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RECENSIONI
COSTA I RIERA Anna – COLOMER I SURÓS Miquel – PLANAS I PURRÁ Josep, Esbós
d’història: 50 anys de l’Escola Salesiana de Ripoll. Ripoll 2004, 143 p.
Como homenaje a la labor que la Congregación Salesiana ha realizado durante
los cincuenta años de vida del Colegio Salesiano Santa Maria de Ripoll, en la villa de
Ripoll, provincia de Barcelona (España), varios de los protagonistas de la vida educa-
tiva del Centro han publicado este librito, que nos proporciona una valiosa panorá-
mica de los 10 lustros de generosa dedicación a la tarea educativa con el espíritu de
Don Bosco.
El libro ha sido editado por los propios autores con la ayuda económica de va-
rias entidades (pág. 6). Cuenta con un prólogo del distinguido historiador Jordi Ma-
scarella i Rovira (págs. 9-13) y una presentación de Joan Codina y Giol, actual In-
spector de la Inspectoría Salesiana de Barcelona (págs. 15-16).
El capítulo primero trata de los antecedentes históricos, cuando entre los años
1932-1933 don Modesto Sayós construyó el edificio que se denóminó Mútua Sant
Hou. El gran benefactor quería que fuera una comunidad religiosa la que se hiciera
cargo de la Institución, pero, ante las dificultades, fueron los sacerdotes de la ciudad
los que se hicieron cargo de ella. Pasado el paréntesis de la guerra civil española
(1936-1939), se volvió al mismo régimen anterior hasta que se llegó a la aceptación
por parte de la Congregación salesiana a principios de 1954.
El entusiasmo de la población hizo que se recaudaran los recursos económicos
necesarios para adecuar la obra existente a las exigencias de una obra escolar sale-
siana. Esta primera colaboración ciudadana, marcará el alto índice de compenetración
y colaboración entre los salesianos y la ciudad, dato que se pone de manifiesto a lo
largo de toda la obra.
El desarrollo de la presencia educativa salesiana se ha dividido en tres etapas.
La primera abarca desde la fundación, 1954, hasta el curso 1972-73 en que el colegio
imparte EGB, Bachillerato Elemental y Superior, y Formación Profesional.
La segunda etapa comprende los años 1972-1991. El colegio se divide en dos
secciones bien diferenciadas —la Educació General Básica (EGB) y la Escuela Téc-
nico Profesional del Ripollés— e inicia un proceso de cambios en cuanto a la titula-
ridad. Son los años de la transición política. Unidos al clero local, los salesianos par-
ticipan en actividades de promoción y significación de las nuevas corrientes políticas.
Los locales del Colegio dan cobijo a iniciativas y actividades que encauzan la transi-
ción hacia proyectos de una democracia pluralista y participativa, al tiempo que im-
pulsan la democratización y participación en la redacción del ideario del colegio y de
su configuración como escola catalana, sin dejar de ser escuela religiosa y salesiana.
La tercera etapa abarca desde 1992 a la actualidad y comporta grandes transfor-
maciones, tanto de orden material como organizativo. Así, el Departament d’Ensenya-

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Recensioni 185
ment de la Generalitat de Catalunya reduce la capacidad del Centro a tres niveles de
Educación Infantil y seis de Educación Primaria (en total, 225 alumnos), la dirección
pedagógica pasa a manos de los seglares (curso 1992-1993) y la comunidad salesiana
deja de residir en Ripoll (curso 2001-2002). Desde estas fechas, los salesianos siguen
manteniendo la titularidad con frecuentes contactos y un régimen de visita semanal.
No faltan razones para estas determinaciones: la disminución de la población
infantil en la zona, la suficiente oferta de plazas escolares en la ciudad de Ripoll y la
disminución del personal salesiano.
El capítulo quinto incluye una serie de opiniones, vivencias y experiencias per-
sonales, que muestran el cariño y sintonía que siempre ha existido entre la ciudad y la
presencia de los hijos de Don Bosco (págs. 107-134). Y el capítulo sexto explica la
nueva modalidad de una escuela salesiana sin la presencia física de una comunidad
religiosa (págs.135-139).
En su conjunto, el libro que tenemos el gusto de reseñar viene a ser no sólo un
esbozo histórico sino también un proyecto de vida hacia el futuro.
Nicolás Echave
CORSI Pietro, L’ambasciatore di don Bosco. Raffaele Maria Piperni. (= Quaderni sul-
l’Emigrazione diretti da Norberto Lombardi, n. 12). Isernia, Cosmo Iannone
Editore 2004, 193 p.
La figura di don Piperni (1842-1930) non è sconosciuta agli studiosi delle opere
salesiane degli Stati Uniti e del Messico, visto anche la diffusione che ha avuto negli
anni cinquanta del secolo scorso il fortunato libretto di don Ruffillo Uguccioni: Un
missionario di tre continenti, (Torino, SEI 1949; tradotto in più lingue). Un titolo in-
dovinato quello del noto scrittore salesiano; ma altrettanto quello del volume che pre-
sentiamo, in quanto don Piperni non fu che l’«ambasciatore di don Bosco» nei tre
continenti: Europa, Asia, America.
Europa anzitutto: vale a dire l’Italia in cui è nato e ha fatto gli studi (Campo-
basso e Genova: 1842-1874); Francia, Belgio, Inghilterra, Irlanda in cui ha viaggiato
come generosissimo missionario itinerante alla ricerca di sussidi per gli orfani di Be-
tlemme (1875-1877); Asia, vale a dire Terra Santa, dove invero ha vissuto pochi anni
come membro dell’Opera della Santa Famiglia di don Antonio Bellone ma cui non ha
mancato di pensare per tutta la vita, anche dopo che nel 1892 si è fatto salesiano;
America, vale a dire Canada, Stati Uniti e Messico che prima ha percorso alla solita
ricerca di fondi per gli orfani della Palestina (1878-1890) e in cui poi ha lavorato
come salesiano (Città del Messico e Puebla 1892-1897, S. Francisco 1897-1930).
L’A., già conosciuto per romanzi e saggi attinenti tematiche emigratorie, offer-
tegli dalla sua non breve esperienza di viaggiatore sulle navi e dall’aver vissuto a
Roma, Montreal, Città del Messico, Mazatlán (Messico), questa volta si è cimentato
nella biografia di un suo conterraneo nella quale la storia si coniuga brillantemente
con la letteratura, sulla base di notevole documentazione originale, rintracciata nei
vari archivi consultati in Messico, California e Italia e surrogata dalla letteratura di-
sponibile, per altro non molto abbondante.

