro servizi; ci chiedono vita fraterna e noi offriamo loro strutture; ci chiedono amicizia e noi facciamo per loro attività. Tutto ciò ci impegna a riscoprire le ricchezze e la potenzialità dello “spirito di famiglia”»12.
Gli stessi giovani che ci hanno accompagnato durante il Capitolo generale ci hanno rivolto un forte appello ad essere per loro una presenza significativa. Ci hanno detto esplicitamente: «C’è in noi un forte desiderio di realizzazione spirituale e personale. Vogliamo camminare verso la crescita spirituale e personale, e vogliamo farlo con voi, salesiani... Vorremmo che foste voi a guidarci, dentro la nostra realtà, con amore... Salesiani, non dimenticatevi di noi, giovani, perché non abbiamo dimenticato voi e il carisma che ci avete insegnato! Vogliamo dirvelo a voce alta, con tutto il cuore. Essere qui, per noi, è stato un sogno che si è avverato: in questo luogo speciale che è Valdocco, dove è iniziata la missione salesiana, insieme, salesiani e giovani per la missione salesiana, con il nostro comune desiderio di essere santi insieme. Avete il nostro cuore nelle vostre mani. Prendetevi cura di questo prezioso tesoro. Vi preghiamo: non dimenticatevi mai di noi e continuate ad ascoltarci»13.
Cari confratelli, è un gran privilegio sentire il battito di vita del cuore dei giovani! E non ho alcun dubbio che in tutta la Congregazione ci siano tanti confratelli che sono oggi per i giovani dei veri Don Bosco. Ma non mi accontento di questo. Dobbiamo esserlo tutti. Dobbiamo continuare sulla via della conversione. Questo impegno esige da noi un cambio di mentalità e di ritmi di vita, apertura di mente e di cuore, superamento di abitudini radicate e cristallizzate. I giovani dicono che ci vogliono bene, che hanno bisogno di noi, che ci aspettano. L’espressione di Don Bosco «studia di farti amare» è oggi pienamente attuale. La presenza non consiste unicamente nel passare del tempo con i giovani come gruppo, ma nell’incontrarli singolarmente, in modo personale, per stabilire una relazione che permetta di conoscere e ascoltare i loro desideri, le loro difficoltà e fatiche e, a volte, le loro paure e i loro timori. È una relazione che vuole andare oltre una conoscenza superficiale, offrendo un’amicizia caratterizzata dalla mutua confidenza e dalla reciproca condivisione. L’amorevolezza o la bontà è diventata così forma sostanziale della carità di Don Bosco. Egli ci chiede oggi, come nella lettera da Roma del 1884, la capacità di incontrarci, la disponibilità all’accoglienza, la familiarità. Come Don Bosco, dobbiamo coltivare ancora l’arte di fare il primo passo, eliminando distanze e barriere e facendo nascere la gioia e il desiderio di rivedersi, di essere amici. Quest’arte consiste anche nel creare, con pazienza e dedizione, un’atmosfera ricca di umanità, un clima familiare dove i ragazzi e i giovani si sentano molto liberi e capaci di esprimere ed essere se stessi, assimilando con gioia i valori che vengono loro proposti. Questa pedagogia dello spirito di famiglia è anche una scuola di fede per i giovani. Offriamo amore e accoglienza incondizionata, affinché possano scoprire, progressivamente e a partire da un’opzione di libertà personale, la fiducia e il dialogo, così come la celebrazione e l’esperienza comunitaria della fede.
E non dimentichiamo che la presenza salesiana è una presenza speciale, per cui il salesiano tratta i giovani con profondo rispetto, li incontra al loro livello di libertà, e li tratta come soggetti attivi e responsabili della comunità educativo-pastorale. Per questo, il salesiano impara uno stile di ascolto, dialogo e discernimento personale e comunitario. E questo vale non solo nella pastorale trai i giovani ma anche nelle nostre case di formazione, dove “si impara a essere salesiani”.
Ma questa modalità di presenza non è possibile se si è distanti dai giovani: lontani da loro fisicamente e lontani dalla loro psicologia e dal loro mondo culturale. Il pericolo è questo. La giusta alternativa è quella di vivere come salesiani, come figli di Don Bosco, la stessa esperienza di paternità che egli ha vissuto con i suoi ragazzi, che si traduce in un vero amore e nello stesso tempo in una reale “autorevolezza” nei confronti degli stessi ragazzi. A partire dal grande valore che ha per noi la presenza in mezzo ai giovani. Nel Messaggio del Papa al CG28 leggiamo: «La vostra consacrazione è, innanzitutto, segno di un amore gratuito del Signore e al Signore nei suoi giovani che non si definisce principalmente con un ministero, una funzione o un servizio particolare, ma attraverso una presenza. Prima ancora che di cose da fare, il salesiano è ricordo vivente di una presenza in cui la disponibilità, l’ascolto, la gioia e la dedizione sono le note essenziali per suscitare processi. La gratuità della presenza salva la Congregazione da ogni ossessione attivistica e da ogni riduzionismo tecnico-funzionale. La prima chiamata è quella di essere una presenza gioiosa e gratuita in mezzo ai giovani».
Mi permetto di ricordare che la presenza oggi tocca anche il mondo digitale, un nuovo vero areopago per noi, un habitat dei giovani di oggi. Anche qui dobbiamo essere presenti, con una chiara identità salesiana, con il desiderio di portare l’annuncio della buona novella, e semplicemente con la gioia e la semplicità dei discepoli del Signore14.
PROPOSTA
Propongo per questo sessennio, come espressione della nostra CONVERSIONE, quanto già richiesto dal CG26, e cioè:
“Ogni salesiano trovi il tempo di essere tra i giovani come amico, educatore e testimone di Dio, qualunque sia il suo ruolo nella comunità”15.
Nonostante appaia strano dover chiedere a un salesiano di trovare il tempo per stare con i giovani, lo ritengo oltremodo necessario.
Per questa ragione si propone di
Promuovere una presenza efficace e affettiva tra e con i giovani, in comunione di vita e di azione. E valorizzare e rilanciare la bella esperienza e la rinnovata figura dell’assistente, non solo per il tirocinante ma per l’intera vita del salesiano di Don Bosco.
Curare in ogni presenza lo stile dell’ambiente oratoriano: l’atmosfera familiare, l’accoglienza, la spiritualità e la dimensione della gioia profonda.
Accompagnare il dinamismo dei giovani promovendone il protagonismo e la leadership in ogni casa e nella missione salesiana che vi si svolge.
Assicurare la presenza dei formatori nelle comunità di formazione, dove si comunica lo spirito salesiano anzitutto con l’esempio: stare in mezzo a loro, aiutando fortemente i giovani confratelli ad essere i primi responsabili della propria formazione.
Impegnare il dicastero per la comunicazione sociale, a vari livelli, nell’offrire strumenti e stimoli per un costante processo di verifica, aggiornamento, inculturazione della missione salesiana nell’habitat digitale, dove i giovani vivono, coinvolgendo le nostre università, in rete con altri centri e agenzie che più da vicino seguono e studiano le trasformazioni che il mondo digitale sta portando tra le nuove generazioni.
4. LA FORMAZIONE PER ESSERE SALESIANI PASTORI OGGI
«Illuminato dalla persona di Cristo e dal suo Vangelo, vissuto secondo lo spirito di Don Bosco, il salesiano si impegna in un processo formativo che dura tutta la vita e ne rispetta i ritmi di maturazione. Fa esperienza dei valori della vocazione salesiana nei diversi momenti della sua esistenza e accetta l’ascesi che tale cammino comporta.
Con l’aiuto di Maria, madre e maestra, tende a diventare educatore pastore dei giovani nella forma laicale o sacerdotale che gli è propria» (C. 98).
La formazione è veramente un regalo prezioso del Signore, che fa maturare in noi, come salesiani di Don Bosco, il dono inestimabile della chiamata del Padre alla vocazione cristiana e consacrata. Nonostante la realtà numerica delle vocazioni non sia omogenea in tutto il mondo, la Congregazione è benedetta ogni anno con l’ingresso di circa 450 novizi. Ringraziamo Dio perché, come dicono le nostre Costituzioni, ogni chiamata manifesta quanto il Signore ama la Chiesa e la nostra Congregazione (Cf. C. 22).
Tuttavia l’assemblea capitolare ha anche riconosciuto alcune nostre debolezze e le ha espresse così: «Notiamo infatti che talora l’identità consacrata salesiana pare debole e poco radicata: il primato di Dio nella vita personale e comunitaria non sempre emerge con chiarezza; forme di clericalismo e di secolarismo rischiano di far entrare in Congregazione la “mondanità spirituale”; la promozione del salesiano laico in alcune regioni rimane scarsa; la mancanza di personale preparato nell’ambito della salesianità, nonostante il molto materiale a disposizione, è segno di insufficiente attenzione all’approfondimento del carisma»16. Di fatto questa istanza è emersa in modo molto forte durante i lavori del nostro Capitolo generale 28°.
Oserei dire che se ciò avviene in tutte le congregazioni religiose e anche nella formazione dei seminari diocesani, la distanza abissale che si percepisce tra la formazione e la missione salesiana senza dubbio è per noi una grande sfida. Forse questa distanza è dovuta alla grande differenza che esiste tra la realtà delle case di formazione iniziale e la vita nelle comunità apostoliche (le comunità ordinarie di tutte le ispettorie); forse il fenomeno dipende anche dal fatto che la formazione non sempre riesce a raggiungere il cuore del giovane salesiano in formazione; forse nel curriculum formativo si trasmettono conoscenze e informazioni che non riescono a toccare la vita e la missione salesiana. La crescita è un processo lento di unificazione della persona, che mette in relazione esperienze di vita, bisogni esistenziali, conoscenze, missione, rapporti, vocazione, progetto di vita… In questo processo di unificazione ci formiamo per essere educatori e pastori in un mondo nuovo e in una missione rinnovata. Qualunque sia la ragione dei limiti formativi che constatiamo, ci troviamo di fronte a una grande sfida, che la Congregazione ha evidenziato e che dobbiamo affrontare con decisione nel sessennio.
D’altra parte, non possiamo negare che esiste una pericolosa convinzione: che la formazione termini dopo il completamento delle fasi iniziali; e, nel caso dei candidati al sacerdozio, sia compiuta con il loro accesso al ministero. Questa idea sbagliata ci fa molto male e ci porta a pagare prezzi elevati nel ministero pastorale. Si tratta, quindi, di comprendere la formazione come un processo di trasformazione personale che dura tutta la vita, anche se si caratterizza per una particolare intensità e con specifiche attenzioni nelle prime tappe. In definitiva la formazione è un cammino necessario per costruire e custodire la nostra vocazione.
Spesso non sappiamo trasformare la vita pastorale quotidiana in un’opportunità permanente per la nostra formazione e perciò «la comunità, sia religiosa che educativa pastorale, non riesce a diventare l’ambiente naturale in cui ci si forma»17. Siamo consapevoli di alcune possibili fragilità pastorali: superficialità, improvvisazione, attivismo. Non riveste minore importanza il pericolo dell’individualismo. Tutto ciò richiede umiltà, lucidità, autenticità e un nuovo impulso nella comprensione comunitaria della nostra vita e della nostra missione.
Come è stato detto al Capitolo generale, la formazione iniziale è una realtà poliedrica, positiva e promettente. Di fronte a tale situazione, la formazione dei formatori, cioè dei confratelli che accompagnano con una «vocazione particolare all’interno della propria vocazione» la formazione dei giovani salesiani, e la creazione di buone équipe di persone che possano accompagnare le tappe della formazione, sono una vera urgenza e una vera priorità, dal momento che la comunità è il primo luogo di formazione.
Dobbiamo forse parlare della necessità di assumere un nuovo stile di formazione? Nel suo messaggio al Capitolo generale, Papa Francesco ci dice a questo proposito: «pensare alla figura salesiana per i giovani di oggi significa accettare di essere immersi in un tempo di cambiamento»18. Occorre quindi rinnovare il nostro stile formativo, che deve essere pensato sempre più in forma personalizzante, olistica, relazionale, contestuale e interculturale19. Dovremo continuare a fare passi avanti per impostare e vivere realmente la formazione nell’orizzonte della vocazione e, quindi, ben lontano dall’essere intesa, come a volte si tende a fare, solo come un dovere che dura pochi anni e necessariamente viene superato per arrivare alla “vita reale”, alla vita concreta, a quella che si cercava. Che concetto formativo pericoloso quello che oppone la vita reale alla formazione del salesiano educatore e pastore!
La formazione, insomma, è un vero e proprio lavoro artigianale, sia da parte di chi accompagna i confratelli, sia da parte di ciascuno nel proprio processo formativo. In questo campo oggi non c’è spazio per la “produzione in serie”. L’artigianato parla di opere d’arte uniche, fatte a mano, una ad una. Parlando di questo lavoro artigianale, oggi non possiamo trascurare la figura della donna negli ambienti educativi salesiani. Infatti, «la presenza della donna in molte nostre opere è un dato di fatto, sia per quanto riguarda i destinatari che i corresponsabili dell’educazione»20. In questo senso Papa Francesco ci ha rivolto un forte appello nel suo Messaggio dicendo: «Che ne sarebbe di Valdocco senza la presenza di Mamma Margherita? Sarebbero state possibili le vostre case senza questa donna di fede? […] Senza una presenza reale, effettiva ed affettiva delle donne, le vostre opere mancherebbero del coraggio e della capacità di declinare la presenza come ospitalità, come casa. Di fronte al rigore che esclude, bisogna imparare a generare la nuova vita del Vangelo. Vi invito a portare avanti dinamiche in cui la voce della donna, il suo sguardo e il suo agire – apprezzato nella sua singolarità – trovino eco nel prendere le decisioni; come un attore non ausiliare ma costitutivo delle vostre presenze».
Un rinnovato stile e modello di formazione, anche con la forte sottolineatura che ci fa Papa Francesco, non sarà possibile dimenticando l’unico e più importante protagonista, che non è né il formatore né il formando, ma lo Spirito Santo, lo Spirito di Dio verso il quale ciascuno di noi deve essere docile. Per questa ragione le nostre Costituzioni ricordano che «ogni salesiano si assume la responsabilità della propria formazione» (C. 99). Mi permetto di aggiungere che ciascun confratello deve fare in modo che lo Spirito Santo trasformi il suo cuore lungo il corso della vita e nei suoi diversi momenti.
Un cammino formativo vissuto così ci permetterà di consolidare nella Congregazione quanto ho affermato nelle pagine precedenti: il “Da mihi animas” deve essere il motore della passione educativa ed evangelizzatrice, e anche l’“energia” dell’intero processo formativo.
Di fatto, la natura apostolica del nostro carisma qualifica in modo determinante la nostra formazione. Come ci ricorda papa Francesco nel suo messaggio, «è importante sostenere che non veniamo formati per la missione, ma che veniamo formati nella missione, a partire dalla quale ruota tutta la nostra vita, con le sue scelte e le sue priorità. La formazione iniziale e quella permanente non possono essere un’istanza previa, parallela o separata dell’identità e della sensibilità del discepolo».
È evidente che abbiamo davanti a noi uno dei nuclei essenziali del cammino della Congregazione per i prossimi sei anni: curare la vocazione di ogni confratello in particolare, e dei giovani confratelli in formazione, in modo tale che tutti noi riusciamo ad essere i Salesiani di Don Bosco di cui oggi i nostri ragazzi, i giovani e le loro famiglie hanno bisogno.
PROPOSTA
Ci impegniamo a superare il divario tra formazione e missione favorendo nella Congregazione una rinnovata cultura della formazione nella missione per quest’oggi in tutto il mondo salesiano con misure e decisioni di grande significatività.
Per questa ragione:
Promuoviamo un rinnovato impegno per l’accompagnamento formativo dei confratelli, che possa toccare il cuore e renderci disponibili a una vera e radicale donazione di noi stessi. A questo scopo valorizziamo il sussidio “Giovani salesiani e accompagnamento. Orientamenti e direttive”, nel quale si ribadisce che il nostro modello di formazione non può che essere il Sistema Preventivo.
Le comunità di formazione iniziale custodiscano uno stile di vita sobrio e caratterizzato da profondità spirituale e grande capacità di servizio e lavoro, che preservi dall’imborghesimento e formi alle esigenze della missione. Si garantisca l’accompagnamento pastorale come strategia fondamentale per una formazione alla missione e nella missione.
Investiamo energie nel reperimento e nella formazione dei formatori e affrontiamo con coraggio il ripensamento dei riferimenti istituzionali e delle strutture formative.
Il Settore della formazione svolgerà un serio ed esigente lavoro di aggiornamento della Ratio, potenziando ciò che favorisce l’integrazione tra la formazione e la missione e impedisce il formarsi di un divario fra le due dimensioni. Il Settore garantirà processi di vera maturazione e personalizzazione e di accompagnamento.
5. PRIORITÀ ASSOLUTA PER I GIOVANI, I POVERI E I PIÙ ABBANDONATI E INDIFESI
«Il Signore ha indicato a Don Bosco i giovani, specialmente i più poveri, come primi e principali destinatari della sua missione.
Chiamati alla medesima missione, ne avvertiamo l’estrema importanza: i giovani vivono un’età in cui fanno scelte di vita fondamentali che preparano l’avvenire della società e della Chiesa.
Con Don Bosco riaffermiamo la preferenza per la “gioventù povera, abbandonata, pericolante”, che ha maggior bisogno di essere amata ed evangelizzata, e lavoriamo specialmente nei luoghi di più grave povertà» (C. 26)
Vorrei iniziare a sviluppare questa priorità a partire dalle poche frasi che ho potuto dedicare a questo tema nel mio ultimo intervento nell’Aula Capitolare, prima della conclusione anticipata del nostro CG28. Posso assicurarvi, cari Confratelli, che le parole erano poche ma la convinzione era forte e grande.
Ho detto: «Sogno che dire oggi e nei prossimi anni “Salesiani di Don Bosco” significhi, per le persone che ascoltano il nostro nome, che siamo consacrati un po’ “pazzi”, cioè “pazzi” perché amano i giovani, soprattutto i più poveri, con un vero cuore salesiano.
Cari confratelli, se ci allontanassimo dai più poveri, sarebbe la morte della Congregazione. Ce lo diceva don Bosco quando parlava della nostra povertà e del pericolo della ricchezza. Permettetemi di essere ancora più schietto: se un giorno dovessimo lasciare i ragazzi, i giovani e, tra questi, i più poveri, la nostra Congregazione inizierebbe a morire. Una Congregazione che oggi, grazie a Dio, è in buona salute, nonostante le nostre debolezze!
Prestiamo, dunque, attenzione a quella che considero un’autentica “deliberazione capitolare”, anche se non nel senso proprio dell’espressione, dal momento che il suo contenuto si trova già nelle nostre Costituzioni. Si tratta di chiedere a noi un’opzione radicale, preferenziale, personale, istituzionale e strutturale a favore dei giovani più bisognosi, poveri ed esclusi. Un’opzione che deve manifestarsi in modo speciale, nella difesa dei ragazzi, delle ragazze e dei giovani sfruttati e vittime di qualsiasi tipo di abuso: dall’abuso sessuale a qualsiasi altro tipo di sfruttamento; dall’abuso causato da qualsiasi tipo di violenza; dall’abuso di ingiustizia manifesta ed evidente, a qualsiasi tipo di abuso di potere. Credo che questa sfida sia un bell’impegno che ogni salesiano deve portare nel cuore. Un periodo di sei anni guidato da questa luce ci darà molta vita».
Sono convinto che assumere questa prospettiva come irrinunciabile, sarà molto significativo in tutta la Congregazione e in tutti i contesti, culture e continenti. Oggi ci sono molte povertà giovanili che reclamano da parte dell’intera famiglia umana, e senza dubbio da noi Salesiani in modo particolare, un’attenzione urgente. In effetti, la storia della nostra Congregazione è caratterizzata da chiamate ad andare incontro ai giovani più poveri. «Come figli di Don Bosco, abbiamo assunto un impegno storico per servire i giovani poveri».21
Il nostro stesso padre Don Bosco ci ha già detto: «Tutti ci vedranno e ci accoglieranno con simpatia, purché le nostre preoccupazioni e le nostre richieste siano rivolte ai figli dei poveri, quelli più a rischio della società. Questa deve essere per noi la più grande soddisfazione che nessuno possa toglierci»22.
Molti anni fa, il CGXIX dichiarava: «Oggi più che mai don Bosco e la Chiesa ci mandano a lavorare tra i poveri, i meno fortunati e il popolo»23. Il CGXX ha parlato anche della priorità assoluta dei “giovani” e tra di loro dei “poveri e abbandonati” quando ha chiesto chi fossero i destinatari concreti della nostra missione24.
Noi stessi abbiamo detto nel nostro recente Capitolo che siamo consacrati a Dio per i giovani più poveri. Come Don Bosco, anche noi abbiamo promesso nella nostra professione religiosa di offrirci a Dio impegnando le nostre forze a servizio dei giovani, specialmente i più poveri, e che per questo dobbiamo «ascoltare insieme l’appello che Dio ci rivolge nelle povertà giovanili. Richiede poi anche profondità spirituale, per non cadere nell’attivismo o in una mentalità aziendale; preparazione culturale, per comprendere i fenomeni in cui siamo immersi e le nuove povertà giovanili; disponibilità a lavorare insieme, abbandonando ogni individualismo pastorale; flessibilità nel ripensare il nostro stile di vita e le nostre opere, soprattutto quando esse non esprimono più l’energia missionaria del carisma e rispondono prevalentemente a logiche di mantenimento»25.
Insomma, l’appello che rivolgo a tutti è quello di guardare veramente i volti dei nostri ragazzi e dei nostri giovani fino a conoscere le loro storie di vita, che spesso sono attraversate da vere e proprie tragedie. Se questo avviene è perché amiamo veramente i giovani e ci causerà sofferenza e dolore per loro. Papa Francesco parlando dell’opzione Valdocco e del dono della gioventù ci dice qualcosa di prezioso, che non mi ha lasciato indifferente. Scrive: «L’Oratorio salesiano e tutto ciò che ne è uscito, come ci racconta la Biografia dell’Oratorio, è nato come risposta alla vita dei giovani con un volto e una storia che ha mobilitato quel giovane sacerdote che non poteva rimanere neutrale o immobile di fronte a quanto stava accadendo. È stato più di un gesto di buona volontà (...). Lo considero un atto di conversione permanente e di risposta al Signore che “stanco di bussare” alle nostre porte, si aspetta che andiamo a cercarlo e lo troviamo, o che lo facciamo uscire, quando bussa dall’interno. Una conversione che ha coinvolto (e complicato) tutta la sua vita e quella di tutti coloro che lo circondano. Don Bosco non solo non ha scelto di separarsi dal mondo per cercare la santità, ma si è lasciato sfidare e ha scelto come e quale mondo abitare»26.
PROPOSTA
Nel sessennio, la Congregazione in tutte le sue ispettorie fa l’opzione radicale, preferenziale, personale – cioè da parte di ogni salesiano – e istituzionale a favore dei più bisognosi, dei ragazzi, delle ragazze e dei giovani poveri ed esclusi, con particolare attenzione alla difesa di coloro che sono sfruttati e vittime di qualsiasi abuso e violenza (“abuso di potere, economico, di coscienza, sessuale”27).
Per questa ragione:
In ogni presenza salesiana nel mondo e in ogni Ispettoria, devono essere prese le decisioni necessarie affinché i bambini e i giovani più poveri, nei luoghi dove siamo presenti, non siano mai esclusi da nessuna casa salesiana, qualunque sia lo sforzo da compiere. Pensare, decidere, creare modi per rendere possibile questa scelta (come ha sempre fatto il nostro Padre Don Bosco).
In ogni Ispettoria e casa salesiana ci sarà un codice etico per la cura, la prevenzione e la difesa dei minori a noi affidati, con l’impegno di proteggerli da ogni tipo di abuso, da qualunque parte esso provenga. Per noi i ragazzi, le ragazze e i giovani sono sacri nel nome di Dio.
A livello mondiale, ispettoriale e locale, ci impegniamo a promuovere le varie reti, le azioni e le buone prassi che riguardano la nostra opera e la nostra presenza tra i ragazzi, le ragazze e i giovani più poveri, in particolare anche tra i rifugiati e gli immigrati. Le organizzazioni salesiane come DBnetwork, DBGA e RASS devono contribuire a garantire la tutela dei minori e a camminare in sempre maggiore comunione con il Dicastero (Settore) della Pastorale giovanile della Congregazione.
6. INSIEME AI LAICI NELLA MISSIONE E NELLA FORMAZIONE
«Realizziamo nelle nostre opere la comunità educativa e pastorale. Essa coinvolge, in clima di famiglia, giovani e adulti, genitori ed educatori, fino a poter diventare un’esperienza di Chiesa, rivelatrice del disegno di Dio.
In questa comunità i laici, associati al nostro lavoro, portano il contributo originale della loro esperienza e del loro modello di vita.
Accogliamo e suscitiamo la loro collaborazione e offriamo la possibilità di conoscere e approfondire lo spirito salesiano e la pratica del Sistema Preventivo.
Favoriamo la crescita spirituale di ognuno e proponiamo, a chi vi sia chiamato, di condividere più strettamente la nostra missione nella Famiglia salesiana» (C.47).
Questo articolo delle nostre Costituzioni contiene gli elementi più essenziali della nostra missione condivisa con i laici. Con questa visione dobbiamo confrontarci e verificare fino a che punto il cammino della Congregazione, di ogni Ispettoria e di ogni confratello sta muovendosi in questa direzione, che esprime bene la nostra identità carismatica. Siamo impegnati nella formazione dei laici che condividono con noi la missione, sostenendo la loro crescita personale, il loro cammino di fede e la loro identificazione vitale con lo spirito salesiano. Inoltre, dobbiamo offrire i mezzi per consentire loro di svolgere i compiti loro affidati. «La (ri)scoperta della vocazione e della missione dei laici è una delle grandi frontiere del rinnovamento proposto dal Concilio Vaticano II e riflesso nel successivo Magistero»28. Il nostro CG24 è stato certamente una risposta carismatica all’ecclesiologia di comunione del Vaticano II. Sappiamo bene che Don Bosco, fin dall’inizio della sua missione a Valdocco, ha coinvolto tanti laici, amici e collaboratori in modo che fossero partecipi della sua missione tra i giovani. Da subito egli «suscita condivisione e corresponsabilità da parte di ecclesiastici, laici, uomini e donne»29. Si tratta dunque, nonostante le nostre resistenze, di un punto di non ritorno, perché, oltre a corrispondere all’agire di Don Bosco, il modello operativo della missione condivisa con i laici proposto dal CG24 è di fatto «l’unico praticabile nelle condizioni attuali»30.
Ventiquattro anni dopo la celebrazione di quel Capitolo generale, dobbiamo riconoscere che l’accoglienza e l’attuazione di ciò che è stato deciso sono state molto diverse. In alcune regioni la presenza dei laici nella missione salesiana è diventata più evidente. In altre regioni della Congregazione il cammino è molto più lento. In altri casi l’esperienza di comunione è ancora agli inizi – come un cammino appena intrapreso – e talvolta incontriamo anche fenomeni di resistenza vera e propria.
Sicuramente in questi anni, anche nelle più diverse realtà culturali, si sono fatti progressi. Spesso i rapporti tra salesiani e laici sono caratterizzati da cordialità, apprezzamento reciproco, rispetto, collaborazione e, quando c’è una chiara identità, la realtà delle comunità educativo pastorali si presenta molto ricca – anche se non sempre si percepisce il valore della vocazione e della missione dei laici. Tendiamo, infatti, a riconoscere più facilmente ciò che fanno rispetto alla loro identità laicale.
È vero che tra i laici delle presenze salesiane nelle 134 nazioni in cui ci troviamo c’è una grande varietà: molti lavorano su base contrattuale e molti altri, soprattutto i più giovani, come volontari. Ci sono laici con una forte identità cristiana e carismatica, e altri che sono lontani da questa realtà. C’è chi è cattolico, ci sono cristiani di altre confessioni, o laici che professano altre religioni, e anche persone indifferenti al fatto religioso.
Similmente le modalità di relazione tra le comunità e le opere sono diverse a seconda della realtà esistente, dei contesti, ecc... Nella riflessione fatta nel Consiglio generale abbiamo preso coscienza di questa grande diversità, come si riflette nel nostro contributo al nucleo 3 del Capitolo, che non è stato sviluppato nell’Assemblea capitolare a causa del COVID-1931.
Come dicevo precedentemente, «fin dall’inizio il nostro Fondatore si preoccupò di coinvolgere il maggior numero di collaboratori possibili nel suo progetto operativo: da mamma Margherita ai datori di lavoro, dalla gente buona del popolo ai teologi, dai nobili ai politici dell’epoca. Noi siamo nati e cresciuti storicamente in comunione con i laici, e loro con noi. Anzi, dobbiamo sottolineare l’importanza che i giovani hanno avuto nello sviluppo del carisma e della missione salesiana: Don Bosco trovò nei giovani i suoi primi collaboratori, che così sono diventati co-fondatori della Congregazione.
Tante volte io stesso – e certamente altri Rettori Maggiori – ho espresso con forte convinzione che la partecipazione dei laici al carisma salesiano e alla missione non è una concessione da parte nostra, una grazia che offriamo loro, e nemmeno una via di sopravvivenza – come molti confratelli hanno pensato tante volte. È un diritto legato alla loro vocazione specifica. Naturalmente qui appare evidente la differenza tra l’essere semplici lavoratori in una casa salesiana, e l’essere parte, nello stesso tempo, di un lavoro, di una missione e di una vocazione. È un rapporto radicalmente diverso. Ciò esige da noi in molti casi un deciso cambio di prospettiva. Come consacrati siamo un’incarnazione specifica del carisma salesiano, ma non ne siamo gli unici depositari.
Da qui discende una priorità assoluta: «La condivisione dello spirito salesiano e la crescita nella corresponsabilità che richiedono la condivisione di alcuni percorsi ed esperienze formative orientate alla missione, ovviamente senza trascurare percorsi formativi specifici ai salesiani consacrati e ai laici. La formazione congiunta nella missione condivisa è una priorità assoluta e va indirizzata soprattutto al nucleo animatore»32.
I laici sono compagni di cammino, non sostituti o surrogati dei religiosi: loro e noi abbiamo identità e compiti specifici per la missione. Pertanto, i nostri collaboratori laici hanno bisogno di conoscere e sperimentare molto da vicino Don Bosco e ciò che si vive nelle case salesiane dove essi si trovano. Tale conoscenza e formazione non si ricevono solo attraverso corsi accademici, ma in un modo molto speciale, riflettendo, verificando e progettando ciò che si vive insieme in una presenza. È essenziale compiere ulteriori passi nella formazione comune e congiunta, specialmente in quegli aspetti che si riferiscono alla conoscenza e al vissuto del nostro carisma condiviso. Sappiamo, infatti, che «il primo e migliore modo per formarsi e per formare la condivisione e la corresponsabilità è il corretto funzionamento della comunità educativa pastorale»33.
Mi resta da sottolineare in modo molto particolare e fermo che la missione condivisa con i laici ha il suo sviluppo più pieno e autentico quando essi sono membri di uno dei 32 gruppi della Famiglia Salesiana, dei quali, come è noto, dodici sono gruppi laicali. Nel caso dei membri appartenenti alla Famiglia Salesiana il grado di identità carismatica è spesso molto alto, e insieme viviamo una vera vocazione nel carisma. È una ragione in più per dare priorità alla presenza dei membri della Famiglia salesiana nelle nostre presenze, anche come lavoratori, quando la loro professionalità soddisfa le stesse condizioni degli altri.
Infine, non dobbiamo dimenticare che il futuro di questo elemento carismatico – la missione e la formazione condivisa con i laici – passa attraverso la formazione dei futuri salesiani. Non vi nascondo, cari Confratelli, che mi preoccupa la tendenza di una parte dei nostri giovani confratelli, che bramano, oserei quasi dire anche con veemenza, di terminare le tappe formative per vedersi con autorità, posizioni e responsabilità davanti ai laici. È una tendenza totalmente contraria al cammino che vogliamo intraprendere come Congregazione. Per questo motivo, «la formazione nella e per la missione condivisa deve toccare anche la formazione iniziale dei salesiani, non solo come oggetto di studio, ma anche attraverso esperienze pastorali settimanali e attive. L’esperienza di lavorare con e sotto la direzione di laici durante il mandato, così come la partecipazione al consiglio della comunità educativa pastorale, sono momenti preziosi di formazione, soprattutto se accompagnati dai membri del gruppo di animatori, sia salesiani che laici»34.
PROPOSTA
Tutta la Congregazione e tutte le ispettorie del mondo facciano “passi avanti” nella testimonianza della missione condivisa e della formazione comune, migliorando la realtà e il funzionamento delle CEP in tutte le presenze della Congregazione. Si può essere più avanti o più indietro nel vivere la missione e la formazione nella e della CEP, ma non si può non camminare in questa direzione. Continua ad essere una priorità e un’urgenza quanto ho chiesto nel CG27: «La missione condivisa tra SDB e laici non è più opzionale – caso mai qualcuno lo pensasse ancora»35.
