16.
LA FAMIGLIA SALESIANA
Introduzione. - Prezioso retaggio che esige fedeltà. - Ecclesialità del Fondatore. - Don Bosco costruttore di una Famiglia spirituale. - L’energia uniticatrice del suo «carisma». - Rilancio capitolare. - «Avanti», «insieme». - Problemi e prospettive. - Conclusione.
Lettera pubblicata in ACS n. 304
Roma, 24 febbraio 1982
Cari Confratelli,
oggi inizia la Quaresima. Ci stiamo preparando alla celebrazione del mistero pasquale. L’amore e la sequela del Cristo, Amico e Salvatore dei giovani, è l’anima della nostra vocazione. Il Signore ci sospinge quotidianamente, dal sacramento eucaristico, a rinnovare la gioiosa dedizione e l’industriosa nostra operosità nella missione giovanile e popolare.
I miei contatti di questi anni con voi, in varie regioni del mondo, mi hanno fatto constatare sempre più chiaramente l’enorme esigenza che c’è ovunque di una presenza più numerosa e più efficace, più autentica e generosa della vocazione salesiana. Quanta gioventù in tutti i continenti ha fame e sete di verità e di amore e cerca inquieta degli amici come Don Bosco.
Sono appena rientrato dal mio terzo viaggio in Africa; questa volta nelle sue regioni occidentali. Ho potuto dialogare con i nostri primi missionari del Sénégal e dei Paesi vicini. Nelle missioni c’è urgente bisogno di una presenza salesiana «completa»: non solo di confratelli, ma anche di Figlie di Maria Ausiliatrice, di Cooperatori, di collaboratori che si ispirino al progetto giovanile e popolare del nostro caro Fondatore.
Le necessità e le urgenze dei nostri destinatari ci scuotono e ci fanno capire che la missione di Don Bosco esige non solo la nostra presenza di consacrati, ma quella di tutta la Famiglia Salesiana con gli svariati gruppi che la compongono.
In gennaio, prima di partire per Dakar, avevo potuto assistere, qui nella Casa Generalizia, alla Settimana di spiritualità sul tema: «Le Vocazioni nella Famiglia Salesiana». Al mio rientro ho potuto interessarmi direttamente a un incontro di riflessione, preparato accuratamente e da tempo con nostri studiosi, sull’argomento specifico della «Famiglia Salesiana» nella sua realtà storico-carismatica.1
Alla conclusione del Capitolo Generale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ho potuto leggere con tanto piacere un articolo delle loro Costituzioni rinnovate, che tratta appunto di questo speciale aspetto. L’articolo è situato all’inizio delle Costituzioni nel primo capitolo che descrive l’identità dell’Istituto. Eccolo: «Il nostro Istituto è parte viva della Famiglia Salesiana, che attualizza nella storia, in diverse forme, lo spirito e la missione di Don Bosco, esprimendone la novità perenne. Il Rettor Maggiore della Società di S. Francesco di Sales — come successore di Don Bosco — ne è l’animatore e il centro di unità. Nella Famiglia Salesiana noi condividiamo l’eredità spirituale del Fondatore ed offriamo, come è avvenuto a Mornese, l’apporto originale della nostra vocazione».2
Inoltre, dopo le mie lettere alle Volontarie di Don Bosco3 e alle Figlie di Maria Ausiliatrice4 e l’accettazione, da parte di tutti i gruppi, del Rettor Maggiore — successore di Don Bosco — come centro di unità e di animazione della mutua comunione, e dopo una verifica dell’azione del Consigliere per la Famiglia Salesiana alla fine del quarto anno della sua istituzione, mi sembrava opportuno che riflettessimo insieme sul tema della nostra Famiglia Salesiana. Tutto questo e il desiderio formulatomi già più volte dal Consigliere, don Giovanni Raineri, di dedicare una circolare per ricordare ai confratelli l’importanza e l’urgenza di assumere con più coscienza e competenza le responsabilità che
abbiamo in questo campo, mi spingono a invitarvi a meditare su un argomento tanto attuale e fecondo della nostra comune vocazione.
Parliamo della Famiglia Salesiana, evidentemente, in base a quanto afferma l’articolo 5° delle Costituzioni e il corrispondente testo del Capitolo Generale Speciale.5
Fatene oggetto di meditazione, di scambi comunitari e di preghiera.
Prezioso retaggio che esige fedeltà
La «Famiglia Salesiana» di Don Bosco è un fatto ecclesiale.
Indica la compartecipazione nello spirito di Don Bosco e nella sua missione con i conseguenti legami che intercorrono tra i vari gruppi di congregati: i Salesiani, le Figlie di Maria Ausiliatrice, i Cooperatori, ed altri posteriori gruppi istituiti.
Tutti insieme costituiamo nella Chiesa una specie di «etnia spirituale». Una tale comunione «sorge a partire da un dato storico complesso. Don Bosco, per attuare la sua vocazione di salvezza della gioventù povera e abbandonata, cercò un’ampia unione di forze apostoliche nell’unità articolata e varia di una “Famiglia”».6
Essa è ormai collaudata da un’esperienza vissuta in comune da più di un secolo.
Dopo il Concilio, i compiti di riflessione e di rinnovamento esigiti per chiarire l’identità e per rilanciare l’attualità dei vari carismi del Popolo di Dio, hanno suscitato un rinnovato impegno per promuovere una più esplicita coscienza, una maggior unione e una più stretta collaborazione tra quanti partecipano a uno stesso carisma.
Parlare della «Famiglia Salesiana» non significa, dunque, introdurre un discorso di innovazione con fantasia utopistica; si tratta di un dato concreto, di un fatto spirituale, che ha una sua dimensione storica e un suo spessore di verità che interpella seriamente la nostra fedeltà
a Don Bosco e ai tempi.
«La Famiglia Salesiana — ci assicura il Capitolo Generale Speciale — è una realtà ecclesiale che diventa segno e testimonianza della vocazione dei suoi membri per una missione particolare, nello spirito di Don Bosco;
la Famiglia Salesiana esprime — sulla linea di quanto la Chiesa ha detto di se stessa — la comunione tra i diversi ministeri al servizio del Popolo di Dio; e integra le vocazioni particolari perché sia manifestata la ricchezza del carisma del Fondatore;
la Famiglia Salesiana sviluppa una spiritualità originale di natura carismatica che arricchisce tutto il Corpo della Chiesa e diviene un modello pedagogico cristiano tutto particolare».7
Forse non tutti, tra noi, si sono ancora impegnati a scrutare con sguardo acuto e oggettivo il provvidenziale processo storico per cui Don Bosco è stato, nella Chiesa, un «Fondatore» e, in conseguenza, tutta la realtà ecclesiale della Famiglia Salesiana da lui iniziata. Dobbiamo saper percepire meglio la dimensione veramente grande della paternità di Don Bosco e della prospettiva apostolica del suo carisma, e trovare il modo di onorarlo e riconoscerlo davvero come uno dei grandi Fondatori nella Chiesa.
Il nostro Padre si è sentito investito dall’Alto di una vasta missione giovanile ed ha avuto chiara coscienza di essere stato chiamato, per questo, a divenire Fondatore non semplicemente di un Istituto religioso, ma di tutto un movimento spirituale e apostolico di vaste proporzioni. L’ampiezza di orizzonti del suo piano fondazionale sgorgava da una spinta superiore e dalla vastità e complessità delle urgenze dei destinatari affidati alla sua vocazione.
Si è sentito chiamato a dar inizio a un peculiare impegno di salvezza da tradursi in un ampio e concreto progetto operativo con il coinvolgimento di tutte le forze disponibili. Egli stesso diceva: «Una volta poteva bastare l’unirsi insieme nella preghiera; ma oggidì che sono tanti i mezzi di pervertimento, soprattutto a danno della gioventù di ambo i sessi, è mestieri unirsi nel campo dell’azione e operare».8 «Abbiamo in corso — esclamava in un’altra occasione — una serie di progetti che sembrano favole o cose da matto in faccia al mondo; ma appena esternati, Dio li benedice in modo che tutto va a vele gonfie. Motivo di pregare, ringraziare, sperare e vegliare».9
Don Bosco è stato magnanimo e audace; ha messo al servizio della sua singolare vocazione tutte le doti d’intelligenza, di creatività e di coraggio di cui era stato arricchito, sospinto anche da molteplici doni e mozioni dello Spirito del Signore.
«Da una parte, talvolta egli sembra persuaso di possedere una specie d’investitura universale della gioventù abbandonata, dall’altra ha ben presente che il problema dei giovani supera di gran lunga l’ambito delle sue opere e fa capo a specifiche responsabilità ecclesiali e civili. In ambedue i casi, l’invito a occuparsi dei giovani si rivolge anche a persone non ufficialmente inquadrate nelle sue istituzioni, operanti nelle rispettive parrocchie, città, paesi, famiglie».10
Ebbene: se noi pensiamo che nel nostro secolo il problema delle masse dei giovani bisognosi «è una realtà che raggiunge oggi dimensioni quasi incommensurabili rispetto a Don Bosco», considereremo ancor più urgente la necessità di un allargamento di prospettive nell’interpretazione e promozione della vocazione salesiana.
Già il Capitolo Generale Speciale aveva scelto il tema della Famiglia Salesiana come una delle linee portanti del nostro rinnovamento: «I Salesiani — è scritto nel documento 1, n. 151 — non possono ripensare integralmente la loro vocazione nella Chiesa senza riferirsi a quelli che con loro sono i portatori della volontà del Fondatore. Per questo ricerchiamo una migliore “unità di tutti, pur nell’autentica diversità di ciascuno”».11
Ecco una verità su cui dobbiamo riflettere seriamente: la nostra vocazione salesiana, nella sua integralità concreta, ci fa partecipare vitalmente a una «esperienza di Spirito Santo» vissuta e compartecipata da tanti altri per interscambiarne mutuamente le ricchezze12 e assumerne con più coscienza d’insieme i compiti.l3 Ogni confratello deve pensare che la sua professione religiosa lo incorpora simultaneamente alla Congregazione e alla Famiglia Salesiana, nella quale gli offre una vasta area di stimoli alla santità e di collaborazione apostolica mentre gli spalanca davanti un orizzonte operativo quasi temerario e di vero protagonismo ecclesiale e civile.
