LETTERE DEL RETTOR MAGGIORE
PASCUAL CHÁVEZ
ACG 379 ‘02
«CARI SALESIANI, SIATE SANTI!» [1]
Un insieme di
felici coincidenze. - 1.
La santità, permanente patrimonio di famiglia -
1.1. Sulla scia di Don Bosco - 1.2. La nostra santificazione - 2.
Noi educatori alla santità - 2.1. La
santità, proposta dell’educazione salesiana - 2.2. Un cammino
educativo alla luce della spiritualità salesiana - 3.
La santità fiorisce nella comunità -
3.1. Riecheggiando il CG25 - 3.2. Stimolati dai recenti Beati - 4.
Invito alla revisione - I nostri nomi
sono scritti nel cielo - 4.1. Un omaggio alla concretezza - 4.2. Una
revisione che si fa preghiera
Roma, 14 agosto 2002
Vigilia dell’Assunzione della B.
Vergine Maria
Carissimi
Confratelli,
sono trascorsi quattro mesi dalla chiusura del CG25, che è stato una
forte esperienza spirituale salesiana. Avete nelle vostre mani i
Documenti Capitolari “La Comunità
Salesiana Oggi”, che – a dire dei
confratelli che scrivono – sono stati ben accolti dalle Ispettorie
e sono oggetto di studio e di assimilazione, in vista del
rinnovamento delle nostre comunità. Ora mi metto in contatto con voi
attraverso questa mia prima lettera circolare.
Scrivere lettere è stata la forma apostolica adoperata da San Paolo,
per superare la distanza geografica e l’impossibilità di essere
presente in mezzo alle sue comunità, per dare accompagnamento alla
loro vita. Con le dovute differenze, anche le lettere del Rettor
Maggiore intendono creare vicinanza con le Ispettorie attraverso la
comunicazione, condividendo quanto accade nella Congregazione ed
illuminando la vita e la prassi educativo-pastorale delle comunità.
Vi scrivo nella vigilia dell’Assunzione di Maria e a due giorni
dalla data che ricorda la nascita del nostro caro padre Don Bosco.
Non vi nascondo che mi piacerebbe tanto esservi vicino e condividere
i vostri lavori attuali e i vostri migliori sogni; in modo
particolare, sento nel profondo del cuore il desiderio di pregare per
ognuno di voi. Il Signore vi riempia del suo Dono per eccellenza, lo
Spirito Santo, perché vi rinnovi e vi santifichi ad immagine del
nostro Fondatore, che ci è stato dato come modello (cf. Cost. 21).
Maria, l’esperta dello Spirito, vi insegni ad accoglierLo e a
lasciarGli spazio, perché vi renda fecondi nella missione apostolica
e credenti felici in Cristo, Parola del Padre.
Proprio di santità vi voglio parlare oggi, in continuità con alcuni
dei miei interventi di fine Capitolo, specialmente dopo l’udienza
col Santo Padre e la beatificazione del Sig. Artemide Zatti, di Suor
Maria Romero e di Don Luigi Variara. L’obiettivo non è tanto
quello di riscrivere un piccolo trattato sulla santità, quanto
piuttosto di presentarvela come dono di Dio e urgenza apostolica,
offrirvi qualche motivazione che vi impegni nella sua pratica e
accennare alla metodologia che ve la faciliti.
Un
insieme di felici coincidenze
L’essere
stato eletto in un Capitolo Generale che ha avuto come tema la
comunità salesiana, luogo della nostra quotidiana santificazione, e
che si è chiuso “col dono della beatificazione di tre membri della
Famiglia Salesiana”[2]
– un salesiano prete, un salesiano coadiutore ed una figlia di
Maria Ausiliatrice – mi impone il tema della santità o, come ho
detto nel discorso di chiusura del CG 25, del primato di Dio: «Dio
deve essere la nostra prima ‘occupazione’»[3].
Il Santo Padre, con l’appello fatto nel suo discorso ai capitolari,
ha confermato con la sua suprema autorità l’obiettivo della
santità. Già nel messaggio inviato all’apertura del Capitolo, ci
aveva ricordato che “tendere alla santità” è «la principale
risposta alle sfide del mondo contemporaneo», e che «si tratta, in
definitiva, non tanto di intraprendere nuove attività e iniziative,
quanto piuttosto di vivere e testimoniare il Vangelo, senza
compromessi, sì da stimolare alla santità i giovani»[4].
All’udienza, poi, ha voluto riassumere tutto il suo messaggio nel
forte invito: «Cari Salesiani, siate santi! È la santità – voi
ben lo sapete – il vostro compito essenziale»[5].
È un insieme di coincidenze, che mi piace leggere non come casuali –
per un cristiano nulla è casuale – ma come iscritte nel piano di
Dio, e quindi da interpretare con spirito di fede: perché non fare
diventare, dunque, la santità programma di vita e di governo? Questo
era, appunto, il mio proposito quando nel discorso finale del
Capitolo dissi che «la santità è anche la consegna di questo
Capitolo che si conclude con il dono di tre nuovi beati»[6].
Un’alba del mio servizio illuminata da una tale luce è per me un
invito più eloquente di qualsiasi augurio verbale. Ricorda la meta
per eccellenza. È un messaggio certamente esigente, perché addita
“la meta più alta”
in senso assoluto, ma che apre alla speranza e all’ottimismo,
indicandoci tanti nostri fratelli e sorelle che hanno raggiunto il
colle delle Beatitudini. Riferendoci a loro, nostri consanguinei
nello spirito, possiamo dire, parafrasando la liturgia: “Non
guardare, o Padre, ai nostri peccati, ma alla santità della nostra
famiglia”.
È per queste circostanze, tutte
significativamente convergenti, che ho pensato di dedicare la mia
prima lettera ad un tale tema.
1.
La santità, permanente patrimonio di famiglia
Non
renderemo mai abbastanza grazie a Dio per il dono dei Santi nella
nostra Famiglia carismatica. La nostra – ci scriveva il Papa – «è
una storia ricca di santi, molti dei quali giovani»[7].
E, nell’udienza, nuovamente ci ha parlato di «numerosi Santi e
Beati che costituiscono la schiera celeste dei vostri protettori»[8].
Ciò sta a dimostrare che il carisma salesiano non solo è capace di
indicare il cammino di santità, ma anche, se vissuto, di
raggiungerne il traguardo, come di fatto si è già realizzato in non
pochi nostri fratelli e sorelle.
I miei predecessori hanno amato indugiare più volte davanti ad un
tale panorama[9].
Desidero anch’io contemplare questo nostro «non piccolo drappello
di Santi e Beati salesiani»[10],
e farvi partecipi di quanto, ricordandoli, mi sta più a cuore.
1.1.
Sulla scia di Don Bosco
I
nostri Santi sono certamente “i testimoni” più qualificati della
nostra spiritualità perché l’hanno vissuta
e l’hanno vissuta eroicamente.
In me suscita particolare interesse il fatto che in ciascuno di essi
si incarni un aspetto specifico del nostro carisma. Accentuandolo,
essi lo hanno reso più visibile, più luminoso, più esplicito. Se
ne sono impadroniti e lo hanno approfondito, sino al punto che si
potrebbero definire altrettanti “approfondimenti monografici” del
Fondatore.
Un gruppo di loro ha dato persino origine a nuove Congregazioni
religiose nella Chiesa, quasi rami sorti sullo stesso tronco. Hanno
così esplicitato delle potenzialità latenti, ma insite nel seme
originario. Ognuno di essi, dunque, spicca per un messaggio
particolare.
Dall’insieme si può ricavare la visione più autentica e più
completa della nostra esperienza spirituale. Sono note diverse che
contribuiscono a formare un’unica armonia. Note le più varie: da
quelle più conosciute a quelle meno sottolineate, pronunziate quasi
in sordina; da quelle, diremmo, più scontate a quelle ritenute più
insolite, quasi fossero estranee alla nostra spiritualità. Queste
diverse riedizioni di Don Bosco, riconosciute ufficialmente dalla
Chiesa, hanno tutte diritto di cittadinanza in mezzo a noi. Lo
ripropongono vivo alla nostra attenzione e alla nostra custodia. E
noi, suoi figli, eredi di così ricco patrimonio, godiamo nel
cogliere in loro questo o quel dato, che riconosciamo subito come uno
dei tratti fisionomici del nostro Padre.