Camminiamo per inserire laici nelle équipe formative delle comunità di formazione iniziale.
In questi sei anni in ogni ispettoria e presenza salesiana si porterà avanti, congiuntamente tra salesiani e chi condivide la missione e fa parte del nucleo animatore, un processo di discernimento per:
rilevare con realismo la situazione di missione e formazione condivisa (riconoscere)
porsi in sintonia con il cammino che la Chiesa e la Congregazione stanno facendo (interpretare)
tracciare e attivare processi di crescita e trasformazione, in sinergia con le altre realtà ispettoriali, regionali, di Congregazione (scegliere).
Per questa ragione:
i laici con una forte identità carismatica saranno gradualmente inseriti nelle équipe ispettoriali, assumendo anche compiti di responsabilità, di coordinamento e di leadership.
nelle ispettorie si realizzerà una formazione secondo il modello operativo di animazione e di governo delle case già deciso nel CG24.
nelle ispettorie e nelle presenze salesiane renderemo significativa la testimonianza evidente e forte della Famiglia Salesiana all’interno della CEP.
i centri regionali di formazione permanente, con l’appoggio dei dicasteri per la Pastorale Giovanile e per la Formazione, preparano sussidi adatti ai diversi contesti regionali e favoriscono questo processo a livello ispettoriale e locale. Diventano quindi ricettori e diffusori di buone prassi e materiali, che serviranno come esempio e stimolo per altre realtà salesiane.
A livello delle CEP locali si valorizza come cammino di formazione permanente la terza parte di “Animazione e governo della comunità - Il servizio del direttore salesiano”, dedicata a “La comunità educativo pastorale”.
Questo processo sarà uno dei campi a cui dare attenzione prioritaria nelle visite ispettoriali, nei Capitoli ispettoriali di metà sessennio, nelle visite straordinarie e nelle visite di insieme.
7. È TEMPO DI GENEROSITÀ NELLA CONGREGAZIONE. In una Congregazione sempre missionaria
«Ciascuno de noi è chiamato da Dio a far parte della Società salesiana. Per questo riceve da lui doni personali e, rispondendo fedelmente, trova la via della sua piena realizzazione in Cristo.
La Società lo riconosce nella sua vocazione e lo aiuta a svilupparla. Egli, come membro responsabile, mette se stesso e i propri doni al servizio della vita e dell’azione comune.
Ogni chiamata manifesta che il Signore ama la Congregazione, la vuole viva per il bene della sua Chiesa e non cessa di arricchirla di nuove energie apostoliche» (C.22)
Nella sessione conclusiva del CG28 ho detto che, a mio parere, questo «è tempo di generosità nella Congregazione». Non ho dubbi che abbiamo una storia di 162 anni caratterizzata da grande generosità, già iniziata con Don Bosco. Tuttavia, mi sembra che oggi questa generosità sia più che mai necessaria.
Cercherò di spiegarmi chiaramente.
Oggi, non meno che in passato, la realtà ci parla della necessità dell’evangelizzazione, dei bisogni pastorali e di promozione umana che veniamo a conoscere a contatto con diversi contesti. Ci vengono rivolti frequenti appelli, chiamate, interpellanze perché assumiamo questo o quel servizio in tante parti del mondo. Vediamo ragazzi, ragazze, giovani e famiglie in difficoltà in ogni continente.
Dio continua a chiamarci in tutto il mondo per essere “testimoni-segno” del suo Amore salvifico per i giovani più poveri.
C’è bisogno del nostro aiuto come evangelizzatori ed educatori per i giovani e gli adulti delle classi popolari, nei più diversi contesti culturali e religiosi.
C’è inoltre un urgente bisogno di educazione e di azione da parte nostra per testimoniare e promuovere la giustizia nel mondo.
La povertà e le povertà continuano ad essere per noi un grido, il più delle volte silenzioso, senza voce: giovani con le loro povertà materiali ed emotive, veri orfani anche se hanno genitori o famiglie, povertà culturali (senza accesso alla scuola, all’istruzione), povertà spirituali (senza alcuna conoscenza dei valori trascendenti, né di Dio).
La speranza di poter lavorare (e a volte anche studiare) più facilmente continua a provocare massicce migrazioni verso le grandi città (e anche verso altri paesi) con le naturali conseguenze del disadattamento e della marginalizzazione sociale. A questo si aggiunge l’agghiacciante realtà dei rifugiati e dei campi in cui vivono; in molti di essi i nostri confratelli condividono la vita con gli stessi rifugiati (Kakuma-Kenya, Juba-Sud Sudan, Palabek-Uganda).
Potrei ampliare l’elenco di questo insieme di situazioni.
Cari Confratelli, noi tutti apparteniamo a Dio e alla nostra unica Congregazione, di cui gioiosamente siamo membri. Siamo tutti salesiani di Don Bosco nel mondo. Il nostro affetto si rivolgerà sempre ai confratelli della nostra ispettoria di origine, nella quale siamo “vocazionalmente nati”; ma la nostra appartenenza più vera e più profonda è alla Congregazione, ed essa comincia con la nostra stessa professione religiosa.
Per tale ragione nei prossimi sei anni l’apertura di orizzonti deve diventare ancora più effettiva e reale, grazie alla disponibilità dei confratelli e alla generosa risposta delle ispettorie che hanno maggiori possibilità di offrire un aiuto agli altri confratelli. A volte con accordi tra gli stessi ispettori, altre volte con la mediazione del Rettor Maggiore e del suo Consiglio quando si tratta di nuove fondazioni, nuove sfide missionarie, nuove presenze in altre nazioni o in nuove frontiere missionarie.
Fortunatamente le ispettorie economicamente più povere sono le più ricche di vocazioni, e la formazione di tutti questi confratelli è resa possibile dalla generosità di tutta la Congregazione. Ancora una volta si dimostra che la generosità rende possibili tutti i sogni.
Viviamo in tempi in cui dobbiamo affrontare la realtà con una mentalità rinnovata, che ci permette di “superare le frontiere”. In un mondo in cui i confini sono sempre più “una difesa contro gli altri”, la profezia della nostra vita di Salesiani di Don Bosco consiste anche in questo: nel mostrare che per noi non ci sono confini. L’unica realtà alla quale rispondiamo è: Dio, il Vangelo e la missione che ci è stata affidata. Proprio per questo le nostre comunità internazionali e interculturali hanno oggi un grande valore profetico, senza nascondere il fatto che costruire la fraternità nella diversità, richiede visione di fede e impegno personale.
La realtà missionaria della nostra Congregazione continua a interpellarci e a presentarci delle belle sfide, le missioni ci spingono in avanti e ci fanno sognare bei sogni che diventano realtà.
Quando negli anni ’80 del secolo scorso continuavamo, anno dopo anno, a perdere confratelli in modo significativo, il Rettor Maggiore don Egidio Viganò ha lanciato in modo profetico il Progetto Africa, che oggi è una bellissima realtà. Quando nel 2000, di fronte al nuovo millennio, si constatava la dura realtà pastorale e la necessità di una nuova evangelizzazione per l’Europa, Don Pascual Chávez promosse con convinzione il Progetto Europa. Questi non sono tempi in cui preoccuparsi di sopravvivere, ma occasioni per essere più significativi.
Papa Francesco nel suo messaggio al CG28 ci invitava anche ad essere attenti alle paure che finiscono «col fissarci in un’inerzia paralizzante che priva la vostra missione della parresia propria dei discepoli del Signore. Tale inerzia può manifestarsi anche in uno sguardo e un atteggiamento pessimistici di fronte a tutto ciò che ci circonda, e non solo rispetto alle trasformazioni che avvengono nella società, ma anche in rapporto alla propria Congregazione, ai fratelli e alla vita della Chiesa. Quell’atteggiamento che finisce per “boicottare” e impedire qualsiasi risposta o processo alternativo»36.
PROPOSTA
Propongo a tutta la Congregazione di concretizzare quest’ora di generosità assumendo in modo naturale la disponibilità di confratelli di tutte le ispettorie (trasferimenti, scambio, aiuto temporaneo) per servizi internazionali, nuove fondazioni, nuove frontiere che vogliamo raggiungere.
Per questa ragione:
Le ispettorie saranno attente e disponibili agli appelli del Rettor Maggiore per le necessità e le sfide che assumeremo.
Il 150° anniversario della prima spedizione missionaria di Don Bosco in Argentina (che ricorrerà nel 2025) e il primo centenario della presenza missionaria nel Nord-Est dell’India (nel 2022), saranno l’occasione per continuare il progetto missionario della nostra Congregazione.
Abbiamo concretizzato l’appello missionario invitando ogni ispettoria ad aprire al proprio interno un progetto missionario (rifugiati, immigrati, valichi di frontiera, bambini sfruttati...) durante il sessennio precedente, dando priorità alla significatività e alle reali richieste di aiuto dei giovani di oggi.
Il Rettor Maggiore e il suo Consiglio indicheranno i passi opportuni per consolidare nel Dicastero (Settore) della Pastorale Giovanile della Congregazione la sezione che si occupa prioritariamente della realtà dei rifugiati e dei migranti (specialmente i minori non accompagnati e i giovani).
8. ACCOMPAGNANDO I GIOVANI VERSO UN FUTURO SOSTENIBILE
Riconosciamo che l’attenzione a un futuro sostenibile è una conversione culturale, non una moda, e come ogni conversione ha bisogno di esser richiamata con forza con il suo nome nuovo.
L’assemblea capitolare si è espressa con totale unanimità quando è stato proposto che una piccola commissione assumesse la sensibilità che c’è in noi di fronte a questa emergenza. La cura del creato non è una moda. È in gioco la vita dell’umanità, anche se molti funzionari pubblici, prigionieri di interessi economici, guardano dall’altra parte o negano ciò che è innegabile. Questa sensibilità si è concretizzata in una delibera del Capitolo approvata dall’Assemblea. Papa Francesco ha ribadito che dobbiamo evitare una «emergenza climatica» che rischia di «perpetrare un brutale atto di ingiustizia nei confronti dei poveri e delle generazioni future»37.
Il nostro impegno per un’ecologia umana integrale nasce dalla convinzione di fede secondo la quale «tutto è collegato, e che la cura autentica della nostra vita e dei nostri rapporti con la natura è inseparabile dalla fratellanza, dalla giustizia e dalla fedeltà agli altri»38. All’interno della vita sociale degli esseri umani non possiamo separare la cura dell’ambiente. Pertanto, l’ecologia deve essere integrale, umana. E, di conseguenza, siamo invitati a una conversione ecologica che non riguarda solo l’economia e la politica, ma anche la vita sociale, le relazioni, l’affettività e la spiritualità.
Negli ultimi anni abbiamo assistito ai disaccordi dei politici di varie nazioni di fronte a questa emergenza. L’ultimo incontro dei leader dei Paesi a Santiago del Cile (ma tenutosi a Madrid-Spagna) ha avuto come unico risultato l’accordo di incontrarsi di nuovo tra un anno. Nessun accordo operativo significativo.
Allo stesso tempo, milioni e milioni di persone, per lo più giovani, hanno innalzato un grido globale. Papa Francesco, sensibile a questa realtà, come ha ben dimostrato, ricorda che i giovani stessi chiedono un cambiamento radicale e che « si chiedono come si possa pretendere di costruire un futuro migliore senza pensare alla crisi ambientale e alle sofferenze degli esclusi»39.
La proposta di deliberazione capitolare così si esprime: «Insieme a Papa Francesco riconosciamo l’evidenza data dalla scienza che l’accelerazione del cambiamento climatico derivante dall’attività umana è reale. L’inquinamento dell’aria, l’inquinamento dell’acqua, lo smaltimento improprio dei rifiuti, la perdita di biodiversità e altre questioni ambientali che hanno un impatto negativo sulla vita umana sono in aumento. La produzione e il consumo non sostenibili stanno spingendo il nostro mondo e i suoi ecosistemi oltre i loro limiti, minando la loro capacità di fornire risorse e azioni vitali per la vita, lo sviluppo e la loro rigenerazione»40.
Nel momento in cui scrivo queste righe, il pianeta Terra e tutti i paesi del mondo sono stati colpiti, in misura maggiore o minore, dal virus COVID-19 che, ad oggi, ha causato la morte di 624.000 persone e ne ha infettate 15.300.000. Sappiamo bene che la vita di una singola persona è sacra, e c’è tanto dolore a causa di tante morti. Ma non è meno vero che il pianeta Terra sanguina da decenni, e che l’inquinamento ogni anno causa molte più vittime umane di quante non ne abbia provocate il COVID-19. Questo dato di fatto purtroppo non è preso così seriamente.
Non è meno vero che i più poveri, sempre i più poveri!, subiscono gli effetti disastrosi della deforestazione e dei cambiamenti climatici, della rovina dei loro poverissimi raccolti, loro unica risorsa per vivere. Anche questo non viene denunciato.
Potrei ancora fare un elenco di queste situazioni. Non è necessario. Basta sottolineare che come educatori e pastori non possiamo essere indifferenti a questa realtà. Dobbiamo fare qualcosa.
PROPOSTA
Ascoltando il grido che a livello mondiale sale da tanti giovani d’oggi, NOI SALESIANI CI IMPEGNIAMO AD ESSERE TESTIMONI CREDIBILI, personalmente e comunitariamente, di CONVERSIONE nella cura del Creato e nella Spiritualità Ecologica41.
Per questa ragione:
Ogni Ispettoria nel mondo risponderà, attraverso il Delegato ispettoriale per la Pastorale Giovanile, alla richiesta di rendere le nostre scuole, i centri educativi, i campus universitari, gli oratori, le parrocchie, modelli educativi nella cura dell’ambiente e della natura. Nell’educazione dobbiamo includere come opzione salesiana l’azione a favore del Creato: la cura della natura, del clima e dello sviluppo sostenibile.
Estendiamo, per quanto possibile, la rete di istituzioni salesiane che saranno inserite nel Don Bosco Green Alliance, promuovendo la partecipazione dei giovani a campagne globali a favore della sostenibilità delle cause ambientali ed ecologiche per la cura del Creato e della vita umana.
Accogliamo la richiesta fatta al CG28 dalla conferenza salesiana sulle energie rinnovabili del mese di novembre 2019, affinché la Congregazione assuma il 100% delle energie rinnovabili per tutte le ispettorie del mondo prima del 2032. Anche se la realtà della Congregazione è molto disuguale nei diversi paesi, accettiamo questa sfida in collaborazione con i PDO delle ispettorie, le ONG salesiane, il DBN.
CONCLUSIONE
Miei cari Confratelli: concludo queste linee programmatiche invitandovi ad accoglierle non come una semplice lettera, ma come un messaggio e un programma che vuole essere espressione del battito del cuore della Congregazione oggi in tutto il mondo.
E propongo due elementi importanti come atteggiamento con cui affrontare la bella opportunità dei prossimi sei anni:
Il primo di questi ha a che fare con una virtù: la speranza. Solo con la speranza possiamo affrontare il futuro, nella fiducia che il Signore porterà a compimento, con il nostro umile contributo, ciò che qui proponiamo.
Il secondo ha a che fare con il nostro atteggiamento di fronte a Dio stesso. Vorrei chiedere alla nostra Congregazione che in questo sessennio ci lasciamo guidare molto di più dallo Spirito Santo; che sia Lui a muovere veramente i nostri cuori e le nostre capacità umane nell’animare e governare la Congregazione e le ispettorie e le comunità, affinché ciascuno di noi arrivi a fare di tutte le case salesiane del mondo altre Valdocco, che danno una risposta ai ragazzi e ai giovani di oggi, come fece Don Bosco nel suo tempo.
A proposito della speranza, vorrei sottolineare che, come ben sappiamo, essa è una virtù che ha tanto a che fare con la nostra fede cristiana; è un modo diverso di guardare al futuro. La speranza cristiana è un modo di vivere, un modo di camminare, un modo di guardare.
La speranza è il frutto dell’incontro con il Signore Gesù ed è il frutto dell’accoglienza del suo Spirito in noi. La speranza non è il risultato di calcoli e previsioni. «Né pessimista né ottimista, il salesiano del secolo XXI è un uomo pieno di speranza perché sa che il suo centro è nel Signore, capace di fare nuove tutte le cose (cfr Ap 21,5). Solo questo ci salverà dal vivere in un atteggiamento di rassegnazione e sopravvivenza difensiva. Solo questo renderà feconda la nostra vita»42.
Sulla necessità di lasciarci guidare molto di più dallo Spirito Santo di Dio, Lui che è il vero Maestro interiore, faccio mie le parole del Patriarca di Costantinopoli, Atenagora I, che incontrò Papa Paolo VI (oggi Santo) a Gerusalemme nel gennaio 1964. Il frutto di quell’incontro nello Spirito di Dio è stato l’abrogazione delle scomuniche reciproche che fino a quel momento erano esistite e che avevano profondamente ferito il cuore di Cristo nella sua Chiesa.
Questo è il pensiero:
«Senza lo Spirito Santo,
Dio è lontano,
Cristo rimane nel passato,
il Vangelo è una lettera morta,
la Chiesa una semplice organizzazione,
l’autorità un potere,
la missione una propaganda,
il culto un ricordo,
e l’agire cristiano una morale di schiavi.
Ma nello Spirito Santo
il cosmo è mobilitato per la generazione del Regno,
il Cristo risorto si fa presente,
il Vangelo si fa potenza e vita,
la Chiesa realizza la comunione Trinitaria,
l’autorità si trasforma in servizio,
la liturgia è memoriale e anticipazione,
la condotta umana viene deificata»43.
Accogliamo questo messaggio nella nostra preghiera.
Miei cari Confratelli salesiani, questo è ciò che sentivo di dover comunicare e chiedere a tutti voi. Vi invito ad accogliere queste sfide, questa tabella di marcia per il cammino del sessennio con tutto il cuore e con il profondo desiderio di renderla realtà nelle comunità e nelle ispettorie. Saranno certamente, con la grazia di Dio e la presenza materna della nostra Madre Ausiliatrice, anni di fedeltà da parte della Congregazione e di risposta coraggiosa e anche profetica ai segni dei tempi di oggi. Che la nostra Madre Ausiliatrice continui a prendersi cura della nostra Congregazione e a “fare tutto”, come con don Bosco.
La Sua mediazione e quella di tutta la santità salesiana della nostra Famiglia sia per noi una benedizione nell’unica cosa importante della nostra missione da parte di Dio: «Essere nella Chiesa segni e portatori dell’amore di Dio per i giovani, specialmente i più poveri» (C. 2).
Vi accompagno, tutti e ciascuno, con il ricordo e la preghiera.
Ángel Fernández Artime, sdb
Rettor Maggiore
Roma, 16 agosto 2020
205° Anniversario della nascita di Don Bosco
MESSAGGIO DI SUA SANTITÀ PAPA FRANCESCO AI MEMBRI DEL CG28
Cari fratelli!
Vi saluto con affetto e ringrazio Dio di poter, pur a distanza, condividere con voi un momento del cammino che state percorrendo.
È significativo che, dopo alcuni decenni, la Provvidenza vi abbia condotto a celebrare il Capitolo Generale a Valdocco – il luogo della memoria – dove il sogno fondativo si concretizzò e fece i primi passi. Sono sicuro che il rumore e il vociare degli oratori sarà la musica migliore, la più efficace perché lo Spirito ravvivi il dono carismatico del vostro fondatore. Non chiudete le finestre a questo rumore di sottofondo… Lasciate che vi accompagni e che vi mantenga inquieti e intrepidi nel discernimento; e permettete che queste voci e questi canti, a loro volta, evochino in voi i volti di tanti altri giovani che, per varie ragioni, si trovano come pecore senza pastore (Cf. Mc 6,34). Questo vociare e questa inquietudine vi terranno attenti e svegli davanti a qualunque tipo di anestesia autoimposta e vi aiuteranno a rimanere in una fedeltà creativa alla vostra identità salesiana.
Ravvivare il dono che avete ricevuto
Pensare alla figura di salesiano per i giovani di oggi implica accettare che siamo immersi in un momento di cambiamenti, con tutto ciò che di incertezza questo genera. Nessuno può dire con sicurezza e precisione (se mai qualche volta si è potuto farlo) che cosa succederà nel prossimo futuro a livello sociale, economico, educativo e culturale. L’inconsistenza e la “fluidità” degli avvenimenti, ma soprattutto la velocità con cui si susseguono e si comunicano le cose, fa sì che ogni tipo di previsione diventi una lettura condannata ad essere riformulata al più presto (Cf. Cost. ap. Veritatis gaudium, 3-4). Tale prospettiva si accentua ancor più per il fatto che le vostre opere sono orientate in modo particolare al mondo giovanile che in sé stesso è un mondo in movimento e in continua trasformazione. Questo ci chiede una doppia docilità: docilità ai giovani e alle loro esigenze e docilità allo Spirito e a tutto quello che Egli voglia trasformare.
Assumere responsabilmente questa situazione – a livello sia personale sia comunitario – comporta l’uscire da una retorica che ci fa dire continuamente “tutto sta cambiando” e che, a forza di ripeterlo e ripeterlo, finisce col fissarci in un’inerzia paralizzante che priva la vostra missione della parresia propria dei discepoli del Signore. Tale inerzia può anche manifestarsi in uno sguardo e un atteggiamento pessimistici di fronte a tutto ciò che ci circonda e non solo rispetto alle trasformazioni che avvengono nella società ma anche in rapporto alla propria Congregazione, ai fratelli e alla vita della Chiesa. Quell’atteggiamento che finisce per “boicottare” e impedire qualunque risposta o processo alternativo, oppure per far emergere la posizione opposta: un ottimismo cieco, capace di dissolvere la forza e novità evangelica, impedendo di accettare concretamente la complessità che le situazioni richiedono e la profezia che il Signore ci invita a portare avanti. Né il pessimismo né l’ottimismo sono doni dello Spirito, perché entrambi provengono da una visione autoreferenziale capace solo di misurarsi con le proprie forze, capacità o abilità, impedendo di guardare a ciò che il Signore attua e vuole realizzare tra di noi (Cf. Esort. ap. postsin. Christus vivit, 35). Né adattarsi alla cultura di moda, né rifugiarsi in un passato eroico ma già disincarnato. In tempi di cambiamenti, fa bene attenersi alle parole di San Paolo a Timoteo: «Per questo motivo ti ricordo di ravvivare il dono di Dio che è in te per l’imposizione delle mie mani. Dio infatti non ci ha dato uno Spirito di timidezza, ma di forza, di amore e di saggezza» (2 Tm 1,6-7).
Queste parole ci invitano a coltivare un atteggiamento contemplativo, capace di identificare e discernere i punti nevralgici. Questo aiuterà ad addentrarsi nel cammino con lo spirito e l’apporto proprio dei figli di Don Bosco e, come lui, sviluppare una «valida rivoluzione culturale» (Enc. Laudato si’, 114). Questo atteggiamento contemplativo permetterà a voi di superare e oltrepassare le vostre stesse aspettative e i vostri programmi. Siamo uomini e donne di fede, il che suppone l’essere appassionati di Gesù Cristo; e sappiamo che tanto il nostro presente quanto il nostro futuro sono impregnati di questa forza apostolico-carismatica chiamata a continuare a permeare la vita di tanti giovani abbandonati e in pericolo, poveri e bisognosi, esclusi e scartati, privati di diritti, di casa… Questi giovani attendono uno sguardo di speranza in grado di contraddire ogni tipo di fatalismo o determinismo. Attendono di incrociare lo sguardo di Gesù che dice loro «che in tutte le situazioni buie e dolorose […] c’è una via d’uscita» (Esort. ap. postsin. Christus vivit, 104). È lì che abita la nostra gioia.
Né pessimista né ottimista, il salesiano del sec. XXI è un uomo pieno di speranza perché sa che il suo centro è nel Signore, capace di fare nuove tutte le cose (Cf. Ap 21,5). Solo questo ci salverà dal vivere in un atteggiamento di rassegnazione e sopravvivenza difensiva. Solo questo renderà feconda la nostra vita (Cf. Omelia, 2 febbraio 2017), perché renderà possibile che il dono ricevuto continui ad essere sperimentato ed espresso come una buona notizia per e con i giovani di oggi. Questo atteggiamento di speranza è capace di instaurare e inaugurare processi educativi alternativi alla cultura imperante che, in non poche situazioni – sia per indigenza e povertà estrema sia per abbondanza, in alcuni casi pure estrema –, finiscono con l’asfissiare e uccidere i sogni dei nostri giovani condannandoli a un conformismo assordante, strisciante e non di rado narcotizzato. Né trionfalisti né allarmisti, uomini e donne allegri e speranzosi, non automatizzati ma artigiani; capaci di «mostrare altri sogni che questo mondo non offre, di testimoniare la bellezza della generosità, del servizio, della purezza, della fortezza, del perdono, della fedeltà alla propria vocazione, della preghiera, della lotta per la giustizia e il bene comune, dell’amore per i poveri, dell’amicizia sociale» (Esort. ap. postsin. Christus vivit, 36).
L’“opzione Valdocco” del vostro 28° Capitolo Generale è una buona occasione per confrontarsi con le fonti e chiedere al Signore: “Da mihi animas, coetera tolle”44. Tolle soprattutto ciò che durante il cammino si è andato incorporando e perpetuando e che, sebbene in un altro tempo è potuto essere una risposta adeguata, oggi vi impedisce di configurare e plasmare la presenza salesiana in maniera evangelicamente significativa nelle diverse situazioni della missione. Questo richiede, da parte nostra, di superare le paure e le apprensioni che possono sorgere per aver creduto che il carisma si riducesse o identificasse con determinate opere o strutture. Vivere fedelmente il carisma è qualcosa di più ricco e stimolante del semplice abbandono, ripiego o riadattamento delle case o delle attività; comporta un cambio di mentalità di fronte alla missione da realizzare45.
L’“opzione Valdocco” e il dono dei giovani
L’Oratorio salesiano e tutto ciò che sorse a partire da esso, come racconta la biografia dell’Oratorio, nacque come risposta alla vita di giovani con un volto e una storia, che misero in moto quel giovane sacerdote incapace di rimanere neutrale o immobile davanti a ciò che accadeva. Fu molto più di un gesto di buona volontà o di bontà, e persino molto più del risultato di un progetto di studio sulla “fattibilità numerico-carismatica”. Lo penso come un atto di conversione permanente e di risposta al Signore che, “stanco di bussare” alle nostre porte, aspetta che andiamo a cercarlo e a incontrarlo… O che lo lasciamo uscire, quando bussa da dentro. Conversione che implicò (e complicò) tutta la sua vita e quella di coloro che gli stavano attorno. Don Bosco non solo non sceglie di separarsi dal mondo per cercare la santità, ma si lascia interpellare e sceglie come e quale mondo abitare.
Scegliendo e accogliendo il mondo dei bambini e dei giovani abbandonati, senza lavoro né formazione, ha permesso loro di sperimentare in modo tangibile la paternità di Dio e ha fornito loro strumenti per raccontare la loro vita e la loro storia alla luce di un amore incondizionato. Essi, a loro volta, hanno aiutato la Chiesa a re-incontrarsi con la sua missione: «La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo» (Sal 118,22). Lungi dall’essere agenti passivi o spettatori dell’opera missionaria, essi divennero, a partire dalla loro stessa condizione – in molti casi “illetterati religiosi” e “analfabeti sociali” – i principali protagonisti dell’intero processo di fondazione46. La salesianità nasce precisamente da questo incontro capace di suscitare profezie e visioni: accogliere, integrare e far crescere le migliori qualità come dono per gli altri, soprattutto per quelli emarginati e abbandonati dai quali non ci si aspetta nulla. Lo disse Paolo VI: «Evangelizzatrice, la Chiesa comincia con l’evangelizzare se stessa… Ciò vuol dire, in una parola, che essa ha sempre bisogno d’essere evangelizzata, se vuol conservare freschezza, slancio e forza per annunziare il Vangelo» (Esort. ap. Evangelii nuntiandi, 15). Ogni carisma ha bisogno di essere rinnovato ed evangelizzato, e nel vostro caso soprattutto dai giovani più poveri.
Gli interlocutori di Don Bosco ieri e del salesiano oggi non sono meri destinatari di una strategia progettata in anticipo, ma vivi protagonisti dell’oratorio da realizzare47. Per mezzo di loro e con loro il Signore ci mostra la sua volontà e i suoi sogni48. Potremmo chiamarli co-fondatori delle vostre case, dove il salesiano sarà esperto nel convocare e generare questo tipo di dinamiche senza sentirsene il padrone. Un’unione che ci ricorda che siamo “Chiesa in uscita” e ci mobilita per questo: Chiesa capace di abbandonare posizioni comode, sicure e in alcune occasioni privilegiata, per trovare negli ultimi la fecondità tipica del Regno di Dio. Non si tratta di una scelta strategica, ma carismatica. Una fecondità sostenuta in base alla croce di Cristo, che è sempre ingiustizia scandalosa per quanti hanno bloccato la sensibilità davanti alla sofferenza o sono scesi a patti con l’ingiustizia nei confronti dell’innocente. «Non possiamo essere una Chiesa che non piange di fronte a questi drammi dei suoi figli giovani. Non dobbiamo mai farci l’abitudine, perché chi non sa piangere non è madre. Noi vogliamo piangere perché anche la società sia più madre» (Esort. ap. postsin. Christus vivit, 75).
L’“opzione Valdocco” e il carisma della presenza
È importante sostenere che non veniamo formati per la missione, ma che veniamo formati nella missione, a partire dalla quale ruota tutta la nostra vita, con le sue scelte e le sue priorità. La formazione iniziale e quella permanente non possono essere un’istanza previa, parallela o separata dell’identità e della sensibilità del discepolo. La missione inter gentes è la nostra scuola migliore: a partire da essa preghiamo, riflettiamo, studiamo, riposiamo. Quando ci isoliamo o ci allontaniamo dal popolo che siamo chiamati a servire, la nostra identità come consacrati comincia a sfigurarsi e a diventare una caricatura.
In questo senso, uno degli ostacoli che possiamo individuare non ha tanto a che vedere con una qualsiasi situazione esterna alle nostre comunità, ma piuttosto è quello che ci tocca direttamente per un’esperienza distorta del ministero…, e che ci fa tanto male: il clericalismo. È la ricerca personale di voler occupare, concentrare e determinare gli spazi minimizzando e annullando l’unzione del Popolo di Dio. Il clericalismo, vivendo la chiamata in modo elitario, confonde l’elezione con il privilegio, il servizio con il servilismo, l’unità con l’uniformità, la discrepanza con l’opposizione, la formazione con l’indottrinamento. Il clericalismo è una perversione che favorisce legami funzionali, paternalistici, possessivi e perfino manipolatori con il resto delle vocazioni nella Chiesa.
Un altro ostacolo che incontriamo – diffuso, e perfino giustificato, soprattutto in questo tempo di precarietà e fragilità – è la tendenza al rigorismo. Confondendo autorità con autoritarismo, esso pretende di governare e controllare i processi umani con un atteggiamento scrupoloso, severo e perfino meschino di fronte ai limiti e alle debolezze propri o altrui (soprattutto altrui). Il rigorista dimentica che il grano e la zizzania crescono insieme (Cf. Mt 13,24-30) e «che non tutti possono tutto e che in questa vita le fragilità umane non sono guarite completamente e una volta per tutte dalla grazia. In qualsiasi caso, come insegnava sant’Agostino, Dio ti invita a fare quello che puoi e a chiedere quello che non puoi» (Esort. ap. Gaudete et exsultate, 49). San Tommaso d’Aquino con grande finezza e sottigliezza spirituale ci ricorda che «il diavolo inganna molti. Alcuni attirandoli a commettere i peccati, altri invece all’eccessiva rigidità verso chi pecca, così che se non può averli con il comportamento vizioso, conduce alla perdizione quelli che ha già, utilizzando il rigore dei prelati, i quali, non correggendoli con misericordia, li inducono alla disperazione, ed è così che si perdono e cadono nella rete del diavolo. E questo capita a noi, se non perdoniamo ai peccatori»49.
Coloro che accompagnano altri a crescere devono essere persone dai grandi orizzonti, capaci di mettere insieme limiti e speranza, aiutando così a guardare sempre in prospettiva, in una prospettiva salvifica. Un educatore «che non teme di porre limiti e, al tempo stesso, si abbandona alla dinamica della speranza espressa nella sua fiducia nell’azione del Signore dei processi, è l’immagine di un uomo forte, che guida ciò che non appartiene a lui, ma al suo Signore»50. Non ci è lecito soffocare e impedire la forza e la grazia del possibile, la cui realizzazione nasconde sempre un seme di Vita nuova e buona. Impariamo a lavorare e a confidare nei tempi di Dio, che sono sempre più grandi e saggi delle nostre miopi misure. Lui non vuole distruggere nessuno, ma salvare tutti.