Perciò, cari confratelli, dobbiamo guardare alla «Famiglia Salesiana» come a una realtà oggettiva e a una speranza di crescita, con una sua verità da conoscere e da amare e con delle molteplici esigenze che ci faranno progredire nella fedeltà a Don Bosco.
Ecclesialità del Fondatore
Per capire meglio la densità e ricchezza dell’eredità viva ricevuta da Don Bosco e per individuare più a fondo le responsabilità che da essa ci derivano è bene che riflettiamo un po’ sulla dimensione ecclesiale che ha, per dono di Dio, un Fondatore.
Forse siamo abituati a guardare a Don Bosco come a una specie di «proprietà privata» della nostra Congregazione e così non ci accorgiamo che ne manipoliamo la figura e ne riduciamo la funzione e la trascendenza storica. Certo, noi abbiamo la peculiare capacità di avvicinarci a lui con una «conoscenza di connaturalità» che ce ne facilita la comprensione e un più giusto e più oggettivo approfondimento, ma tale capacità deve spronarci a studiarlo nella sua «ecclesialità» senza riduzionismi che ne offuschino gli orizzonti. Un Fondatore è il portatore di un determinato carisma a tutto il Popolo di Dio; la Chiesa ne prende coscienza, si rallegra e si sente arricchita dal suo apporto spirituale e apostolico, ne benedice i valori, promuove e sostiene l’indole propria del suo carisma, esige che sia salvaguardata la sua identità, e cura che se ne difenda l’integrità.l4
I Fondatori, ci ha ricordato Paolo VI, sono stati «suscitati da Dio nella Chiesa»; per questo i loro discepoli hanno l’obbligo di essere fedeli «alle loro intenzioni evangeliche».l5
Il Fondatore è un vero centro ecclesiale di riferimento da non rimpicciolire con una visione solo domestica, senz’altro ben intenzionata, ma forse un po’ pignola e magari bigotta, che ne altera i lineamenti e ne mutila la missione storica oggettiva.
Il Concilio parla dei Fondatori come di una espressione qualificata della realtà vitale della Chiesa.l6 La teologia, purtroppo, non ne ha studiato ancora adeguatamente la portata specifica in quanto espressione di ecclesialità. La funzione storica di un Fondatore va inserita nel mistero stesso della Chiesa nel suo divenire storico: in Essa e per Essa è stato suscitato, come una delle espressioni caratteristiche della sua «vita e santità».17
Ognuno dei Fondatori ha nella Chiesa una specie di unicità in quanto iniziatore e modello.
Proprio l’anno scorso, scrivendo alle Figlie di Maria Ausiliatrice, indicavo tre aspetti di questa singolarità del nostro Padre.
— «Innanzitutto, un’originalità speciale: Don Bosco non trova altra strada per realizzare la sua vocazione se non quella di Fondatore; si vede quasi forzato a dare inizio a una esperienza inedita di santificazione e di apostolato, cioè, a una rilettura del Vangelo e del mistero di Cristo in chiave propria e personale, con speciale duttilità ai segni dei tempi. Questa originalità comporta essenzialmente una “sintesi nuova”, equilibrata, armonica e, a suo modo, organica degli elementi comuni alla santità cristiana, dove le virtù e i mezzi di santificazione hanno una propria collocazione, un dosaggio, una simmetria e una bellezza che li caratterizzano.
— Inoltre, una forma straordinaria di santità. è difficile stabilirne il livello, ma non la si può identificare con la santità del canonizzato non-fondatore (per esempio, con quella di un San Giuseppe Cafasso). Tale straordinarietà, che porta con sé anche della novità precorritrice, attira verso la persona del Fondatore, la mette al centro di consensi e di contrasti, ne fa un “patriarca” e un “profeta”; mai un solitario, bensì un catalizzatore e un portatore di futuro.
— Infine, un dinamismo generatore di posterità spirituale: se l’esperienza di Spirito Santo non è trasmessa, recepita e poi vissuta, conservata, approfondita e sviluppata dai discepoli diretti del Fondatore e dei loro seguaci, non si ha carisma di fondazione. Questo rilievo è fondamentale: Don Bosco ha avuto doni tutti suoi, che lo accompagnarono fino alla sua morte e che hanno fatto della sua persona, per disposizione divina, un centro fecondo di attrazione e di irradiamento, un “gigante dello spirito” (Pio XI) che ha lasciato in eredità un ricco e ben definito patrimonio spirituale».l8
Queste note specifiche di Don Bosco-Fondatore si sono tradotte, sul piano dei fatti e della realtà effettuale, nella elaborazione del suo progetto operativo globale, «sostanzialmente unitario e con caratteristiche proprie, alle quali è possibile ricondurre la molteplicità delle intenzioni e delle azioni della sua dinamica esistenza».l9
Con il suo progetto operativo il nostro Padre ha dato alla Chiesa anche un metodo educativo veramente geniale, fonte di una criteriologia pedagogico-pastorale ampiamente condivisa, che risponde alle esigenze della gioventù e dei ceti popolari e che ha già dato frutti di santità nei destinatari e negli operatori del suo «Sistema Preventivo».
Il progetto globale di Don Bosco si concentra, dal punto di vista degli «operatori», nella convocazione e organizzazione di una complessa associazione di numerosi e differenziati collaboratori: una
«Famiglia» che evangelizza la gioventù con il Sistema Preventivo.
Se vogliamo essere veramente fedeli a Don Bosco Fondatore, dobbiamo, dunque, saper guardare a lui «ecclesialmente»!
Don Bosco costruttore di una «Famiglia spirituale»
Nel principio c’era, nel cuore di Don Bosco, la carità pastorale con il dono di predilezione verso i giovani. La prima scintilla della vocazione salesiana è l’amore: un amore intenso, ben definito e apostolico, storicamente impegnato con la gioventù povera e abbandonata.
Lì, in quel cuore di prete, si trova la sorgente prima e cristallina di tutta la Famiglia Salesiana.
Si tratta di una passione soprannaturale che centra la totalità della persona nel mistero di Dio Salvatore; una carità che trova la sua realizzazione in una radicalità di sequela del Cristo, contemplato nella sua ansia salvatrice della gioventù, soprattutto di quella socialmente più umile e indigente. Guardando a Don Bosco-Fondatore, scopriamo la scaturigine e l’avvio della caratterizzazione del carisma salesiano in un amore di carità che sottolinea nei suoi due indissolubili poli (il Padre e il Prossimo) l’aspetto di donazione totale di sé a Dio in una missione giovanile.
Egli ha concretizzato storicamente i contenuti dinamici di questa scintilla-prima nell’«Opera degli Oratori». Per lui l’«Oratorio» significava, in definitiva, quello che noi oggi chiamiamo pastorale giovanile, impegnata realisticamente nell’educazione evangelizzatrice della gioventù disorientata ed emarginata, in un’ora socialmente esplosiva a causa di rapidi cambiamenti strutturali e culturali.
Nel principio c’era, dunque, un «cuore oratoriano»! Ossia, un prete della Chiesa locale di Torino posseduto da un’incontenibile passione apostolica per i ragazzi poveri e abbandonati. Questo ardore apostolico non si spiega senza l’iniziativa di Cristo Salvatore e della materna sollecitudine di Maria, i due Risuscitati che guidano la storia della salvezza. E la sua realizzazione definitiva è storicamente legata agli orientamenti del Papa Pio IX che diresse Don Bosco nell’opera di fondazione.
Lo Spirito del Signore spinge gradualmente questo prete, abbondantemente fornito di doti naturali e luci e doni speciali, a percepire l’urgenza e la vastità del compito da realizzare e ad industriarsi con realismo ed efficacia a riunire, animare e organizzare il maggior numero di collaboratori possibile. Nacque così a Torino l’«Opera degli Oratori»: vi lavoravano preti, mamme, laici agiati e modesti, giovani e adulti; sotto la guida e la direzione di Don Bosco: egli ne cercava molti e dappertutto, ma li voleva uniti.
A questo gruppo organico di svariati collaboratori egli diede il nome di Congregazione di S. Francesco di Sales; si preoccupò di assicurarne la stabilità; ottenne l’accettazione ufficiale dell’arcivescovo Mons. Fransoni (1850), ne procurò il riconoscimento canonico (1852) precisando, in particolare, la responsabilità del Superiore «per conservare l’unità di spirito, di disciplina e di comando».20
È opportuno fare, riguardo a questo primo embrione di «Congregazione per la gioventù», alcune osservazioni.
Innanzitutto il termine congregazione è usato nel suo senso generale ed etimologico (dal verbo latino «congregare») di gruppo di persone riunite per collaborare insieme ad un medesimo scopo spirituale e apostolico; esisteva allora un po’ ovunque la Congregazione della Dottrina Cristiana voluta dal Concilio di Trento, come pure esistevano altre Congregazioni e Compagnie di laici e di sacerdoti. è interessante sottolineare che i nomi con cui Don Bosco indicava i «congregati» erano quelli di: operatori, cooperatori, collaboratori, benefattori (nel senso di gente che fa il bene); ossia di gente impegnata operativamente nel campo apostolico. Infatti la qualità dei suoi «congregati» si deduce dal riferimento pratico all’«Opera degli Oratori», secondo lo stile di vita cristiana e di attività educativa realizzato concretamente nell’Oratorio-tipo di Valdocco.
La specificazione, poi, di S. Francesco di Sales: intende indicare le caratteristiche dello spirito con cui i collaboratori vivono e lavorano tra i giovani: un sistema di bontà, di mansuetudine e di fiducia, una visione gioiosa di sano umanesimo, una criteriologia apostolica di dialogo e di amicizia, una metodologia di educazione integrale.21
Tutto questo è ancora una realtà «diocesana», che dovrà fiorire a poco a poco in universalità ecclesiale non senza gravi sofferenze e contrasti.
