Giovani e formazione professionale nella prassi salesiana 255
vero che i Salesiani, come diremo, sono attenti a osservare le leggi sul lavoro
minorile e a fugare ogni parvenza di sfruttamento.
Nel decennio 1852-62 don Bosco istituiva nell’Oratorio di Torino tutti i
laboratori che si impianteranno poi negli istituti da lui fondati o che si apri-
ranno dopo la sua morte in quasi tutte le parti del mondo: calzoleria, sartoria,
falegnameria, legatoria, meccanica, tipografia. Era questo il momento del pas-
saggio di Torino, come scrive Rosanna Roccia, da capitale dello Stato a capi-
tale dell’industria, il quinquennio più esaltante, contraddittorio e drammatico
di Torino risorgimentale. Torino si avvia ad essere l’ “Amérique d’Italie” o la
Mecca d’Italia (P. Gabert, Turin ville industrielle. Étude de géographie écono-
mique et humaine. Paris, Presses Universitaires de France 1964; R. Sacchetti,
La Mecca d’Italia, in Torino 1880. Torino, Roux e Favale [1880]).
Quanto don Bosco era consapevole di operare in un contesto, quale era
quello di Torino, per formare artigiani o operai adatti per l’inserimento nel tes-
suto cittadino o professionale? La risposta esigerebbe parecchi distinguo,
come si può vedere del resto dagli scritti di Pietro Stella (Don Bosco nella
storia economica e sociale 1815-1870. Roma, LAS 1980), José Manuel Pre-
llezo (La “parte operaia” nelle case salesiane. Documenti e testimonianze
sulla formazione professionale, in “Ricerche Storiche Salesiane”, 31 (1997)
353-391), Pietro Bairati (Cultura salesiana e società industriale, in Don Bosco
nella storia della cultura popolare, a cura di F. Traniello. Torino, SEI 1986),
Vittorio Marchis (La formazione professionale. L’opera di don Bosco nello
scenario di Torino, città di nuove industrie, in Torino e don Bosco, a cura di G.
Bracco. Torino, Archivio Storico della Città di Torino 1989), Luciano Pazza-
glia (Apprendimento e istruzione degli artigiani a Valdocco 1846-1886, in Don
Bosco nella storia della cultura popolare…). Don Bosco era indirizzato verso
un obiettivo semplice: aiutare, formare, giovani poveri abbandonati, emargi-
nati, che la società di allora in via di industrializzazione, nel contesto di un vi-
stoso aumento demografico e urbanizzante, trascurava o abbandonava a se
stessi; nello stesso tempo qualificarli secondo quanto le nuove esigenze di la-
voro o professionali esigevano. È interessante notare dai vari interventi sul
tema come questa finalità sia presente nei Salesiani più della consapevolezza
dei processi di trasformazione e di industrializzazione delle varie società.
Del resto che il rapporto tra industrializzazione, questione giovanile, av-
viamento e formazione al lavoro dei giovani non fosse solo un fatto europeo,
ma che, a livello delle opere salesiane descritte nei tre volumi che stiamo ana-
lizzando, fosse presente anche in America, Asia e Africa, risulta evidente, se-
condo modalità e spessori senz’altro differenti, dagli autori che hanno trattato
di questo tema. Pedro Creamer, per esempio, a proposito delle scuole profes-
sionali di arti e mestieri fondate in Equador e precisamente nelle città di
Quito, Cuenca e Riobamba, già alla fine dell’Ottocento, scrive: “In effetti il