301-350|it|306 L‘animazione del Direttore Salesiano

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L’ANIMAZIONE DEL DIRETTORE SALESIANO



Introduzione. - La ricchezza di una tradizione carismatica. - Portatore di una consacrazione a tempo pieno. - Testimone della trascendenza di Cristo-Mediatore. - Specialista del «sensus Ecclesiae». - I suoi caratteristici impegni ministeriali. - Profeta di verità salvifica. - Maestro e guida di santificazione. - Tessitore di comunione ecclesiale. - Conclusione.

Lettera pubblicata in ACS n. 306



Roma, 16 luglio 1982


Cari Confratelli,


auguri di buona preparazione del prossimo Capitolo Ispettoriale! Avete ricevuto il n. 305, «speciale», degli Atti del Consiglio Superiore: fatene fecondo oggetto delle vostre riflessioni. Impegniamoci tutti nel far sì che ogni comunità possa assurgere veramente in questi tempi a un più intenso «stato di adorazione».

In questi giorni è uscito finalmente il «Manuale del Direttore» voluto dal CG21; speriamo che venga presto seguito da quello dell’Ispettore.1 È un sussidio molto importante per l’adeguato rinnovamento della funzione del Direttore nelle comunità. È bene che tutti i confratelli ne prendano conoscenza: non basta, infatti, per animare bene una comunità, l’impegno del primo responsabile; ci vuole la sincera e fraterna collaborazione di tutti.

Tra gli aspetti del rinnovamento del ruolo del Direttore, il Manuale ricorda quello salesianamente fondamentale del suo sacerdozio ministeriale.

La Congregazione è uscita con le ali un po’ bruciacchiate dalla crisi in corso; c’è urgenza di riprogettare insieme la nostra santità;2 è indispensabile saper dar forza ai confratelli;3 bisogna intensificare il livello spirituale di tutta la Famiglia Salesiana.4

Ebbene, tra noi questo richiede un accurato rilancio del ministero sacerdotale e della sua specifica umiltà e potenza di servizio: non «clericalizzazione», ma genuino servizio spirituale e pastorale. È un’urgenza per tutti nella Chiesa e, in particolare, per ogni membro e comunità della Famiglia Salesiana.

Per chiarire e irrobustire nelle nostre coscienze il primato assoluto del «pastorale», urge curare, alle radici, la mistica del sacerdozio ministeriale. Ne hanno bisogno tutti: i Confratelli in genere, il Coadiutore, la Figlia di Maria Ausiliatrice, il Cooperatore, la Volontaria di Don Bosco, l’Exallievo e tutti i partecipanti del grande movimento di spiritualità apostolica intorno a Don Bosco.

Quasi a commento di questo aspetto presentato dal nuovo Manuale del Direttore, offro a tutti i confratelli alcune riflessioni proposte, nei mesi scorsi, in varie riunioni ai Direttori di diverse Ispettorie. Mi rivolgo dunque ai Direttori, ma per un tema che interessa tutti.

Il nostro buon Padre ci aiuti ad accrescere in Congregazione gli stessi sentimenti che egli nutriva quotidianamente nel suo cuore! Tutto ciò che sfugge al suo motto-programma, Da mihi animas, cetera tolle, rischia di non essere genuinamente salesiano. È soprattutto a questo livello spirituale e pastorale che dobbiamo temere la superficialità.


* * *


Cari Direttori, su questo argomento ho pensato tante volte. In modo familiare offrirò a voi, che siete miei colleghi nel servizio dell’autorità salesiana, alcune riflessioni che considero assai importanti. Si tratta di un aspetto di fondo che si riferisce al superiore salesiano, secondo una modalità propria della nostra tradizione: il fatto che l’animazione del Direttore nella Comunità salesiana deve essere un esercizio del ministero sacerdotale.5

La condizione di prete interpella il Direttore nella specifica funzione animatrice che gli è stata assegnata a favore del processo di identificazione vocazionale della sua Comunità e della Famiglia Salesiana locale.



La ricchezza di una tradizione carismatica


Incominciamo con alcune premesse.


• Una prima premessa.

Innanzitutto, perché nella tradizione salesiana il Direttore è sacerdote? Che cosa comporta nella pratica un tale aspetto?

È un dato di fatto vissuto da Don Bosco e sperimentato nella vita della Congregazione. Non deriva da esigenze ecclesiali o sociali, ma da un’esperienza carismatica. Qui non mi preoccupo di dimostrare niente, ma di illuminare piuttosto un impegno di vita.

Le osservazioni di fondo che vi presento dovrebbero divenire per voi un clima di abituale meditazione, un quadro di riferimento per gli esami di revisione, una convinzione chiara, vissuta. Non c’è bisogno di sbandierarle quasi per suscitare di nuovo delle discussioni. È una considerazione offerta a quanti stanno esercitando oggi questo ministero di animazione salesiana.


• So pure — è la seconda premessa — che l’uomo nella storia non realizza mai in modo ideale una determinata funzione, in senso pieno e perfetto: lo fa sempre con difetti e manchevolezze.

Ciò non toglie che un ruolo importante lo si debba presentare nella sua pienezza, con tutte le sue caratteristiche ed esigenze, descrivendo la sua natura nel modo più completo possibile, come una meta utopica (nel senso positivo) di attrazione. Chi non guarda all’ideale, quando si prepara ad agire, non trova la necessaria spinta e la giusta orbita per la sua azione.

Conosciamo le numerose e crescenti difficoltà, siamo al corrente della vita delle case e delle opinioni dei confratelli: ognuno risponde alle interpellanze facendo tutto quello che può!

Però, ecco, siamo convinti che nell’esercizio della nostra funzione animatrice non siamo soli; c’è con noi il Signore. Non è un’esortazione moralistica per incoraggiarci o per deprimerci. è una costatazione oggettiva, fortemente teologale, che deve abitare nella coscienza personale del Direttore: una visione, perciò, di verità e di oggettività che avvicina e rende possibile l’ideale. La sicurezza della presenza del Signore, che ci conforta, obbliga a ricuperare continuamente slancio e a tendere verso la meta con rinnovata energia: «omnia possum in Eo qui me confortat»!