Alla fine degli anni 1850 e in seguito, lo Spirito del Signore andrà costruendo lentamente e accuratamente in Don Bosco il «Fondatore» della sua definitiva Famiglia Salesiana.
Egli non ha avuto subito un’idea chiara, ben pianificata e giuridicamente strutturata, del tipo di fondazione che la sua personale vocazione gli esigeva. La conoscenza del «dono» di Dio, anche in un Fondatore, è normalmente progressiva, non immediata, e non è sempre raggiunta in modo lineare. Dio manda profeti alla sua Chiesa, ma vuole che trovino la loro strada a fatica e progressivamente. Ciò di cui Don Bosco si sentiva intimamente sicuro era che la Provvidenza lo conduceva gradualmente ad essere «Fondatore». Lui stesso, personalmente, si è preoccupato di «far conoscere come Dio abbia Egli stesso guidato ogni cosa in ogni tempo»;22 perciò diceva ai direttori (2 febbraio 1876): «Non diede un passo la Congregazione, senza che qualche fatto soprannaturale non lo consigliasse, non mutamento o perfezionamento o ingrandimento che non sia stato preceduto da un ordine del Signore».23
Abbastanza presto, almeno dal 1854, vide la necessità di distinguere organicamente due categorie tra i collaboratori: «Coloro che erano liberi di se stessi e ne sentivano vocazione, si raccolsero in vita comune, dimorando nell’edifizio che fu sempre avuto per casa madre e centro della pia associazione, che il Sommo Pontefice consigliò di chiamare Pia Società di S. Francesco di Sales, con cui è tuttora nominata. Gli altri, ovvero gli esterni, continuarono a vivere in mezzo
al secolo in seno alle proprie famiglie, ma proseguirono a promuo-vere l’Opera degli Oratori conservando tuttora il nome di Unione o Congregazione di S. Francesco di Sales, di promotori o cooperatori; ma sempre dai soci dipendenti, e coi medesimi uniti a lavorare per la povera gioventù».24
Nel dicembre del 1859 diede inizio e forma alla «parte centrale e differenziata» dell’Associazione per l’Opera degli Oratori, come nucleo promotore e vincolo sicuro e stabile di unione. Con tale scopo redasse un Regolamento o Costituzioni per questo gruppo di «interni», ma con sguardo a tutti i collaboratori; gli altri sarebbero «aggregati» alla Pia Società (sia a titolo di «membri esterni», sia inseriti pienamente nel secolo) e si ispirerebbero allo stesso Regolamento.
Fin qui, il tutto era in vista della gioventù maschile.
Ma la Provvidenza gli andò suggerendo che doveva fare qualcosa di simile anche per la gioventù femminile. Su consiglio di Pio IX, si preoccupò di organizzare le «cooperatrici»; e inoltre la Madonna gli aveva preparato mirabilmente a Mornese, nella diocesi di Acqui, un gruppo scelto di giovani apostoliche animate da Maria Domenica Mazzarello e guidate da don Pestarino. Con esse potè fondare, nel 1872, l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, «aggregate» anch’esse alla Pia Società; il titolo delle loro prime Costituzioni era «Regole per le Figlie di Maria Ausiliatrice aggregate alla Società Salesiana». Vivevano in comunione di spirito e di missione, sotto la guida e la direzione di Don Bosco e dei suoi figli, per operare tra la gioventù femminile quanto si faceva a Valdocco per la maschile.
La statura «superdiocesana» che l’aveva portato ad ottenere dalla Santa Sede, nel 1864, il decreto di lode per la Pia Società e più tardi, il 3 aprile 1874, l’approvazione delle sue Costituzioni, gli procurò delle gravi difficoltà e, inoltre, la necessità di un ripensamento per lo statuto dei «membri esterni».
Si preoccupò quindi di dar loro una forma giuridica nuova nell’«Unione dei Cooperatori Salesiani»: il 12 luglio 1876. A tal fine formulò per loro un Regolamento appropriato, assicurando accuratamente in esso la comunione di spirito e di missione; e associò anche i Cooperatori alla Società Salesiana.
È così un dato di fatto, storicamente documentato, che Don Bosco si è sentito chiamato dallo Spirito del Signore a dedicarsi instancabilmente alla salvezza della gioventù impegnandosi a tal fine a fondare una numerosa associazione apostolica, una Famiglia spirituale, composta di differenti gruppi e categorie, ma intimamente unita e strutturalmente organica. I tre gruppi fondamentali della Famiglia Salesiana, istituiti personalmente da Don Bosco, sono, dunque, i Salesiani, le Figlie di Maria Ausiliatrice e i Cooperatori e Cooperatrici. Quando incominciarono a riunirsi intorno a lui, per la sua festa onomastica, gli ex-allievi, li esortava ad essere apostoli impegnati e a farsi Cooperatori.25
Dopo la morte del nostro buon Padre (1888) sopravvenne un doloroso intoppo riguardo all’aspetto giuridico dell’aggregazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice alla Pia Società. Un decreto della Santa Sede, «Normae secundum quas» del 1901, esigeva la separazione giuridica degli Istituti femminili di voti semplici dalle rispettive Congregazioni maschili. La separazione fu dolorosa, ma non diminuì il senso di fraternità e di collaborazione tra l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice e la Congregazione Salesiana.
Solo nel 1917, per interessamento del Card. Cagliero, si ottenne una forma temporanea di nuovo collegamento giuridico, che trovò poi la sua formulazione stabile nel decreto del 24 aprile 1940 in base al quale il Rettor Maggiore veniva nominato «Delegato Apostolico» per l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Queste sofferte peripezie, prima circa l’aggregazione dei «membri esterni», e poi delle Figlie di Maria Ausiliatrice alla Pia Società, sono servite nella pratica a non confondere certe strutture ecclesiastiche di collegamento, variabili e da adeguarsi ai tempi, con la sostanza carismatica di ispirazione comune giovanile e popolare. La comunione d’intenti e di corresponsabilità non venne mai meno di fatto; oggi, dopo il Vaticano II, essa ha ripreso con maggior chiarezza e vigore.
Posteriormente lo Spirito del Signore ha arricchito con altri gruppi la Famiglia Salesiana, facendoli germogliare dalla sua vitalità in consonanza con nuove esigenze e situazioni. Si tratta sempre, evidentemente, di gruppi di «partecipanti alla missione» e non di «destinatari» dell’azione salesiana.
Così, per ricordare solo alcuni dei gruppi apparsi nella Famiglia:
– l’Associazione degli Exallievi «a titolo dell’educazione ricevuta»;
– le Volontarie di Don Bosco per opera di don Filippo Rinaldi a Torino, in un contesto comune di Salesiani, Figlie di Maria Ausiliatrice, Cooperatori ed Exallieve (don Rinaldi manifestava la convinzione di attuare con questo il progetto di Don Bosco sui «membri esterni» creando uno strumento particolarmente atto per la penetrazione del suo spirito nel mondo);
– le Figlie dei SS. Cuori di Gesù e Maria per opera di Don Luigi Variara nella Colombia;
– le Suore della Carità di Miyazaki per opera di Mons. Vincenzo Cimatti e di Don Antonio Cavoli nel Giappone;
– le Salesiane Oblate del S. Cuore per opera di Mons. Giuseppe Cognata nella Calabria, ecc.26
Ognuno di questi gruppi, soprattutto i primi tre, istituiti dallo stesso Don Bosco come fondamento e centro vitale della sua Opera, non possono essere pensati storicamente come a sé stanti e separati; sono nati e vissuti in mutuo e continuo interscambio di valori spirituali e apostolici usufruendo così reciprocamente di immensi vantaggi. A tutti «insieme», come se costituissero una sola Famiglia, è affidata la preziosa eredità di Don Bosco.
L’energia unificatrice del suo «carisma»
La Famiglia Salesiana di Don Bosco è, dunque una realtà «carismatica»: ossia, un dono ecclesiale dello Spirito Santo destinato a crescere e prolungarsi nel Popolo di Dio, più in là delle circostanze mutevoli di luogo e di tempo, secondo un determinato orientamento permanente.27
Il segreto intimo della sua forza di esistenza e della sua vitalità coagulante è il «carisma del Fondatore», manifestazione soprannaturale (non da carne o da sangue!) e creata (quindi, esistenzialmente umana) dello stesso Dono increato che è lo Spirito Santo nella Chiesa.
L’espressione «carisma del Fondatore» ha assunto il significato pregnante di una singolare, ricca e in qualche modo trasmissibile «esperienza di Spirito Santo».28
Nei documenti del Vaticano II non si era usato ancora il termine «carisma del Fondatore»; si parlava piuttosto di «spirito del Fondatore» nel senso globale della sua originalità spirituale ed apostolica, o anche di «ispirazione primitiva», «particolare vocazione», di «indole propria», di «finalità peculiare».29 Di qui l’uso un po’ elastico di vari termini per indicare il patrimonio comune.
— Per capire l’originalità del carisma di Don Bosco Fondatore, possiamo allineare tale carisma tra gli altri carismi fondazionali che hanno dato origine nella Chiesa a delle Famiglie spirituali: quella agostiniana, benedettina, francescana, domenicana, carmelitana, ignaziana, ecc.
La Famiglia spirituale di Don Bosco, pur ispirandosi alla corrente dell’umanesimo positivo di S. Francesco di Sales, ha una sua modalità propria e una sua caratterizzazione peculiare.
In tal senso egli appare come un vero «caposcuola» di una originale esperienza carismatica, punto di riferimento obbligato per quanti, sotto un particolare impulso dello Spirito, si sentono chiamati a condividere nell’oggi della storia il suo destino e la sua missione nei vari stati di vita, ognuno al suo grado e al suo livello.
Ciò che unisce tra loro i vari membri di una Famiglia carismatica è un legame vivo, comune a tutti, che genera in ognuno una specie di consanguineità e di parentela spirituale in relazione agli altri, diviene l’anima del loro stile di vita, l’ottica della loro attività e la fonte della mutua comunione.