Vorrei elencare, a mo’ di esempio, alcuni di questi tratti del modo
originale di riprodurre la comune eredità di famiglia, la santità
salesiana:
– Una
spiritualità che sa fare sintesi tra lavoro e temperanza.
E la mente va a D. Rua, modello di rara abnegazione, il cui elogio
migliore è stato fatto da Paolo VI: «Se davvero Don Rua si
qualifica come il primo continuatore dell’esempio e dell’opera di
Don Bosco, ci piacerà ripensarlo sempre e venerarlo in questo
aspetto ascetico di umiltà e di dipendenza»[11].
–
Una spiritualità che nasce dalla
carità pastorale, che riesce a farsi amare e manifesta la paternità
di Dio[12].
E il ricordo si orienta a D. Rinaldi:
«Chi lo avvicinava – leggiamo negli atti del Processo – sentiva
di avvicinare un papà»[13].
– Una spiritualità che si esprime
attraverso l’umiltà operosa e
che si fa «segno inequivocabile della logica di Dio, che si
contrappone a quella del mondo»[14].
Questo è stato l’esempio luminoso di Maria Domenica Mazzarello.
– Una spiritualità del quotidiano
e del lavoro[15].
In questo panorama si nota l’identità
laicale, sia quella consacrata che
quella non consacrata. Quanto al primo gruppo possiamo pensare subito
alle due figure di “buon Samaritano”, Simone Srugi e Artemide
Zatti. Per l’identità laicale non consacrata il nostro pensiero va
alla prima di tutte le Cooperatrici – Mamma Margherita – la cui
figura suscita sempre maggiore simpatia, che fiorisce in devozione e
in grazie.
– Una spiritualità che armonizza
contemplazione e azione[16].
E ci sembra di vedere il ritratto della
recente beatificata Suor Maria Romero Meneses, animatrice di 36
Oratori e di una serie di istituzioni pastorali che nascevano con
inattesa tempestività e diventavano tradizioni. Oppure Attilio
Giordani, splendido modello di Cooperatore Salesiano, vulcano di
iniziative tra i suoi oratoriani.
– Una spiritualità delle
relazioni e dello spirito di famiglia, che lo riveste tutto di
gioia[17].
E noi pensiamo ad un Don Cimatti: «Al
suo apparire – afferma incisivamente un teste – sorridevano anche
le mura».
– Una spiritualità
dell’equilibrio. E
il nostro pensiero va a Don Quadrio, irresistibile calamita dei suoi
chierici, meraviglioso intreccio di doni di natura e di
grazia.
– Una spiritualità che assume la
dimensione oblativa.
Basta leggere le biografie di D. Beltrami, D. Czartoryski, D. Variara
per vedere come essi hanno fatto della sofferenza la via regia della
loro santificazione, ricavandone anche – come nel caso di Variara –
un nuovo carisma congregazionale. Guardando a Don Bosco sofferente,
essi sono giunti a “desiderare” la croce e a raccoglierne gaudio
interiore.
– Non possiamo, infine, non
sottolineare il gruppo ormai tanto numeroso dei nostri martiri
– confratelli, consorelle, e giovani! – le cui Beatificazioni
hanno segnato la fine e l’inizio dei due secoli. Fiera di aver più
di cento anni, la Famiglia Salesiana è felice di aver più di cento
martiri (oggi sono 111)[18],
e se ne sente responsabile: il martirio,
l’effusione cruenta del sangue come anche il dono della propria
vita nel sacrificio quotidiano, è connaturale
allo spirito salesiano. Capiremo il
messaggio di questo dono? Ne assumeremo le conseguenze? Nell’omelia
tenuta la domenica 11 marzo 2001, quando ha beatificato 233 martiri
spagnoli, 32 dei quali salesiani, il Santo Padre ha detto:
«All’inizio del terzo millennio, la Chiesa che peregrina in Spagna
è chiamata a vivere una nuova primavera di cristianesimo»[19].
Perché non contare anche noi sull’aiuto ineguagliabile dei nostri
martiri «per riempire di speranza le nostre iniziative apostoliche e
gli sforzi pastorali nel compito, non sempre facile, della nuova
evangelizzazione?»[20]
Anche per noi, salesiani, deve essere vero: Sanguis
martyrum, semen christianorum. Il
sangue dei martiri è semente dei nuovi cristiani![21]
Non scoraggiamoci dunque dinanzi alle difficoltà: affrontiamo il
futuro in buona compagnia!
Sono questi i petali del fiore
della nostra santità la quale – grazie a loro – si presenta
stimolante e convincente nella policromia delle età, delle forme di
vita e di servizio, dei tempi, dei messaggi, delle etnie, delle
culture. «Sotto tale diversità di origine, stati di vita, ruolo e
livello di istruzione, provenienza geografica c’è un’unica
ispirazione: la spiritualità salesiana. Questa si può proporre in
forma dottrinale; ma si può anche raccontare con vantaggio
attraverso le biografie, che avvicinano molto di più i suoi tratti
alle circostanze quotidiane dell’esistenza»[22].
1.2. La
nostra santificazione, dono e sfida
I fratelli e le sorelle, che abbiamo ricordato,
rappresentano la santità già realizzata e ormai fissata per sempre
nel grado di crescita raggiunto. La nostra santità, invece, è
ancora in divenire. Essi hanno percorso un cammino, sono arrivati
alla meta. Conoscendo la loro vita e percorrendo la loro strada,
anche noi impariamo come rispondere alla grazia di Dio e al dono
della santità. Ognuno di loro è un esempio dei diversi percorsi di
vita salesiana, e del loro sicuro successo. Io mi domando se – e
quanto – essi influiscono sul nostro terreno pellegrinare.
I fratelli e le sorelle, che l’hanno raggiunta, ci assicurano che
la santità è possibile; ma soprattutto ci mostrano vie differenti,
e allo stesso tempo affascinanti, per conquistarla. Non troveremo noi
la più adatta alle nostre possibilità, la più consona alla nostra
situazione personale, la più congrua col nostro stato di vita? Mi
auguro che si compia quanto afferma la nostra Regola di Vita: «I
confratelli che hanno vissuto o vivono in pienezza il progetto
evangelico delle Costituzioni sono per noi stimolo e aiuto nel
cammino di santificazione»[23].
Dalla
vita dei nostri Santi impariamo tre importanti verità, che dobbiamo
far nostre:
– La nostra santificazione è “il
compito essenziale” della nostra
vita, secondo l’espressione del Papa. Raggiunto questo, tutto è
raggiunto; fallito questo, tutto è perduto, come si afferma della
carità (cf. 1 Cor
13, 1-8), essenza stessa della santità.
Contro la tendenza alla mediocrità spirituale, abbiamo bisogno di
ribadire ogni giorno la priorità di questa meta: la nostra
santificazione, che altro non è che quella “misura alta della vita
cristiana ordinaria” indicata da Giovanni Paolo II nella Novo
Millennio Ineunte[24].
«Dio dev’essere la nostra prima occupazione – ricordavo ai
Capitolari in partenza. – È lui che ci invia e ci affida i
giovani… Dio ci aspetta nei giovani per darci la grazia di un
incontro con Lui»[25].
Se la nostra vita è illuminata da questo anelito, essa ha tutto,
nonostante le sue carenze; ma se questa spinta si attenua, il nostro
cammino diventa incolore, e inutile la fatica nel percorrerlo,
nonostante l’apparenza di una certa efficienza.
– La
santificazione è dono di Dio.
L’iniziativa è stata e resta sempre di Dio: la certezza di poter
cambiare la nostra vita si radica nella certezza di essere già stati
oggettivamente trasformati in Lui, per cui la santità è – per
usare le parole del Card. Suenens – «un’assunzione prima di
essere un’ascensione» [26].
«C'è una tentazione, che da sempre insidia ogni cammino spirituale
e la stessa azione pastorale: quella di pensare che i risultati
dipendano dalla nostra capacità di fare e di programmare. Certo,
Iddio ci chiede una reale collaborazione alla sua grazia, e dunque ci
invita ad investire, nel nostro servizio alla causa del Regno, tutte
le nostre risorse di intelligenza e di operatività. Ma guai a
dimenticare che “senza Cristo non possiamo far nulla” (cf. Gv
15,5)»[27].