Gli ultimi due Capitoli Generali hanno toccato esplicitamente, come elemento proprio della nostra peculiare indole carismatica, questo aspetto; e il Papa Paolo VI ci ha invitati con una lettera del suo Segretario di Stato (all’inizio del CG21),6 a conservare questa disposizione costituzionale caratteristica del nostro carisma: che il Direttore, «avvalorato dai carismi della Ordinazione sacerdotale, possa guidare con sapienza ecclesiale le varie e crescenti schiere di quanti intendono militare sotto la guida e lo spirito di San Giovanni Bosco».

Noi non facciamo delle affermazioni dottrinali da applicarsi a qualsiasi Istituto religioso: il nostro carisma è nato e cresciuto così.


• E una terza premessa.

Io sento una certa angoscia nel cuore, da anni; e mi viene confermata purtroppo, qua e là, nei miei contatti in giro per il mondo. In Congregazione c’è una pericolosa «crisi di sacerdozio»; essa può portare a rovinare l’identità del nostro patrimonio carismatico, dei nostri criteri pastorali e dello stile della nostra comunità salesiana.

Anche se in Congregazione ci sono molti preti, non sempre funziona a sufficienza il sacerdozio. Probabilmente alla radice di questa delicata situazione c’è un difettoso esercizio del ministero sacerdotale del Superiore salesiano. è con i carismi dell’Ordinazione sacerdotale che il Direttore, l’Ispettore e i Superiori devono aiutare gli altri confratelli ad essere più genuinamente salesiani: i Preti ad essere specialisti di pastorale giovanile; i Coadiutori ad essere più genuinamente religiosi, contrassegnati da una speciale laicità;7 gli altri gruppi della Famiglia Sa-lesiana ad essere più pastoralmente fedeli a Don Bosco; le Figlie di Maria Ausiliatrice, i Cooperatori, gli Exallievi, le Volontarie di Don Bosco, tutti, ad essere «insieme» portatori e promotori della grande eredità spirituale e apostolica, ricevuta dal nostro Padre e Fondatore.

Bisognerebbe meditare queste idee più organicamente e dedicarsi a scriverne con serietà e con oggettività salesiana.

Noi, qui, ne conversiamo un po’ alla familiare, ma cercando di farne percepire l’importanza e la profondità.



Portatore di una consacrazione a tempo pieno


Don Bosco è stato prete all’altare, sul pulpito, in confessionale, in cortile, per la strada, nelle vicissitudini politiche, davanti ai ministri, nell’uso dei mezzi di comunicazione sociale, nei settori culturali, dappertutto e sempre.

Il Direttore deve saperlo imitare, anche se sono sopravvenuti non pochi cambiamenti ecclesiali nell’esercizio del ministero sacerdotale.

Oggi, dopo il Vaticano II, ci sono, al riguardo, grosse novità, non perché cambia la consacrazione dell’Ordine, ma perché cambiano i problemi da affrontare, le priorità pastorali da scegliere e lo stile d’impegno. Io me lo sono domandato più volte per me: il Rettor Maggiore quando funziona come prete?

Mi ricordo che, anni addietro, quando andavo al mio paese e celebravo nella Collegiata, conversavo con i sacerdoti diocesani impegnati nella parrocchia, li vedevo celebrare, confessare, presiedere funerali, visitare gli ammalati, predicare e fare catechismo, e mi sembrava di essere un prete di altro tipo: ...di più o di meno? Ho poi visto nel Concilio8 che c’è una tipologia multiforme di preti.

La risposta di fondo va però ricercata nella grazia pastorale e permeante della consacrazione dell’Ordine, per cui un prete dovrebbe saper far tutto in quanto prete. Appunto come Don Bosco: non era parroco, eppure faceva tutto sotto l’impulso pastorale del «da mihi animas» così da non saper più dire quando non fosse prete!

Dunque, dovremmo domandarci: quando un Direttore non è prete?

Ma per capire questa paradossale domanda bisogna approfondire che cos’è il sacramento dell’Ordine e che significa essere consacrato prete.

Incomincio col dire: nella coscienza esplicita di un Direttore sa-lesiano deve brillare chiara, al primo posto, questa convinzione: il servizio a cui sono stato chiamato in vista dei confratelli della mia Comunità e della Famiglia Salesiana locale è un tipo di ministero sacerdotale originato e nutrito dalla grazia e dai carismi pastorali del sacramento dell’Ordine.

Questa non è un’affermazione dottrinale astratta o una semplice disposizione giuridica, ma è un dato carismatico di fatto, derivato dalla natura salesiana del servizio di animazione da prestare alle nostre comunità.



Testimone della trascendenza di Cristo mediatore


Per la consacrazione dell’Ordine il prete è vincolato personalmente in forma sacramentale con Cristo, è abilitato ad agire «in persona Christi», soprattutto quando celebra l’Eucaristia e amministra i sacramenti. è consacrato da Dio, nella Chiesa, a vivere e ad operare, vincolato direttamente con la missione e il ministero di Cristo stesso.

E qui, ricordiamoci che Cristo ha inventato un sacerdote totalmente originale e inedito, esclusivo della nuova ed eterna Alleanza. Nel Nuovo Testamento lo si chiama «presidente della carità», «presbitero», «pastore», ecc.

Cristo ha inventato un ministero che non c’era prima di Lui. C’erano i «sacerdoti» dell’Antica Alleanza, di tipo piuttosto cultuale, membri di una tribù speciale. Questo sacerdozio è stato abolito. Dopo la sua incarnazione, Cristo è l’unico vero sacerdote della Nuova Alleanza. Non esiste più alcun sacerdozio valido se non quello di Cristo. Il sacerdozio degli altri, dei Vescovi e di noi preti, è espressione sacramentale del suo unico sacerdozio. Se tu sei prete, lo sei non perché sei nato in una «tribù», ma unicamente in quanto sei espressione sacramentale della missione e del ministero che Cristo è venuto a portare sulla terra e che realizza come risorto. Attraverso la nostra sacramentalità di «ordinati» passa l’attuale mediazione di Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, sempre vivo per realizzare ieri, oggi e in futuro, la sua missione.

È dunque, il nostro, un sacerdozio singolare e misterioso, poggiato sull’evento della risurrezione.

Ma in che cosa consiste praticamente la sua originalità?

Si usa oggi una parola che ne indica bene la natura: la dimensione «pastorale». Per chi è sacerdote di Cristo, tutto dovrebbe essere visto e guidato da questo valore, dalla preoccupazione «pastorale». Non è che si escluda o si disprezzi il resto: le professioni umane, la cultura, l’economia, la politica, no! Però la dimensione pastorale non è, di per sé, né cultura, né economia, né politica, né scienza; è una dimensione originale. Per capirla bisogna guardare solo alla persona di Cristo, a quel che ha operato in terra e a quello che fa adesso, in quanto risuscitato, come mediatore permanente e signore della storia.

