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MISSIONE SALESIANA E MONDO DEL LAVORO
Riflessioni dopo un viaggio. - Un clamore dall’Emisfero sud. - La rilevanza del mondo del lavoro. - Rilettura delle origini salesiane. - Si tratta di propensione innata. - Il «Vangelo del lavoro». - Sfida appassionante e inevitabile. - Proiezioni pratiche della nostra «dimensione laicale». - Alcuni suggerimenti di strategia per il futuro. - Affidamento a Maria Ausiliatrice.
Lettera pubblicata in ACS n. 307
Roma, 21 novembre 1982
Festa di Cristo Re
Cari Confratelli,
sono rientrato da poco da un faticoso viaggio — il più lungo di tutti! — che mi ha portato proprio a fare il giro della sfera terrestre. Ormai ho una visione diretta (anche se incompleta) della nostra presenza tra i vari popoli della terra. Ho sentito particolarmente i forti richiami che ci vengono più intensi oggi dall’Emisfero sud: oltre il progetto-Africa, le incipienti presenze nella Polinesia, nella Melanesia, nell’Indonesia, nello Sri Lanka. C’è ancora un ampio orizzonte missionario, più in là di quello tanto vasto che già ci vede impegnati, che interpella la nostra generosità. Un futuro non di sosta, non d’imborghesimento, ma di rimbocco delle maniche e di riqualificazione delle presenze: più spiritualità, più vocazioni, più attualità apostolica, più magnanimità!
Riflessioni dopo un viaggio
Rientrato a Roma, ho voluto rileggere nelle Memorie Biografiche le preoccupazioni di Don Bosco per alcune zone che avevo visitato per la prima volta. Mi ha colpito profondamente la rilettura del sogno missionario del l885.1 Il nostro Padre dice d’aver percorso «una zona circolare intorno alla parte meridionale della sfera terrestre (ecco l’Emisfero sud!)... Partì da Santiago del Cile... e chiuse la peregrinazione con il ritorno a Santiago del Cile».
Vide in particolare, per ciò che io cercavo, l’Australia e «gli aggregati di isole innumerabili» con una moltitudine di fanciulli che con le mani tese esclamavano: «Venite in nostro aiuto! Perché non compite l’opera che i vostri padri hanno incominciata?». E Don Bosco commenta: «Mi pare che tutto questo insieme indicasse che la divina Provvidenza offriva una porzione del campo evangelico ai Salesiani, ma in un tempo futuro».
A questo sogno, ci dice il biografo, il nostro Padre «mostrava di pensare sovente, ne discorreva volentieri e ravvisava in esso una conferma dei sogni precedenti sulle Missioni».
Inoltre ho meditato quei brani che parlano di esplicite preoccupazioni di Don Bosco per l’Australia2 e per il Ceylon — attuale Sri Lanka —.3 Vale la pena andare a rivedere pagine profetiche delle Memorie Biografiche, relative soprattutto agli ultimi anni di vita del nostro Padre.
«Io vedo dinanzi a me — dice Don Bosco — il progresso che farà la nostra Congregazione... Da qui a cent’anni quale sviluppo meraviglioso (che noi oggi ben possiamo constatare)... la nostra (Congregazione) è istituita per i bisogni presenti e si propagherà con una rapidità incredibile in tutto il mondo».4
«Se potessi imbalsamare e conservare vivi un cinquanta Salesiani di quelli che ora sono fra di noi, da qui a cinquecento anni (che antiveggenza e quanta speranza!) vedrebbero quali stupendi destini ci riserba la Provvidenza, se saremo fedeli».5
Il mio è stato un viaggio fatto dopo aver visitato ormai tutti i continenti. Ho sentito più che mai come Don Bosco sia stato davvero un uomo di Dio e come lo Spirito del Signore abbia voluto suscitare per mezzo suo una Famiglia apostolica di tessuto popolare, che privilegia la dedizione ai giovani: «Noi saremo ben visti sempre, anche dai cattivi — ci dice espressamente —, perché il nostro campo speciale è di tal fatta da tirare le simpatie di tutti, buoni ed empi».6
Siamo una Congregazione del popolo e per i popoli, in sintonia di vita con i piccoli e i poveri, portatrice di una missione evangelizzatrice di attualità con un profondo senso della dignità della persona, della dimensione antropologica della cultura e dell’urgenza di una adeguata promozione umana soprattutto tra gli umili e i bisognosi alla luce concreta del mistero di Cristo.
Cardinali e Vescovi mi hanno parlato, con ammirazione e gratitudine, della sintonia ed efficacia popolare della nostra vocazione; hanno insistito che è indispensabile aumentare il numero delle nostre presenze nelle loro Chiese locali.
Un clamore dall’Emisfero sud
Ho potuto constatare più volte la speciale urgenza di un nostro impegno educativo particolarmente in vista del «mondo del lavoro». Quanta povertà e sottosviluppo in tante zone dell’Emisfero sud! In esso c’è una vera urgenza di insegnare a lavorare apportando anche i vantaggi del progresso per affrontare con un po’ più di esito i grossi problemi della sperequazione economica. Tante situazioni d’arretramento mi hanno fatto pensare proprio che urge saper valorizzare anche gli apporti di un lavoro più razionalizzato, anzi della tecnica propriamente detta, senza pretendere, per certo, di puntare sulle sue più recenti e sofisticate invenzioni.
La tecnica è un prodotto dell’intelligenza umana, è progresso, è promozione, è possibilità di crescita in dignità e in efficacia di convivenza sociale. Sarebbe un errore identificarla con usurpazioni ideologiche di tipo capitalista o marxista. Purtroppo questo grande apporto dell’intelligenza che è la tecnica risulta, di fatto, più al servizio dell’egoismo (di gruppo o di Stato) che della fraternità. Non lo è, però, per propria natura, bensì per l’indebita appropriazione che ne hanno fatto i possidenti e i potenti. E così, fin dal secolo scorso, si è venuta creando e sviluppando una dilagante mentalità circa il lavoro animata più dall’interesse che dalla morale, più dal potere di dominio che dalla giustizia sociale.
Pensavo allora che uno dei più urgenti compiti da affrontare nell’opera di evangelizzazione è quello di liberare eticamente il progresso tecnico e l’organizzazione del lavoro dagli artigli dell’egoismo per metterli veramente al servizio di tutta l’umanità, sforzandosi di riconsegnare questa importante attività umana alla sfera dell’etica e della carità. Urge incorporare il lavoro in una vera civiltà dell’amore! Come ci insegna a pregare la liturgia delle ore: «O Dio, che hai affidato all’uomo l’opera della creazione e hai posto al suo servizio le immense energie del cosmo, fa’ che oggi collaboriamo a un mondo più giusto e fraterno a lode della tua gloria».7
Ebbene: ho constatato che la nostra vocazione salesiana è umilmente ma concretamente impegnata in questo urgente e vasto compito. Lo è tra i popoli economicamente più bisognosi, i cui figli promuove a una crescente coscienza e professionalità nel mondo del lavoro. Lo è tra i popoli industrializzati dove apre l’educazione dei giovani a un processo critico e propulsivo capace di evangelizzare coraggiosamente, con acuto senso del messaggio di Cristo, la «cultura del lavoro».
Siamo chiamati a collaborare, nella Chiesa, alla formazione delle coscienze per aiutare a rimettere il lavoro nell’orbita di una morale orientata e vivificata dall’amore e sorretta dalla potenza dello Spirito Santo.
Quante richieste mi sono state fatte di centri professionali; quanta necessità di Salesiani Coadiutori numerosi e competenti; quale urgenza di saper coinvolgere la Famiglia Salesiana e il Laicato cattolico in un impegno così straordinariamente attuale!
Mi è parso opportuno, perciò, invitarvi a riflettere insieme su un aspetto concreto della nostra missione tra i giovani, quello dell’evangelizzazione del lavoro: tema che, se tocca più direttamente un numero non piccolo di confratelli, interessa tutti a pieno titolo. Ero già stato richiesto di approfondire un po’ questo tema da vari Salesiani riuniti in convegni di riflessione sulla nostra presenza apostolica nell’educazione al lavoro. Inoltre l’importante enciclica del Papa, Laborem exercens, meritava una accurata meditazione da parte nostra per quanto riguarda gli impegni educativi della presenza che già abbiamo o che progettiamo di avere in tale settore.