Nella santità ricercata splende, indiscusso, il primato di Dio: la
santità non è mai un progetto personale, che va programmato ed
eseguito secondo tempi, metodologie ed opzioni da noi fissati; più
che un generico desiderio di Dio, è la sua volontà espressa su
ciascuno di noi (1 Ts
4,3); pura grazia, dono sempre, non possiamo conquistarla da soli, ma
nemmeno possiamo rifiutarla senza serie conseguenze. Dio ci ha creati
buoni, anzi molto buoni (cf. Gn
1,26-31), e ci ha pensati santi “prima della creazione del mondo”
(Ef 1,4);
resta, però, la nostra parte: possiamo aiutare Dio a completare in
noi la sua opera creatrice se lo lasciamo realizzare il suo disegno
meraviglioso, il più originario, su di noi. Non ci chiede di più;
ma non si aspetta di meno.
– La santità, per noi
salesiani, si costruisce nella risposta quotidiana, come espressione
e frutto della mistica e dell’ascesi del “da
mihi animas cetera tolle”. Data per
sicura la parte di Dio, sorgente di ogni santità, è la nostra
risposta che va quotidianamente stimolata perché, come dice il
nostro S. Francesco di Sales: «Per abbondante che sia la sorgente,
le sue acque entrano in un giardino non secondo la loro quantità, ma
soltanto secondo la portata, grande o piccola, del canale per il
quale vi sono condotte»[28].
Di qui l’indispensabile ricorso alla mortificazione, ossia alla
morte di tutto ciò che chiude il nostro essere al dono; tutto quanto
in noi mette Dio al secondo posto, non merita cura né attenzione. La
nostra è una esistenza pasquale; il cammino verso la Pasqua – ben
lo sappiamo – passa necessariamente per il Calvario (cf. Mt
16,21-23): fu risuscitato chi era stato prima crocifisso. Per il
cristiano, dunque, la mortificazione non è l’obiettivo, ma il
mezzo; non è meta, ma via; non bisogna cercarla, ma non è possibile
evitarla.
I nostri Santi sono una testimonianza vivente di tale anelito alla
santità e di tale cammino verso la vita e la risurrezione. Mi
vengono in mente, a questo proposito, alcune espressioni della beata
Maria Romero: «Toglimi, o Signore, tutto ciò che fin qui mi hai
dato e non ridarmi mai più nulla in avvenire, però concedimi la
grazia di vivere ogni giorno più intimamente unita a te, in un atto
ininterrotto di amore, di abbandono, di fiducia e senza perdere mai
un solo istante la tua presenza».[29]
«Amarti, farti amare e vederti amato, mio Dio adorato, è l’unica
mia brama, lusinga, ambizione, preoccupazione e ossessione».[30]
2.
Noi educatori alla santità
Giacché, come salesiani, non possiamo mai disgiungere la
nostra identità di religiosi da quella di educatori, né la nostra
consacrazione religiosa dalla missione apostolica, il discorso sulla
nostra santificazione implica necessariamente la proposta di santità
per i nostri giovani. Anche per noi «il cammino pastorale è quello
della santità»[31].
Il Papa ha voluto ricordarci che «la nostra santità costituisce la
migliore garanzia di un’efficace evangelizzazione, perché in essa
sta la testimonianza più importante da offrire ai giovani
destinatari delle nostre varie attività»[32].
Le parole del Santo Padre sembrano una parafrasi di quanto affermano
le nostre Costituzioni nell’articolo già citato prima: «La
testimonianza di questa santità, che si attua nella missione
salesiana, rivela il valore unico delle beatitudini, ed è il dono
più prezioso che possiamo offrire ai giovani»[33].
Santificarci, dunque, anche in vista della santificazione dei nostri
giovani, crescere nello Spirito anche in vista della loro crescita,
diventando sempre più e sempre meglio educatori di santi, capaci di
porre la santità quale meta esplicita dei nostri programmi educativi
pastorali, è un nostro impegnativo compito. Il Santo Padre ha voluto
porsi un simile interrogativo: «Si può programmare la santità?».
Ed ha risposto: «Non esito a dire che la prospettiva in cui deve
porsi tutto il cammino pastorale è quella della santità»[34].
Parole che dovrebbero apparire particolarmente suggestive al nostro
cuore di educatori.
«Educatori attenti e accompagnatori spirituali competenti quali voi
siete – ci diceva ancora il Papa – saprete andare incontro ai
giovani che anelano a vedere Gesù.
Saprete condurli con dolce fermezza
verso traguardi impegnativi di fedeltà cristiana»[35].
«Salesiani del terzo millennio! Siate appassionati maestri e guide,
santi e formatori di santi, come lo fu san Giovanni
Bosco»[36].
All’interno di un tale programma, la prima convinzione da veicolare
è che la santità è accessibile a tutti ed è “la via migliore di
tutte”[37]
da percorrere. Infatti, per Paolo l’amore-agape è anzitutto
l’elemento indispensabile per la costruzione della Chiesa, e la sua
superiorità scaturisce dal fatto che non avrà mai fine e che ci
rende simili a Dio che è Amore.
2.1.
La santità, proposta
dell’educazione salesiana
Tutti
siamo chiamati alla santità. È la vocazione di ogni vita umana –
come tutti sappiamo – che nel Battesimo viene resa idonea a tale
obiettivo. «Tutti i fedeli di qualsiasi stato o grado, sono chiamati
alla pienezza della vita cristiana e alla perfezione della
carità»[38].
Paolo VI ebbe a dire che la proclamazione della vocazione di tutti i
battezzati alla santità «è l’elemento più caratteristico
dell’intero magistero conciliare e, per così dire, il suo fine
ultimo»[39].
Giovanni Paolo II, a sua volta, ha potuto dire a tutta la Chiesa
nella Novo Millennio Ineunte:
«È ora di riproporre a tutti con convinzione questa misura
alta della vita cristiana
ordinaria»[40].
È un testo che riecheggia l’esortazione di San Paolo agli
Efesini[41]
e che il CG23 aveva assunto come orientamento, parlando del traguardo
della educazione dei giovani alla fede: «Far crescere i giovani in
pienezza secondo la misura di Cristo,
uomo perfetto è la meta del lavoro del
salesiano»[42].
Questo, che a volte ci può sembrare ancora qualcosa di
straordinario, o non adeguato per il nostro tempo, o non adatto a
tutti, è invece molto apprezzato da chi prende la propria vita sul
serio. Ecco una testimonianza, che può essere condivisa da tanti
confratelli e laici impegnati seriamente nella loro maturità
cristiana: «Ho superato un’importante tappa spirituale: sono
riuscito a considerare la santità non come un lusso, ma come la sola
possibilità della nostra vita terrena»[43].
La nostra proposta educativo-pastorale offre un cammino di
spiritualità: «Il cammino di educazione alla fede rivela
progressivamente ai giovani un progetto
originale di vita cristiana e li aiuta
a prenderne consapevolezza. Il giovane impara ad esprimere un modo
nuovo di essere credente nel mondo, e organizza la vita attorno ad
alcune percezioni di fede, scelte di valori e atteggiamenti
evangelici: vive una spiritualità»[44].
Una tale proposta esigente risveglia nei giovani risorse
insospettabili. Non è la mediocrità l’attrattiva e il desiderio
del cuore umano, ma la “qualità alta” della vita. Questa, prima
ancora che un imperativo dall’esterno, è un’esigenza interiore
della natura umana che, pur ferita dal peccato, risente l’eco dello
stato primordiale, precedente alla colpa d’origine. È da questa
santità originariamente partecipata che si sprigionano nell’uomo
desideri struggenti e incessanti nostalgie.
Coloro che con maggior radicalità camminano in questa direzione –
i Santi – ci procurano una profonda e misteriosa nostalgia, perché
ci rimandano alle radici del nostro essere e ci fanno intuire che
tutti siamo fatti per questo cammino eccellente. Seguire tale
nostalgia è il segreto della vera grandezza e diventa fonte di
energie insospettate.