E qui viene subito alla mente quale deve essere l’ansia interiore di un prete, così come l’ha vissuta Don Bosco, esprimendola nel motto pastorale tanto significativo Da mihi animas, cetera tolle. Il Direttore, il prete deve essere un testimone della trascendenza storica di Cristo e un operatore instancabile della sua missione; deve saperla curare e promuovere negli altri; deve mantenere nella sua Comunità il primato del «pastorale» al di sopra e al di dentro delle altre attività umane. Deve essere, quindi, anzitutto, un riflesso sacramentale di Cristo-mediatore, che s’impegna a dedicarsi ai suoi fratelli (specialmente ai giovani) come «buon pastore».

Ripeto: la dimensione pastorale non esclude niente; anzi noi facciamo pastorale impegnandoci nella promozione umana, nella cultura.

Però: ecco, ci deve essere chi vede chiaro, medita, verifica, valuta ciò che si sta facendo e pone sempre, continuamente (quando c’è un contatto personale o un atto di comunità, una riunione, un esercizio della buona morte, un ritiro trimestrale) e al posto giusto la visione d’insieme e la permeazione pastorale del tutto.



Specialista del «Sensus Ecclesiae»


Il Vaticano II ci ricorda che il prete è ministro della Chiesa, l’uomo della comunione, il tessitore e il conduttore della comunità dei credenti, un cuore che batte all’unisono con quello della Chiesa — il Corpo di Cristo — che continua nella storia la missione tra gli uomini.

Quindi nell’animo del prete vibra in permanenza il «sensus Ecclesiae»: della Chiesa universale e di quella particolare.

Nella tradizione salesiana di Don Bosco c’è, come caratteristica sempre curata, un forte senso della Chiesa universale, che si traduce in una visione pastorale mondiale e in una ardimentosa ansia missionaria.

Ma c’è anche un senso vivo della Chiesa locale, tradotto in convinzioni e collaborazione pratica. Nessun Direttore salesiano, infatti (eccetto uno!), vive nel Vaticano a contatto con le sensibilità della Chiesa universale, in relazione personale e diretta con il Papa. Il Direttore salesiano vive in una nazione, in una diocesi, in una parrocchia, in rapporto con la Conferenza episcopale, con il Vescovo diocesano o con il Parroco del luogo.

Come prete non può prescindere dalla vita d’insieme della Chiesa locale nei suoi differenti livelli.

Quindi la consacrazione dell’Ordine muove il Direttore a coltivare in sé, e a curare negli altri, questa sensibilità pastorale, interessandosi concretamente della vita e dell’attività della Chiesa locale.

Connessa a questo «sensus Ecclesiae» c’è tutta una rete di vincoli con il Papa, i Vescovi e gli altri preti. Il Vaticano II ha descritto, giustamente, il sacerdote come intelligente e inventivo «collaboratore del Vescovo». Questo singolare aspetto di «collaborazione» pastorale è intrinseco alla natura stessa del sacerdozio cristiano. Non è un soprappiù che uno si decide di fare per generosità, no! è una dimensione indispensabile perché è stato chiamato e consacrato a realizzare il vero ministero sacerdotale di Cristo.

Ora, essere «collaboratore del Vescovo» comporta tante esigenze concrete nel progettare e attuare una pastorale. Capisco che possono nascere anche delle difficoltà, e non sempre piccole. In una riunione plenaria della SCRIS (S. Congregazione per i Religiosi e gli Istituti secolari) sul tema dei mutui rapporti tra Vescovi e Religiosi, io ne ho sentite parecchie, e dai Vescovi stessi. D’altra parte, la vita di Don Bosco ce ne può suggerire degli esempi!

Non ci interessa, adesso, entrare in questa problematica. Noi vogliamo approfondire l’interiorità dell’animo sacerdotale, vogliamo sentire i palpiti del suo cuore, conoscere i suoi ideali, intuire i suoi progetti e i suoi aneliti. Tutto ciò comporta nella coscienza del prete delle responsabilità sue proprie, che devono essere coltivate anche quando i problemi e le circostanze lo possono far soffrire.

Il Direttore, perché prete, deve curare ecclesialmente il significato e gli orizzonti dell’attività pastorale sua e della comunità; deve saper vivere e far vivere in sintonia e collaborazione con il Papa, con i Vescovi e con i sacerdoti; promuovere le relazioni con loro, la simpatia, l’amicizia, la stima e la collaborazione; non per diplomazia o per semplice convenienza, ma perché tutto questo costituisce un aspetto importante del contenuto del suo servizio alla Comunità salesiana.

Quindi deve avere attenzione, comprensione e sensibilità per tante iniziative che si traducono in una pastorale organica, guidata dal Vescovo, dove appare con chiarezza la collaborazione dei preti. Gli atteggiamenti di noi religiosi e le nostre opere, purtroppo, risentono ancora, qualche volta, di certe modalità, ereditate dai tempi in cui si lavorava a compartimenti stagno. Le cose, però, stanno cambiando; in alcuni paesi molto velocemente, in altri meno.

La strada pastorale del futuro è pienamente ecclesiale. Il Direttore salesiano deve avere una coscienza sacerdotale di collaborazione; deve cercare di seguire la strada ecclesiale giusta e accettare la segnaletica rinnovata che ci guida; deve, insomma, far crescere la visione e l’attività della sua comunità nel «sensus Ecclesiae».


I suoi caratteristici impegni ministeriali


Il ministero sacerdotale, nella sua unicità di rappresentazione sacramentale del Cristo-Capo, si snoda poi in tre funzioni complementari: il ministero della Parola, il ministero della Santificazione e quello della Conduzione della Comunità.

Sono funzioni indicate in tutti i documenti del Concilio che trattano di questo tema, e sempre nello stesso ordine, quasi per mettere in evidenza una certa priorità esistente tra di esse.

In primo luogo, il servizio della Parola: la percezione dei valori della Rivelazione di Dio e la manifestazione della loro verità salvifica.

In secondo luogo, il servizio della Santificazione: la liturgia, le fonti della grazia, il superamento del peccato, la crescita nella carità.

Infine, il servizio della Conduzione comunitaria: il coordinamento pastorale, la cura della comunione, il governo spirituale della Comunità.