È urgente, pertanto, trovare uno stile di formazione capace di assumere in modo strutturale il fatto che l’evangelizzazione implica la partecipazione piena, e con piena cittadinanza, di ogni battezzato – con tutte le sue potenzialità e i suoi limiti – e non solo dei cosiddetti “attori qualificati” (Cf. Esort. ap. Evangelii gaudium, 120); una partecipazione dove il servizio, e il servizio al più povero, sia l’asse portante che aiuti a manifestare e a testimoniare meglio nostro Signore, «che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti» (Mt 20,28). Vi incoraggio a continuare a impegnarvi per fare delle vostre case un “laboratorio ecclesiale” capace di riconoscere, apprezzare, stimolare e incoraggiare le diverse chiamate e missioni nella Chiesa51.
In questo senso, penso concretamente a due presenze della vostra comunità salesiana, che possono aiutare come elementi a partire dai quali confrontare il posto che occupano le diverse vocazioni tra di voi; due presenze che costituiscono un “antidoto” contro ogni tendenza clericalista e rigorista: il Fratello Coadiutore e le donne.
I Fratelli Coadiutori sono espressione viva della gratuità che il carisma ci invita a custodire. La vostra consacrazione è, innanzitutto, segno di un amore gratuito del Signore e al Signore nei suoi giovani che non si definisce principalmente con un ministero, una funzione o un servizio particolare, ma attraverso una presenza. Prima ancora che di cose da fare, il salesiano è ricordo vivente di una presenza in cui la disponibilità, l’ascolto, la gioia e la dedizione sono le note essenziali per suscitare processi. La gratuità della presenza salva la Congregazione da ogni ossessione attivistica e da ogni riduzionismo tecnico-funzionale. La prima chiamata è quella di essere una presenza gioiosa e gratuita in mezzo ai giovani.
Che ne sarebbe di Valdocco senza la presenza di Mamma Margherita? Sarebbero state possibili le vostre case senza questa donna di fede? In alcune regioni e luoghi «ci sono comunità che si sono sostenute e hanno trasmesso la fede per lungo tempo senza che alcun sacerdote passasse da quelle parti, anche per decenni. Questo è stato possibile grazie alla presenza di donne forti e generose: donne che hanno battezzato, catechizzato, insegnato a pregare, sono state missionarie, certamente chiamate e spinte dallo Spirito Santo. Per secoli le donne hanno tenuto in piedi la Chiesa in quei luoghi con ammirevole dedizione e fede ardente» (Esort. ap. postsin. Querida Amazonia, 99). Senza una presenza reale, effettiva ed affettiva delle donne, le vostre opere mancherebbero del coraggio e della capacità di declinare la presenza come ospitalità, come casa. Di fronte al rigore che esclude, bisogna imparare a generare la nuova vita del Vangelo. Vi invito a portare avanti dinamiche in cui la voce della donna, il suo sguardo e il suo agire – apprezzato nella sua singolarità – trovino eco nel prendere le decisioni; come un attore non ausiliare ma costitutivo delle vostre presenze.
L’“opzione Valdocco” nella pluralità delle lingue
Come in altri tempi, il mito di Babele cerca di imporsi in nome della globalità. Interi sistemi creano una rete di comunicazione globale e digitale capace di interconnettere i vari angoli del pianeta, col grave pericolo di uniformare monoliticamente le culture, privandole delle loro caratteristiche essenziali e delle loro risorse. La presenza universale della vostra famiglia salesiana è uno stimolo e un invito a custodire e a preservare la ricchezza di molte delle culture in cui siete immersi senza cercare di “omologarle”. D’altra parte, sforzatevi affinché il cristianesimo sia capace di assumere la lingua e la cultura delle persone del luogo. È triste vedere che in molte parti si sperimenta ancora la presenza cristiana come una presenza straniera (soprattutto europea); situazione che si riscontra anche negli itinerari formativi e negli stili di vita (Cf. ibid., 90)52. Al contrario, agiremo come ci ispira questo aneddoto che Don Bosco, alla domanda in quale lingua gli piacesse parlare, rispose: “Quella che mi ha insegnato mia madre: è quella con cui posso comunicare più facilmente”. Seguendo questa certezza, il salesiano è chiamato a parlare nella lingua materna di ognuna delle culture in cui si trova. L’unità e la comunione della vostra famiglia è in grado di assumere e accettare tutte queste differenze, che possono arricchire l’intero corpo in una sinergia di comunicazione e interazione dove ognuno possa offrire il meglio di sé per il bene di tutto il corpo. Così la salesianità, lungi dal perdersi nell’uniformità delle tonalità, acquisterà un’espressione più bella e attrattiva… saprà esprimersi “in dialetto” (Cf. 2 Mac 7,26-27).
Nello stesso tempo, l’irruzione della realtà virtuale come linguaggio dominante in molti dei Paesi in cui voi svolgete la vostra missione esige, in primo luogo, di riconoscere tutte le possibilità e le cose buone che produce, senza sottovalutare o ignorare l’incidenza che possiede nel creare legami, soprattutto sul piano affettivo. Da ciò non siamo immuni neppure noi adulti consacrati. La tanto diffusa (e necessaria) “pastorale dello schermo” ci chiede di abitare la rete in modo intelligente riconoscendola come uno spazio di missione53, che richiede, a sua volta, di porre tutte le mediazioni necessarie per non rimanere prigionieri della sua circolarità e della sua logica particolare (e dicotomica). Questa trappola – pur in nome della missione – ci può rinchiudere in noi stessi e isolarci in una virtualità comoda, superflua e poco o per niente impegnata con la vita dei giovani, dei fratelli della comunità o con i compiti apostolici. La rete non è neutrale e il potere che possiede per creare cultura è molto alto. Sotto l’avatar della vicinanza virtuale possiamo finire ciechi o distanti dalla vita concreta delle persone, appiattendo e impoverendo il vigore missionario. Il ripiegamento individualistico, tanto diffuso e proposto socialmente in questa cultura largamente digitalizzata, richiede un’attenzione speciale non solo riguardo ai nostri modelli pedagogici ma anche riguardo all’uso personale e comunitario del tempo, delle nostre attività e dei nostri beni.
L’“opzione Valdocco” e la capacità di sognare
Uno dei “generi letterari” di Don Bosco erano i sogni. Con essi il Signore si fece strada nella sua vita e nella vita di tutta la vostra Congregazione allargando l’immaginazione del possibile. I sogni, lungi dal tenerlo addormentato, lo aiutarono, come accadde a San Giuseppe, ad assumere un altro spessore e un’altra misura della vita, quelli che nascono dalle viscere della compassione di Dio. Era possibile vivere concretamente il Vangelo… Lo sognò e gli diede forma nell’oratorio.
Desidero offrirvi queste parole come le “buone notti” in ogni buona casa salesiana al termine della giornata, invitandovi a sognare e a sognare in grande. Sappiate che il resto vi sarà dato in aggiunta. Sognate case aperte, feconde ed evangelizzatrici, capaci di permettere al Signore di mostrare a tanti giovani il suo amore incondizionato e di permettere a voi di godere della bellezza a cui siete stati chiamati. Sognate… E non solo per voi e per il bene della Congregazione, ma per tutti i giovani privi della forza, della luce e del conforto dell’amicizia con Gesù Cristo, privi di una comunità di fede che li sostenga, di un orizzonte di senso e di vita (Cf. Esort. ap. Evangelii gaudium, 49). Sognate… E fate sognare!
Roma, San Giovanni in Laterano, 4 marzo 2020
“QUALI SALESIANI PER I GIOVANI DI OGGI?”
PRIORITÀ DELLA MISSIONE SALESIANA TRA I GIOVANI DI OGGI
Questo primo nucleo è stato presentato durante il CG 28 e sostanzialmente approvato dall’assemblea capitolare. Nella sessione estiva 2020 del Consiglio generale è stato solo rivisto alla luce delle osservazioni delle commissioni capitolari.
RICONOSCERE
Con uno sguardo di fede
Come membri del Capitolo Generale 28° siamo convinti che Dio, attraverso il suo Spirito, è presente nella vita di tutti i giovani del nostro tempo. Mediante il discernimento abbiamo prima di tutto cercato di riconoscere la sua azione, cercando di entrare nel ritmo di «una doppia docilità: docilità ai giovani e alle loro esigenze e docilità allo Spirito e a tutto quello che Egli voglia trasformare» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28).
Fin dall’inizio questo ci ha spinto ad avere uno sguardo positivo, plasmato da umiltà, simpatia, coraggio, intelligenza, fede e speranza, nella certezza che proprio questo «è lo sguardo di Dio Padre, capace di valorizzare e alimentare i germi di bene seminati nel cuore dei giovani», che devono pertanto essere da noi considerati “terra sacra” (cfr. Christus vivit, n. 67).
Chiamati ad essere amici, padri e pastori dei giovani desideriamo fare nostro questo sguardo divino, nella consapevolezza di seguire così le orme del nostro amato padre don Bosco che proprio a Valdocco, guidato per mano dall’Ausiliatrice, ha realizzato la sua opera.
In ascolto del grido dei giovani
Chi sono i giovani di oggi? Qual è la loro condizione? Che cosa cercano? Che cosa ci domandano? Per rispondere a queste domande ci siamo prima di tutto messi in ascolto.
Abbiamo avuto il dono di avere tra noi alcuni giovani provenienti da tutto il mondo, che hanno rappresentato i tantissimi giovani che si sono resi presenti nei nostri Capitoli Ispettoriali durante la preparazione al CG 28. Abbiamo ascoltato la loro voce con attenzione e commozione. Ci hanno comunicato la loro inquietudine spirituale e la loro fame di Dio, il loro desiderio di essere protagonisti e artefici di un mondo migliore, la loro fatica di credere e di andare controcorrente rispetto alle logiche del nostro tempo. Ci hanno chiesto di essere meno “gestori” e più “pastori”, di stare in mezzo a loro e di avere tempo per accompagnarli.
Nei molti momenti di lavoro insieme abbiamo anche preso coscienza delle tante povertà dei giovani, che ci lasciano inorriditi allo stesso modo in cui don Bosco lo fu nella sua prima visita alle carceri di Torino. Il grido di tanti giovani tocca anche oggi il nostro cuore: povertà economica, sociale e culturale; povertà affettiva, relazionale e familiare; povertà morale e spirituale. In molti contesti la disoccupazione e l’impossibilità di studiare penalizzano larghe fasce di giovani.
In tanti modi i giovani si sono mostrati per noi dei profeti: attraverso la loro presenza il Signore ci fa continuamente conoscere le sue attese e i suoi appelli per il rinnovamento della nostra missione. Come don Bosco «non scoprì la sua missione davanti a uno specchio, ma nel dolore di vedere dei giovani che non avevano futuro, anche il salesiano del sec. XXI non scoprirà la propria identità se non è capace di patire con “la quantità di ragazzi, sani e robusti, di ingegno sveglio che stavano in carcere tormentati e del tutto privi di nutrimento spirituale e materiale… In loro era rappresentato l’obbrobrio della patria, il disonore della famiglia”; e noi potremmo aggiungere: della nostra stessa Chiesa» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28).
Dentro un cambiamento d’epoca
Stiamo vivendo un cambiamento d’epoca: oggi più che mai «nessuno può dire con sicurezza e precisione (se mai qualche volta si è potuto farlo) che cosa succederà nel prossimo futuro a livello sociale, economico, educativo e culturale» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28). È quindi evidente che non è più possibile pensare la nostra missione nella forma del “si è sempre fatto così”. Questa situazione, se da una parte ci disorienta, dall’altra chiede di metterci in gioco con umiltà e coraggio, chiedendoci di recuperare quei dinamismi giovanili che erano così vivi in don Bosco. Siamo più che mai convinti di quanto ci ha detto Papa Francesco proprio qui a Valdocco, nella Basilica di Maria Ausiliatrice, il 21 giugno 2015: «Il vostro carisma è di una attualità grandissima. Guardate le strade, guardate i ragazzi e fate decisioni rischiose. Non abbiate paura. Come ha fatto lui».
Insieme ad alcune sfide perenni che continuano ad interpellarci, il nostro tempo presenta alcune novità con cui è inevitabile confrontarci. La rivoluzione digitale ci chiede di comprendere le profonde trasformazioni che stanno avvenendo non solo nel campo della comunicazione, ma soprattutto nel modo di impostare e gestire le nostre relazioni umane. Il campo dell’affettività, con tutte le questioni legate al genere e all’identità sessuale, sfidano la nostra visione antropologica. La condizione della donna e il suo ruolo nella società e nella Chiesa ci chiedono una riflessione più attenta e approfondita. La sensibilità ecologica, che sta crescendo rapidamente nel mondo giovanile, ci chiede di essere profetici in questo campo attraverso scelte chiare e coerenti. Il contatto con i giovani migranti, i rifugiati e tanti altri giovani privati dei loro diritti fondamentali diventa per noi un pressante appello all’azione. Infine, la dolorosa esperienza degli abusi, che tocca anche la nostra Congregazione, è una forte chiamata alla conversione.
La trasmissione della fede
Il rapido cambiamento in atto tocca i processi ordinari di trasmissione della fede. A questo proposito si riscontrano grandi differenze: se in alcuni contesti la vita di fede non pone alcun problema e i giovani vivono con naturalità la loro appartenenza alla Chiesa, in altri fortemente secolarizzati la fede cristiana è divenuta una questione che non ha più alcuna rilevanza personale e sociale. In alcuni territori dove siamo presenti c’è fondamentalismo, discriminazione e perfino persecuzione; in altri possiamo liberamente proporre il Vangelo. Lavoriamo anche in molti contesti multireligiosi in cui la maggioranza dei giovani che frequentano le nostre opere appartengono ad altre religioni o ad altre confessioni cristiane.
Di fronte alla crisi globale dell’autorità, della tradizione e della trasmissione siamo sfidati sugli stili, sui contenuti e sulle modalità di annunciare Gesù Cristo, in quanto ci sentiamo tutti chiamati ad essere “missionari dei giovani”. Convinti della necessità di arrivare al loro cuore, sentiamo l’urgenza di riproporre con più convinzione il primo annuncio, perché «non c’è nulla di più solido, di più profondo, di più sicuro, di più consistente e di più saggio di tale annuncio» (Christus vivit, n. 214).
Il desiderio di camminare insieme
I giovani sono portatori del fuoco vivo del carisma salesiano e ci aiutano a conoscere, approfondire e assumere meglio la missione a noi affidata. Fin dall’inizio «lungi dall’essere agenti passivi o spettatori dell’opera missionaria, essi divennero, a partire dalla loro stessa condizione – in molti casi “illetterati religiosi” e “analfabeti sociali” – i principali protagonisti dell’intero processo di fondazione. La salesianità nasce precisamente da questo incontro capace di suscitare profezie e visioni», nella convinzione che «ogni carisma ha bisogno di essere rinnovato ed evangelizzato, e nel vostro caso soprattutto dai giovani più poveri» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28).
Sentiamo quindi come nostro dovere coinvolgere i giovani e riteniamo loro diritto essere coinvolti all’interno della comunità educativo pastorale, che è prima di tutto una famiglia dove si condivide tutto in un clima di amicizia, ascolto, rispetto e collaborazione. Riconosciamo che molti di loro «si trovano in una profonda situazione di orfanezza… alla quale dobbiamo rispondere creando spazi fraterni e attraenti dove si viva con un senso» (cfr. Christus vivit, n. 216). Proprio in questa direzione i recenti cammini sinodali ci hanno aiutato a riscoprire l’indole familiare della Chiesa, tanto che quest’ultima può essere pensata come «famiglia di famiglie, costantemente arricchita dalla vita di tutte le Chiese domestiche» (Amoris laetitia, n. 87).
Siamo infine consapevoli che molte volte non riusciamo a intercettare questa vera e propria “nostalgia comunitaria” dei giovani e delle famiglie: ci chiedono tempo e noi diamo loro spazio; ci chiedono relazione e noi forniamo loro servizi; ci chiedono vita fraterna e noi offriamo loro strutture; ci chiedono amicizia e noi facciamo per loro attività. Tutto ciò ci impegna a riscoprire le ricchezze e le potenzialità dello “spirito di famiglia”.
INTERPRETARE
Accompagnati da don Bosco
Per interpretare quanto abbiamo fin qui riconosciuto, vogliamo lasciarci guidare da uno dei passi più significativi della “Lettera da Roma” del 1884. Don Bosco vede che nell’Oratorio di Valdocco tra i salesiani e i giovani si è creata una barriera fisica e spirituale, che ostacola l’azione educativa e tradisce il carisma. Dialogando con uno dei giovani del sogno, egli cerca di interpretare la situazione per trovare il modo di risolverla: «Come dunque fare per rompere questa barriera?» La risposta che riceve è illuminante anche per noi: «Famigliarità coi giovani specialmente in ricreazione. Senza famigliarità non si dimostra l’amore e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza. Chi vuole essere amato bisogna che faccia vedere che ama. Gesù Cristo si fece piccolo coi piccoli e portò le nostre infermità. Ecco il maestro della famigliarità».
Questo testo illumina i tre nodi fondamentali intorno ai quali abbiamo raccolto l’interpretazione di questo nucleo: l’andare incontro ai giovani nel luogo in cui essi si trovano e si esprimono spontaneamente; la vicinanza che crea confidenza e rende possibile l’accompagnamento; la tonalità affettiva della relazione educativa che don Bosco chiama con un termine che deriva dall’esperienza famigliare. È in questa prospettiva di fede che vogliamo cercare le ragioni di ciò che viviamo, con le sue luci e le sue ombre, far emergere le sfide che ci attendono e identificare i criteri per affrontarle.
Comunità in uscita verso i giovani poveri
Due facce di un unico problema
Troppe volte la povertà allontana i ragazzi e i giovani dall’opportunità di crescere in modo sereno, di avere un’educazione adeguata, di decidere del proprio futuro. Non di rado la povertà allontana anche dalla comunità cristiana e dalla possibilità di incontrare la gioia del Vangelo, che invece è destinata proprio agli ultimi: «Lo Spirito del Signore è su di me… mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18). La povertà diventa così oggi una barriera escludente, che deve essere superata.
Il magistero profetico di Papa Francesco sta aiutando la Chiesa a prendere sempre più coscienza che la distanza dai poveri tradisce il Vangelo e genera numerose “malattie” nella comunità cristiana. Anche noi sentiamo il bisogno di andare in profondità nell’interpretazione del tempo che viviamo, fino a riconoscere che fenomeni sociali e sfide spirituali, appelli dei giovani e mozioni dello Spirito sono strettamente congiunti, senza alcuna possibilità di divaricazione. Questa è stata l’esperienza di don Bosco, che l’ha reso capace di rispondere ai bisogni più urgenti dei suoi ragazzi e di far sentire loro la tenerezza di Dio che scalda il cuore e infonde speranza. Dove questo avviene anche oggi, con impegno generoso e creatività pastorale, vediamo una vera fioritura del carisma. Dove invece le comunità perdono la “famigliarità” con i poveri, la vita religiosa si intiepidisce, rischiando di diventare sale che perde sapore, lampada messa sotto il moggio (cfr. Mt 5,13.15).
Consacrati a Dio per i giovani più poveri
Uscire verso i giovani poveri e farlo come comunità di credenti è certamente una sfida sempre nuova, ma anche una prospettiva che ci riempie di entusiasmo. Come il nostro padre don Bosco, anche noi nel giorno della nostra professione religiosa abbiamo detto a Dio: «Mi offro totalmente a Te, impegnandomi a donare tutte le mie forze a quelli a cui mi manderai, specialmente ai giovani più poveri» (Costituzioni, art. 24).
Ciò richiede da noi anzitutto capacità di discernimento comunitario: non si tratta di affidare a qualche singolo confratello l’attivazione di nuovi progetti, ma di ascoltare insieme l’appello che Dio ci rivolge nelle povertà giovanili. Richiede poi anche profondità spirituale, per non cadere nell’attivismo o in una mentalità aziendale; preparazione culturale, per comprendere i fenomeni in cui siamo immersi e le nuove povertà giovanili; disponibilità a lavorare insieme, abbandonando ogni individualismo pastorale; flessibilità nel ripensare il nostro stile di vita e le nostre opere, soprattutto quando esse non esprimono più l’energia missionaria del carisma e rispondono prevalentemente a logiche di mantenimento.
Accompagnamento dei giovani in CHIAVE vocazionale
Una ricca tradizione
«Senza famigliarità non si dimostra l’amore e senza questa dimostrazione non vi può essere confidenza». Bastano queste parole di don Bosco a farci capire il valore che aveva per lui raggiungere il cuore del ragazzo, consentendogli un’apertura fiduciosa e una sincera confidenza. Don Bosco non usava la parola “accompagnamento”, ma tutto il suo agire mirava proprio a questo. Il suo impegno educativo, ricco di proposte e attento alle diverse dimensioni della crescita, tendeva ad accompagnare i giovani in modo semplice e concreto alla santità. Trascurare questa dimensione del sistema preventivo significa snaturarlo.
Mentre tutta la Chiesa, nel Sinodo per i giovani, ha riscoperto il valore dell’accompagnamento per il discernimento, anche noi siamo invitati a rileggere le ricchezze della nostra tradizione al riguardo. Essa ci consegna tre livelli di accompagnamento strettamente congiunti tra loro: di ambiente, di gruppo e personale. Il primo si realizza attraverso l’offerta di un clima accogliente, gioioso, ricco di proposte differenziate e capace di innescare cammini di crescita. Il secondo favorisce un maggiore impegno nella maturazione personale e nel cammino di fede, valorizza le attitudini di ciascuno, promuove la spiritualità del movimento giovanile salesiano e l’appartenenza ad esso. Il terzo conduce il giovane a discernere più in profondità il senso della propria esistenza davanti a Dio. In questo senso, il Sinodo sui giovani ha parlato di un accompagnamento “in chiave vocazionale” (Documento finale del Sinodo, nn. 138-143; Christus vivit, cap. VIII), aiutando a pensare la vita non come un progetto di autorealizzazione individuale, ma come un cammino per scoprire e rispondere alla chiamata divina. L’espressione di Papa Francesco “io sono una missione” (Christus vivit, n. 254) indica chiaramene la meta che l’accompagnamento ha di fronte a sé: aiutare ognuno a scoprire la propria unicità come dono per gli altri.
Soggetti e meta dell’accompagnamento
Poiché nasce dalla familiarità nel quotidiano, l’accompagnamento coinvolge una pluralità di soggetti e non è compito esclusivo di qualcuno. L’intera comunità educativo pastorale vi è coinvolta, anche se non tutti hanno la stessa attitudine e preparazione per guidare il discernimento personale. In ogni caso, il protagonista di ogni accompagnamento è lo Spirito del Signore, che ci colma di doni e carismi; noi siamo semplicemente servi e mediatori dell’opera di Dio.
È molto importante sottolineare che un buon accompagnamento non colloca il giovane in una posizione passiva o subalterna, ma al contrario promuove la sua partecipazione attiva alla vita della comunità e la corresponsabilità nel servizio dei più poveri. Si tratta dunque di un accompagnamento per il coinvolgimento, per la presenza attiva e responsabile nella società e nella Chiesa. Il protagonismo dei giovani nella fondazione della nostra Congregazione e l’impegno attivo delle Compagnie nell’Oratorio di Valdocco, in questo senso, hanno ancora molto da dirci.
Nella certezza che «coloro che accompagnano altri a crescere devono essere persone dai grandi orizzonti, capaci di mettere insieme limiti e speranza, aiutando così a guardare sempre in prospettiva, in una prospettiva salvifica» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28), siamo chiamati a promuovere un rinnovato impegno per l’accompagnamento, il quale richiede anzitutto di curare maggiormente la preparazione di confratelli e laici in questo ambito delicato e di vivere noi stessi l’esperienza di essere accompagnati. La prospettiva del coinvolgimento attivo dei giovani poi suppone una fiducia più grande nelle loro risorse: non dobbiamo avere paura della loro sana inquietudine, delle loro domande e della loro sensibilità per temi nuovi, che non sempre siamo pronti ad affrontare. Impariamo, dunque, ogni giorno ad ascoltare con empatia e ad offrire il nostro aiuto con umiltà. L’autentica autorità di un educatore non consiste nel potere di dirigere, ma nella forza di promuovere la libertà: questa è la paternità di don Bosco.
Cammino con le famiglie e educazione affettiva
Prossimità alle famiglie
Siamo consapevoli che la famiglia è la scuola dell’amore, in cui si apprende quella grammatica degli affetti attraverso cui Dio si fa conoscere e incontrare. I recenti sinodi sulla famiglia e l’esortazione apostolica postsinodale Amoris Laetitia hanno offerto molte indicazioni pastorali sull’accompagnamento delle famiglie e sull’educazione affettiva, che anche noi siamo chiamati ad accogliere ed assimilare.
Per noi salesiani l’interesse per la famiglia scaturisce spontaneamente dal cuore stesso del nostro carisma educativo. Sappiamo quanto don Bosco abbia imparato da mamma Margherita, tanto da volerla con sé a Valdocco come una presenza preziosa per fare dell’Oratorio una vera “casa”. Il ragazzo Giovanni Bosco, d’altra parte, non è cresciuto in una famiglia perfetta: ha sperimentato la sofferenza di essere orfano di padre, l’incomprensione del fratello Antonio, l’umiliazione della povertà, la necessità di andare via di casa in cerca di lavoro. Tutto questo ha contributo a maturare in lui un cuore di padre, ricco di misericordia e di accoglienza.
Anche noi oggi sentiamo l’esigenza di una grande prossimità con le famiglie, accogliendole con le loro fatiche, ma soprattutto promuovendole con le loro ricchezze. Attraverso le nostre opere incontriamo di fatto tantissime famiglie nelle situazioni più diverse: alcune si rivolgono a noi per le nostre proposte educative, altre condividono la scelta religiosa e l’ispirazione carismatica, altre ancora sono nei primi anni di matrimonio e chiedono accompagnamento. Non poche sono in situazioni di povertà, di disagio o sono famiglie ferite e frutto di seconde unioni. Vi sono poi giovani che sono cresciuti con noi e ci chiedono di accompagnarli al matrimonio, mentre si affacciano ai nostri ambienti anche persone che vivono entro nuove configurazioni relazionali.
Questa complessità costituisce indubbiamente una sfida e richiede una preparazione adeguata. La presenza di tante famiglie inserite nei gruppi della Famiglia Salesiana e di altre che collaborano con noi costituisce in ogni caso una grande risorsa, soprattutto se siamo capaci di ascoltare la loro esperienza e di valorizzare la loro testimonianza.
Pastorale giovanile, famiglia, educazione affettiva
Il criterio fondamentale per il nostro lavoro con le famiglie va individuato nella natura educativa della nostra missione. Non vogliamo attivare una pastorale familiare parallela alla pastorale giovanile, ma piuttosto presentare la comunità educativo pastorale come il luogo e la forma del nostro cammino con le famiglie.
Da tale criterio deriva anche l’esigenza di assumere in maniera più coraggiosa la sfida dell’educazione affettiva e sessuale dei giovani. Essa è una richiesta che già il Concilio aveva indirizzato alle istituzioni educative della Chiesa (cfr. Gravissimum educationis, n. 1) e su cui abbiamo camminato ancora troppo poco. Non si tratta semplicemente di dare informazioni, ma di accompagnare in un percorso di conoscenza di sé e di scoperta della chiamata all’amore. Conosciamo l’importanza che don Bosco attribuiva alla purezza nella crescita dei ragazzi e la delicatezza con cui ne parlava. In un contesto che non di rado banalizza la sessualità, siamo chiamati a presentare una visione serena, positiva ed equilibrata del tema affettivo, a illuminare sui linguaggi del corpo e sul senso della reciprocità tra uomo e donna in conformità alla Parola di Dio. La cura di ambienti propositivi e “preventivi”, un’animazione che sa coinvolgere i giovani in tutte le loro dimensioni (teatro, sport, arte, gioco, musica, …), un accompagnamento personale che si prende cura delle dinamiche profonde della persona sono gli strumenti che la nostra tradizione ci consegna e che siamo chiamati a ripensare nei nuovi contesti di oggi.
SCEGLIERE
Comunità in uscita verso i giovani poveri
Usciamo verso i giovani poveri superando una pastorale di mantenimento e rinnovando i nostri dinamismi comunitari.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Da una pastorale di conservazione ad una pastorale missionaria che abbia come criterio di scelta i bisogni dei giovani.
Da una pastorale elitaria ed escludente ad una pastorale popolare e inclusiva.
Da una comunità ripiegata in zone di confort ad una testimonianza di evidente fraternità nella condivisione con i giovani poveri.
Processi da attivare
I settori della pastorale giovanile e delle missioni propongono una progettualità specifica di attenzione e accoglienza alle povertà giovanili.
Nel ridisegno delle presenze, le ispettorie prevedono comunità che possano accogliere con i salesiani i ragazzi e i giovani in difficoltà (migranti, rifugiati, ragazzi di strada, ecc.). per offrire loro opportunità di studio, di formazione professionale e di inserimento nel mondo del lavoro.
La Congregazione a tutti i livelli vigila perché siano garantite le condizioni per la promozione e la difesa dei diritti dei giovani, soprattutto nella tutela dei minori e degli adulti vulnerabili.
Condizioni strutturali da garantire
Si sviluppi a livello centrale un coordinamento di rete con altri religiosi e Organizzazioni nazionali e internazionali a servizio dei giovani più poveri.
Si elabori a livello ispettoriale e locale un Codice di Comportamento che permetta di avere contatto reale, sicuro, garantito con i giovani, in particolare i poveri.
Le comunità abbiano dei momenti specifici e condizioni permanenti di accoglienza di giovani: rivedano orari, strutture, ambienti e stili relazionali per essere autenticamente comunità aperte e accoglienti.
Accompagnamento dei giovani in chiave vocazionale
Promuoviamo un rinnovato impegno per l’accompagnamento in prospettiva vocazionale, curando un’adeguata formazione di salesiani e laici in questo ambito.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Da una pastorale di iniziative e attività ad una attenzione ai cammini personali di crescita.
Dalla frammentazione della pastorale in molti settori alla sua integrazione in prospettiva vocazionale.
Da una mentalità di autosufficienza pastorale al coinvolgimento dei giovani secondo il loro grado di maturità.
Processi da attivare
I settori della pastorale giovanile e della formazione propongono percorsi di abilitazione all’accompagnamento per salesiani e laici.
Il settore della pastorale giovanile anima, sostiene e orienta l’impegno delle ispettorie sui temi vocazionali.
Ogni Ispettoria offra ai giovani un “tempo destinato alla maturazione della vita cristiana adulta” da vivere nelle nostre Case, attraverso un progetto preciso di condivisione di vita, di fraternità, di apostolato e di spiritualità (cfr. Documento finale del Sinodo, n. 161).
Condizioni strutturali da garantire
Il Rettor Maggiore con il suo Consiglio valuta l’opportunità di istituire un coordinamento centrale per l’animazione vocazionale.
Le regioni implementano lo sviluppo e la costituzione di centri di formazione regionali per salesiani e laici sull’accompagnamento.
Le ispettorie favoriscono l’inserimento di giovani nelle équipe di pastorale giovanile, nelle consulte ispettoriali e nelle altre strutture di animazione pastorale.
Cammino con le famiglie e educazione affettiva
Consolidiamo il cammino con le famiglie nella comunità educativo pastorale e proponiamo cammini più accurati di educazione affettiva.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Da una famiglia considerata soltanto destinataria della pastorale alla famiglia come soggetto attivo della missione che va coinvolto nella comunità educativo pastorale.
Da uno schema mentale rigido e semplificatore all’accoglienza e all’accompagnamento dei vissuti famigliari nel rispetto della loro complessità.
Dal considerare la nostra affettività come una conquista fatta una volta per sempre ad una formazione salesiana che la intende come un cammino di crescita e maturazione del cuore.
Processi da attivare
I settori della pastorale giovanile e della formazione, valorizzando l’esperienza e il contributo delle famiglie, danno indicazioni per elaborare proposte adeguate di educazione affettiva e sessuale e curano la formazione di salesiani e laici in questo ambito.
Le ispettorie promuovono gruppi familiari ispirati alla spiritualità salesiana, favorendo il loro protagonismo apostolico e il loro coinvolgimento attivo nella comunità educativo pastorale.
Le ispettorie valorizzano la riflessione già avviata dalla Congregazione nel Congresso internazionale “Pastorale giovanile e famiglia” (Madrid, 2017) ed elaborano strumenti e percorsi per sostenere le famiglie nel loro compito educativo.
Condizioni strutturali da garantire
Le ispettorie investono nella formazione di personale per l’accompagnamento delle famiglie e per l’educazione affettiva.
Le ispettorie favoriscono l’inserimento di alcune famiglie nel consiglio della comunità educativo pastorale, promuovendo momenti regolari di comunione e di formazione.