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186 Recensioni
Nella breve presentazione del volume da parte di Francisco Castellanos Hurtado,
direttore dell’Archivio Salesiano Centrale e studioso dell’opera salesiana in Messico,
segue un fin troppo rapido profilo di don Piperni negli anni precedenti la sua partenza
come missionario salesiano in Messico (pp. 13-52). Si entra poi nel vivo dell’azione di
don Piperni in terra messicana (pp. 53-102) e successivamente in terra statunitense
(103-180). Al riguardo Corsi segue il suo biografato lungo i 40 anni di vita missio-
naria, cercando di collocarlo all’interno delle non facili situazioni sociali, economiche,
politiche, religiose, salesiane in cui venne a trovarsi nei due diversi paesi. Zelo aposto-
lico indefesso, grande disponibilità al sacrificio e al lavoro, forti capacità di relazioni
umane, immenso amore ai giovani e agli immigrati italiani, sono gli atteggiamenti fon-
damentali di don Piperni che emergono decisamente dalle pagine del prezioso volume.
Attorno al protagonista viene ovviamente lumeggiato l’operato dei salesiani
particolarmente fra i giovani di Puebla e la popolazione italiana di San Francisco.
Della prima opera don Piperni era solo stato il fondatore; della seconda era stato non
solo il fondatore ma ben di più. Se la comunità italiana di San Francisco e del nord
California ha potuto rafforzarsi, svilupparsi e integrarsi nella cosmopolità realtà lo-
cale, senza precocemente disintegrarsi e soprattutto senza perdere la fede cattolica, lo
deve per buona parte al lavoro pastorale ed educativo di don Piperni e dei confratelli
salesiani. I valori cristiani trasmessi alle numerosissime generazioni italo-americane
dei primi decenni del secolo XX hanno poi permeato le comunità locali americane in
cui essi si sono successivamente trasferiti, una volta lasciata la Little Italy di North
Beach. Dunque una pagina di storia dell’emigrazione italiana negli Stati Uniti che
forse ha qualche cosa da insegnare agli italiani che oggi, a loro volta, accolgono nel
“bel paese” i lavoratori stranieri. E anche quello su cui vorrebbe riflettere chi scrive
nello studio sull’Opera dei salesiani a San Francisco nei primi decenni del secolo XX
che ha in corso e che si augura di poter portare a termine in tempi non troppo lontani.
Francesco Motto
DESRAMAUT Francis, Francisque Dupont, missionnaire salésien au Japon et au
Vietnam (1908-1945). Paris, Éditions Don Bosco 2004, 461 p.
Il 10 agosto 1945, nei pressi di Hanoi nel Vietnam, una banda armata arrestava
in mezzo ai suoi ragazzi il sacerdote salesiano Francisque Dupont, 37 anni, e lo ucci-
deva dopo una via crucis verso il vicino fiume. Desramaut lo descrive come un «sale-
siano eccezionale, proclamato santo dalla nazione alla quale donò la sua vita, e disce-
polo valoroso di don Bosco» (pp. 3-4).
La figura di padre Dupont meritava una biografia. Già nel 1946, don Auffray
scriveva: «Sul P. Dupont un libro è da scrivere: speriamo che la scriverà una penna
salesiana». Ce la offre oggi F. Desramaut, riccamente documentata e con stile vivace.
I testimoni e i documenti non mancavano. La sorella (92 anni) vive ancora. Una ni-
pote ha ricopiato e pubblicato in alcuni esemplari le lettere e le testimonianze, e ha
curato una raccolta di fotografie, vari autografi, racconti, testimonianze e lettere con-
cernenti il missionario assassinato. Di don Dupont stesso abbiamo otto quaderni o

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Recensioni 187
diari personali, veramente preziosi. Mentre l’A. ci fornisce molte informazioni sulla
formazione personale e l’evoluzione del pensiero e della vita spirituale di Dupont, io
mi soffermerò specialmente su ciò che interessa la storia salesiana.
Nato il 14 luglio 1908 a Parigi, orfano di madre, educato da una zia vicino a
Lione, Francisque frequentò la scuola dei Fratelli delle Scuole Cristiane, acquistando
grande facilità nello scrivere e nel parlare. Il giorno della prima comunione, 8 maggio
1919 sentì la chiamata al sacerdozio. Fu allievo del seminario minore nella diocesi di
Lyon, dal 1923 al 1928. Segnaliamo subito il ruolo determinante dello scoutismo
nella sua formazione umana e cristiana. Voleva essere «un santo, uno studioso, un
apostolo, un capo» (p. 32). Si mostrò interessato all’Action française, fino alla con-
danna da parte di Roma.
Durante un pellegrinaggio a Lourdes nell’agosto del 1926 - aveva allora 18 anni
- l’abbé Dudant, un prete diocesano di Cambrai, exallievo salesiano, gli fece cono-
scere la figura di don Bosco. A partire da quel momento, sentì che il Signore lo chia-
mava a diventare «salesiano di don Bosco, apostolo dei ragazzi poveri, della gioventù
operaia». Prese contatto con l’ispettore di Parigi, il p. Crespel, ma la diocesi gli
chiese un anno di filosofia nel seminario maggiore di Lione prima di lasciarlo deci-
dere. Nel 1929 fu mandato come postulante (aspirante) nella casa salesiana di Melles-
lez-Tournai (nel Belgio, ma appartenente all’ispettoria di Parigi), dove insegnò, da as-
sistente. Nel 1930 iniziò il suo noviziato a Binson ed emise la professione religiosa
nel 1931. Subito dopo venne chiamato a fare il servizio militare. Pensava ad essere
missionario. Ritornò a Melles come insegnante dei ragazzi e allievo di filosofia. Nel
1933-1934 fu chiamato a Torino Valdocco, a servizio del Bulletin salésien diretto da
don Auffray e di Jeunesse et missions. Si dedicò anche all’oratorio San Paolo. La sua
vocazione missionaria si affermò sempre di più nel clima della canonizzazione di don
Bosco. Destinato da don Berruti alla missione in Giappone, il 7 ottobre 1934, con
altri 195 apostoli, partì con la 53ª spedizione missionaria.
Arrivò in Giappone nel gennaio del 1935. Dopo un breve soggiorno nel piccolo
seminario di Miyazaki, dove don Dupont apprezzava il superiore della missione, don
Cimatti, «bella intelligenza, spirito largo e per giunta buon papà, e allo stesso tempo
un asceta» (p. 191), si recò a Tokyo per iniziare gli studi teologici presso il seminario,
diretto dai Padri delle Missioni Estere di Parigi (MEP). Abitava nella scuola profes-
sionale (tipografia) di Kami Igusa, presso la quale stava per sorgere il noviziato e lo
studentato, che sarà inaugurato ufficialmente l’8 dicembre 1935. Mentre si dedicava
agli studi, operava anche nell’oratorio della scuola, poi in quello della parrocchia di
Mikawajima, fondato da don Piacenza, dove lanciò con entusiasmo lo scoutismo.
Con i salesiani francesi del Giappone, René Caro e Jean Tanguy, curò un bollettino
chiamato «Japoneries» per gli amici in Francia. Ordinato sacerdote il 29 giugno
1938, poco prima della guerra, si dedicò a tempo pieno a Mikawajima come vicepar-
roco e poi parroco.
Con la scoppio della guerra, fu mandato dalle autorità militari nell’Indocina
francese nell’aprile del 1940 come interprete presso la missione giapponese, dedican-
dosi anche al ministero sacerdotale a Hanoi. Le sue predicazioni nelle chiese di
Haiphong e di Hanoi ebbero un grande successo. L’11 dicembre 1940 fu invitato a te-