Dovremo approfondire un po’ queste tre manifestazioni del servizio sacerdotale. Qui ricordiamo che costituiscono tre aspetti di un unico ministero; tre funzioni vincolate intrinsecamente fra di loro, anche se poi, secondo le circostanze e gli incarichi, si intensifica più l’una che l’altra.

Il sacramento dell’Ordine infonde nel cuore consacrato del prete una specifica energia di grazia, caratterizzata dalla carità pastorale, che lo aiuta a armonizzare in unità le molteplici attività ministeriali, lo arricchisce nella sua sensibilità ecclesiale, lo rende capace di testimoniare la trascendenza storica di Cristo e lo sostiene e conforta nelle svariate attività e difficoltà pastorali.

Abbiamo fiducia, cari Direttori! La carità pastorale è un dono dello Spirito, e la nostra consacrazione sacerdotale assicura una abbondante quantità in dotazione al nostro carattere sacramentale.



Profeta della verità salvifica


I1 Concilio ci dice che il primo servizio che deve saper offrire il prete è quello di meditare, contemplare, pregare e percepire per conoscenza di connaturalità qual è la verità salvifica da comunicare. Non dico che il Direttore debba essere un biblista o un teologo; però, più ne sa in queste materie e meglio è.

Certamente deve essere un assiduo ricercatore della parola salvifica di Cristo. Non gli si chiede di leggere il Vangelo con il metodo scientifico dell’esegeta; ma di saperlo scrutare per intuirne la verità salvifica e scoprire quale messaggio di liberazione offre alla gente

che sta con lui. Deve tradurre la parola di Dio in «messaggio», oggi, per questi giovani, per questi suoi fratelli, per questi avvenimenti sociali e politici, per questi bisogni culturali, per questo disorientamento ideologico.

Ecco un impegno di meditazione non facile, una lettura che non si fa esclusivamente sui testi. Servono senz’altro i testi; ma bisogna accompagnarli con la riflessione sulla vita, su ciò che succede, sulle persone concrete e anche scomode, con le loro virtù e i loro peccati, così come sono i confratelli, com’è la gioventù oggi. Riflettere, leggere, meditare, contemplare, pregare è un’attività impegnativa. Il Direttore che lavora molto, fa assai bene. Però il primo lavoro che deve saper fare è appunto questo: non il faccendone, neppure il pensatore, ma il contemplativo e l’orante in vista dell’azione pastorale salesiana. Ecco qui il suo primo impegno di prete!

Il Direttore, il Superiore salesiano non può essere semplicemente un uomo che agisce, e neppure un uomo che sta tutto il giorno in ginocchio. Per noi non è così. Qualche volta deve anche stare seduto a tavolino con dei libri, non per farsi erudito, ma per capire il contenuto del messaggio evangelico e per avere orientamenti autorevoli da comunicare con realismo pedagogico. Il messaggio da comunicare, cari Direttori, non si trova già fatto e non sboccia dal nulla.

Il mistero di Cristo e il suo Vangelo contengono tutti i valori della salvezza. Il nostro impegno di contemplazione ci mette in sintonia di connaturalità con essi. Ma poi bisogna applicarne il messaggio all’oggi.


Ci sono due canali di mediazione qualificata. Essi ci accompagnano nell’approfondimento della verità salvifica da comunicare, come messaggio, alla Comunità salesiana e all’ambiente, non alla sola Comunità salesiana, ma, attraverso essa, alla realtà giovanile: la Comunità salesiana infatti non esiste per se stessa, esiste per i giovani, per un ambiente, per un quartiere.

I due canali di mediazione qualificata sono il Magistero della Chiesa e il patrimonio spirituale del carisma di Don Bosco. Le luci del Magistero e l’indole propria del nostro carisma ci aiutano a tradurre il Vangelo in messaggio.


— Incominciamo con il Magistero del Papa e dei Vescovi. Pensate al Concilio Vaticano II, nei suoi grandi orientamenti dottrinali e pastorali, che guida questo secolo e l’avvento del Duemila (vedranno poi i nostri successori se si tratterà di più secoli!).

E poi le esortazioni pastorali del Papa: le encicliche, le allocuzioni, i vari documenti. Guardate, per esempio, la recente enciclica Laborem exercens: sarà forse un po’ difficile, ma è straordinariamente importante: affronta un problema di attualità con una profondità finora inedita.

Poi ci sono i Sinodi dei Vescovi, con i loro vari temi di attualità; la Conferenza episcopale del proprio Paese, che aiuta e illumina; c’è anche il Vescovo locale, che interviene, suggerisce e dirige.

Il Direttore che, come prete, ha una speciale coscienza di collaboratore, saprà alimentare la sua propria responsabilità di «profeta». Dovrà, perciò, conoscere gli interventi del Magistero, procurarsene i documenti, leggerli e meditarli anche per gli altri. Ecco allora che ha bisogno di un luogo e di un tempo di meditazione per esercitare il suo sacerdozio. Altro che presiedere semplicemente ai funerali!

Qui si orienta la storia; la piccola storia della propria Comunità e quella della Chiesa locale. Così si guida sacerdotalmente, in nome di Cristo, così si fa il profeta della verità salvifica.

Guardate che Don Bosco è un esempio straordinario di tale funzione sacerdotale, un pastore giovanile e popolare di genuina contemplazione e di geniale praticità, unite alla qualità eroica di lavoratore instancabile, di indefesso comunicatore. Era un incredibile uomo d’azione, ma anche un forte lettore, un attento e informato operatore, profondo conoscitore del Vangelo, contemplativo del mistero di Cristo, docile ascoltatore del Papa e del Magistero, direi anche studioso, ma non con l’affanno dell’erudizione, bensì con l’ansia di poter esercitare meglio il suo ministero sacerdotale. Come sarebbe bello che i Direttori salesiani facessero quanto ha fatto Don Bosco per la verità salvifica!


— C’è poi il secondo canale di mediazione, quello della Congregazione in vista della genuinità del carisma salesiano che, in un cambio culturale come l’odierno, offre anche non pochi orientamenti concreti.

I due ultimi Capitoli Generali hanno adeguato la nostra Congregazione ai grandi ed esigenti principi conciliari e ai tempi. Inoltre gli orientamenti che dà il Rettor Maggiore con il suo Consiglio, considerando i bisogni e le necessità della nostra vocazione oggi (Atti dei Capitoli Generali, Ratio, Manuale del Direttore, Circolari del Rettor Maggiore, lettere speciali, ecc.), sono sussidi che, uniti al patrimonio degli scritti di Don Bosco e della tradizione spirituale salesiana, costituiscono una vera ricchezza illuminante per la guida delle nostre Comunità.