Ciò vale anche e soprattutto per i giovani. È proprio della loro
età sentire il fascino dei valori ardui, anche se poi –
soprattutto oggi – fanno esperienza della loro fragilità. Tocca a
noi, «educatori della gioventù alla santità»[45],
valorizzare e aiutare a sviluppare quell’anelito, insito in tutti
loro. Ci è stato «affidato il compito di essere educatori ed
evangelizzatori dei giovani del terzo millennio»[46].
Non possiamo tacere ai nostri giovani il fatto che puntare sulla
santità soddisfa le loro più profonde aspirazioni e colma il loro
desiderio di felicità. Seguiamo l’esempio di Giovanni Paolo II, il
quale, a Toronto, pieno di coraggio evangelico ha detto loro: «Non
aspettate di avere più anni per avventurarvi sulla via della
santità! La santità è sempre giovane, così come eterna è la
giovinezza di Dio»[47].
Seguiremo, in tal modo, l’esempio stesso di Don Bosco, che era
convinto che i giovani potevano essere santi, e che poche mete sono
da proporre loro più affascinanti di quella di diventare santi.
«Siate accoglienti e paterni», ci ha esortato ancora Giovanni Paolo
II, «in grado in ogni occasione di chiedere ai giovani con
la vostra vita (il corsivo è mio):
Vuoi diventare santo?»[48].
Don Bosco, educatore riuscito, non ha avuto paura di
additare mete alte. Teniamo, dunque, «gli occhi fissi su don
Bosco»[49].
Si può affermare che la data di nascita della santità
di Domenico Savio sia indicata dalla predica che D. Bosco fece sulla
santità accessibile a tutti. Mi permetto di riportare, anche se un
po’ lungo, tutto il testo trasmessoci dalle Memorie
Biografiche, perché ci fa vedere da
una parte la genialità educativa di Don Bosco che sa proporre “una
misura alta” anche ai suoi ragazzi, e, dall’altra parte, la
quotidianità del modello di santità, che la rende proponibile a
tutti.
«Don Bosco in una di quelle domeniche faceva una predica sul modo di
farsi santi e si fermò specialmente a sviluppare tre pensieri: è
volontà di Dio che ci facciamo tutti santi; è assai facile di
riuscirvi; è preparato un grande premio in cielo a chi si fa santo.
Queste parole fecero una grande impressione sull’animo di Savio, il
quale diceva poi a D. Bosco: – Mi sento un desiderio, un bisogno di
farmi santo; io non pensava di potermi far santo con tanta facilità;
ma ora che ho capito potersi ciò effettuare anche stando allegro,
voglio assolutamente farmi santo.
Don Bosco lo confortò
nel suo proposito, gli indicò come Dio volesse da lui per prima cosa
una costante e moderata allegria;
e consigliandolo ad essere perseverante
nell’adempimento de’ suoi doveri di pietà e di studio,
gli raccomandò di prendere sempre parte
alla ricreazione co’ suoi compagni.
Nello stesso tempo gli proibì ogni
rigida penitenza e le preghiere troppo prolungate,
perché non compatibili colla sua età e sanità, e colle sue
occupazioni.
Savio obbedì, ma un giorno D. Bosco lo
incontrò tutto afflitto, che andava esclamando: – Povero me! Io
sono veramente imbrogliato. Il Signore dice che se non fo penitenza,
non andrò in paradiso; ed a me è proibito di farne. Quale, adunque
sarà il mio paradiso? – La penitenza che il Signore vuole da te,
gli disse D. Bosco, è l’ubbidienza. Ubbidisci e a te
basta»[50].
2.2.
Un cammino educativo alla luce
della spiritualità salesiana
Il testo sopra citato
evidenzia che la santità è un processo che si sviluppa all’interno
di una esperienza spirituale. Questa fa da clima, da strada, da
nutrimento. Una spiritualità è un cammino particolare e concreto
verso la santità. Noi abbiamo la nostra
spiritualità giovanile. Si tratta di
una spiritualità che mette i giovani nel centro, che è però per
tutti, soprattutto per i più piccoli e bisognosi. Oggi godiamo di
una sufficiente visione sistematica di tale spiritualità, grazie
agli studi finora compiuti. Basti pensare a quanto detto dal CG23,
dal CG24 e da Don Vecchi, che ne ha fatto oggetto di un corso di
esercizi spirituali e ne ha parlato anche nei diversi incontri del
Movimento Giovanile Salesiano[51].
Penso
sia utile richiamarne i tratti essenziali:
– Una spiritualità del quotidiano.
Mi piace sottolineare lo spazio privilegiato conferito all’umile
quotidiano, perché fu questa una nota prediletta da Don Bosco. «Don
Bosco per tutta la vita indirizzò i giovani sulla strada della
santità semplice, serena e allegra, congiungendo in un’unica
esperienza vitale il “cortile”, lo “studio” e un costante
senso del dovere»[52].
Egli non ha mai nutrito simpatia per gesti eccezionali, ma ha invece
additato ai suoi ragazzi la strada regia del proprio dovere, convinto
che, se abbracciato con amore e con gioia, esso contiene tutto il
necessario per crescere spiritualmente. Sappiamo bene che tale
predilezione gli proveniva da lontano. Rifacendosi a S. Francesco di
Sales – ecco un apostolo della chiamata universale alla santità,
di qualsiasi categoria e di qualsiasi età –, amava sottolineare la
preferenza per ciò che Dio ci dona, più che per ciò che noi
scegliamo. Quel “nulla chiedere e nulla rifiutare” ha un
contenuto pedagogico e una saggezza teologica davvero preziosi.
Quell’insistenza sull’amore, che è come il contenuto rispetto al
contenitore (per noi a volte così attenti alle forme a scapito della
sostanza), è stata la stessa insistenza di D. Bosco educatore.
–
Una fine sapienza pedagogica.
Circa la proposta di santità, Don Bosco si è dimostrato un vero
pedagogo, un maestro. Dice esplicitamente la parola santità a quel
ragazzo, Domenico Savio, che era già capace di capirla, perché lui
stesso l’aveva già pronunciata. A Michele Magone, invece, nella
stazione di Carmagnola dice: “Senti, vieni all’oratorio, lì
potrai studiare, giocare, lì troverai compagni”.
Questo significa che è importante che noi educatori sappiamo che c’è
un cammino felice di santità capace di soddisfare le attese di un
cuore giovanile, e quindi sappiamo proporlo a ciascun ragazzo del
nostro oratorio o centro giovanile o scuola, con le parole opportune.
Avverrà che in un gruppo di giovani oratoriani noi parliamo
espressamente della santità o della vocazione, consapevoli che ci
capiranno. In altri casi, si dovrà incominciare da capo,
destrutturando la mentalità, purificando le immagini false di Dio o
distruggendo gli idoli che si sono creati e che stanno cercando di
riprodurre nella loro vita.
La cosa più importante è che, come educatori, siamo consapevoli che
Dio chiama tutti alla santità, cioè ad una risposta gioiosa a Lui,
e che essa è un cammino possibile da percorrere, sapendo poi che i
ragazzi li dovremo accompagnare, a partire dalla situazione in cui li
troviamo: «i percorsi della santità sono personali»[53].
Per questo è necessaria «una vera e propria pedagogia della
santità, che sia capace di adattarsi ai ritmi delle singole
persone»[54],
sulla quale come salesiani dovremo riflettere, e che dovremo
sperimentare nella pratica dell’accompagnamento[55].
Ricordiamo che il primo passo di Don Bosco è stato l’invito ai
ragazzi ad andare la domenica in oratorio per divertirsi con molti
compagni. Questo era il suo primo appello alla “santità della
gioia” e alla vita santa.
Don Bosco, intuì, sin dai
primi anni del suo sacerdozio, la possibilità di accompagnare i
giovani alla pienezza della vita cristiana, proporzionata alla loro
età, con un tipo di spiritualità giovanile organizzata attorno ad
alcune idee-forza aperte alla fede, tributarie senz'altro del suo
tempo ma anche profetiche, e portate avanti con ardore e con
genialità pedagogica. Fattore decisivo di questa genialità fu,
appunto, la capacità di coinvolgere i giovani nell’avventura e
renderli i primi beneficiari, al tempo stesso che i veri
protagonisti. I giovani stessi aiutarono Don Bosco «ad iniziare,
nell’esperienza giornaliera, uno stile di santità nuova, sulla
misura delle esigenze tipiche dello sviluppo del ragazzo. Furono
così, in qualche modo, contemporaneamente
discepoli e maestri»[56].