Il tema è di importanza tale e di tale attualità da investirci a fondo. A prima vista potrebbe anche intimidirci per la sua vastità, per la sua complessità e per la costante sua evoluzione. Ma noi non pretendiamo in assoluto di farne uno studio; ci proponiamo semplicemente (ma è già molto!) di risvegliare la sensibilità del nostro «cuore oratoriano». Sono convinto di star lanciando un vero grido d’allarme di fronte a un segno dei tempi, come se fosse un pressante invito dello Spirito del Signore che va preso molto sul serio.
La rilevanza del mondo del lavoro
Sappiamo che il lavoro in tutte le sue forme costituisce un’esperienza fondamentale dell’esistenza umana. Ha concorso a modellare la persona e la società non soltanto esternamente, ma nel nucleo esistenziale con cui l’uomo elabora se stesso e la civiltà. Si parla appunto di un «mondo» e di una «cultura» del lavoro, a indicare che il suo influsso travalica la sola produzione di beni economici. Attorno al lavoro si aggregano forze diverse, sorgono valori e disvalori, si elaborano norme e rapporti, si matura una visione dell’uomo e del suo destino. È comprensibile così che il lavoro abbia attirato l’attenzione non solo di coloro che cercano di strutturare meglio la società, ma anche degli annunciatori del messaggio divino di salvezza.
Il Magistero della Chiesa è intervenuto frequentemente, in questo secolo, rivolgendosi ora ai lavoratori, ora ai protagonisti dell’evoluzione sociale, ora agli operatori di pastorale con documenti ricchi di saggezza e di prospettive. Recentemente il Papa Giovanni Paolo II ci ha offerto una ricca visione magisteriale con una importante lettera enciclica.8
Essa s’impegna a sviscerare il senso umano del lavoro, a fondare una etica rinnovata che sostituisca quella ormai erosa dalle ideologie temporaliste, e a indicare ai cristiani la missione urgente di far crescere una «spiritualità del lavoro» mentre partecipano, per gli altri aspetti, agli sforzi di tutti nel conseguimento delle giuste mete che il movimento dei lavoratori si propone.
Così il lavoro, insieme al tema della famiglia, della vita e della libertà civile, entra a far parte del tessuto di quel discorso pastorale sull’Uomo che l’attuale Papa ha inaugurato con la Redemptor hominis.
La Congregazione non è mai rimasta insensibile a tali urgenze e oggi si sforza per rispondere a questi appelli. Negli ultimi mesi (fin dal 1980) si è sviluppata in alcune aree una crescente riflessione sulla presenza salesiana nel mondo del lavoro; si sono raccolte statistiche, si sono fatti incontri, si sono elaborati dei Progetti educativi specifici. Alle dense giornate della Spagna (settembre 1981) e dell’Italia (febbraio 1982) è seguito un Convegno europeo sulla nostra missione tra i giovani lavoratori d’Europa (maggio 1982), e poi l’adunanza della zona del Plata (agosto 1982) avutasi a Buenos Aires.
Si tratta, infatti, di un tema particolarmente vincolato con il nostro tipo di azione evangelizzatrice, con la dimensione laicale della nostra comunità apostolica, con i destinatari preferenziali della nostra missione e con la richiesta angosciosa soprattutto delle nostre presenze tra i popoli più bisognosi.
Rilettura delle origini salesiane
Vale la pena far memoria di ieri per orientare il futuro.
Don Bosco ci ha lanciato in orbita. Vediamo che una stretta affinità ha legato il nostro Padre al mondo del lavoro: dal contesto rurale agli inizi cittadini dell’epoca preindustriale e industriale.
I problemi d’impiego e di occupazione per sopravvivere erano ordinari nella famiglia Bosco quando Giovanni vide la luce. Gli ultimi studi storici hanno ricostruito i movimenti degli antenati di Don Bosco in cerca di impiego, affitto di terra e prestazione di lavori. Giovannino nasce e cresce familiarizzandosi con i temi e le esperienze di lavoro rurale percepite dal punto di vista di chi deve subirne le conseguenze in una situazione sfavorevole, anche se vissuta ed accettata come situazione normale di vita.
La sua fanciullezza è dominata da queste realtà e i fatti ricordati nella sua autobiografia (morte del padre, primi studi) sono fortemente vincolati con il lavoro, come lo era tutta l’esistenza contadina. I dieci anni di vita trascorsi a Chieri come studente lo vedono guadagnarsi il pane con varie prestazioni. Vengono poi gli anni del seminario che rappresentano una quasi esclusiva dedizione allo «studio», senza diminuire però il suo interesse nei periodi estivi per il lavoro manuale, del quale percepiva la dignità e in cui esprimeva la sua creativa praticità.
I primi anni di sacerdozio e la sua scelta di essere missionario della gioventù lo collocano a contatto con turbe di giovani stagionali che venivano a cercare lavoro nella città di Torino che si andava dilatando, affrontando così i fenomeni di un’era già preindustriale: l’emigrazione, il lavoro giovanile, lo sfruttamento, l’ignoranza.
Il desiderio di affrontare i problemi di vita dei giovani lo spinge ad avviare iniziative destinate a risolvere i problemi più urgenti del presente, mentre matura interventi più sostanziali per la loro promozione umana, culturale, spirituale, contribuendo umilmente ma concretamente alla trasformazione della società.
Il primo Oratorio aperto a tutti fu infatti, soprattutto, una iniziativa per i giovani lavoratori. Il ragazzo sul quale si cominciò a edificare l’opera morale e religiosa dell’Oratorio presenta questa carta d’identità: Bartolomeo Garelli, orfano, analfabeta, emigrante, manovale. «In generale — scriverà Don Bosco — l’Oratorio era formato di scalpellini, muratori, stuccatori, selciatori, quadratori e di altri che venivano da lontani paesi».9
La popolazione oratoriana era così caratterizzata, che nell’anno 1842 si celebrò solennemente nell’Oratorio la festa del muratore.10 A favore dei piccoli lavoratori Don Bosco intraprenderà, con altri sacerdoti, la scuola serale ed iniziative di educazione sociale, i contratti di lavoro e le visite sui posti di occupazione.
Ma l’attenzione ai giovani «artigianelli», come si diceva allora, fece maturare una seconda fase. Consistette nell’offrire loro una residenza. I giovani avviati al lavoro vivevano con Don Bosco e andavano in città per imparare un mestiere, allo stesso modo che gli studenti andavano a prendere lezioni da appositi maestri. Qui interessa richiamare l’iter seguito da Don Bosco a vantaggio dei suoi «artigiani». Alla loro uscita in città seguì l’insediamento dei laboratori nella propria casa, una umile e coraggiosa epopea su piccola scala. Ha inizio nel 1853, anno in cui sorge una calzoleria con alcuni metri quadrati di disponibilità, gli strumenti più semplici e a buon mercato, contati allievi e Don Bosco come capo d’arte. «Col soccorso dei benefattori, comprati alcuni deschetti e gli attrezzi necessari collocò il laboratorio calzolai in un piccolo corridoio di casa Pinardi presso il campanile della chiesa... Allorché gli studenti erano a scuola in città Don Bosco andava a sedersi al deschetto per insegnare il maneggio della lesina e dello spago impeciato per rattoppare le scarpe».11
Questo coraggioso periodo di ricerca si conclude nel 1862, anno in cui il «modello» delle prime scuole salesiane assume una fisionomia propria. Il tutto seminato di aneddoti, iniziative e peripezie che i limiti di questa lettera non permettono di evocare. Fa sorridere pensare che la prima sartoria nacque negli ambienti rimasti liberi dopo il trasloco della vecchia cucina, e che ebbe come prima maestra Mamma Margherita!; così pure fa sorridere la precaria istallazione della tipografia sulla quale Don Bosco fondava i suoi sogni di editore e di pubblicista.
Si trattava di laboratori incipienti il cui primo e totale responsabile era Don Bosco. Erano nati dalle molteplici e convergenti domande sorte in quella comunità giovanile e in quella casa ormai culla di una Congregazione proiettata a raggio mondiale: provvedere all’inserzione cristiana dei ragazzi nel mondo del lavoro, ridurre i costi di quell’alveare giovanile, appoggiare i piani apostolici e provvedere all’allargamento delle strutture di una Congregazione in espansione. Ciascun laboratorio segna una tappa non soltanto dell’evoluzione educativa in Don Bosco, ma anche dell’assunzione di una concreta capacità tecnica al servizio della società.
