LETTERA DEL RETTOR MAGGIORE
PASCUAL CHÁVEZ
ACG 386 ‘04
«Signore, da chi andremo? Tu hai parole
di vita eterna» (Gv
6,69)
Parola
di Dio e vita salesiana oggi
Sommario:
1. Contemplare Cristo ascoltando la Parola di Dio
2. Ascoltare la Parola di Dio da salesiani
2.1 Don Bosco, “sacerdote della Parola”
- Formazione biblica e ministero pastorale
- Efficace utilizzazione pedagogica
2.2 I giovani, luogo e ragione del nostro ascolto di Dio
3. «Non sta bene che noi trascuriamo la parola di Dio» (At 6,2)
3.1 Ascoltare la Parola per fare esperienza di Dio
- Adorare in silenzio
- Rinunciare a farsi immagini di Dio
3.2 Ascoltare la Parola per diventare comunità
- Radunati perché salvati
- Responsabili dei fratelli
3.3 Ascoltare la Parola per rimanere fedeli
- “Fonte di vita spirituale” (Cost. 87)
- “Alimento per la preghiera” (Cost. 87)
- “Luce per conoscere la volontà di Dio negli avvenimenti” (Cost. 87)
- “Forza per vivere in fedeltà la nostra vocazione” (Cost. 87)
3.4 Ascoltare la Parola per diventare apostoli
- Riuscire a creare ambienti di forte impatto spirituale
- Offrire una pastorale di processi di maturazione spirituale
4. «Come Maria, accogliamo la Parola e la meditiamo nel nostro cuore» (Cost. 87)
Roma, 13 giugno 2004
Solennità
del Corpo e Sangue di Cristo
ACG386
Carissimi
confratelli,
vi
scrivo nella solennità del Corpus
Domini,
“memoriale” del Signore, mistero della sua vita offerta sulla
croce e segno del suo amore incondizi onato per noi. Essa ci ricorda
che la Chiesa, come autentica comunità dei credenti, nasce
dall’Eucaristia. Tutti restiamo meravigliati dinanzi alla fantasia
inaudita di Gesù, che si incarnò per divenire “carne” per noi e
comunicarci così la sua vita divina.
Anche se le letture
del ciclo C di questa festa ci fanno meditare sul testo lucano della
moltiplicazione dei pani, non possiamo tralasciare di considerare il
discorso eucaristico di Giovanni, che continua ad essere il più
penetrante. Esso ci fa capire che la Parola è veramente diventata
carne e che quindi i suoi ascoltatori sono invitati a diventare suoi
commensali, oggi come ieri.
Mi auguro che le nostre
celebrazioni eucaristiche, in cui Gesù ci nutre alla sua mensa con
il pane della Parola e del suo Corpo, possano essere fonte di unità
e di fraternità delle nostre comunità, sorgente di passione
salvatrice dei giovani; in tal modo noi potremo dare la nostra vita
per loro, affinché essi abbiano vita in abbondanza.
Questo
è stato il segreto della forza e della santità dei nostri nuovi
beati, Don Augusto Czartoryski, Suor Eusebia Palomino, Alessandrina
da Costa; in particolare quest’ultima visse gli ultimi tredici anni
della sua vita senza nessun altro alimento che la santa comunione.
L’Eucaristia è stata la sorgente della robustezza spirituale dei
nostri giovani santi, Domenico Savio e Laura Vicuña; la loro fedeltà
al Signore si è nutrita della sua Parola e del suo Corpo ed è
giunta alla consegna illimitata, sino alla morte a favore degli
altri. Questa è pure la nostra strada per diventare autentici
discepoli di Gesù.
Essere suoi discepoli, condividendone
vita e missione, non è infatti agevole occupazione oggi; non lo è
stato mai. I quattro evangelisti raccontano unanimi che a Gesù fu
facile – persino troppo (cf. Mc 1,16-20; Gv 2,1-11) –
chiamare alcuni a seguirlo, ma che non gli riuscì di aver li fedeli
a lungo accanto a sé (Mc 14,50; Gv 18,15.27).
Il quarto
vangelo ci ha lasciato un ricordo, tanto memorabile quanto
drammatico, della difficoltà che i più stretti discepoli di Gesù
trovarono a restare con lui. Dopo la stupenda moltiplicazione dei
pani sul monte davanti a migliaia di uomini (Gv 6,3-14), e dopo
l’improvviso e rasserenante incontro sul mare agitato, nel buio
assoluto (Gv 6,16-21), Gesù nella sinagoga di Cafarnao si offrì
alla folla sfamata e ai discepoli stupiti, come pane di vita disceso
dal cielo (Gv 6,35.41). Egli chiedeva loro di credere alla sua parola
e mangiare il suo corpo. Per la prima volta, annota il narratore,
«molti dei suoi discepoli», sentita la durezza di questo discorso e
scandalizzati, «si tirarono indietro e non andavano più con lui»
(Gv 6,66; cf. 6,60).
I Dodici, interpellati da Gesù, per
mezzo di Pietro espressero la volontà di restare, non perché
avessero compreso tale discorso, ma perché non avevano altri
autorevoli come lui da cui andare; non perché le parole di Gesù
fossero state mitigate, ma perché erano state riconosciute come
parole di vita eterna (Gv 6,68). Oggi come ieri, i veri discepoli
restano con Gesù, nonostante la durezza del suo discorso, perché
non c’è nessun altro che davvero meriti la loro fede e perché
solo le sue parole danno speranza alle attese e assicurano vita senza
fine.
Cari confratelli, vorrei tanto che tutti noi
potessimo ascoltare Gesù come i Dodici, mentre come fecero loro lo
aiutiamo a sfamare – di pane e di Dio – i nostri giovani. Avrei
un grande desiderio che l’ascoltassimo anche quando, come credenti
spaesati o messi alle strette, ci viene incontro mentre siamo immersi
nel buio o sommersi dal male. Bramerei tanto che tutti noi
dedicassimo un po’ più del nostro tempo ad accogliere Gesù e a
sentire la sua parola, «l’unica cosa necessaria» (Lc 10,42),
perché abbiamo finalmente capito che nessuno fuori di Lui ha
quelle parole che ci danno speranza e ci fanno vivere oggi e sempre.
Vi invito dunque a ripartire da Cristo, Parola di Dio.
1. Contemplare Cristo
ascoltando la Parola di Dio
Presentando
i documenti capitolari – e quindi l’impegno del sessennio –
vi scrivevo che «il futuro della nostra vitalità si gioca sulla
nostra capacità di creare comunità carismaticamente significative
oggi»; e subito aggiungevo che «la condizione di fondo è il
rinnovato impegno della santità»
[1] . Infatti, come ci
ricorda Giovanni Paolo II, «tendere alla santità è in sintesi il
programma di ogni vita consacrata, anche nella prospettiva del suo
rinnovamento alle soglie del terzo millennio»
[2] .
Vorrei
quindi riprendere le mie conversazione con voi sul tema della santità
e, facendo un passo in avanti, soffermarmi oggi sulla «centralità
della Parola di Dio nella vita comunitaria e personale»
[3] . La misura alta
della vita cristiana ordinaria, cui siamo chiamati, «non è
concepibile se non a partire da un rinnovato ascolto della Parola di
Dio»
[4] . Se poi «Dio deve
essere la nostra prima occupazione» e se «è Lui che ci invia e ci
affida i giovani»,
[5] dovremo avere la sua
Parola «quotidianamente fra le mani»,
[6] affinché,
apprendendo «la sublime scienza di Gesù Cristo (Fil 3,8)»
[7] , «camminiamo con i
giovani per condurli alla persona del Signore risorto» (Cost. 34).
Questa mia lettera è la continuazione del cammino che vi
ho indicato precedentemente.
[8] La santità,
che è il nostro «compito essenziale»
[9] e «il dono più
prezioso che possiamo offrire ai giovani» (Cost. 25), ha come
missione prioritaria quella di dire e
dare Dio ai giovani. Inoltre la nostra
è una santità consacrata,
cioè «memoria vivente del modo di
esistere e di agire di Gesù come Verbo
incarnato di fronte al Padre e di fronte ai fratelli»
[10] ; «prolungamento
nella storia di una speciale presenza del Signore risorto»
[11] , una «specie di
Vangelo dispiegato nei secoli»
[12] . Per diventare
quello che siamo chiamati ad essere, memoria vivente del Cristo,
sacramento della sua presenza nella storia, manifestazione del
vangelo al mondo, dobbiamo dedicarci con ferma convinzione ed impiego
di risorse alla contemplazione di Cristo.
Infatti, «ogni
vocazione alla vita consacrata è nata nella contemplazione, da
momenti di intensa comunione e da un profondo rapporto di amicizia
con Cristo, dalla bellezza e dalla luce che si è vista splendere sul
suo volto. Da lì è maturato il desiderio di stare sempre con il
Signore — “È bello per noi stare qui” (Mt 17, 4) — e di
seguirlo. Ogni vocazione deve costantemente maturare in questa
intimità con Cristo»
[13] .
Incontrarsi
oggi con il Cristo Risorto non è sogno irrealizzabile né impresa
folle; è grazia possibile, dono a portata di mano. Tutti possiamo
trovarLo, «perché Gesù è presente,
vive e opera nella sua Chiesa: Egli è
nella Chiesa e la Chiesa è in Lui (cfr Gv
15, 1ss; Gal
3, 28; Ef
4, 15-16; At 9,
5). Egli è presente nella Sacra Scrittura, che in ogni sua parte
parla di Lui (cf. Lc 24,
27.44-47)»
[14] .
Per
venirci incontro, «quando venne la pienezza del tempo» (Gal 4,4)
Dio si è fatto uomo in Gesù di Nazaret; ma prima – in principio –
«era il Verbo» (Gv 1,1). Come Parola atemporale e come uomo
storico, Dio si è incontrato con noi: nelle Scritture, che sono
“incarnazione” del Verbo di Dio, e in Gesù, che è incarnazione
del Figlio di Dio, noi ci incontriamo direttamente con Dio, senza più
intermediari e di persona. Bibbia e biografia di Gesù non sono che
due facce dell’unica incarnazione: il Verbo di Dio si fece carne
nel grembo di Maria e diventò libro nella Scrittura; «là coperto
dal velo della carne, qui dal velo della lettera»
[15] . Quindi la
Scrittura è «un unico libro, cioè Cristo; perché tutta la
Scrittura ci parla di Cristo e tutta la Scrittura trova compimento in
Cristo»
[16] . Con audacia
Ignazio di Antiochia scrive: «Mi rifugio nell’evangelo come nella
carne di Cristo»
[17] . Proprio per questo
San Girolamo afferma: «Chi ignora le Scritture non conosce Cristo»
[18] .
Per
conoscere Cristo non possiamo fare altro che accostarci alla Parola
di Dio. La contemplazione di Cristo passa necessariamente, anche se
non esclusivamente, per la conoscenza delle Scritture: una conoscenza
intima, personale, che avviene nel cuore, perché «soltanto il cuore
vede il Verbo»
[19] . Quando è il cuore
del credente che legge e quando sono i suoi occhi che scrutano
[20] , la Parola scritta
diventa Parola vivente e dall’incontro con essa sorge
l’identificazione con Cristo. È questo, appunto, il nostro
primo impegno, come ha ri cordato il
Papa alle persone consacrate: «Ogni realtà di vita consacrata nasce
e ogni giorno si rigenera nell’incessante contemplazione del volto
di Cristo. La Chiesa stessa attinge il suo slancio dal quotidiano
confronto con l’inesauribile bellezza del volto di Cristo suo
Sposo. Se ogni cristiano è un credente che contempla
il volto di Dio in Gesù Cristo, voi lo
siete in modo speciale. Per questo è necessario che non vi
stanchiate di sostare in meditazione sulla Sacra
Scrittura e, soprattutto, sui santi
Vangeli,
perché si imprimano in voi i tratti del Verbo incarnato»
[21] .
Sostare
in ascolto della Parola è dunque condizione per la contemplazione
del Cristo, che porta naturalmente all’amore, che a sua volta
giunge liberamente e necessariamente a quella resa totale che apre
all’accoglienza esclusiva. Marta imparò da Gesù stesso “l’unica
cosa necessaria”: dedicarsi all’ascolto della Parola. Ecco la
forma migliore di ospitare Dio (cf. Lc 10,42). «Se qualcuno mi ama –
ha detto Gesù ai discepoli radunati nell’intimità dell’Ultima
Cena – osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e verremo
a lui e faremo dimora presso di lui» (Gv 14,23). La familiarità,
che nasce dall’incontro personale col Cristo, si nutre con
l’ascolto e la pratica della sua Parola (cf. Lc 8,19-21) e si avvia
poi verso l’identificazione con la sua persona e la sua missione.
«I religiosi – chiedeva già il Concilio Vaticano II –
seguano Cristo
come l’unica cosa necessaria, ascoltando
le sue parole e pieni di sollecitudine per le cose sue»
[22] .
A
ragione il CG25, affermando che «oggi più che mai le nostre
comunità sono chiamate a rendere visibile ai giovani specialmente i
più poveri e bisognosi il primato
di
Dio,
che è entrato ne lla nostra vita, ci
ha conquistati e ci ha messi al servizio del suo Regno»
[23] , ci ha
orientato a «mettere Dio come centro unificante» della nostra vita
comune e quindi a favorire «la centralità della Parola di Dio nella
vita comunitaria e personale»
[24] . Questo è il
principale orientamento dei tre aspetti fondamentali, su cui il CG25
ha concentrato l’attenzione
[25] ; esso ha voluto
così sollecitare la Congregazione ad assecondare l’invito della
Chiesa, tante volte ripetuto, di un ritorno all’ascolto della
Parola, per familiarizzarsi con le esigenze di Cristo e diventare
famiglia di Dio (cf. Mc 3,31-35).