Le ispettorie favoriscono l’impegno apostolico dei gruppi laicali della Famiglia Salesiana a servizio della famiglia.
PROFILO DEL SALESIANO OGGI
Questo secondo nucleo è stato elaborato durante il CG 28 nella sua prima versione, ma non è stato possibile presentarlo all’assemblea capitolare. Nella sessione estiva 2020 del Consiglio generale è stato completato.
RICONOSCERE
Vocazione e formazione: la forza del carisma ci interpella
Nel sogno dei nove anni la Vergine Maria, dopo aver indicato a Giovanni Bosco il campo in cui dovrà lavorare, lo invita a divenire “umile, forte e robusto”. Con tali parole, Ella gli propone un percorso esigente di formazione strettamente congiunto con la vocazione ricevuta e la missione affidata. Anche noi riconosciamo che la formazione è dono prezioso del Signore ed esigenza irrinunciabile del cammino vocazionale. Tale impegno formativo tocca tutte le dimensioni della nostra consacrazione apostolica: per questo il Capitolo Generale 27° ha coerentemente tracciato il profilo del salesiano come mistico nello Spirito, profeta di fraternità e servo dei giovani.
Esaminando le statistiche della Congregazione abbiamo appreso che nell’ultimo decennio abbiamo avuto una media annuale di circa 2600 giovani in formazione. Questo ci riempie di gioia e di speranza, perché mostra che il nostro carisma continua ad essere fecondo. Allo stesso tempo tale dato ci interpella e ci responsabilizza, chiedendo di verificare la qualità della nostra formazione iniziale e continua.
Notiamo infatti che talora l’identità consacrata salesiana pare debole e poco radicata: il primato di Dio nella vita personale e comunitaria non sempre emerge con chiarezza; forme di clericalismo e di secolarismo rischiano di far entrare in Congregazione la “mondanità spirituale”; la promozione del salesiano laico in alcune regioni rimane scarsa; la mancanza di personale preparato nell’ambito della salesianità, nonostante l’abbondante materiale a disposizione, è segno di un’insufficiente attenzione all’approfondimento del carisma.
Formazione e missione: un divario di cui prendere coscienza
Nella riflessione capitolare sul profilo del salesiano oggi è emersa con chiarezza una preoccupazione: la divaricazione tra il cammino formativo, nelle sue diverse fasi, e la realtà della missione educativa e pastorale ordinaria. Alcuni parlano di un divario tra formazione e missione, altri di una separazione tra la formazione iniziale e quella continua, altri ancora di una certa incoerenza tra ciò che la Congregazione propone nella formazione iniziale e ciò che si vive di fatto nelle comunità apostoliche.
La formazione attuale, con le sue strutture, stili e metodi appare talvolta più informativa che performativa, perché non sempre arriva a trasformare il cuore. La missione apostolica, d’altra parte, non sempre riesce ad attingere dalla realtà dei giovani e dalla concretezza della vita gli elementi per una formazione permanente: la “cattedra della realtà” stenta a farsi lettura credente della storia (lectio vitae), offrendo elementi per un rinnovamento continuo del nostro essere e del nostro operare.
Riconosciamo anche urgente l’approfondimento di alcuni temi che devono entrare a pieno titolo nel cammino formativo: l’abilitazione all’accompagnamento spirituale dei giovani, che richiede la maturazione di sensibilità specifiche; la chiara presa di coscienza che la nostra missione è condivisa con i laici e necessita per questo di nuove competenze relazionali; la crescente attenzione ai temi ecologici che comporta una specifica preparazione in questo ambito. Infine, il nuovo mondo digitalizzato impone un ripensamento del modo di impostare la nostra vita fraterna e la missione apostolica nel suo insieme, perché «il ripiegamento individualistico, tanto diffuso e proposto socialmente in questa cultura largamente digitalizzata, richiede un’attenzione speciale non solo riguardo ai nostri modelli pedagogici ma anche riguardo all’uso personale e comunitario del tempo, delle nostre attività e dei nostri beni» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28).
Formazione permanente: vivere l’esistenza in ottica formativa
Siamo riconoscenti per la presenza di un buon numero di salesiani che ravvivano continuamente il dono di Dio che hanno ricevuto (cfr. 2Tim 1,6), attraverso «un atteggiamento contemplativo, capace di identificare e discernere i punti nevralgici» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28). Solo in questo modo si supera l’idea, purtroppo radicata, che la formazione termina con la conclusione delle tappe iniziali e con l’accesso al ministero.
Manca infatti in alcuni confratelli la convinzione che l’impegno per la propria formazione è stile preciso di assunzione della missione, tanto che risulta difficile accendere il desiderio e la passione per la formazione permanente. Riconosciamo che sia a livello centrale sia a livello ispettoriale c’è stato uno sforzo per offrire strumenti e percorsi di formazione, che però non sempre portano i frutti sperati. Risulta difficile, in particolare, trasformare la stessa esperienza pastorale quotidiana in occasione formativa, perché non siamo stati iniziati a discernere a partire dalla concretezza della realtà. Per questo la comunità, sia religiosa che educativo pastorale, non riesce a divenire l’ambiente naturale e ordinario in cui ci si forma.
Bisogna, però, anche riconoscere che c’è una certa confusione circa i soggetti responsabili e i percorsi della formazione continua: mancano spesso confratelli preparati per accompagnare questo cammino, mentre si nota una pluralità e debolezza di riferimenti formativi a livello ispettoriale e locale. Alcuni segnalano il rischio di ridurre la formazione permanente a qualche sporadico corso di aggiornamento o di affidarla alla consegna di qualche nuovo manuale. Esiste infine, in un mondo sempre più fluido, la sfida della “laboriosità culturale” in Congregazione, perché senza lo studio, la lettura e il continuo aggiornamento non si riuscirà ad uscire da una pastorale di mantenimento e di ripetizione.
Formazione iniziale: una realtà in divenire che va accompagnata
Dai dati e dalle discussioni emerse al Capitolo riconosciamo che la formazione iniziale è nel suo insieme una realtà poliedrica, positiva e promettente. Si tratta di un grande mosaico di diverse situazioni, nel quale riconosciamo la presenza di dinamismi nuovi nella Congregazione.
Chi sono i giovani in formazione oggi? In forma sintetica possiamo affermare che la maggior parte di loro proviene dall’Asia e dall’Africa; nell’insieme sono “giovani adulti”, e non come in tempi passati “adolescenti”; sono giovani del nostro tempo, che quindi portano con sé tutte le potenzialità e le fragilità dei giovani di oggi; sono alla ricerca di una vita autentica e di una fraternità profetica, anche se talvolta le motivazioni che li portano alla vita salesiana necessitano di maturazione; essendo più vicini alla generazione giovanile, hanno una facilità di contatto e una comunanza naturale di linguaggio con il mondo giovanile. Tutto questo implica un approccio formativo del tutto diverso nelle nostre case di formazione e centri di studio.
A partire da questa metamorfosi epocale si comprende che la ricerca e la formazione dei formatori è una vera e propria urgenza che va affrontata nel migliore dei modi. Riconoscendo che essere formatore è una “vocazione nella vocazione”, sarà necessario passare dall’improvvisazione ad un autentico discernimento per la scelta qualificata dei formatori e dei docenti: non è questione di “reclutamento”, ma di vero dialogo vocazionale. Riconoscendo poi la comunità come primo spazio formativo, i capitolari hanno sottolineato quanto sia decisiva l’équipe dei formatori, che agiscono in sinergia e sotto la regia del Direttore, che più di tutti ha il compito di accompagnare e coordinare l’impegno di tutti.
La necessità di assumere un nuovo stile formativo
Come ci dice Papa Francesco, «pensare alla figura di salesiano per i giovani di oggi implica accettare che siamo immersi in un momento di cambiamenti» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28). Occorre quindi rinnovare il nostro stile formativo, che ha bisogno di essere pensato sempre più in forma personalizzante, olistica, relazionale, contestuale e interculturale.
È necessario, soprattutto, uno stile capace di assumere dalla missione i suoi registri fondamentali, perché è la missione «che dà a tutta la nostra esistenza il suo tono concreto, specifica il compito che abbiamo nella Chiesa e determina il posto che occupiamo tra le famiglie religiose» (Costituzioni, art. 3) e anche perché siamo tutti convinti che «quando ci isoliamo o ci allontaniamo dal popolo che siamo chiamati a servire, la nostra identità come consacrati comincia a sfigurarsi e diventare una caricatura» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28).
Questo nuovo stile formativo che sogniamo dovrebbe far risplendere l’unità della Congregazione nella pluralità delle sue espressioni: è molto importante, contro il «grave pericolo di uniformare monoliticamente le culture», riconoscere che la presenza mondiale della nostra realtà carismatica «è uno stimolo e un invito a custodire e a preservare la ricchezza di molte delle culture in cui siete immersi senza cercare di “omologarle”» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28).
INTERPRETARE
L’esperienza formativa di don Bosco
Per operare un sano discernimento sulla nostra formazione è utile riflettere sull’esperienza formativa vissuta da don Bosco. Lui stesso ne racconta i momenti principali nelle Memorie dell’Oratorio, con molte osservazioni che lasciano chiaramente intravedere la sua visione a questo riguardo. Ci soffermiamo qui in particolare su una delle tappe formative verso cui don Bosco ha mostrato maggiore apprezzamento, quella del Convitto Ecclesiastico. Di tale istituzione don Bosco dice: «Qui si impara ad essere prete» (G. Bosco, Memorie dell’Oratorio di San Francesco di Sales, in ISS, Fonti salesiane, 1. Don Bosco e la sua opera, LAS, Roma 2014, p. 1233).
La formazione del Convitto metteva insieme una solida proposta spirituale e culturale («Meditazione, lettura, due conferenze al giorno, lezioni di predicazione, vita ritirata, ogni comodità di studiare …») e l’accompagnamento a incontrare dal vivo «la malizia e la miseria degli uomini» nei luoghi di maggiore povertà. Il punto di forza che guidava i giovani preti a fare sintesi tra preghiera e ministero, tra riflessione e pratica pastorale era un gruppo di formatori di altissimo profilo, tra cui spiccava don Cafasso. Don Bosco li incontrava in cattedra mentre facevano lezione, ma li vedeva anche impegnati in prima persona nelle forme più varie e difficili di ministero. Erano per lui e per i suoi compagni solidi maestri di dottrina, apostoli intraprendenti e veri modelli di vita. Noi oggi parleremmo di un’équipe esemplare e compatta che accompagna in modo integrale ad assumere la missione.
Gli anni del Convitto sono stati determinanti per la maturazione apostolica di don Bosco, ed è bello notare che sono stati una sua scelta, a cui non era tenuto da alcun obbligo. Egli ha assunto questo impegno quando era già prete e avrebbe potuto immergersi subito a tempo pieno nell’attività. Ma su consiglio del Cafasso ha percorso un’altra via, più esigente ma immensamente più fruttuosa. Il suo esempio ci insegna che la formazione non si chiude con il compimento degli studi, con la professione perpetua o con l’ordinazione sacerdotale, ma rimane un processo aperto da coltivare con cura per tutta la vita. Ci ricorda anche che il vero apostolo non matura bruciando le tappe e che l’investimento più fecondo per la missione è quello di una buona formazione.
Formazione e vocazione: un accompagnamento alla luce del carisma
Il dono della formazione
Nella vita consacrata la formazione non si riduce solo a un insieme di tecniche e di metodologie, ma è un’esperienza di fede che affonda le sue radici nel mistero stesso della vocazione. Dio Padre, che ci ha scelti prima della creazione del mondo, continua ad operare in noi con la potenza del suo Spirito, per renderci sempre più conformi a Cristo. La meta del percorso formativo è, infatti, giungere ad avere in sé i sentimenti del Figlio, ossia sentire, pensare e agire in Lui (cfr. Fil 2,5).
Comprendere la formazione nell’orizzonte della vocazione ci aiuta a non vederla come un dovere imposto dall’esterno – dalle norme della Chiesa o della Congregazione – ma come un dono di grazia che ci aiuta a fare davvero nostra la “forma” della vita consacrata salesiana, evitando che essa rimanga una sorta di abito esteriore.
L’esistenza di fallimenti vocazionali ci ricorda quanto sia delicato questo processo e come l’accoglienza iniziale della chiamata non metta automaticamente al riparo dal rischio di perdere la strada o di volgersi indietro. Che cosa sono infatti il clericalismo, il secolarismo e l’individualismo se non deviazioni della energia vocazionale, che ne spengono la bellezza e ne mortificano la crescita per assenza di profondità, per mancanza di motivazioni o per poca generosità? La vocazione senza un’adeguata formazione viene allora confusa con una sorta di “volontariato a vita” in cui non si consegna davvero il cuore a Dio e ai giovani e non si accetta la conversione formativa che questo comporta.
Il sistema preventivo come sistema formativo
Poiché la formazione è una pedagogia della grazia, essa non potrà mai essere prima di tutto una questione di regole e di norme. Senza dubbio queste sono necessarie, perché preservano da errori e indicano cammini consolidati, ma non bastano da sole a porre le condizioni per un’esperienza formativa autentica. Dobbiamo dunque stare attenti a non dare soluzioni principalmente normative a una sfida che è anzitutto carismatica e generativa. La formazione è artigianato quotidiano, sapienza pratica, qualità della testimonianza, capacità di leggere le situazioni e di toccare i cuori: tutte cose che nessuna legge può garantire e nessun manuale basta ad assicurare. Come ci ricorda il venerabile don Giuseppe Quadrio, modello straordinario di formatore e di docente, tali qualità sono prima di tutto frutto della docibilità interiore allo Spirito che suscita nella nostra famiglia carismatica veri maestri di vita.
Valgono dunque per la nostra proposta formativa tutte le indicazioni di sapienza pratica che don Bosco metteva in atto nell’educazione. Il Sistema Preventivo va sempre più riscoperto come il principio ispiratore e l’anima profonda del nostro sistema formativo. Ciò significa far valere il primato della carità teologale e della confidenza su ogni legalismo e formalismo; trasmettere i valori vocazionali attraverso un autentico spirito di famiglia; coinvolgere attivamente i confratelli più giovani e renderli corresponsabili delle scelte formative. La pedagogia del Sistema Preventivo è infatti una pedagogia della fiducia, che crede nelle risorse dei giovani e li provoca alla generosità dell’impegno, senza mai mortificarne le intuizioni o tarparne la creatività. È in questa logica che l’articolo 99 delle nostre Costituzioni afferma: «ogni salesiano assume la responsabilità della propria formazione». Attraverso la fedeltà a questa ispirazione la Congregazione si mostra madre verso ogni confratello e lo aiuta a maturare nel suo cammino vocazionale.
formazione e missione: un processo unitario
Il “da mihi animas” come energia del processo formativo
La natura apostolica del nostro carisma qualifica in modo determinante la nostra formazione. Come ci ricorda Papa Francesco, «è importante sostenere che non veniamo formati per la missione, ma che veniamo formati nella missione, a partire dalla quale ruota tutta la nostra vita, con le sue scelte e le sue priorità. La formazione iniziale e quella permanente non possono essere un’istanza previa, parallela o separata dell’identità e della sensibilità del discepolo» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28). Queste parole indicano con molta chiarezza che formazione e missione sono strettamente intrecciate e non stanno in piedi l’una senza l’altra.
Comprendere la formazione nell’orizzonte della missione significa anzitutto dare risalto al Da mihi animas come energia profonda del processo formativo. Se questa energia viene spenta e non sprigiona più ardore per il bene dei ragazzi, la maturazione vocazionale è gravemente compromessa. Se invece la passione apostolica è viva, essa alimenta la crescita umana, l’impegno per lo studio, la cura della vita spirituale, la maturazione pastorale. Il Da mihi animas è, infatti, il modo in cui Dio ci rende partecipi del suo amore per il mondo.
Don Bosco, afferma ancora il Papa, «non solo non sceglie di separarsi dal mondo per cercare la santità, ma si lascia interpellare e sceglie come e quale mondo abitare». Assumere la missione come principio formativo richiede di sviluppare lo sguardo del pastore e il coraggio del profeta, che sa stare con i giovani poveri e sognare con loro e per loro un mondo diverso. Per questo «la missione inter gentes è la nostra scuola migliore: a partire da essa preghiamo, riflettiamo, studiamo, riposiamo» (dal Messaggio di Papa Francesco al CG 28).
Per una maggiore integrazione
Per superare il divario tra formazione e missione è necessario anzitutto uscire dalla mentalità di delega che non di rado tende a scaricare sulle comunità formatrici la responsabilità in questo delicato ambito. La trasmissione del carisma, infatti, non avviene anzitutto in comunità appositamente strutturate, ma nella freschezza della condivisione quotidiana del servizio ai giovani. La prima sorgente di formazione in Congregazione è nel tesoro della vita generosa dei confratelli. Dove le comunità sono vivaci nel servizio, solide nella spiritualità e capaci di riflessione, gli itinerari proposti dalle case di formazione sono più incisivi, perché introducono a un modo di vivere la salesianità che i giovani confratelli incontrano nella realtà ordinaria delle case. Ciò spiega l’importanza che la nostra tradizione ha sempre attribuito al tirocinio, che è una tappa formativa tipicamente salesiana. Dove invece la missione è confusa con il lavoro e la formazione permanente nelle comunità non è curata, tutto l’iter formativo viene impoverito.
Una maggiore integrazione richiede poi di «trovare uno stile di formazione capace di assumere in modo strutturale il fatto che l’evangelizzazione implica la partecipazione piena, e con piena cittadinanza, di ogni battezzato», facendo delle nostre case un «“laboratorio ecclesiale” capace di riconoscere, apprezzare, stimolare e incoraggiare le diverse chiamate e missioni nella Chiesa». È quello che stiamo cercando di fare implementando il modello della comunità educativo pastorale. In che modo tale modello possa e debba incidere nella formazione iniziale è una domanda che non trova ancora riposte chiare. Il Sinodo dei giovani ha parlato, ad esempio, dell’importanza di formare équipe formative differenziate, che includano anche figure femminili, in cui interagiscano vocazioni diverse (cfr. Documento finale del Sinodo, n. 163). Il dialogo tra le comunità ispettoriali e le case di formazione può inoltre favorire una interazione più significativa con il cammino delle comunità educativo pastorali e consentire ai formatori una maggiore presenza a fianco dei giovani confratelli nelle esercitazioni pastorali. Più che un’unica soluzione strutturale, che non terrebbe conto della notevole diversità dei contesti, bisogna dunque lavorare per una rinnovata progettualità formativa in senso missionario, che cercherà in ogni ambiente la sua attuazione più adeguata.
formazione e strutture: un rinnovamento necessario
Riferimenti istituzionali e cura dei processi formativi
Uno dei rischi del nostro iter formativo, più volte denunciato in Congregazione, è una certa frammentazione tra le diverse tappe. Indubbiamente il passaggio da una fase all’altra della formazione iniziale offre la ricchezza di nuovi stimoli e contribuisce ad allargare gli orizzonti, ma porta con sé la fatica di dover riprendere più volte il cammino di accompagnamento. Tale fatica diviene più gravosa quando l’impostazione delle scelte formative e gli strumenti offerti per l’accompagnamento non sono adeguatamente coordinati.
Ciò rende evidente la necessità che in Congregazione si proceda a chiarire e, ove possibile, semplificare i riferimenti istituzionali e a determinare con maggiore precisione i compiti e le responsabilità delle strutture di coordinamento tra le diverse fasi e tra i diversi livelli della formazione. Troppo spesso, infatti, decisioni importanti per i cammini formativi vengono rallentate o restano inevase per incertezze di sistema.
Non mancano nella Ratio e nei suoi allegati indicazioni preziose per il lavoro formativo, soprattutto per quanto riguarda gli obiettivi da raggiungere e i criteri di ammissione. Più debole invece è l’aspetto della metodologia e degli strumenti. È importante dunque dare attuazione al percorso di revisione dell’accompagnamento formativo che è stato intrapreso in Congregazione e verificarne gli esiti. La chiarezza e la condivisione su questa tema sono la prima condizione per una formazione più solida e personalizzata.
Formatori e centri di formazione
Ogni processo di crescita richiede condizioni strutturali che lo facilitano. In questa logica, la volontà di promuovere un migliore accompagnamento deve tradursi in un generoso investimento della Congregazione nel reperimento e nella formazione adeguata di formatori, che sappiano lavorare in équipe, sotto la guida e la responsabilità del Direttore.
Non meno importante è il rinnovamento all’interno dei nostri centri di studio, chiamati ad assumere con determinazione le indicazioni della Costituzione Apostolica Veritatis Gaudium. Essi prestano un indispensabile servizio non solo ai giovani confratelli che li frequentano, ma anche alla solidità culturale delle nostre ispettorie. Tra questi centri spicca in modo particolare l’Università Pontificia Salesiana, che costituisce la voce culturale più autorevole della Congregazione nella Chiesa. Il rinnovamento di cui ha bisogno richiede di ritrovare le ragioni che hanno portato ottant’anni fa alla sua fondazione.
I centri di formazione regionale offrono un servizio apprezzato alla formazione permanente dei confratelli e sono chiamati sempre più a farsi carico anche della formazione congiunta con i laici. Le Regioni che non ne sono ancora dotate dovranno individuare le forme più idonee per garantire questo tipo di servizio.
SCEGLIERE
Formazione e vocazione: un accompagnamento alla luce del carisma
Promuoviamo un rinnovato impegno per l’accompagnamento formativo dei confratelli alla luce del carisma.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Da una visione della formazione come “obbligo istituzionale” a uno sguardo di fede, che la coglie come dono ed esigenza vocazionale.
Dal formalismo esteriore alla cura dell’accompagnamento nella logica di sincera confidenza e di spirito di famiglia del Sistema Preventivo.
Da una sottovalutazione della formazione continua alla cura personale e comunitaria della propria crescita spirituale e apostolica.
Processi da attivare
Il Rettor Maggiore con il suo Consiglio studia il problema della discontinuità tra le tappe della formazione iniziale, per favorire un percorso di accompagnamento più unitario.
Il settore per la formazione promuove l’attuazione e la verifica degli Orientamenti e direttive “Giovani salesiani e accompagnamento”.
Le comunità di formazione iniziale curano un’impostazione formativa coerente con i grandi orientamenti spirituali e pedagogici del Sistema Preventivo: spirito di famiglia, coinvolgimento attivo dei confratelli, pedagogia della fiducia e della confidenza; il curatiorum verifica e promuove tale impostazione.
Le ispettorie e le comunità promuovono una rinnovata cultura dell’accompagnamento, aiutando i confratelli a riscoprirne l’importanza e il valore.
Condizioni strutturali da garantire
Nelle comunità di formazione iniziale viene garantita la presenza di équipe capaci di trasmettere vitalmente il Sistema Preventivo; i formatori propongono l’accompagnamento spirituale personale in coerenza con la proposta formativa della comunità; si cura la presenza di confessori adeguatamente preparati.
Gli Ispettori e i delegati ispettoriali curano il dialogo e il confronto con le comunità formative, per favorire la continuità dell’accompagnamento nella formazione iniziale.
I confratelli in formazione iniziale vengono aiutati a scoprire il valore dell’accompagnamento spirituale personale.
Formazione e missione: un processo unitario
Ci impegniamo a superare il divario tra formazione e missione, favorendo una rinnovata cultura della formazione nella missione a tutti i livelli.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Dalla delega alle case di formazione alla consapevolezza che lo stile di vita delle comunità incide fortemente sulla formazione dei giovani confratelli.
Dalla formazione intesa come momento previo alla missione alla cura della solidità culturale e spirituale come condizione permanente della vita apostolica.
Da uno stile formativo elitario all’impegno per valorizzare l’apporto formativo dei laici e la responsabilità missionaria di ogni battezzato.
Processi da attivare
Le ispettorie curano la qualità formativa del tirocinio, garantendo le condizioni per l’assimilazione pratica della pedagogia salesiana e l’accompagnamento formativo.
Le comunità di formazione iniziale custodiscono uno stile di vita sobrio, che preservi dall’imborghesimento e formi alle esigenze della missione, e incrementano l’accompagnamento delle esercitazioni pastorali.
Le ispettorie investono nella qualificazione dei confratelli in salesianità e curano una maggiore solidità culturale; le comunità locali verificano e potenziano il loro impegno per la formazione nel quotidiano.
Condizioni strutturali da garantire
Il settore per la formazione offre indicazioni perché il modello della comunità educativo pastorale trovi una adeguata attuazione anche nelle comunità di formazione, attraverso il coinvolgimento di laici e famiglie nel processo formativo.
Le comunità di tirocinio garantiscono l’accompagnamento formativo dei tirocinanti, li aiutano a inserirsi nella comunità educativa e pastorale, si impegnano nella valutazione della loro crescita vocazionale.
Le commissioni ispettoriali di formazione aiutano le comunità a verificare e potenziare il loro impegno formativo nella missione.
Formazione e strutture: un rinnovamento necessario
Investiamo energie nel reperimento e nella formazione dei formatori e affrontiamo con coraggio il ripensamento dei riferimenti istituzionali e delle strutture formative.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Dal ripiegamento sulle urgenze al coraggioso investimento nella formazione dei confratelli.
Dallo sguardo sulle necessità locali alla disponibilità a offrire confratelli e risorse per le esigenze formative della Congregazione e per la collaborazione tra ispettorie.
Dal rischio della superficialità alla cura dello studio serio e della solidità culturale dei confratelli.
Processi da attivare
Il Rettor Maggiore con il suo consiglio promuove un generoso impegno della Congregazione per il reperimento e la formazione dei formatori; le ispettorie investono nella formazione dei confratelli e nella preparazione di formatori.
Il Rettor Maggiore con il suo consiglio verifica la struttura di governance della formazione per renderla più chiara, semplice e funzionale.
Il Rettor Maggiore con il suo consiglio rivede il numero e la distribuzione delle comunità di formazione iniziale entro un progetto unitario; promuove il rinnovamento dell’Università Pontificia Salesiana, il potenziamento dei centri di studio, la cura dei centri regionali di formazione.
Condizioni strutturali da garantire
Il settore per la formazione rivede le parti della Ratio che hanno bisogno di essere adeguate alle circostanze attuali, potenziando le indicazioni concrete di metodi e strumenti condivisi.
Il settore per la formazione studia le modalità migliori per accompagnare le comunità formative inter-ispettoriali; precisa i compiti del curatorium e ne segue il funzionamento in dialogo con i Consiglieri regionali; accompagna gli Ispettori ad assumere la loro responsabilità formativa.
Le Regioni promuovono i centri regionali di formazione, ne verificano la proposta; dove ancora mancano, ne istituiscono la presenza.
INSIEME AI LAICI NELLA MISSIONE E NELLA FORMAZIONE
Durante la sessione estiva 2020 il Consiglio generale ha lavorato sul terzo nucleo del CG28, in quanto esso non era stato preso in considerazione durante il Capitolo Generale per via della sua forzata interruzione dovuta alla pandemia.
Il Consiglio generale, partendo dallo “Strumento di lavoro”, ha utilizzato la medesima metodologia del discernimento del CG28 e ha lavorato con le stesse modalità delle commissioni capitolari. Nella redazione del testo si è cercato di mantenere la medesima forma del primo e del secondo nucleo così come sono stati elaborati dal CG28.
RICONOSCERE
Realizzazioni e resistenze nella missione condivisa con i laici
Riconosciamo che il CG 24 è per tutti “un punto di non ritorno” per il rinnovamento del nostro modo di vivere e lavorare insieme. Sta al centro del magistero salesiano post-conciliare, e allo stesso tempo segna un ritorno alle origini del carisma salesiano: Don Bosco, infatti, ha coinvolto fin dall’inizio tanti laici nella sua missione giovanile e popolare.
Riconosciamo che molti passi in avanti sono stati fatti in tutta la Congregazione, anche se con velocità e modalità differenti: il coinvolgimento di tutta la comunità educativo pastorale; la formazione spirituale, pedagogica e pastorale dei laici; l’inserimento dei giovani nelle équipe di animazione; l’affidamento di alcune opere ai laici. Questa percezione di crescente coinvolgimento reciproco, di ricchezza condivisa, di forza dell’aiuto congiunto e di fecondità del carisma si va gradualmente concretizzando, passando dalla prospettiva di coinvolgere i laici nell’attività educativo pastorale a quella di condividere con loro la nostra spiritualità.
Allo stesso tempo, prendiamo atto che rimangono ancora alcune fatiche, perché non sempre riusciamo a rendere i laici partecipi dello spirito e della missione salesiana: molte ispettorie devono ancora passare dal coinvolgimento utilitaristico dei laici alla strategia della corresponsabilità evangelica. Talvolta riscontriamo anche fenomeni di vera e propria resistenza: qualche religioso lamenta l’eccessivo protagonismo dei laici mentre alcuni laici mostrano motivazioni opportunistiche nella loro offerta di collaborazione. Per i laici più impegnati nell’attività educativo pastorale, poi, non è facile conciliare le esigenze della missione salesiana con la vita personale e familiare. Registriamo infine in alcune situazioni una tendenza al livellamento dei diversi stati di vita, tanto che alcuni pensano che i consacrati non siano più necessari per mantenere vivo il carisma.
Reciprocità di relazioni tra salesiani e laici
Molto spesso le relazioni tra salesiani e laici sono ispirate a stima, rispetto, cordialità e collaborazione, soprattutto dove c’è una chiara identità vocazionale, una proposta organica di formazione e un cammino condiviso con i dovuti organismi e strumenti come il consiglio della comunità educativo pastorale e il progetto educativo pastorale salesiano.
Non sempre si accetta e apprezza il peculiare contributo dei laici, tenendo in considerazione la loro identità e la loro esperienza vocazionale: si conosce ciò che fanno, ma non si apprezza ciò che sono. Dove manca la chiarezza sulle rispettive identità, si assiste a una sorta di “clericalizzazione dei laici” e di “laicizzazione dei consacrati”. In questo caso, la collaborazione quotidiana, anziché far emergere la specificità di ciascuno, conduce a un appiattimento delle identità. Talvolta i laici sono semplicemente classificati e posizionati all’interno di un modello gerarchico e piramidale di “opera salesiana”.
Nei salesiani talora riscontriamo un certo disagio nella gestione di opere complesse che esigono capacità manageriali e una mancanza di preparazione per le sfide che emergono dal modello pastorale di condivisione con i laici. Riconosciamo che di fronte al cambiamento d’epoca non siamo davvero in grado di “discernere”, e quindi rischiamo di rimanere intrappolati in logiche di mantenimento pastorale che si adagiano sul “si è sempre fatto così”.
Notiamo che ci sono diverse tipologie di laici: dipendenti, volontari, giovani adulti, cristiani cattolici o di altre confessioni, praticanti o più distanti dalla Chiesa. Talora con la stessa parola “laici”, che nel linguaggio ecclesiale indica i battezzati (Christifideles laici), ci si riferisce anche a persone che lavorano nelle nostre opere ma sono di altre religioni. Per evitare confusioni o irrigidimenti è importante affrontare con serietà le questioni teologiche e pastorali sottese a tale complessità. Si potrà così illuminare meglio la forma che la comunità educativo pastorale è chiamata ad assumere in contesti plurireligiosi o secolarizzati.
Formazione congiunta di salesiani e laici
In questi anni sono maturate buone iniziative di formazione congiunta di salesiani e laici. Per quanto riguarda i corsi di formazione, ci sono ottime proposte a livello locale, ispettoriale e regionale. Talvolta c’è una carenza di sistematicità nei percorsi formativi, che poi si manifesta nella debolezza di progettualità educativa e pastorale. Manca infatti una formazione più organica, che miri a integrare tutti gli aspetti del carisma salesiano (spirituale, pedagogico, pastorale e professionale). Rimane aperto il tema della formazione dei collaboratori di altre religioni e convinzioni.
Nella vita quotidiana la formazione congiunta si fa principalmente attraverso i cammini della comunità educativo pastorale, con i suoi organismi e i suoi processi di animazione, di discernimento e di governo. La vita della comunità educativo pastorale è uno degli spazi più efficaci per la formazione congiunta tra salesiani e laici ed è un ottimo esempio di “formazione nella missione”.
Si nota da parte di alcuni confratelli una certa resistenza a essere coinvolti nella formazione con i laici e la difficoltà a deporre un certo atteggiamento di presunta superiorità. Un’altra fonte di fatica alla formazione congiunta è la stanchezza, l’eccesso di attività e l’accumulo di compiti e di ruoli. In alcuni laici non c’è grande consapevolezza del loro compito nella Chiesa e quindi poca disponibilità ad assumere le responsabilità formative che ne derivano.
Le diverse forme di rapporto tra la comunità religiosa e l’opera salesiana
Nella Congregazione in questo momento esistono diverse forme di rapporto tra la comunità religiosa e l’opera salesiana: ci sono delle opere o settori di opere affidati congiuntamente alla comunità salesiana e ai laici; ci sono opere affidate a laici all’interno di un progetto ispettoriale; ci sono anche opere dove l’animazione pastorale, ma non la gestione, è affidata a una comunità salesiana vicina. Persistono opere dove il numero di confratelli consente di ricoprire tutti i ruoli di responsabilità: in questo caso ci sono tanti collaboratori laici con poche o nessuna responsabilità; qui le strutture di animazione della comunità educativo pastorale sono molto deboli o assenti.