Il personale fu all’inizio esterno e Don Bosco provò con esso diversi contratti, giungendo alla conclusione che l’efficacia educativa e la possibilità di crescita potevano essere sostenute adeguatamente solo con personale religioso. Maturò allora una proposta e l’itinerario vocazionale per gli artigiani nel mondo del lavoro (il Salesiano Coadiutore), come faceva con gli studenti nell’ambito del ministero ecclesiale.
La fase finale è quella della scuola di arti e mestieri con personale, fisionomia, progetto educativo propri, coronata nel Capitolo Generale IV. La figura del Salesiano Coadiutore aveva ormai un profilo e la nostra Congregazione, dopo un’esperienza di quasi trent’anni, raccoglieva nel documento «Indirizzo da darsi alla parte operaia nelle case salesiane e mezzi di sviluppare la vocazione dei giovani artigiani» l’insieme di orientamenti e programmi: maturavano quei germi organizzativi che erano nati col primo regolamento dei laboratori (anno 1853).12
Alla morte del Fondatore la Società di San Francesco di Sales, ormai già anche intensamente missionaria, si presentava con svariati tipi di attività educativa. Ma due la caratterizzavano fino ad essere strettamente collegati con la sua immagine e con la coscienza di coloro che trapiantavano l’Opera in altri paesi: l’Oratorio, e la Scuola professionale.
Don Bosco aveva portato a termine la sua risposta a un’urgenza e lasciava solidi orientamenti per un efficace intervento apostolico dei Salesiani tra i giovani apprendisti: un modello di scuola (Valdocco); un progetto educativo (il Documento del Capitolo Generale IV); alcuni principi di organizzazione (Regolamento dei laboratori); un incarico a livello di direzione generale (Consigliere professionale); una figura di membro della comunità salesiana pensata particolarmente in funzione di queste presenze, sebbene aperta a molteplici altre possibilità (il Confratello Coadiutore); uno spirito peculiare e adeguato che comprende, in particolare, la professionalità, il lavoro, lo spirito di sacrificio, il senso sociale.
Sarebbe interessante percorrere l’evoluzione avvenuta in Congregazione dopo la morte di Don Bosco e nella prima metà del nostro secolo, storia in molte parti di pionierismo e di attenzione al progresso tecnico e pedagogico.
Colpisce una coincidenza: in una gran parte dei nuovi Paesi che desideravano la presenza salesiana, l’opera preferenzialmente richiesta era la scuola professionale.
Non sarebbe difficile scoprire qual è l’insieme di fattori che determinarono i momenti felici di crescita e di sviluppo e i tempi di stallo e, per alcuni versi, di mutamento di direzione o di involuzione in alcune regioni.
La sensibilità di Don Bosco per il mondo del lavoro include anche il suo vivo interesse riguardo a certi fenomeni collegati ad esso, tali come l’emigrazione verso altri continenti, le vicende degli incipienti problemi sociali e le molteplici iniziative di tipo culturale e di evangelizzazione dei ceti popolari.
Si tratta di propensione innata
L’esperienza spirituale e apostolica del Fondatore e la scelta della Congregazione nella storia successiva ci guidano nella riflessione sugli impegni concreti della nostra missione. Alla luce delle circostanze odierne, soprattutto in vista della gioventù dei popoli più bisognosi, scopriamo nella nostra vocazione, tra gli altri valori, un’affinità carismatica o una vicinanza congenita col fenomeno umano del lavoro e coi bisogni dei giovani che ad esso si avviano.
Percepiamo, al di dentro di una fondamentale predilezione per la gioventù soprattutto più bisognosa (e senza disattendere altre caratteristiche della nostra missione), una inclinazione, direi, vocazionalmente connaturale verso quel complesso mondo del lavoro in cui urge far brillare il Vangelo e che oggi si impone come una prioritaria esigenza dei tempi.
Lo riconosciamo: 1) sia nella considerazione della nostra specifica missione; 2) sia nel peculiare spirito che ci anima; 3) sia nella forma stessa della Congregazione; 4) sia nell’attuale richiesta di urgenti opzioni pastorali in tale settore. Vediamone brevemente il come.
1) Innanzitutto possiamo percepire questa inclinazione congenita nell’approfondire la nostra specifica missione. Sin dal manoscritto costituzionale del 1859 i giovani «avviati a qualche arte o mestiere» e le presenze ad essi destinate vengono menzionati subito al secondo posto tra i destinatari e le opere della Congregazione, immediatamente dopo gli Oratori. Questa collocazione è conservata successivamente in tutte le riformulazioni. Le attuali Costituzioni, dopo essersi riferite in forma generale agli adolescenti e ai giovani come destinatari della nostra missione, stagliano la figura speciale del giovane avviato al mondo del lavoro: «I giovani del ceto popolare che si avviano al lavoro, anche se non vivono in condizioni di miseria, trovano spesso difficile inserirsi nella società e nella Chiesa. Imitando la sollecitudine di Don Bosco per gli apprendisti, li guidiamo a prendere il loro posto nella vita sociale, culturale e religiosa del loro ambiente».13
Questa preoccupazione d’impegno si allarga anche agli adulti delle classi popolari. Riguardo ad essi così ci ha detto il Capitolo Generale Speciale: «Noi non siamo mandati per un’azione diretta a qualsiasi categoria di adulti, ma chiaramente a quelli del “basso popolo”». Questa categoria designa oggi «ambienti specifici diversi gli uni dagli altri: rurali, emigrati».14
Fra i contenuti tipici della missione, contenuti che coinvolgono simultaneamente l’evangelizzazione e la promozione umana, si dice espressamente: «Secondo le circostanze offriamo il pane del corpo, la competenza in una professione, la cultura intellettuale».15
All’interno della varietà e della creatività con cui la Congregazione si è impegnata in vari Paesi, ci sono «tipi» di presenze tra i giovani specialmente vincolate col mondo del lavoro; esse hanno attraversato tempi e frontiere e costituiscono una vera «caratteristica salesiana».
2) Percepiamo, inoltre, questa inclinazione analizzando l’originalità del nostro spirito. È centrato sulla operosità in una forma tanto concreta che ci avvicina, quasi direi per natura, alla praticità del lavoro per trovare in esso una appropriata incarnazione apostolica.
È vero che, nell’ambito del nostro spirito, con il termine «lavoro» Don Bosco intende significare ogni forma apostolica e di servizio nell’occupazione del tempo: lavoro è certo anche predicare, scrivere, studiare, amministrare i sacramenti (specialmente ascoltare le confessioni), ecc. Ma è altrettanto vero che il nostro Fondatore ha portato sugli altari il vissuto e i valori del buon popolo lavoratore del suo tempo, secolarmente cristiano con una cultura già in lento declino ma veramente permeata di Vangelo (alacrità, sacrificio, servizio, praticità, competenza, solidarietà, religiosità, ecc.), perché noi divenissimo «profezia» vivente di determinate virtù da far permanere e da adattare all’irrequieto e crescente nuovo mondo del lavoro. Egli ha sperimentato, di fatto, l’originalità del suo spirito anche in un continuo contatto apostolico con i giovani apprendisti più bisognosi. Così, nello spirito di Don Bosco, l’insistenza sui valori umani e cristiani del lavoro si carica di risonanze pratiche, di significato manuale e tecnico, che spingerà poi vitalmente la Congregazione a interessarsi generosamente dell’evangelizzazione di una nascente epoca marcata da un dilatarsi appunto del lavoro umano.
Il «lavoro», insieme alla «temperanza», costituirà lo stemma della Congregazione.16 «Il lavoro assiduo e sacrificato — ci dicono oggi le Costituzioni — è una caratteristica lasciataci da Don Bosco ed è espressione concreta della povertà. Nella quotidiana operosità ci associamo ai poveri che vivono della propria fatica e testimoniano agli uomini di oggi il senso umano e cristiano del lavoro».l7
Questo peculiare spirito, che ammira e assimila i valori del lavoro in genere, ci dà e sorregge in noi una speciale sensibilità apostolica verso le urgenze giovanili nello specifico mondo del lavoro.