Se, dunque, «la vita
spirituale dev’essere al primo posto» nella nostra vita
consacrata, se «da questa opzione prioritaria… dipendono la
fecondità apostolica, la generosità nell’amore per i poveri, la
stessa attrattiva vocazionale sulle nuove generazioni»
[26] , non c’è dubbio
che la prima sorgente di essa sia la Parola di Dio. Essa «alimenta
un rapporto personale con il Dio vivente e con la sua volontà…
Dalla meditazione della Parola di Dio, e in particolare dei misteri
di Cristo, nascono… l’intensità della contemplazione e l’ardore
dell’azione apostolica»
[27] .
2.
Ascoltare la Parola di Dio da
salesiani
Tra noi
salesiani è ferma convinzione che, anche se «il vangelo è unico e
il medesimo per tutti», esiste «una lettura
salesiana del Vangelo, da cui deriva
una maniera salesiana di viverlo»
[28] . Al vangelo si sono
costantemente riferiti i fondatori per accogliere la vocazione,
discernere il carisma e individuare la missione propria dei loro Is
tituti
[29] . Pure Don Bosco «ha
rivolto lo sguardo a Cristo per cercare di rassomigliargli nei
lineamenti del volto che più corrispondevano alla sua missione
provvidenziale e allo spirito che la deve animare»
[30] ; nell’art. 11
delle Costituzioni vengono enumerati, appunto, questi tratti della
figura del Signore ai quali “siamo più sensibili nella lettura del
Vangelo”.
Ci sentiamo riconoscenti con Dio, perché
sappiamo che è «dono dello Spirito Santo» aver riscoperto le
«stesse percezioni evangeliche» – cioè, quel «certo “modo
salesiano” di intuire il volto e la missione di Cristo»
[31] – che aveva Don
Bosco. Nel suo tempo egli «ha fatto la sua lettura salesiana; dietro
di lui, nella sua corrente, alla sua luce, in spirito filiale, noi
dobbiamo fare oggi, per la nostra vita attuale, la nostra lettura
salesiana del Vangelo»
[32] . Questo approccio
alla Parola di Dio, specificamente salesiano, appartiene a quella
“sensibilità carismatica” di cui noi, come vi ho scritto, «siamo
coscienti e fieri»
[33] . Mi azzarderei a
dire di più, e per farlo prendo le parole del CGS: «il nostro
patrimonio spirituale è prima di tutto in questa lettura del
Vangelo»
[34] .
Conoscere
più profondamente il Cristo del Vangelo, nel modo con cui Don Bosco
l’ha compreso, darà garanzia di salesianità alla nostra
contemplazione di Cristo; è proprio quello che ho cercato di fare
recentemente, invitandovi a vivere da salesiani “contemplando
Cristo con lo sguardo di Don Bosco”
[35] . L’esperienza
personale di Cristo, che Don Bosco ha vissuto, è la chiave per
l’interpretaz ione salesiana della Parola di Dio; ciò significa
che la vita e l’opera di Don Bosco sono per noi “una Parola di
Dio incarnata”
[36] , una lettura
vissuta e carismaticamente normativa della Parola di Dio.
2.1
Don Bosco, “sacerdote della Parola”
Al
tempo in cui visse Don Bosco, la Bibbia non aveva una presenza forte
nel contesto ecclesiale e culturale; la Scrittura non era considerata
il primo tra i libri della fede. Pur non essendo del tutto assente
dal vissuto cristiano, essa era raggiungibile indirettamente
attraverso la mediazione ecclesiale, quasi esclusivamente liturgica o
catechetica; nella sua interpretazione si privilegiava poi
l’applicazione edificante ed il senso accomodato.
[37]
-
Formazione biblica e ministero personale
L’insegnamento religioso
che Mamma Margherita impartì, o meglio fece respirare, a Giovannino,
anche se forse non aveva riferimenti espliciti alla Bibbia, era
intriso di sensibilità e richiami biblici, che esprimevano «il
sentimento vivo della presenza di Dio, la candida ammirazione delle
opere sue nel creato, la gratitudine per i suoi benefici, la
conformità ai suoi voleri, il timore di offenderlo»
[38] . Il Dio di Don
Bosco è, come quello biblico, un Dio personale, che si nasconde
oltre la realtà, della quale è l’origine e la meta; è un Dio al
quale si arriva negli avvenimenti, del quale si parla raccontando
fatti, al quale si serve nel quotidiano
[39] .
Della formazione biblica di Don Bosco durante
gli anni di Seminario si possono ricavare scarsi elementi e poco
significativi; lo studio della Sacra Scritt ura doveva avere
un’importanza alquanto marginale. Nelle Memorie dell’Oratorio Don
Bosco elenca una serie di letture bibliche in cui egli si era
impegnato e accenna al suo amore per le lingue greca ed ebraica
[40] ; dei frutti di
questo studio le Memorie Biografiche offrono varie testimonianze,
forse con qualche punta di esagerazione.
[41] Negli scritti di Don
Bosco noi troviamo numerose citazioni della Scrittura; il suo
utilizzo è per lo più di carattere edificante: «Quando la
Scrittura non viene incorporata come pagina narrativa, ma come
sentenza sommamente accreditata, in genere è assunta in senso
morale, spesso anzi in senso estensivo (…) o arditamente
accomodatizio (…)»
[42] .
Ricercato
come predicatore per avere «molta facilità ad esporre la parola di
Dio», Don Bosco afferma inoltre che il suo modo di predicare
«incominciava con un testo scritturale»; l’efficacia del suo dire
era dovuta, oltre che alla dottrina e all’accentuazione spirituale,
all’abitudine di «poggiarsi sulla S. Scrittura e sui Santi Padri»
[43] . Va ricordato,
perché significativo, che la grazia chiesta “ardentemente” nella
sua prima messa fu l’efficacia della parola; «mi pare – scrisse
sul finire della vita – che il Signore abbia ascoltato la mia umile
preghiera»
[44] .
Anche
se non escluderà che la Bibbia sia “la parola di Dio” per
eccellenza, Don Bosco, d’altronde come i suoi contemporanei,
utilizza di solito l’espressione per indicare tutto l’insegnamento
della Chiesa
[45] . Cristiano, scrive,
è colui che ha «la Divina Parola per guida»
[46] . «La parola di Dio
è detta luce, perché illumina l’uomo e lo dirige nel credere,
nell’operare e nell’amare. È luce perché sminuzzata e ben
insegnata mostra all’uomo quale strada debba battere per giungere
alla vita eterna e felice. È luce perché calma le passioni degli
uomini, le quali sono le vere tenebre, tenebre folte e pericolose
tanto da non potere essere diradate se non dalla parola di Dio. È
luce perché, a dovere predicata, infonde i lumi della grazia divina
nel cuore degli uditori e fa loro conoscere la verità della fede»
[47] .
-
Efficace utilizzazione pedagogica
La relativa importanza dello studio della Sacra Scrittura
durante gli anni di seminario rende ancora più impressionante – ed
assai suggestivo – il modo con cui Don Bosco seppe valorizzare il
dato biblico nella sua attività educativa. Il riferimento alla
“parola di Dio” nella sua pedagogia fu costante; Don Bosco
costruì la santità dei suoi giovani su una solida evangelizzazione,
fondata nella “parola di Dio” e da essa rischiarata.
Nella
vita di Domenico Savio, quando Don Bosco ne descrive la crescita
spirituale, nota ad un tratto: «Aveva radicato nel cuore che la
parola di Dio è la guida dell’uomo per la strada del cielo».
Parlando della premura di Domenico di farsi spiegare ciò che nella
Sacra Scrittura non capiva, aggiunge: «Di qui ebbe cominciamento
quell’esemplare tenore di vita, quel continuo progredire di virtù,
quell’esattezza nell’adempimento de’ suoi doveri, oltre cui non
si può andare»
[48] . Ed infatti, nel
regolamento della compagnia dell’Immacolata, compilato dal Savio,
al punto 12° si legge: «Custodiremo colla massima gelosia la santa
parola di Dio, e ne riandremo le verità ascoltate»
[49] .
L’opera
in cui Don Bosco dimostra maggiormente la sua sensibilità biblica in
prospettiva educativa è certamente la Storia
Sacra. Nella Prefazione egli motiva
l’edizione di una nuova Storia Sacra, evidenziando innanzitutto i
difetti delle altre in circolazione: troppo voluminose o troppo
brevi, carenti di riferimenti cronologici e di sensibilità
pedagogica. Inoltre prospetta in positivo le qualità del suo testo:
presentazione accurata di tutte le notizie più importanti dei libri
sacri; attenzione a non risvegliare nei giovani idee meno opportune;
accessibilità del testo a qualsiasi giovane, a tal punto da potergli
dire: prendi e leggi. Don Bosco aggiunge che è arrivato a questo
risultato in seguito ad una lunga e concreta sperimentazione a
contatto con i giovani, studiando con attenzione le reazioni che in
essi poteva destare la sua presentazione.
[50]
Un altro
testo, che rivela l’importanza attribuita da Don Bosco alla Bibbia,
è il Giovane Provveduto,
un testo sul quale è stato detto che «per l’ascetica ha il valore
che le pagine del “Sistema Preventivo” hanno in pedagogia», che
è «il programma e il proclama della spiritualità proposta da Don
Bosco ai giovani, a cui il Santo si mantenne fedele fino all’ultimo
dei suoi giorni»
[51] . Don Bosco stesso
lo presenta come “libro di devozione adattato ai tempi”: «ho
procurato – scrive – di compilare un libro adatto alla gioventù,
opportuno per le loro idee religiose, appoggiato sulla Bibbia, il
quale esponesse i fondamenti della religione cattolica colla massima
brevità e chiarezza»
[52] . Difatti,
analizzando le indicazioni che Don Bosco dà ai giovani si constata
che esse sono “appoggiate” su più di 40 citazioni bibliche,
anche se non tutte esplicite.
Una speciale “intonazione
biblica” di fondo è stata individu ata da uno storico un po’
critico nel modo stesso di raccontare di Don Bosco.
[53] Da buon educatore ed
eloquente comunicatore, Don Bosco ha saputo servirsi con fantasia dei
mezzi di comunicazione che aveva a disposizione: gioco, musica,
teatro, passeggiate, liturgia, feste, … Uno di essi erano le
scritte, tratte dalla Bibbia, che volle fossero poste sotto i portici
di Valdocco. «Voleva – commenta il biografo – che perfino le
mura della sua casa parlassero della necessità di salvarsi l’anima».
[54]
Determinante
per il ricorso di Don Bosco alla Bibbia nella sua opera educativa è
stata, crediamo, la ragione teologica: la Bibbia è il libro sacro
per eccellenza. Inoltre hanno pesato anche altri motivi: l’educazione
ricevuta in famiglia, satura di religiosità genuina e quindi
sostanzialmente biblica; le sue misteriose esperienze del
soprannaturale, che si manifestano per esempio nei sogni e che sono
marcatamente bibliche; il suo temperamento e la sua inclinazione per
studi positivi, sia storici che esegetici; un po’ meno forse
l’impostazione culturale e l’esperienza formativa del Seminario.
In lui il ricorso alla Bibbia ha una finalità morale ed educativa;
serve a indirizzare la risposta dell’uomo all’azione di Dio.
Come sacerdote e pedagogo, Don Bosco mise la Parola di
Dio al centro del suo lavoro apostolico, sì da essere stato chiamato
“sacerdote della parola”. «Operaio della parola – scriveva Don
Ceria – è chi fa con la parola opera sua e per gusto e volere suo;
sacerdote della parola diremo invece chi esercita con la parola un
ministero, il ministerium verbi…,
un uso sacro della parola, fatto in nome di Dio e a spirituale
servizio del prossimo, per dovere di vocazione»
[55] .
2.2 &n
bsp; I giovani, luogo e ragione del
nostro ascolto di Dio
Servire
la Parola per dovere di vocazione! Ecco una indovinata ed opportuna
descrizione della meta, e del motivo, dell’evangelizzazione
salesiana, la quale ovviamente esige
una previa lettura salesiana
del vangelo. Noi salesiani, «evangelizzatori dei giovani», ha
scritto il CG21, «accompagniamo quest’opera accettando
innanzitutto l’evangelizzazione di noi
stessi. Immersi nel mondo, siamo spesso
tentati dagli idoli e sappiamo di avere incessantemente bisogno di
ascoltare la parola di Dio, di convertici ad essa»
[56] .
Come
leggere il vangelo e perché farlo da
salesiani?
Per leggere oggi il vangelo come Don
Bosco e aggiornarne le scelte, dobbiamo sentirlo all’interno della
tradizione salesiana da lui originata; è in essa che si sono
mantenute e sviluppate, approfondite e realizzate le sue intuizioni
evangeliche. «La fedeltà dinamica e viva della Congregazione alla
sua [di Don Bosco] missione nella storia»
[57] è il primo e
miglior avallo per garantire la salesianità
del nostro ascolto della Parola di Dio.
La lettura
salesiana della Scrittura non dipenderà solo da un’accurata
esegesi scientifica, per quanto fondata ed aggiornata sia, ma
innanzitutto dalla fedeltà rinnovata alla nostra missione: i giovani
(Cost. 3). Le loro necessità muovono ed orientano la nostra azione
pastorale (Cost. 7); e noi, «con Don Bosco, riaffermiamo la
preferenza per “la gioventù, povera, abbandonata, pericolante”,
che ha maggior bisogno di essere amata ed evangelizzata» (Cost. 26).
Il salesiano, che leggendo la Bibbia vuole ascoltare Dio, si mette a
sentire la voce dei giovani, i loro bisogni e le loro aspirazioni, i
loro silenzi e le lor o speranze, le loro mancanze e i loro sogni; i
giovani sono, in effetti, «l’altra fonte della nostra ispirazione
evangelizzatrice»
[58] .
«Mandato
ai giovani da Dio» (Cost 15), il salesiano si fa presente tra loro
con «un atteggiamento di fondo: la simpatia e la volontà di
contatto» (Cost. 39). La missione lo spingerà a «raggiungerli nel
loro ambiente e ad incontrarli nel loro stile di vita» (Cost. 41);
li accoglierà «al punto in cui si trova la loro libertà» (Cost.