Dove si tratta di un’opera affidata congiuntamente ai salesiani e ai laici, non sempre si è realizzato quello che afferma il CG 24 ai nn. 149-159. Quando si tratta di un’opera a gestione laicale sotto la direzione dell’Ispettoria, in molti casi le ispettorie hanno compiuto un grande sforzo di riflessione e di creatività per affrontare la sfida dell’accompagnamento.
Pur riconoscendo aspetti positivi, si registrano anche problemi di un certo peso: la difficoltà dei salesiani di garantire un accompagnamento sistematico; la fatica dei laici a comporre gli impegni richiesti da queste opere con le esigenze della vita familiare; le difficoltà legate al ricambio dei laici, l’assenza di criteri e di strumenti di controllo; la necessità di avviare pratiche di valutazione della gestione; il bisogno di trovare un quadro giuridico adeguato; l’esigenza di un cambiamento della cultura formativa da entrambe le parti per prepararsi meglio a gestire queste nuove realtà. Vi sono persino sono situazioni in cui il ruolo, le competenze e le funzioni dei salesiani e dei laici con responsabilità nelle case non sono chiari né ben definiti.
L’affidamento di un’opera o settore d’opera interamente ai laici rimane all’interno del progetto e della responsabilità dell’Ispettoria. Esistono situazioni in cui l’Ispettoria affida ad un ente giuridico (fondazione, associazione, cooperativa, società) un’attività, un’opera o settori di essa e l’utilizzo di immobili di sua proprietà. In questo caso non sempre viene stipulata una convenzione che regola i rapporti giuridici ed economici.
INTERPRETARE
Don Bosco, padre e maestro nel coinvolgimento e nella corresponsabilità
Gli elementi fondamentali per approfondire la teoria e la pratica della comunione e della condivisione nello spirito e nella missione di don Bosco sono riportati nel testo del CG 24, che rimane in questo campo un riferimento imprescindibile.
Dal punto di vista ispirativo alcuni preziosi paragrafi dimostrano che durante tutto il suo percorso esistenziale il nostro Fondatore si preoccupò di coinvolgere il maggior numero di collaboratori possibili nel suo progetto operativo, dando origine «ad un vasto movimento di persone che, in vari modi, operano per la salvezza della gioventù» (Costituzioni, art. 5): dai suoi amici intimi ai compagni di studio, da mamma Margherita ai datori di lavoro, dalla gente buona del popolo ai teologi, dai nobili ai politici dell’epoca (cfr. CG 24, 69-86).
Noi siamo nati e cresciuti storicamente in comunione con i laici e loro con noi. In particolare, dobbiamo sottolineare l’importanza che i giovani hanno avuto nello sviluppo del carisma e della missione salesiana: don Bosco trovò nei giovani i suoi primi collaboratori, che così diventarono, in un certo senso, co-fondatori della Congregazione!
In questo costante dinamismo orientato alla ricerca della comunione, condivisione e corresponsabilità troviamo ancora oggi uno dei tratti qualificanti della nostra chiamata a lavorare per l’avvento del Regno di Dio nel mondo.
CHIESA SINODALE PER LA MISSIONE E SPECIFICITÀ DELLE VOCAZIONI
Alla radice delle realizzazioni e delle resistenze
Molte delle resistenze alla seria presa in carico della condivisione dello spirito e della missione salesiana sono radicate nella debole recezione dei due grandi pilastri ecclesiologici del Concilio Vaticano II: la realtà della Chiesa come popolo Dio in cammino nella storia e la conseguente ecclesiologia di comunione, che esalta la reciprocità e complementarietà delle diverse vocazioni nella Chiesa.
Partendo da questa prospettiva è evidente che la partecipazione dei laici al carisma e alla missione salesiana non è una generosa concessione che viene fatta loro da parte dei consacrati salesiani, e neanche una strategia per la sopravvivenza. San Paolo insegna con chiarezza che i carismi sono doni che lo Spirito distribuisce per l’utilità comune (1Cor 12); essi non sono una prerogativa di un certo stato di vita, ma arricchiscono la vita della Chiesa nella diversità e complementarità delle sue vocazioni.
Convinti che non c’è dignità più alta di quella che ci è stata conferita con il battesimo, così che «ciascun battezzato è un soggetto attivo di evangelizzazione» e che «sarebbe inadeguato pensare ad uno schema di evangelizzazione portato avanti da attori qualificati in cui il resto del popolo fedele fosse solamente recettivo delle loro azioni» (Evangelii gaudium, n. 120), ci sentiamo chiamati – salesiani, membri della Famiglia Salesiana, laici e giovani – a vivere, ognuno nella sua specificità, la propria vocazione in vista dell’edificazione reciproca. Dove questa impostazione ecclesiologica è accolta con gioia e sviluppata con convinzione i risultati sono ben visibili: la comunità educativo pastorale fiorisce e diventa un’esperienza di Chiesa che vive la comunione e la missione in forma attraente e feconda.
La “sinodalità missionaria” della Chiesa
La riscoperta della forma sinodale della Chiesa è stato uno dei punti qualificanti del recente Sinodo sui giovani: «Il frutto di questo Sinodo, la scelta che lo Spirito ci ha ispirato attraverso l’ascolto e il discernimento è di camminare con i giovani andando verso tutti per testimoniare l’amore di Dio. Possiamo descrivere questo processo parlando di sinodalità per la missione, ovvero sinodalità missionaria» (Documento finale del Sinodo, n. 118). I giovani, più che chiederci di fare qualcosa per loro, ci hanno invitato a camminare con loro!
Papa Francesco è ancora più radicale quando dichiara che «il cammino della sinodalità è il cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del III millennio» (cfr. Discorso per la commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo dei Vescovi, 17 ottobre 2015). In coerenza con queste affermazioni, la XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi – tuttora in fase di preparazione e che si svolgerà nel mese di ottobre del 2022 – avrà proprio come tema la sinodalità: “Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione”.
Tali parole non possono lasciare indifferenti i nostri ambienti salesiani. Esigono invece conversione del cuore e della mente, uniti ad una rinnovata disponibilità al cambiamento delle pratiche. Proprio la pastorale giovanile – la quale «non può che essere sinodale» (Christus vivit, n. 206) – dovrebbe avanzare senza indugio in questa direzione, aprendo nuove strade a beneficio di tutti. È sempre più chiaro che solo uomini e donne di comunione costruiranno lo spirito di famiglia e condivideranno la missione.
Reciprocità di relazioni, carisma dei laici e ruolo della comunità religiosa
Una buona identificazione con la propria vocazione e una conoscenza adeguata della vocazione degli altri sono fondamentali per non ridurre la missione condivisa a collaborazione esecutiva. Salesiani che vivono con gioia e freschezza la loro specifica chiamata sono capaci di una presenza animatrice incisiva e fraterna e sanno offrire ai laici un sostegno affettivo ed effettivo nelle difficoltà che incontrano. I laici che assumono con convinzione la loro chiamata battesimale alla testimonianza del Vangelo sono liberi dal complesso di essere relegati a servizi pastorali di secondo grado. Insieme si diventa “laboratorio ecclesiale” e un segno profetico di comunione per la Chiesa e la società.
Talvolta i giovani recepiscono meglio la testimonianza dei laici, perché essa è meno scontata e si suppone che non parlino e agiscano per logica di appartenenza. La loro vocazione, ponendoli nel cuore del mondo, li rende talora più adeguati a rispondere alle nuove domande culturali dei giovani. In tal modo i laici parlano un linguaggio più adatto alle situazioni ordinarie della vita e spesso posseggono specificità professionali che li rendono preziosi nella missione.
Il mutamento del ruolo della comunità religiosa dipenderà da diversi fattori ma, tra questi, diventeranno sempre di più rilevanti: la disponibilità a rileggersi nei confronti dell’opzione carismatica di fondo; la disposizione a mettere in questione il ruolo di gestore e responsabile unico dell’opera di fronte alla corresponsabilità con i laici; la capacità di rileggere il significato della propria presenza all’interno del contesto in cui si trova.
GESTIONE DELL’OPERA, VITA DELLA COMUNITÀ E NUCLEO ANIMATORE
Due modalità operative e centralità del nucleo animatore
La Congregazione riconosce oggi solo due modalità di rapporto tra comunità salesiana e opera. La prima e più importante, che va considerata la norma di riferimento, è composta congiuntamente dalla comunità salesiana e dai laici; la seconda è riferita ad “attività e opere gestite da laici all’interno del progetto ispettoriale salesiano” (cfr. CG 24, n. 180-182).
Riteniamo che non esista più il modello – che prima del Concilio Vaticano II poteva essere ritenuto valido – che prevede l’animazione dell’opera da parte di soli salesiani. Ribadiamo con forza che la missione salesiana è strutturalmente comunitaria ed è affidata ad una comunità educativo pastorale e al suo nucleo animatore, il quale sarà composto di salesiani e laici in modalità e proporzione differenti e complementari: la missione che don Bosco ci ha consegnato non è mai un’azione individuale né autoreferenziale!
In ciascuno di questi due modelli è centrale il “nucleo animatore” o “consiglio della comunità educativo pastorale”, che è da considerarsi come il motore e il cuore di tutta la comunità educativo pastorale, perché dalla sua qualificazione e dal suo corretto funzionamento dipende il buon andamento dell’opera. Esso è un prezioso organo di animazione e la chiave per la vita dell’opera: si tratta di «un gruppo di persone che si identifica con la missione, il sistema educativo e la spiritualità salesiana e assume solidalmente il compito di convocare, motivare, coinvolgere tutti coloro che si interessano di un’opera, per formare con essi la comunità educativa e realizzare un progetto di evangelizzazione ed educazione dei giovani» (cfr. J.E. Vecchi in ACG 363, p. 8-9; Quadro di riferimento della pastorale giovanile salesiana, V,1,3; Animazione e governo della comunità, n. 121-122).
Opere affidate a salesiani e laici
Nelle opere affidate alla comunità religiosa e ai laici, la comunità è parte significativa del nucleo animatore e punto di riferimento carismatico: «Un tale livello di condivisione dello spirito e della missione di don Bosco con i laici segna una nuova fase nello sviluppo del nostro carisma. Da ciò deriva la necessità per la comunità religiosa salesiana di riconsiderare e assumere pienamente il suo ruolo, relativamente nuovo, all’interno della comunità educativo pastorale. […] Ciò comporta un cambiamento radicale da una struttura piramidale dell’autorità̀ a uno stile più partecipativo, in cui le relazioni e i processi personali sono della massima importanza» (Animazione e governo della comunità, n. 124).
La forma concreta della relazione della comunità religiosa con l’opera nel suo insieme non può essere ridotta a un unico modello (cfr. CG 26, n. 120). Per questo è necessario tener conto di alcuni fattori determinanti: i diversi livelli di appartenenza e condivisione dello spirito e della missione salesiana; i diversi gradi in cui si realizza la corresponsabilità; la tipologia di opera; la natura volontaria o contrattuale della presenza dei laici. È infine da ricordare che «la precisa relazione tra la comunità̀ salesiana e l’opera, come anche la modalità̀ con cui l’autorità̀ del direttore viene esercitata, va codificata nel progetto educativo pastorale salesiano ispettoriale e locale» (Animazione e governo della comunità, n. 125).
Attività e opere gestite da laici all’interno del progetto ispettoriale salesiano
Il CG 24 poneva, 24 anni fa, questo secondo tipo di opera tra le “Situazioni particolari di novità” (cfr. CG 24, capitolo III). Oggi possiamo affermare che quelle novità sono entrate a far parte del patrimonio ordinario della Congregazione a livello mondiale, anche se con proporzioni, forme e modalità assai diverse tra le regioni e le ispettorie.
È importante riaffermare le due condizioni essenziali per l’affidamento di un’opera ai laici: prima di tutto vanno accertati criteri di identità, comunione e significatività salesiana; in secondo luogo va garantito l’accompagnamento costante e qualificato dell’ispettore e del suo consiglio (cfr. CG 24, nn. 180-182; Quadro di riferimento della pastorale giovanile salesiana, VIII,2,2; Animazione e governo della comunità, 126).
Tali condizioni vanno vagliate attentamente in sede di discernimento e di affidamento dell’opera ai laici. Sono necessarie una scelta carismatica e una formazione adeguata specialmente per coloro che rivestono ruoli apicali, come anche una rimunerazione e condizioni di lavoro eque e giuste. Infine non è da dimenticare che questo cammino intrapreso con i laici, oltre ad essere accompagnato, va costantemente verificato.
FORMAZIONE CONGIUNTA PER LA MISSIONE
Una priorità assoluta che impegna i diversi livelli di governo e animazione
La condivisione dello spirito salesiano e la crescita nella corresponsabilità richiedono la condivisione di alcuni percorsi ed esperienze formative orientate alla spiritualità e alla missione, ovviamente senza trascurare percorsi formativi specifici per consacrati salesiani e laici. La formazione congiunta nella missione condivisa è una priorità assoluta e va indirizzata soprattutto ai membri del nucleo animatore (cfr. Animazione e governo della comunità, nn. 106.122). I nostri collaboratori laici hanno bisogno di sperimentare e conoscere da vicino don Bosco, e di riflettere su quanto si vive nelle nostre opere.
È compito dell’Ispettoria e della Regione offrire cammini formativi adeguati per salesiani e laici. L’Ispettoria è chiamata ad elaborare un progetto di formazione congiunta a livello ispettoriale e l’accompagnamento dei processi al livello locale, garantendo risorse adeguate di personale e mezzi. A livello locale uno dei primi obiettivi che il direttore salesiano persegue insieme al Consiglio della comunità salesiana e al nucleo animatore della comunità educativo pastorale è l’elaborazione di un progetto formativo, che assicura un’attenzione specifica al tema.
L’esperienza conferma che è molto positivo affidare ad équipe miste, composte da salesiani e laici, l’organizzazione delle diverse iniziative di formazione: i salesiani offrono la sapienza acquisita nella formazione, nell’assistenza e nella spiritualità; a loro volta i laici offrono, oltre alle loro competenze specifiche, i frutti del contatto con il mondo delle professioni, una maggiore attenzione alla vita familiare, uno stile di semplicità e di amicizia nel rapporto con le donne e il senso evangelico della vita quotidiana.
È bene infine ricordare che la formazione non avviene solo attraverso corsi accademici, ma soprattutto a partire dall’esperienza del vivere e lavorare insieme, perché «il primo e miglior modo di formarsi e formare alla condivisione e alla corresponsabilità è il corretto funzionamento della comunità educativo pastorale» (CG 24, n. 43).
Formazione iniziale e permanente dei salesiani
«È importante sostenere che non veniamo formati per la missione, ma che veniamo formati nella missione, a partire dalla quale ruota tutta la nostra vita, con le sue scelte e le sue priorità. La formazione iniziale e quella permanente non possono essere un’istanza previa, parallela o separata dell’identità e della sensibilità del discepolo. La missione inter gentes è la nostra scuola migliore: a partire da essa preghiamo, riflettiamo, studiamo, riposiamo. Quando ci isoliamo o ci allontaniamo dal popolo che siamo chiamati a servire, la nostra identità come consacrati comincia a sfigurarsi e a diventare una caricatura». Queste forti affermazioni di Papa Francesco nel suo Messaggio al CG 28 ci dicono l’importanza di un radicale cambio di prospettiva nella formazione di tutti i confratelli, ed in particolare di coloro che vivono la formazione iniziale: dobbiamo imparare sempre di più a riflettere criticamente sull’esperienza pastorale che viviamo in mezzo ai giovani!
La formazione nella e per la missione condivisa deve toccare anche la formazione iniziale dei salesiani, non solo come tema di studio ma anche attraverso le esperienze pastorali settimanali e estive. L’esperienza di lavorare con e sotto la direzione di laici durante il tirocinio, come anche la partecipazione al consiglio della comunità educativo pastorale, sono preziosi momenti di formazione, specialmente se ben accompagnati dai membri del nucleo animatore, sia laici sia salesiani.
Collaboratori di altre religioni e convinzioni
Nei contesti secolarizzati e multireligiosi il nostro impegno educativo è condiviso da persone di diverse religioni e convinzioni. Molte di loro sono anche inserite nel nucleo animatore della comunità educativo pastorale. La loro formazione è una sfida delicata, che richiede saggezza, coraggio e creatività. La dottrina della Chiesa insegna che la rivelazione di Dio in Cristo, pur superando in modo sorprendente la sapienza umana e l’esperienza di altre tradizioni religiose, porta a compimento i germi di verità che esse contengono e invita in molti modi a impegnarsi nel dialogo interreligioso. Per questo è possibile individuare dei valori comuni che pongano le basi per una formazione differenziata, inculturata e contestualizzata senza venire meno all’originalità della fede cristiana.
Il CG 24 aveva già dedicato una ricca riflessione su questo tema (cfr. CG 24, n. 113,183-186), individuando due elementi fondamentali che costituiscono la base per collaborare con persone di altre tradizioni e convinzioni: prima di tutto la condivisione del Sistema Preventivo (nei suoi valori umani e laicali con chi non crede in Dio; nei valori religiosi con quelli che accettano Dio o il Trascendente; nel Vangelo di Cristo con cristiani di altre chiese e comunità ecclesiali); in secondo luogo l’apertura alla ricerca di Dio, da parte di coloro che non professano una fede (cfr. CG24, n. 185.100). Poiché “la missione giovanile ci porta verso una educazione che è insieme evangelizzazione”, il CG 24 aveva anche riconosciuto che posizioni ostili alla Chiesa cattolica come si trovano in alcune ideologie, sette o movimenti, invece, sono incompatibili con la nostra missione (cfr. CG24, n. 185).
Dopo l’esperienza di questi decenni sarebbe utile una verifica dell’attuazione di questi criteri e degli esiti concreti che ne conseguono in ordine alla educazione e alla evangelizzazione, in modo da mettere in risalto le buone pratiche da potenziare e i rischi da evitare. Certamente la condizione fondamentale è la presenza consistente di salesiani e, dove possibile, di laici cristiani che vivono la loro identità vocazionale con gioia e autenticità (CG 24, nn. 183-185; Animazione e governo della comunità, n. 135), senza nascondere ciò che costituisce il cuore e la motivazione di fondo della loro vita. Altrettanto importante è il clima di rispetto, pazienza, accoglienza e amicizia, che evita tanto l’imposizione di valori e convinzioni quanto la paura di toccare temi che qualificano la nostra identità.
Siamo convinti di poter condividere con tutti gli uomini di buona volontà che desiderano partecipare alla missione salesiana la paterna amorevolezza di don Bosco, la ragionevolezza insita nel suo sistema educativo e la fiducia nelle risorse dei giovani, la scelta privilegiata dei più poveri e l’impegno per una cultura dell’accoglienza che non conosce limiti di razza, colore, nazione, cultura e religione.
SCEGLIERE
Chiesa sinodale, missione condivisa e comunità educativo pastorale
Assumiamo con decisione la missione condivisa tra salesiani e laici, valorizzando la reciprocità delle vocazioni.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Da una missione affidata ai “ruoli personali” dei consacrati alla consapevolezza dell’ecclesiologia di comunione e alla riscoperta del ruolo del laicato.
Dal guardare ai laici come semplici “collaboratori” per una migliore attuazione del lavoro apostolico a considerare la corresponsabilità laicale come criterio carismatico fondante.
Dal guardare ai giovani come meri destinatari dei nostri interventi educativi al sentirli corresponsabili dell’unica missione.
Processi da attivare
I settori per la formazione e per la pastorale giovanile favoriscono la stesura di alcune linee guida per l’animazione ed accompagnamento della comunità educativo pastorale, sulla base delle “buone pratiche” della Congregazione.
Le ispettorie hanno particolare attenzione a rafforzare la comprensione della comunità educativo pastorale, curano la formazione dei suoi membri e la preparazione del progetto educativo pastorale salesiano, verificano periodicamente il cammino fatto.
Le ispettorie affidano gradualmente ruoli di responsabilità istituzionale ai laici carismaticamente fondati e professionalmente preparati, a livello locale e ispettoriale, coinvolgendoli nella progettazione pastorale e nella gestione economica.
Condizioni strutturali da garantire
Le ispettorie studiano e definiscono i modelli di gestione per i vari tipi di compiti affidati ai laici all’interno di un progetto ispettoriale (Piano Organico Ispettoriale, Progetto Educativo Pastorale Salesiano Ispettoriale, Direttorio ispettoriale), con particolare riferimento alle mansioni, alle nomine, alla giusta rimunerazione economica, alla durata delle cariche ed agli organi decisionali.
Le ispettorie svolgono un serio accompagnamento delle opere di gestione laicale attraverso la presenza dell’Ispettore e dell’équipe di animazione ispettoriale, e redigono a tal proposito uno statuto.
Le ispettorie coinvolgono i gruppi della Famiglia Salesiana nel piano di ridisegno delle presenze salesiane, predisponendo esperienze di collaborazione a favore dei più poveri.
Formazione congiunta per la missione
Assicuriamo spazi e tempi di formazione congiunta e condivisione di vita tra salesiani e laici per un migliore servizio educativo pastorale ai giovani.
Atteggiamenti e mentalità da convertire
Da una formazione congiunta sporadica e occasionale a una formazione più sistematica, che miri a integrare tutti gli aspetti della missione salesiana (spirituale, pedagogica, pastorale e professionale).
Da una formazione impartita solo da parte dei consacrati a una formazione progettata e realizzata insieme con i laici.
Da una mentalità autosufficiente alla reale esperienza della necessità della formazione congiunta.
Processi da attivare
I settori per la formazione e per la pastorale giovanile promuovono una riflessione a livello regionale per una rinnovata comprensione e valorizzazione della formazione congiunta nell’orizzonte della missione condivisa.
Il settore delle missioni coordina una riflessione per approfondire le condizioni necessarie per la partecipazione di laici collaboratori di altre religioni e convinzioni alla missione salesiana, proponendo cammini di formazione idonei e differenziati, centrati sui pilastri del sistema preventivo.
Le ispettorie investono nella formazione congiunta – anche nella formazione iniziale – con l’aiuto delle strutture regionali di formazione permanente ed assicurando il sostegno economico per favorire la partecipazione dei laici.
Condizioni strutturali da garantire
Le ispettorie elaborano il progetto di formazione congiunta che distingue i livelli di formazione, i contenuti, i destinatari e i soggetti attraverso itinerari di formazione diversificati (umana, spirituale, salesiana e professionale).
La comunità locale realizza processi di formazione per salesiani e laici capaci di condividere vita spirituale e fraterna oltre all’azione educativo-pastorale.
La comunità locale intraprende cammini di costruzione della comunità educativo pastorale e dei consigli della comunità educativo pastorale come nucleo di animazione e spazio efficace per avviare esperienze sistematiche di spiritualità, di comunione e di servizio con i laici e con i giovani.
DELIBERAZIONI DEL CG28
MODIFICHE DELLE COSTITUZIONI54
1. Elezione del Rettor Maggiore (Cost. 128)
Il Rettor Maggiore viene eletto dal Capitolo generale per un periodo di sei anni e può essere eletto soltanto per un secondo sessennio. Non può dimettersi dalla sua carica senza il consenso della Sede Apostolica.
2. Elezione Vicario del Rettor Maggiore e Consiglieri generali (Cost. 142 §1)
Il Vicario del Rettor Maggiore dura in carica sei anni e può essere eletto nel medesimo incarico soltanto per un secondo sessennio.
Al termine del primo sessennio, il Vicario del Rettor Maggiore può essere eletto Consigliere generale o Rettor Maggiore.
Al termine del secondo sessennio, egli può essere eletto soltanto Rettor Maggiore.
I Consiglieri generali durano in carica sei anni. Possono essere eletti nel medesimo incarico o ad altro incarico, come Consiglieri generali, soltanto per un secondo sessennio.
Al termine del primo o del secondo sessennio, i Consiglieri generali possono essere eletti Vicario del Rettor Maggiore o Rettor Maggiore.
MODIFICHE DEI REGOLAMENTI
3. Compiti del Consigliere regionale (Reg. 135)
I consiglieri regionali si mantengano in contatto con le singole ispettorie: devono visitarle periodicamente, riunendo i Consigli ispettoriali. D’accordo con gli ispettori, possono incontrare i direttori e altri gruppi di confratelli e laici per suggerire ciò che ritengono più opportuno per il bene della Congregazione e per un miglior servizio dell’ispettoria e della Chiesa particolare.
Essi abbiano almeno un incontro annuale con tutti gli ispettori della Regione e mantengano i collegamenti con gli organismi della Regione, le comunità formatrici e le Conferenze ispettoriali.
4. Uso del sistema informatico nelle votazioni elettive (Reg. 131)
La procedura di elezione si realizza mediante il sistema informatico (intranet). Per essa è a disposizione di tutti i capitolari l’accesso alla scheda anagrafica dei singoli soci che possono essere eletti. I capitolari esprimono il proprio voto selezionando il cognome del socio per il quale intendono esprimere la preferenza,
Qualora si riscontrasse un malfunzionamento tecnico del sistema, si ricorre alla procedura di elezione mediante scheda cartacea.
Gli scrutatori verificheranno che il numero dei voti corrisponda a quello degli elettori. Se il numero dei voti supera quello degli elettori, la votazione è nulla; se invece vi corrisponde o è inferiore, se ne faccia lo scrutinio. I segretari scriveranno nel verbale i nomi. letti da uno scrutatore.
DELIBERAZIONE
5. Modalità di svolgimento della visita straordinaria (Reg. 104)
Il Rettor Maggiore ed il Consiglio generale, all’inizio del sessennio, prevedano i tempi e le modalità di svolgimento delle visite straordinarie in ciascuna regione, valorizzando le possibilità offerte dall’art. 104 dei Regolamenti generali, in modo da garantire, in ogni caso,
la possibilità del colloquio personale di ciascun confratello con il delegato del Rettor Maggiore;
la conoscenza delle situazioni locali, in cui si svolge la nostra missione;
l’effettivo esercizio dei poteri di giurisdizione richiesti dalla natura della visita;
la presenza del Regionale almeno in alcuni momenti durante la visita, se fatta da un altro visitatore;
la comunicazione tra il visitatore e il Regionale per assicurare l’ulteriore accompagnamento da parte del Regionale dopo la visita;
tempi adeguati affinché il Consigliere regionale possa svolgere i compiti propri del suo ufficio a servizio della regione e delle singole ispettorie (Cost. 140 e 154; Reg. 135-137).
ALLEGATI
DISCORSO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
ALL’APERTURA DEL CG28
Saluto agli invitati
Eminenza Reverendissima,
Card. João Braz de Aviz
Prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica
Eminenze Reverendissime
Card. Tarcisio Bertone
Card. Riccardo Ezzati
Card. Oscar Andres Rodriguez Maradiaga
Eccellentissimi Arcivescovi e Vescovi salesiani,
Carissima Madre Yvonne Reungoat, Superiora generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice,
Gentilissimi Responsabili dei vari Gruppi della Famiglia Salesiana
Stimatissime Autorità civili della Città di Torino e della Regione Piemonte,
a nome di tutti i membri del Capitolo generale vi ringrazio per la presenza e la vostra disponibilità con la quale avete voluto significativamente accompagnare il giorno dell’inizio ufficiale del Capitolo generale 28 della Società di San Francesco di Sales (Salesiani di Don Bosco).
Sentirci accompagnati dalla presenza di ognuno di voi ci onora e ci parla, allo stesso tempo, della responsabilità che abbiamo di fronte alla Chiesa e di fronte a tutta la Famiglia Salesiana di Don Bosco, e in particolar modo davanti alla Congregazione Salesiana. Tutto ciò ci incoraggia ad iniziare questo compito con uno sguardo profetico e pieno di speranza.
Allo stesso tempo estendo il benvenuto, in modo ufficiale, a tutti i confratelli salesiani qui presenti, provenienti dalle novanta circoscrizioni giuridiche della Congregazione: ispettori e superiori canonici delle Visitatorie, delegati ispettoriali, salesiani osservatori e invitati. La presenza di tutti voi è importante. Di fatto conosciamo e siamo consapevoli, alla luce della visione di fede che ciascuno di noi ha nel profondo del proprio cuore, di un fatto: il Signore che ci ha riunito qui attraverso le “misteriose” vie della sua Provvidenza.
Durante il primo Capitolo generale della nostra Congregazione, al quale farò riferimento nel punto successivo, Don Bosco comincia dicendo: «Noi intraprendiamo cosa della massima importanza per la nostra Congregazione»55... Ebbene, anche noi siamo stati chiamati per un compito molto speciale e importante a favore della nostra Congregazione. Oggi come ieri ciò che diventerà il frutto del nostro CG28 sarà di grande importanza. Indubbiamente, la buona disposizione di ognuno sarà decisiva per i frutti di questa Assemblea capitolare.
1. Il CG28 della Società di San Francesco di Sales
Il nostro padre Don Bosco convocò il primo Capitolo generale il 5 settembre 1877 a Lanzo Torinese. I partecipanti furono ventitré e il Capitolo durò tre giorni interi. Seguirono altri capitoli generali, come ben sappiamo. Alcuni qui a Valdocco. Oggi, sessantadue anni dopo l’ultimo capitolo generale celebrato a Valdocco, culla del nostro carisma, torniamo, con grande fede nel Signore e nel suo Santo Spirito che continua ad assistere la nostra Congregazione e la Famiglia Salesiana. Presi per mano dalla nostra Madre Ausiliatrice, che «continua a fare tutto», Don Bosco ci rivolge un appello che qui, in questo santo luogo salesiano, risuona in modo significativo e con un forte contenuto emotivo.
All’apertura di quel primo Capitolo generale Don Bosco disse ai nostri confratelli: «Il Divin Salvatore dice nel santo Vangelo che dove sono due o tre congregati nel suo nome, ivi si trova Egli stesso in mezzo a loro. Noi non abbiamo altro fine in queste radunanze che la maggior gloria di Dio e la salvezza delle anime redente dal prezioso Sangue di Gesù Cristo. Possiamo dunque essere certi che il Signore si troverà in mezzo a noi e condurrà Egli le cose in modo che tutte ridondino a sua maggior gloria»56.
Con la medesima convinzione e con lo stesso sguardo di fede con il quale ho voluto sottolineare l’ultima espressione di Don Bosco, scrivendola in corsivo, vogliamo e dobbiamo affrontare l’importante compito che l’intera Congregazione ci affida in questo CG28.
Leggiamo nelle nostre Costituzioni: «Il Capitolo generale è il principale segno dell’unità della Congregazione nella sua diversità. È l’incontro fraterno nel quale i salesiani compiono una riflessione comunitaria per mantenersi fedeli al Vangelo e al carisma del Fondatore e sensibili ai bisogni dei tempi e dei luoghi.
Per mezzo del Capitolo generale l’intera Società, lasciandosi guidare dallo Spirito del Signore, cerca di conoscere, in un determinato momento della storia, la volontà di Dio per un miglior servizio alla Chiesa»57.
Sono profondamente convinto che sarà un tempo durante il quale lo Spirito del Signore ci guiderà e farà sentire la Sua presenza, come Dio solo sa fare, per sostenerci in questo nostro desiderio di essere sempre più fedeli a Gesù Cristo nel cammino tracciato da Don Bosco.
1.1. Con la responsabilità di guidare e animare un carisma della Chiesa, per la Chiesa e per il mondo, suscitato dallo Spirito
Prima di fare riferimento al Capitolo generale, mi permetto di indicare alcuni elementi che potrebbero essere dati per ovvi, ma che, senza dubbio, sono essenziali e di grande importanza. Il primo di questi è stato appena annunciato.
Abbiamo una grande responsabilità: il carisma di prenderci cura dei giovani con tutti i mezzi a nostra disposizione, non è nostra esclusiva proprietà, non ci appartiene perché è dono dello Spirito Santo per la Chiesa e per il mondo. E tuttavia, come salesiani di Don Bosco, ci chiede la massima cura e la massima fedeltà. Poco fa ho ricordato l’articolo delle nostre Costituzioni nel quale si dice che il Capitolo generale deve spingerci a scoprire e riconoscere la volontà di Dio in questo momento storico e così servire meglio la Chiesa. Il nostro lavoro di riflessione, di studio e di confronto, in un clima di ricerca e di discernimento, non ha altro scopo se non quello di tentare di discernere la volontà di Dio per noi oggi, davanti alla grande domanda su come possiamo essere autentici consacrati oggi e su come possiamo essere quei Salesiani che Don Bosco stesso vorrebbe che fossimo per i giovani di oggi e di quelli che verranno domani.