Don Bosco, genio di concretezza e paziente organizzatore, si è impegnato con costante e pratica metodologia a far sì che la sua «esperienza di Spirito Santo» (il suo «carisma» o il suo «spirito di Fondatore») si trasfondesse e si perpetuasse in una «comunione organica» anche con strutture di stabilità e di armonia operativa; per questo ha dovuto ricercare con intuizione e revisione, sperimentare realisticamente e adattarsi ai suggerimenti e alle possibilità dei tempi. Oggi, per non tradire il suo «carisma», è necessario situarsi più in là delle modalità giuridico-ecclesiastiche di associazione che, come dicevamo, sono suscettibili di cambiamenti in dipendenza dalle esigenze sociali e dalle disposizioni ecclesiastiche. Però non si può tralasciare di considerare, come aspetto integrante del suo progetto di fondazione, la preoccupazione concreta di una organicità di comunione e di operatività. Questa preoccupazione, infatti, emerge costantemente nel lungo processo fondazionale con cui si dedicò a incarnare la sua «esperienza di Spirito Santo».
Ma riflettiamo, innanzitutto, sulla natura intima del «carisma del Fondatore».
— L’inizio e il dinamismo propulsore di questo carisma è la carità, che costituisce nel mistero della Chiesa «il dono primo e più necessario»30 della sua vita e santità.
Il centro del cuore di un Fondatore è la carità che in lui dirige tutto: gl’ideali, le ansie, i progetti, gl’impegni e la ricerca dei mezzi; dà loro forma, li guida e li conduce rettamente verso il fine. è la proiezione della sua carità che intorno a lui convoca le persone, coordina e armonizza le varie funzioni, i molteplici doni, i differenti stati e ministeri; sublima le differenze in una organica ricchezza di unità.
Ma perché sia differente e originale nei vari Fondatori, la carità viene specificata da determinate caratteristiche proprie. Ossia, l’energia vitalizzatrice del carisma di un Fondatore è, in definitiva, un tipo di carità, che dal suo cuore si effonde in un vasto ambiente sintonizzato.
Ogni Fondatore, nel vivere la dinamica integrale della carità, ne privilegia alcuni aspetti dando origine a degli stili e fisionomie spirituali differenti. Così i Fondatori fanno apparire nella Chiesa delle modalità originali di carità che servono a proclamare la densità ineffabile della sua essenza e a contribuire «a far sì che la Chiesa, abbellita con la varietà dei doni dei suoi figli, appaia altresì come una sposa adornata per il suo sposo (cf. Ap 21,2) e per mezzo di essa si manifesti la multiforme sapienza di Dio (cf. Ef 3,10)».31
— Ci interessa qui sottolineare l’energia unificatrice che porta in sé il tipo di carità vissuto da un Fondatore. Essa ha una vitalità di realizzazione, un fascino di attrazione e una potenza di convocazione da aver la fecondità di dar origine a una vera consanguineità o parentela mistica. Non la si può identificare con i tratti spirituali propri di una funzione ministeriale (sacerdozio, diaconato, ministeri vari) e neppure di uno stato di vita (celibato, matrimonio, vedovanza).
È un vigore divino che permea la sintesi viva dell’esistenza, infondendo la feconda capacità di assumere e unificare le differenze di carattere, di funzione e di situazione.
Come nella Chiesa lo «Spirito Santo» (che è Carità «increata») unisce, vivifica e anima tutte le differenze organiche e funzionali del Corpo di Cristo, in modo analogo, anche se a distanza infinita, il «carisma» o la carità specifica di un Fondatore (dono «creato» dello stesso Spirito Santo) riunisce, fa crescere e orienta le persone e i differenti valori che convergono insieme per la costituzione di una medesima «Famiglia spirituale».
Lì si fondono in comunione non solo i diversi temperamenti e gusti, le svariate doti e i doni personali, ma anche le differenti spiritualità che accompagnano le pluriformi situazioni ecclesiali di ministero o di stato di vita o di ispirazione subordinata all’appartenenza sostanziale alla stessa Famiglia.
Infatti, «carisma» e «spiritualità» non coincidono: nella sintesi esistenziale di un medesimo «carisma» possono convenire armonicamente varie «spiritualità» di tipo ministeriale o di stati di vita differenti. Perciò in una «Famiglia spirituale» possono venir assunte insieme e mutuamente armonizzate con diversità di dosaggio la spiritualità sacerdotale, quella laicale, quella religiosa (nelle sue diverse modalità), quella coniugale o quella non-coniugale (per es., di vedovanza), quella oblativa o vittimale, ecc.32
— Per questo è bello e arricchente sentirsi membro di una «Famiglia spirituale», dove le variegate differenze apportano chiarificazione d’identità e bellezza di armonia: non per confusione o appiattimento dei singoli, ma per emulazione di ognuno nella propria identità.
— Ebbene: il tipo di carità che vivifica il carisma di Don Bosco è quello di una carità «pastorale», specificata da una sua peculiare colorazione che noi qualifichiamo di «salesiana». Ciò significa che l’energia unificatrice della nostra Famiglia bisogna cercarla in quel tipo di amore sacerdotale che ha caratterizzato Don Bosco con una passione travolgente di apostolato tra i giovani, con un suo modo di sentire, di vivere, di comunicare i valori del Vangelo e di tradurli in un suo progetto operativo. Lui stesso sintetizzava questo tipo di carità, quasi come in uno stemma, con l’espressione salesiana: Da mihi animas, cetera tolle!.
E qui, cari confratelli, è bene chiarire subito un equivoco che può causare delle deviazioni spirituali.
In ogni vita veramente apostolica la «carità pastorale» permea l’esistenza stessa della persona: prima di tradursi in un «fare», essa è un «modo di essere»: è una partecipazione all’amore stesso di Dio, un unirsi a Lui, un donarsi e perdere se stesso per appartenere totalmente a Lui in disponibilità di lavoro per il suo Regno. La «carità pastorale» non va identificata superficialmente con un compito altruistico da eseguire: prima e più ancora è una modificazione intrinseca della propria esistenza, per cui si vive in intima unione con Dio-Salvatore sentendosi a sua piena disposizione per operare.
Questa affermazione va meditata! è assai profonda; essa tocca la radice stessa di uno spirito genuinamente apostolico. Riflettendo su di essa si percepisce anche che il famoso principio «agere sequitur esse» — l’operare accompagna l’essere! — non avrebbe mai dovuto significare un qualche dualismo o un posporre l’agire sull’essere. «L’azione — ha scritto acutamente Sertillanges — non è che una forma di essere. Quando agisco io “sono” agente..., ossia rivesto una forma di attività che è, per questo fatto, una forma di essere. Le condizioni del mio essere sono, dunque, anche le condizioni della mia azione».33
L’attività della «carità pastorale» non è separata o posteriore al suo essere: bensì lo accompagna, lo rivela, lo fa rifulgere, lo pienifica, ne esprime la genuina verità. Non viene «dopo», ma è «dentro» quale costitutivo della sua identità dinamica; essa è radicalmente interiore in quanto partecipazione dell’amore di Dio.
Così, nella profondità di un’esperienza apostolica di Spirito Santo, la cosiddetta «estasi dell’azione» (di cui parla S. Francesco di Sales) risulta, in definitiva, una forma d’interiorità!
Come è illuminante, per noi, tale riflessione! Ci fa capire con maggior chiarezza perché la carità pastorale è il vero «centro» del carisma e dello spirito di Don Bosco.34 Da esso sgorga quell’energia soprannaturale e intima che ci coaduna, ci imprime una fisionomia propria, ci alimenta e ci dà entusiasmo, ci unisce in comunione, ci invita alla donazione di noi stessi e alla santità, ci spinge quasi come un istinto spirituale all’operosità, all’inventiva, al sacrificio.
— Da questo «centro», o sorgente-prima, fluiscono i tratti specificamente «salesiani» della carità pastorale di Don Bosco, come componenti del suo carisma. Ne conosciamo già i vari elementi, ma vale la pena ricordarli ancora una volta, anche se succintamente; essi ci fanno percepire meglio la natura dell’energia unificatrice che ci coaduna in Famiglia spirituale.35
I tratti della «comunione salesiana» che condividono insieme tutti i figli e le figlie di Don Bosco sono i seguenti:
• Innanzitutto, come fonte viva, l’alleanza speciale con Dio secondo il tipo di carità pastorale che abbiamo or ora descritto: intima unione con Dio contemplato nella sua bontà di Padre intento a realizzare un misericordiosissimo e pedagogico disegno di salvezza; e un amore al Prossimo considerato nelle sue situazioni di povertà e di indigenza attraverso l’ottica della predilezione per i giovani.
• Poi, lo spirito salesiano come stile di pensiero, di condotta, di atteggiamenti, di gusti, di preferenze, di priorità, di modalità propria nella lettura del Vangelo.
• Poi, la missione giovanile come partecipazione specifica ai molteplici compiti della Chiesa per la salvezza del mondo.
• Inoltre, il Sistema preventivo come una prassi concreta e originale di azione pastorale, che incarna tra i giovani sia la carità, sia lo spirito salesiano, sia la sua missione salvifica.
• Infine, un concreto progetto di convergenza nello stile di vita e di attività, suscettibile di differenziata strutturazione comunitaria nei vari gruppi e da tradursi in una qualche «comunione organica» di tutta la Famiglia Salesiana.
Queste componenti del «carisma di Don Bosco» equipaggiano la Famiglia Salesiana per un’azione specializzata, rendendola «pronta» a partecipare e «capace» di collaborare nella pastorale concreta dell’«Opera degli Oratori».
Con l’energia del suo carisma Don Bosco unifica nell’armonia di un’unica Famiglia apostolica il prete, il laico, il celibe, lo sposato, il vedovo e il religioso nella sua varietà di testimonianza delle beatitudini. Non toglie a nessuno la sua specifica spiritualità sacerdotale o laicale o religiosa. Il «carisma di Don Bosco» è un’energia superiore e globale di ordine esistenziale che assume, gerarchizza e tipifica, senza diminuire o adulterare, le singole spiritualità situazionali e funzionali, anzi le irrobustisce e le abbellisce con una propria caratterizzazione.