Ha sospinto il nostro Padre a curare una concreta pedagogia di avviamento al lavoro: «Ricordatevi, cari giovani — diceva innanzitutto — che l’uomo è nato per lavorare!». E poi proponeva loro il lavoro non come castigo ma come valore intrinseco allo sviluppo integrale della propria persona, quindi della propria rettitudine morale e della propria capacità di amare.
La Congregazione è cresciuta in questo clima. A ragione il Capitolo Generale 21, parlando della specificità della presenza salesiana nella scuola, enumera, tra le costanti che la devono caratterizzare, la seguente: «Scuola di lavoro perché insegna a vivere la caratteristica spiritualità del lavoro, mantiene un abituale e cordiale collegamento col mondo del lavoro; ma soprattutto perché in molti posti realizza corsi di alfabetizzazione e corsi serali per lavoratori; prepara con la formazione professionale d’avviamento al lavoro i giovani apprendisti ad entrare nel mondo del lavoro con una loro qualifica».18
3) Ma c’è di più: per capire questa propensione innata dobbiamo considerare anche la forma stessa della Congregazione. Essa è costituita da «ecclesiastici e laici», comporta la presenza sostanziale di «capi d’arte», di «tecnici» e di «artigiani» che le imprimono una fisionomia di vita e di azione tutta propria. Ho già avuto l’opportunità di parlarvi ampiamente su: «La componente laicale della comunità salesiana».l9
È opportuno sottolineare che si tratta di una peculiarità della «forma» stessa della nostra Congregazione, e non di un aspetto che toccherebbe semplicemente un gruppo di confratelli.
«La nostra vocazione, radicalmente comunitaria — vi dicevo allora —, esige una comunione effettiva non solo di fraternità tra le persone, ma anche, e in modo altamente esigente, di mutuo riferimento delle sue due componenti fondamentali: quella “sacerdotale” e quella “laicale”... esse si sviluppano in una simbiosi comunitaria, secondo un dosaggio armonico che cerca di compenetrare dal di dentro l’una con l’altra nel progetto di quella “geniale modernità” e di quella missione comune che costituiscono “l’indole propria” della nostra Congregazione religiosa».20 Essa ha sempre comportato una comunione di vita in cui il Salesiano Coadiutore svolge anche attività tipicamente pastorali, e il Salesiano Sacerdote una spontanea capacità di lavoro anche manuale, che alcune volte, specialmente in zone di missioni, è degna di quanto i Benedettini hanno fatto in altre epoche della storia.
Quindi la componente laicale permea la forma stessa della Congregazione e, in conseguenza, dà un suo tocco concreto alla vita e missione di noi tutti. Non si tratta semplicemente di una collaborazione «laterale» da parte di un gruppo, ma di un orientamento «intrinseco» al nostro tipo di comunità apostolica, con una sua funzione pastorale che include una specifica «coscienza di apertura secolare»21 che ci spinge vocazionalmente (e, perciò, comunitariamente!) a interessarci seriamente dei gravi problemi giovanili nel mondo del lavoro.
L’appello è urgente! Infatti, come vi dicevo, «la civiltà della società industriale... è ricca di tecnica, ma povera di sapienza; aperta al consumismo e chiusa al sacrificio; essa ricolma soprattutto il mondo del lavoro di un’atmosfera materialista assai sottile e penetrante».22
4) E, infine, possiamo considerare tale inclinazione nella nostra speciale sensibilità all’attuale urgenza di determinate opzioni pastorali in tale settore. I nostri ultimi Capitoli Generali ci hanno proposto dei criteri concreti di rinnovamento.
Il Capitolo Generale Speciale insiste su «un’attenzione per la realtà sociale e storica del mondo operaio; lo sforzo di scoprire i suoi valori educativi, umani ed evangelici; la preoccupazione di collaborare coi movimenti dediti all’evangelizzazione di questo ambiente».23
Ci ricorda inoltre che «l’azione pastorale e di testimonianza tra i lavoratori è uno degli impegni che caratterizzano la nostra vocazione di servizio delle classi più bisognose. Sacerdoti e Coadiutori chiamati a questa missione, dovranno prima di tutto approfondire l’ascolto e la conoscenza delle masse operaie, dei loro problemi, ansie e aspirazioni, delle cause dell’atteggiamento nei confronti della Chiesa e della fede».24
E il Capitolo Generale 21 ci esorta ad essere specialisti della condizione giovanile e a dare in seno alle Chiese locali l’apporto di un’azione concreta, prendendo in attenta considerazione «l’appartenenza al mondo dello studio o della fabbrica, al mondo dei campi o dell’impiego. Una cura specialissima si avrà per quei ragazzi e giovani che vivono in contesto di sottosviluppo economico e di emarginazione».25
Inoltre il Capitolo Generale 21 fa riflettere sulla direzione in cui si deve orientare apostolicamente la Comunità salesiana in attenzione a certe propensioni concrete della sua componente laicale; infatti il mondo del lavoro costituisce il settore più significativo per il Salesiano Coadiutore. «Se si guarda l’importanza e l’incidenza che il “mondo del lavoro” ha in molte nazioni — ci dice il Capitolo Generale 21 —, appare chiaro che le attività concernenti l’area del lavoro risultano non le uniche ma certo fra le più significative per l’azione apostolica del Salesiano Coadiutore in quelle zone. Già Don Bosco... aveva sottolineato che uno dei compiti caratteristici del Salesiano Coadiutore doveva essere quello di animare cristianamente il mondo del lavoro».26
Come vedete dunque, cari Confratelli, c’è nella nostra vocazione una vera inclinazione congenita che ci spinge a coltivare una peculiare attenzione alla gioventù più bisognosa del mondo del lavoro. E c’è da domandarsi se il Signore non chiami, oggi, la Congregazione a privilegiare, per la sua immensa attualità, questo campo di impegno apostolico.
Uno sguardo alle attuali nostre opere rivela una gamma interessante e varia di presenze fisiche in tale settore: scuole professionali e agricole, pensionati per giovani operai, centri giovanili, parrocchie, animazione di movimenti specializzati, centri promozionali e altre molteplici attività affidate a persone singole che operano con l’appoggio delle rispettive comunità. I programmi sono diversi. La finalità è unica: portare il messaggio di Cristo a liberare e a perfezionare il lavoro umano.
Il «Vangelo del lavoro»
Purtroppo sembra che da anni il Vangelo si sia fermato sulla soglia dei numerosi e vasti ambienti del lavoro, sebbene raggiunga ancora non pochi lavoratori nelle loro famiglie e in altri settori privati e individuali. A ragione, dunque, la Laborem exercens propone come compito importante dei fedeli oggi il saper proclamare il «Vangelo del lavoro»27 per cercare un nuovo modo di pensare, di valutare e di agire e dare al lavoro il valore che ha agli occhi di Dio.
Il Papa insiste, dunque, sulla proclamazione del Vangelo del lavoro. Ma che cosa richiede il saper annunciare questo «Vangelo»?
• In primo luogo, richiede di riconoscere la consistenza propria e obiettiva del mondo del lavoro, sia come fattore di umanizzazione personale e sociale e di progresso, sia nelle sue ambivalenze e pericoli, sia nelle predominanti egemonie ideologiche che lo deturpano. Esso è la manifestazione storica della vocazione dell’uomo nell’universo. Non è una materia amorfa, ordinaria e facile, senza emergenza riguardo alle altre; il compito di un suo adeguamento all’etica e alle esigenze della carità è assai difficile.
Non basta proporre una vaga morale del «dovere di stato». Ha le sue leggi, i suoi rapporti, i suoi vantaggi e la sua razionalità intrinseca che è sfociata in quel fenomeno tutt’altro che secondario che chiamiamo «tecnica».
