“Prima che sia troppo tardi
salviamo i ragazzi, il futuro del mondo”
Sig. Sindaco, Sig. vicesindaco,
Eminenze e Eccellenze Reverendissime,
Autorità civili e religiose,
Signori professori,
Amatissimi giovani,
Carissimi amici di don Bosco,
Signore e signori,
tocca a me prendere la parola in questo momento e il mio primo pensiero è di ringraziamento a quanti hanno reso possibile questa manifestazione. Desidero innanzitutto porgere il mio più sincero grazie alle autorità comunali che ci hanno accolto in questa prestigiosa sede cittadina. Ringrazio il prof. Portelli, i suoi giovani collaboratori e l’editrice Donzelli per il loro impegno nel realizzare l’interessante profilo autobiografico dei primi anni dell’opera salesiana del Borgo Ragazzi Don Bosco che abbiamo appena ascoltato. Ringrazio altresì tutti i salesiani che hanno collaborato, gli ex ragazzi del Borgo e gli educatori dell’epoca, alcuni dei quali qui presenti, che hanno accettato di dare voce a tutti i loro compagni e colleghi di un tempo, oggi sparsi non solo a Roma e in Italia, ma anche all’estero, fino all’Australia. Ringrazio infine tutti voi qui presenti per la vostra viva partecipazione a questo momento di ricordo del passato e di “progettazione di futuro”.
Sì, “progettazione di futuro”, perché come primo Rettor Maggiore dei salesiani del terzo millennio il mio intervento non intende ulteriormente approfondire la vicenda della fondazione e dei primi passi dell’opera salesiana del Borgo - molto è stato già detto e ancor di più si potrà conoscere leggendo il volume in oggetto - ma intende coniugare storia e attualità, forse, meglio ancora, storia e futuro.
La scelta di Don Bosco
La scelta per i giovani in situazione di povertà ed emarginazione è stata sempre nel cuore e nella vita della Famiglia Salesiana da Don Bosco fino ad oggi.
Don Bosco non fu uno studioso specializzato di pedagogia, non fu un filosofo dell’educazione. Durante tutta la sua vita Don Bosco cercò di rispondere, con straordinarie intuizioni e con un grande senso pratico, ai bisogni sempre in crescita di assistenza e di educazione degli adolescenti e giovani che approdavano a Torino in cerca di lavoro. La sua finalità principale era prevenire le cadute e le ricadute di questi giovani attraverso la loro formazione professionale, morale e religiosa. Partì dal niente per costruire un immenso edificio in cui si ritrovano i punti fermi destinati a trasferirsi in quell’ampia rete di istituti educativi che è stato definito dal papa Paolo VI “il fenomeno salesiano”.
Dopo Don Bosco, la Congregazione Salesiana, oggi presente in 126 paesi del mondo, ha continuato con una presenza variegata di opere e di servizi a favore dei ragazzi in situazione di povertà ed emarginazione, ricavando sempre ispirazione nel criterio preventivo. La formazione professionale e l’abilitazione per il lavoro è stata una di queste risposte che si è convertita, quasi sin dall’inizio, come la carta di identità dei salesiani, pressoché universalmente riconosciuta.
In questi ultimi trenta anni però la realtà della povertà, soprattutto quella giovanile, si è venuta facendo più globale e drammatica, come conseguenza di fattori economici, culturali, strutturali e umani, fino a convertirsi in una cultura di non-solidarietà e di esclusione.
Oggi si parla infatti delle nuove povertà dei giovani per indicare tutte quelle situazioni di abbandono in cui si possono trovare o cadere. Rimane sempre la convinzione che finché non ci sia un cambio di cultura non riusciremo a superarle. Rimane comunque il fatto che la povertà socioeconomica è la più grave delle povertà perché va sempre preceduta, accompagnata o seguita da altre forme di povertà inimmaginabili. Qui, come in tante altre cose, purtroppo, la realtà supera la fantasia.
Le sfide odierne
Ecco, una rapida mappa dell’emarginazione e dello sfruttamento giovanile nel mondo:
I ragazzi di strada, le gang
Hanno preferito prendere la strada come “habitat’ naturale, talmente insopportabile era la loro situazione famigliare. Ed eccoli, costretti a prendere una via che a poco a poco li farà sfociare nel crimine (borseggi, furti, aggressioni) e nella tossicodipendenza o nel narcotraffico, mentre sopravvivono in condizioni di grave indigenza affettiva e sociale, senza presente e senza futuro. Nelle strade delle grandi città di America Latina, Africa ed Asia vivono e muoiono di freddo, fame, malattie, o anche assassinati. Sono quasi 100 milioni nel mondo. Una cifra impressionante.