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188 Recensioni
nere un discorso nel teatro municipale di Hanoi davanti all’ammiraglio Decoux e
tutte le autorità religiose, civili e militari. L’oratore proponeva un ordine nuovo, di-
verso da quello dell’Illuminismo, un ordine umanista e personalista, rifiutando sia il
materialismo dialettico dei marxisti, sia il liberalismo dei capitalisti che facevano del
denaro il loro dio. Nell’autunno del 1941 divenne viceparroco nel sud di Hanoi occu-
pandosi anche degli scouts e della JEC. Alla fine del 1941 gli fu affidato dalle auto-
rità civili la direzione di un orfanotrofio di ragazzi «eurasiani», dove riuscì a far ap-
plicare il sistema preventivo di don Bosco. Nel marzo del 1942, don Braga, ispettore
della Cina, gli mandò in aiuto da Shangai un confratello francese, il P. Raymond
Petit. Alla fine del 1943, la guerra americano-giapponese lo costrinse a lasciare l’or-
fanotrofio di Hanoi per rifugiarsi nel villaggio cattolico di Ke So. Il tempo diventava
pericoloso. I Francesi si sentivano minacciati da una parte dai Giapponesi sempre più
potenti nel paese, dall’altra dagli Annamiti ispirati e spinti dai comunisti di Ho Chi
Minh, avversi ai colonizzatori. La popolazione del villaggio si mostrava ostile all’or-
fanotrofio perché la direzione era francese e perché il direttore passava per un amico
dei Giapponesi. Nella notte del 10 agosto 1945, una ventina di banditi penetrarono
nel dormitorio dove don Dupont dormiva con gli allievi. Fu arrestato con violenza
come «amico dei Giapponesi». Dicevano di essere dei Viet Minh e chiedevano armi.
Fu assassinato il 10 agosto 1945. Nello stesso tempo, i banditi assassinavano un
padre delle Missioni Estere di Parigi e derubavano la casa delle suore della missione.
L’indomani il corpo di P. Dupont fu ritrovato senza vita nelle acque del fiume.
Come sostiene Desramaut, altre indagini sarebbero necessarie sull’ambiente fa-
miliare, sul Giappone salesiano tra il 1934 e 1940 e sull’orfanotrofio «René Robin»
di Hanoi tra il 1941 e il 1945. Il presente libro ci permette comunque di entrare nel-
l’intimità di un apostolo infuocato di zelo, di analizzare le sue reazioni davanti agli
eventi drammatici di un’epoca tormentata, di farci sentire le emozioni e gli «stati d’a-
nima» dei protagonisti. La competenza di storico consente all’A. di presentare il
quadro generale del contesto francese e internazionale di quell’epoca burrascosa. Un
libro ben scritto, preciso, ben documentato, e nello stesso tempo «appassionato»,
come dice la fascia pubblicitaria.
Morand Wirth
[DE VECCHI Cesare Maria di Val Cismon], Vittima d’amore [Zeffirino Namuncurá].
Dattiloscritto, s. d. s. l., 442 p.
Il testo, scritto in italiano, è sprovvisto di data, luogo, autore. Temporaneamente
è stato messo a disposizione dell’Istituto Storico Salesiano di via della Pisana, 1111,
00163 Roma, presso la sede della Direzione Generale Opere Don Bosco, da Giorgio
de Vecchi, secondo il quale l’autore dell’opera sarebbe suo padre, Cesare Maria de
Vecchi di Val Cismon.
Il dattiloscritto sarebbe stato redatto in Argentina a Buenos Aires, durante il
soggiorno dell’A. presso i salesiani, dalla metà di giugno 1947 fino al suo rientro in
Italia nel 1949. «Durante la permanenza presso l’Istituto salesiano Pio IX, de Vecchi
riprese lo studio della storia, […] e si cimentò in un lavoro al quale, prima d’allora,