«Se le parole bibliche, “soggiogate la terra”, rivolte all’uomo fin dall’inizio, vengono intese nel contesto dell’intera epoca moderna, industriale e postindustriale, allora indubbiamente esse racchiudono in sé un rapporto con la tecnica... che è il frutto del lavoro dell’intelletto umano e la conferma storica del dominio dell’uomo sulla natura».28
Il Vangelo del lavoro, più che una tematica particolare, comporta la «pastorale della società industriale» a cui bisogna riconoscere sinceramente un luogo nella storia della crescita dell’uomo, in cui rapporti e costumi tipici delle società rurali sono mutati e non necessariamente contro l’uomo. Il Vangelo del lavoro è anche messaggio profetico-critico del progresso umano e delle tecnologie. Finché non si è capaci di entrare in questo vasto e dinamico mondo, non si sarà capaci nemmeno di evangelizzarlo, così come non fu possibile evangelizzare il mondo rurale finché la Chiesa non si è inserita nei suoi dinamismi e nella sua mentalità.
• Ma all’interno della complessità e dei problemi di questo «mondo» va rilevato il posto centrale dell’Uomo come soggetto, origine e finalità del tutto: «Ciò vuol dire che il primo fondamento del valore del lavoro è l’uomo stesso... Si arriva dunque a riconoscere la preminenza del significato soggettivo del lavoro su quello oggettivo».29
Questo è rilevabile a livello di riflessione umana e la parola di Dio lo illumina in modo determinante, facendo diventare le «conclusioni dell’intelletto» una «convinzione di fede».30
Gesù Cristo venne ad incarnarsi in una storia umana reale, e non in un consorzio umano ideale e astratto. In Lui si rivela il disegno di Dio e il progetto storico ed eterno dell’Uomo vero e completo. «Essendo Dio è divenuto simile a noi in tutto, dedicò la maggior parte degli anni della sua vita sulla terra al lavoro manuale, presso un banco di carpentiere. Questa circostanza costituisce da sola il più eloquente “vangelo del lavoro”».31
Il Suo non è soltanto un esempio morale, ma la prima rivelazione del genuino piano di Dio sull’Uomo e la sua presenza salvifica nei nostri sforzi di dominio e di trasformazione del creato.
Per questo il lavoro incorporato all’esistenza di Cristo ieri e oggi acquista un’altra densità. Il mistero della sua morte e resurrezione32 dà al lavoro un senso definitivo; i suoi risultati ispirati dall’amore all’Uomo e dall’ubbidienza al Padre superano i confini del tempo.
• Infine, dal Vangelo del lavoro emerge l’esigenza di una spiritualità, compito principale della Chiesa.33 La discontinuità, di per sé
invalicabile, che c’è nella creazione tra «materia», «spirito» e «grazia o vita divina» richiede la presenza attiva dell’uomo per dare al mondo un vero senso di unità organica e di trascendenza ammirabile. è nell’uomo, come in un nucleo atomico, che il Creatore ha condensato l’unità organica e dinamica di «materia», «spirito» e «trascendenza divina»; solo lui è atto ad esplicitare nella storia il progetto integrale di Dio sul creato.
La spiritualità, quindi, non va intesa come uno strato più o meno sottile di atti o parole religiose da applicare a una realtà estranea, come se si trattasse di dorare una statua di bronzo; va intesa, invece, come una lievitazione di «spirito» e di «grazia» all’interno concreto delle sue caratteristiche ed esigenze, senza intaccare la giusta autonomia che le caratterizza, ma lievitandole con la carità dello Spirito.
I capisaldi di una simile spiritualità sono descritti nella «Laborem exercens» ai numeri 24-27: capacità di lettura e di partecipazione del disegno di Dio nella storia, competenza e impegno in essa, decisa presa di posizione dalla parte dell’uomo, trasfigurazione del mondo e sua offerta al Padre, unione con l’amore redentore di Cristo.
«Bisogna che specialmente nell’epoca odierna la spiritualità del lavoro dimostri quella maturità che esigono le tensioni e le inquietudini dei cuori. I cristiani dunque non soltanto non pensano di contrapporre le conquiste dell’ingegno e della potenza dell’uomo alla potenza di Dio...; ma al contrario essi piuttosto sono persuasi che le vittorie dell’umanità sono segno della grandezza di Dio e frutto del suo ineffabile disegno».34
Ecco: è questo, appunto, quanto andavo ripensando nel mio viaggio al considerare la necessità di illuminare con un adeguato messaggio evangelico il lavoro umano e il progresso tecnico per risolvere certi problemi massivi di sperequazione.
C’è un Vangelo e c’è una Spiritualità del lavoro che devono crescere con urgenza nelle coscienze. Il progresso tecnico, frutto dell’intelligenza umana, non è, di per sé, il nemico dei poveri; ha bisogno, però, del messaggio evangelico per divenire il loro amico!
Il Vangelo (l’educatore) opera in contesti concreti, secondo esigenze del momento, ma con il «lievito» superiore che trascende la storia e la contingenza momentanea (pur senza sradicarsi e astrarsi da queste). Cosicché, chi guarda la Chiesa, i Santi e in particolare Don Bosco con il suo specifico apporto al mondo del lavoro, è ovviamente portato a rilevare che l’intervento evangelizzatore ed educatore si collega — a metà e sulla fine dell’800 — con prospettive agrarie, artigianali, al più «pre-industriali» o se vogliamo «neo-industriali». Ma senza limitarsi pregiudizialmente a tali ambiti. Don Bosco (e più che mai il Vangelo di cui egli è portatore) è lanciato nel mondo del lavoro nel senso più aperto, nelle prospettive più progressiste e avveniriste, quindi è sintonizzato anche con l’era postindustriale caratterizzata dai computers, dalla telematica, dalle tecnologie più sofisticate e avanzate che sembrano quasi sostituirsi alla mano dell’uomo per impegnare invece la sua intelligenza nella creatività e funzionamento delle stesse tecniche...
Non si tratta di legare l’evangelizzazione e l’educazione del mondo del lavoro né all’artigianato primitivo né all’ultimo sviluppo tecnologico; ma di proporre la liberazione di Cristo e la promozione dell’Uomo in qualsiasi situazione, a tutti i livelli e stadi del fenomeno «lavoro».
Così il salesiano, come è disponibile al lavoro «primitivo» (agrario, pre-industriale e artigianale, neo-industriale...) nel Terzo Mondo e dovunque occorra, è pure disponibile al lavoro nelle più avanzate situazioni di sviluppo in cui sono chiamati a inserirsi i giovani.
Con una particolare attenzione il salesiano, poi, sa che soprattutto ai poveri va annunziata la buona novella. Essa consiste nel liberare sempre più, e nel realizzare, il diritto degli emarginati a conquistare a loro volta l’uso dei beni e delle tecnologie che non sono affatto retaggio delle sole società più industrializzate della terra. Cosicché (ed è tra l’altro un concetto di «missione» da approfondire) la «buona novella» da annunciare è — per il salesiano impegnato nel mondo del lavoro — la promozione dell’uomo, la sua abilitazione al lavoro, la coscientizzazione del diritto alla tecnica, la destinazione dei beni economici per tutti come fratelli, la predicazione dell’uguaglianza dei figli di Dio, insieme a quanto è più essenziale per il Vangelo: la salvezza integrale della persona e dell’umanità.
Sfida appassionante e inevitabile
Il mondo del lavoro è aperto a tanti giovani, sia nelle società sottosviluppate sia in quelle più progredite. La loro condizione ci interpella. I giovani avviati al mondo del lavoro richiedono l’aiuto di una educazione integrale per inserirsi senza traumi nelle difficili e problematiche situazioni reali e per capire e vivere il messaggio autentico di Cristo in un contesto che a prima vista si presenta loro quasi come incompatibile. C’è tutto un insieme di fattori e di condizionamenti oggettivi (perfezionamento progressivo dei mezzi e dei sistemi di lavoro, variabilità e novità nelle professioni) che esige, specialmente nei paesi a più alto sviluppo, sempre migliori livelli di preparazione professionale e richiede flessibilità e capacità di acquisire nuove conoscenze e tecniche rinnovate. A questo si aggiunge una vera erosione dell’etica tradizionale del lavoro, a cui è andata subentrando una visione utilitaristica dell’individuo, dei gruppi o dello Stato, per cui il lavoro è solo strumento di benessere a vari livelli e causa di duri conflitti. Le sperequazioni, gli abusi, gli scontri, gli odii, le violenze hanno portato di fatto a una dura e continua conflittualità terribilmente bisognosa di giustizia, di verità e di fraternità.
