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Da una parte organizzò i « salesiani interni in vita comune », dall'altra lasciò sussi-
stere l'associazione primitiva e provvide a organizzare la « categoria degli esterni ».
Perfezionò quindi la sua opera nel 1872 con la fondazione delle « Figlie di Maria
Ausiliatrice », la congregazione religiosa femminile giuridicamente subordinata alla
corrispettiva maschile; ristrutturò poi tra il 1876 e il 1878 la categoria degli ester-
ni, uomini e donne, nella Pia Unione dei Cooperatori salesiani. Punto di arrivo del-
l'opera organizzativa fu pertanto una « associazione salesiana », cioè una « specie di
comunità » distinta « in tre rami », i cui membri perseguivano identici fini.
Una lettura del genere, per poco che la si esamini, risulta in flagrante con-
trasto con la versione dei fatti, data da Don Bosco stesso nelle sue Memorie del-
l'Oratorio e poi dai suoi non pochi biografi e studiosi. Le Memorie dell'Oratorio
parlano di Società dell'allegria, di Compagnia S. Luigi, di opere e istituti della Ba-
rolo, dell'Istituto della Carità di Rosmini; fanno entrare in scena giovani e adulti,
marchesi e commercianti, contesse e popolane, ecclesiastici e laici, preti che aiuta-
rono Don Bosco a Valdocco o prestarono la loro opera nei due altri oratori di Van-
chiglia e Porta Nuova. Nulla induce a immaginare l'esistenza di un'associazione, di
cui fossero membri il teologo Borei, la marchesa Fassati, la contessa Callori, il teo-
Io Carpano, il muratore Giosuè Buzzetti, l'avvocato Bellingeri, il banchiere Cotta,
il canonico Nasi, la signora Margherita Gastaldi, i tre chierici Savio, Bellia e Vac-
chetta che furono con Don Bosco e poi « fuggirono per entrare negli Oblati di Ma-
ria » (MO 221). Ancor meno si trovano appigli nella documentazione più vicina ai
fatti: carteggi, epistolari, registrazioni, suppliche a enti pubblici e privati, circolari
per lotterie, giornali, dizionari e annuari; documenti della curia arcivescovile di To-
rino, dei Giuseppini del Murialdo o dell'Archivio Salesiano Centrale.
Vien fatto di chiedersi allora sulla base di quali documenti e con quale sorta
di metodo storico D. Desramaut sia riuscito a cavar fuori quest'associazione di
uomini e donne, ecclesiastici e laici, fondata da Don Bosco attorno al 1841 e poi
da lui sdoppiata, come detto sopra, nel 1859.
Il perno di tutto è costituito da due scritture sui cooperatori: una, di mano
di Don Berto, corretta da Don Bosco dal titolo « Storia dei cooperatori salesiani »,
poi pubblicata sul Bollettino Salesiano di settembre e di ottobre 1876; l'altra è
tutta autografa di Don Bosco ed ha il titolo « Cooperatori salesiani ». Chi legge il
pezzo pubblicato sul Bollettino non tarda a scoprirne lo scopo. La rievocazione del
passato giova a rassicurare, garantire, mobilitare chi si iscrive nella nuova pia unione.
I cooperatori di fatto sono sempre esistiti; c'erano stati fin da quando con un ca-
techismo nel 1841 Don Bosco diede origine all'opera degli oratori. Il Bollettino
evoca una serie di persone, uomini e donne, ecclesiastici e laici, nobili, borghesi e
popolani che negli anni dei primordi erano stati veri e propri cooperatori. Il genere
letterario dell'evocazione risultava ben evidente a chi leggeva. Chi poi per espe-
rienza personale conosceva i fatti così come erano accaduti, sapeva distinguere nel-
l'elenco dei nomi chi era stato collaboratore nei catechismi, sostenitore con la sim-
patia e con il sussidio finanziario, patrocinatore di giovani presso qualche padrone
di bottega, membro di compagnie istituite all'oratorio o socio di altre associazioni
e società come la Mendicità istruita, le Conferenze di S. Vincenzo de' Paoli. L'uso
dell'amplificazione e della metafora, tanto caro a Don Bosco e da lui suggerito ai
suoi collaboratori più vicini, era ancora più evidente e più ardito nel testo auto-
grafo di Don Bosco « Cooperatori salesiani »: non solo quanti in passato avevano
aiutato Don Bosco in vario modo potevano dirsi veri cooperatori, bensì anche si