38). Questa immancabile presenza apre il salesiano «alla conoscenza
vitale del mondo giovanile» (Cost. 39); così il salesiano, «immerso
nel mondo e nelle preoccupazioni della vita pastorale», impara a
«incontrare Dio attraverso quelli a cui è mandato» (Cost. 95) e a
«riconoscere l’azione della grazia nella vita dei giovani» (Cost.
86), come fece Don Bosco.
Perciò non possiamo mai
esiliare dai nostri cuori o abbandonare nelle nostre opere i giovani.
Essi sono la «patria della nostra missione»
[59] . Fanno parte del
nostro “credo” salesiano: «Noi crediamo che Dio ci sta
attendendo nei giovani per offrirci la grazia dell’incontro con Lui
e per disporci a servirlo in loro, riconoscendone la dignità ed
educandoli alla pienezza della vita. Il momento educativo diviene
così il luogo privilegiato del nostro incontro con Lui»
[60] . Se vogliamo vivere
contemplando Dio, se siamo disposti a udire la sua voce e ascoltare
la sua Parola, dobbiamo restare con i giovani, essere in mezzo a
loro. Allora Dio ci parlerà chiaro. Infatti, «stiamo tra i giovani
perché vi ci ha inviati Dio, e scrutiamo la loro condizione
giovanile in tutta la sua problematica perché, attraverso essa, è
Cristo stesso che ci interpella»
[61] .
Per
trovarsi con Dio e ascoltare la sua Parola, non c’è dunque bisogno
di lasciare i giovani, affettiva e/o effettivamente, e di abbandonare
la missione salesiana; essa, realizzata in rappresentanza e sotto il
mandato di Cristo, è il miglior motivo per andare da Lui e restare
con Lui. Mai, nemmeno nei momenti più contemplativi, può scomparire
dall’orizzonte della comunità salesiana la visione dei giovani da
salvare!
[62] Quando Gesù accolse
i suoi discepoli, che ritornavano entusiasti dalla loro prima
missione apostolica, prima di invitarli in disparte per riposarsi, si
lasciò dire «tutto ciò che avevano fatto e ciò che avevano
insegnato» (Mc 6,30). Essere con i giovani, sentire le loro urgenze
e consentire alle loro richieste, non può diventare ostacolo né
vera scusa, per cercare Dio e accogliere la sua Parola. Da chi
impareremo la compassione per i giovani poveri, abbandonati e
pericolanti, se non contempliamo la passione di Cristo per loro e non
sentiamo le “molte cose” che Egli ha da dirci (cf. Mc 6,34)?
Ebbene, imitare Don Bosco, ministro della Parola, e
sapersi “missionari dei giovani”
[63] , sono le condizioni
previe e necessarie per ascoltare Dio da
salesiani e contemplare il Cristo. Lo
diceva già il CGS con altre parole: «conoscere più profondamente
il Cristo del Vangelo e il modo con cui Don Bosco l’ha compreso e
imitato… ci rende capaci di riattualizzare
le intuizioni evangeliche dello spirito
salesiano e di potenziarle secondo
le nuove possibilità e gli immensi bisogni del mondo odierno»
[64] .
3.
«Non sta bene che noi trascuriamo la parola di Dio» (At 6,2)
Mi
è sembrato sempre suggestivo e lungimirante il racconto del libro
degli Atti, in cui si narrano le difficoltà sorte all’interno
delle prime comunità cristiane e la immediata e paradigmatica
reazione apostolica: «Non sta bene che noi trascuriamo la parola di
Dio per servire alle mense. Cercate piuttosto in mezzo a voi, o
fratelli, sette uomini di buona fama, pieni di spirito e di sapienza,
che noi preporremo a questo servizio. Così noi ci dedicheremo
pienamente alla preghiera e al ministero della parola» (At 6,2-4).
La Chiesa di Gerusalemme, per il successo conosciuto
nell’opera di evangelizzazione (At 2,14-41; 3,12-26; 5,12-16),
dovette affrontare presto l’ostilità dell’autorità (At 4,1-22;
5,7-33), e soffrire gravi problemi interni, che misero alla prova la
sua vita fraterna (At 2,41-47; 4,32-35) e persino la sua
sopravvivenza. La crisi interna alla comunità fu in realtà più
pericolosa delle persecuzioni: lo scontro che metteva a rischio il
vivere insieme dei due gruppi etnici di credenti – “ellenistici”
ed “ebrei” – era soprattutto di origine sociale (At 6,1). Di
fronte alla minaccia di divisione nella comunità, gli apostoli
decisero di creare qualcosa di nuovo, il diaconato
– la prima istituzione ecclesiale
– un servizio alle mense comunitarie, che risanasse la fraternità
e saldasse l’unità. Da allora in poi, non avendo più a che fare
con la quotidiana distribuzione di beni, essi determinarono di
dedicarsi esclusivamente all’ufficio apostolico. Da una crisi
comunitaria sorse così non solo un nuovo ministero ecclesiale in
favore della carità, ma soprattutto si realizzò una vera
“conversione” negli apostoli, che ritornarono alle loro
competenze più specifiche: la pratica della preghiera e il ministero
della parola.
Oltre ad essere esemplare, quella reazione
apostolica rimane anche oggi normativa. Ricordiamo l’episodio
appunto perché è parola di Dio. Chi nella comunità cristiana si
dedica alla predicazione, mette in salvo l’unità della fede
restaurando la carità; ma poi è necessario che ritorni alle
attività che meglio lo contraddistinguono: pregare e servire la
Parola. Gli apostoli, che vedono minacciati i loro sforzi di
evangelizzazione, sono costretti a tornare all’essenziale; alcune
mansioni possono essere delegate ad altri, mai la preghiera e la
predicazione. Neppure la cura della vita comune può portare un
apostolo a trascurare preghiera e parola di Dio: qualsiasi altro
impegno assunto, anche se urgente, deve passare ad altre mani. Per i
Dodici divenne chiaro che avevano il compito di custodire e garantire
la vita comune dei credenti, senza trascurare però preghiera e
Parola, altrimenti avrebbero tradito il ministero apostolico loro
affidato.
Qualcuno di voi potrebbe accennare al
fatto – che, se avvertito, non sempre è ben capito – che
sembrerebbe contraddire quanto vi sto scrivendo: nelle nostre
Costituzione, infatti, il capitolo VII, «che tratta della preghiera
salesiana, intesa nel suo significato più profondo di dialogo con il
Signore», è stato collocato alla fine della seconda parte, «come
sintesi conclusiva dell’intera descrizione del progetto salesiano»
[65] .
Ebbene,
«sarebbe un errore interpretare questa collocazione come una
diminuzione dell’importanza data alla preghiera, sotto il pretesto
che viene trattata “dopo” i temi della missione (cap. IV), della
comunità (cap. V) e dei consigli evangelici (cap. VI). Al contrario!
Dando alla preghiera questo posto conclusivo, il CG22 ha voluto far
percepire che la vita consacrata-apostolica del salesiano… ha un
carattere talmente soprannaturale, supera talmente la nostra buona
volontà da essere impossibile e impraticabile senza lo Spirito
Santo, senza la grazia di Dio… Viene suggerito inoltre che tutti
gli impegni concreti della vita e dell’azione del salesiano sono d
estinati a “sbocciare” nella preghiera e “diventare”
anch’essi comunione profonda con Dio»
[66] .
«La
preghiera è l’anima dell’apostolato, ma anche l’apostolato
vivifica e stimola la preghiera»
[67] . Non c’è quindi
contraddizione tra missione e contemplazione, vita apostolica e vita
di preghiera; al contrario, quella scaturisce da questa e da essa si
alimenta; infatti, il nostro progetto di vita e la nostra missione
apostolica sono nati da Dio (cf. Cost. 1) e in Dio sempre rinascono.
È così che la vita di preghiera, che per noi è dono
di Dio e risposta
a Lui (cf. Cost. 85), mantiene l’intimo legame con ogni elemento
della nostra vocazione e resta il suo stimolo permanente: chi
tralascia di ascoltare Dio, chi non ha tempo per Lui, prima o dopo
lascerà i giovani (azione pastorale), trascurerà la vita comune
(comunione fraterna) e abbandonerà la sequela di Cristo (consigli
evangelici). Cari confratelli, ritorniamo a Dio, «avendo
quotidianamente in mano la Sacra Scrittura» (Cost. 87) e la missione
salesiana tornerà ad essere per noi gioia e ragione della nostra
vita consacrata.
3.1
Ascoltare la Parola per fare
esperienza di Dio
Per
quanti credono, ascoltare Dio non è occupazione saltuaria né
gradevole passatempo, ma necessità ineludibile. Il tratto che meglio
definisce il Dio vero è la sua volontà di manifestarsi, il suo
impegno di venire incontro agli uomini mediante la sua parola, prima
e ripetute volte attraverso i profeti, poi e in modo definitivo nel
Figlio (Eb 1,2). «Con questa rivelazione infatti Dio invisibile (cf.
Col 1,15; 1 Tim 1,17) nel suo grande amore parla agli uomini come ad
amici (cf. Es 33,11; Gv 15,14-15) e si intrattiene con essi (cf. Bar
3,38), per invitarli e ammetterli alla comunione c on sé»
[68] .
La
Parola non solo svela l’esistenza di Dio, ma è innanzitutto la sua
stessa essenza: Dio è Verbo (Gv 1,1-4); diversamente dai falsi dèi,
«che hanno bocca e non parlano ... non emettono suoni dalla loro
bocca» (Sal 115,5.7), l’unico Dio ha una voce vigorosa, maestosa,
sconvolgente, scuotente (cf. Sal 29,3-9); a differenza degli idoli
muti (1 Cor 12,2) che ammutoliscono i loro servitori (cf. Sal 115,8),
Dio fa parlare chi lo ascolta: i suoi uditori diventano profeti! (Am
3,8; cf. Ger 1,6.9; Is 6,5-7; Ez 3,1). E mentre
arriva il giorno in cui vedremo Dio “faccia a faccia” (1 Cor
13,12), ci sprona la certezza che noi non dobbiamo cercare invano,
come se Egli parlasse in segreto (Is 45.19); raggiungiamo invece Dio
nella sua Parola e lo incontriamo nel suo Figlio: «Dio nessuno l’ha
mai visto; proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre,
lui lo ha rivelato» (Gv 1,18).
Per avvicinarsi e
incontrarsi con la Parola, occorrono particolari atteggiamenti
spirituali: non basta «rendere presente la Parola nella sua nuda
oggettività, perché si renda presente la potenza stessa di Dio»
[69] ; al Dio che parla
«è dovuta l’obbedienza della fede»
[70] . Per incontrare Dio
abbiamo dunque bisogno di sottometterci alla disciplina dell’ascolto,
che impone due atteggiamenti di fede oggi non tanto apprezzati, ma
che assicurano indefettibilmente l’incontro col Dio Parola:
l’adorazione silenziosa come condizione previa e la rinuncia a
farsi immagini di Dio.
-
Adorare in silenzio
«Taci
e ascolta, Israele» (Dt 27,9). Il tono imperioso del mandato biblico
non lascia spazio al dubbio: chi vuole ascoltare Dio, deve amare il
silenzio. San Giovanni della Croce spiega così questa regola di vit
a spirituale: «il Padre pronunciò una Parola, che fu suo Figlio, e
sempre la ripete in un eterno silenzio; perciò in silenzio essa deve
essere ascoltata dall’anima»
[71] . La supremazia di
Dio viene riconosciuta ed accettata dal credente, innanzitutto, «con
l’adorazione silenziosa e con la prolungata preghiera»
[72] .
Il
commento all’articolo 87 del nostro Progetto di Vita è molto
esplicito: «Il primo atteggiamento della comunità orante non è
quello di parlare: come per ogni credente, è anzitutto quello di
tacere per ascoltare»
[73] . Restare in
silenzio davanti a Dio non è tempo perso, vuoto di lavoro e di
senso, ma espressione dello stupore che Egli provoca in noi e segno
dell’adorazione e del rispetto che Egli merita. Senza silenzio
esterno, assenza di voci, suoni e rumori, e soprattutto senza quel
silenzio interiore, che mette a tacere i nostri desideri e la voglia
di vivere da e per se stessi, non trova in noi spazio la Parola di
Dio, né accoglienza cordiale: Il Maestro, diceva Sant’Agostino,
parla dentro al cuore, insegna nell’intimità, rendendo inutili le
voci che vengono dal di fuori.
[74]
Se da
parte di Dio in principio c’era la Parola e in questa Parola ci è
stata donata grazia e verità (Gv 1,1.14), da parte nostra il
silenzio riverente ed accogliente deve stare all’inizio. È questo
un silenzio attivo, che sta in attesa della Parola desiderata e si
stacca da tutte le altre voci; è un silenzio pieno, che sa di essere
alla presenza di un Dio adorabile e resta, come il servo, con gli
occhi rivolti verso il suo padrone (cf. Sal 123,2). «Che cosa Dio
possa dire all’uomo, con quanta intensità, con quale forza
comunicativa non può essere anticipato, determinato, deciso
dall’uomo. L’unica anticipazione, l’unica decisione, che
compete all’uomo, è quella del silenzio pieno di attesa, di
rispetto, di obbedienza»
[75] . Per vivere oggi da
credenti, si deve poter convivere col silenzio; riempire la vita di
parole e frastuono è prendere la strada dell’incredulità:
«ciascuno è invitato a riscoprire nel silenzio e nell’adorazione
la sua chiamata ad essere persona davanti a un Tu personale che lo
interpella con la sua Parola»
[76] .
-
Rinunciare a farsi immagini di Dio
«A
chi paragonerete Dio? Quale immagine gli
potete trovare?», domanda Isaia (40,18). Poiché Dio è Parola (Gv
1,1), l’ascolto è l’unico modo di trovarlo, la conversazione la
forma di trattenersi con lui. Il vero Dio non si lascia vedere,
neppure dagli amici più stretti (cf. Es 33, 18-20), quelli che, come
Mosè, sono riusciti a parlare con lui “faccia a faccia” (Es
33,11; Dt 34,10). Anzi il vero Dio proibisce tassativamente perfino
che si facciano immagini di Lui (Es 20,4; 2 Re 11,18).