La pesante mole di questi problemi e situazioni è andata svegliando la coscienza dei lavoratori. Si va esigendo una ridefinizione del lavoro umano considerandolo non già solo come intervento materiale nella produzione dei beni, ma anche come vera partecipazione attiva e cosciente allo stesso processo produttivo e al conseguente progresso socioculturale. Ciò significa poter intervenire nella determinazione delle finalità e della giusta destinazione dei prodotti e dell’inserimento della propria prestazione in una compagine sociale di fraternità. Perciò l’educazione al lavoro necessita oggi anche di un’ampia formazione sociale alla coscienza politica ed alla comunione e partecipazione civile.
Essere lavoratore, infatti, comporta oggi più che mai avere un senso sociale della giustizia e saper prendere parte attiva nella costruzione della città, conoscendo il significato umano e l’utilità del proprio contributo.
Se non si prende in considerazione questo ampio, nuovo, delicato e non facile aspetto dell’educazione, si produrrà uno scollamento o uno strappo tra la preparazione dei giovani e una condizione sociale che si evolve continuamente.
Insomma: entrando nel mondo del lavoro la gioventù si trova, tanto nelle società sottosviluppate come in quelle progredite, anche se in modo differente, con fenomeni che mettono a dura prova la sua qualità umana e cittadina e la sua fede cristiana, e che ingigantiscono la difficoltà di ridurre a sintesi esistenziale i bisogni personali, le istanze sociali e le esigenze del Vangelo.
Questo semplice e assai incompleto abbozzo di quadro ambientale lancia una sfida appassionante al nostro compito educativo e di catechesi, supposto che l’intervento formativo salesiano non sia semplicemente un’area di parcheggio in cui i giovani sostano prima della loro vita reale.
è inevitabile per noi accettare, in solidarietà comunitaria, la sfida, per ardua ed esigente che appaia. Dobbiamo approfondire e far progredire quella riflessione educativo-pastorale che in questi anni, soprattutto dopo il Capitolo Generale 21, ci si è sforzati di promuovere, cioè: un progetto educativo pensato, maturato e continuamente aggiornato. Dobbiamo sentirci chiamati ad essere frequentatori e collaboratori, anche se umilmente ma con tanta speranza, alla elaborazione di una nuova e vera «cultura del lavoro». Questo significa sforzo permanente d’informazione, di discernimento e di confronto critico riguardo a tutto ciò che nasce e si esprime nel mondo del lavoro, superando una certa ignoranza sistematica e il giudizio abitudinario e leggero.
Ma una cultura del lavoro, elaborata da educatori, non può ridursi a belle parole; deve venir tradotta in una metodologia pedagogica che ripensa l’organizzazione dell’istituzione educativa (il funzionamento di una appropriata «comunità educativa»!) e ricerca praticamente un orientamento formativo unificante tra la preparazione tecnica, la visione umanista dell’esistenza e il progetto cristiano di vita.
Riattualizziamo con costante impegno il Sistema Preventivo, come metodologia pedagogica che cerca una sintesi vitale tra fede e lavoro, un dialogo costante tra Vangelo e tecnica, per formare robustamente nei giovani apprendisti una adeguata mentalità cristiana.
È stato osservato, a ragione e da tanti anni, che i catechismi per la gioventù che circolavano e che circolano usano un linguaggio e cercano di illuminare piuttosto le esperienze del giovane studente, mentre appaiono alquanto lontani dalla realtà del giovane lavoratore.
Sono da lodare, dunque, gli sforzi che vari confratelli, in diverse regioni, hanno fatto o stanno realizzando per proporre convenientemente ai giovani apprendisti il Vangelo del lavoro.
Proiezioni pratiche della nostra «dimensione laicale»
La sfida è veramente vasta e appassionante.
Tutti, nel Popolo di Dio, ci sentiamo interpellati, ma il problema è immenso. La Chiesa intera cerca di affrontarlo tra innumerevoli difficoltà. Noi Salesiani siamo certamente chiamati a collaborare. Le nostre forze sono piccole: ci sembra d’aver in mano solo le cinque pietre di Davide. Meditiamo e chiediamo, con insistenza, più ardore di speranza e più iniziativa di carità al Creatore, per far crescere in noi quella magnanimità pratica e intraprendente che guidava la genialità apostolica di Don Bosco. Siamo certi che «per mezzo di Gesù Cristo, nella potenza dello Spirito Santo», Iddio Padre fa vivere e santifica l’universo.35 Assumiamo con coraggio le nostre responsabilità e impegniamoci! Siamo realisticamente concreti!
Incominciamo col curare meglio la «dimensione laicale» della nostra vocazione!
A tal fine vorrei concentrare la vostra attenzione su tre proiezioni pratiche che da essa derivano.
1) Innanzitutto riguardo ai Salesiani Coadiutori. Abbiamo ricordato sopra l’importanza della componente laicale nella forma stessa della nostra Congregazione. E l’abbiamo fatto per confermare la nostra propensione innata d’impegnarci apostolicamente nel mondo del lavoro. «La Congregazione di S. Francesco di Sales — ci ha lasciato detto Don Bosco — è una radunanza di preti, chierici, laici, specialmente artigiani, i quali desiderano di unirsi insieme, cercando così di farsi del bene tra loro e anche di fare del bene agli altri».36
Riflettendo su questo progetto di Don Bosco, un nostro valente studioso raccolse, alcuni anni fa, la documentazione uscita fino allora sul Salesiano Coadiutore per «introdurre storicamente ad una rapida e precisa conoscenza della genesi e dello sviluppo dell’idea e della realtà» di questa figura originale di confratello, e per tentarne «un primo rapido profilo, alla luce dei suoi essenziali impegni religiosi e educativi». Ebbene, risulta assai suggestivo il titolo che, quasi a descrizione sintetica del tutto, ha voluto dare al libro: «Religiosi nuovi per il mondo del lavoro».37
Penso sia soprattutto in questo famoso mondo del lavoro dove si applica con più frequenza e con più peculiari esigenze di specifica mentalità e di approfondita qualificazione la pregnante affermazione del nostro Padre: «Vi sono delle cose che i preti e i chierici non possono fare, e le farete voi».38
Come pure le affermazioni di don Rua e di don Albera parlando del Salesiano Coadiutore: «uno dei bisogni più grandi della società moderna — è don Rua che parla — è di educare cristianamente l’operaio»;39 le vocazioni di Salesiani Coadiutori «sono uno dei bisogni più imperiosi per la nostra Pia Società, la quale senza di esse — scrive don Albera — non saprebbe conseguire le alte finalità sociali che le sono imposte dai tempi».40
Dunque una prima esigenza concreta nel riflettere sul ruolo che tocca a noi Salesiani nel mondo del lavoro è che tutta la Congregazione prenda sul serio la necessità di rivedere e di rinnovare profondamente la nostra mentalità circa la componente laicale della Comunità Salesiana e conseguentemente di far conoscere, promuovere e consolidare sempre più la figura del Salesiano Coadiutore.
Questo impegno esige, alla sua base, nientemeno che un vero cambiamento di mentalità: ho cercato di descriverlo nella circolare già citata del 1980.41 Sarebbe opportuno rileggerla con attenzione per meditarne gli arricchenti contenuti e le esigenti conseguenze. La dimensione laicale dell’indole propria di noi Salesiani è un aspetto essenziale che tocca intimamente ogni confratello (non solo il Salesiano Coadiutore) perché è un elemento vitale del nostro modo di «essere comunitario» e della nostra azione apostolica. La figura del Coadiutore ci stimola a ricordare una esplicita e tipica modalità del nostro apostolato nella Chiesa e a impegnarci con tutte le forze per superare una crisi che ci mutila, causandoci tanta pena e tarpando le ali alla
nostra possibilità di azione.
2) Ma poi dobbiamo anche considerare un secondo aspetto: l’importanza e il ruolo dei numerosi Laici sia nella Famiglia Salesiana che nel vasto ambito di simpatia e di collaborazione che la circonda.
La Congregazione insiste da anni e in maniera coerente sul loro ruolo ecclesiale e sulle loro multiformi capacità di partecipazione e collaborazione. La validità della loro presenza, il fondamento del loro inserimento, il bisogno di formazione continua, i rapporti fra essi e le nostre Comunità sono stati temi ribaditi in indirizzi e progetti.