Anche l’Ispettore con il suo Consiglio dà degli orientamenti su problemi ancor più concreti.

Tutto questo deve essere ben considerato dal Direttore, deve essere tenuto in conto, non tanto con il senso passivo dell’osservanza (non perché l’osservanza non sia importante!), ma attivamente, affinché nel suo cuore non prevalga la semplice preoccupazione di un adempimento, bensì l’ansia sacerdotale di genuinità di vita, per un esercizio effi-cace della sua profezia ministeriale. Il Direttore deve saper portare in casa le luci che provengono da questo nostro canale di mediazione, perché i confratelli e i gruppi della Famiglia Salesiana abbiano un senso più attuale e genuino del proprio intervento pastorale.

Già in questo primo versante del ministero sacerdotale la figura del Direttore-prete aiuta a considerare tutto ciò che deve fare la Comunità sotto l’angolatura della dimensione pastorale. Essere dunque animatore, in qualità di profeta della verità salvifica, comporta numerose esigenze di speciale preparazione e dedizione. Le raccomandazioni che si riferiscono a questo servizio si possono fare in forma superficiale e quasi materiale, come se si elencasse una lista di doveri che, in fin dei conti, lasciano il tempo che trovano. Ma se le si considera a partire dalla profonda visione del sacerdozio, allora devono scuotere veramente la coscienza di ogni direttore.

Coltivare nella coscienza la convinzione che questa è una maniera di vivere il proprio ministero di prete cambia le cose, o può cambiarle, suscita maggior interesse, dà più soddisfazione, perché uno sente vibrare la consacrazione sacramentale dell’Ordine e percepisce che sta partecipando al mistero di Cristo. Più ancora, ha la coscienza di far vivere e di far partecipare i propri confratelli e tutta la loro attività a questo mistero, incoraggiando e irrobustendo la caratteristica vocazione di ciascuno.

Volete che vi dica un po’ una mia impressione?

A volte, girando per la Congregazione, si vede che le preoccupazioni culturali e organizzative prendono la mano ai Direttori e ai Superiori e così questi, senza accorgersene, diventano, nell’ambito sacerdotale, passivi, sorpassati, antiquati in spiritualità e in pastorale, anche se posseggono una bella cultura umanistica o tecnica. Per un prete è un vero peccato non vivere aggiornato nel campo spirituale e apostolico del suo ministero!

La Congregazione ha urgente bisogno di direttori spirituali, di competenti pastori, di buoni confessori, di instancabili evangelizzatori. Quando dico che in Congregazione c’è una certa «crisi di sacerdozio» mi riferisco innanzitutto a queste deficienze. Ricordatevi che nel ministero sacerdotale la funzione di servizio della Parola che salva ha una forte priorità, sottolineata costantemente dal Concilio, per i tempi attuali.

In tante società oggi c’è un confronto molto delicato e molto difficile con svariate ideologie, che emergono da una cultura materialistica. Come mi diceva il Cardinal Garrone: se uno guarda la televisione, sente la radio e segue i mezzi di comunicazione sociale, non trova più un posto adeguato per la sua funzione di prete. Allora questi, o si identifica con qualche settore della promozione umana, o appare come il residuo di un’epoca sorpassata, un oggetto da museo.

Il prete invece ha in eredità una missione pastorale di assoluta attualità, anche se la sua originalità è percepibile solo a quanti credono nel «mistero» di Cristo e della Chiesa.

Il prete fa il «mestiere» di salvatore. E chi non ne sente il bisogno oggi?

Ma la maniera di pensare, le convinzioni, l’andazzo dell’opinione pubblica emarginano continuamente la validità di questa funzione. Noi dobbiamo saper andare contro corrente, non lasciarci plagiare dai gusti superficiali del secolarismo; se no, insensibilmente, uccidiamo in noi il prete!

Andar contro corrente non vuole dire essere polemici, ma avere convinzioni chiare nel cuore e dinamizzarle. Se c’è un’ora nella storia in cui è urgentissimo rivalorizzare il sacerdozio, è proprio la nostra, soprattutto se si pensa che in tante culture c’è tutto un valido patrimonio cristiano in pericolo.

Cos’è successo in questi ultimi anni? Io applicherei alla dolorosa situazione di non pochi Paesi cristiani la conosciuta espressione del «villan che s’inurba»! Il contadinotto che va in città rimane abbagliato dalle prime impressioni delle vetrine, delle strade, delle luci artificiali e della tecnica; pensa che tutte le cose della sua campagna sono una realtà antiquata; entra in una specie di complesso di inferiorità; incomincia a dubitare dei grandi valori che avevano illuminato e sostenuto la sua vita e, a poco a poco, li va perdendo. Le lampade al neon gli fanno nascondere le stelle! Rimane solo la speranza che s’accorga presto dello sproposito commesso.

In tanti Paesi si è passati da una cultura contadina all’attuale civiltà tecnica e pluralistica di tipo consumistico. L’opinione pubblica è diventata un po’ il «villan che s’inurba». I grandi valori del Vangelo, vissuti lungo una tradizione secolare, vengono emarginati.

Allora bisogna avere la chiara coscienza dell’urgenza di una nuova evangelizzazione e sentirsi chiamati, proprio come preti, a guidare un vasto impegno di pastorale giovanile per la costruzione di una nuova società.

Urge fare contestazione profetica con le convinzioni, con la preoccupazione di approfondire, di valutare, di sviluppare nei giovani la capacità critica di ciò che vedono, di ciò che ascoltano, e soprattutto di conoscere oggettivamente la storia e il mistero di Cristo.

Vedete quanto bisogno c’è di sacerdozio nell’ora attuale!

Guardiamo alle nostre opere e, più che indugiarci ad analizzare la crisi di sacerdozio che vi può essere, corriamo ai ripari con tutte le energie. Il Papa nel suo primo discorso, dopo l’elezione, ha proclamato dalla piazza San Pietro che bisogna aprire le porte a Cristo: — Non abbiate paura voi, uomini della cultura, della politica, dell’economia! — Cristo non è alternativa di nessuno; ma senza di lui nessuna cosa umana si farà bene.