La nostra è una santità per i giovani
e con i
giovani; perché anche nella ricerca
della santità, «i giovani e i Salesiani camminano insieme»[57]:
o ci santifichiamo con loro, camminando ed imparando con loro, o non
saremo mai santi.
– Le tappe di questo cammino sono già
state definite con chiarezza. Il CG23, in particolare, ce le ha
presentate in modo sintetico e assai stimolante, invitandoci ad
organizzare la vita dei giovani attorno ad esse e ad insistervi con
scelte di valori e atteggiamenti evangelici. Ve le ricordo,
chiedendovi con forza che vogliate riprendere in mano il documento
per un commento più approfondito[58]:
· una base di realismo
pratico centrato sul quotidiano, che è
il luogo dove si riconosce la presenza di Dio e si scopre la sua
instancabile operosità, come già accennavo prima. «Nell’esperienza
salesiana questa è un’intuizione, gioiosa e fondamentale insieme:
non c’è bisogno di staccarsi dalla
vita ordinaria per cercare il
Signore»[59].
Perciò Don Bosco parlava spesso del “senso religioso del dovere”
nei singoli momenti della giornata;
· un atteggiamento
di speranza, impastato di “gioia”.
«Voglio insegnarvi – erano le sue prime parole nel Giovane
Provveduto – un modo di vita
cristiana che vi possa… rendere allegri e contenti»[60].
Offrire ai giovani la possibilità di sperimentare la vita come festa
e la fede come felicità è, certo, uno «stile di santità [che]
potrebbe meravigliare certi esperti di spiritualità e di pedagogia,
preoccupati che vengano diminuite le esigenze evangeliche e gli
impegni educativi. Per Don Bosco però, la fonte della gioia è la
vita di grazia, che impegna il giovane in un difficile tirocinio di
ascesi e di bontà»[61];
· una forte e personale
amicizia con il Signore Risorto (cf.
Cost. 34), “Colui che dona all’uomo di ritrovare la sua identità
su misura stessa di Dio”[62].
«Non è forse Cristo il segreto della vera libertà e della gioia
profonda del cuore? Non è Cristo l’amico supremo e insieme
l’educatore di ogni autentica amicizia? Se ai giovani Cristo è
presentato col suo vero volto, essi lo sentono come una risposta
convincente e sono capaci di accoglierne il messaggio, anche se
esigente e segnato dalla Croce»[63].
«A contatto con il Signore Risorto i giovani rinnovano un amore più
intenso per la vita»[64];
giunti a una relazione di stretta amicizia, che oltrepassa la
semplice ammirazione e la simpatia inoperosa, approfondiscono la
conoscenza e l’adesione alla persona di Cristo e alla sua causa, si
aprono alla radicalità evangelica e rispondono con impegno e
generosità.
Per condurre a questa relazione amichevole
si richiede la preghiera personale, centrata sull’ascolto della
Parola, che giovi a maturare «la visione di fede, imparando a
guardare la realtà e gli avvenimenti con lo sguardo stesso di Dio,
fino ad avere “il pensiero di Cristo” (1
Cor 2, 16)»[65].
Don Bosco, in particolare, ha pensato a “una pedagogia della
santità”, nella quale si privilegia “l’influsso educativo
della Riconciliazione e dell’Eucaristia”[66];
esse, infatti, «offrono risorse di eccezionale valore per
l’educazione alla libertà cristiana, alla conversione del cuore e
allo spirito di condivisione e di servizio nella comunità
ecclesiale» (Cost. 36);
· un senso,
sempre più responsabile e coraggioso, di
appartenenza alla Chiesa, sia
particolare che universale. Sorretti dal rapporto che nasce tra
persone che trovano in Cristo l’amico comune e l’unico Salvatore,
«i giovani degli ambienti salesiani sentono un gran bisogno di stare
insieme»[67],
di fare comunità e diventare «segno efficace della Chiesa che si
vuole costruire insieme»[68].
«Che cosa significa questo in concreto? […] Significa innanzitutto
sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in
noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci
stanno accanto... Significa inoltre capacità di sentire il fratello
di fede […] come “uno che mi appartiene”, per saper condividere
le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e
prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda
amicizia»[69];
· un “impegno” concreto
e operoso di bene, secondo le proprie
responsabilità sociali e i bisogni materiali e spirituali degli
altri. Aiutate i giovani, ci ha chiesto il Papa, «ad essere a loro
volta apostoli dei loro amici e coetanei»[70].
«La storia dei giovani all’Oratorio, vivente Don Bosco, è ricca
di questo apprendistato della vita cristiana: essere al servizio
degli altri, in maniera ordinaria e in forme talvolta
straordinarie»[71].
Il servizio al fratello misura il cammino della santità personale, e
questa, di fronte a tante necessità, risveglia «una nuova “fantasia
della carità”, che si dispieghi non tanto e non solo
nell'efficacia dei soccorsi prestati, ma nella capacità di farsi
vicini, solidali con chi soffre, così che il gesto di aiuto sia
sentito non come obolo umiliante, ma come fraterna
condivisione»[72].
«La
spiritualità giovanile salesiana dà un posto privilegiato alla
persona di Maria»[73],
la cui presenza materna
domina il processo nel suo insieme e ispira ciascuna delle sue tappe.
«Essa rappresenta al vivo il cammino faticoso e felice dell’uomo
singolo e dell’umanità verso il proprio compimento. In Lei le
strade dell’uomo si incrociano con quelle di Dio. È dunque una
chiave interpretativa, un modello, un tipo e un cammino»[74].
La Madonna ha, infatti, una energia educativa eccezionale dei figli
di Dio e dei discepoli del Signore Gesù: dove c’è la madre di
Gesù, i discepoli diventano credenti (Gv
2, 1-11) e riescono ad essere fedeli (Gv
19, 25-27).
3. La
santità fiorisce nella comunità
Abbiamo
appena terminato un Capitolo tutto incentrato sul tema della
comunità. Rileggendo sinteticamente il percorso fatto in due mesi di
lavoro, indicavo il cammino comunitario tracciato all’interno dei
cinque moduli operativi:
«La comunità salesiana è il
soggetto principale, cui è indirizzato questo testo. Assumendolo,
essa è invitata ad accogliere la chiamata che Dio le rivolge
attraverso gli avvenimenti storici ed ecclesiali, le indicazioni
della Parola di Dio e della nostra Regola di vita, gli appelli dei
giovani, le necessità dei laici e della Famiglia Salesiana. La
comunità approfondisce poi la lettura della propria situazione,
scoprendo le disponibilità e le resistenze, le risorse e le
mancanze, le possibilità e i limiti. Essa impara inoltre a
riconoscere le sfide fondamentali e ad affrontarle con coraggio e
speranza; sa anche interrogarsi con domande appropriate, cui dare
risposta. Infine, la comunità si confronta con gli orientamenti
operativi proposti e determina le condizioni per tradurli in
pratica»[75].
3.1.
Riecheggiando il CG25
Davvero
la comunità è culla e crogiuolo della nostra santificazione. Vorrei
sottolineare che santità comunitaria e santità individuale si
riverberano reciprocamente. Se è giusto attendersi comunità che
facilitino e sostengano i propri membri nella ricerca incessante di
Dio, è pur vero che sono i singoli membri che con la loro santità
personale permettono di raggiungere insieme un tale obiettivo.
Don
Vecchi ha parlato molto bene di questo quando, nella sua nota lettera
“Esperti, Testimoni e Artefici di
Comunione”, descriveva la comunità
di Valdocco come il nostro modello comunitario: «È una
comunità a forte carica spirituale,
caratterizzata dal “Da mihi animas”. Don Bosco forgia i suoi
primi collaboratori, con semplicità e concretezza secondo il
programma: lavoro, preghiera, temperanza. Chiede loro di fare un
“esercizio di carità” in favore del prossimo. L’amore a Gesù
Cristo e la fiducia nella sua grazia ispirano la preoccupazione per
il bene dei ragazzi, a partire dai loro bisogni umani e spirituali.