Al
credente è vietato procurarsi immagini di Dio, sia quelle fabbricate
con le proprie mani sia quelle concepite con l’immaginazione (Dt
4,16-18; 1 Re 14,9: Os 13,2) o con i desideri del cuore (cf. Es
32,1); niente di quanto è opera di mani umane (Sal 115,4), può
riflettere la gloria del Dio vivente. Farsi un’immagine di Dio è
convertirlo in un idolo senza vita (Sal 115,2-4). Forgiare una
rappresentazione di Dio a misura delle proprie necessità non libera
né dà sollievo (Es 32,1-8), anzi aumenta la fatica. Israele, che
vuole un dio «che vada davanti» a sé (Es 30,2), è poi costretto a
trasportare quello che ha piedi ma non può camminare (cf. Am 5,26).
Ecco la tragica conseguenza di non accogliere il Dio Parola: si
finisce per crearsi immagini di Dio e diventare come l’opera
della propria mente e delle proprie mani: muto, cieco, senza alito né
vita (Sal 115,8).
Chi vuole sentire Dio, lo deve
ascoltare, cioè deve «vedere la Parola» (cf. Dt 4,9), «guardando
le Scritture come il volto di Dio», «imparando a riconoscere in
esse il cuore di Dio»
[77] . L’incontro
con Dio nella Bibbia è un avvenimento sensibile, ma non visuale; non
sono coloro che vedono, ma sono coloro che ascoltano la Parola e la
conservano, a riuscire a trovare Dio e rendersi suoi intimi.
Sant’Agostino afferma che soltanto gli occhi del cuore riescono a
vedere il cuore della Parola.
[78] Per guidarci con la
sua Parola, per alimentarci con le sue promesse, Dio non permette che
ci facciamo figure sue.
3.2
Ascoltare la Parola per diventare
comunità
«Dio
raduna la nostra comunità e la tiene unita con il suo invito, la sua
Parola, il suo amore» (Cost. 85). Questa affermazione costituzionale
rispecchia fedelmente una convinzione basilare della fede biblica,
quella che più esplicitamente ripete l’articolo 87: «Il popolo di
Dio viene adunato innanzitutto per mezzo della Parola del Dio
vivente».
Infatti quando Dio parla, raduna coloro che lo
ascoltano; il suo popolo nasce convocato dalla Parola e nel suo
ascolto rimane congregato. Prima di introdursi nella terra promessa,
Mosè ammonì tutto Israele: «Oggi sei divenuto un popolo per il
Signore tuo Dio. Ascolterai la voce del Signore tuo Dio» (Dt
27,9-10). E Gesù dichiarò suoi familiari non quelli che, fermatisi
di fuori, mandavano a chiamarlo, ma quelli che, in cerchio attorno a
lui, lo ascoltavano e facevano quel che diceva (Mc 3,31-35). Stare a
sentire Dio è l’origine e la causa del vivere insieme. Si diviene
credenti accogliendo la Parola di Dio e si resta cre denti vivendo la
fede in comune.
-
Radunati perché salvati
La
vita in comune è per il popolo di Dio il modo di vivere la salvezza
di Dio; vivere congregati significa essere salvi dai mali e liberi da
se stessi. Israele imparò questo attraverso un lungo e amaro
tirocinio nel deserto (Es 17,1-17.25): in una terra di nessuno,
soltanto Dio lo poteva mantenere unito e libero (Dt 7,4; 8,14;
11,2-28); soltanto alimentato dalla sua Parola riuscì a sopravvivere
(Dt 8,3); e quando i profeti sogneranno una nuova salvezza,
annunzieranno un nuovo e definitivo raggruppamento dei dispersi (Is
43,5; Ger 23,3; 29,14; 32,27; Ez 11,17; 34,14; 36,24), che sarà
compiuto quando uno dovrà morire per l’intera nazione, «per
radunare insieme
nell’unità i figli dispersi di Dio» (Gv 11,52).
Se
dall’ascolto della Parola nasce il popolo di Dio, nessuno può
illudersi di sentire Dio senza sentirsi membro della comunità dei
suoi ascoltatori. Poiché la Parola di Dio ascoltata fa sorgere la
comunità, la forma migliore di rispondere a Dio è quella di
rendersi responsabili della vita comune. Questo criterio ci invita ad
irrobustire il senso di appartenenza alla comunità, che è radunata
«per mezzo della Parola di Dio» (Cost 87), ad andare incontro a Lui
accompagnati dai confratelli, ad ascoltarLo insieme. Solo nella
comunità, nata e mantenuta dalla Parola di Dio, si può accedere ad
essa: difatti solo in assemblea noi credenti confessiamo che la
lettura della Scrittura è Parola del Dio vivente.
Sfuggire
il dialogo tra fratelli, scappare dal vivere insieme, evitare la
convivenza quotidiana e la preghiera comune, fa sì che non soltanto
i confratelli ci sembrino lontani, ma che anche Dio ci diventi
estraneo, uno che in fin dei conti non significhi m olto.
Diversa è l’esperienza di chi sente Dio, perché si sente
fratello e trova gioia nell’impegno di vivere insieme ed ascoltare
Dio. La Genesi ci ricorda che la pretesa di Adamo di nascondersi da
Dio, il suo rifiuto di incontrarlo e rispondergli (Gn 3,8-9), gli
fece sperimentare il frutto amaro della morte dei suoi cari e la
rottura dell’unità della sua famiglia. Dio e la sua Parola rendono
possibile la vita insieme, perché ci fanno scoprire fratelli. La
vita fraterna dipende sì dalla buona volontà e collaborazione di
tutti i membri della comunità, ma soprattutto dal comune ascolto di
Dio: «la fraternità non è solo frutto dello sforzo umano, ma è
anche e soprattutto dono di Dio. È dono che viene dall’obbedienza
alla Parola di Dio»
[79] .
-
Responsabili dei fratelli
La
comunità, luogo dell’ascolto di Dio, è dunque anche spazio di
fraternità; ad essa siamo stati inviati, in essa ci sono affidati
fratelli da amare (cf. Cost. 50). Non c’è da meravigliarsi perciò
che quando Dio viene per incontrarci, ci domandi conto dei nostri
fratelli. Questa è stata l’esperienza di Caino (Gn 4,9) che, non
accettando la missione d’essere custode del suo fratello Abele,
rifiutò la compagnia di Dio (Gn 4,10), anche se questo non lo liberò
da Dio e dalle sue domande.
Dandoci “fratelli da
amare”, Dio ci ha affidato la loro custodia come compito. La nostra
obbedienza a Dio trova il suo banco di prova nella nostra
responsabilità verso i confratelli che ci sono affidati. Da una
parte è molto bello che Dio si prenda cura di noi, mettendoci sulla
strada dell’amore come via di crescita, la via più eccellente
secondo San Paolo (1 Cor 12,31). Dall’altra, è un’avvertenza
quanto è accaduto a Caino: chi non sa rispondere di suo fratello, si
trasforma in straniero nella sua terra e nella propria casa (Gn
4,14).
Se diamo ai nostri fratelli l’attenzione che
meritano, specialmente a coloro che sono o si sentono lontani, oltre
al fatto di verificarci come buoni pastori troveremo il posto e le
parole per conversare con Dio. Nel Discorso della Montagna Gesù ci
rammenta che l’incontro con Dio esige, come condizione previa, una
fraternità non frantumata o, se infranta, restaurata (cf. Mt
5,20-24).
Come afferma la prima lettera di Giovanni,
«chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che
non vede» (4,20). Accettare chi vive accanto a noi come “qualcuno
che ci appartiene”, soggetto a cui vanno le nostre attenzioni, ci
dispone favorevolmente ad attendere Dio e ricevere le sue attenzioni.
Se vogliamo fare della nostra vita comune luogo dell’ascolto di
Dio, essa deve essere, prima e sempre, casa dove il fratello è
accolto con cuore aperto, accettato com’è, provvisto di ciò che
gli occorre, sostenuto nei momenti di difficoltà (cf. Cost. 52).
3.3
Ascoltare la Parola per rimanere
fedeli
«La
fede nasce dall’ascolto», scriveva San Paolo ai Romani (Rm 10,17).
L’approccio orante alla Parola di Dio costituisce «la radice della
spiritualità della Chiesa, la radice della spiritualità cristiana,
e non è esclusiva di una o di un’altra spiritualità. Una
spiritualità cristiana non basata sulla Scrittura difficilmente
potrà sopravvivere in un mondo complesso come quello moderno, in un
mondo difficile, frantumato, disorientato»
[80] . Anche noi
salesiani a stento riusciremo a mantenerci oggi credenti, se non
facciamo dell’ascolto della Parola di Dio la prima occupazione
della nostra vita, la sorgente della nostra missione. Lo riconobbe
già con audace sincerità il CGS quando avvertiva che il salesiano,
nella molteplicità delle sue occupazioni, può incontrare ostacoli
all’ascolto. «Tentato dalla fretta e dalla superficialità,
troverà il segreto del suo rinnovamento soprattutto nella Parola di
Dio seriamente approfondita»
[81] .
Per
risvegliare e alimentare la fede «è necessario che l’ascolto
della Parola diventi un incontro vitale», quello appunto «che fa
cogliere nel testo biblico la parola viva che interpella, orienta,
plasma l’esistenza»
[82] . «È lì infatti
che il Maestro si rivela, educa il cuore e la mente. È lì che si
matura la visione di fede, imparando a guardare la realtà e gli
avvenimenti con lo sguardo stesso di Dio, fino ad avere “la mente
di Cristo’”(1 Cor 2, 16)»
[83] . Cos’altro è la
fede se non contemplare se stessi e scrutare la realtà con lo
sguardo di Dio? E per vedere la realtà come la vede Dio, bisogna
pure sentire il parere di Dio, accogliere la sua Parola. Accolta la
Parola, «viva ed efficace» com’è (Eb 4,12), essa diventa vita
nostra e le promesse di Dio si realizzano in noi e attraverso noi nel
mondo.
Vi commento ora brevemente «i benefici della
Parola ascoltata nella fede»
[84] , come sono
presentati nella nostra Regola di Vita (cf. Cost. 87).
-
“Fonte di vita spirituale” (Cost.
87)
«La
Parola di Dio è la prima sorgente di ogni spiritualità cristiana.
Essa alimenta un rapporto personale con il Dio vivente e con la sua
volontà salvifica e santificante»
[85] . Dall’ascolto
della Parola scaturisce la vita nello Spirito; sotto la sua azione
«vengono difesi con tenacia i tempi di orazione, di silenzio, di
solitudine e si implora dall’Alto con insistenza il dono della
sapienza nella fatica di ogni giorno (cf. Sap 9, 10)»;
[86] ed è così che «la
persona consacrata ritrova la propria identità ed una serenità
profonda, [e] cresce nell’attenzione alle provocazioni quotidiane
della Parola di Dio»
[87] .
Strumento
di eccezione per la crescita nell’ascolto della Parola è la lectio
divina; essa è un metodo di lettura
credente della Scrittura, utilizzato fin dagli inizi della vita
religiosa, che in essa ha sempre goduto della «più alta
considerazione. Grazie ad essa, la Parola di Dio viene trasferita
nella vita, sulla quale proietta la luce della sapienza, che è dono
dello Spirito»
[88] . A ragione il CG25,
nel primo orientamento operativo circa la testimonianza evangelica,
esorta la comunità salesiana a «mettere Dio come centro unificante
del suo essere ed a sviluppare la dimensione comunitaria della vita
spirituale, favorendo la centralità
della Parola di Dio nella vita comunitaria e personale mediante la
‘lectio divina’»
[89] .
Spero
che nessuno di voi pensi che con questo orientamento il CG25 abbia
introdotto un elemento estraneo alla nostra spiritualità; «l’antica
e sempre valida tradizione della lectio
divina»
[90] ha trovato casa
nella vita religiosa fin dagli inizi ed attualmente essa risulta
quanto mai necessaria: «oggi un cristiano non può diventare adulto
nella fede, capace di rispondere alle esigenze del mondo
contemporaneo, se non ha imparato a fare in qualche modo la
lectio divina»
[91] .
Non mi
sembra adesso il momento di fare un’ampia presentazione di questo
modo di pregare la Parola di Dio, ormai tanto conosciuto
[92] e adoperato con fru
tto anche tra noi. Vorrei però ricordarvi il suo scopo fondamentale
ed accennare brevemente il suo metodo come pressante invito a
ciascuno di voi a diventarne sperimentati conoscitori ed abili
maestri.
Direi che l’obiettivo della lectio
divina è ascoltare Dio pregando la sua
Parola, per vedere se stessi come Lui ci vede e volere se stessi come
Lui ci vuole. Ad esso si arriva mediante un approccio sapienziale
alla Parola scritta, che fa tesoro dell’esperienza di quanti hanno
consacrato la loro vita a sentire Dio, per capire la realtà e loro
stessi come parole di Dio. Nella lectio
la Parola di Dio diventa chiave della comprensione di sé; si cerca
di lasciare che Dio ci dica chi siamo noi per Lui e cosa vuole Lui da
noi.
Per diventare familiare, la lectio
divina, come qualsiasi metodo di
preghiera, richiede esercizio, ma chiede soprattutto volontà di
ascolto e disponibilità di obbedienza. Nella più solida tradizione
presenta quattro tappe o “gradi spirituali”: la lettura (lectio),
la meditazione (meditatio),
la preghiera (oratio),
la contemplazione (contemplatio).
Più recentemente, secondo lo spirito della modernità, si è
aggiunta un’altra tappa: l’azione (actio);
sono pure indicati con frequenza altri elementi (discretio,
deliberatio,
collatio,
consolatio,
ecc.), ma in realtà essi non sono altro che aspetti che di solito
accompagnano le tappe fondamentali.
- Lettura.