Non ho dubbi sul fatto che portiamo nel nostro cuore il profondo desiderio di continuare a compiere i passi necessari affinché il carisma salesiano sia ricco della forza del Vangelo. Non ho dubbi che abbiamo nel cuore il desiderio di essere coraggiosi e molto liberi per cercare ciò che ci conduce attraverso il cammino della fedeltà. Non ho nessun dubbio che la prudenza con cui affrontiamo così tante cose sia molto lontana – e deve continuare ad esserlo – dalle paure che paralizzano e dai vincoli che non hanno nulla a che fare con l’annuncio del Vangelo e con l’educazione alla fede dei giovani, né con la loro preparazione per la vita e la loro felicità. Non dimentichiamo che le paure e i vincoli personali e istituzionali uccidono la fedeltà e impediscono al carisma di essere sempre lo stesso e sempre vivo, anche con il passare dei decenni e dei secoli.
1.2. Con la responsabilità di guidare la comunione e l’unità di vita nella nostra Congregazione
Una delle grazie che il Signore ci ha concesso abbondantemente in questo sessennio è stata – come vedremo nella relazione sullo stato della Congregazione – quella di una grande comunione e unità, al di là delle naturali difficoltà caratteristiche di ciascun gruppo umano, e più ancora per una Congregazione numerosa come la nostra. Stiamo crescendo nell’unità – non nella uniformità – e nella comunione. E questo è un dono e un grande valore che debbono essere custoditi oggi e sempre.
Per questa ragione il Capitolo generale deve essere la testimonianza di questa piena comunione di spirito e di missione. Le differenze di culture e di contesti, di nazionalità e di linguaggi sono una ricchezza e un’opportunità per un carisma che ha esteso le proprie radici oggi in centotretaquattro nazioni.
È davvero illuminante vedere come il nostro Padre volesse che questa unità fosse solidissima. Celebrando il primo Capitolo generale, Don Bosco disse ai capitolari: «Noi siamo ancora nei nostri principii; il nostro numero non è ancora straordinariamente grande e finora l’Oratorio è stato centro per tutti [...] ma andando avanti, se non si studia ogni modo di rannodare questo vincolo, in breve entrerà uno studio eterogeneo e non vi sarà più assoluta unità fra noi»58.
Fortunatamente e per grazia di Dio non è accaduto questo, bensì il contrario. La ricerca dell’unità e della comunione continua a crescere e a consolidarsi, poiché uno solo è il carisma, uno solo il nostro santo Fondatore e uno solo il nostro stato di vita, una sola la nostra regola di vita: le Costituzioni e i Regolamenti dei Salesiani di Don Bosco.
1.3. Per occuparci degli interessi di Dio
Mi permetto di prendere letteralmente l’espressione di don Luigi Ricceri, Rettor Maggiore, nel discorso di apertura del Capitolo generale speciale 20°, perché riflette in modo splendidto la chiara e profonda consapevolezza che dovremmo avere sulla natura del nostro compito. Tutti i capitoli generali sono importanti. Tutti aiutano a percorrere il cammino di fedeltà nel tempo. Tutti ci spingono aventi con coraggio. Tutti aprono un cammino o consolidano quello già esistente. E allo stesso tempo, in tutti loro lo sguardo di fede deve essere il più importante.
Lo propongo e lo chiedo in modo del tutto speciale per il nostro CG28, specialmente per la tematica che ci occuperà e per il frutto delle nostre decisioni. Sono convinto che il compito che ci è affidato come uomini di fede che amano la Chiesa e la Congregazione ci aiuterà a concentrarci attorno al profilo del salesiano del quale, nella fedeltà alle Costituzioni, il mondo di oggi e i giovani di oggi continuano ad aver bisogno. E sono convinto ciò che sarà di grande importanza nella formazione permanente di tutti i salesiani e in particolare nella formazione iniziale dei giovani salesiani che oggi vogliono essere come Don Bosco.
Per questa ragione dobbiamo essere molto liberi, coraggiosi, avere uno sguardo di fede e il cuore attento a percepire con la massima delicatezza la voce dello Spirito Santo.
«La nostra non è un’assemblea di azionisti di una industria, non è un’assemblea politica con le fazioni dai contrastanti interessi economici, di prestigio, di ambizioni. Noi siamo qui Chiesa, meglio, assemblea di uomini consacrati, riuniti nel nome del Signore, votati totalmente a un ideale sovrannaturale: noi sentiamo di essere uomini di fede, le cui preoccupazioni hanno le loro radici nella fede e la cui attività, anche questa in atto, è tutta illuminata, ravvivata e motivata dalla fede. Siamo qui infatti non per interessi in qualsiasi modo umano, ma per gli interessi di Dio, del suo Regno, della sua Chiesa»59.
Pensando al frutto del nostro Capitolo generale, ciò che ho appena citato risulta decisivo: ciò che non conduce all’incontro con Dio nella persona del suo Figlio Gesù Cristo non viene da Dio e non ci servirà. Ciò che non ci rende più fedeli al carisma e allo stesso Don Bosco, il nostro Fondatore, è destinato al fallimento anche se i miraggi del momento sembrano annunciare qualcos’altro. Non siamo una Congregazione con molti secoli di vita; ma non siamo neppure gli ultimi arrivati e i 160 anni di storia ci hanno già insegnato molto. Solo lasciandosi guidare allo Spirito di Dio la Congregazione trova il modo di dare la risposta migliore qui ed ora. Solo uno sguardo libero e lucido di fronte a mentalità fortemente secolarizzate ed edoniste permette un cammino sicuro. Altri tentativi, prima o poi falliscono, logorano e fanno languire quell’ideale di vita che portò alla fondamentale decisione del giovane Cagliero: «Frate o non frate, sto con Don Bosco».
2. Tema e obiettivo del CG28
Tutti i presenti, inclusi i nostri invitati che tanto ci onorano con la loro presenza, conoscono il tema del Capitolo generale che oggi dichiariamo ufficialmente aperto: «Quali Salesiani per i giovani di oggi?».
Il tema risponde all’urgenza che abbiamo di concentrare la nostra attenzione, in questo momento della nostra storia, sulla persona del salesiano che come uomo di Dio, consacrato e apostolo, deve essere capace di sintonizzarsi il meglio possibile con gli adolescenti e i giovani di oggi e con il loro mondo allo scopo di camminare con loro, nell’educazione e formazione alla fede, aiutandoli ad essere buoni credenti – considerando che molte volte professano altre religioni – e preparandoli per la vita, accompagnandoli nella ricerca di senso e all’incontro con Dio.
E siamo consapevoli di non essere solo noi, Salesiani di Don Bosco, ad avere la responsabilità di questa missione. Infatti, la realizziamo contando su numerose altre forze di educatori ed educatrici, dei tanti laici di tutte le presenze del mondo salesiano.
Il tema che ci occuperà in queste sette settimane è unico e articolato in tre nuclei:
La priorità della missione salesiana tra i giovani di oggi
Il profilo del salesiano per i giovani di oggi
Insieme ai laici, nella missione e nella formazione.
Il mondo nel quale viviamo in questo XXI secolo, caratterizzato dalla diversità delle culture e dei contesti, ha bisogno – e possiamo dire che si aspetta – di incontrare Salesiani consacrati-apostoli preparati e disposti a vivere la propria vita con la mente e il cuore di Don Bosco. Salesiani capaci di continuare a donare la vita per i giovani del mondo di oggi, con i loro linguaggi, le loro visioni e i loro interessi. Senza dubbio molti di questi adolescenti e giovani si trovano nelle case salesiane, mentre molti altri frequentano “altri cortili”: siamo salesiani anche per loro.
Penso che continui a risuonare con grande forza, ed è un appello molto attuale, ciò che papa Francesco ci ha detto il 21 giugno 2015, anno del bicentenario della nascita di Don Bosco, in questo stesso luogo santo salesiano che è Valdocco. Ci ha chiesto di non deludere le profonde aspirazioni dei giovani, non deludere le aspirazioni profonde dei giovani: il bisogno di vita, apertura, gioia, libertà, futuro; il desiderio di collaborare alla costruzione di un mondo più giusto e fraterno, allo sviluppo per tutti i popoli, alla tutela della natura e degli ambienti di vita... Il Papa ci chiede di aiutare i giovani a sperimentare che solo nella vita di grazia, cioè nell’amicizia con Cristo, si attuano in pieno gli ideali più autentici60.
Quanto proposto al Capitolo generale come sfida per l’intera Congregazione, speriamo di realizzarlo nell’unico modo possibile e valido, come ho già detto e sottolineo nuovamente: nel cammino della fedeltà al Signore e a Don Bosco e nella fedeltà ai giovani. Molti di questi giovani, con maggiore o minore consapevolezza, chiedono di non essere abbandonati al loro destino, un destino incerto, come naufraghi, per la nostra incapacità di essere educatori, amici, fratelli e padri – come, invece, fu Don Bosco per i giovani del suo tempo – in grado di percepire le loro necessità o di ascoltare la loro chiamata.
Per questa ragione la riflessione capitolare deve concentrarsi sui seguenti elementi.
2.1. Dare l’assoluto primato alla missione salesiana con i giovani di oggi, e tra loro dando la priorità ai più bisognosi, ai più poveri e abbandonati. Una predilezione per gli adolescenti e i giovani di oggi che in un certo senso sono, senza dubbio, differenti da quelli di dieci anni fa; come differenti sono i contesti sociali ed educativi nei quali vivono e che per tale ragione condizionano oggettivamente la nostra missione. Sappiamo bene che parlando di questa predilezione per i giovani ci stiamo riferendo a qualcosa di essenziale e di costitutivo della nostra identità carismatica.
Citando il testo della lettera di convocazione al CG28 ricordo all’assemblea capitolare questa priorità: «Il nuovo Capitolo generale sarà un’opportunità per discernere attentamente e per verificare con coraggio se le nostre presenze, le nostre opere e le nostre attività sono al servizio dei giovani più poveri; se essi occupano il nostro cuore e sono al centro delle nostre preoccupazioni e dei nostri interessi; se concentriamo le nostre energie e sforzi per loro»61.
2.2. Attenti con la medesima priorità al profilo del salesiano di oggi
Ciò che ci viene chiesto e che ci sia aspetta da noi Salesiani sarà possibile solo se saremo in grado, come ho detto nel mio commento alla Strenna che ho offerto alla Famiglia Salesiana, di essere “come Don Bosco, con i giovani e per i giovani”. Per questo una parte decisiva della nostra riflessione e delle nostre delibere capitolari dovrà prestare particolare attenzione alla persona del salesiano e alla nostra formazione, sia iniziale sia permanente.
Con Don Bosco come modello,
dire salesiano oggi dovrebbe essere lo stesso che dire uomo consacrato di fede profonda
dire salesiano oggi dovrebbe essere lo stesso che dire passione apostolica per i giovani
dire oggi salesiano dovrebbe essere lo stesso che dire figlio di Dio che sa di essere e si sente padre dei giovani
dire oggi salesiano dovrebbe essere lo stesso che dire identità carismatica di ognuno che arricchisce la Chiesa del carisma di Don Bosco e crea la comunione ecclesiale
dire salesiano oggi dovrebbe essere lo stesso che dire apostolo dei giovani sempre fedele, sempre flessibile e creativo
dire salesiano oggi dovrebbe essere lo stesso che dire sempre educatore, sempre amico dei giovani.
2.2.1. Un profilo di salesiano che non si improvvisa ma che si forma
È questo uno dei motivi che ci ha portato a vedere l’importanza di questo tema capitolare. La vocazione di ciascuno di noi è risposta a una chiamata; una chiamata di amore e di grazia che riceviamo con gratitudine e stupore, non come diritto o merito. È una chiamata personale in un momento concreto della storia di ciascuna persona, nella trama del tempo e spesso con molteplici mediazioni, o anche solo di una; è una chiamata in un determinato contesto familiare, sociale, religioso, culturale; è una chiamata che giunge nel mondo di ciascuno, con la propria diversità e, forse, complessità.
E in contesti e condizioni così diversi, ognuno di noi deve compiere un percorso che ci condurrà, nella sequela del Signore Gesù, a plasmare il nostro cuore e la nostra personalità in modo tale da avere in noi stessi lo stesso cuore pastorale di Don Bosco, a imitazione di Gesù Buon Pastore, e con il desiderio di donarci generosamente agli altri, in particolare ai giovani. Senza vivere in un genericismo, che sarebbe preoccupante e pericoloso, ma come consacrati, salesiani di Don Bosco nella Chiesa per i giovani.
Ecco perché affermo con profonda convinzione che il profilo che deve avere il salesiano non può essere frutto dell’improvvisazione, ma deve passare attraverso le mediazioni delle diverse tappe formative, con le loro esperienze, i tempi e le persone.
2.2.2. Con l’aiuto di équipe formative di qualità e con processi personalizzati
Sappiamo bene che questo cammino non si può percorrere senza l’aiuto delle mediazioni. Frequentemente queste mediazioni sono molte e diversificate. Immagino che la nostra riflessione capitolare prenderà coscienza del modo in cui, avendo presente il profilo del salesiano di oggi, diventa più importante che mai contare su un autentico discernimento e accompagnamento. E per questo il ruolo della comunità o delle comunità salesiane locali, il ruolo dei laici delle comunità educative pastorali e quello dei confratelli dell’Ispettoria saranno di fondamentale importanza.
La riflessione e la comprensione della nostra realtà formativa nel mondo attuale ci condurranno, durante i lavori del nostro Capitolo, a chiederci di quale rinnovamento formativo abbiamo bisogno, dal momento che i giovani salesiani di oggi, sono tutti “nativi digitali”, provenendo da contesti culturali forse molto diversi dal nostro, e certamente molto diversi dal contesto formativo nel quale è vissuto chi vi sta parlando. Professiamo le stesse Costituzioni salesiane, ma nelle nazioni, nelle culture, nei linguaggi e in contesti molto differenti. Tutto ciò deve portarci a pensare a processi formativi personalizzati che, forse, sono l’unica garanzia di un buon cammino vocazionale con prospettiva di futuro.
A ciò si collega, evidentemente, la necessità di continuare ad avere le migliori équipe formative; équipe consolidate e stabili, non improvvisate ma composte da persone preparate per questo specifico servizio.
2.3. Insieme ai laici nella missione e nella formazione
Tutti abbiamo presente il tema del CG24: «Salesiani e Laici. Comunione e condivisione dello spirito e della missione di Don Bosco» del 1996. Dopo molti anni di questo cammino nella missione condivisa nelle comunità educativo pastorali, come Congregazione sentiamo la necessità di compiere una verifica della strada percorsa, dei risultati e delle resistenze che si sono incontrati.
Crediamo certamente che la missione condivisa con i laici è una via per la scoperta dell’identità carismatica, particolarmente chiarita dal CG24, e che oggi si manifesta come l’unico modo possibile di portare avanti la missione salesiana nella complessità del nostro mondo, nella diversità e complessità di tante situazioni nazionali e culturali, e nella molteplicità dei contesti.
Intuisco che su questa parte così importante della riflessione che ci attende, e che va di pari passo con la riflessione sul profilo del salesiano del quale c’è bisogno oggi e che i giovani si aspettano – insieme ai laici che condividono una missione con noi – il Capitolo prenderà forse in considerazione alcuni di questi punti sui quali spingere il nostro discernimento:
realizzazioni e resistenze nella missione condivisa con i laici;
necessaria reciprocità nelle relazioni tra salesiani e laici
formazione congiunta di salesiani e di laici
le nuove situazioni nelle realtà di oggi, ventiquattro anni dopo il CG24, e gli orientamenti e i criteri che dobbiamo considerare.
3. L’“ora” del Capitolo Generale 28°
Confratelli Capitolari, in questi mesi non ho nascosto la speranza con cui aspetto la celebrazione di questo nostro Capitolo Generale, poiché credo che sarà molto significativo e di grande rilevanza. Tutti i precedenti lo sono stati. Penso sarà lo stesso per il CG28. Come ho affermato anche nella lettera di convocazione: «saremo chiamati a discernere con realismo, coraggio e determinazione, l’orientamento del cammino da percorrere in questo XXI secolo, in un momento ecclesiale molto speciale di rinnovamento e purificazione»62.
Siamo chiamati a dare il primato e la centralità nelle nostre decisioni e delibere a ciò che si riferisce alla missione salesiana a favore dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani più poveri e bisognosi, gli ultimi, coloro che spesso sono ignorati o scartati.
Siamo chiamati a vivere in un permanente atteggiamento di formazione, di apertura alle realtà che sempre cambiano, a fare tutto il possibile, a qualsiasi età, per non smettere di essere per e con i giovani.
Siamo chiamati ad accompagnare la formazione dei giovani salesiani di oggi e di domani affinché siano autentici consacrati, appassionati di Cristo e di questa umanità che spesso soffre, desiderando di essere oggi, con la semplicità e la generosità della loro consegna, degli “altri Don Bosco”.
Siamo chiamati ad avere una visione e un cuore grande per valorizzare tutto il potenziale apostolico che, come salesiani e laici insieme, abbiamo. Siamo chiamati ad analizzare e diagnosticare e ad essere coraggiosi nelle decisioni che dobbiamo prendere per sviluppare pienamente la visione profetica che la Congregazione ha avuto per anni, chiamandoci a percorrere insieme un cammino a favore della missione, del servizio rivolto a coloro per i quali siamo nati carismaticamente.
CONCLUSIONE
Concludo la presentazione di queste sfide che ci occuperanno con un ultimo riferimento a Don Bosco e alla nostra Madre Ausiliatrice.
Il nostro Fondatore, consapevole del fatto che non tutto sarebbe finito con lui, ma che sicuramente quello sarebbe stato solo l’inizio di una lunga strada da percorrere, disse un giorno dell’anno 1875 a Don Giulio Barberis, uno dei suoi stretti collaboratori: «Voi compirete l’opera, che io incomincio; io abbozzo, voi stenderete i colori [...] Io faccio la brutta copia della Congregazione e lascerò a coloro che mi vengono dopo di fare poi la bella»63.
Penso che con il CG28 che oggi incominciamo ripuliremo altre parti dello schizzo che Don Bosco ci ha lasciato, poiché lo Spirito Santo continua a illuminarci anche oggi per essere fedeli al Signore Gesù nella fedeltà al carisma delle origini, con i volti e la musica e i colori di oggi.
In questa missione non siamo da soli e sappiamo e sentiamo che Maria, la Madre Ausiliatrice, l’“Ausiliatrice di Don Bosco”, ci guida. In quel giorno della solennità dell’Immacolata del 1887, due mesi prima di morire, volgendosi a contemplare il lungo e non facile cammino della propria vita, diceva ai salesiani che, commossi, lo attorniavano: «Finora abbiamo camminato sul certo. Non possiamo errare; è Maria che ci guida»64.
Lei è la Madre di tutti noi, la Madre dei giovani e delle loro famiglie (se ce l’hanno). È la più sensibile verso i più poveri e i bisognosi. È Lei che ci dice, anche in questa ora del CG28: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela»65, come avvenne a Cana di Galilea.
Che la nostra Madre Ausiliatrice ci illumini e ci guidi come fece con Don Bosco per essere fedeli al Signore e non deludere mai i giovani, soprattutto i più bisognosi.
Torino, 22 febbraio 2020
INTERVENTO DEL CARD. JOÃO BRAZ DE AVIZ,
PREFETTO DELLA CONGREGAZIONE
PER GLI ISTITUTI DI VITA CONSACRATA
E LE SOCIETÀ DI VITA APOSTOLICA
L’identità della vita consacrata e il suo apporto alla vita della chiesa e del mondo
La Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica (CIVCSVA) ha raccolto in un piccolo volume66 gli orientamenti emersi nella Assemblea Plenaria del dicastero nel mese di novembre 2014 e nella successiva riflessione. Partendo del logion di Gesù “Nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri, e si perdono vino e otri. Ma vino nuovo in otri nuovi” (Mc 2,22), abbiamo cercato di raccogliere i grandi orizzonti aperti dal Concilio Vaticano II, di prendere coscienza delle sfide ancora aperte, che abbiamo identificato nell’approfondire la vocazione e l’identità della vita consacrata, nelle nuove scelte formative, guardando alle relazioni nell’humanum, cioè, nella reciprocità tra uomo e donna, nel servizio dell’autorità e dell’obbedienza, nei modelli relazionali e nella testimonianza in quello che riguarda la possessione, uso e amministrazione dei beni.
Dopo questo sguardo alle sfide, abbiamo domandato come preparare gli otri nuovi, cercando la fedeltà nello Spirito, identificando modelli formativi e curando la formazione dei formatori, verso una relazionalità evangelica che si manifesta nella reciprocità e nei processi multiculturali, nel servizio dell’autorità in rapporto con i modelli relazionali, con le strutture dei consigli e dei capitoli.
Il rinnovamento postconciliare
Sono passati più di cinquant’anni del Concilio Vaticano II. Papa Francesco, religioso come noi, ci ha lanciato parole e gesti di forte stimolo per portare avanti il rinnovamento proposto dal Vaticano II per la vita consacrata, tenendo presente le esigenze odierne67. Le basi teologiche ed ecclesiologiche del rinnovamento sono state messe in atto dai Padri conciliari nella Costituzione dogmatica Lumen gentium, al capitolo VI (nn.43-47). Si tratta dell’aggiornamento spirituale, ecclesiale, carismatico e istituzionale della vita consacrata nella Chiesa.
Oggi possiamo dire che il Concilio Vaticano II ha generato impulsi e metodi di grande efficacia nell’aggiornamento. Si è generata una comprensione nuova della vita consacrata. Infatti, prima del Concilio le sue manifestazioni e strutture erano di una “forza compatta e operativa per la vita e la missione di una chiesa militante che si percepiva in continua opposizione al mondo.
Nella nuova stagione di apertura e dialogo con il mondo, la vita consacrata si è sentita spinta in prima linea nell’esplorare, a beneficio dell’intero corpo ecclesiale, le coordinate di una nuova relazione chiesa-mondo … In questa linea di dialogo e di accoglienza la vita consacrata ha, normalmente anche se non sempre, abbracciato generosamente i rischi di questa nuova avventura di apertura, di ascolto e di servizio”68.
I carismi e il patrimonio spirituale della vita consacrata, in questo nuovo clima, sono stati messi con fiducia a disposizione di questa nuova relazione, ma allo stesso tempo, ha richiesto correre il rischio di questi nuovi percorsi69.
In questo periodo postconciliare sono stati rielaborati i testi normativi e le forme istituzionali in modo da conformarsi al nuovo Codice di diritto canonico (1983). “Un grande impegno è stato profuso da ciascuna famiglia religiosa nella rilettura e nell’interpretazione della “ispirazione primitiva degli istituti” (PC2). Questo lavoro aveva principalmente due scopi: custodire fedelmente “l’intendimento e i progetti dei fondatori” (CIC c. 578) e “riproporre con coraggio l’intraprendenza, l’inventiva e la santità dei fondatori e delle fondatrici come risposta ai segni dei tempi emergenti nel mondo di oggi” (VC, 37)”70.
Nuovi itinerari formativi, adeguamento di strutture di governo e di gestione del patrimonio economico e delle attività, sono stati messi in atto con molta responsabilità e fede. I Papi di questo periodo hanno sostenuto generosamente con il suo Magistero il cammino della vita consacrata, aiutando “a consolidare le nuove convinzioni, a discernere i nuovi percorsi, a orientare con sapienza e senso ecclesiale le nuove scelte di presenza e di servizio in costante ascolto degli appelli dello Spirito”71. In modo molto speciale l’Esortazione Apostolica post-sinodale Vita consacrata (1996) con la contemplazione e il riferimento fontale al mistero della Santissima Trinità, illumina il senso della consacrazione, capendola come confessio trinitatis “anche nel suo cimentarsi con la sfida della vita fraterna “in virtù della quale le persone consacrate si sforzano di vivere in Cristo con un cuore solo e un’anima sola (At 4,32)” (n.21)”72.
In questo momento Papa Francesco ha chiesto alla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica (CIVCSVA) e alla Congregazione per i vescovi, di preparare la revisione del documento “Mutuae relationes”73. Nel frattempo, la Congregazione per la dottrina della fede ha pubblicato il documento “Iuvenescit ecclesia”74. Questa lettera realizza un approfondimento lucido delle relazioni tra vescovi e consacrati, alla luce dell’ecclesiologia e spiritualità di comunione e alla luce dei due principi coessenziali della Chiesa, gerarchia e carismi. Così il nuovo testo di “Mutuae relationes” che è già nella sua redazione finale per essere presentata al Santo Padre, è stato provvidenzialmente arricchito.
Ora l’esperienza dell’anno della vita consacrata e del giubileo della misericordia ci spingono ad aprire nuovi percorsi. Siamo interpellati dall’evoluzione sociale, economica, politica, scientifica e tecnologica. Settori che un tempo erano assunti dallo zelo della vita consacrata oggi sono condotti dallo Stato. Nuove e inedite emergenze, nuove povertà, il moltiplicarsi del volontariato, l’apertura alle nuove frontiere della missione, soprattutto nella fondazione di nuove chiese, tutto questo crea un nuovo contesto alla vita consacrata. Siamo passati da situazioni monoculturali alla sfida della multiculturalità, con comunità internazionali presenti in contesti sconosciuti o multi religiosi, inseriti in contesti difficili e a rischio di varie forme di violenza. In molti casi sono andati in crisi gli schemi formativi tradizionali. Queste novità percepite come ricchezza portano anche tensioni e generano una sensazione diffusa di fatica, con la conseguente tentazione di accontentarsi con strategie di sopravvivenza. Capiamo sempre di più che da soli non saremo capaci di realizzare questo necessario passaggio75.
Sfide ancora aperte
Partiamo da una costatazione abbastanza evidente: “Ogni sistema stabilizzato tende a resistere al cambiamento e si adopera per mantenere la sua posizione, a volte occultando le incongruenze, altre volte accettando di opacizzare vecchio e nuovo, o negando la realtà e le frizioni in nome di una concordia fittizia, o persino dissimulando le proprie finalità con aggiustamenti di superficie. Purtroppo, non mancano esempi dove si riscontra l’adesione puramente formale senza la dovuta conversione del cuore”76.
In un momento, quello attuale, in cui si verifica un alto numero di abbandoni della vita consacrata, avvenuti sia dopo l’iter formativo, sia in età avanzata, in ogni contesto geografico e culturale, è importante cercare le cause di questo fenomeno. Non si tratta solo di crisi affettive, ma anche di delusione per una vita di comunità senza autenticità. Tal volta i valori proposti non corrispondono al vissuto concreto, o il numero di attività è eccessivo e non permette una vita spirituale solida. Avviene anche l’isolamento di giovani in comunità prevalentemente di anziani. Anche se in molti giovani si riscontra una disponibilità alla trascendenza, una capacità di appassionarsi per i valori del vangelo, una vita consacrata molto standardizzata li blocca. Così, tante volte non si arriva a toccare il cuore e a trasformarlo.
L’integrazione fra culture differenti in alcuni Istituti è diventata un problema: da una parte pochi membri anziani e dall’altra un grande gruppo di giovani provenienti di varie culture che si sentono emarginati, con ruoli solo subalterni. “Diventa sempre più chiaro che la cosa più importante non è la conservazione delle forme, ma la disponibilità a ripensare in continuità creativa la vita consacrata come memoria evangelica di un stato permanente di conversione da cui scaturiscono intuizioni e scelte concrete”77.
Nel contesto del rinnovamento della esperienza di autorità e di obbedienza, in mezzo alla crisi attuale in vari Istituti, possiamo dire: “Non a caso tra i motivi principali degli abbandoni si evidenziano, secondo l’esperienza di questa Congregazione l’indebolimento della visione di fede, i conflitti nella vita fraterna e la vita di fraternità debole in umanità”78.
Un campo in cui le sfide attuali sono particolarmente aperte è quello delle scelte formative. E’ notevole lo sforzo concreto degli Istituti e delle Conferenze di Superiori Maggiori (nazionali e internazionali). Una delle difficoltà significative è ancora “la scarsa integrazione tra visione teologica e antropologica nella concezione della formazione, del modello formativo e della pedagogia educativa … (che) non permette di far interagire e dialogare tra loro le due componenti essenziali e indispensabili di un cammino di crescita: la dimensione spirituale e quella umana”79.
E’ necessaria nei formatori e formatrici una sensibilità ai valori delle varie culture, delle nuove generazioni, dei vari contesti di vita. E qui l’attenzione al discernimento delle motivazioni vocazionali presenti nelle varie aree culturali e continentali.
Le urgenze delle opere, in molti istituti soprattutto femminili prevalgono sul cammino formativo sistematico e organico. Oltre a questo, si crea molte volte uno squilibrio tra la formazione teologica e quella professionale e così viene meno la formazione al discepolato e alla vita consacrata.
Se fissiamo lo sguardo su i formatori vediamo che non è raro una insufficiente preparazione, ma anche un numero insufficiente di persone. La formazione dei formatori diventa così una delle sfide attuali più importanti. Come garantire una pedagogia personale, cioè, una personalizzazione della formazione, in cui, nel periodo iniziale, il formatore cammina ogni giorno a fianco al discepolo nella fiducia e nella speranza, soprattutto come esperto nel cammino della ricerca di Dio?
Un ruolo importante ha la comunità: “E’ nella fraternità che si impara ad accogliere gli altri come dono di Dio, accettandone le caratteristiche positive ed insieme le diversità e i limiti. E’ nella fraternità che si impara a condividere i doni ricevuti per l’edificazione di tutti. E’ nella fraternità che si impara la dimensione missionaria della consacrazione (Cf. VC 67)”80.
Riguardo alla formazione permanente o continua, essa dovrà ancora diventare una vera cultura, in cui l’enunciazione di concetti teorici e la capacità di revisione e di verifica del vissuto concreto nella comunità vanno insieme. Qui ha luogo anche una seria iniziazione al governo, per superare l’improvvisazione, e l’esercizio improprio e lacunoso.
Rimanendo ancora nella dimensione umana delle sfide alla vita consacrata un campo particolarmente importante è quello della reciprocità uomo-donna. “Siamo eredi nei modelli di vita, nelle strutture di organizzazione e di governo, nel linguaggio e nell’immaginario collettivo, di una mentalità che poneva in risalto profonde differenze fra l’uomo e la donna, a scapito della loro pari dignità. Anche nella Chiesa, e non solo nella società, molteplici pregiudizi unilaterali impedivano di riconoscere le doti del vero genio femminile (Cfr VC, 58) e il contributo originale delle donne. Questo tipo di sottovalutazione ha toccato particolarmente le donne consacrate tenute ai margini della vita, della pastorale e della missione della Chiesa (Cf. VC, 57)”81.
Questo scenario ha cominciato a cambiare a partire dal Concilio Vaticano II, ma “non si è ancora raggiunta una sintesi equilibrata e una purificazione degli schemi e dei modelli ereditati del passato. Persistono ancora ostacoli nelle strutture e permane non poca diffidenza quando si verifica l’occasione di dare alle donne “spazi di partecipazione in vari settori e a tutti i livelli, anche nei processi di elaborazione delle decisioni, soprattutto in ciò che le riguarda” (VC, 58) nella Chiesa e nella concreta gestione della vita consacrata”82.
Nei nostri ambienti di vita consacrata manca ancora una maturazione nella reciprocità fra uomo e donna, necessaria particolarmente nel nostro tempo. La distanza provocata persino con motivazioni di tipo ascetico spirituale ha provocato un impoverimento reciproco e la perdita di sensibilità per la visione diversa dell’altro. C’è un riflesso di questo nella vita consacrata anche nella diversa sensibilità dei giovani e degli anziani: “Possiamo parlare di una dissonanza cognitiva che corre tra gli anziani religiosi e i giovani. Per gli uni le relazioni con il femminile e il maschile sono improntate a molta riservatezza e perfino fobia, per gli altri ad apertura, spontaneità e naturalezza”83.
Per ultimo, dobbiamo ancora segnalare “la debolezza che si riscontra ad intra degli Istituti in ordine a tale processo antropologico-culturale di vera integrazione e complementarietà reciproca con l’elemento e la sensibilità femminile e maschile. San Giovanni Paolo II ha riconosciuto legittimo il desiderio delle consacrate di avere “spazi di partecipazione in vari settori e a tutti i livelli” (VC,58), ma di fatto nella prassi ne siamo ancora lontani. E si corre il rischio di impoverire gravemente la stessa Chiesa, come ha detto Papa Francesco: “non riduciamo l’impegno delle donne nella Chiesa, bensì promoviamo il loro ruolo attivo nella comunità ecclesiale. Se la Chiesa perde le donne, nella sua dimensione totale e reale, la Chiesa rischia la sterilità” (Discorso all’episcopato brasiliano, Rio, 27.07.2013)”84.