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Recensioni 189
non s’era mai dedicato. Scrisse cioè la vita di un piccolo santo indio che consegnò al
Rettore della Casa a titolo di gratitudine e di ringraziamento per gli aiuti e l’ospitalità
che l’Ordine gli aveva offerto»1. Non è agevole tentare di verificare il tempo in cui
questo studio poteva essere portato a termine, poiché una parte delle affermazioni
presenti nel testo è poco circostanziata. Si fa riferimento, ad es., a gravi problemi che
assillano il mondo: «L’umanità ha stretto bisogno di rigenerazione in questa sua terri-
bile temperie» (p. 2). L’affermazione dà l’impressione che si tratti di circostanze sto-
riche particolari, estese su scala mondiale, ma purtroppo non è sostenuta da nessun
fatto, né data, né bibliografia. Perciò il lettore si chiede a quale “terribile temperie”
l’A. stia alludendo, ma non trova risposte soddisfacenti. Lo stesso va detto circa il de-
grado morale dell’umanità, deplorato ma non spiegato. Dopo aver denunciato il
crollo di tante certezze che sembravano sostenere l’edificio morale del mondo, l’A.
evidenzia in ciò il ruolo distruttivo della donna: «Invece di adeguarsi alla figura della
Vergine Santa, questo soavissimo fiore della umanità, talvolta ritornò a tutti gli errori
di Eva, o si fece addirittura essa stessa serpente […]» (p. 3).
Per fortuna, alcuni fatti che man mano si incontrano durante la lettura del datti-
loscritto forniscono dei particolari utili per l’individuazione del tempo della sua na-
scita. A titolo di esempio ne richiamo i seguenti: la biografia di Zeffirino Namuncurá
citata è quella di Manuel Gálvez, edita a Buenos Aires nel 1947 (cf p. 10, nota 2). Ciò
indicherebbe che il dattiloscritto è posteriore a quell’anno. Un altro fatto che non ci
dovrebbe sfuggire è il riferimento a: «Nicola Espandi, oggi vescovo in Viedma […]»
(p. 118). Si tratta del salesiano, vescovo, che morirà il 29 agosto 1948. Non è senza
significato l’appellarsi a Pio X con i seguenti termini: «In tal modo si è compiuto e si
compirà un pronostico (o una profezia?) del servo di Dio Papa Pio X» (p. 17). Questo
Papa, infatti, sarà beatificato solo il 3 giugno 1951 e canonizzato nel 1954. Secondo
la legge ecclesiastica allora vigente, finiti nel 1946 i Processi Apostolici, gli fu attri-
buito il titolo di “servo di Dio”.
Che nel caso del dattiloscritto in esame si tratti di un’opera non recente lo fanno
supporre alcuni altri particolari: il tipo di carta usata, il formato dei fogli, il modo di
citare la Bibbia, il considerare Paolo Apostolo autore della lettera agli Ebrei, l’appel-
larsi all’“ascetica” e alla “mistica” in quanto discipline teologiche sia separate l’una
dall’altra, sia unite.
Quale fu la finalità dello studio? Quella di presentare in Zeffirino Namuncurá
l’esempio di un ragazzo di altre terre, di altra cultura e di altra storia che la proposta
educativa secondo il sistema di san Giovanni Bosco orientò verso il cammino spiri-
tuale della perfezione cristiana. Il Protagonista «Viene da una vita con terribili prece-
denti, con una dura ricerca di perfezione, offerta in olocausto per l’indissolubile
amore di Dio e del prossimo» (p. 6).
1 Luigi ROMERSA (a cura di), Cesare Maria de Vecchi di Val Cismon. Il Quadrumviro
scomodo. Il vero Mussolini nelle memorie del più monarchico dei fascisti. Mursia, Milano
1983, p. 271. Circa la protezione offerta dai salesiani in Italia e in Argentina al conte nel qua-
driennio 1943-1947 si veda RSS 39 (2001) 309-348. Non inutile è forse notare che quest’anno
ricorre il centenario della morte di Zefirino Namuncurà.

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190 Recensioni
Il dattiloscritto era pensato come libro da pubblicare. Lo confermano le seguenti
espressioni: «La sua vita, che analizziamo qui alla luce delle virtù cristiane per offrire
un grande modello di carità […]» (p. 6); «noi ci vogliamo limitare a ricercare nel tor-
rente le pagliuzze d’oro per mostrarle alla gioventù che ci legge o ai devoti che se ne
vogliono edificare» (p. 18); «noi ci sforziamo di studiare in questa operetta per quali
vie silenzione ed occulte il servo di Dio si avviasse in terra ad essere, in terra e in
cielo, quel valido protettore…» (p. 24); «il nostro studio […] il quale si riferisce […]
alla vita perfetta di Zefirino Namuncurá, Indio della Patagonia e giglio profumato di
quella terra» (p. 76); «vedasi questo libro a pag. 66» (in nota (1) (p. 109); «[…] nelle
prime pagine di questo libro» (p. 127).
Quali poterono essere i motivi per cui lo scritto non fu dato alla stampa? Prima
di tutto perché è un’opera incompiuta. Trattandosi però di un argomento vivo nella
letteratura spirituale salesiana non la si poteva portare a termine? All’A. non man-
cava, infatti, la competenza culturale, mentre gli mancava la salute. I dieci anni che
Cesare Maria de Vecchi di Val Cismon ha vissuto dopo il suo rientro in Italia furono
anni di malattia che gli impedirono qualsiasi attività.
Aspetto materiale. Il testo consta di:
1ª pagina, non numerata, che riporta il titolo dell’opera con in alto al lato destro
la citazione biblica: “Hoc fac et vives” (Luca X, 28).
2ª pagina, non numerata, che contiene la “protesta dell’autore” con la quale
dichiara di non voler in nessun modo anticipare il giudizio della Chiesa in ciò che
riguarda la fama di santità del personaggio di cui parla nel dattiloscritto.
3ª pagina, non numerata, che contiene la dedica dell’opera, scritta in maiuscolo:
«Alla Santissima Annunziata Maria Auxilium Christianorum vittoriosa di Lepanto
questo annunzio di rinascita spirituale invocandone l’aiuto nell’amore e nel dolore».
4ª pagina, non numerata, che dà inizio a 441 pagine di testo + la 442ª pagina con
l’indice. La numerazione delle pagine con le cifre in arabo comincia a partire dalla
2ª pagina del testo e include anche l’indice. La numerazione delle pagine, eccetto il
1° capitolo, appare anche nella prima pagina di ogni successivo fascicolo/capitolo.
Il testo è suddiviso in 23 fascicoli/capitoli, spillati ciascuno per conto proprio.
La parola fascicolo o capitolo non si riscontra in nessuna parte del dattiloscritto.
I titoli dei 23 capitoli dell’Opera seguono il seguente ordine: «Amore / Vie di per-
fezione / Armonia di contrasti / Misure spirituali / Fenomeni mistici straordinari / I de-
stini si compiono / Chimpay e Aluminé / La chiamata / Per la via diritta / Conoscenza
di Dio / Più perfettamente / Unione con Dio / Tutto al fine ultimo / Et cantabant quasi
cantinum novum / La prova / Trionferà / Fervore mariano / Apostolo / Nel pruneto /
Olocausto / Sorrisi del cielo / Antinomie di virtù / Hoc fac ut vives (Luca X, 28)».
All’inizio dei primi 3 capitoli, nella prima riga, si trova il numero del capitolo
scritto in cifre romane e nella seconda riga il titolo del capitolo scritto in maiuscolo.
Dalla terza riga comincia il testo del capitolo. A partire dal 4° capitolo e fino alla fine
vengono invertite le prime due righe: nella prima si legge il titolo e nella seconda il