Appunto, nel nostro piccolo, il Direttore deve saper essere il primo e più attento profeta del messaggio salvifico di Gesù Cristo.



Maestro e guida di santificazione


Il secondo aspetto del ministero sacerdotale è quello di essere amministratore dell’energia vitale della grazia e pedagogo di santificazione.

Tocca innanzitutto al Direttore curare le fonti giornaliere della grazia di Cristo nella sua comunità e tra i giovani; a lui corrisponde la prima responsabilità della formazione permanente, come ininterrotta crescita nella propria vocazione di santità. In particolare, deve saper perforare la grossa crosta del quotidiano per sfruttare i grandi pozzi dell’oro bianco della grazia di Cristo.

Le fonti dell’energia di risurrezione che arricchiscono e dinamicizzano la vita sono fondamentalmente due: l’Eucaristia e la Penitenza.

Cari Direttori, nelle case queste due sorgenti di grazia devono funzionare bene! Ripeto, non per adempiere una norma (non è una preoccupazione esterna di condotta!), ma per una convinzione profonda di vita spirituale. Nessuno di noi può sviluppare la sua vita cristiana e la sua vocazione salesiana senza la grazia del Cristo. Nel parlare di «grazia» si vuol indicare quella linfa vitale che non procede da noi, né da nessun valore umano, per grande e nobile che sia, ma che procede solo da Lui; e scaturisce da Lui particolarmente attraverso le due mediazioni sacramentali dell’Eucaristia e della Penitenza. Nella vita quotidiana, dopo l’efflusso di grazia del Battesimo e della Cresima (e, per i preti, dell’Ordine), sono questi due Sacramenti che costituiscono l’oggetto principale delle cure sacerdotali.

Qui si trova anche il fondamento del Sistema Preventivo: l’Eucaristia e la Penitenza, rinnovate nella loro celebrazione secondo l’ecclesiologia del Vaticano II, devono ridiventare il centro motore della vita comunitaria e pastorale delle nostre case.

Ecco una strada concreta, la principale, per guidare sacerdotalmente i confratelli nel processo di santificazione.


In primo luogo, il Direttore deve curare, in modo tutto particolare, il sacramento dell’Eucarestia.

Che cosa significa, infatti, la sua celebrazione?

L’Eucaristia raccoglie tutto ciò che c’è di amore e di grazia in ognuno di noi, come partecipazione personale di vita e di attività, nella Pasqua di Cristo. è l’esercizio del sacerdozio battesimale di tutti i membri della Comunità; è l’offerta della propria esistenza concreta (il mio corpo e il mio sangue!) come «ostia pura e gradevole» nella solidarietà con Cristo-vittima.

Cos’è la vita religiosa se non un’educazione a questo? Essa ci aiuta a divenire, di fatto, ostie viventi.

L’Eucaristia quindi non va ridotta e limitata al momento della sua celebrazione sacramentale. è tutta la vita che va centrata nell’Eucaristia, nella convinzione che Essa raccoglie e offre a Dio ciò che siamo e che facciamo: i nostri sentimenti, le nostre pene, il lavoro, le fatiche, gli esiti e i contrattempi.

Si vede subito che il Direttore ha parecchio da escogitare e da fare perché funzioni quotidianamente il ministero liturgico del suo sacerdozio. Purtroppo io ho visto, a volte, che l’Eucaristia non è più il centro della casa e quindi pedagogicamente non rappresenta più il culmine e la fonte di tutta la vita quotidiana della Comunità.

Il Papa ha detto ai membri della S. Congregazione per i Religiosi e gli Istituti Secolari (SCRIS) che non concepisce una Comunità religiosa se non organizzata intorno al tabernacolo!

Guardate: un Direttore che si preoccupi realmente di questa centralità viva, dopo non molto tempo di cure e di intelligente insistenza, percepirà un livello più alto di vita spirituale nella Comunità, e un impegno più adeguato nelle sue attività apostoliche.

Cercate di avere in casa anche una bella cappella per la Comunità! Essa dovrebbe divenire appunto il cuore della casa: che tutto converga lì e faccia della comunione tra i confratelli una piccola ma vera «chiesa domestica».

Aggiornate le vostre conoscenze liturgiche e non permettete che si perda, nelle celebrazioni, il senso percettibile del sacro. Noi, che siamo anche pedagoghi, dobbiamo saper apprezzare, rispettare e valorizzare i vari elementi simbolici, dall’abito ai gesti, alla proclamazione della parola di Dio, ai sobri e qualificati interventi creativi, al tempo.

Nella plenaria della SCRIS, di cui vi ho parlato, furono invitate a intervenire quattro Superiore generali. Una di loro lamentava il disastro provocato in alcune comunità di suore da parte di certi preti, che fanno della liturgia ciò che ad essi par bene, anche con iniziative stravaganti. E chiedeva accoratamente che si intervenisse adeguatamente per eliminare questi abusi tanto dannosi.

Quando dilaga una moda, assai poco pedagogica, di secolarizzazione delle celebrazioni, si perde il prezioso senso del sacro, si va incrinando la percezione della profondità del mistero e si può arrivare a delle conclusioni incredibili. Non c’è bisogno che vi faccia degli esempi.

Dunque, il curare in ogni casa l’Eucaristia come espressione di una vita, che sia oblazione di sé a Dio durante tutta la giornata, è un servizio sacerdotale di santificazione che esige un’attenta e ininterrotta dedizione.


— Il Direttore deve saper curare anche e molto la Penitenza. Gli psicologi e i sociologi ci insegnano oggi una più approfondita intelligenza critica della persona e delle strutture di convivenza. è interessante constatare l’aumento della capacità critica; è una maturazione di umanità e una crescita in oggettività, anche se non sempre imparziale e ben riuscita. Ebbene, la celebrazione del sacramento della Penitenza è un indispensabile esercizio di autocritica nel campo profondo e delicato, il più fondamentale di tutti, della personalità umana. A monte dello psicologico e del sociologico c’è il santuario della propria libertà, come fucina prima del bene e del male. Non perché si creda che non ci siano delle strutture ingiuste da cambiare. Certo, ce ne sono parecchie. Ma perché siamo cristianamente convinti che nel cuore dell’uomo sta la radice ultima di ogni male, il peccato.

È quindi indispensabile curare in ogni comunità l’esercizio di una cristiana autocritica per scoprire le vere carenze e la causa delle deviazioni. Il ministero di santificazione deve far capire ai confratelli (e ai «giovani») che il peccato esiste, che il peccato ha causato la morte di Cristo, che il peccato rovina la vera vita. Bisognerà saper lottare contro di esso.