Un’altra sfida aperta riguarda il servizio dell’autorità. Ancora oggi si riscontra in varie comunità di vita consacrata “la tendenza ad un accentramento verticistico nell’esercizio dell’autorità, sia a livello locale che più in alto, scavalcando così la necessaria sussidiarietà. Potrebbe risultare sospetta, in alcuni casi, l’insistenza di alcuni superiori sul carattere personale della loro autorità fino a quasi vanificare la collaborazione dei Consigli, convinti di rispondere (automaticamente) alla propria coscienza. Di qui, una debole o inefficace corresponsabilità nella prassi di governo o, nel caso, l’assenza di convenienti deleghe. Il governo non può certo accentrarsi nelle mani di un solo, aggirando così i divieti canonici (Cfr CIC, c.636). Ancora in diversi Istituti ci sono superiori e superiore che non tengono nel debito conto le decisioni capitolari”85. Maggioranze precostituite, uso della logica degli schieramenti per risolvere questioni gravi sono comportamenti di governo fuori di qualsiasi logica evangelica. Superiori che si fossilizzano nel potere al punto, in alcuni casi, di cambiare anche le Costituzioni, producono un grande male ai loro carismi e neutralizzano la crescita di tanti altri fratelli e sorelle che potrebbero aiutare di più la comunità. La conversione di tanti superiori e superiore perché possano veramente aiutare a discernere la volontà di Dio è oggi indispensabile. In alcuni casi più estremi ci sono superiori che bruciano la maturità di tutta una generazione di consacrati, costruendo relazioni malaticce di dipendenza e di schiavitù. Al dicastero dobbiamo spesso intervenire per sanare queste situazioni86.
Parlando ancora del servizio dell’autorità “è da tener presente che l’obbedienza vera non può fare a meno di mettere al primo posto l’obbedienza a Dio, sia dell’autorità sia di chi obbedisce, come non può fare a meno del riferimento all’obbedienza di Gesù: obbedienza che include il suo grido d’amore Dio mio Dio mio, perché mi hai abbandonato? (Mt 27,36) e il silenzio d’amore del Padre”87.
Per ultimo, tra le sfide aperte della vita consacrata oggi dobbiamo dire una parola sulla gestione dei beni ecclesiastici degli Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica nella Chiesa.
E’ stato Papa Francesco a richiamare l’attenzione della vita consacrata sulla amministrazione dei beni ecclesiastici. Negli ultimi anni la CIVCSVA ha realizzato a Roma due Simposi sul tema con la finalità di perfezionare e attualizzare la cura dei beni venuti in possesso della vita consacrata nel mondo. Dal numero di partecipanti abbiamo potuto misurare l’interesse che si è verificato. Sul primo simposio (2014) è stato pubblicato parte del contenuto88.
“La vita consacrata è stata capace, nella sua lunga storia, di opporsi profeticamente ogni volta che il potere economico ha rischiato di umiliare le persone e, soprattutto, i più poveri. Nell’attuale situazione globale di crisi finanziaria cui ci richiama continuamente Papa Francesco, i consacrati sono chiamati ad essere veramente fedeli e creativi per non venir meno alla profezia della vita comune all’interno e della solidarietà verso l’esterno, specie verso i poveri e i più fragili.
Siamo passati da una economia domestica, a processi amministrativi e gestionali che quasi sfuggono al nostro controllo che evidenziano la nostra precarietà e, prima ancora, la nostra impreparazione. Non possiamo tardare a ricentrarci sulla trasparenza in materia economica e finanziaria come primo passo per recuperare l’autentico senso evangelico della comunione reale dei beni all’interno delle comunità e della loro concreta condivisione con chi vive accanto a noi”89.
Conclusione
Tre indicazioni del Concilio Vaticano II in particolare sono al cuore della riforma della vita consacrata in questo nostro momento della storia: la sequela Christi vissuta alla luce delle parole di Gesù con trasparenza di testimonianza; il ritorno al nucleo centrale del carisma dei nostri fondatori e fondatrici, lasciando cadere quelle cose che non sono essenziali; il dialogo continuo con l’uomo e la donna di oggi per aggiornarci continuamente su le domande del nostro tempo.
Un ruolo centrale tocca al necessario passaggio ad una spiritualità di comunione vissuta con intensa generosità e convinzione in tutte le direzioni dei nostri rapporti.
L’attuale capitolo che comincia oggi per voi salesiani può veramente essere un momento di grazia per spingere in avanti il rinnovamento della Società di San Francesco di Sales. Auguri.
Torino, 22 febbraio 2020
LETTERA DEI GIOVANI AI CAPITOLARI90
Cari salesiani, che siete per noi padri, maestri e amici,
Scriviamo questa lettera col cuore. Abbiamo trascorso questa settimana del Capitolo Generale 28° ascoltando, facendo discernimento, partecipando al dialogo in corso su “Quale salesiano per i giovani di oggi”. Sappiamo bene che non siamo perfetti, quindi non è nostra intenzione chiedervi di esserlo. Vi chiediamo di accogliere questa lettera come quella di un figlio o di una figlia che scrive a suo padre, per esprimersi e dirgli come si sente. Come gruppo, abbiamo rivolto la nostra attenzione su due domande in particolare. Di seguito trovate i frutti di questo impegno comune.
Qual è oggi la condizione dei giovani nelle nostre rispettive regioni?
Il mondo in cui viviamo è complesso e presenta notevoli sfide. È difficile essere coerentemente autentici e per questo motivo abbiamo paura, siamo confusi, frustrati, e abbiamo un gran bisogno di essere amati. Vivere una vita di fede ci chiede di percorrere le strade del Vangelo, ma la cultura secolare ci sfida piuttosto a vivere in un altro modo. Questa duplicità rende difficile il rimanere radicati nella fede.
Una risultante della nostra paura è la difficoltà che proviamo difronte all’impegno. Una delle domande più frequenti che ci poniamo è: “Che cosa farne della mia vita?”. Questo si vede quando riflettiamo sulla nostra vocazione. Il forte desiderio di avere successo porta verso l’incertezza e non ci lascia raggiungere l’autentica felicità. La realtà con cui ci confrontiamo è fatta di disoccupazione, abbandoni dei percorsi accademici, mancanza di motivazione per gli studi.
Crediamo che la nostra società sia individualista e che spesso anche noi diventiamo individualisti. Poiché non ci sentiamo amati dalla società, ci rifugiamo dietro gli schermi e rifuggiamo il contatto umano. Non pensate che non ce ne importi del mondo che ci circonda, ma è difficile nella nostra società liquida, e a volte disumanizzata, impegnarsi altruisticamente in ciò di cui l’altro ha bisogno. Ma voi avere ancora la capacità di risvegliare in noi giovani la vocazione cristiana per il nostro prossimo, e questo può trasformare la nostra vita e il mondo che ci circonda, proprio come ha fatto Don Bosco con Michele Magone.
Siamo critici e desideriamo che la chiesa prenda posizione al nostro fianco sulle questioni che più ci riguardano. Ci sentiamo a disagio e spesso non capiamo cosa dice e fa la chiesa sulle questioni del gender, della donna, della diversità sessuale e dell’ecologia sostenibile. Inoltre, per noi è normale la conversazione sul benessere cognitivo, sociale ed emotivo e sui cambiamenti climatici, realtà di cui la Chiesa è ancora esitante nel suo parlare. Questa non è solo una esigenza dei giovani: è quello che ci chiede il Vangelo.
Pur con le nostre sfide, siamo più dinamici che mai, sintonizzati con le nuove tendenze, tra cui senz’altro il mondo digitale, creativi e pronti ad esplorare; ma vogliamo essere accompagnati in tutto ciò che è parte di noi (mente, corpo, anima).
Per noi, essere giovani è uno stato del cuore, non definito dalla nostra età. Come afferma il Papa in Christus Vivit, al n. 34, vogliamo essere in grado di ritornare al primo amore che è Cristo, al suo essere compagno e amico dei giovani. C’è in noi un desiderio forte di realizzazione spirituale e personale. Vogliamo camminare verso la crescita spirituale e personale e vogliamo farlo con voi salesiani.
Come vogliamo che i salesiani di oggi siano presenti e partecipi nelle diverse realtà dei giovani?
Siamo stati in grado di sintonizzare i nostri cuori e i nostri sogni. Ci avete dato l’opportunità di entrare in contatto, di connetterci con voi, salesiani, e vi vogliamo con noi. L’avete fatto con il vostro stile salesiano. Stare con noi, fianco a fianco, permettendoci di essere protagonisti.
Comprendiamo che i salesiani sono genitori che ci accompagnano. Vorremmo che voi siate coloro che ci guidano, dentro la nostra realtà, con amore. Un amore che non ci dice che cosa dobbiamo dire, un amore che non ci dice ciò che dobbiamo fare, un amore che ci offre opportunità che ci aiutano a crescere in spiritualità e a trasformare le nostre vite. Vogliamo che voi viviate nel nostro mondo, allo stesso modo in cui vogliamo che la nostra famiglia partecipi di ogni aspetto della nostra vita quotidiana, che vuol dire sia la realtà fisica che quella digitale.
Vi chiediamo di darci la capacità e l’energia per essere i leader della trasformazione della Chiesa insieme. Crediamo nel bisogno di dare piena espressione al ruolo della donna nella chiesa. Crediamo che sia impossibile crescere come salesiani senza il ruolo della donna nelle nostre vite. Prendiamo ad esempio lo straordinario contributo di Margherita Occhiena come madre all’oratorio. Crediamo che le donne possano collaborare alla pari con i salesiani per imparare insieme ad accompagnare tutti i giovani in modo adeguato ed efficace. Crediamo che i salesiani debbano fare passi per apprendere una cultura dell’inclusione. Crediamo che i salesiani debbano essere i primi ad imparare a lavorare efficacemente per tutti i giovani indipendentemente dalle loro preferenze (LGBTQ +, razza, migranti, indigeni, etnia, religione). Vogliamo un accompagnamento integrale di ogni persona, qualunque sia il contesto in cui vive.
Riteniamo che per poter accompagnare altri sia necessaria una continua e genuina esperienza dell’essere personalmente accompagnati da altri. Crediamo che i salesiani stessi abbiano bisogno di accompagnamento e siamo qui per camminare con voi. Crediamo che questo tipo di esperienza e incontro sia benefico per tutta la famiglia salesiana. Siamo pienamente in sintonia con Papa Francesco in ciò che scrive in Christus Vivit n. 242-245, quando fa riferimento in modo diretto ed esplicito all’importanza dell’accompagnamento.
Per noi è molto importante che i salesiani tornino alle loro radici e siano presenti al di fuori dei ruoli amministrativi per stare con i giovani in tutti i contesti. Vogliamo ricordarvi che non potete essere definiti e limitati soltanto dal ruolo o posizione che occupate nella vostra comunità.
Senz’altro crediamo anche che sia di vitale importanza per i salesiani essere molto chiari circa il rispetto dei giusti limiti e spazi. Come giovani, siamo stati e continuiamo ad essere preoccupati degli scandali sugli abusi nella chiesa. Salesiani, siate leader positivi in questo campo e prendete iniziative per proteggere i vostri ragazzi.
È vitale per la nostra crescita che continui il nostro sviluppo spirituale. Mentre continuiamo ad avanzare nel nostro cammino di vita, vogliamo dar voce al nostro desiderio di essere al servizio di Dio con il carisma salesiano. Chiediamo ai salesiani di coinvolgerci nei processi decisionali che toccano ciò che è essenziale e importante. Siamo complementari nella missione, non una parte separata della missione.
Salesiani, non dimenticatevi di noi giovani perché noi non ci siamo dimenticati di voi e del carisma che ci avete insegnato! Vogliamo dirvelo forte, con tutto il cuore. Essere qui per noi è stato un sogno che si è fatto realtà: in questo luogo speciale che è Valdocco, dove è iniziata la missione salesiana, insieme salesiani e giovani per la missione salesiana, con la nostra comune volontà di essere santi insieme. Avete i nostri cuori nelle vostre mani. Prendetevi cura di questo vostro prezioso tesoro. Per favore, non dimenticatevi mai di noi e continuate ad ascoltarci.
Torino, 7 marzo 2020
DISCORSO DEL RETTOR MAGGIORE
DON ÁNGEL FERNÁNDEZ ARTIME
ALLA CHIUSURA DEL CG28
Carissimi Confratelli,
non vi sembra che Dio ci abbia realmente parlato, e con larghezza, in queste quattro settimane, anche se, per la chiusura anticipata dei nostri lavori a causa della pandemia da coronavirus, non siamo arrivati a un documento capitolare votato e approvato?
Ripensando a questo nostro Capitolo generale, non credete che Dio ci abbia parlato facendoci sentire forte la presenza di Don Bosco, il nostro amato padre? Non credete che Dio ci abbia parlato attraverso la bellissima esperienza di fraternità che abbiamo vissuto?
La risposta a questi interrogativi, che ho posto a me stesso prima che a voi, è un sì convinto!
I doni del Capitolo
Cari Confratelli, penso che siamo tutti d’accordo nel riconoscere la bellezza della nostra fraternità, della gioia dell’incontro con il fratello così com’è. Questa realtà non è il risultato di una strategia. È frutto dello Spirito, espressione matura della Congregazione e dell’impegno di chi ora ha la responsabilità del governo e dell’animazione delle Ispettorie.
Vi chiedo ancora: non credete che Dio ci abbia parlato tanto attraverso il clima di fede e onestà nel quale si sono svolti il discernimento e le votazioni? Io ritengo di sì. Non credete che il Signore ci abbia parlato con la protezione straordinaria di Maria Ausiliatrice? Io ritengo di sì. Dio ci ha parlato tantissimo in questo Capitolo Generale, anche se non abbiamo potuto completare il cammino necessario per arrivare a un documento da sottoporre all’approvazione finale dell’assemblea.
Cari confratelli, non lasciate che nei vostri cuori prevalga la delusione per il fatto di tornare alle ispettorie senza aver portato a termine i lavori capitolari. Io ritengo che quel “mancato traguardo” non sia la cosa più essenziale. Non ce ne andiamo a mani vuote: portiamo con noi le riflessioni che abbiamo condiviso in queste settimane e che abbiamo sintetizzato in una prima bozza, consegnata al Rettor Maggiore e al Consiglio generale. Abbiamo, inoltre, il magistero della Congregazione fino ad oggi, in particolare quello del CG24, specialmente sul tema della missione condivisa tra salesiani e laici. Infine, abbiamo ricevuto il bellissimo e programmatico Messaggio del Santo Padre al CG28.
Questi elementi ci permettono di allargare lo sguardo sulla realtà che ci attende con serenità e con grande fiducia.
Uno sguardo sul futuro: obiettivi e sfide
La seconda parte della mia riflessione, molto breve, vuole essere uno sguardo sul futuro.
Comincio dicendovi che mi ha colpito molto un ringraziamento ricevuto ieri sera, poco prima di entrare in Basilica a pregare.
Un confratello capitolare dell’Europa dell’Est mi avvicina e mi dice: «Caro Rettor Maggiore, voglio ringraziarti per aver reso possibile il recupero di questi santi Luoghi Salesiani. E voglio dirti che abbiamo bisogno di aiuto per la nostra identità: non lasciateci soli». Ho risposto: «Anch’io ti ringrazio; però molto di quel recupero è frutto del Capitolo Generale precedente, con la delibera, che per tanti motivi ritengo profetica, di rinnovare e potenziare i Luoghi Santi Salesiani, cuore del nostro carisma. In seguito, alcuni di noi hanno potuto fare qualcosa per mettere in atto questa delibera».
A proposito dei luoghi salesiani, cari Confratelli, a mio parere la cosa più bella che potete fare è questa: tornate nelle Ispettorie dicendo a tutti i confratelli che qui c’è la casa di tutti. Questi luoghi sono i luoghi del nostro sogno carismatico, sono la culla dove tutti i Salesiani del mondo sono nati, perché qui è nato il carisma. Sono i luoghi a cui tutti possono rivolgersi, perché tutti i Salesiani hanno il diritto di sperimentare almeno una volta nella vita l’emozione di trovarsi qui a Valdocco. Ringrazio vivamente l’Ispettore del Piemonte, che provvede alla custodia di questi luoghi. Ho promesso e continuo a promettere a lui e all’ICP che non li lasceremo soli nel prendersi cura di questo straordinario patrimonio, che è di tutta la Congregazione.
Tornando al dialogo di ieri sera, ho poi detto al confratello: «Ti prometto che non vi lasceremo soli nel vostro cammino d’identità».
Questo è il primo obiettivo, la prima sfida che abbiamo davanti: crescere tutti, in tutte le Ispettorie, in tutte le Regioni, nell’identità carismatica, nell’identità e nella spiritualità salesiana. Di questo tutti abbiamo bisogno, in alcune Ispettorie e in alcune Regioni in maniera particolare. Facciamo attenzione: il fatto di avere nuove professioni salesiane non è, da solo, garanzia di una forte identità. Si deve assicurare l’identità salesiana attraverso un’attenzione specifica e una cura maggiore. In questi anni abbiamo visto con chiarezza che in certi casi, piccole o grandi difficoltà dei confratelli, dipendono in larga misura da una mancanza di identità, come ho detto nella relazione iniziale. Sono convinto che nel programma di animazione e governo del prossimo sessennio questa sarà una priorità: garantire l’identità carismatica in tutti i salesiani. Come dicevo, non basta fare la prima professione per dire «ho la piena identità salesiana». Essa è un cammino, a volte molto impegnativo; ma si tratta di una sfida affascinante, che dà tanta bellezza e forza alla nostra Congregazione.
Una seconda sfida per il programma del sessennio: tornare a Don Bosco, come già ci esortava don Pascual Chávez durante il suo rettorato. Dobbiamo tornare sempre più a Don Bosco, e questo vuol dire: amare i giovani. Essi stessi ci hanno chiesto di essere amati. Di conseguenza, come salesiani siamo chiamati tutti alla presenza in mezzo ai giovani. È ciò che io chiamo, con un’espressione che credo intuitiva, “sacramento salesiano” della presenza. È un “sacramento” indispensabile per fare un cammino con i ragazzi e i giovani, per far scoprire loro che Dio li ama, che veramente «Dio è amore» (1 Gv 4,8). Per noi e per loro. Solo così saremo realmente evangelizzatori dei giovani. È questo, io credo, il significato di “tornare sempre più a Don Bosco”. Oggi è un compito e una sfida, anche se non partiamo da zero.
Una terza sfida è formare Salesiani come Don Bosco farebbe oggi. Cari Confratelli capitolari, sono convinto che la formazione, non qualsiasi formazione clericale, ma la buona formazione salesiana, sia una priorità. Per questo motivo l’impegno di continuare a formare formatori è, a sua volta, prioritario. Dobbiamo curare maggiormente le équipes delle nostre case di formazione, perché siano veramente salesiane e non elitarie: questa attenzione è garanzia di un futuro autenticamente salesiano. Niente genericismi: tutto l’impegno formativo deve essere improntato al vero spirito salesiano. Questa terza sfida coinvolge tutta la formazione dei Salesiani, sia quella permanente sia, in modo particolare, quella iniziale.
Una quarta sfida: io sogno che oggi dire “Salesiani di Don Bosco” voglia dire consacrati “pazzi”, cioè Salesiani che amano con vero cuore salesiano, magari anche “un po’ pazzo”, orientato verso i più poveri. Carissimi, se ci allontaniamo dai più poveri, questa sarà la morte della Congregazione. Lo ha detto don Bosco parlando della povertà e della ricchezza. Mi permetto di specificare ancora: se un giorno lasceremo i ragazzi, e tra questi i più poveri, comincerà il declino della Congregazione. Una Congregazione che, grazie a Dio, oggi gode di buona salute, al di là delle nostre fragilità! Prestiamo dunque attenzione a quella che considero un’autentica “delibera capitolare”, anche se non in senso proprio, perché il suo contenuto si trova già nelle nostre Costituzioni: opzione radicale, preferenziale, personale, istituzionale e strutturale - insomma, da tutti i punti di vista - per i ragazzi più bisognosi, poveri ed esclusi. È un’opzione che si manifesta in modo speciale nella difesa dei ragazzi e dei giovani sfruttati e vittime di qualsiasi forma di abuso: dall’abuso sessuale alla violenza, dall’ingiustizia all’abuso di potere. Questa quarta sfida è un impegno bellissimo, che dobbiamo portare nel cuore. Un sessennio guidato da questa luce ci darà tanta vita.
Quinta sfida. Penso che sia l’ora della generosità all’interno della Congregazione; non solo con il denaro, ma soprattutto con la generosità e disponibilità di confratelli, così da poter aprire nuove presenze. Per almeno tre motivi: primo, la nostra opera è richiesta sotto tutte le latitudini, specialmente nei contesti più poveri; secondo, potremo istituire presenze e impegnarci tra i rifugiati, una terribile e nuova povertà; terzo, potremo stabilirci in nuovi luoghi di missione. Cari Confratelli, tutti apparteniamo a Dio e all’unica Congregazione, tutti siamo Salesiani di Don Bosco per il mondo. Credo che nel prossimo sessennio questa apertura di orizzonte diventerà ancor più realtà: con la disponibilità dei confratelli, con la risposta generosa delle Ispettorie che hanno maggiori possibilità di offrire risorse ad altre Ispettorie, talvolta con la guida del Rettor Maggiore e del suo Consiglio, sempre con lo sguardo all’universalità. Viviamo un tempo da affrontare con mentalità rinnovata, che sappia superare le frontiere. In un mondo in cui le frontiere rischiano di chiudersi sempre più, la profezia della nostra vita consiste anche in questo: mostrare che per noi non ci sono frontiere. L’unica realtà che abbiamo è Dio, il Vangelo e la missione.
Un’ultima sfida riguarda la Famiglia Salesiana. In questi anni abbiamo lavorato bene, al di là della stanchezza di alcuni delegati dei singoli gruppi. Durante il Capitolo abbiamo visto che i tempi non sembrano ancora maturi per fare passi ulteriori. Tuttavia, la Famiglia Salesiana, assieme alla realtà della missione condivisa con i laici, sarà il punto di arrivo e la garanzia della missione salesiana. Non può essere solo un campo d’azione per occupare la vita di qualche confratello, o per fare un po’ di amicizia. È un elemento carismatico essenziale, oggi molto più forte che ai tempi di don Bosco, perché in 160 anni ha avuto un grande sviluppo. Per questo vi invito a continuare a credere con convinzione nella Famiglia Salesiana. Essa non ha la medesima consistenza in tutti i luoghi in cui è presente la Congregazione. In alcune parti è una bellissima realtà, altrove siamo ancora agli inizi. Anche in questo ambito ci aspetta dunque un grande impegno.
Alcune brevissime conclusioni
Grazie a tutti voi per il dono del nuovo Consiglio Generale. È un rinnovamento da accogliere con uno sguardo di fede. Penso che uno dei bellissimi frutti di questo Capitolo, come è sempre stato, sia il dono di un Consiglio Generale. Sono convinto che, come Consiglio, assumiamo un profondo sguardo di fede, il desiderio di una forte fedeltà al Signore e a Don Bosco, con una grande capacità progettuale. Tutto il resto, lo potremmo fare con le nostre capacità, i nostri rapporti e con i talenti di ciascuno. Con grande serenità vi dico grazie per il nuovo Consiglio.
In questi giorni ho riflettuto e ritengo che il mio primo impegno come Rettor Maggiore per l’animazione delle Ispettorie sarà quello di animare gli Esercizi Spirituali per Regioni, o per Conferenze nelle Regioni, per gli Ispettori e i membri dei Consigli ispettoriali, per trasmettere il frutto del CG28, un Capitolo Generale molto speciale, per assumere le grandi sfide che stiamo individuando e che ci attendono.
Vi ringrazio ancora per la grande comunione che c’è tra di noi.
Questa è la grande speranza che portiamo, e della quale siamo profondamente convinti: cerchiamo di arricchire la Chiesa con il dono del carisma salesiano per la salvezza dei giovani.
Cari Confratelli, di tutto cuore, grazie!
Torino, 13 marzo 2020
CRONACA DEI LAVORI DEL CG28
Sabato 15 febbraio, arrivo a Valdocco, dove c’è una grande organizzazione logistica e informatica per l’accoglienza e la sistemazione.
Domenica 16, pomeriggio, inizio del Capitolo Generale con saluto di benvenuto del Rettore Maggiore, alcune informazioni e procedure tecniche, concelebrazione eucaristica di apertura del Capitolo presieduta dal Rettor Maggiore, il quale tiene un’omelia attorno a tre parole-chiave: docilità – fedeltà – speranza.
Prima settimana: 17-22 febbraio
Lunedì 17: presentazione della relazione dei consiglieri di settore e dei consiglieri regionali (prima parte), con buona notte del Card. Cristobal López S.D.B., Arcivescovo di Rabat (Marocco).
Martedì 18 febbraio: continuazione presentazione della relazione che si conclude con quella del Rettor Maggiore, il quale, oltre a fare un resoconto del sessennio e verificare lo stato di salute della Congregazione, ricorda le sfide che ha dovuto affrontare la Congregazione, offrendo allo stesso tempo uno sguardo di speranza al futuro, per esorcizzare la tentazione di scoraggiamento.
Mercoledì 19, prima giornata di spiritualità con una riflessione di don Rossano Sala sul tema del primo nucleo “Centralità della missione tra i giovani”. La mattinata si conclude con l’Eucaristia presieduta dallo stesso don Sala. Nel pomeriggio, inizia lo studio della relazione del Rettor Maggiore con riferimento ai Settori. Dopo cena si tiene un concerto in Basilica in occasione del 250° anniversario della nascita di Ludwig van Beethoven.
Giovedì 20, seconda giornata di spiritualità con una riflessione di Fr Eunan Mc Donell sul tema del secondo nucleo “Profilo del Salesiano per i giovani di oggi”. Segue l’Eucaristia a fine mattinata, presieduta da don Eunan. Come il giorno precedente, nel pomeriggio c’è lo studio della relazione, questa volta delle Regioni.
Venerdì 21, terza giornata di spiritualità con una riflessione di Koldo Gutiérrez sul tema del terzo nucleo “Insieme ai laici nella missione e nella formazione¨, con l’Eucaristia a fine mattinata presieduta dal Card. Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga. Nel pomeriggio si conclude lo studio per regioni sulla Relazione del Rettor Maggiore sullo stato della Congregazione.
Sabato 22, giornata di apertura ufficiale del CG 28, che comincia con l’Eucaristia nella Basilica, presieduta dal Card. Joao Braz de Aviz, e, dopo la colazione, con la cerimonia all’aula magna con i saluti, il messaggio del Card. Braz de Aviz, Prefetto per la Congregazione degli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, e il discorso di apertura del Rettor Maggiore.
La mattinata termina con il pranzo, cui segue tempo libero dai raduni fino a lunedì 24 febbraio.
Seconda settimana: 24-29 febbraio
Lunedì 24, la prima parte della giornata in assemblea per la scelta del posto in aula, elezione dei segretari e dei moderatori, di funzionamento delle traduzioni, delle votazioni, presentazione del Regolamento del Capitolo e scelta delle commissioni. Nel pomeriggio commento alle proposte di cambiamento del regolamento e poi primo incontro delle commissioni per l’elezione del presidente, portavoce e segretario. Di sera prima della preghiera del Vespro e della buonanotte, il Rettor Maggiore ci fa sapere che a causa dell’emergenza per il coronavirus siamo chiamati ad essere molto responsabili per non esporre noi o altri, e a obbedire le ordini dello Stato che ha proibito tra altro lo spostamento di gruppi in pullman. Per questa ragione salta il viaggio per la giornata di ritiro spirituale al Colle Don Bosco e a Chieri prevista per il “mercoledì delle ceneri”.
Martedì 25, Festa dei protomartiri salesiani della Cina, San Luigi Versiglia e San Callisto Caravario. Nella prima parte della giornata, presentazione dello strumento di lavoro sul tema capitolare fatta da don Andrea Bozzolo, cui segue la seconda sintesi delle sfide individuate dalle Regioni dopo lo studio della relazione sullo stato della Congregazione, poi quella dello strumento di lavoro su elementi giuridici, cui segue la votazione del Regolamento. Nella seconda parte, risposte del Rettore Maggiore e di membri del Consiglio Generale alle domande fatte dalle Regioni e da confratelli come frutto dello studio della relazione sullo stato della Congregazione.
Mercoledì 26, inizio della quaresima con il “mercoledì delle ceneri”. Al mattino una celebrazione della parola presieduta da don Pascual Chávez, che offre una meditazione sulla Lettera da Roma del 1884 – Il Vangelo di Don Bosco cui segue un tempo per la preghiera personale, l’adorazione eucaristica e le confessioni. Nel pomeriggio, un incontro di commissioni per l’elezione del rappresentante per la commissione di redazione, e per l’organizzazione in gruppi di lavoro. La giornata si conclude con la celebrazione eucaristica presieduta da don Pascual Chávez.
Giovedì 27, prima un incontro in assemblea per approvazione dei verbali dei giorni precedenti e informazione di procedura per il lavoro in commissioni, quindi nelle commissioni lungo tutta la giornata studio della prima parte (‘riconoscere’) del primo nucleo “La priorità della missione salesiana trai giovani di oggi”.
Venerdì 28, giornata tutta nelle commissioni per lo studio della seconda parte (‘interpretare’) del primo nucleo “La priorità della missione salesiana trai giovani di oggi”, che si conclude con la Via Crucis organizzata dalla Regione Asia Est – Oceania.
Sabato 29, al primo momento in assemblea la preghiera di lodi e lectio divina fatta da don Andrea Bozzolo sul Discepolo Amato nell’Ultima Cena, e più tardi lavoro nelle commissioni per la terza parte (‘scegliere’) del primo nucleo, e si conclude al mezzogiorno con l’Eucaristia presieduta dall’Arcivescovo di Torino, Mons. Cesare Nosiglia. Tempo libero fino a lunedì 2 marzo.
Terza settimana: 2-7 marzo
Lunedì 2, mattinata di lavoro in commissione per concludere il primo nucleo, con la partecipazione dei giovani venuti per questa settimana. Nel pomeriggio assemblea per la lettura e approvazione dei verbali, presentazione di un sussidio del Dicastero per la Formazione “Giovani salesiani e accompagnamento. Orientamenti e direttive”, e presentazione delle proposte della Commissione Giuridica, dopodiché si torna nelle commissioni.
Martedì 3, mattinata in assemblea per l’approvazione del verbale, presentazione della sintesi fatta da ciascuna delle 4 commissioni sul primo nucleo del tema, cui segue un tempo di dibattito. Nel pomeriggio, lavoro in commissione per la prima parte del secondo tema: “Quale formazione del Salesiano per i giovani di oggi?”.
Mercoledì 4, mattinata in assemblea per l’approvazione del verbale, prova tecnica di votazione elettronica, che dietro molti interventi e disagio si decide di posporla, e primo dibattito sugli argomenti giuridici, che ha visto intervenire molti capitolari sui diversi temi. Nel pomeriggio, lavoro in commissione ancora sulla prima parte del secondo tema.
Giovedì 5, mattinata di lavoro in commissione, ancora sulla seconda parte del secondo nucleo. Nel pomeriggio, nel primo momento, incontro in assemblea per comunicazioni importanti da parte del Rettore Maggiore riguardanti la situazione di emergenza in Italia per l’epidemia del coronavirus (prendere sul serio le misure predisposte dallo stato italiano, ci si chiede di presentare un profilo basso come gruppo di capitolari, non si può dare nessuna informazione a nessuno di quanto accade nel Capitolo, si annullano tutte le visite e gli incontri compresso quello della presenza dei laici che erano stati invitati al Capitolo), quindi ci fa ascoltare un saluto di Papa Francesco che voleva venire a trovarci, ma non potendo farlo ci ha inviato un messaggio, e finalmente ci presenta la eventualità di anticipare le elezioni del Rettor Maggiore e del Consiglio generale, data l’incertezza dell’evoluzione dell’epidemia che potrebbe portare alla conclusione intempestiva del Capitolo Generale senza aver eletto il governo della Congregazione. Dopo queste informazioni, si passa a due votazioni sondaggio proposte dalla commissione giuridica. Nell’ultimo tempo di lavoro si comincia la terza parte (‘scegliere’) del secondo nucleo.
Venerdì 6, primo tempo di lavoro in aula per la lettura e approvazione del verbale, la votazione per l’anticipo delle elezioni, con risultato positivo, e, secondo tempo, per la votazione su elementi giuridici. Nel pomeriggio, lavoro nelle commissioni sulla terza parte del secondo nucleo.
Sabato 7, al mattino, in assemblea, la preghiera di lode e lectio offerta da don Andrea Bozzolo sul Discepolo Amato al piede della croce. Nel primo tempo di lavoro lettura e approvazione del verbale, cui segue la votazione definitiva sugli elementi giuridici presentati il giorno precedente. Nel secondo tempo di lavoro ascolto dei giovani. Essi ci chiedono presenza in mezzo a loro, ascolto, accompagnamento, fiducia, condivisione camminando insieme e, soprattutto, amore. Al termine del loro intervento il Rettor Maggiore benedice la statua di Mamma Margherita collocata davanti al Palazzo “Pinardi”; quindi si passa in Basilica per la celebrazione eucaristica presieduta da don Fabio Attard.