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Recensioni 191
numero del capitolo, scritto sempre in cifra romana. Il formato dei fogli del dattilo-
scritto è di 270 mm di altezza e 208 mm di larghezza.
Il nome di Zeffirino è scritto con le due “f” solo a partire da p. 92. Nelle prece-
denti pagine, là dove lo troviamo, risulta scritto secondo la lingua spagnola con la
sola “f”. Perciò, in queste pagine è stata aggiunta, a matita, la seconda “f”.
Non si sa da chi sono state fatte a mano le correzioni/integrazioni che si trovano
lungo tutto il testo. Sembra che si tratti piuttosto di segnalazioni che l’A. fece a se
stesso per un ulteriore approfondimento o per poterle utilizzare in nota. Difatti, le se-
gnalazioni fatte a matita e che richiamano le pagine del Compendium di Tanquerei al
lettore non dicono molto. Da ciò si desume che la redazione del dattiloscritto non do-
veva essere definitiva. Tanto più che esistono delle note che attendono di essere
scritte integralmente e altre da completare. Cf pagine: 82. 86 (nota 2ª). 90. 91. 99
(nessuna delle 5 note è completa). 114. 168 (2ª e 3ª). 228 (la 1ª dovrebbe essere com-
pletata come quella di pag. 281). 230. 289. 290. Il dattiloscritto, probabilmente, ha
avuto più di una copia, perché, a differenza di altre pagine, quelle tra 7-42; 88-94;
127–130; 150-161 risultano scritte con la carta carbone.
Aspetto formale
Allo studio manca un’introduzione. Di conseguenza il lettore non dispone di al-
cune risposte preliminari. Il testo, così com’è, obbliga il lettore a prestare molta atten-
zione, particolarmente nei capitoli iniziali per non lasciarsi sfuggire i motivi per cui
lo studio è stato intrapreso e gli obiettivi che con esso si voleva raggiungere. La do-
manda fondamentale circa il perché dello studio trova una risposta solo all’inizio del
2° capitolo: «Una serie di circostanze […], ci ha posti in contatto con tesori di virtù
[…]. Tesori di virtù che noi valutiamo e stimiamo così perfette da sentire l’esigenza
di farle conoscere al mondo. Sono sostanzialmente sublimi virtù di quella carità che
forma la nostra appassionata aspirazione perché sentiamo che il mondo ne ha indi-
spensabile bisogno. È così che ci siamo fatti carico, dopo un profondo esame di co-
scienza, di spiegare prima che altrui, a noi stessi, ancora una volta che cosa umana-
mente sia la perfezione cristiana, affinché non fossimo allucinati dal nostro amore e
condotti a sbagliare» (cf p. 9).
Se gli elementi di ordine metodologico presenti un po’ dappertutto nel dattilo-
scritto fossero stati raccolti nell’introduzione, l’opera ne guadagnerebbe. P. es. non si
capisce perché solo a p. 403, riportando una testimonianza secondo cui «Zeffirino è
stato modello angelico per i ragazzi che aspirano al sacerdozio», l’A. dica: «Proprio
quale intendiamo presentarlo noi in questo lavoretto; ma non soltanto per gli aspiranti
al sacerdozio bensì per tutta la gioventù di ogni stirpe». Per costruire tale introdu-
zione si poteva utilizzare gran parte del materiale che si trova nel terz’ultimo capi-
tolo. Per sapere invece perché l’A. ha impostato il suo studio in chiave fortemente
teologica, si deve leggere con molta attenzione già il 1° capitolo. La fondazione teo-
logica del discorso si estende ancora fino al capitolo 4° incluso.
Non è da escludere che il lavoro che Cesare Maria de Vecchi di Val Cismon
aveva intrapreso abbia avuto un testo preesistente. «Una serie di circostanze che giu-