— Come nella comunione della Chiesa tutti hanno tutto, ma ciascuno a suo modo, così nella nostra Famiglia Salesiana tutti hanno tutto il carisma del Fondatore, ma ciascuno vi partecipa e lo esprime a suo modo, secondo la vocazione a cui è stato chiamato e la misura del dono ricevuto. La ricchezza della vita di una Famiglia spirituale, che nasce dall’energia unificatrice del carisma del Fondatore, raggiunge tali livelli da escludere che ciascuno dei suoi membri possa viverne al massimo tutti gli elementi. Pur realizzandoli in qualche modo tutti, ognuno si concentra preferenzialmente su alcuni di essi, per sé e per il servizio degli altri. Congiunti assieme, i membri consentono alla Famiglia di vivere l’interezza dei suoi valori al massimo livello.
Così nella Famiglia Salesiana possiamo condividere e interscambiare ricchi valori e numerosi stimoli e testimonianze che rendono più stabile ed entusiasmante la vocazione di ognuno. Possiamo vedere infatti, per esempio, come i gruppi consacrati sottolineano il vigore e il dinamismo della radicalità evangelica; i gruppi non consacrati proclamano la centralità della storia umana, l’importanza dei valori temporali e l’indispensabilità di un nesso intimo tra vita di consacrazione e impegno di trasformazione del mondo.36 Nei membri preti viene messo in rilievo un modo specifico di vivere la carità pastorale nell’esercizio del ministero sacerdotale,37 negli altri un molteplice tipo di vita e di impegno laicale (nei suoi differenti livelli), che si caratterizza particolarmente per una capacità di servizio specializzato nella vasta e complessa missione giovanile. Nei vari gruppi, poi, si vedono accentuati policromi aspetti spirituali, che non devono mancare in nessun cuore salesiano, ma che sono evidenziati meglio o più caratteristicamente in qualcuno dei singoli gruppi e che la comunione della Famiglia mette bellamente a disposizione di tutti.
Pensiamo, ad esempio, senza voler essere minimamente completi:
Ai Salesiani, con la loro bontà allegra, l’inventiva pedagogica, l’instancabilità di animazione, l’approfondimento del patrimonio spirituale comune e il coraggio missionario.
Alle Figlie di Maria Ausiliatrice, con la delicatezza e la prospettiva salesiana femminile, la sollecitudine mariana di fedeltà e sacrificio, l’intuito sponsale, materno e fraterno, di servizio e l’intimità della preghiera.
Ai Cooperatori, con il realismo del senso della vita, la capacità di coinvolgere il quotidiano e la professionalità nell’impegno apostolico, la presenza attiva nella società e nella storia.
Alle Volontarie di Don Bosco, con l’approfondimento della secolarità, l’importanza dei valori creaturali, la silenziosa efficacia del fermento nella massa, la testimonianza dal di dentro.
Agli Exallievi, con la forza vincolante dell’educazione salesiana, la centralità per noi dell’area culturale, il rilancio di una pedagogia aggiornata ed adeguata in un’epoca di transizione, l’urgenza di una cura speciale della famiglia cristiana.
Ad alcuni altri Istituti di religiose salesiane, come le Figlie dei SS. Cuori di Gesù e Maria di don Variara e le Oblate del S. Cuore di Mons. Cognata, con un peculiare filone di spiritualità vittimale e oblativa, già testimoniata eminentemente da don Andrea Beltrami: esse ricordano a tutti gli altri membri della Famiglia che l’oblazione di sé e la pazienza di «ostia pura e gradita» sono indispensabili ad ognuno nelle peripezie dell’esistenza, nelle incomprensioni, infermità, forzata inattività e vecchiaia.
E così, agli altri Gruppi, con la loro specifica caratterizzazione.
L’energia unificatrice del «carisma di Don Bosco» ha fatto, dunque, sorgere una originale «Famiglia spirituale» articolata e varia; essa costituisce una specie di «ambiente» di temperie spirituale dal respiro universale dove nessuno è escluso, né la molteplicità delle razze e delle nazionalità, né il pluralismo delle culture, né la patria dei continenti. Ognuno, con il suo temperamento, con le sue doti, con la sua vocazione cristiana, può esclamare: ecco, qui in questa Famiglia spirituale mi sento a casa mia!
Ogni qualità particolare, ogni spiritualità di situazione ecclesiale e ogni ministero viene rispettato e promosso; lo spirito del Fondatore non cambia né sopprime le differenze, bensì le assume e le promuove per essere vissute con più vigore e con peculiare stile di santificazione e di azione nell’unità armonica di un medesimo tipo di carità.
Possiamo, quindi, lodare il Signore e la Madonna perché, suscitando il carisma di Don Bosco, hanno fatto alla Chiesa un gran bel regalo, di cui ci sentiamo tutti insieme, i vari gruppi della Famiglia Salesiana, gli eredi e i portatori.
Rilancio capitolare
Il Vaticano II è venuto a portare una ventata di aria fresca nella Chiesa, la quale ha ripensato in profondità il suo mistero: ha rilanciato in conformità ai tempi la sua missione; ha rispolverato tutta la dottrina dei carismi e ha invitato le Famiglie spirituali a riattualizzare il dono ricevuto rileggendo la «memoria» delle origini per riattingervi l’acqua cristallina della propria vocazione da rinnovare in risposta ai tempi.
I Capitoli Generali e le Assemblee dei vari gruppi della nostra Famiglia si sono dedicati, ormai da vari anni, con serietà di preparazione e di studiata e sofferta elaborazione a questo delicato compito. Per vocazione e responsabilità storica38 toccava prioritariamente a noi Salesiani rileggere Don Bosco e scrutare l’esperienza comune del primo secolo della nostra esistenza.
Come ho già ricordato, due nostri Capitoli Generali, quello Speciale 20° e il 21°, hanno affrontato direttamente la nostra vocazione nel suo aspetto di Famiglia Salesiana. Il Capitolo Generale Speciale ci ha dato, nel suo 1° documento39 al Capo 6°,40 la dottrina fondamentale per poter orientare il rinnovamento.
Il Capitolo Generale 21 ha istituito una struttura di servizio nella nostra Società di S. Francesco di Sales, il «Consigliere per la Famiglia Salesiana», formulando il seguente articolo nelle Costituzioni: «Il Consigliere per la Famiglia Salesiana ha il compito di sensibilizzare e animare la Congregazione per il ruolo ad essa affidato nella Famiglia Salesiana, a norma dell’articolo 5».41
Con l’istituzione di questo speciale Consigliere la Congregazione ha rinnovato, per potenziarla, la caratteristica volontà di Don Bosco di far penetrare nel mondo il più largamente possibile lo spirito salesiano. Questo egli fece con dei mezzi concreti — la comunicazione sociale — e soprattutto con l’unione delle persone impegnate e simpatizzanti con la sua missione giovanile e popolare, che formano appunto la Famiglia Salesiana.
Sarà conveniente, cari confratelli, riprendere personalmente e in comunità il suddetto capo 6° del Capitolo Generale Speciale; esso rimane tuttora il testo orientatore e fondante del rilancio della nostra Famiglia Salesiana.
Con una lettura meditata del documento capitolare si potranno percepire due movimenti complementari da curare nel rilancio: una chiarificazione progressiva dell’identità dei singoli gruppi, e la crescita del processo di integrazione e comunione con un qualche supporto di unità istituzionale.
Il primo movimento comporta la capacità in ognuno dei gruppi di individuare meglio la propria originale caratterizzazione nell’alveo comune di una Famiglia che non ci rende «uniformi», ma ci armonizza e coordina con un unico «spirito». Ciò chiarirà sia la coscienza di una propria giusta autonomia,42 sia l’indispensabilità di un quadro di riferimento comune.43
Il secondo comporta, invece, l’urgenza di una maggior intercomunicazione e collaborazione44 e inoltre il riconoscimento, la difesa e il rinnovamento di una struttura di base comune regolata da uno statuto istituzionale concreto, anche se ridotto al minimo indispensabile, per assicurare, servire e promuovere adeguatamente l’unità della comunione carismatica.
In una cultura nella quale si moltiplicano di giorno in giorno i rapporti fra gli uomini e cresce, a tutti i livelli, l’esigenza della comunicazione e dell’unione delle forze, mi sembra più che mai urgente richiamare tutti i figli e le figlie di Don Bosco insieme a rilanciare la Famiglia Salesiana, affinché «le ricchezze di ciascun gruppo possano diventare le ricchezze di tutti» e, soprattutto, affinché sia maggiormente presente e più efficace la nostra comune missione giovanile: «saremo tutti più illuminati sulla verità attuale e sulla autenticità del dono fatto a Don Bosco e dei doni che, in linea con quello, lo Spirito elargisce anche a noi; percepiremo meglio la forza e la fecondità apostolica della nostra missione e del metodo da adottare; giungeremo a vivere l’esperienza evangelica in modo che comunicando tra noi e collaborando nell’azione “ci” arricchiamo reciprocamente. La fedeltà dinamica a Don Bosco nell’intercomunione e nella collaborazione farà dilatare lo spazio della sua intuizione pastorale e della paternità, che splenderà più luminosa perché ogni aumento di sentimenti fraterni, di unione e di impegno tra coloro che si riconoscono suoi “figli” ne esalterà la dimensione».45
Chi percorre il cammino dei quasi venti anni in cui è nato e si è sviluppato quello che potremmo chiamare «il Progetto di rinnovamento della Famiglia Salesiana» dalla preparazione del Capitolo Generale Speciale fino agli sviluppi odierni, rimane colpito da una evidente assistenza del Signore. Il «progetto» nasce infatti quando i Salesiani si pongono all’opera per attuare il rinnovamento e l’aggiornamento voluti dal Concilio Vaticano II partendo dall’esplorazione della volontà del Fondatore. In tale clima riaffiora, più viva ed attuale che mai, la memoria degli sforzi di Don Bosco per unire le forze dei buoni per il bene della Chiesa e della società. Ed appare pure che, se il cambio di cultura e l’evoluzione storica hanno modificato il modo e cambiato alcune strutture con cui lui aveva attuato l’unione tra Salesiani, Figlie di Maria Ausiliatrice e Cooperatori, la ecclesiologia che privilegia la comunione, i bisogni della evangelizzazione, le nuove situazioni storiche dei giovani e delle classi popolari hanno reso ancora più attuale la necessità di realizzare quell’unione, i cui valori profondi sono rimasti immutati. è così che attraverso i due turni di Capitoli Ispettoriali Speciali arriva alle Commissioni Precapitolari, suggerito dalla base, cioè dai confratelli e dalle comunità, la proposta di rinnovamento della Famiglia Salesiana, che diverrà uno dei progetti capitolari.