Si aiutano i più abbandonati a prendere contatto con Dio e con la
Chiesa e si orientano esplicitamente verso la santità coloro che
dimostrano particolari disposizioni. Si rende quasi sensibile la
vicinanza di Dio e la presenza di Maria Santissima»[76].
La missione educatrice ed evangelizzatrice in favore dei
giovani portò Don Bosco a creare una scuola di spiritualità, dove
«la santità era costruita insieme, condivisa, reciprocamente
comunicata, tanto che non si può spiegare la santità degli uni
(quella dei giovani) senza quella degli altri (quella dei
salesiani)»[77].
E continua Don Vecchi: «costruire e godere di questo
clima di “santità” condivisa,
è un impegno dei consacrati. La comunità è luogo di una esperienza
di Dio. Tutto è stato pensato e predisposto per questo. “La vita
spirituale deve essere al primo posto nel programma delle Famiglie di
vita consacrata… Da questa opzione prioritaria, sviluppata
nell’impegno personale e comunitario, dipendono la fecondità
apostolica, la generosità nell’amore per i poveri, la stessa
attrattiva vocazionale sulle nuove generazioni” (VC 93)»[78].
Il CG25 ha ripreso il tema, in modo molto specifico, nel
2º modulo “Testimonianza evangelica”, sottolineando il primato
di Dio, la sequela di Cristo e la grazia dell’unità: «Viviamo
questa scelta nella certezza che essa concorre a costruire un modello
alternativo di umanità e di famiglia
umana, nella prospettiva della speranza cristiana. Rispondiamo così
al dono di Dio con un cammino
comunitario e personale di santità
verso la piena maturità di Cristo, per mezzo del quale diventiamo
segno e profezia dei valori ultimi del Regno di Dio, nello spirito
delle Beatitudini»[79].
Vista sotto questa luce, forse la lettura migliore della
espressione “la comunità è il luogo privilegiato di formazione
permanente” potrebbe essere data riformulandola in questo modo: “la
comunità è il luogo privilegiato della crescita nella santità”,
per far capire il significato più profondo di che cosa è per noi la
comunità e che cosa si intende per formazione permanente.
3.2.
Stimolati dai tre recenti
Beati
Ancora una volta
se diamo uno sguardo ai nostri Santi, si impone subito il contributo
da loro offerto alle comunità in cui l’obbedienza li ha collocati.
L’esemplificazione sarebbe quanto mai abbondante. Mi limito agli
ultimi nostri tre Beati, per evidenziare le note originali di
ciascuno, convergenti sull’obiettivo di edificare la comunità:
sono «tre splendidi modelli di santità, [che] vogliamo vivere nelle
nostre comunità e offrire ai giovani di oggi»[80].
Il
Beato Artemide Zatti
Pur
avendo un ruolo che avrebbe potuto distrarlo dalla vita comunitaria,
egli è stato descritto come uno di quelli che maggiormente vi
partecipava. A cominciare dalla sua presenza puntuale agli atti
comunitari. Stralcio dalla “Positio”
per la Causa di Beatificazione:
«Spesso nella comunità
religiosa chi si prende cura delle persone esterne si estrania dai
propri confratelli. Zatti invece era intimamente integrato nella sua
comunità. Lo era essendo immancabilmente presente alle pratiche di
pietà, alla mensa e alle riunioni. Curava, come infermiere,
confratelli e giovani. Era soprattutto un elemento di unione
spirituale e di fraternità»[81].
Era
fonte di ottimismo e di serena allegria tra i confratelli, prima
ancora che tra i suoi ammalati. Fu intermediario eccellente tra
l’istituzione salesiana e le categorie dei laici: medici,
infermieri. Insomma, si sentì membro della comunità, anche nei
momenti in cui altri avrebbero potuto sentirsi traditi, come quando
fu demolito l’ospedale. Leggiamo infatti nella lettera scritta alla
sorella Ildegarda a Bahía Blanca:
«Essendo stato
demolito l’ospedale nel centro, a lato della Chiesa, per far posto
al palazzo vescovile, noi siamo stati trasferiti in corpo e anima
alla Scuola Agricola, dove stiamo come
in un paradiso terrestre, e quando
siano fatti i lavori che sono stati progettati e che in questi giorni
stanno per cominciare, non c’è né Ospedale né Santuario che ci
superi!!! Sia dato a Dio il grazie più sentito»[82].
Il
Beato Luigi Variara
Fece
delle difficoltà ali per volare. E tale spirito infuse nelle sue
suore. È esemplare vedere l’atteggiamento dinanzi alle avversità,
tanto che il Beato chiama Paradiso
quello che l’Ispettore chiama piccolo
inferno, e egli dice di stare molto
bene, mentre quello stesso giorno il suo direttore scriveva
all’Ispettore mostrando preoccupazioni per la sua salute e,
inoltre, perché in Agua de Dios continuavano scontri tra armati.
Scrive don Variara:
«I lavori vanno lenti perché non si
trovano operai. Sono trascorsi 15 giorni senza rendimento e poi si
aggiunse la pioggia. Gli operai che restano hanno tanta paura che, al
cader delle foglie, si danno alla fuga… e così si va avanti… Qui
tutti buoni, contenti, tanto che pare un Paradiso. Il Signore ci
aiuti con le sue benedizioni, perché con questo lavoro non si riposa
un momento. Mai mi sono sentito contento
di essere salesiano come quest’anno e benedico il Signore per
avermi mandato in questo Lazzaretto, dove ho imparato a non lasciarmi
rubare il cielo. Il Sacro Cuore mi
benedica sempre e io farò il possibile per
accontentarlo»[83].
Senza
dubbio la prova massima arrivò proprio quando ricevette l’ordine
di lasciare Agua de Dios; allora egli dimostrò di saper rinunciare a
se stesso per uniformarsi alla volontà di Dio. Fu in quella
circostanza che confidò ad un confratello: «Guarda, Giuseppe
Gioachino, per me sarebbe la morte andarmene da Agua de Dios, però
obbedirei»[84].
Ed effettivamente obbedì all’ordine del suo superiore.
Don
Variara è stato Fondatore, continuando ad essere salesiano: due
ruoli che potrebbero sembrare in contrasto, con tentazioni di
atteggiamenti di autonomia. Ma egli fu sempre ligio al suo Direttore
e al suo Ispettore, da cui pur provenivano le maggiori
incomprensioni.
La Beata
Maria Romero
Le sue mille
attività non si trasformarono mai in alibi rispetto alla vita
comunitaria. Sin dal Noviziato dimostrò di possedere un dono che si
sarebbe rivelato molto utile per la dimensione comunitaria: la
visione positiva di tutte le sorelle.
Diceva a suor Anna
Maria: «Quant’ero felice in noviziato. Tutte le suore mi parevano
altrettante sante, soprattutto la mia madre-maestra… Quanto le
devo! Che anima pura, osservante della povertà, delicata e
comprensiva. Quando la ricordo, la vedo come una vera santa: il suo
portamento degno, il suo raccoglimento riflettevano la sua continua
unione con Dio. I suoi consigli esprimevano ciò ch’ella stessa
praticava. Impressionava il suo parlare sempre tanto corretto, il
dominio di sé, la sua pietà. Sempre sorridente ed amabile, non
lasciava tuttavia passar nulla in noi che non fosse come doveva
essere. Il suo esempio era una scuola».[85]
Con uno sguardo di tal genere, possiamo immaginare come si
rapportasse a tutte le consorelle.
4.
Invito alla revisione
Siamo
partiti dalla gaudiosa certezza che tutti siamo chiamati alla
santità. L’abbiamo applicata a noi, perché la nostra
responsabilità si senta interpellata. L’abbiamo applicata ai
giovani, perché noi come educatori possiamo additare loro questa
meta, per quanto ardua essa sia, convinti che offriamo un programma
di beatitudine che li potrà aiutare a maturare scelte e progetti di
vita. L’abbiamo applicata infine alla comunità: luogo
imprescindibile in cui si attua il processo della nostra
santificazione, convinti come siamo che «il futuro della nostra
vitalità si gioca sulla nostra capacità di creare comunità
carismaticamente significative oggi», e che «la condizione di fondo
è il rinnovato impegno della santità»[86].