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192 Recensioni
dichiamo, nella nostra pochezza ma nella nostra fede ben ferma, provvidenziali, ci ha
posti in contatto con tesori di virtù, le cui prove giacevano nei fogli polverulenti degli
archivi, attendendo chi le portasse alla luce perché potessero venire studiate, apprez-
zate, venerate; ma soprattutto imitate» (p. 9). Non conoscendo la consistenza e il ca-
rattere di quei “fogli polverulenti degli archivi”, possiamo tuttavia pensare che forse
essi sono stati a fornire l’impostazione dell’intera opera.
In nessuna parte del dattiloscritto troviamo una presentazione delle fonti di cui
si è servito l’A. Un’opera come questa dovrebbe informare su tutto ciò che di pubbli-
cato riguardo a Zeffirino Namuncurá già esisteva. Quale novità presenterebbe il datti-
loscritto? Conoscendo la finalità di questo nuovo testo su Zeffirino, le testimonianze
raccolte in vista di un suo eventuale processo di beatificazione, alle quali l’A. fre-
quentemente si appella, avrebbero bisogno di una particolare presentazione. Neppure
si fa riferimento alla letteratura teologica utilizzata dall’A. L’assenza di tale presenta-
zione e i pochi rimandi bibliografici nel testo privano il lettore degli strumenti neces-
sari per una fruttuosa lettura del testo.
Lo studio è sprovvisto anche di una conclusione vera e propria. Qui però la si-
tuazione è diversa rispetto all’introduzione metodologica che non esiste. Il contenuto
dell’ultimo capitolo, infatti, costituisce una specie di conclusione; e di conclusione ha
sapore anche il penultimo capitolo.
Nuclei tematici del dattiloscritto
Nel testo sono presenti tre principali nuclei tematici: teologico, zeffiriniano, sa-
lesiano. Il loro intrecciarsi fa sì che non sia lineare in nessuno di essi un filo logico.
Quanto allo spazio che i nuclei hanno nel testo, prevale quello teologico, seguito
dallo zeffiriniano.
Il nucleo teologico poggia sulla Bibbia e su S. Tommaso d’Aquino. Secondo lo
stile dei libri di ascetica e mistica di una volta l’A. dipende da S. Tommaso d’Aquino.
Nel testo si riscontra varie volte, scritto a matita: Compendio Tanquerei. pag. … Ed.
1928. Da ciò si presume che il discorso teologico della perfezione cristiana doveva
essere ancora approfondito e ampliato.
Le citazioni della Sacra Scrittura sono abbondanti. I brani biblici riportati in la-
tino sono 90. Ad essi si aggiungono i 17 rinvii ad altrettanti brani biblici. Del NT sono
citati 16 Libri e dell’AT il Salmo 14. La preferenza è stata data al Vangelo di Matteo
di cui 17 volte sono stati riportati dei brani e 2 volte si fanno dei riferimenti, al Van-
gelo di Giovanni, con 12 brani riportati e 1 riferimento, alla 1 Lettera ai Corinzi di cui
13 volte sono riportati dei brani e 2 volte i rimandi. Le citazioni bibliche svolgono la
funzione di inviti o avvertimenti, per un cammino ascetico-spirituale. La traduzione
italiana delle citazioni bibliche latine rende facile al lettore l’accesso al testo.
L’A. si muove in modo agile tra i concetti di “perfezione cristiana” e “santità”
come a suo tempo lì presentava la teologia ascetica e mistica. Vedendo come si
esprime sulla perfezione cristiana, rilevando soprattutto ciò che non è, bisogna rico-
noscere che si distingue per una discreta cultura teologica in materia di santità cri-
stiana. Ne sono prova particolarmente i primi quattro capitoli.

1.10 Page 10

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Recensioni 193
Parimenti si vede quanto egli sia preoccupato di non peccare minimamente
contro la correttezza teologica del discorso che porta avanti. In ogni capitolo si
appella prima di tutto ai principi teologici della perfezione cristiana e poi richiama
l’esempio di Zeffirino.
Nell’ambito teologico l’A. ha intravisto il modo per correggere il mondo, che ha
bisogno urgente di essere riformato. «L’umanità ha stretto bisogno di rigenerazione in
questa sua terribile temperie». All’uomo vecchio, secondo lui, dovrebbe subentrare
l’uomo nuovo. Il dominio dell’odio dovrebbe essere sostituito dal dominio dell’amore
(cf p. 2). Dell’amore, l’unico rimedio contro l’odio, l’A. fa un discorso articolato che
si protrae per i quattro primi capitoli. Da come ne parla, risulta che l’amore è dono di
Dio e vocazione dell’uomo. Mentre tiene conto sia dell’ira di Dio che della sua miseri-
cordia, fa un’affermazione che al lettore non dovrebbe sfuggire: «Occorrono certa-
mente opere meritorie di vittime placanti lo sdegno dell’Essere increato, supremo fat-
tore dell’universo» (p. 4). «In tali vittime il mondo troverà la sua salvezza» (p. 5).
Secondo l’A. due sono gli impegni ascetico-spirituali che l’uomo dovrebbe assu-
mersi per crescere nell’amore: imitare spiritualmente con «appassionata fedeltà» Gesù
e «adeguarsi alla figura della Vergine Santa… soavissimo fiore dell’umanità» (p. 3).
Il nucleo zeffiriniano. L’A. a varie riprese richiama la storia, la geografia e la
cultura del ceppo cui appartiene Zeffirino Namucurá e lo fa senza ripetersi e senza
dilungarsi.
Dall’insieme del dattiloscritto risulta che il protagonista è un ragazzo, Indio Ar-
gentino, un Araucano, depositario di molte speranze del padre e di tutta la sua tribù.
Trovatosi nelle istituzioni educative salesiane di Buenos Aires in Argentina prima e
di Frascati in Italia poi, il suo progresso scolastico – dopo le iniziali difficoltà – fu
sorpredente, come lo fu il suo progresso spirituale. Purtroppo, la tubercolosi non gli
permise di realizzare a lungo il suo promettente progetto di vita cristiana perfetta.
Morì in concetto di santità a soli 19 anni.
Il nucleo salesiano. La sua presenza è dovuta al fatto che il cammino scolastico
e spirituale di Zeffirino Namuncurá avvenne all’interno dell’attività educativa e
pastorale che i Salesiani stavano svolgendo in Argentina, inviati dal loro Fondatore,
san Giovanni Bosco.
Alcuni rilievi critici
Alla mancanza di un’introduzione, una conclusione e una presentazione delle
fonti dell’Opera recensita, si aggiungono alcune altre osservazioni senza richiamare
piccoli dettagli. Le osservazioni si attengono ai nuclei tematici.
Quanto al nucleo teologico colpisce che senza alcun preambolo e fin dalla
prima frase dell’Opera l’A. mette il lettore di fronte a una serie di concetti, di affer-
mazioni e di ragionamenti altamente teologici. Questo lungo discorso rende difficile
la comprensione dei primi quattro capitoli. Un lettore sprovvisto di cultura teologica,