Si inizia la lectio
divina leggendo con attenzione, meglio
sarebbe dire rileggendo a più riprese, il testo nel quale cerchiamo
di ascoltare Dio. Il testo scelto ci può sembrare facile da capire,
o ben conosciuto; non importa; lo si deve ripassare finché diventi
familiare, quasi ad impararlo a memoria, «mettendo in rilievo gli
elementi portanti»
[9 3] . Non si va oltre
questo primo passo finché non si può rispondere alla domanda: cosa
significa in realtà quel che ho letto?
- Meditazione.
Scoperto il senso del testo biblico, il lettore attento cerca di
coinvolgersi personalmente, applicando il significato afferrato alla
propria vita: che cosa mi dice il testo?
«Meditare quanto si legge porta ad appropriarsene, confrontandolo
con se stessi. Qui si apre un altro libro: quello della vita. Si
passa dai pensieri alla realtà. A misura dell’umiltà e della fede
che si ha, vi si scoprono i moti che agitano il cuore e li si può
discernere»
[94] . La Parola sentita
chiede consenso, non viene accolta se non arriva al cuore ed opera
conversione. Capire il testo porta a comprendersi alla sua luce; così
il testo letto e compreso diventa norma di vita: cosa
fare per attuarlo, come fare per dare quel senso alla propria
esistenza?
- Orazione.
Conoscere, indovinare, anche solo immaginare quello che Dio vuole
porta naturalmente alla preghiera; così diventa ardente desiderio
quello che deve diventare la vita quotidiana. L’orante non chiede
tanto ciò che gli manca, ma piuttosto ciò che Dio gli ha fatto
vedere e capire. Si incomincia ad anelare a quello che Dio ci chiede:
si fa del volere di Dio su di noi l’oggetto della nostra preghiera.
- Contemplazione. Dal
desiderio di fare la volontà di Dio si passa poco alla volta, quasi
senza accorgersene, all’adorazione, al silenzio, alla lode,
«all’abbandono umile e povero all’amorosa volontà del Padre in
unione sempre più profonda con il Figlio suo diletto»
[95] . Dal contemplare se
stessi e il proprio mondo alla luce di Dio, dal vedersi come Dio ci
vede si passa al contemplarsi veduti da Dio, al sapersi davanti a
colui che è l’ogg etto del nostro desiderio, l’interlocutore
unico della nostra preghiera. A differenza delle tappe precedenti,
che sono esercitazioni che richiedono forza di volontà, «la
preghiera contemplativa è un dono, una grazia»
[96] , né normale né
dovuta; la si può attendere e desiderare, chiedere ed accogliere,
mai avere automaticamente.
Vi posso rivelare che
personalmente mi sento obbligato con la scelta del CG25 di «ravvivare
continuamente ed esprimere il primato di Dio nelle comunità»,
orientando la Congregazione a centrare la vita personale e quella
comunitaria sulla Parola di Dio, in primo luogo «mediante la lectio
divina»
[97] . Questo è molto
importante per me – ve lo dico con parole del Card. Martini -,
perché «non mi stancherò mai di ripetere che la lectio
è uno dei mezzi principali con cui Dio vuole salvare il nostro mondo
occidentale dalla rovina morale che incombe su di esso per
l’indifferenza e la paura di credere. La lectio
divina è l’antidoto che Dio propone
in questi ultimi tempi per favorire la crescita di quella interiorità
senza la quale il cristianesimo… rischia di non superare la sfida
del terzo millennio»
[98] .
Una
forma privilegiata e concreta della lectio
divina è la meditazione quotidiana
(Cost. 93).
[99] Don Bosco la
raccomandava insistentemente ai suoi figli, fino a scrivere nei
ricordi confidenziali ai direttori: «Non mai omettere ogni mattina
la meditazione»
[100] . Raccogliendo il
suo pensiero, le Costituzioni attestano che «questa forma
indispensabile di preghiera… rafforza la nostra intimità con Dio,
salva dall’abitudine, conserva il cuore libero e alimenta la
dedizione vers o il prossimo». E l’articolo conclude affermando
che la meditazione fedelmente praticata ci fa camminare anche nella
gioia ed è perciò una garanzia della nostra perseveranza. Mi auguro
che sia arrivato il momento di valorizzare di nuovo la meditazione,
non sempre e ovunque da tutti sufficientemente curata.
-
“Alimento per la preghiera” (Cost.
87)
«Non di solo pane vive
l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio» (Mt 4,4;
cf. Dt 8,3). Nella vita cristiana, la Parola di Dio «è l’alimento
per la vita, per la preghiera e per il cammino quotidiano»;
preghiera e contemplazione «sono il luogo di accoglienza della
Parola di Dio e, nello stesso tempo, esse scaturiscono dall’ascolto
della Parola»
[101] . Non a caso il
CG25 ha accennato che un certo indebolimento della fede, presente
nelle nostre comunità, si manifesta in primo luogo
«nell’affievolimento della vita di preghiera»
[102] ; difatti,
«un’autentica vita spirituale richiede che tutti, pur nelle
diverse vocazioni, dedichino regolarmente, ogni giorno, momenti
appropriati per andare in profondità nel colloquio silenzioso con
Colui dal quale sanno di essere amati, per condividere con lui il
proprio vissuto e ricevere luce per continuare il cammino quotidiano.
È un esercizio al quale si domanda di essere fedeli, perché siamo
insidiati costantemente dalla alienazione e dalla dissipazione
provenienti dalla società odierna, specialmente dai mezzi di
comunicazione. A volte la fedeltà alla preghiera personale e
liturgica richiederà un autentico sforzo per non lasciarsi
fagocitare dall’attivismo vorticoso»
[103] .
È
possibile che le difficoltà e le sfide che oggi affronta la nostra
vita comune – e il CG25 ne ha fatto un ampio elenco [104] –
provengano in parte dalla incapacità di vivere liturgicamente
la fede e di vivere come comunità
orante. Risulta sintomatico che di solito non riusciamo a discernere
i “segni dei tempi”, ad identificare quello che Dio vuole da noi,
quando non viviamo come comunità convocata da Lui. La mancanza del
senso d’appartenenza ad una comunità orante, la pretesa di andare
da soli verso Dio, non consentono di incontrare Dio, né di sentire
la sua Parola. Ce lo ricordava il Vaticano II: «la lettura della
sacra Scrittura dev’essere accompagnata dalla preghiera, affinché
si stabilisca il dialogo tra Dio e l'uomo»
[105] .
La
trascuratezza della preghiera comunitaria, che può esserci in
qualche comunità o in alcuni confratelli, rende più faticosa
l’inserzione cordiale e gioiosa nella vita comune e mette pure in
sordina la Parola che Dio vuole rivolgerci. Per il credente biblico
c’è ordinariamente un canale privilegiato di trasmissione della
Parola di Dio: la comunità liturgica. Una sincera ricerca della
volontà di Dio ci porta a fare della liturgia comunitaria il tempo
abituale e il luogo privilegiato dell’ascolto di Dio. È
significativo che nella preghiera dei salmi sia frequente sentire lo
stesso Dio che chiede di essere ascoltato: «Ascolta, o popolo mio,
ti voglio ammonire; Israele, se tu mi ascoltassi!» (Sal 81,9; cf.
78,1). Nella Bibbia la preghiera non è soltanto l’occasione
che il credente ha per far conoscere a Dio le sue inquietudini ed i
bisogni personali, ma è soprattutto l’opportunità che concede a
Dio perché gli parli e gli faccia conoscere la sua volontà. Chi
brama ascoltare Dio dovrà trattenersi con Lui nella preghiera,
specie quella comunitaria.
Vorrei solo accennare qui a
due momenti della nostra vita di preghiera comunitaria, che
mettendoci «quotidianamente in mano la sacra Scrittura»
[106] sono per noi
eccellenti occasioni per esercitarci ad ascoltare la Parola di Dio
mentre preghiamo insieme.
Il primo, ovviamente, è la
celebrazione dell’Eucaristia,
«l’atto centrale quotidiano di ogni comunità salesiana»; in essa
«l’ascolto della Parola trova il suo luogo privilegiato» (Cost.
88). Questa affermazione della nostra Regola di Vita riflette una
ferma convinzione della tradizione patristica, che d’altronde si
fonda sull’insegnamento di Gesù, che disse di essere pane di vita
mediante la sua parola e il suo corpo per coloro che credono in Lui
(Gv 6,47.54): nella Parola accolta riceviamo il Cristo, come lo
riceviamo nell’Eucaristia.
[107] «La Chiesa ha
sempre venerato le divine Scritture come ha fatto per il Corpo stesso
di Cristo, non mancando mai, soprattutto nella sacra liturgia, di
nutrirsi del pane di vita dalla mensa sia della parola di Dio che del
Corpo di Cristo»
[108] .
Nell’Eucaristia, che celebriamo tutti i giorni, ci
viene proprio allestita questa duplice mensa, con questo unico pane
di vita. Si tratta di una grazia simile a quella vissuta dai
discepoli di Emmaus, che ci consente di aprire gli occhi, di vedere
il Cristo Risorto mentre spezza il pane e di riconoscerlo (Lc
24,30-31). Ma perché questo accada è necessario camminare insieme
con Lui e ascoltarLo mentre ci spiega le Scritture. Solo così
sentiremo ardere il nostro cuore (Lc 24,32). In definitiva prima lo
si ascolta e poi lo si vede.
Sono convinto che se ci
familiarizzeremo con la sua parola e le sue esigenze, sarà più
facile riconoscere il suo volto e scoprirlo in mezzo a noi. Certo,
per ascoltarlo abbiamo bisogno di attenta applicazione e pure di
costante studio, come ci ricorda va don Vecchi: «l’Eucaristia è
totalmente impregnata di parola di Dio (…) non è pensabile che
questa ricchezza sia colta nella celebrazione eucaristica, se essa
non è preparata da una vera iniziazione alla Bibbia» [109]
.
Il secondo
momento di preghiera comunitaria, dove la Parola di Dio ha una
presenza massiccia, è la liturgia delle
ore, «il cuore pulsante della giornata
del credente»
[110] . La liturgia delle
ore «estende alle diverse ore del giorno la grazia del mistero
eucaristico»
[111] ; in essa «la
comunità… loda e supplica il Padre, nutre sua unione con Lui e si
mantiene attenta alla divina volontà»
(Cost. 89. Sottolineatura mia).
Senza dubbio «la
riscoperta della preghiera liturgica da parte delle famiglie
religiose» è stata «una delle acquisizioni più preziose» del
postconcilio. «La celebrazione in comune della Liturgia
delle Ore, o almeno di alcune parti, ha
rivitalizzato la preghiera di non poche comunità, che sono state
portate ad un contatto più vivo con la Parola di Dio e con la
preghiera della Chiesa» [112]
. E noi siamo impegnati a
celebrarla «con la dignità e il fervore che Don Bosco raccomandava»
(Cost. 89).
Pregare con la Chiesa e come Chiesa è già un
bel motivo per curare sempre di più la celebrazione quotidiana
della Liturgia delle Ore, fonte e campo di formazione spirituale.
[113] Ma vorrei
accennarvi altri due motivi che mi sembrano importanti da aver
presenti. Nei salmi troviamo la parola di Dio rivolta a noi, perché
è Scrittura Santa; allo stesso tempo troviamo la parola che noi
possiamo rivolgere a Dio, perché è preghiera nostra: le stesse
parole servono a Dio e a noi per esprimerci a vicenda. Con i salmi
preghiamo quanto Dio ci dice di sé, di noi, degli altri, dei suoi
piani, ma preghiamo anche quanto noi vogliamo dirgli. Inoltre le lodi
e i vespri, strategicamente scanditi lungo la giornata di lavoro, ci
aiutano a ritrovare Dio dopo averlo cercato e servito, e magari anche
dimenticato, nelle mille occupazioni quotidiane.
-
“Luce per conoscere la volontà di Dio
negli avvenimenti” (Cost. 87)
«Non
uniformatevi al mondo presente, ma trasformatevi continuamente nel
rinnovamento della vostra coscienza, in modo che possiate discernere
che cosa Dio vuole da voi, cos’è buono, a lui gradito e perfetto»
(Rm 12,2). Oggi si parla molto di discernimento, e mi sembra giusto.
Questo è frutto, soprattutto, dell’ascolto della Parola, docile e
paziente. In essa possiamo trovare cosa Dio vuole oggi da noi e come
lo vuole. Per interpretare «i segni dei tempi in una realtà come la
nostra, in cui abbondano le zone d’ombra e di mistero, occorre che
il Signore stesso – come con i discepoli in cammino verso Emmaus —
si faccia nostro compagno di viaggio e ci doni il suo Spirito. Lui
solo, presente tra noi, può farci comprendere pienamente la sua
Parola e attualizzarla, può illuminare le menti e scaldare i cuori»
[114] .
Infatti,
«sempre sono stati uomini e donne di preghiera a realizzare, quali
autentici interpreti ed esecutori della volontà di Dio, opere
grandi. Dalla frequentazione della Parola di Dio essi hanno tratto la
luce necessaria per quel discernimento individuale e comunitario che
li ha aiutati a cercare nei segni dei tempi le vie del Signore. Essi
hanno così acquisito una sorta di
istinto soprannaturale»
[115] , quello sguardo di
fede, cioè, senza il quale «la propria vita perde gradatamente
senso, il volto dei fratelli si fa opaco ed è impossibile scoprirvi
il volto di Cristo, gli avvenimenti della storia rimangono ambigui
quando non privi di speranza, la missione apostolica e caritativa
decade in attività dispersiva»
[116] .
Consapevole
delle difficoltà che trova la vita comunitaria tra noi per diventare
«dono e profezia di comunione»
[117] , il CG25 ha
chiesto alle comunità locali che valorizzino «la pratica del
discernimento comunitario alla luce della Parola di Dio e delle
Costituzioni»
[118] e assicurino le
«condizioni sufficienti perché ogni confratello possa dare al suo
essere ed operare un senso di unità profonda, praticando il
discernimento evangelico come atteggiamento di ricerca della volontà
di Dio»
[119] .
Vi
confesso che non immagino possibile un vero discernimento, sia
personale che comunitario, senza la pratica quotidiana dell’esame
di coscienza.