Quarta settimana: 9-14 marzo
Lunedì 9, prima parte in assemblea per la lettura e approvazione del verbale, cui segue la presentazione della prima versione del primo nucleo: “Priorità della missione salesiana tra i giovani di oggi”. Nel secondo momento studio in commissione per una prima reazione ed alcuni suggerimenti. Nel pomeriggio, in assemblea, il P. Pierluigi Nava, SMM, Sottosegretario della CIVCSVA, invitato a guidare il discernimento per le elezioni, introduce questa fase del CG con una riflessione su “Il discernimento in perspettiva ecclesiale”, seguito da un tempo di preghiera e riflessione personale, con i vespri in Basilica e tempo di adorazione eucaristica dopo la cena.
Martedì 10, al mattino Eucaristia in Basilica, presieduta da P. Nava, che nel primo tempo di lavoro in aula presenta una seconda riflessione: “Elezione, discernimento e formazione del consenso”, cui segue tempo di preghiera e riflessione personale. Nel secondo momento, in commissioni, si procede al discernimento in vista della elezione del Rettor Maggiore. Nel pomeriggio, nel primo momento si continua questo processo che conclude con la consegna delle prospettive alla guida, il quale nel quarto tempo presenta in aula il risultato del discernimento nelle commissioni con due nomi che raccolgono il maggiore numero di preferenze: don Ángel Fernández e don Fabio Attard. Dopo la cena, ora di adorazione eucaristica.
Mercoledì 11, nel mattino eucaristia in Basilica e nel primo tempo di lavoro in aula elezione dei segretari e scrutatori per le votazioni, quindi votazione ed elezione del Rettor Maggiore. Don Ángel Fernández Artime viene rieletto per un secondo sessennio. Nei seguenti due tempi di lavoro si torna in commissioni per il discernimento in vista dell’elezione del Vicario del Rettor Maggiore. Dopo il vespro, il Rettor Maggiore dà la buonanotte. Dopo cena, un’ora di adorazione eucaristica.
Giovedì 12, nel mattino eucaristia in Basilica presieduta dal Rettor Maggiore con un’omelia incentrata sulla figura del ‘buon pastore’. Nel primo tempo di lavoro in aula, la votazione sondaggio tra i candidati ed elezione del Vicario del RM, don Stefano Martoglio. Subito dopo si passa alle commissioni per Regioni per individuare i candidati a consiglieri per i diversi settori (Formazione – Pastorale Giovanile – Comunicazione Sociale – Missioni ed Economia). Allo stesso tempo c’è un raduno con un piccolo gruppo di capitolari (don Stefano Martoglio, don Enrico Stasi, don Pier Fausto Frisoli, don Rossano Sala, don Pascual Chávez) convocato dal RM per studiare la scelta da fare dinanzi alle misure obbligatorie del governo in questa emergenza del coronavirus e che porta alla decisione di concludere il CG28 sabato mattina con la Santa Messa, dopodiché potranno partire i Confratelli. Ciò significa che tutte le elezioni dei consiglieri si dovranno finire entro venerdì sera e, in un atto assembleare, affidare al Rettor Maggiore e al suo consiglio il lavoro fatto sullo strumento di lavoro in vista del documento capitolare. Dunque, prima del pranzo si torna in aula per la comunicazione ufficiale del Rettor Maggiore sulla decisione presa riguardante la conclusione del Capitolo.
Nella prima parte del pomeriggio si continua il lavoro in commissioni per regioni, le quali consegnano i nomi dei candidati a consiglieri. Nella seconda parte, in assemblea, si passa alle votazioni sondaggio e all’elezione dei consiglieri: Formazione, don Ivo Coelho; Pastorale Giovanile, don Miguel Ángel García Morcuende, che non era capitolare; Comunicazione Sociale, don Gildásio dos Santos; Missioni, don Alfred Maravilla; Economia, Sig. Jean Paul Muller. Dopo il vespro, don Stefano Martoglio dà la buonanotte.
Venerdì 13, al mattino, in Basilica, Eucaristia presieduta da don Stefano Martoglio e, nel primo tempo di lavoro, lavoro in commissioni per regioni per l’elezione del loro candidato a consigliere regionale, e, nel secondo tempo di lavoro, votazione. Ecco i risultati: Africa Madagascar, don Alphonse Owoudou (AFO); America Cono Sud, don Gabriel Romero (ARN); Asia Est Oceania, don Joseph Phuoc Nguyen (VIE); Asia Sud, don Michael Biju Pulianmackal; Europa Centro Nord, don Roman Jachimowicz (PLN); Interamerica, don Hugo Orozco (MEG); Mediterranea, don Juan Carlos Pérez Godoy.
Nel pomeriggio, foto ricordo del CG28 dinanzi al monumento di Don Bosco, cui segue, in aula, il film su Artemide Zatti, e nell’ultimo tempo di lavoro, il Discorso di Chiusura del Rettor Maggiore e la Dichiarazione di Chiusura del CG28.
Si termina, in Basilica, con il vespro, il canto del Te Deum e la consegna della croce del Buon Pastore. Dopo la cena si svolge la festa per il Rettor Maggiore e il nuovo Consiglio generale.
Sabato 14, al mattino, in Basilica, l’Eucaristia finale presieduta dal Rettor Maggiore.
Dopo la colazione cominciano le partenze verso i diversi luoghi di provenienza dei capitolari.
Al pranzo si fa, in modo molto semplice, la memoria del 80mo anniversario dell’UPS. E al termine, don Ángel invita un gruppo di capitolari a fare una visita al cantiere della Casa Museo Don Bosco, che è venuta molto bella e sarà un grande dono alla Congregazione e a tutta la Famiglia Salesiana perché ricostruisce le diverse fasi di questa “casa madre”, del suo sviluppo e della presenza attuale nel mondo.
ELENCO DEI PARTECIPANTI
AL CAPITOLO GENERALE 28
Consiglio Generale
1PFERNÁNDEZ ARTIME ÁngelRettor Maggiore - Presidente
2PCEREDA FrancescoVicario del Rettor Maggiore
3P COELHO IvoConsigliere per la Formazione
4P ATTARD FabioConsigliere per la Pastorale Giovanile
5PBASAÑES GuillermoConsigliere per le Missioni
6PGONZÁLEZ Plasencia FilibertoConsigliere per la Comunicazione Sociale
7LMULLER Jean PaulEconomo Generale
8PCHAQUISSE AméricoConsigliere Regionale
9PKANAGA Maria ArokiamConsigliere Regionale
10PKLEMENT Václav Consigliere Regionale
11PMARTOGLIO StefanoConsigliere Regionale
12PPLOCH TimothyConsigliere Regionale
13PROZMUS TadeuszConsigliere Regionale
14PVITALI NataleConsigliere Regionale
15PVANOLI StefanoSegretario Generale - Regolatore
16PFRISOLI Pier FaustoProcuratore Generale
17PCHÁVEZ VILLANUEVA Pascual Rettor Maggiore emerito
Regione salesiana: AFRICA E MADAGASCAR
18PJIMÉNEZ CASTRO ManuelSup. Visit.Africa Congo Congo
19PITSIEKI MANZANZA AlfredDelegatoAfrica Congo Congo
20PTESFAY Hailemariam MedhinSup. Visit.Africa Etiopia
21PLAVENTURE Ignacio DelegatoAfrica Etiopia
22PKITUNGWA AlbertIspettoreAfrica Centrale
23PCABALA UMBI DidierDelegatoAfrica Centrale
24PKALUMBU BESA DieudonnéDelegatoAfrica Centrale
25PLIPUKA Simon AsiraIspettoreAfrica Est
26LNJUGUNA NgigiDelegatoAfrica Est
27PSELLAM AugustineDelegatoAfrica Est
28PTHEKUMCHERIKUNNEL
Joy SebastianSup. Visit.Africa Meridionale
29PTLAILE LingoanDelegatoAfrica Meridionale
30PELÉGBÉDÉ JoséIspettoreAfrica Occidentale Francofona
31PBADJI Jésus BenoîtDelegatoAfrica Occidentale Francofona
32PKARIKUNNEL MichaelIspettoreAfrica Occidentale Anglofona
33PKPEN-ANA PeterDelegatoAfrica Occidentale Anglofona
34PNGOBOKA Pierre CélestinSup. Visit.Africa Grande Laghi
35PTURABANYE Jean-PierreDelegatoAfrica Grande Laghi
36PSEQUEIRA GUTIERREZ Victor LuisSup. Visit.Angola
37PLUCAS Manuel CambanjeDelegatoAngola
38POWOUDOU AlphonseSup. Visit.Africa Tropicale Equatoriale
39PELA ENAM André Young DelegatoAfrica Tropicale Equatoriale
40PRANDIMBISOA Charles ArmandSup. Visit.Madagascar
41PBIZIMANA InnocentDelegatoMadagascar
42PSARMENTO Adolfo de JesusSup. Visit.Mozambico
43PMATAVELE Arlindo AlbertoDelegatoMozambico
44PRYCHCIK KrzysztofSup. Visit.Zambia-Malawi-Namibia-Zimbabwe
45PKUNDA ChristopherDelegatoZambia-Malawi-Namibia-Zimbabwe
Regione salesiana: AMERICA CONO SUD
46PROMERO Hector GabrielIspettoreArgentina Nord
47LSAADE Osvaldo FernandoDelegatoArgentina Nord
48P PERERA Darío RamónIspettoreArgentina Sud
49LCAMILETTI AgustínDelegatoArgentina Sud
50PSANTOS GildásioIspettoreBrasile Belo Horizonte
51PSACRAMENTO Ricardo Sávio doDelegatoBrasile Belo Horizonte
52PCARLOS RicardoIspettoreBrasile Campo Grande
53POLIVEIRA AdemirDelegatoBrasile Campo Grande
54P SANTOS Jefferson LuisIspettoreBrasile Manaus
55PDA CUNHA Daniel OliveraDelegatoBrasile Manaus
56PDA SILVA Gilson MarcosIspettoreBrasile Porto Alegre
57PSANTOS Renato dosDelegatoBrasile Porto Alegre
58P PESSINATTI Nivaldo LuizIspettoreBrasile Recife
59PVIEIRA Francisco InácioDelegatoBrasile Recife
60PPICCININI Justo ErnestoIspettoreBrasile São Paulo
61LOLIVEIRA Marcelo dos SantosDelegatoBrasile São Paulo
62PLIRA CarloIspettoreCile
63PALBORNOZ DavidDelegatoCile
64PVILLALBA MarioIspettoreParaguay
65LCÁCERES CristóbalDelegatoParaguay
66PBAUER AlfonsoIspettoreUruguay
67PPÉREZ JorgeDelegatoUruguay
Regione salesiana: ASIA EST E OCEANIA
68PMATTHEWS WilliamIspettoreAustralia
69PGRAHAM BernardDelegatoAustralia
70PNG JosephIspettoreCina
71PLEONG DomingosDelegatoCina
72PMARTIN GerardoIspettoreFilippine Nord
73PCAMAYA JoelDelegatoFilippine Nord
74PATIENZA GodofredoIspettoreFilippine Sud
75LVILLORDON EdwardDelegatoFilippine Sud
76PHAMAGUCHI JacoboIspettoreGiappone
77PLAP MichaelDelegatoGiappone
78PWONG AndrewSup. Visit.Indonesia
79PBELO LinoDelegatoIndonesia
80PCHOI TimothyIspettoreKorea
81PBAEK MarcelloDelegatoKorea
82PSAW CharlesSup. Visit.Myanmar
83PZEY AUNG BoscoDelegatoMyanmar
84PMARAVILLA AlfredSup.Visit.Papua Nuova Guinea
e Isole Salomone
85PPARAPPILLY RobinsonDelegatoPapua Nuova Guinea
e Isole Salomone
86PTHEPHARAT PITISANT John BoscoIspettoreThailandia
87PNIPHON SARACHIT PeterDelegatoThailandia
88PNETO ApolinárioSup.Visit.Timor Est
89PDe SOUSA MarioDelegatoTimor Est
90P NGUYEN VAN QUANG GiuseppeIspettoreVietnam
91PLÊ AN PHONG BarnabaDelegatoVietnam
92LNGUYEN DUC NAM DomenicoDelegatoVietnam
Regione salesiana: ASIA SUD
93PSILVEIRA SavioIspettoreIndia Mumbai
94PFURTADO AdolphDelegatoIndia Mumbai
95PPINTO AnthonyDelegatoIndia Mumbai
96P GOMES NirmolIspettoreIndia Kolkata
97PCHUNKAPURA JoseDelegatoIndia Kolkata
98PPAURIA JosephDelegatoIndia Kolkata
99P KURUVACHIRA JoseIspettoreIndia Dimapur
100PPATHIKULANGARA Jerry ThomasDelegatoIndia Dimapur
101PTHOTTATHIMYALIL FrancisDelegatoIndia Dimapur
102PSANGMA JanuariusIspettoreIndia Guwahati
103LKARAKOMBIL Joby Mani (Louis)DelegatoIndia Guwahati
104PPULIANMACKAL Biju MichaelDelegatoIndia Guwahati
105PTHATHIREDDY Vijaya BhaskarIspettoreIndia Hyderabad
106PTHUMMA Vijaya PratapDelegatoIndia Hyderabad
107PTHONIKUZHIYIL Joyce MathewIspettoreIndia Bangalore
108PKOROTH SivyDelegatoIndia Bangalore
109PKUTTIANIMATTATHIL Jose DelegatoIndia Bangalore
110PKOCHAMKUNNEL JoseIspettoreIndia Chennai
111PJOSEPH AndrewDelegatoIndia Chennai
112PLOURDUSAMY Don BoscoDelegatoIndia Chennai
113PKOORAPPALLIL Jose MathewIspettoreIndia New Delhi
114PKERKETTA ShilanandDelegatoIndia New Delhi
115PMANIPARAMBEN DavisDelegatoIndia New Delhi
116PFERNANDES FèlixIspettoreIndia Panjim
117PTELLES CliveDelegatoIndia Panjim
118PLYNGKOT Paul OlphindroIspettoreIndia Shillong
119PCHURULIYIL ManojDelegatoIndia Shillong
120PZOSIAMA JohnDelegatoIndia Shillong
121PSARPRASADAM AgilanIspettoreIndia Tiruchy
122PJEYARAYAN AmalaDelegatoIndia Tiruchy
123PROYAN RicoparDelegatoIndia Tiruchy
124P ALMEIDA JosephSup. Visit.Sri Lanka
125PATHTHIDIYAGE ChalanaDelegatoSri Lanka
Regione salesiana: EUROPA CENTRO E NORD
126POBERMÜLLER PetrusIspettoreAustria
127LMAYER GünterDelegatoAustria
128PWAMBEKE WilfriedIspettoreBelgio Nord
129PHAELVOET EricDelegatoBelgio Nord
130PVACULÍK PetrIspettoreRepubblica Ceca
131PŽENÍŠEK PavelDelegatoRepubblica Ceca
132PŠUTALO TihomirIspettoreCroazia
133LBEŠLIĆ DomagojDelegatoCroazia
134PFEDERSPIEL DanielIspettoreFrancia e Belgio Sud
135PERNST XavierDelegatoFrancia e Belgio Sud
136PBRIODY JamesIspettoreGran Bretagna
137PANDERSON KieranDelegatoGran Bretagna
138P GESING ReinhardIspettoreGermania
139LGOLDSMITS MikeDelegatoGermania
140PVON HATZFELD HattoDelegatoGermania
141PMcDONNELL EunanIspettoreIrlanda
142PHENNESSY PatrickDelegatoIrlanda
143P FORMOSA PaulSup. Visit.Malta
144PFALZON RobertDelegatoMalta
145PJARECKI TadeuszIspettorePolonia Warszawa
146PSOLARSKI PrzemysławDelegatoPolonia Warszawa
147PZDZIEBORSKI JacekDelegatoPolonia Warszawa
148PJACHIMOWICZ RomanIspettorePolonia Piła
149PPOPŁAWSKI AdamDelegatoPolonia Piła
150PSZULCZYŃSKI WitoldDelegatoPolonia Piła
151PPIZOŃ JarosławIspettorePolonia Wrocław
152PMAZUR RomanDelegatoPolonia Wrocław
153PKAZNOWSKI MarcinIspettorePolonia Kraków
154PWOCIAL MichałDelegatoPolonia Kraków
155pBUČÁNY PeterVic. Ispett.Slovacchia
156PKAČMÁRY MartínDelegatoSlovacchia
157PKOŠNIK MarkoIspettoreSlovenia
158PKOLAR BogdanDelegatoSlovenia
159PMANÍK KarolSup. Visit.Ucraina
160PPLATOSH AndriiDelegatoUcraina
161PANDRÁSFALVY JánosIspettoreUngheria
162PVITÁLIS GáborDelegatoUngheria
Regione salesiana: INTERAMERICANA
163PBATISTA FranciscoIspettoreAntille
164PMARRERO Adán LuisDelegatoAntille
165PORTIZ JavierIspettoreBolivia
166PROCABADO AlvaroDelegatoBolivia
167PPRADO José ÁngelIspettoreCentro America
168PGUZMÁN RodolfoDelegatoCentro America
169PGÓMEZ RÚA John JairoIspettoreColombia Bogotà
170PJARAMILLO RubénDelegatoColombia Bogotà
171PVALENCIA Luis FernandoIspettoreColombia Medellín
172PGUERRERO José ArielDelegatoColombia Medellín
173PSÁNCHEZ FranciscoIspettoreEcuador
174PCÁRDENAS JuanDelegatoEcuador
175PMÉSIDOR Jean-PaulIspettoreHaiti
176PBONHOMME MorachelDelegatoHaiti
177POROZCO SÁNCHEZ HugoIspettoreMessico Guadalajara
178PLARA PÉREZ EduardoDelegatoMessico Guadalajara
179POCAMPO URIBE IgnacioIspettoreMessico México
180PMORALES Paulo ArmandoDelegatoMessico México
181PCAYO ManuelIspettorePerú
182PMEDINA PabloDelegatoPerú
183PZAK TimothyIspettoreStati Uniti Est
184PCONWAY MichaelDelegatoStati Uniti Est
185PMONTEMAYOR TedIspettoreStati Uniti Ovest
186LVU AlphonseDelegatoStati Uniti Ovest
187PMONTENEGRO RafaelIspettoreVenezuela
188POLIVEROS Ramón AlfredoDelegatoVenezuela
Regione salesiana: MEDITERRANEA
189PASPETTATI StefanoIspettoreItalia Centrale
190PCOLAMEO RobertoDelegatoItalia Centrale
191PMERLINI DanieleDelegatoItalia Centrale
192PVERLEZZA MaurizioDelegatoItalia Centrale
193PSTASI EnricoIspettoreItalia Piemonte e Val d’Aosta
194PBARONE LucaDelegatoItalia Piemonte e Val d’Aosta
195PDEGIORGI GiorgioDelegatoItalia Piemonte e Val d’Aosta
196LTOSO GianlucaDelegatoItalia Piemonte e Val d’Aosta
197PGIACOMAZZI GiulianoIspettoreItalia Lombardo Emiliana
198PLEONI ErinoDelegatoItalia Lombardo Emiliana
199PPICCINOTTI GiordanoDelegatoItalia Lombardo Emiliana
200PSANTORSOLA AngeloIspettoreItalia Meridionale
201PROMA GianpaoloDelegatoItalia Meridionale
202PBIFFI IginoIspettoreItalia Nord Est
203PGAETAN EnricoDelegatoItalia Nord Est
204PZANCHETTA SilvioDelegatoItalia Nord Est
205PD’ANDREA GiovanniIspettoreItalia Sicilia
206PCOSTA GiuseppeDelegatoItalia Sicilia
207PVIVIANO MicheleDelegatoItalia Sicilia
208PLEÓN MENDOZA Alejandro JoséIspettoreMedio Oriente
209PZAKERIAN SimonDelegatoMedio Oriente
210PMENDNOÇA José AníbalIspettorePortogallo
211PFREITAS De SOUSA Juan EduardoDelegatoPortogallo
212PASURMENDI MARTÍNEZ ÁngelIspettoreSpagna Sevilla
213PCANINO MiguelDelegatoSpagna Sevilla
214PMIRANDA FernandoDelegatoSpagna Sevilla
215PNÚÑEZ José MiguelDelegatoSpagna Sevilla
216PPÉREZ Juan CarlosIspettoreSpagna Madrid
217PGARCÍA SÁNCHEZ FernandoDelegatoSpagna Madrid
218PGUTIÉRREZ Luis FernandoDelegatoSpagna Madrid
219PSEGURA SamuelDelegatoSpagna Madrid
Università Pontificia Salesiana
220PRIVA EugenioSup. Visit.UPS
221PMANTOVANI MauroDelegatoUPS
Sede centrale e case dipendenti direttamente dal Rettor Maggiore
222PCAMERONI PierluigiDelegatoRMG
Osservatori invitati
223LBECERRA ChristianInvitatoPerú
224PBOZZOLO AndreaInvitatoItalia Piemonte e Val d’Aosta
225LCHINAPPAN FrancisInvitatoIndia Chennai
226PHAIDUKEVICH ViktarInvitato Polonia Warszawa
227PHOBZA MartinInvitato Repubblica Ceca
228PKETTNER SiegfriedInvitato Austria
229PLASARTE MartínInvitato Angola
230LLOPES MarçalInvitatoTimor Est
231LMETOULE DavidInvitatoAfrica Tropicale Equatoriale
232PMUÑOZ RUIZ EusebioInvitatoRMG
233POCHE AnthonyInvitatoAfrica Occidentale Anglofona
234LPÉREZ GÓMEZ MarceloInvitatoSpagna Madrid
235PPULIKKAL JosephInvitatoAfrica Est
236PSALA RossanoInvitatoItalia Centrale
237PSCHWEIZER ThomasInvitatoGermania
238PSORO DenisInvitatoAfrica Occidentale Francofona
239PSOTO RoelInvitatoThailandia
240PTIMKO PeterInvitatoSlovacchia
241LVADAKKEVETTUVAZHIYIL
Sunny JosephInvitatoIndia Dimapur
242PVITO PAU PeteloInvitatoAustralia
1 Francesco, Messaggio ai membri del CG28, Roma 4 marzo 2020. Approfitto di questa prima nota per dirvi che la mia lettera sarà arricchita da citazioni testuali del messaggio che Papa Francesco ha pensato per noi come Congregazione e come Assemblea capitolare e che ci ha inviato nel momento più opportuno delle nostre riflessioni e dei nostri lavori. Per l’importanza che hanno le parole del Santo Padre, ho deciso di non riportarle nelle note a fondo pagina, ma nel corpo del discorso. Basterà vedere il testo tra virgolette per riconoscervi la parola del Papa.
2 Vita Consecrata, 22.
3 Francesco, Esortazione apostolica Gaudete et exsultate, Roma 19 marzo 2018, 1.
4 MB XVIII, 258, citato anche nelle nostre Costituzioni all’art.1.
5 Cf. Francesco, Esortazione apostolica postsinodale Christus vivit, Roma 25 marzo 2019, 98. Nell’Esortazione è riportata questa citazione: «Il clericalismo è una tentazione permanente per i sacerdoti, che interpretano “il ministero ricevuto come un potere da esercitare piuttosto che un servizio gratuito e generoso da offrire; e questo ci porta a credere di appartenere a un gruppo che ha tutte le risposte e non ha più bisogno di ascoltare o di imparare nulla”», Francesco, Discorso alla prima Congregazione Generale della XV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, Roma 3 ottobre 2018.
6 G. Bosco, Vita del giovanetto Savio Domenico, allievo dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, in ISS, Fonti Salesiane: I. Don Bosco e la sua opera, LAS, Roma 2014, 1040.
7 J.E. Vecchi, Indicazioni per un cammino di spiritualità salesiana, ACG 354, 1995, p. 26.
8 CG28, Priorità della missione salesiana tra i giovani d’oggi. Primo nucleo, n. 4.
9 Documento finale del Sinodo dei giovani, d’ora in avanti DF.
10 Papa Francesco ci ha detto: «L’opzione Valdocco del vostro 28° Capitolo generale è una buona occasione per confrontarsi con le fonti e chiedere al Signore: “da mihi animas, coetera tolle”. Tolle soprattutto quello che, lungo il cammino, è stato incorporato e perpetuato, che, anche se in un altro tempo avrebbe potuto essere una risposta adeguata, oggi vi impedisce di configurare e plasmare la presenza salesiana in modo evangelicamente significativo nelle varie presenze missionarie. Questo ci invita a superare le paure e le apprensioni che possono sorgere dall’aver creduto che il carisma fosse ridotto o identificato con certe opere o strutture. Vivere fedelmente il carisma è qualcosa di più ricco e impegnativo che abbandonare, ritirarsi o riordinare case o attività; implica un cambiamento di mentalità rispetto alla missione da svolgere».
11 Lettera dei giovani al CG28.
12 CG28, Priorità della missione salesiana tra i giovani di oggi. Primo nucleo, n.5
13 Lettera dei giovani al CG28.
14 «La rivoluzione digitale ci chiede di comprendere le profonde trasformazioni che stanno avvenendo non solo nel campo della comunicazione, ma soprattutto nel modo di impostare e gestire le nostre relazioni umane» (Nucleo 1 elaborato dal CG28).
15 CG26, “Da mihi animas, cetera tolle”, n.14.
16 CG28, Profilo del salesiano oggi. Secondo nucleo, n. 1.
17 Idem, n. 3.
18 Idem, n. 5.
19 Idem, n. 5.
20 CG24, n. 166.
21 CGXX, n. 580.
22 MB XVII, 272; Cf. MB XVII, 207.
23 CGXIX, ACS 244, p. 94.
24 CGXX, n. 45.
25 CG28, Priorità della missione salesiana tra i giovani di oggi. Primo nucleo, n. 8.
26 Francesco, Messaggio al CG28.
27 ChV, 98.
28 CG28, Insieme ai laici nella missione en ella formazione, Nucleo 3, riconoscere, n. 1.
29 CG24, n. 71.
30 CG24, n. 39.
31 Idem, nn. 12-17.
32 Animazione e governo della comunità, 106 e 122.
33 CG24, 43.
34 CG28, Terzo Nucleo, Insieme ai laici nella missione en ella formazione, n. 43.
35 CG27, Testimoni della radicalità evangelica. Documenti capitolari: Discorso del Rettor Maggiore alla chiusura del CG27, n. 3.7, Roma 2014.
36 Francesco, Messaggio al CG28.
37 Francesco, Discorso ai partecipanti all'incontro promosso dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale sul tema: Transizione energetica e cura della nostra casa comune, Roma 14 giugno 2019.
38 Cf. Francesco, Lettera Enciclica Laudato si’, Roma 24 maggio 2015, nn. 137-162. D’ora in poi LS.
39 LS 13.
40 CG28, Proposta per la deliberazione sull’ecologia.
41 LS, 217.
42 Francesco, Messaggio al CG28, citando la sua Omelia nella Festa della Presentazione del Signore per la 21a Giornata Mondiale della Vita Consacrata, 2 febbraio 2017.
43 La frase è del Patriarca Atenagora I, anche se alcuni attribuiscono la citazione al patriarca Ignazio IV Hazim, nel 1968.
44 Motto impresso a fuoco nei primi missionari. Ricordo la lettera di don Giacomo Costamagna a Don Bosco dove, dopo avergli raccontato le difficoltà del viaggio e i diversi fallimenti che dovettero affrontare, conclude dicendo: “Dimandiamo unanimi una cosa sola: poter andare presto nella Patagonia per salvare innumerevoli anime”. La consapevolezza di essere inviati a cercare anime nelle periferie e a rimanere superando qualsiasi apparente fallimento è una nota d’identità in base alla quale confrontare e misurare il carisma: “Da mihi animas, coetera tolle”.
45 Ricordiamo l’ammonimento del Signore: «Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini» (Mc 7,8).
46 Grazie all’aiuto del saggio Cafasso, Don Bosco scoprì chi era agli occhi dei giovani detenuti; e quei giovani detenuti scoprirono un volto nuovo nello sguardo di Don Bosco. Così insieme scoprirono il sogno di Dio, che ha bisogno di questi incontri per manifestarsi. Don Bosco non scoprì la sua missione davanti a uno specchio, ma nel dolore di vedere dei giovani che non avevano futuro. Il salesiano del sec. XXI non scoprirà la propria identità se non è capace di patire con «la quantità di ragazzi, sani e robusti, di ingegno sveglio che stavano in carcere tormentati e del tutto privi di nutrimento spirituale e materiale… In loro era rappresentato l’obbrobrio della patria, il disonore della famiglia» (Memorie dell’Oratorio di san Francesco di Sales, 48); e noi potremmo aggiungere: della nostra stessa Chiesa.
47 Oggi vediamo come in molte regioni sono i giovani i primi a sollevarsi, organizzarsi e promuovere cause giuste. Le vostre case salesiane, lungi dall’impedire questo risveglio, sono chiamate a diventare spazi che possano stimolare questa coscienza di cristiani e cittadini. Ricordiamo il titolo della strenna di quest’anno del Rettor Maggiore: “Buoni cristiani e onesti cittadini”.
48 Vi invito a tener sempre presenti tutti coloro che non partecipano di queste istanze ma che non possiamo ignorare se non vogliamo diventare un gruppo chiuso.
49 Super II Cor., cap. 2, lect. 2 (in fine). Il passo commentato da san Tommaso è 2 Cor 2,6-7 dove, riguardo a chi lo ha rattristato, san Paolo scrive: «Dovreste usargli benevolenza e confortarlo, perché egli non soccomba sotto un dolore troppo forte».
50 J. M. Bergoglio, Meditazioni per religiosi, 105.
51 Una vocazione ecclesiale, prima di essere un atto che differenzia o che rende complementari, è un invito ad offrire un dono particolare in funzione della crescita degli altri.
52 Cf. Esort. ap. Evangelii gaudium, 116: «Come possiamo vedere nella storia della Chiesa, il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale, bensì, restando pienamente se stesso, nella totale fedeltà all’annuncio evangelico e alla tradizione ecclesiale, esso porterà anche il volto delle tante culture e dei tanti popoli in cui è accolto e radicato».
53 Oggi, infatti, «si rende necessaria un’evangelizzazione che illumini i nuovi modi di relazionarsi con Dio, con gli altri e con l’ambiente, e che susciti i valori fondamentali. È necessario arrivare là dove si formano i nuovi racconti e paradigmi» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 74).
54 Le seguenti modifiche agli articoli delle Costituzioni sono state presentate al Santo Padre per l’approvazione mediante la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Esse sono state approvate dal Santo Padre in data 7 marzo 2020 (Prot. n. T. 9-1/2002).
55 MB XIII, 250.
56 MB XIII, 251.
57 Cost. 146.
58 MB XIII, 286.
59 CGS20, Discorso del Rettor Maggiore in apertura del Capitolo Generale Speciale, Roma 1971, 554.
60 Cf. Francesco, Come Don Bosco con i giovani e per i giovani. Lettera di Papa Francesco al Rettor Maggiore dei Salesiani, LEV, Citta del Vaticano, 2015, 9.
61 ACG 427 (2018), 11.
62 ACG 427 (2018), 31.
63 MB XI, 309.
64 MB XVIII, 439.
65 Gv 2,5.
66 CIVCSVA, Per vino nuovo otri nuovi. Dal Concilio Vaticano II la vita consacrata e le sfide ancora aperte. Orientamenti, Città del Vaticano, LEV 2017.
67 Cfr. Decreto Perfectae caritatis, 1.
68 Per vino nuovo otri nuovi, cit., pp.18s.
69 Cfr idem, p.19.
70 Per vino nuovo otri nuovi, cit. p.20.
71 Ibidem.
72 Idem p.22.
73 SCIVCSVA, Criteri direttivi sui rapporti tra i vescovi e i religiosi nella Chiesa, Città del Vaticano 1978.
74 CDF, Iuvenescit ecclesia, lettera sulla relazione tra doni gerarchici e carismatici per la vita e la missione della Chiesa, LEV, Città del Vaticano 2016
75 Cfr. Per vino nuovo otri nuovi, cit. pp.23-31.
76 Idem, pp.33s.
77 Idem, p.37.
78 Idem, p.56.
79 Idem, pp.37s.
80 Idem, p.41.
81 Idem, p.43.
82 Idem, p.45.
83 Idem, p.46.
84 Idem, p.47.
85 Idem, p.47s.
86 Cfr idem, pp.50-52.
87 Idem,p.55.
88 Sequela Christi, La gestione dei beni ecclesiastici degli Istituti di vita consacrata nella Chiesa, 2014/01, Studi e commenti, pp. 89-148.
89 Per vino nuovo otri nuovi, cit. pp.58s.
90 Nella settimana dal 28 febbraio al 7 marzo 2020 alcuni giovani provenienti dalle sette regioni della Congregazione hanno condiviso le giornate di lavoro con i capitolari. Al termine di questa esperienza hanno lasciato questa lettera.