Il Capitolo Generale Speciale discusse a lungo tale progetto nei suoi vari aspetti, giungendo finalmente, come dicevo, alla formulazione da tutti conosciuta.
Tra il Capitolo Generale Speciale e il Capitolo Generale 21 si ebbe il fenomeno della adesione spontanea di alcuni Istituti alla Famiglia Salesiana; segno che, lungi dal considerare il progetto come una possibile intrusione nella loro vita e il ruolo riconosciuto dalla Congregazione una diminuzione della loro autonomia, consideravano l’uno e l’altro come una grazia data anche ad essi per una maggiore fedeltà a Don Bosco. E non furono sentimenti puramente platonici perché l’adesione prese corpo ufficialmente in molte Costituzioni e Regolamenti, e si moltiplicarono le richieste di riconoscimento e le riunioni a tutti i livelli, sorsero organi di collegamento e di comunicazione. E ci fu entusiasmo ed indubbio fervore spirituale un po’ dovunque. Qualche ombra era dovuta piuttosto alla mancanza di strutture e alla novità della cosa, ma fu comunque molto tenue e non paragonabile agli aspetti positivi.
In questo clima maturò il tempo del Capitolo Generale 21, il cui programma ufficiale non prevedeva nessun cenno alla Famiglia Salesiana. L’argomento si impose da sé, innanzitutto come verifica di quanto si era fatto degli orientamenti del Capitolo Generale Speciale, e poi per la precisa richiesta di una quindicina di Capitoli Ispettoriali. Fatto nuovo fu l’intervento di vari gruppi a cui il Capitolo Generale Speciale aveva riconosciuta l’appartenenza, che fecero sentire la loro voce con messaggi che avevano, come denominatore comune, innanzitutto la richiesta alla Congregazione di mettersi in condizioni di adempiere il suo ruolo animatore e pastorale verso di loro per svolgere il suo compito di collegamento e, in subordine, di creare gli strumenti necessari per tutto questo. Ci fu, infine, la presenza e la collaborazione dei loro rappresentanti in qualche commissione e nell’assemblea capitolare.
Il Capitolo Generale 21 ha preso quindi alcune decisioni di somma importanza per la Famiglia Salesiana, come: l’istituzione di un Consigliere per animare a livello mondiale la Congregazione nei suoi compiti e collegare i vari gruppi; la riaffermazione della validità del progetto fatto dal Capitolo Generale Speciale; l’indicazione di una pastorale vocazionale per la Famiglia Salesiana; l’inserimento nei programmi formativi della dimensione «Famiglia Salesiana»; la riaffermazione della preferenzialità di scelta dei collaboratori laici debitamente formati; l’impegno preso davanti a tutti i gruppi di preparare buoni animatori, ribadito come compito prioritario agli Ispettori nel discorso conclusivo del Capitolo.46
Durante questi ultimi quattro anni, negli incontri o visite d’insieme del Rettor Maggiore con gli Ispettori delle varie aree culturali, il tema della Famiglia Salesiana fu trattato sempre come uno degli argomenti essenziali dell’animazione salesiana.
Ci sono le prove che, a livello di convinzione e di accettazione, non esistono più zone d’ombra in Congregazione e che si sono fatti grandi passi anche nel campo dell’attuazione. Sono nate iniziative di studio, di animazione e collaborazioni di comunione e di comunicazione. Sono aumentati i grandi momenti di «Famiglia Salesiana»: il Centenario delle Missioni Salesiane, il Centenario dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, il Centenario della morte di Santa Maria Mazzarello, le celebrazioni di anniversari e di ricorrenze attorno al Rettor Maggiore, la sua direzione spirituale sempre più condivisa e richiesta. La collaborazione a livello di studio e di approfondimento della vocazione salesiana, di ricerca di impegni comuni come il «Progetto-Africa», si è moltiplicata. Tutto questo dimostra che veramente alla Famiglia Salesiana, che ha già un grande passato, non mancano lusinghiere promesse nel futuro.
Dunque, siamo chiamati a lavorare alacremente per un vero e creativo rilancio della Famiglia Salesiana nella Chiesa, soprattutto noi, cari confratelli.
Infatti, «essendo i Salesiani, per volontà e desiderio di Don Bosco, come il vincolo, la stabilità e l’elemento propulsore della Famiglia», dobbiamo impegnarci seriamente «a promuovere in spirito di servizio scambi fraterni... e a studiare insieme, nell’accettazione corresponsabile della pastorale della Chiesa locale, le condizioni concrete per un’efficace evangelizzazione e catechesi...».47
Questo impegno dovrà essere assunto e gestito soprattutto a livello dei responsabili mondiali, delle Conferenze ispettoriali e particolarmente degli Ispettori con i loro Consigli; essi infatti hanno, più degli altri, «la capacità di evidenziare l’unità della missione e dello spirito salesiano nella pluralità delle forme e delle espressioni, la creatività e l’inventiva proprie di ogni gruppo a vantaggio degli altri». Elementi indispensabili che «ci renderanno più credibili nella Chiesa, comunione di salvezza, più efficaci nel concreto lavoro apostolico, più ricchi nelle realizzazioni personali».48
Per assicurare la crescita retta e progressiva di un tale rilancio bisognerà, però, che continuiamo a curare infaticabilmente, con oggettività storica e con intuito di connaturalità, la «memoria» delle origini della nostra vocazione.
«Avanti», «insieme»!
Ho scelto questi due avverbi stimolanti per qualificare dinamicamente il nostro impegno nel rilancio della Famiglia Salesiana.
La comunione e la missione ci interpellano.
«Avanti», ci orienta specialmente alla missione; «insieme», ci ricorda la comunione.
Anzi, «avanti e insieme», simultaneamente nella comunione per una maggior efficacia di missione.
La nostra missione tra la gioventù bisognosa dei ceti popolari deve espandersi in iniziative, in presenze nuove, in inventiva apostolica.
La comunione, nella Famiglia, deve crescere in autenticità e in organicità. Certo ogni gruppo ha una sua identità con una corrispondente giusta autonomia. Ma per noi oggi l’accento va messo sulla comunione: c’è una memoria da salvare per incrementare, rinnovandola, l’unione che Don Bosco aveva voluto.
Il mio contatto con i vari gruppi nei diversi continenti mi suggerisce di proporvi quattro obiettivi concreti da raggiungere «insieme» e da portare più «avanti».
■ Primo obiettivo: Rinvigorire la conoscenza di Don Bosco e, conseguentemente, la nostra carità pastorale.
È, questo, un obiettivo di verità e di santità perché si tratta di promuovere, insieme con tutta la Famiglia Salesiana, una miglior visione del carisma comune e una maggior intensificazione in ogni persona e in ogni gruppo di quel tipo di carità praticata in sommo grado da Don Bosco, che caratterizza e definisce il «cuore oratoriano».
Ora, è bene considerare che la carità non è mai né antiquata né arbitraria; essa è una realtà viva ed ecclesiale.
Viva, perché è dono attuale dello Spirito del Signore in vista del presente e del futuro. Essa è in se stessa creativa, come lo Spirito Santo che la infonde; ama e serve le persone di oggi, quelle eterne del Dio trino amorosamente curvate sullo scorcio di secolo in cui viviamo, e quelle dei giovani d’oggi lanciati verso l’avvento del 2000.
Ecclesiale, perché è partecipazione ed espressione della vita e della santità, della Chiesa come Corpo di Cristo in unità organica, sotto l’influsso vitale dello Spirito Santo che la inabita per farla crescere armonicamente come organismo vivo.
È, quindi, una carità non solo attuale, ma anche orientata dalla Chiesa attraverso il ministero della sua Gerarchia e alla luce dell’ecclesialità di Don Bosco: una carità vitalmente connessa con due centri ecclesiali di riferimento, i Pastori e il Fondatore!
Rinvigorire la nostra carità pastorale non è semplicemente ripetere e ricordare, ma amare ricercando sotto la guida del Papa e dei Vescovi e dei successori di Don Bosco, creando e rispondendo alle interpellanze delle persone e dei tempi, appunto come ha fatto il nostro Padre nel secolo scorso. Ma questo è possibile alla condizione di alimentare intensamente la nostra santità privilegiando, come vi scrivevo nell’ultima circolare,49 la profondità quotidiana dell’incontro con Cristo e l’impegno ascetico.
Cari confratelli, ricordiamolo bene: rinvigorire in noi il carisma di Don Bosco non può significare altro che «riprogettare insieme la santità salesiana»: «O santi salesiani — disse una volta Don Bosco — o niente salesiani».50
Ecco il primo obiettivo di crescita della Famiglia Salesiana: «avanti» e «insieme» nell’intensificare quel tipo di carità pastorale che ci fa sentire con Don Bosco la passione travolgente del «da mihi animas, cetera tolle»!
■ Secondo obiettivo: L’evangelizzazione educatrice della gioventù!
La carità salesiana porta in se stessa una speciale sensibilità apostolica delle necessità giovanili. Le sue scelte operative devono sorgere anche oggi, come ieri a Valdocco, dalla lettura appassionata, concreta e pedagogica, dei bisogni dell’ora. Se la «carità oratoriana» è una risposta esistenziale a certe sfide della realtà giovanile, non ci sarà mai, per una Famiglia apostolica evangelizzatrice della gioventù, una fissazione definitiva e stabile della sua opera educatrice. C’è bisogno che la nostra capacità di azione sia sempre come una zolla in primavera da cui sbocci un germoglio di fresca attualità.
Ecco una enorme impresa per tutta la Famiglia:
— Ripensare insieme il Vangelo perché appaia come il più vero e il più indispensabile messaggio per la gioventù d’oggi.