[120] E mi spiego. La
vita è vocazione; esistiamo perché siamo stati creati
personalmente da Dio, «fatti e plasmati colle sue mani» (Sal
119,73; cf. Gn 2,7); non viviamo perché l’abbiamo voluto, ma
perché siamo stati desiderati, chiamati dal nulla (Gn 1,26); e
proprio perché la vita è effetto del volere di Dio, non la si può
vivere al di là o al di fuori della volontà divina; se non
esistiamo perché lo abbiamo scelto, non dovremmo esistere come ci
pare: la vita, gratuitamente concessa, ha dei limiti da rispettare
(Gn 2,6-17) e dei compiti da svolgere (Gn 1,28-31).
A
nulla servirebbe riconoscere Dio e riconoscerci obbligati con Lui, se
poi non ci diamo da fare per ricercarLo nella nostra vita ed
organizzare questa – ordinarla,
direbbe sant’Ignazio di
Loyola – di conseguenza
[121] . Dobbiamo
mantenerci attenti all’ascolto della voce di Dio per capire cosa ci
chiede oggi, per intuire quale potrebbe essere la sua “annunciazione”
(cf. Lc 1,26-38) negli avvenimenti che ci capitano. Si rende dunque
necessario discernere, cioè avere «la capacità di distinguere ciò
che nelle mie azioni è secondo lo Spirito di Cristo e ciò che gli è
contrario», «di non agire per impulso», e quando si agisce
«di capire da dove viene quell’impulso»
[122] , che cosa produce
e fin dove mi porta.
Come fare a discernere? Mediante
l’esame di coscienza. Esso, più che elemento formale della
preghiera della sera, è un vero cammino di crescita spirituale; chi
lo percorre impara a guardare la realtà, propria ed altrui, con lo
sguardo di Dio e nel suo cuore. L’esame è una preghiera, il cui
oggetto è la propria esistenza e il cui obiettivo sta nel
riconoscere con lucidità il progetto di Dio su di essa e
nell’assumerlo con responsabilità. Rintracciare le impronte di Dio
nel quotidiano, rendersi conto della sua presenza e della sua azione
in quanto accade nella giornata, è la meta dell’esame e il suo
miglior frutto. «Un esame di coscienza così ci porta a scoprire i
significati e il senso del vissuto. Per questo motivo parte
dall’ascolto di Dio che ci parla attraverso le persone, gli
incontri, gli eventi, la storia»
[123] .
Da
noi salesiani, come apostoli consacrati, si aspetta la capacità di
fare progetti di vita che ci aiutino a crescere veramente nel cammino
spirituale; da noi, come educatori per vocazione, si attende il
coraggio di proporre l’esame di coscienza come modalità di
preghiera da condividere anche con i giovani e con i laici che
collaborano con noi. E pensare che ci vorrebbero soltanto
dieci minuti – tutti i giorni però! – per fare questo esercizio
che, quando si svolge fedelmente, ci porta a trovare Dio
nell’ordinarietà della vita quotidiana, riconoscendo quello che ha
operato in noi e per noi (Rm 8,28)!
Vi propongo, appena
abbozzato, un facile percorso per rileggere la propria vita sotto lo
sguardo di Dio:
- Alla
presenza di Dio: Prima di iniziare
l’esame, si ravviva in maniera più nitida possibile la
consapevolezza di essere davanti a Dio, guardati da Lui e da Lui ben
voluti. Prima di contemplare se stesso, il credente si sa e si vuole
contemplato da Dio e si abitua a vedersi e volersi come Dio lo vede e
lo vuole.
- Rendimento di
grazie (“confessio laudis”). Si
inizia ordinariamente l’esame «lodando e ringraziando Dio per i
suoi doni, per il suo disegno d’amore, per la bontà che esprime
nella vita di ciascuno di noi. Alla luce dei doni di Dio, le mie
corrispondenze al suo disegno possono essere espresse con più
rilievo e con più verità personale»
[124] , senza
auto-compiacimento, ma anche senza auto-commiserazione.
La
memoria “eucaristica” è punto di partenza obbligato per arrivare
alla conoscenza del bene ricevuto; il credente si riconosce ricolmo
di grazia prima che giudicato, amato più che accusato, a condizione
che sappia comprendere l’opera di Dio in sé (1 Ts 5,18), prima di
accettare i propri limiti. Il primo scrutinio che, alla presenza di
Dio, si deve fare è quello dei doni ricevuti o da ricevere (cf. Gv
4,10); prendendo così coscienza dei suoi doni, si fa più imponente
la presenza del Donante, che dona se stesso nei suoi doni.
-
Riconoscimento dei debiti (“confessio
vitae”). I doni concessi e riconos ciuti mettono allo scoperto il
debito contratto: quanta più grande è la grazia ricevuta, tanta più
responsabilità si ha. Conoscere il proprio debito e accettarlo è
pure grazia che viene chiesta, perché è l’inizio del ritorno a
Dio, dono del per-dono. Per riconoscere un peccato o difetto non
bisogna saperlo spiegare né giustificare, neppure convivere in pace
con esso. La grazia di riconoscersi peccatori davanti a Dio è, in
realtà, il dono di sapersi amati prima e senza limiti da Lui. Perciò
ammettere il proprio peccato ci rende umili, ci fa ritornare alle
nostre origini, all’humus,
terra non ancora alitata dallo Spirito, senza condannarci a vivere
umiliati. Chi chiede perdono da Dio non fa altro che chiedere il dono
del suo amore.
«La sorpresa di scoprirsi amati è la più
forte e radicale decisione di rinunciare al male e di abbracciare una
vita di virtù. Scoprirsi amati commuove, porta al pentimento, a
riconoscere il peccato, a confessarlo e a domandare perdono. Ed è
l’amore con il quale il Signore mi raggiunge la forza con cui mi
difenderò in futuro dal peccato. La volontà di migliorare, di non
peccare più, la decisione di rinunciare al peccato sarà efficace in
modo sano solo se è fondata sull’amore nel quale mi sorprendo,
alle volte addirittura in lacrime. Scoprire il proprio peccato di
fronte al volto del Signore, o addirittura avere la grazia di
vederlo in Lui che l’assume, porta al pentimento... Il pentimento
porta a casa»
[125] .
-
Impegno di conversione (“confessio
fidei”). Chi ritorna a Dio cerca di restare con Lui; il dono del
perdono produce il desiderio di lasciarsi condurre da Dio. La
proposta di emendamento non è, pertanto, uno sforzo dentro le mie
possibilità, né l’impegno di lotta per colmare le mie carenze. La
desiderata correzione sorge dalla contemplazione della grazia non
corr isposta; non è il credente che fissa la meta della sua
conversione, al massimo egli stabilisce i termini e l’itinerario. È
Dio che ci vuole tanto bene e ci rivela quale bene vuole da noi.
Dalla sua grazia, e per il suo volere, nasce in noi il desiderio di
ritornare da Lui e restare con Lui. Così la grazia richiesta della
conversione a Dio chiude un processo che si era iniziato ricordando
le grazie già concesse e sperimentate.
Lo scopo
dell’esame di coscienza non è tanto di analizzare la propria
intimità, quanto di scoprire «Dio in tutte le cose e tutte le cose
in Dio», come direbbe un grande esperto del discernimento. «Grazie
alla familiarità con il Signore favorita dall’esercizio
dell’esame, si riesce ad acquistare quella coscienza di come il
Signore si manifesta in noi e di come noi viviamo con Lui, che fa
davvero maturare la fede. L’esame favorisce una consapevolezza
dello sguardo di Dio su di noi e di come noi ci muoviamo in questa
relazione. Questa consapevolezza dello sguardo di Dio su di noi è la
maturità della fede»
[126] .
-
“Forza per
vivere in fedeltà la nostra vocazione” (Cost. 87)
«Lampada
per i miei passi è la tua parola, luce
al mio cammino» (Sal 119,105). I tempi in cui viviamo ci fanno
sentire «la necessità di una continua trasformazione di mentalità,
degli stili di vita, dei criteri e delle metodologie
educativo-pastorali, nonché delle strutture, in costante fedeltà al
carisma originario»
[127] . Questa esigenza
deriva a noi non solo perché siamo inseriti in un mondo che oggi
cambia con un ritmo frenetico, ma perché, ancora prima, la vita
salesiana esige da noi fedeltà al mondo, cioè una costante
disponibilità a rispondere alle sue sfide, e fedeltà alla nostra
missione nella Chiesa a favore dei giovani. Ebbene, come perso ne
consacrate, riusciremo ad essere fedeli, se saremo «capaci di
riveder[ci] continuamente…. alla luce
della Parola di Dio»
[128] .
Vivere
sotto la Parola di Dio significa stare dinanzi a Dio, così come
siamo, senza possibilità di nasconderci dalla sua presenza (Gn
3,8-9; Sal 139,7ss). «Luce vera che illumina ogni uomo» (Gv 1,9),
la sua Parola fa emergere in noi stessi la nostra verità, non sempre
affrontata e a volte pure rinnegata. Le zone spesso oscure del nostro
cuore diventano illuminate e prendono senso, perché ci lasciano
vedere e riconoscere quanto in noi s’oppone alla Parola, le radici
spesso inconfessate di certe attrazioni meno evangeliche, quelle
sottilissime tendenze motivazionali che rischiano di non essere mai
scoperte e che minano alla radice – proprio perché incontrollate –
ogni opzione di vita evangelica. «Evadere perciò l’incontro con
la Parola del Padre è precludersi la possibilità di accedere a sé,
di decifrarsi,
di comprendersi,
di perdonarsi,
di accogliersi,
di possedersi,
di progettarsi,
di giocarsi.
Di amarsi»
[129] . L’ascolto della
Parola porta come frutto quello di sentirsi amati da Dio e quindi
quello di rimanere fedeli!
Vivere sotto la Parola di Dio
significa, inoltre, assistere ammirati allo svelarsi di Dio,
presenziare con stupore alla sua epifania quotidiana e progressiva
nel mondo e nel proprio cuore. Quando Dio ci parla si rivela, e
mostrandosi ci cerca perché ci ama, ci manifesta una fedeltà, che
«non conosce fine e si rinnova ogni mattina» (Lam 3,23-23), ci
scruta e svela (cf. Sal 139,11-12) e, di fronte alla nostra
incredulità, riafferma la sua lealtà (Rom 3,3). È in questa
fedeltà infrangibile, non rotta neppure dai nostri abbandoni, che
possiamo pensare di r itornare all’alleanza e venire a conoscere la
sua fedeltà (cf. Os 2,21-22). L’ascolto della Parola ci permette
di sperimentare la fedeltà di Dio e ci comunica l’energia e il
coraggio per rimanerGli fedeli. Personalmente trovo difficoltà a
immaginare una vita di fedeltà a Dio, se non è fatta d’attenzione,
premure, docilità ed accoglienza della sua Parola.
3.4
Ascoltare la Parola per diventare apostoli
«Quel
che abbiamo veduto e udito, noi lo annunziamo anche a voi» (1 Gv
1,3). La Parola ascoltata va trasmessa; non è un dono da trattenere
gelosamente per noi; l’obbedienza a Dio diventa missione nel mondo,
perché siamo apostoli. «Nutriti della Parola, resi uomini e donne
nuovi, liberi, evangelici, i consacrati potranno essere autentici
servi della Parola
nell’impegno dell’evangelizzazione. È così che adempiono una
priorità per la Chiesa all’inizio del nuovo millennio»
[130] .
In un
mondo, dove sembrano spesso smarrite le tracce di Dio – e come
salesiani contempliamo con preoccupazione il mondo dei giovani –,
si aspetta da noi una testimonianza persuasiva per la sua coerenza
fra l’annuncio e la vita,
e profetica per la sua affermazione del
primato di Dio e dei beni futuri.
Orbene, «la vera profezia nasce da Dio,
dall’amicizia con Lui, dall’ascolto attento della sua Parola
nelle diverse circostanze della storia. Il profeta sente ardere nel
cuore la passione per la santità di Dio e, dopo averne accolto nel
dialogo della preghiera la parola, la proclama con la vita, con le
labbra e con i gesti, facendosi portavoce di Dio contro il male ed il
peccato. La testimonianza profetica richiede la costante e
appassionata ricerca della volontà di Dio, la generosa e
imprescindibile comunione ecclesiale, l’esercizio del discernimento
spirituale, l’amore per la verità. Ess a si esprime anche con la
denuncia di quanto è contrario al volere divino e con l’esplorazione
di vie nuove per attuare il Vangelo nella storia, in vista del Regno
di Dio»
[131] .
Educatori
ed evangelizzatori dei giovani del terzo millennio, abbiamo come
responsabilità apostolica quella di ascoltare Dio per
i giovani, ma anche con
i giovani. Questo ci addita due compiti
da non trascurare nella Pastorale Giovanile:
-
Riuscire a creare
ambienti di forte impatto spirituale
Il pressante appello
a ritornare ai giovani,
da me fatto sin dal primo intervento come Rettor Maggiore
[132] e che spesso ripeto
ovunque vado, non è motivato soltanto dal fatto che sono convinto
che «Dio ci sta attendendo nei giovani
per offrirci la grazia dell’incontro con Lui»
[133] , ma anche dal
fatto che i giovani oggi hanno un enorme bisogno di Dio, anche se non
sempre lo sappiano esprimere.
«Chiamati, tutti e
in ogni occasione, a essere educatori alla fede», noi salesiani
«camminiamo con i giovani per condurli alla persona del Signor
Risorto» e per aiutarli a scoprire «in lui e nel suo Vangelo, il
senso supremo della propria vita» (Cost. 34). Costruire la vita
avendo Cristo come riferimento fondamentale è la meta della nostra
pastorale; se vogliamo davvero aiutare i giovani «a vedere la storia
come Cristo, a giudicare la vita come Lui, a scegliere e ad amare
come Lui, a sperare come insegna Lui, a vivere in Lui la comunione
con il Padre e lo Spirito Santo»
[134] , dobbiamo avviarli
all’incontro personale con il Cristo che ci viene incontro nella
sua Parola e nei sacramenti (cf. Cost 36).