Recentemente un nuovo Documento della Santa Sede, Il laico cattolico, testimone della fede nella scuola,42 ci aiuta a sintetizzare quanto si veniva raccomandando. Da esso ci viene un rafforzamento autorevole di quello che in questi anni si è ripetuto, cioè che la presenza dei Laici, sebbene originata dal bisogno di personale qualificato, dati i livelli e la quantità degli impegni educativi, ha superato oggi questo motivo iniziale e trova fondamenti in considerazioni teologiche: una visione di Chiesa come comunione operativa di diverse vocazioni, una nuova comprensione dell’agire pastorale, e una nuova considerazione del Laico all’interno di entrambe.
«Il motivo fondamentale dell’importanza del Laicato cattolico, considerato positivo ed arricchente dalla Chiesa, è teologico», ci dice il Documento;43 la loro presenza è necessaria;44 si tratta di un importante «segno dei tempi»:45 «la presenza simultanea (nella scuola cattolica) di sacerdoti, religiosi, religiose e laici costituisce per l’alunno un riflesso vivo di questa ricchezza che gli facilita una maggiore assimilazione delle realtà della Chiesa».46 La vocazione educatrice coinvolge il Laico nel «compito di formare uomini che attuino la civiltà dell’amore»,47 attraverso la comunicazione della cultura in prospettiva di fede.48
Da questa rapida indicazione si vedono già quali saranno i contributi dei Laici nelle nostre comunità educative: esperienza di vita, professionalità, testimonianza cristiana. Si vedono anche quali sono i punti delicati su cui portare l’attenzione: scelta accurata in funzione del progetto educativo particolare, formazione continua, coinvolgimento attivo.
Raccomando ad ogni comunità un buon approfondimento di questo importante Documento per una sua applicazione pratica: non si tratta, infatti, di assumere semplicemente del «personale esterno», ma di coinvolgere dei «Laici» veramente credenti e inoltre, ispirati alla pedagogia di Don Bosco.
3) In rapporto appunto all’inserzione di veri «Laici» si prospetta un terzo elemento concreto da promuovere: il ruolo animatore della Comunità Salesiana.
Nell’attuale struttura educativa, dai compiti complessi, dai molteplici influssi, dal pluralismo vitale, dalle aperture indispensabili, dalla libera circolazione dei contributi, è diventata necessaria e preziosa la funzione di orientamento qualificato, di animazione delle persone e di sapiente coordinamento del tutto. L’educazione di fatto è costantemente minacciata, oltre che da certe ideologie egemoni nell’opinione pubblica e in certe organizzazioni sociali, anche dai pericoli di frammentazione, di eclettismo, di funzionalismo, e purtroppo a volte di incompetenza nel campo specifico.
Una visione chiara e costantemente riveduta dei valori che si propongono, una convergenza metodologica e soprattutto un rafforzamento della qualità delle persone sono compiti educativi non addizionali, ma principali.
I confratelli responsabili, sebbene non esclusivamente essi, debbono disimpegnare con bontà e costanza il ministero di animatori: è un compito di competenza e di contenuti e non soltanto di fervore, o di semplice organizzazione. Questo impegno esige un livello più alto di qualificazione professionale, una maggior chiarezza riguardo all’originalità della propria missione, una sentita coscienza della finalità pastorale del tutto, e principalmente un’esperienza comunitaria di base che faccia diventare connaturale la partecipazione.
I Direttori, in modo particolare e secondo la tradizione salesiana, dovranno saper condurre in tal forma la vita della loro casa che trasformi i confratelli in una vera «comunità di animatori».
Alcuni suggerimenti di strategia per il futuro
Da quanto siamo venuti dicendo emergono non pochi suggerimenti per le Ispettorie e, in modo speciale, per le presenze dedicate a questo tipo di destinatari. A me, per il momento, sembra interessante sottolineare e raccomandare pochi ma grandi orientamenti che sono alla radice di tanti altri.
1) Il primo fronte di una rinnovata strategia è la preparazione specifica di più personale salesiano per il mondo del lavoro. È stata prerogativa di lunghi periodi della nostra storia preparare, in numero notevole, dei confratelli appositamente per tale settore. Recentemente, in forza di una crisi di vocazioni e altresì dell’urgenza di privilegiare certi aspetti religiosi e pastorali sorti nella Chiesa e nella società, le insistenze si sono spostate alquanto verso altri settori, mentre questo, che sembrava ormai acquisito, è rimasto un po’ in seconda linea. Così si sono venute allargando altre qualifiche e presenze, mentre è rimasta più o meno allo «statu quo» la qualificazione del personale in vista dell’impegno nel mondo del lavoro, forse anche per la difficoltà di adeguamento che essa rappresenta.
Si potrebbe pensare, a modo di ipotesi stimolante per provocare reazioni, che mentre la nostra capacità di risposta regge davanti a sfide più semplici, il salire del livello delle competenze requisite ci trova non sempre pronti a rispondere adeguatamente.
La preparazione specifica dei confratelli in questo campo comprende oggi vari aspetti: la coscienza e il senso pastorale, la sensibilità per i segni dei tempi e pei valori della cultura del lavoro, la qualificazione professionale, la capacità di coinvolgimento del laicato, la perizia nell’animazione soprattutto di comunità educative, il dialogo di quartiere, la comunione di Chiesa locale, ecc.
Da anni si parla di queste nuove esigenze e non c’è dubbio che si è camminato. Oggi si possono vedere esempi e modelli di comunità che funzionano con efficiente qualificazione dei confratelli e con buona integrazione e animazione dei collaboratori, con orientamento, corresponsabilità, dialogo nel quartiere e in comunione con la Chiesa locale.
Ma è anche un fatto che non poche volte si è affrontata la situazione solo da autodidatti. Lode ai volenterosi! Però sarà bene far sì che le programmazioni di formazione (iniziale e permanente) prevedano e prevengano, anzi preparino, ad una maggior competenza in tutti questi aspetti.
2) Un secondo fronte strategico, altrettanto importante, è la revisione delle opere, la loro visione d’insieme con un loro equilibrato sviluppo organico nelle Ispettorie, in consonanza con l’identità e l’originalità salesiana. Mi riferisco alla quantità di presenze tra i lavoratori che ciascuna Ispettoria ha oggi e prospetta per il futuro, particolarmente di carattere educativo. Si sa che in alcune Ispettorie, per effetto di uno sviluppo portato avanti più in base a sole offerte e scelte occasionali che a criteri salesiani, il nostro impegno nel mondo del lavoro si è rimpicciolito progressivamente.
È imperativo pensarci. I nostri ultimi Capitoli Generali hanno insistito di preferire gli ambienti popolari e in essi «approfondire l’ascolto e la conoscenza delle masse operaie, dei loro problemi, delle loro ansie e aspirazioni, delle cause dei loro atteggiamenti nei confronti della Chiesa e della fede».49
Il decentramento ha devoluto alle Ispettorie, responsabilizzandone l’Ispettore con il suo Consiglio, il compito di curare l’adeguamento della nostra missione con i bisogni locali, assicurando una retta incarnazione e un equilibrio armonico dei nostri vari impegni apostolici.
3) E, infine, un altro fronte vitale è quello di una rinnovata pastorale vocazionale in favore del già più volte ricordato Salesiano Coadiutore. Il futuro delle nostre presenze educative nel mondo del lavoro è legato fortemente, come abbiamoo visto, alla vocazione del Salesiano Coadiutore.
La sua figura di confratello è nata e si è espressa in queste presenze, pur senza limitarsi ad esse. I periodi più floridi delle scuole professionali ed agricole coincidono anche con una presenza quantitativa e qualitativa di Coadiutori e con il fiorire di ambienti particolarmente dedicati alla loro preparazione: corsi professionali, incontri e confronti, permanenza nel settore, ecc.
Non sto ripetendo quanto detto sopra: là parlavo di «cambiamento di mentalità»; qui parlo di «pastorale vocazionale» come impegno strategico di una Ispettoria.
È dunque pressante, al riguardo, la necessità di pensare coraggiosamente e con creatività ad iniziative di pastorale vocazionale veramente rinnovate. Attraverso modelli di esperienze e proposte, esse debbono mettere davanti ai giovani, in tutta la sua ricchezza e senza bisogno di condizionamenti particolari, questa maniera moderna e geniale di essere salesiani.