— Studiare insieme il modo di ricollocare la fede al centro di quella cultura che cerchiamo di elaborare insieme con i giovani perché riscoprano il vero senso dell’esistenza umana.
— Aiutarci mutuamente a reinventare la nostra capacità di comunicazione attraverso una struttura linguistica adeguata e accessibile.
— Ricercare insieme, con coraggio e costanza, il rinnovamento delle nostre strutture di mediazione, che sono entrate in crisi, come ben sappiamo, con il trapasso culturale in atto da anni.
Questo complesso e vasto obiettivo ci ha già portati a riattualizzare il Sistema preventivo, cercando di formulare con paziente intelligenza un rinnovato Progetto educativo-pastorale; ci ha portati anche a riformulare e proporre uno schema aggiornato di Spiritualità giovanile. Facciamone oggetto di interscambio tra i vari gruppi della nostra Famiglia; procederemo più avanti e cresceremo insieme come specialisti nell’evangelizzazione dei giovani.
È da notare al riguardo che, essendo la Famiglia Salesiana una realtà ecclesiale, la sua pastorale giovanile dovrà essere pensata e programmata dal di dentro della Chiesa locale (nazionale, regionale e diocesana). L’avere in cura una porzione giovanile del gregge e l’agire in essa con uno stile proprio d’azione, non può significare prescindere o essere insensibili al coordinamento e alle mete apostoliche promossi dai Pastori di tutto il gregge. Purtroppo sussistono ancora tra noi, qua e là, in questo campo, delle difficoltà che risentono di un certo passato e che vanno superate con coraggio.
■ Terzo obiettivo: Privilegiare la formazione specifica di ogni gruppo e il coinvolgimento del laicato.
È fondamentale per tutta la Famiglia che i gruppi curino la propria identità, la formazione specifica e le iniziative di relazione. è questo un compito decisivo per la buona salute e l’incremento della comunione: avere la coscienza chiara sulla propria identità per saperla apportare alla comunione e per farla diventare operativa.
L’unità nel «carisma di Don Bosco» non sopprime, come abbiamo visto, le differenze, bensì le assume, le rinvigorisce e le mette in relazione di fecondità apostolica.
Oltre alla cura dell’identità d’ogni gruppo, una meta oggi particolarmente impellente da raggiungere con il concorso di tutti è quella di far conoscere e condividere i valori salesiani al maggior numero possibile di «laici». Parlo qui del laicato nell’accezione precisata dal Concilio.
Nella Famiglia Salesiana c’è un vasto spazio per i laici sia tra i Cooperatori, sia tra gli Exallievi, sia (in un ambito più ampio) tra i collaboratori delle nostre opere e tra gli svariati simpatizzanti che si considerano volentieri «Amici di Don Bosco».
Vale la pena non sottovalutare l’importanza di un «vasto movimento di Amici di Don Bosco» che costituirebbe una specie di alone o Famiglia Salesiana in senso largo; esso può sorgere dalla convergenza di tanti fermenti, interessi, simpatie, collaborazioni e movimenti.
Nelle associazioni dei Cooperatori e degli Exallievi c’è, poi, una possibilità di articolazione in sottogruppi, che può dinamizzare e approfondire la loro appartenenza salesiana. Alcuni di questi sottogruppi esistono già; altri si potranno moltiplicare; per esempio: i «Giovani Cooperatori» (un po’ ovunque), i «Focolari Don Bosco» (per gruppi di matrimoni in Spagna), gruppi di Exallievi particolarmente impegnati nell’ambito culturale e della scuola, varie Associazioni di tipo mariano, ecc. Inoltre, nell’ambito dei simpatizzanti e degli Amici di Don Bosco, c’è tutta una bella possibilità di iniziative urgenti, come per esempio attraverso i mezzi di comunicazione sociale.
In tutto questo campo va favorito, innanzitutto, un accurato impegno di formazione del laicato in quanto tale, alla luce dell’abbondante dottrina del Vaticano II e dei posteriori documenti magisteriali, specificando tale formazione con l’angolatura propria del carisma di Don Bosco, memori che il nostro Padre insisteva nell’orientarli praticamente a concrete iniziative di bene: egli ripeteva sovente, al riguardo, la necessità di concretezza in un impegno di «opere di carità»!
Tale lavoro di coinvolgimento laicale amplifica gli orizzonti delle attività di ogni gruppo nella Famiglia e ci invita a convincerci d’affrettare un miglior coordinamento del lavoro e d’insieme.
Siamo una Famiglia di apostoli non rinchiusi esclusivamente nelle esigenze immediate di un’opera o di un gruppo!
■ Quarto obiettivo: Una pastorale vocazionale unitaria!
Infine, ricordiamo che la vocazione salesiana è caratterizzata da quel tipo di carità che è a monte di tutto il patrimonio spirituale di Don Bosco. Essa è fondamentalmente comune a tutti i membri della Famiglia; si realizza, però, con modalità diverse a seconda dei gruppi, delle categorie e delle persone. Questa comunione differenziata offre dei vantaggi non indifferenti per una collaborazione pratica soprattutto nelle iniziative di pastorale vocazionale.
Se pensiamo che Don Bosco è stato «un eccezionale e fecondo suscitatore di vocazioni nella Chiesa» concluderemo facilmente che la sua Famiglia dovrà caratterizzarsi per un particolare impegno nel curare la dimensione vocazionale di tutta la pastorale giovanile. Non dimentichiamo che il dovere di educare e guidare i giovani al discernimento della propria vocazione «nasce dal diritto della gioventù ad essere orientata, prima che da una particolare situazione delle vocazioni nella Chiesa. Tale azione va fondata negli aspetti essenziali della realtà della vocazione: è un’iniziativa divina che sollecita l’adesione umana, una chiamata che esige una risposta legata a dinamismi psicologici e religiosi, che richiedono un’azione pedagogico-pastorale appropriata».51
Ma è poi urgente migliorare la mutua preoccupazione nella Famiglia Salesiana per le vocazioni specifiche di ognuno dei gruppi. In questo campo possiamo fare molto di più se lavoriamo insieme: incontri di preghiera, di studio, di animazione, di programmazione, d’informazione, di comunicazione d’esperienze, di centri comuni di orientamento, di movimenti giovanili, ecc.
In particolare la cura dei sottogruppi di Giovani Cooperatori e di Giovani Exallievi merita un’attenzione speciale; è provato che una buona animazione di questi sottogruppi, mentre è il presupposto per la crescita delle due organizzazioni, è vocazionalmente feconda anche per gli altri gruppi. In questi ultimi sette anni, per esempio, 70 Giovani Cooperatori sono entrati nei noviziati salesiani, 52 in quelli delle Figlie di Maria Ausiliatrice, 18 nei seminari diocesani, e 30 in altre Congregazioni.
Vi invito a prendere in molta considerazione le «Conclusioni» a cui si è arrivati, al riguardo, nell’ultima, la 9a, «Settimana di spiritualità» della Famiglia Salesiana lo scorso gennaio. Tali «Conclusioni» sono riportate in questo stesso numero degli Atti, nella sezione Documenti.
Problemi e prospettive
Evidentemente l’esistenza della Famiglia Salesiana comporta anche dei problemi, non tutti piccoli né tutti di facile e disinvolta soluzione. Don Bosco ne ha affrontati parecchi con pazienza, con speranza e con incredibile costanza, sorretto continuamente dal suo grande amore a Cristo Salvatore della gioventù e sfidato dalle inedite e crescenti necessità della realtà giovanile.
Nel Consiglio Superiore abbiamo dedicato varie riunioni di studio e di dialogo, più volte e in sessioni differenti, per risolvere ciò che era possibile e per cercare luci di orientamento su tanti aspetti di un processo evolutivo ancora in pieno svolgimento, che non può prescindere dalle prospettive del tempo. Sono problemi sentiti dai fratelli e dalle sorelle un po’ ovunque e che sono rimbalzati a noi specialmente attraverso il Consigliere per la Famiglia Salesiana.
Prima, però, di enumerare alcuni veri problemi, vorrei rilevare che molte difficoltà di cui, a volte, si parla, sono tali soltanto perché non si è approfondito abbastanza il concetto genuino di Famiglia Salesiana e forse è proprio questo il primo problema da risolvere mediante una mentalizzazione a tutti i livelli di Congregazione. La conoscenza dei contenuti dei due Capitoli Generali 20 e 21 va completata con la lettura di quanto anche altri gruppi hanno detto sulla Famiglia Salesiana e sul modo con cui essi sentono di appartenervi.
Ad ogni modo può risultare utile far cenno qui rapidamente ad alcuni dei problemi più significativi; provengono dalla vita concreta e possono stimolare la riflessione e illuminare le prospettive di crescita.
• Il primo problema è: Come sviluppare di più e meglio in Congregazione la coscienza e la realizzazione del ruolo che ci compete nella Famiglia.
«In essa — infatti — abbiamo particolari responsabilità: mantenere l’unità dello spirito e promuovere scambi fraterni per un reciproco arricchimento e una maggiore fecondità apostolica».52
Questo ruolo comporta il compito non facile di saper stimolare adeguatamente i vari gruppi sia nella loro specifica identità e autonomia, sia, soprattutto, nella comunione d’insieme in uno stesso spirito e in una medesima missione.
Passi in avanti al riguardo se ne sono fatti, ma rimane ancora una lunga strada da percorrere.
Per fortuna, si è già iniziato uno studio più approfondito dei dati storici sulla Famiglia Salesiana e del pensiero genuino di Don Bosco al riguardo. Il simposio di questi giorni alla Casa generalizia ne è un esempio valido e positivo.
I principali gruppi della Famiglia Salesiana hanno dietro di sé un secolo di relazioni, di attuazioni, di interventi della Santa Sede, di direttive dei responsabili dei vari gruppi, di avvenimenti attraverso cui sono passati. Tutto questo patrimonio di esperienza va studiato, come «memoria» che illumini la coscienza dei confratelli e renda più preciso e coraggioso il nostro ruolo di animazione.