Il Papa ha
parlato del «bisogno di un cristianesimo che si distingua
innanzitutto nell’arte della
preghiera». O «non è forse un “segno
dei tempi” che si registri oggi, nel mondo, nonostante gli ampi
processi di secolarizzazione, una
diffusa esigenza di spiritualità, che
in gran parte si esprime proprio in un
rinnovato bisogno di preghiera?»
[135] O non è anche
l’esperienza di tutti noi, come è stata quella di Giovanni Paolo
II, che ci sono giovani «desiderosi di preghiera, di “senso”,
di amicizia»
[136] ? È urgente che
«l’educazione alla preghiera diventi
in qualche modo un punto qualificante di ogni programmazione
pastorale»
[137] . Le nostre
comunità, come ogni comunità cristiana, devono diventare
«autentiche “scuole” di preghiera,
dove l’incontro con Cristo non si esprima soltanto in implorazione
di aiuto, ma anche in rendimento di grazie, lode, adorazione,
contemplazione, ascolto, ardore di affetti, fino ad un vero
“invaghimento” del cuore. Una preghiera intensa dunque, che
tuttavia non distoglie dall’impegno nella storia: aprendo il cuore
all’amore di Dio, lo apre anche all’amore dei fratelli, e rende
capaci di costruire la storia secondo il disegno di Dio»
[138] .
Per
questo il CG25 ha chiesto alle comunità salesiane di creare
«ambienti di forte carica spirituale» per i nostri giovani, molti
dei quali sono «in un mondo secolarizzato…, che cerca nuove
esperienze spirituali e che vive l’irrilevanza della fede»
[139] . Da questi
«ambienti di forte impatto per fare esperienza dei valori
evangelici» si chiede in primo luogo che propongano e vivano
«momenti di intensa esperienza spirituale con i giovani»
[140] , «promovendo nei
modi consoni al proprio carisma scuole di preghiera, di spiritualità
e di lettura orante della Scrittura»
[141] , che formino i
giovani a un atteggiamento costante di preghiera personale, di
contatti con la Parola di Dio e con l’Eucaristia.
Noi
ci convertiremo in «appassionati maestri e guide, santi e formatori
di santi, come lo fu san Giovanni Bosco»
[142] , a condizione che
le nostre comunità cerchino di «essere luoghi per l’ascolto e la
condivisione della parola, la celebrazione liturgica, la pedagogia
della preghiera, l’accompagnamento e la direzione spirituale»
[143] . Se come comunità
apriamo il cuore alla grazia e consentiamo alla Parola di Dio di
passare attraverso di noi con tutta la sua potenza e se in un clima
di cordiale accoglienza offriamo ai giovani «valide iniziative
spirituali, quali scuole di orazione, esercizi e ritiri spirituali,
giornate di solitudine, ascolto e direzione spirituale», saremo in
grado di avviarli ad «un miglior discernimento della volontà di Dio
su di sé e a decidersi a scelte coraggiose, talvolta eroiche,
richieste dalla fede»
[144] . Vi assicuro che
non potrei augurarvi cosa migliore né potrei immaginarmi un miglior
servizio apostolico.
-
Offrire una
pastorale di processi di maturazione spirituale
«Nell’attuale
cultura complessa e frammentata – si domanda il CG25 – come può
la comunità realizzare processi di discernimento e di conversione
pastorale e passare da una pastorale di attività e di urgenze ad una
pastorale di processi?»
[145] .
Una
risposta valida, anche se solo abbozzata, era già stata data dal
CG23, quando riconosceva che la Congregazione aveva percorso un
cammino di rinnovamento che l’aveva portata a ricuperare la
missione specifica salesiana (CG20), assunta dalla comunità con un
progetto (CG21) e vissuta come passione per Dio in mezzo ai giovani
(CG22), fino a suscitare il desiderio di fare un cammino di fede
insieme a loro ed a misura loro.
[146] Impegnati a dare
forma a quel cammino, che è «in sostanza la spiritualità
giovanile salesiana», i capitolari si
proposero di fare «tutto ciò sull’esempio del Signore e seguendo
il metodo della sua carità di buon Pastore sulla
via di Emmaus»
[147] .
La
proposta indovinata di rileggere il racconto di Emmaus (Lc 24,13-35)
resta ancor oggi lungimirante, anzi normativa per tutti quelli che
sentono il bisogno di riferirsi alla Parola di Dio per offrire un
modello di processo di pastorale
giovanile salesiana, in cui si presentano non solo i traguardi da
raggiungere, ma anche la metodologia da utilizzare, le esperienze da
vivere; si tratta di rifare insieme ai giovani il cammino di fede e
di «condurli alla persona del Signore risorto» (Cost. 34).
«Prendiamo l’iniziativa
dell’incontro e ci mettiamo accanto ai giovani»
(CG23, 93), come fece Gesù con i due
discepoli di Emmaus, e rappresentandolo andiamo incontro a loro, lì
dove si trovano, valorizzando quanto di buono vi scopriamo; li
avviciniamo e ci mettiamo a camminare insieme (cf. Lc 24,15), li
accogliamo con disinteresse nei nostri ambienti e con premura nei
nostri cuori. Non badiamo al loro stato di sconcerto e
disorientamento; li accettiamo come sono, senza pregiudizi né
accuse, e li accompagniamo pe r la strada della loro vita. La nostra
presenza vicina e amichevole, farà loro scoprire che Gesù
vive e si preoccupa della loro esistenza.
«Con
loro percorriamo la strada, ascoltando, condividendo le loro ansie e
aspirazioni»
(CG23, 93). Non basta il farsi prossimi
nell’accompagnamento personale, anche se cordiale; ci vuole il
dialogo, la conversazione su quello che occupa e preoccupa i giovani,
sapere da loro, e non per sentito dire, i loro bisogni e i sogni,
capire le loro vedute e conoscere i loro valori. Per essere accolti,
dobbiamo accogliere il loro mondo, conoscere i loro motivi per
condividerli e, se possibile, per appropriarcene; «nascosti nelle
loro attese, portano in sé i semi del Regno»
[148] . «Andare ed
incontrare i giovani… e
metterci in attento ascolto delle loro domande e aspirazioni sono per
noi scelte fondamentali che precedono qualsiasi altro passo
di educazione alla fede»
[149] .
«A
loro spieghiamo con pazienza il messaggio esigente del Vangelo»
(CG23, 93). Sentito il loro discorso e
quanto ad essi interessa, conosciuta la loro tristezza e il senso di
smarrimento, ci tocca convincerli che Gesù è vivo (cf. Lc 24,23-24)
e che quello che capita fa parte di un grande progetto di Dio. Dalla
vita comunicata si passa alla vita spiegata alla luce delle Scritture
(Lc 24,27): le esperienze sofferte o non risolte sono riempite di
senso e di speranza; le false illusioni o i piani non realistici
vengono ridimensionati; «sempre e in ogni caso li aiutiamo ad
aprirsi alla verità e a costruirsi una libertà responsabile»
(Cost. 32).
«E con
loro ci fermiamo, per ripetere il gesto di spezzare il pane e
suscitare in essi l’ardore della fede che li trasforma in testimoni
e annunciatori credibili»
(CG 23, 93). Non ci basterà parlare
loro di Cristo; ci intratterremo con loro e non li lasceremo finché
non si trovino, faccia a faccia, con Lui. «Insieme con essi
celebriamo l’incontro con Cristo nell’ascolto della Parola, nella
preghiera e nei sacramenti» (Cost. 36); «viviamo, insieme con i
giovani, il rapporto personale con Cristo che riconcilia e perdona,
che si dona e crea comunione, che chiama e invia, e spinge a
diventare artefici di una nuova società»
[150] .
Scoperto
Gesù, vivo nella sua Parola, che riempie di senso la vita, e nel suo
Corpo spezzato per tutti, i giovani ritroveranno il cammino di
ritorno alla comunità credente (Lc 24,33), dove renderanno
testimonianza di averlo trovato e si ricorderanno sempre che il loro
cuore ardeva «mentr’egli parlava loro per la via e spiegava le
Scritture» (Lc 24,32). Così diventeranno essi stessi
evangelizzatori dei giovani, apostoli dei coetanei, testimoni del
Risorto.
4.
«Come Maria, accogliamo la Parola e la meditiamo nel nostro cuore»
(Cost. 87)
Cari confratelli,
non vorrei concludere senza rivolgervi il pressante appello rivolto
dal Papa all’Europa cristiana, perché entri nel terzo millennio
con il vangelo in mano: «Nello studio attento della Parola troveremo
alimento e forza per svolgere ogni giorno la nostra missione.
Prendiamo nelle
nostre mani questo Libro! Accettiamolo
dal Signore che continuamente ce lo offre tramite la sua Chiesa (cf.
Ap 10, 8).
Divoriamolo (cf.
Ap 10, 9), perché diventi vita della
nostra vita. Gustiamolo fino
in fondo: ci riserverà fatiche, ma ci darà gioia perché è dolce
come il miele (cf. Ap
10, 9-10). Saremo ricolmi
di speranza e capaci di comunicarla
a ogni uomo e donna che incontriamo sul nostro cammino»
[151] .
Io
stesso, quando vi presentavo i documenti dell’ultimo Capitolo
Generale, vi suggerivo di «imparare a partire sempre dalla
Parola. Il che comporta lo sforzo di fare davvero nostre le
attitudini della Vergine davanti ad essa: ascoltarla, obbedire ad
essa, farci suoi discepoli, diventare credenti»
[152] . Con questo invito
non facevo altro che ricordarvi il testo costituzionale, che ci
esorta ad avere tutti i giorni in mano la Sacra Scrittura
sull’esempio della Vergine: «Come Maria accogliamo la Parola e la
meditiamo nel nostro cuore, per farla fruttificare e annunziarla con
zelo» (Cost. 87).
Nessuna scuola è migliore di quella di
Maria,
[153] per lasciarci
introdurre nella contemplazione e nell’accoglienza, nella custodia
e nell’annunzio della Parola di Dio. «Avendo dato il suo assenso
alla divina Parola, che si è fatta carne in Lei, Maria si pone come
modello dell’accoglienza della grazia
da parte della creatura umana»
[154] . Nessun credente
come Lei è riuscito, infatti, ad ospitarLa tanto bene, sì da farla
creatura del suo grembo: Maria ci insegna che chi crede alla Parola
la fa carne propria, che chi la serve con la vita la fa vita propria,
che chi obbedisce a Dio (Lc 1,38) lo converte in suo figlio (Lc
1,43). «Oseremo forse chiamarci madri di Cristo?», si chiedeva
sant’Agostino con enfasi; e sicuro rispondeva: «Ma certo,
osiamo chiamarci madri di Cristo… Le membra di Cristo partoriscono
dunque con lo spirito, come Maria vergine partorì Cristo col ventre:
così sarete madri di Cristo»
[155] .
Non è
dunque vana illusione pensare c he la felicità di Maria sia a
portata di mano. Il Dio di Maria continua oggi a mantenere progetti
di salvezza; continua perciò a cercare credenti attenti alla sua
Parola e disposti ad accoglierla nella loro esistenza a ogni costo; a
noi ha riservato un’avventura e grazie simili a quelle che elargì
a Sua madre. Per giungere ad essere beati come Maria (Lc 1,45), e
vivere con pienezza di grazia (Lc 1,28), ci basta essere credenti
come Lei: fidarsi totalmente di Dio e comportarsi da umili servi. Se
saremo capaci di consegnarci a Dio, come Ella si consegnò, finiremo
come Lei per proclamare che il Signore è stato meraviglioso anche
con noi.
Non dobbiamo dimenticare che la relazione di
Maria con Dio e con Cristo non rimase indifferenziata e sempre
uguale: fu logicamente più intima e costante agli inizi, prima
e dopo la nascita del suo figlio (Lc 1-2); rimase nascosta durante il
ministero pubblico di Gesù (Gv 2,1-22; Lc 8, 19-21; 11,27-28), ebbe
un nuovo e intenso contatto durante la settimana della passione (Gv
19,25-27). Proprio perché nel rapporto con Dio è sempre Lui che
prende l’iniziativa e fissa tempi e mete, la relazione non risulta
mai identica a se stessa. Maria lo imparò presto: nel momento di
dare alla luce il figlio, ciò che di lui si diceva le era
incomprensibile (Lc 2,18-19); quanto più le veniva annunziato il
futuro di suo figlio (Lc 2,34-35), tanto meno esso coincideva con
quanto le era stato detto nell’annunciazione (Lc 1,30-33.35). La
perdita di Gesù ragazzino nel tempio è segno premonitore di una via
ancor più dolorosa: Ella dovrà convivere in casa con un figlio che
sa di essere Dio, ma che le è per un tempo ancora sottomesso (Lc
2,49-51). Non c’è da meravigliarsi se Maria, non essendo capace di
capire, «serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore» (Lc
2,19.51).
Cari confratelli, vi affido di cuore a Maria,
che crediamo «presente tra no i» (Cost. 8) e chiedo a Lei, «modello
di preghiera e di carità pastorale, maestra di sapienza e guida
della nostra Famiglia» (Cost. 92), che ci insegni ad accogliere la
Parola e ad averla nei nostri cuori «per farla fruttificare e
annunziarla con zelo» (Cost. 87). Alla sua scuola, partendo
sempre dalla Parola, che è Gesù Cristo, ci risulterà
possibile, anzi lieto, vivere appassionati di Dio e dei giovani,
proprio come Don Bosco.
Don Pascual Chávez V.
Rettor Maggiore
[1]
Presentazione, La
Comunità Salesiana oggi. Documenti
capitolari: ACG 378, pag 20.
[2]
Vita consecrata,
93.
[3]
CG25, 31.
[4]
CIVCSVA, Ripartire
da Cristo, 24.
[5]
CG25, 191.
[6]
Perfectae caritatis,
6.
[7]
Dei Verbum,
24.