Nelle origini della nostra Famiglia troviamo un ragazzo santo che proclama: «La morte, ma non il peccato!».

Il Direttore deve saper curare tutto ciò che porta ad una evangelica capacità di autocritica: nel colloquio personale, nelle riunioni della Comunità, nei momenti di revisione di vita, realizzati fraternamente e familiarmente alla luce del Vangelo; soprattutto in occasione dell’Esercizio della buona morte, nei ritiri trimestrali, negli Esercizi Spirituali. Ogni mese, ogni tre mesi, ogni anno, una conversazione sincera di questo tipo, fatta con umiltà, vedendo le mancanze esterne delle persone e i difetti comunitari nella vita di consacrazione salesiana e negli impegni di evangelizzazione della gioventù, è una vera grazia.

In questo campo forse manca l’aggiornamento, la lucidità dottrinale. C’è tutto un approfondimento da fare oggi sul sacramento della Riconciliazione ed urge promuovere delle iniziative nelle Ispettorie e nelle case, servendosi di persone competenti, equilibrate ed aggiornate per superare un ritardo che si traduce in superficialità ed ignoranza.

Sono usciti vari documenti del Magistero su questo tema: forse alcuni confratelli neppure li conoscono. Il Direttore deve averli a portata di mano, meditarli e creare un clima da dove possa zampillare la grazia sacramentale, tanto indispensabile, della Penitenza. Servirà all’uopo anche la preparazione del prossimo Sinodo dei Vescovi che affronta appunto questo elemento della vita ecclesiale.

La nostra vocazione la possiamo realizzare solo con una costante immissione in noi della grazia di Cristo. Il Direttore pensato da Don Bosco era anche «confessore». È nell’amministrazione del sacramento della Riconciliazione che il sacerdote sente e fa crescere la sua peculiare «paternità» spirituale. Oggi il Direttore salesiano non confessa più i confratelli. Però se non confessa mai nessuno, perde il segreto della sua paternità! Egli dovrebbe cercare di confessare qualche ora alla settimana, perché forse non potrà tutti i giorni. Deve farlo soprattutto tra i giovani. Sarà per lui una grazia di Dio, che lo farà crescere nella bontà paterna tanto caratteristica della sua funzione.

Guardate, c’è una bella differenza nel parlare con un confratello e nel correggerlo di una mancanza conosciuta per riferimento esterno, imboccando magari la strada della correzione giuridica, o farlo dopo averla ascoltata (se così si facesse ancora) da lui stesso, pentito, nel sacramento della Penitenza. Che cosa sentirebbe in tal caso il Direttore? La voglia di mandarlo via? Mai più! Sentirebbe un affetto speciale, una preoccupazione «paterna». Si avvierebbe piuttosto sul cammino dell’amicizia, lo aiuterebbe con bontà a superare le difficoltà. Questa è paternità! Però se noi, purtroppo, non confessiamo mai nessuno, come alleneremo il cuore alla comprensione paterna?

Se il Direttore da non-più-confessore dei confratelli passa a non dedicarsi mai, abitualmente, all’amministrazione del sacramento della Riconciliazione, perderà senza accorgersi la sua qualità di «padre» per divenire piuttosto «superiore», «preside» o «manager». E questa sarebbe una delle ferite più gravi inflitte alla Congregazione. Forse qui troviamo una delle ragioni più profonde di quella crisi del sacerdozio di cui vi parlavo prima.

Cari Direttori, se avete a fianco una chiesa, una parrocchia, la domenica e il sabato sera, e sempre che sia possibile, prendetevi le vostre ore di confessionale. Non è tempo perso; non è abbandonare la Comunità. Chi vi ringrazierà saranno proprio quei confratelli che magari vi hanno criticato perché non eravate in ufficio quando vi cercavano. Essi a poco a poco si accorgeranno che nel Direttore c’è qualche cosa di nuovo, di più sacerdotale, di più salesiano; vedranno riapparire l’aureola della «paternità».

La preoccupazione sacerdotale della centralità dell’Eucaristia e della frequente celebrazione della Penitenza porta necessariamente il Direttore a divenire, in casa, il promotore di un’adeguata e preziosa formazione permanente. Egli si sentirà spontaneamente chiamato ad essere il perfezionatore dei suoi confratelli, il promotore della Famiglia Salesiana, l’educatore delle vocazioni. Capirà facilmente perché la sua casa deve trasformarsi in una «comunità formatrice», e s’industrierà per cercare e trovare i mezzi indispensabili per ottenerlo.

Così constaterà che la funzione di Direttore apporta, per se stessa, un cumulo di lavoro delicato e non sempre percettibile all’occhio dell’immancabile specialista in critiche, ma reale e indispensabile, tanto da non permettergli di fare il faccendone, ma di dedicarsi a fare il prete, a tempo pieno, per la crescita salesiana della sua Comunità.



Tessitore di comunione ecclesiale


Il terzo aspetto del ministero sacerdotale del Direttore è quello della cura della comunione e del coordinamento pastorale. Qui si potrebbero trattare molte cose. Io vorrei insistere solamente su due obiettivi: l’inserzione nella Chiesa locale e l’animazione della Famiglia Salesiana.


— Il primo consiste nell’incorporare la Comunità e il suo lavoro nella pastorale organica della Chiesa locale; nel curare quindi le relazioni con il Vescovo, con il presbiterio, con gli altri religiosi, con i laici impegnati.

Una volta si diceva che il miglior Direttore non usciva mai di casa; adesso il miglior Direttore non è certamente colui che non sta mai in casa, ma neppure quello che non esce mai. Il Direttore deve saper uscire per coltivare queste relazioni di Chiesa, di coordinamento pastorale. E poi sono importanti anche le presenze nel civile, nelsociale, nel culturale, in vista del nostro tipo caratteristico di lavoro.