Ripeto qui quanto dicevo a conclusione del Capitolo
Generale: «La santità è il cammino più esigente che vogliamo
realizzare insieme nelle nostre comunità; è “il dono più
prezioso che possiamo offrire ai giovani” (Cost. 25); è il
traguardo più alto che dobbiamo proporre con coraggio a tutti. Solo
in un clima di santità vissuta e sperimentata i giovani avranno la
possibilità di operare scelte coraggiose di vita, di scoprire il
disegno di Dio sul loro futuro, di apprezzare e accogliere il dono
delle vocazioni di speciale consacrazione»[87].
I
nostri nomi sono scritti nel cielo
Vi
invito adesso a fissare lo sguardo su coloro che hanno saputo volare
più alto. Abbiamo un cielo stellato su di noi. Guardandolo, tutti
possiamo dire con verità che anche i nostri nomi sono scritti nel
libro della vita (cf. Ap
13,8; 17,8). A loro imitazione, rendiamoci educatori propositivi nel
condurre i giovani lungo i sentieri della montagna della santità,
profeticamente sospinti proprio verso coloro che sembrano essere i
più refrattari.
4.1. Un
omaggio alla concretezza
Ha
un valore pedagogico il costringerci ad un tocco di realismo e il
sottoporci a qualche interrogativo concreto, che scenda a livello di
vita quotidiana e interpelli direttamente la nostra esperienza.
Abbiamo operato proprio così nell’ultimo Capitolo Generale;
infatti, in ognuno dei moduli operativi si pongono degli
interrogativi a cui dare risposta. È un modo per far sì che la
comunità prenda coscienza della propria situazione, riconosca le
sfide ed impari a trovare con coraggio e speranza le risposte giuste.
Vorrei che il tema della santità, come quello delle
prossime lettere, fosse motivo di una revisione di vita, per
favorirne più concretamente l’assunzione e l’applicazione. Lo si
può fare individualmente o anche comunitariamente. Volendo, e
sarebbe consigliabile, si può prendere spunto per una revisione
comunitaria ad alta voce.
Provo ad elencare qualcuno degli
interrogativi più direttamente legati a quanto detto in precedenza:
Santità e progetto personale di vita
·
Mi sento chiamato da Dio e dai giovani a diventare santo? Se ho
abbandonato questo progetto di Dio, quale sono state le ragioni? Se
continuo ad anelarvi, cosa faccio per realizzarlo?
·
Qual è il mio atteggiamento di fronte alla schiera dei Santi della
nostra Famiglia? Quale rapporto ho con questi modelli di Famiglia? Li
conosco sufficientemente? Mi ispiro alla loro vita?
Santità e vita comune
·
Sono convinto che «il primo servizio educativo che i giovani
attendono da noi è la testimonianza di una vita fraterna»[88],
che «è l’eloquenza della santità che rende feconda la nostra
missione»[89],
e che, infine, la santità «è il dono più prezioso che possiamo
offrire ai giovani» (Cost. 25)? Come fare perché la santità sia
obiettivo privilegiato nel progetto di vita comune?
·
Nella comunità in cui mi trovo si fa memoria dei nostri Santi? Se ne
valorizza la ricorrenza in chiave pastorale? C’è qualche
iniziativa di aggiornamento al riguardo?
Santità e missione apostolica
·
Come valorizzo queste “parole di fuoco” nel mio servizio
educativo-pastorale? E in modo particolare nei miei interventi presso
i giovani?
·
Credo che la santità, cioè, una misura alta di vita cristiana, è
la meta alla quale Dio chiama ogni ragazzo? Ne parlo ai giovani con
le parole opportune e con proposte concrete ed adeguate?
.
4.2.
Una revisione che si fa
preghiera
«Cari
Salesiani, siate santi!». «Siate appassionati maestri e guide,
santi e formatori di santi, come lo fu san Giovanni Bosco».
Accogliamo l’invito del Papa, mentre affidiamo a questi profeti
dell’avvenire, che sono i Santi, il momento post-capitolare che
stiamo vivendo e da cui speriamo di poter ricavare una spinta forte
per un futuro migliore, dove risplenda con maggior trasparenza il
primato di Dio in noi e condividiamo con Dio la sua passione per il
mondo.
«Non c’è come credere profondamente in una
realtà e accompagnarla con la preghiera e il sacrificio, perché
essa poco a poco viva tra noi. Così ha vissuto Don Bosco!»[90].
Contemplando quanto ha già compiuto il Signore, le meraviglie fatte
nella Famiglia Salesiana, possiamo immaginare quanto più vorrà
ancora fare, se ci troverà con l’animo aperto e ben disposto.
Questo disegno amorevole di Dio provoca alla
preghiera.
Mio Signore e mio
Dio! Grazie per la vocazione a partecipare alla tua stessa vita
divina e per l’effusione del tuo Amore nei nostri cuori. Quante
meraviglie hai operato lungo la storia dell’umanità e della
Chiesa, suscitando uomini e donne che hanno raggiunto un grado
eccelso di maturità. Ne hai fatti fiorire anche nel giardino
salesiano, cominciando da Don Bosco e continuando con la schiera di
santi e sante, che hanno fatto della vocazione salesiana una strada
di perfezionamento nell’amore, martiri che hanno reso testimonianza
a Cristo fino alla morte cruenta, giovani che hanno trovato
nell’educazione salesiana un cammino di santità.
Ti
benedico, Signore, per i confratelli e i membri della Famiglia
Salesiana che continuano a credere in te e si aprono all’ascolto
della tua Parola e all’azione del tuo Spirito. Sono un segno del
tuo amore per i giovani, specie per quelli che hanno più bisogno di
sperimentare la tua vicinanza, la tua preoccupazione per loro, il tuo
desiderio che siano felici. Ti lodo per le vocazioni che continui a
seminare nel campo del mondo, per le famiglie che le curano e per le
comunità che le fanno crescere.
Ti
ringrazio, Padre, perché ci consenti di vivere in quest’ora
stimolante e sfidante della storia e perché ci inviti a prendere il
largo e a gettare le reti. Vorrei che quanti ascoltano questo appello
sentissero un senso vivo di ringraziamento per continuare a credere
in noi e a contare su di noi, e ricuperassero la fede, la speranza e
il coraggio per avventurarsi nel mare aperto della realtà giovanile
con profondità di vita.
La
constatazione della grandezza dei tuoi doni non nasconde i nostri
limiti; per i quali sento il bisogno di chiedere perdono.
Pesano
su di noi non soltanto le mancanze personali ma anche quelle
istituzionali, quando, come Congregazione, ci accorgiamo di non
essere stati sempre capaci di prendere sul serio le raccomandazioni
lasciateci da Don Bosco nel suo testamento spirituale: «Vegliate e
fate che né l’amor del mondo, né l’affetto ai parenti, né il
desiderio di una vita più agiata vi muovano al grande sproposito di
profanare i sacri voti e così tradire la professione religiosa con
cui ci siamo consacrati al Signore… Si facciano sacrifizi pecuniari
e personali, ma si pratichi il sistema preventivo ed avremo delle
vocazioni in abbondanza… Quando cominceranno tra noi le comodità o
le agiatezze, la nostra pia società ha compiuto il suo corso… Non
si dimentichi che noi andiamo pei fanciulli poveri ed
abbandonati»[91].
Ci
siamo, invece, a volte lasciati ingannare dallo spirito mondano nella
concezione ed organizzazione della nostra vita personale e
comunitaria. Abbiamo mancato di zelo pastorale e abbiamo vissuto la
missione a tempo parziale, riservando più tempo per i nostri
interessi personali. Siamo stati poco audaci nel proporre ai giovani
Cristo come valore supremo della loro vita e il suo vangelo come
cammino per raggiungere la pienezza. Abbiamo, purtroppo, talora fatto
del male ai ragazzi che ci sono stati affidati ed invece di stampare
nei loro cuori l’immagine Tua, vi abbiamo lasciato l’impronta del
nostro egoismo.