[8]
"Cari salesiani
siete santi" (ACG 379); "Sei tu il mio Dio, fuori di te non
ho altro bene" (ACG 382); "Contemplare Cristo con lo
sguardo di Don Bosco" (ACG 384)
[9]
Giovanni Paolo II,
Discorso ai partecipanti al Capitolo
Generale, in “L’Osservatore
Romano”, 13-04-2002, pag. 5. Cf. CG25, 170.
[10]
Vita consecrata,
22.
[11]
Vita consecrata,
19.
[12]
CIVCSVA,
Ripartire da Cristo, 2.
[13]
CIVCSVA,
Ripartire da Cristo, 25.
[14]
Ecclesia in Europa,
22.
[15]
Origene, Omelie
sul Levitico I, 1: SC
286,66.
[16]
ugo da San Vittore, De
arca Noe morali 2,8: PL 176, 642.
[17]
Ignazio di Antiochia, Ai
Filadelfesi 5,1.
[18]
Girolamo, Comm.
in Is. prol.: PL 24,17. Cf. DV 25.
[19]
Agostino, Commento
all’epistola ai Parti di San Giovanni
1,1 in Opere
XXIV/2, Città Nuova, Roma 1985, pp. 1638-1639.
[20]
L’immagine è di S.
Girolamo, Comm. in Is. 15,
55: PL 24,536.
[21]
Giovanni Paolo II, Omelia
nella
Festa della Presentazione del Signore.
V Giornata della Vita Consacrata (2 febbraio 2001):
L'Osservatore Romano, 4 febbraio
2001.
[22]
Perfectae caritatis,
5. Il corsivo è
mio.
[23]
CG25, 22.
[24]
CG25, 31.
[25]
Cf. CG25, 5.
[26]
Vita Consecrata,
93.
[27]
Vita Consecrata,
94.
[28]
Il Progetto di vita
dei Salesiani di Don Bosco, pag.
154.
[29]
Cf. Vita
Consecrata, 94.
[30]
Il progetto di vita
dei Salesiani di Don Bosco, pag.
154.
[31]
CGS, 89.
[32]
J. Aubry, Lo
Spirito Salesiano. Lineamenti (Roma
1974), pag. 53.
[33]
ACG 384 (2003) pag. 10.
[34]
CGS, 89.
[35]
Lettera del Rettor
Maggiore, ACG (2003) 384, pp. 3-41.
[36]
C. Bissoli, “La Linea
Biblica nelle Costituzioni Salesiane”, in Aa. Vv., Contributi
di Studio su Costituzioni e Regolamenti SDB. Vol
2 (Roma 1982), pag 292.
[37]
Cf. C. Bissoli, “La
Bibbia nella Chiesa e tra i cristiani”, in R. FABRIS (a cura di),
La Bibbia nell’epoca moderna e
contemporanea, ed. Dehoniane (Bologna
1992) 182-183.
[38]
E. Ceria, Don
Bosco con Dio. Ed. S.D.B.
(Roma 1988), pag.
37.
[39]
Cf. P. Stella, Don
Bosco nella Storia della Spiritualità Cattolica. Vol.
II: Mentalità Religiosa e Spiritualità. Ed. LAS (Roma 1981) pp.
13-27.
[40]
G. Bosco, Memorie
dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, dal 1841 al 1855,
A. Da Silva Ferreira (a cura di). Ed. LAS (Roma 1991) pp.
106-108.
[41]
Cf. MB I, pag. 395.423;
II, pp. 510-511; XVII, pag. 122.
[42]
Cf. P. Stella, Don
Bosco nella Storia della Spiritualità Cattolica. Vol.
I: Vita e Opere. Ed. LAS (Roma 1979) pag. 239.
[43]
G. Bosco, Memorie
dell’Oratorio, ed. cit.
pag. 97.112. Cf. MB III, pag. 62; IX,
pag. 342.
[44]
MB I pag. 519. Cf. Ceria,
Don Bosco con Dio, pag.
173.
[45]
Basti una sola citazione,
del Giovane Provveduto, a dimostrarlo: «Siccome poi il nostro corpo
senza cibo diviene infermo e muore, così avviene dell’anima
nostra, se non le diamo il suo cibo. Nutrimento e cibo dell’anima
nostra è la parola di Dio, cioè le prediche, la spiegazione del
Vangelo e il catechismo» (G. Bosco, Il
Giovane Provveduto (Torino 1885), in OE
XXXV, pp. 145-146.
[46]
G. Bosco,
Il mese di maggio consacrato a Maria Ss. Immacolata,
Tip. Paravia (Torino 1858), in OE X, pag. 356.
[47]
G. Bosco, Il
Cattolico nel secolo. Libreria
Salesiana (Torino 1883), in OE XXXIV, 369-370.
[48]
G. Bosco, Vita
del giovanetto Savio Domenico. Tip.
Paravia (Torino 1859), in OE XI, pp. 188-189.
[49]
Ivi, pag. 229.
[50]
E concludeva così: «In
ogni pagina ebbi sempre fisso quel principio: illuminare la mente per
rendere buono il cuore e popolarizzar e quanto si può la scienza
della sacra Bibbia, che è il fondamento della nostra santa
Religione, mentre ne contiene i dogmi e li prova, onde riesca poi
facile dal racconto sacro far passaggio all’insegnamento della
morale e della religione, motivo per cui niun altro insegnamento è
più utile ed importante di questo» (G. Bosco, Storia
Sacra, in OE III, pp. 7-9).
[51]
P. Stella, Valori
spirituali nel “Giovane Provveduto” di San Giovanni Bosco.
Estratto dalla dissertazione di laurea (Roma 1960), pag. 48.
80-81.
[52]
G. Bosco, Memorie
dell’Oratorio, ed. cit. pag.
169.
[53]
«Come non restare
colpiti dalla straordinaria somiglianza, anche lessicale, di certi
racconti delle Memorie con passi ben noti dell’Antico e del Nuovo
Testamento?» (M. guasco, Don Bosco
nella storia religiosa del suo tempo, in
Don Bosco e le sfide della modernità
(Torino 1988) 22.
[54]
MB VI pag. 948.
[55]
E. Ceria, Don
Bosco con Dio, pag. 184.
[56]
CG21, 15.
[57]
CG21, 377.
[58]
CG21, 12.
[59]
E. Viganò, Consagración
apostólica y novedad cultural. Ed. CCS
(Madrid 1987) pag. 159.
[60]
CG23, 95.
[61]
E. Viganò, “Confirma
fratres tuos”: ACS 295 (1980) pag.
26. Il corsivo è
mio.
[62]
Il Progetto di vita
dei Salesiani di Don Bosco, pag.
617
[63]
Giovanni Paolo II: cf.
CG22, 13.
[64]
CGS, 89.
[65]
Il Progetto di vita
dei Salesiani di Don Bosco, pag.
249.
[66]
Il Progetto di vita
dei Salesiani di Don Bosco, pag.
609-610.
[67]
Vita Consecrata,
67.
[68]
Concilio Vaticano II, Dei
Verbum 2.
[69]
Carlo M. Martini, In
Principio, la Parola. Lettera al clero
e ai fedeli sul tema: «La Parola di Dio nella liturgia e nella vita»
per l’anno pastorale 1981-82 (Milano 1981) pag. 29.
[70]
Dei Verbum, 5.
Cf. Rm 16,26; 2 Cor 10.5-6.
[71]
San Giovanni della Croce,
Sentenze. Spunti d’amore, 21, in Opere
(Roma 19672)
1095.
[72]
Cf. Carlo M. Martini, Il
sogno di Giacobbe. Partenza per un
itinerario spirituale (Casale Monferrato: Piemme, 1989) pag. 80.
[73]
Progetto di vita dei
Salesiani di Don Bosco, pag.
625.
[74]
Cf. Sant’ Agostino,
Meditazione sulla lettera dell’amore
di San Giovanni (Roma 19802)
pag. 107-110.
[75]
Carlo M. Martini, La
Dimensione contemplativa della vita. Lettera
al clero e ai fedeli dell’Archidiocesi Ambrosiana per l’anno
pastorale 1980-81. Milano 1980, pag.
20.
[76]
Carlo M. Martini, La
Dimensione contemplativa della vita, pag.
27.
[77]
Cf. Gregorio Magno,
Moralia I
16,43; Epist. 31:
PL 77, 706.
[78]
De Doctrina christiana
4, 5: PL
34, 92.
[79]
CIVCSVA, La
Vita fraterna in comunità, 48
[80]
Carlo M. Martini,
Perché Gesù parlava in parabole
(Bologna 1985), pag. 114.
[81]
CGS, 287.
[82]
Novo Millennio
Ineunte, 39.
[83]
CIVCSVA, Ripartire
da Cristo, 24.
[84]
Progetto di vita dei
Salesiani di Don Bosco, pag. 625.
[85]
Vita Consecrata,
94.
[86]
Vita
Consecrata, 71.
[87]
Ivi.
[88]
Vita Consecrata, 94.
[89]
CG25, 31. La
sottolineatura è mia.
[90]
Novo Millennio
Ineunte, 39
[91]
Carlo M. Martini,
Programmi pastorali diocesani 1980-1990
(Milano 1991), 440-441.
[92]
La presentazione
‘classica’ del metodo – e, a mio avviso, ancora la migliore –
è di Guigo II il Cartosiano, Scala
Claustralium: PL 184, 475-484, la cui
lettura raccomanderei vivamente.
[93]
Carlo M. Martini, La
gioia del vangelo.
Meditazione ai giovani (Casale
Monferrato 1988), pag. 12.
[94]
Catechismo della
Chiesa Cattolica, 2706.
[95]
Catechismo della
Chiesa Cattolica, 2712.
[96]
Catechismo della
Chiesa Cattolica, 2713.
[97]
CG25, 30.31.
[98]
Carlo M. Martini,
Programmi pastorali diocesani 1980-1990,
521.
[99]
Cfr. Progetto
di vita dei Salesiani di Don Bosco, pp.
657-658.
[100]
Epistolario 1,
lettera 331, pag. 288-290
[101]
CIVCSVA, Ripartire
da Cristo, 24.25
[102]
CG25, 54
[103]
CIVCSVA, Ripartire
da Cristo, 25.
[104]
Cf. CG25, 54.
[105]
Dei Verbum,
25.
[106]
Perfectae caritatis,
6.
[107]
Ieronimo, Breviarium
in Psalmum 147: PL 26, 1334; Agostino,
Sermo 56,
10: PL 38,381;
[108]
Dei Verbum, 21.
Cf. Presbiterorum Ordinis, 18;
Sacrosanctum Concilium,
51
[109]
Juan E. Vecchi, «Questo
è il mio corpo, offerto per voi», ACG
371, pag. 49
[110]
Amedeo Cencini,
«Preghiera e formazione permanente. Il respiro della vita», in
Testimoni
4 (2003), pag. 10.
[111]
Cost. 89; cf. IGLH 12.
[112]
CIVCSVA,
La vita fraterna in comunità. “Congregavit nos in unum
Christi amor”, 14
[113]
Cf. CG25, 26.31.61.
[114]
CIVCSVA, Ripartire
da Cristo, 2.
[115]
Vita Consecrata,
94.
[116]
CIVCSVA, Ripartire
da Cristo, 25.
[117]
Cf. CG25, 13.
[118]
CG25, 15. Cf. CGS, 287-288.
[119]
CG25, 32.
[120]
Sul tema, Silvano Fausti,
Occasione o tentazione?
Arte di discernere e decidere (Milano 1999).
[121]
Esercizi Spirituali,
1
[122]
Carlo M. Martini, Essere
nelle cose del Padre. Riflessioni sulla
scelta vocazionale (Casale Monferrato 1991), pag. 81.
[123]
Marco I. Rupnik, L’esame
di coscienza. Per vivere da redenti
(Roma 2002), pag. 74.
[124]
Carlo M. Martini, Mettere
ordine nella propria vita. Meditazioni
sul testo degli Esercizi di sant’Ignazio (Casale Monferrato 1992),
pag. 59.
[125]
Rupnik, L’esame
di coscienza, pag. 78.
[126]
Rupnik, L’esame
di cosceinza, pag. 85.
[127]
CG25, 51.
[128]
Vita Consecrata,
85.
[129]
Mauro M. Morfino,
“Scoprire le tue Parole è entrare nella Luce”. “La Parola di
Dio informa la
vita del credente”, Theologica &
Historica. Annali della Pontificia
Facoltà Teologica della Sardegna (Cagliari 1999), 42.
[130]
CIVCSVA, Ripartire
da Cristo, 24.
[131]
Vita Consecrata,
84.
[132]
Pascual Chávez,
“Discorso alla chiusura del CG XXV”: CG25,185.
[133]
CG23, 95; cf. Cost. 95.
[134]
CG23, 114. Cf. Dicastero
per la Pastorale Giovanile Salesiana, La
Pastorale Giovanile Salesiana. Quadro
di riferimento fondamentale (Roma 2000), 21.
[135]
Novo Millennio
Ineunte, 32.33.
[136]
Novo Millennio
Ineunte, 9.
[137]
Novo Millennio
Ineunte, 34.
[138]
Novo Millennio
Ineunte, 33.
[139]
CG25, 44.
[140]
CG25, 47.
[141]
Vita Consecrata,
94.
[142]
Giovanni Paolo II,
“Messaggio per l’inizio del Capitolo Generale”: CG25,
143.
[143]
CIVCSVA, Ripartire
da Cristo, 8.
[144]
Vita Consecrata,
39.
[145]
CG25, 44.
[146]
Cf. CG23, 1-10.
[147]
CG23, 92.93.
[148]
CG23, 95.
[149]
CG23, 98. Il corsivo
è mio.
[150]
CG23, 148.
[151]
Ecclesia in Europa,
65.
[152]
CG25, Presentazione 2,2,
pag 15-16
[153]
Cf. Rosarium
Virginis Mariae, 1
[154]
Vita Consecrata,
28.
[155]
Agostino, Discorso
72 A, 8, in Opere
di sant’Agostino. Discorsi II/1 (Roma
1983), pag. 481.