È per questo che si è procurato di dare un posto di rilievo al tema della Famiglia Salesiana nella formazione dei confratelli, come potete costatare nella Ratio.53
• Un altro problema è quello di stabilire il grado di responsabilità e il genere di rapporti che la Congregazione ha o deve avere con ognuno dei gruppi.
Nella comunione d’insieme ciascun gruppo ha una sua giusta autonomia e un suo tipo peculiare di vincolazione con la Congregazione. Il nostro ruolo di animazione dovrà adeguarsi alla specificità di ognuno, anche se rimane aperto, come più caratteristico della Famiglia in quanto tale, un vasto campo di animazione comune.
Per insistere sulla comunione bisognerà conoscere e saper rispettare l’autonomia di ogni gruppo e la sua situazione giuridica; conoscere le differenti necessità e le varie richieste vincolate con l’animazione della Congregazione per rendere un servizio appropriato e in più concreta consonanza con le nostre possibilità.
Per questo è urgente dar vita, a livello ispettoriale, a strutture di formazione, di animazione, di comunicazione, ecc. per la Famiglia Salesiana.
• Un problema particolarmente delicato è quello dei criteri di appartenenza alla Famiglia Salesiana.
L’articolo 5 delle Costituzioni considera storicamente inclusi per fondazione nella Famiglia Salesiana i Salesiani, le Figlie di Maria Ausiliatrice e i Cooperatori; inoltre gli Exallievi «a titolo dell’educazione ricevuta».
Sappiamo che vi fanno parte ufficialmente anche le Volontarie di Don Bosco.54 Tali gruppi hanno confermato questa loro appartenenza sia con dichiarazioni ufficiali, capitoli generali, assemblee, statuti, regolamenti, articoli costituzionali e regolamentari, sia con il loro comportamento pratico.
Altri gruppi posteriori, che si riferiscono per fondazione ai Salesiani e alle Figlie di Maria Ausiliatrice e si considerano praticamente come facenti parte della Famiglia Salesiana, hanno modificato le loro Costituzioni e documenti ufficiali dichiarando di volersi adeguare in un loro modo specifico alla comunione nel carisma di Don Bosco.55
Era quindi utile convenire su dei criteri di salesianità e stabilire un «procedimento» affinché il Rettor Maggiore con il suo Consiglio e con l’assenso dei Responsabili degli altri gruppi potesse dichiararne ufficialmente l’appartenenza.
Il Consigliere per la Famiglia Salesiana ha riunito, con la collaborazione dei responsabili dei gruppi principali e di alcuni nostri periti, un insieme di osservazioni e di criteri, studiati poi ed approvati «ad experimentum» dal Consiglio Superiore, che si terranno presenti in tale procedimento. Più avanti, nella sezione Documenti, troverete appunto gli «Orientamenti adottati dal Consiglio Superiore per il riconoscimento di appartenenza alla Famiglia Salesiana».
• Un altro problema, già più volte discusso, è quello della «natura» dell’appartenenza degli exallievi.
Il Capitolo Generale Speciale ha avviato la riflessione affermando che «vi appartengono a titolo dell’educazione ricevuta, che può esprimersi in vari impegni apostolici». Sembra, dunque, che bisogna dirigersi, per capirne la natura e per chiarirne le difficoltà emergenti, sia agli impegni apostolici nell’ambito della cultura, soprattutto nel suo settore educativo (che è come la patria della missione salesiana), sia ai valori del Sistema preventivo, che è una delle componenti del «carisma di Don Bosco».
Intanto, in molte regioni l’associazione degli Exallievi è fiorente e dinamica e merita generosa animazione da parte nostra.
Infine, se consideriamo la profonda evoluzione sociale e culturale avvenuta sotto l’impulso dei tempi, gli apporti ecclesiologici del Vaticano II, il rinnovamento della vita religiosa, il rilancio del laicato nel Popolo di Dio, la promozione della donna nella società e nella Chiesa, la mutevole novità della realtà giovanile, il salto di qualità nella coscienza e nel dinamismo dei popoli, la situazione problematica di alcuni continenti e delle loro masse giovanili, il pluralismo ideologico e gli schemi politici di tanti Stati, troveremo molti altri elementi di sfida che ci interpellano anche sull’identità, sul funzionamento, sulla promozione e sulla efficacia apostolica della Famiglia Salesiana.
Ho voluto ricordarvi alcuni problemi per far intuire meglio che ci troviamo ancora di fronte a un notevole lavoro di studio e di verifica, in un processo evolutivo appena iniziato.
Una verità, però, rimane chiara: la Famiglia Salesiana acquista sempre più importanza col progredire del tempo!
Ecco, cari confratelli, un tema di vitale rilievo per il nostro futuro
Il progetto embrionale ispirato dall’Alto a Don Bosco negli anni ’40 e ’50 del secolo scorso è cresciuto e si è andato evolvendo omogeneamente durante la vita stessa del Fondatore. Da quell’embrione, iniziato da Don Bosco come sacerdote diocesano nella Chiesa locale di Torino con l’unione di molte forze per aiutare la gioventù povera e abbandonata con l’«Opera degli Oratori», si è sviluppata ed è maturata, a poco a poco e sempre in forma provvidenziale, una strutturazione più articolata e di maggior stabilità di vera «Famiglia spirituale» nella Chiesa universale. Nella coscienza stessa di Don Bosco è andata emergendo e chiarendosi la sua personale vocazione di Fondatore nella Chiesa (1859: Salesiani; 1872: Figlie di Maria Ausiliatrice; 1876: Cooperatori), facendo di lui l’iniziatore di un nuovo carisma nel Popolo di Dio, quale «caposcuola» di un peculiare stile di santificazione e di apostolato.
Già nel 1899 il Bollettino Salesiano, nell’articolo editoriale del mese di febbraio, descriveva così l’eredità di Don Bosco Fondatore: «Ci è grato poter cogliere tutte le occasioni per dimostrare ai nostri Cooperatori e Cooperatrici che essi con noi e con le Suore di Don Bosco formano un’unica grandiosa famiglia, animata da un medesimo spirito nei vincoli soavissimi della cristiana fratellanza».56
Questa Famiglia, ormai articolata chiaramente nei suoi gruppi fondamentali, è andata poi sviluppandosi «in sintonia con il Corpo di Cristo in perenne crescita».57
Dopo il Vaticano II essa ha ripreso una più chiara coscienza della sua natura carismatica.
Oggi tocca a tutti i figli e le figlie di Don Bosco, «insieme», assicurarne l’identità e la vitalità. E in questa corresponsabilità di tutti, spetta a noi, cari confratelli, un ruolo vocazionale e storico di specifico servizio e di animazione con «particolari responsabilità».
Dunque, se vogliamo amare veramente Don Bosco, sforziamoci di conoscere meglio la Famiglia Salesiana e di dedicarci con generoso sacrificio e con intelligente coraggio a promuoverne e rinvigorirne la comunione e la missione.
Facciamo memoria delle sue origini storiche, per crescere in fedeltà e fecondità.
Maria Ausiliatrice, che ha guidato Don Bosco in tutto, illumini anche noi e ci aiuti!
Un fraterno saluto a tutti nell’aspettativa della gioia pasquale.
Con cuore «oratoriano»,
D. Egidio Viganò
NOTE LETTERA 16 -------------------------------------------------------
1 Simposio sulla Famiglia Salesiana, 19-22 febbraio 1982
2 Cost FMA, art. 3
3 ACS n. 295
4 ACS n. 301
5 CGS 151-177
6 CGS 152
7 CGS 159
8 Conferenza ai Cooperatori a Borgo S. Martino, 1º luglio 1880
9 Lettera a Giovanni Cagliero, 27 aprile 1876
10 P. BRAIDO, Il progetto operativo di Don Bosco e l’utopia della società cristiana.
11 CGS, Presentazione di D. Luigi Ricceri, pag. XVIII, XIX
12 CGS 159
13 CGS 160
14 cf. MR 11
15 ET 11. 12
16 cf. LG 45. 46; PC 2b; AG 40
17 LG 44
18 E. VIGANÒ, Riscoprire lo spirito di Mornese, ACS n. 301, pag. 23-24
19 P. BRAIDO, o.c., pag. 4
20 cf. MB XI, 85; IV, 93
21 cf. MB II, 252-254
22 G. BOSCO, Memorie dell’Oratorio di S. Francesco di Sales, Ed. SDB Roma, pag. 16
23 MB XII, 69
24 MB XI, 85-86
25 MB XVIII, 160-161
26 Per una lista dei vari gruppi, vedi Bollettino Salesiano, 1º settembre 1981, pag. 11
27 cf. ET 11. 12
28 MR 11
29 cf. LG 45; PC 2. 20. 22; CD 33. 35,1. 35,2
30 LG 42
31 PC 1
32 cf. LG 41
33 A.G. SERTILLANGES, Il cristianesimo e la filosofia
34 cf. Cost 40
35 cf. E. VIGANÒ, Non secondo la carne ma nello Spirito, 1978, pag. 90-99
36 cf. LG 31
37 cf. PO 8
38 cf. Cost 5
39 CGS, «I Salesiani di Don Bosco nella Chiesa, identità e vocazione attuale della Società Salesiana»
40 CGS, «Le prospettive della “Famiglia” Salesiana oggi», n. 155-177
41 CG21 402-403
42 cf. «Le differenze», CGS 166-170
43 cf. «Elementi comuni», CGS 161-165
44 cf. «Ragioni, contenuti e modi», CGS 174-176
45 CGS 174
46 CG21 588
47 CGS 189
48 CGS 177
49 ACS n. 303
50 MB X, 1078
51 cf. ACS n. 304, sezione Documenti, pag. 63
52 Cost 5; cf. CGS 189; CG21 75. 402. 403
53 n. 54. 57. 175. 182. 234. 272. 368. 375. 399
54 cf. CGS 156. 168
55 Le Figlie dei Sacri Cuori di Don Variara hanno fatto richiesta di appartenenza ufficiale e, come potete vedere nella sezione Documenti, la loro domanda è stata accolta
56 Bollettino Salesiano, febbraio 1899, pag. 29
57 MR 11