Voi vedete che i gravi problemi dell’ora non li risolve ormai un’opera sola e neppure tutta una Congregazione; ma li affronta, per cercare di risolverli, la Chiesa nel suo insieme, con una armoniosa collaborazione di tutti. Il Cardinal Poletti, nella più volte citata plenaria della SCRIS, lamentava la chiusura, nella città di Roma, di certe opere cattoliche, che venivano poi assunte da organismi ispirati ad ideologie non cristiane. Se queste opere, messe in difficoltà da decreti legge o da iniziative regionali o municipali, apparissero come appartenenti non isolatamente a un piccolo Istituto, ma solidariamente a tutta la Chiesa locale, disposta ad attuare e a reagire ben unita, prima di procedere contro di esse, ci si penserebbe due volte e non tanto per ragioni religiose, ma per considerazioni di prudenza politica. Immaginate come potrebbe cambiare il problema dell’educazione se fosse visto in ogni Paese a livello globale da tutti i cittadini cattolici solidalmente uniti insieme!

Da una parte, la preoccupazione di coltivare questi elementi di solidarietà ecclesiale, che prima non si sentivano, ma che sono in forte crescita (si può dire che, dopo il Vaticano II, si stanno ancora dando solo i primi passi di un lungo percorso), dall’altra, la sfida del processo di socializzazione (comunione e partecipazione di tutti nella vita della società civile e nelle varie sue istituzioni, in particolare per noi quelle dell’area culturale!) e le interpellanze dei forti cambiamenti sperimentali nella società, esigono una vasta rete di contatti e una costante preoccupazione d’interscambi e di coordinamento. Quindi, «governare» oggi una Comunità salesiana significa muoversi con cosciente solidarietà in una nuova concezione della Chiesa e della società.


— Il secondo obiettivo è quello di curare la comunione fraterna e l’armonia d’intenti nella propria Comunità, perché divenga nucleo dinamico e animatore di tutta la Famiglia Salesiana circostante.

Cari Direttori, date molta importanza alla Famiglia Salesiana del posto. V’accorgerete che tutti i gruppi della Famiglia hanno uno speciale bisogno del vostro ministero sacerdotale. Una presenza salesiana non è realizzata solo dal Direttore, dai confratelli e dai ragazzi che la frequentano; ma vi partecipano anche le Figlie di Maria Ausiliatrice, i Cooperatori, gli Exallievi, le Volontarie di Don Bosco, ecc., con tutta la gioventù e i ceti popolari, a cui fa capo il movimento apostolico lanciato da Don Bosco.

Un tale più vasto orizzonte deve entrare nelle prospettive di coordinamento proprie e personali del Direttore, anche se poi egli può incaricare qualche altro per determinati compiti di servizio e di animazione. Nella sua coscienza di «pastore salesiano» di una determinata zona deve assumere volentieri la cura di far funzionare in armonia la presenza salesiana, che costituisce una più allargata possibilità di azione evangelizzatrice.

Don Bosco ha sempre ampliato l’arco della collaborazione, non si è limitato ai soli Salesiani, ha sempre promosso la comunione e la partecipazione di molti e ha fondato, quale erede dell’«Opera degli Oratori», tutta una Famiglia.

Anche in questo settore la preoccupazione fondamentale di animazione non punta prima sull’organizzazione, né si esaurisce in qualche piano «triennale», ma si centra sulla presenza efficace di tutto il carisma salesiano da approfondire, promuovere e rilanciare nella Chiesa locale.

Per tendere a questo ci vogliono un cuore e una mente grandi e magnanimi come il cuore e la mente di Don Bosco prete, in un concreto impegno di Chiesa locale: non noi da soli, ma con tutti i figli e le figlie di Don Bosco.

Vedete allora che anche la Famiglia Salesiana viene a interpellare, non indifferentemente, le iniziative e i compiti del vostro servizio sacerdotale di Direttori quali li ha voluti il nostro Padre e Fondatore.



E concludo


Si potrebbe continuare a lungo ad enumerare e considerare vari altri aspetti. Qui ho cercato di riunire per voi, cari Direttori, alcune riflessioni su un tema che tocca la coscienza personale di ognuno nell’interiorità della sua consacrazione sacerdotale. Le ritroverete indicate e sviluppate più ampiamente e in connessione con altri aspetti nel manuale: «Il Direttore Salesiano, un ministero di animazione e di governo della comunità locale», ormai uscito alle stampe e, forse, già nelle vostre mani. I carismi del sacramento dell’Ordine rivestono il servizio dell’autorità salesiana di funzioni arricchenti tutta la Comunità e ogni categoria dei membri della nostra Famiglia.

Nella storia della salvezza il «ministero» sacerdotale tende a coinvolgere nella sua missione tutte le risorse della persona scelta a realizzarlo. Non è un compito da «funzionario», circoscritto ad alcune ore determinate di lavoro: è una «consacrazione» a tempo pieno e a piena esistenza, che assume e trasforma tutta la psicologia e tutte le energie della vita; più che una «funzione» è una «maniera di essere». Non ci si può sentire preti solo venti ore alla settimana. No, la consacrazione tocca i dinamismi reconditi di tutta la persona.

Al Direttore salesiano Don Bosco chiede di far esplodere in favore di tutti questa sua consacrazione di servizio ecclesiale. Io penso che se in Congregazione crescerà questa sensibilità e questo approfondimento del ministero sacerdotale, ne guadagneranno le Comunità, tutti i confratelli, tutta la Famiglia Salesiana e, soprattutto, i numerosi destinatari della nostra missione.

Che le presenti riflessioni ci aiutino, a imitazione di Don Bosco, a crescere nell’amore a Cristo, Sommo ed Eterno Sacerdote, sempre vivo a intercedere per la gioventù. Quanto ce ne saranno grati, in particolare, i cari confratelli Coadiutori che desiderano percepire con assoluta chiarezza che il sacerdozio ministeriale è un «servizio» di ordine pastorale, indispensabile alla pienezza consacrata e salesiana di quella laicità, che essi vivono come espressione del loro sacerdozio battesimale.

Quanto ce ne saranno grati i confratelli della formazione iniziale, che aspirano a vedere la vocazione salesiana più evangelicamente incisiva e più apostolicamente efficace.

Quanto ce ne sarà grata tutta la nostra Famiglia spirituale, che esige un maggior livello di interiorità.

Che Maria Ausiliatrice ottenga come regalo di privilegio alla nostra Congregazione e Famiglia, per il rilancio della santità in tutti i suoi membri, un più genuino, instancabile e umile esercizio del ministero sacerdotale!

Cordialmente nel Signore,

D. Egidio Viganò


NOTE LETTERA 18

1 cf. CG21 61d

2 cf. ACS n. 303

3 cf. ACS n. 295

4 cf. ACS n. 305

5 Cost 35

6 cf. CG21 445-450

7 cf. ACS n. 298

8 cf. PO 8