Ogni Ispettoria deve far sì che i giovani, chiamati dal Signore a questo tipo di impegno, trovino i punti di riferimento, l’orientamento, l’animazione e l’assistenza per una opzione libera, attraente, chiara e gioiosa.
Nelle Ispettorie dove si lavora in questo campo con strutture concrete ed adeguate (aspirantati, comunità, organizzazioni e gruppi appositi) se ne percepiscono quasi immediatamente i frutti.
Riascoltiamo don Rinaldi: «Facciamo conoscere tutta la bellezza e la grandezza del Coadiutore Salesiano e prepariamone molti per tutte le professioni, arti e mestieri».50
Affidamento a Maria Ausiliatrice
E concludiamo.
Abbiamo incominciato parlando di un viaggio del Rettor Maggiore particolarmente significativo. Abbiam fatto memoria di quel sorprendente giro del mondo fatto da Don Bosco nel sogno missionario del 1885: un lungo percorso profetico, praticamente nell’Emisfero sud.
Di lì, da questo Emisfero, abbiamo ascoltato il clamore del Terzo Mondo che vede tra le sue vie pratiche d’uscita dal sottosviluppo e dalla sperequazione che lo tormenta, una crescita nella competenza e nella tecnica del lavoro, illuminata e guidata dalla moralizzazione e dall’evangelizzazione del processo industriale in tutto il globo. Il progresso tecnico è un bene in sé, ma è ingabbiato in strutture e ideologie non oggettivamente etiche, né tanto meno cristiane, che lo mettono al servizio di egoismi di gruppi e di Stati.
Il Papa ci ha ricordato il fatto che «il lavoro umano è una chiave, e probabilmente la chiave essenziale, di tutta la questione sociale, se cerchiamo di vederlo veramente dal punto di vista del bene dell’uomo. E se la soluzione o, piuttosto, la graduale soluzione della questione sociale, che continuamente si ripresenta e si fa più complessa, deve essere cercata nella direzione di “rendere la vita umana più umana”, allora appunto la chiave, che è il lavoro umano, acquista un’importanza fondamentale e decisiva».51
Urge dunque, nella missione della Chiesa, evangelizzare con opportuna attualità la cultura del lavoro. Pur adeguandosi alla situazione esistenziale del povero (specie nelle missioni e nel Terzo mondo), occorre consegnare anche ai poveri (ai giovani bisognosi) le chiavi di apertura verso un giusto progresso a cui ogni uomo e ogni popolo ha diritto, per la propria liberazione sociale e spirituale.
E noi Salesiani abbiamo un nostro umile ma esigente posto in questo compito ecclesiale: l’abbiamo visto.
È una missione esigente, complessa, difficile. Non per questo possiamo disertare.
Rinnoviamoci; cerchiamo forze; riorganizziamo la collaborazione; siamo magnanimi e coraggiosi come il nostro Padre e Fondatore!
Non puntiamo semplicemente sulle nostre energie, tanto limitate, ma confidiamo con cuore illuminato in Colui che ha voluto la nostra vocazione e che ci dà la forza per viverla e farla crescere.
E questa fiducia nel Cristo esprimiamola filialmente attraverso la nostra specifica devozione mariana: a Cristo per Maria! L’Ausiliatrice interceda, ci guidi e ci sorregga in un impegno tanto arduo ma angustiosamente incalzante.
Paolo VI, nella Marialis cultus, ci dice di guardare a Maria tenendo presenti le varie situazioni del mondo contemporaneo, per scoprire come Essa «possa considerarsi il modello di ciò che entra nelle aspettative del nostro tempo». Così si constaterà «con lieta sorpresa che Maria di Nazaret, pur completamente abbandonata alla volontà del Signore, fu tutt’altro che donna passivamente remissiva o di una religiosità alienante, ma donna che non dubitò di proclamare che Dio è vindice degli umili e degli oppressi e rovescia dai loro troni i potenti del mondo; ...una donna forte, che conobbe povertà e sofferenza, fuga ed esilio... e la cui funzione materna si dilatò, assumendo sul Calvario dimensioni universali».52
Noi La veneriamo appunto come «Ausiliatrice» perché sottolineiamo in Lei sia l’operosa condizione dei poveri (sposa di un carpentiere e casalinga), sia la sollecitudine di servizio e di collaborazione (ricordando, ad esempio, la sua premura verso Elisabetta), sia, soprattutto, la solerte laboriosità materna così aperta all’universalità da costituire, più in là del Calvario, il suo modo di essere come risorta nell’assunzione ai cieli: vive con Cristo Signore quale Aiuto dell’Umanità e quale Madre della Chiesa.
Essa è, dunque, totalmente attiva, dedita agli uomini ancora viandanti, così preoccupata dei poveri e dei bisognosi che potremmo anche chiamarla «la Madonna del lavoro», quasi a sottolineare un aspetto del suo atteggiamento di Ausiliatrice.
Ebbene: considerando il bisogno impellente che abbiamo di saper reinserirci validamente oggi nel mondo del lavoro, affidiamo fiduciosamente a Lei, nostra Madre e Maestra, il rilancio di un aspetto tanto essenziale della nostra missione nella Chiesa.
Esprimiamo in questo atto di affidamento a Maria Ausiliatrice il nostro proposito sincero di essere portatori ai giovani del «Vangelo del lavoro» approfondito e proclamato alla luce del mistero di Cristo, presentato come messaggio di risposta all’appello dei segni dei tempi e dell’attuale condizione, soprattutto dei popoli più bisognosi.
Don Bosco interceda!
Auguro a tutti un Buon Natale con i migliori voti per l’Anno nuovo.
Cordialmente nel Signore,
D. Egidio Viganò
NOTE LETTERA 19 --------------------------------------------------------------------
1 MB XVII, 643-647
2 MB X, 1268; XVIII, 378
3 MB XII, 314-315; XIII, 161; XVII, 30-31
4 MB XVII, 31
5 MB XVII, 645
6 ib.
7 Breviario, lodi del lunedì della 4ª settimana
8 Laborem Exercens, 14 settembre 1981
9 cf. Memorie dell’Oratorio, pag. 129
10 ib., pag. 130
11 MB IV, 659-660
12 Del 1853 è il REGOLAMENTO per i Maestri d’arte (MB IV, 661).
Dello stesso tempo, però con data non definitiva perché fatto di diverse aggiunte nel tempo, è «IL PRIMO PIANO DI REGOLAMENTO PER LA CASA ANNESSA ALL’ORATORIO DI SAN FRANCESCO DI SALES».
Esso ha già indicazione per:
– L’Assistente di laboratorio - Cap. V art. 9.
– Responsabile di laboratorio - Cap. VII art. 1.
– Maestri di laboratorio - Cap. IX.
Tra il 1853 e il 1861 si perfeziona la regolamentazione (MB IV, 735-755).
13 Cost 11
14 CGS 54
15 Cost 18
16 cf. MB XII, 466-467; XIII, 326
17 Cost 87
18 CG21 131 - 2.3.6
19 ACS n. 298, 1980
20 ACS n. 298, pag. 6
21 ib., pag. 31ss
22 ib., pag. 31
23 CGS 74
24 CGS 413
25 CG21 29
26 CG21 183; cf. n. 184
27 cf. Laborem Exercens, 7, 26
28 ib., 5
29 Laborem Exercens, 6
30 ib., 4
31 ib., 6
32 ib., 27
33 cf. ib., 24
34 Laborem Exercens, 25
35 Preghiera eucaristica, 3a
36 MB XII, 151
37 P. BRAIDO - Roma, PAS, 1961
38 MB XVI, 313
39 Lettere circolari di don Michele Rua ai Salesiani - Torino 1965, pag. 207 - circolare del 24-6-1898
40 Lettere circolari di don Paolo Albera ai Salesiani - Torino 1965, pag. 505 - circolare del 15-5-1921
41 ACS n. 298
42 S. Congregazione per l’Educazione Cattolica, Roma, 15-10-1982
43 ib., 2
44 ib., 3
45 ib., 4
46 ib., 43
47 ib., 19
48 ib., 20
49 CGS 413
50 ACS 24-7-1927, pag. 577
51 Laborem Exercens, 3
52 MC 37