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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194 Recensioni
e poco attento agli agganci che l’A. fa ai tempi in cui vive, potrà sentirsi come un
abbandonato in una selva folta e senza guida.
Un’altra osservazione in questo ambito è dovuta alla mancanza di una lettura
teologica del cammino spirituale che Zeffirino ha percorso. Non sembra che l’A. si
sia posto questo problema. Ciò l’avrebbe obbligato a rendere più semplice e più
accessibile tutto il discorso contenuto nell’Opera.
Quanto al nucleo zeffiriniano si costata che il modo di presentare Zeffirino Na-
muncurá nella prima parte del dattiloscritto è a puntate. È lunga la distanza che inter-
corre tra il titolo dell’Opera, dove si legge tra parentesi il nome di Zeffirino Namun-
curá, e il tempo in cui esso compare nel testo. Senza un’indispensabile introduzione,
come si è detto, il lettore è condannato a dover attraversare il non facile discorso teo-
logico sull’«amore / carità che è essenza della perfezione cristiana». Per la prima
volta lo si incontra alla p. 5, ma nel contesto di un discorso astratto. Siccome non vi
viene chiamato con il nome proprio, ma con quello di “Servo di Dio”, è facile non ac-
corgersi della sua presenza. È a partire dalla p. 6. che il suo nome comincia ad appa-
rire. Però, l’A. dà per scontata la sua conoscenza. Invece di presentarlo, se ne entu-
siasma e a momenti ne parla a lungo, senza tener conto della pazienza del lettore che
vorrebbe sapere di chi si parla e perché.
A proposito di Zeffirino Namuncurá, nel dattiloscritto sono caratteristiche le pro-
messe che l’A. fa. P. es. a p. 43, il capitolo IV° inizia con queste parole: «Prima di av-
viarci a cercar di tracciare in disegno la nostra piccola figura di Indio, figura tuttavia a
grande rilievo, la cui numerosa e popolare bibliografia non avrebbe di per sé bisogno
alcuno di essere ricordata, sostiamo un istante a tracciarne la biografia». Questo di-
scorso si protrae per cinque pagine. L’A. esalta la grandezza del suo Protagonista chia-
mandolo “piccolo Indio” (p. 47) e non ne dice il nome! Ciò avverrà solo a p. 48. In di-
ciasette pagine di questo capitolo Zeffirino è appena visibile. Chissà cosa l’A. inten-
desse per biografia! Nei primi capitoli, il Protagonista è più sottinteso che presente.
Ciò è dovuto al linguaggio allusivo che in questa parte del dattiloscritto caratterizza
l’A. Il vantaggio di questo modo di parlare è il desiderio che il dattiloscritto suscita
nel lettore di leggere una biografia di Zeffirino Namuncurá, fatta con sistematicità.
È vero che, inoltrandosi nel discorso e per un lungo tratto del suo cammino,
l’A. si era appellato alle numerose testimonianze raccolte in vista del processo di bea-
tificazione di Zeffirino. I rimandi alle testimonianze sono frequenti. Ma l’uso che se
ne fa, fa pensare che l’A. si sia fidato più dei grandi principi della teologia della vita
cristiana che non di una concreta esperienza di vita come fu quella di Zeffirino. Vista
anche l’assenza dei contenuti delle testimonianze viene il dubbio se l’A. abbia avuto
la possibilità di leggerle. Peccato che proprio le testimonianze non confermino le fre-
quenti affermazioni che egli fa sull’esemplarità cristiana del Protagonista. Sono molte
le affermazioni sull’impegno ascetico, sulle virtù eroiche, sul progresso spirituale di
Zeffirino, ma non sono confermate con citazioni bibliografiche. P. es., non si sa in
base a che cosa egli affermi: «Zeffirino, dal primo giorno seppe dai primi tempi, tanto
era estatico e assorto in Dio nella preghiera, esercitare praticamente questo segreto.
Tanto lo esercitò nella sua devota fusione con Dio nella preghiera, arma di tutti, da

2.2 Page 12

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Recensioni 195
essere giudicato, per altro ingiustamente, pressoché tardo di intelletto» (pp. 33-34).
Secondo i criteri dell’agiografia è necessario presentare i fatti in modo documentato.
Saranno poi essi a suscitare l’entusiasmo.
Più volte l’A. parla di Zeffirino Namuncurá ma le sue affermazioni non hanno
rimandi bibliografici. Secondo lui esistono molte pubblicazioni su Zeffirino Namun-
curá. In concreto, ne cita una a p. 10.
Quanto al nucleo salesiano, sorprendono la stima e la fiducia quasi illimitate
che l’A. ha per le “fonti storiche salesiane”, soprattutto le Memorie Biografiche (cf
pp. 86, 125). In questo l’A. ha condiviso le convinzioni dei Salesiani di sessant’anni
fa. Oggi sarebbe impossibile sostenerle. Non lo consentirebbe tutta una serie di stru-
menti che si ha a disposizione per una lettura critica delle “fonti storiche salesiane”.
Lo stesso si deve dire laddove si legge: «non potevamo né dovevamo esimerci
dallo studiare le manifestazioni dei mistici moderni e specialmente di San Giovanni
Bosco nell’orbita della cui così caratteristica educazione si sviluppa lo spirito di
Zeffirino» (p. 430).
Certi ampliamenti del discorso fatto dall’A. nell’ambito della storia salesiana,
che talvolta sa più di tradizione orale che di documenti, distraggono il lettore dal
tema specifico del dattiloscritto.
Quanto alla cronologia salesiana, il testo colloca al 14 novembre 1875 l’arrivo
dei primi missionari salesiani a Buenos Aires (cf p. 88), mentre quello fu il giorno
della loro partenza da Genova. A Buenos Aires arrivarono un mese dopo.
Non è poi chiara la cronologia dei fatti di cui alla p. 88: «Il Padre Giovanni Ca-
gliero, il Padre Giacomo Costamagna e il Padre Evasio Rabagliati, incoraggiati dal-
l’esempio del Vicario Monsignor Espinosa, tentato di avanzare fino verso Patagonia.
Anche gli elementi si mostrano loro ostili […]». Dalla redazione del testo del dattilo-
scritto sembra che si tratti di un’iniziativa della prima spedizione missionaria sale-
siana. Dei tre salesiani sopra elencati solo don Giovanni Cagliero faceva parte della
prima spedizione missionaria che accompagnava a nome di Don Bosco. Quindi, alla
p. 88 o prima è sfuggita la necessaria distinzione che andava fatta fra tempo, fatti e
persone di cui parla.
Conclusione
Il dattiloscritto, pensato come libro, era destinato, principalmente, ai giovani.
Ma teneva conto dei gusti dei lettori giovani sia nella sua impostazione che nel lin-
guaggio? Non sembra che ai giovani di cinquant’anni fa interessasse un discorso
denso di citazioni della Bibbia, di rimandi a San Tommaso d’Aquino e di entusia-
stiche affermazioni. I giovani, certamente, avrebbero letto volentieri le testimonianze
di vita di Zeffirino Namuncurá che sa di tanta umanità aperta a Dio. Sarebbe stato
utile perciò far cominciare il dattiloscritto con informazioni su Zeffirino, sulla sua
santità, sulla devozione a lui di cui parla il terz’ultimo capitolo.
Józef Struś