Riconosco
che a volte le nostre comunità hanno mancato di identità religiosa
e che le nostre opere non sono state sempre veramente educative e
pastorali, e chiedo perdono con umiltà e con dolore. Chiedo perdono
a quanti abbiamo deluso con i nostri atteggiamenti: benefattori,
collaboratori, destinatari. Chiedo perdono, in modo speciale, ai
giovani cui abbiamo causato qualche tipo di male, proprio perché
sono loro la ragion d’essere della nostra vita salesiana, perché
ci sono stati affidati da Te, perché ci hai chiamati in Don Bosco ad
offrire loro “casa, cortile, scuola e parrocchia”. Chiedo
perdono, infine, per il bene che potevamo fare e non abbiamo
compiuto.
Noi
confidiamo in te, Signore, nella certezza della tua presenza e del
tuo accompagnamento lungo la storia, così come hai condotto la
Congregazione e la Famiglia Salesiana fino a questo momento.
Noi
crediamo in te, noi speriamo in te, noi amiamo solo te.
Maria,
madre e maestra, aprici all’azione dello Spirito, tu esperta dello
Spirito, perché operi in noi le meraviglie della grazia che ha
operato già nei nostri Santi. Così potremo esseri degni della
vocazione cui siamo stati chiamati e della pienezza di vita che il
Padre ha preparato per ognuno di noi. Amen.
Vi saluto con affetto e vi auguro un anno educativo e pastorale ricco
di frutti di santità, per voi e per i vostri giovani. Il Signore vi
accompagni e vi benedica.
D. Pascual Chávez Villanueva
[1]
Giovanni Paolo II, Discorso ai
partecipanti al Capitolo Generale, in
“L’Osservatore Romano”, 13-04-2002, pag. 5
[2]
Il CG25 ai Confratelli Salesiani:
CG25, n. 137. I Documenti del CG25 – che verranno citati con la
sigla CG25 – sono pubblicati in ACG 378 (2002).
[3]
CG25, n. 191
[4]
CG25, n. 143
[5]
Giovanni Paolo II, Discorso ai
partecipanti al Capitolo Generale, in
“L’Osservatore Romano”, 13-04-2002, pag. 5. Cf. CG25, n.
170
[6]
CG25, n. 196
[7]
CG25 143
[8]
Giovanni Paolo II, Discorso ai
partecipanti al Capitolo Generale, in
“L’Osservatore Romano”, 13-04-2002, pag. 5. Cf. CG25, n.
171
[9]
Ecco, come esempio, alcuni significativi interventi degli ultimi
Rettori Maggiori sui nostri Santi e sulla santità: Vecchi Juan E.
Esperti, testimoni e artefici di
comunione, ACG 363; Il
Padre ci consacra e ci invia, ACG 365;
Santità e martirio all’alba del terzo
millennio, ACG 368; Verso
il Capitolo Generale 25, ACG 372; La
beatificazione del coadiutore Artemide Zatti: una novità dirompente,
ACG 376; Viganò Egidio Riprogettiamo
insieme la santità, ACS 303; Don
Bosco Santo, ACS 310; Don
Rinaldi, genuino testimone e interprete del carisma salesiano, ACG
332; Ricceri Luigi Don Rua richiamo alla
santità, ACS 263.
[10]
Giovanni Paolo II, Discorso ai
partecipanti al Capitolo Generale, in
“L’Osservatore Romano”, 13-04-2002, pag. 5
[11]
Paolo VI, Omelia di Beatificazione. 29.09.1972
[12]
Cf. Cost. 10, 11; CG24, n. 90
[13]
Summarium,
n. 425
[14]
Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, Strumento
di lavoro del Capitolo Generale XXI (Roma
2002) pag. 46
[15]
Cf. CG24, n. 97-98
[16]
CG23, n. 167-168
[17]
Cf. CG23, n. 165-166; CG24, n. 91-93
[18]
95 spagnoli, 14 polacchi, 2 in Cina
[19]
Giovanni Paolo II, in L’Osservatore
Romano, 12-13 marzo 2001, pag. 6-7
[20]
Ibidem
[21]
Tertulliano, Apol 50,
13: CCL 1,
171.
[22]
ACG 368, pag. 13
[23]
Cost. 25
[24]
Novo Millennio Ineunte
(NMI), n. 31
[25]
CG25, n. 191
[26]
Lo Spirito Santo nostra speranza,
Ed. Paoline, pag. 88
[27]
NMI, n. 38
[28]
S. Francesco di Sales, Trattato
dell’amor di Dio, lib. II, cap. 11.
Ed. Paoline, pag. 215
[29]
Grassiano Domenica, Con Maria tutta a
tutti come Don Bosco, pag. 228
[30]
Ibidem, pag. 417
[31]
Cf. NMI, n. 30. «Additare la santità resta più che mai un’urgenza
della pastorale» (ivi)
[32]
Giovanni Paolo II, Discorso ai
partecipanti al Capitolo Generale, in
“L’Osservatore Romano”, 13-04-2002. Cf. CG25, 170
[33]
Cost. 25
[34]
NMI, n. 30-31
[35]
Messaggio del Papa all’inizio del CG25: CG25, n. 141
[36]
CG25, n. 143
[37]
1Cor 12, 31b
[38]
LG, n. 40
[39]
Paolo VI, Sanctitas clarior,
19-1-1969
[40]
NMI, n. 31
[41]
Cfr. Ef 4, 13b
[42]
CG23, n. 160
[43]
Henri d’Hellencourt, in Diario di
Bordo
[44]
CG23, n. 158
[45]
CG25, n. 143
[46]
CG25, n. 146
[47]
Giovanni Paolo II, Discorso durante
l’incontro nel Downsview Park,
Toronto, L’Osservatore Romano, 29/30 luglio 2002, pag. 5.
[48]
CG25, n. 143
[49]
CG25, n. 144
[50]
MB V, pag. 209
[51]
Cf. Vecchi Juan, “Andate oltre”,
Temi di spiritualità giovanile, Elledici. Torino, 2002
[52]
CG23, n. 166
[53]
NMI, n. 31
[54]
Ibidem
[55]
Cf. ibidem
[56]
CG23, n. 159
[57]
Giovanni Paolo II, Messaggio per l’inizio del CG XXV, CG25, n.
145
[58]
Cf. CG23, Educare i Giovani alla Fede.
Documenti Capitolari (Roma 1990),
158-180
[59]
CG23, n. 162
[60]
Bosco Giovanni, Il Giovane Provveduto,
Opere Edite, vol. XXVI, pag. [5]. Cf.
MB III, pag. 9
[61]
CG23, n. 165
[62]
X Simposio dei Vescovi di Europa. Messaggio finale, 2,a
[63]
NMI, n. 9
[64]
CG23, n. 168
[65]
Ripartire da Cristo,
Istruzione della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e
le Società di vita apostolica, 19-05-2002, n. 24
[66]
CG23, n. 173
[67]
CG23, n. 169
[68]
CG23, n. 170
[69]
NMI, n. 43
[70]
CG25, n. 145
[71]
CG23, n. 179
[72]
NMI, n. 50
[73]
CG23, n. 177
[74]
CG23, n. 157
[75]
Discorso di chiusura del CG25: CG25, n. 184
[76]
ACG 363, pag. 17
[77]
CG24, n. 104
[78]
ACG 363, pag. 23-24
[79]
CG25, n. 25
[80]
CG25, n. 168
[81]
Positio,
pag. 253
[82]
Positio,
pag. 182
[83]
Positio,
pag. 88
[84]
Positio,
pag. 151
[85]
Grassiano Domenica, Con Maria tutta a
tutti come Don Bosco, pag. 40-41
[86]
D. Pascual Chávez, Presentazione, “La comunità salesiana, oggi”.
Documenti capitolari, ACG 378 (2002), pag. 20
[87]
CG25, n. 196
[88]
CG25, n. 7
[89]
FMA, Strumento di Lavoro del Capitolo Generale XXI, Roma 2002, pag.
48
[90]
Card. Eduardo Martínez Somalo, Intervento
al CG 25, CG25, n. 150
[91]
Scritti di Don Bosco in Appendice alle Costituzioni della Società di
San Francesco di Sales, 1984, pag. 255-257