2.3 Page 13

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196 Recensioni
Lo GROI Nicholas, History of the Kolkata Province of St. John Bosco. Kolkata, 2003,
623 p. [non commercial edition]
The author of the book is the Italian Salesian Fr.Nicholas Lo Groi (1922- ), who
has been missionary in the North East of India since 1939. He was provincial of the
Kolkata Province of the Salesian Society from 1973-1978, and has been in the same
province for the past 63 years.
His aim in writing the book is “to present … faithfully … the growth of the
Province from July 1921 to December 1996, when the Kolkata Province was divided
for the third time”. His hope is that his work might inspire the younger Salesians to
imitate the pioneers and to work tirelessly for the glory of God.
The book wishes to write a history of the Salesian Province of Kolkata (pre-
viously Calcutta) from its beginning in 1922 to 1996, in celebration of its 75 years of
foundation. [To note, however, that the Salesians have been in India since 1906, and
in fact, are celebrating their 100 year anniversary.] Indeed, the work contains much
information regarding the Kolkata Province which had undergone divisions since the
year of its foundation. It recounts a work which began small, but which became big
and complex; it relates a history of inherent fertility and of a positive response to
the challenge of growing by the Salesian Society.
The book’s table of contents presents nine numbers (from foreword to indices
of persons and places), of which three numbers (nos. 4-6) comprise the main bulk
of the study. These three numbers describe in thirteen chapters the evolution of
the Kolkata Province: (1) The Salesians in Assam: 1922-1934; (2) The North Indian
Province: 1935-1959; (3) The Kolkata Province: 1960-1996.
The kind of history that the book presents is rich and colourful. It goes to, and
from all directions - north to south, east to west (Kolkatta, Chennai, Guwahati, New
Delhi, Mandalay, Katmandu) of the vast Indian Continent. It encompasses not only
India and its north eastern part, but spills beyond the country’s borders to reach out to
its neighbours (Bangladesh, Myanmar, Bhutan and Nepal). It writes on the work of
Salesians (Mathias, Scuderi, Urget, Storscio, Cyril, Mantarro) who have been exem-
plary in their salesian witness, and who did not fail with the high missionary zeal
demanded from them by Turin. But it also presents the work of Bishops-Salesians,
who built and led their churches to maturity (Ferrando, Morrow, Sirkar).
Prodigious in its beginnings and still prodigious in its development, the book
enumerates the places and works (Liluah, Bandel, Sonada, Dibrugarh, Anisakan,
Cherranpunjee, Raliang) which have become historical and which continue to make
history for the Kolkata Province, so fertile that it “fathered” three provinces in a span
of 75 years (Madras [1934], Guwahati [1959] and New Delhi [1996]). But it also re-
veals some of the tests and difficulties which the Salesians of the Province underwent
and overcame (the “stop” on the work of evangelization of 1947, the internment of
Salesians on account of the World War II, the persecution against the Church in
Assam). This Salesian Province’s experience and extension is worth describing. They
are not only a contribution to the history of the Salesians in India, but also to the hi-

2.4 Page 14

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Recensioni 197
story of the Salesian Society. It is not only an attempt to write a history of the Kolkata
Province of India, but also of the Salesian Society.
Fr. Lo Groi’s work has been aptly described as a “chronicler’s history”. Indeed,
to write his history, the author had effectively made use of chronicles and minutes of
provincial and house councils meetings, which to his advantage were fortunately con-
served in the archives of his Province. For this, his description of the Salesian work is
both informative, for the many details and dates and names of persons and places it
contains, as well as extensive, for the coverage of all the foundations it accounts. Be-
sides, it practically gives descriptions which become stories of the more celebrated
works of the province, a sort of “mini-histories within a maxi-history”.
The maps to indicate locations, the pictures to make vivid the description, and
the indices of persons and places are truly useful in handling the book. However, it
would need to be someone of the continent, and perhaps of the Province, to under-
stand and grasp clearly the information related in the book, for the abundance of
names of persons and places and dates contained therein. Perhaps, a quick list of
houses (with year of foundation) and names of the Province’s more important perso-
nages (with year of birth and death) would greatly help a non-Indian reader.
The work is said to be open to the analysis and evaluation by the reader but who
is somehow handicapped for lack of interpretation and critical statements within the
work which could stimulate him to react. Besides, the sources listed at the end of the
work will perhaps need to be classified as primary and secondary sources. With this,
the references at the footnotes would be more precise to clarify the sources of the
declarations of the author.
The book invites the Salesians to start writing another history of the province
and its local houses. Indeed, the book is already a first attempt. The information and
descriptions it contains can serve as source and stimulus for a study and research
more historical and critical.
But it also shows the need to study the Salesians of the Province; to tell not
merely of the works, but specially of the Salesians (foreigners and locals) who have
actively given themselves to the growth of the Kolkata Province and the promotion of
the Salesian charisma (75 years of history would also have involved many of the
locals in its making). The increase in works definitely went hand in hand with the
increase in vocations: so many works, so many Salesians too. Perhaps, it should also
remind us of a reason for the writing of history: to know and to remember who, why,
what and how of the Salesians. And this might just challenge one to a real analysis
and prudent criticism.
It would be unfair to compare the book with Fr. Joseph Thekkedath’s “A Hi-
story of the Salesians of Don Bosco in India” (Bangalore, 2005). For Fr. Lo Groi’s
work has a merit of its own, specially for the Salesians of this Province which defini-
tely could pride itself as the first Salesian Province of India.
Nestor C. Impelido