I ragazzi soldato
C’è stato bisogno che due adolescenti di Mianmar occupassero la copertina delle principali riviste, con un mitra in mano e una sigaretta in bocca, perché il mondo scoprisse un fatto che esisteva da anni e che non era esclusivo di Asia, vale a dire, l’inserimento di ragazzi nell’esercito, nella guerriglia, o come sicari: senza età né preparazione militare, semplicemente al servizio della morte. Raggiungono il numero di circa 300 mila, impiegati in operazioni di guerra tra le più rischiose, alcuni come semplici cavie per ripulire i campi minati.
I ragazzi violati
Una delle situazioni più tristi, anche per lo stigma con cui vengono marcati le vittime, è la pedofilia e il così detto turismo sessuale, che sono un business vergognoso. Volta per volta si scoprono reti di pornografia infantile attraverso l’internet, che sono soltanto la punta dell ‘iceberg’ dello sfruttamento sessuale di bambini e di adolescenti, e che rispecchiano un problema molto più profondo, cioè la perdita di ogni riferimento morale. Ogni anno, secondo i dati Unicef, un milione di bambini viene introdotto nel commercio sessuale. E’ un mercato che muove 13 miliardi di dollari l’anno.
I ragazzi lavoratori e schiavi
Sono passati già più di 150 anni sin dal momento in cui don Bosco – così come altre personalità laiche e religiose più avvedute del suo tempo e della sua città - si batté per i diritti dei lavoratori minorenni e riuscì ad ottenere un contratto di lavoro per loro. È aumentata la sensibilità in favore dei diritti dei minorenni, ma anche è cresciuto a livelli inimmaginabili il numero di bambini e ragazzi sfruttati come piccoli operai in condizioni inumane. Si contano infatti su i 250 milioni di bambini tra i 5/15 anni costretti a lavori vietati per pericolosità fisica, psichica o mentale, talvolta resi schiavi, e questo a più di un secolo dall’abolizione legale.
I ragazzi “nessuno”
Tra le esperienze più traumatizzanti nella vita di qualsiasi persona è la perdita della propria famiglia, che lascia l’individuo all’improvviso senza i legami affettivi più importanti, quelli che al solito gli danno un senso di sicurezza. È come se un vento impetuoso strappasse la tenda e ci spogliasse di ogni protezione. Ebbene, sono circa 50 milioni i ragazzi non registrati in nessuna anagrafe: non hanno nome, casa, patria, genitori. Se si aggiungono i 130 milioni di ragazzi/e analfabeti si ha un quadro desolante.
I ragazzi carcerati
Uno dei campi di lavoro in cui i salesiani e membri della Famiglia Salesiana non si sono astenuti dall’operare è stato quello delle “correzionali” o riformatori per minorenni, anche se per vocazione storica la loro opzione è sempre stata quella del “prevenire”, non del “reprimere”. Del resto sappiamo che all’origine del sistema preventivo di don Bosco, l’elemento catalizzatore che lo spinse ad assumere la scelta della preventività fu proprio la sua dura esperienza di cappellano nelle carceri torinesi, al seguito del suo maestro, don Giuseppe Cafasso. Se questo tipo di prigioni ha una ricaduta ancora più negativa sui ragazzi, possiamo immaginare che cosa succede quando essi vengono incarcerati insieme a persone di qualunque età, qualsiasi sia la trasgressione o il crimine commesso. Sono tanti, troppi. Anche nelle nazioni cosiddette civili. L’Italia ne ospita circa 500. I ragazzi dal carcere non escono mai migliori, al contrario. Solo negli USA i minori detenuti sono 100 mila.
I ragazzi donatori forzati di organi e i mutilati
Una volta oltrepassata la frontiera morale, sembra che non ci siano limiti all’uomo e che tutto, assolutamente tutto, diventi lecito. Lo si attua nel campo della ingegneria genetica, dove si fanno esperimenti attraverso le cellule madri per avere accesso a tessuti ed organi sostitutivi. In maniera più cinica lo si fa attraverso il traffico di organi, che è una delle realtà più vergognose del nostro tempo. Si parla di 4 milioni di donne e bambini interessati al turpe commercio, e almeno di 6 milioni di bimbi mutilati per cause diverse.
I ragazzi poveri ed emarginati
Potrebbero non essere indicati sotto una classifica a sé stante. In effetti, la povertà economica e sociale è generalmente la causa delle altre povertà. Ma c’è il fatto che ci sono ragazzi che solo possono essere definiti come poveri ed emarginati, privi di accesso a tutti quei beni a cui ha diritto ogni persona per raggiungere una vita veramente umana. La cifra va oltre qualsiasi previsione, più di 600 milioni di bambini vivono sotto la soglia della povertà, 160 milioni quelli denutriti; 6 milioni ogni anno muoiono di fame: 17 mila al giorno, 708 ogni ora...
I ragazzi delle fogne / i vaganti
Al solito si tratta di gruppi dei ragazzi della strada, specialmente quando cominciano ad usare stupefacenti. La paura d’essere catturati dalla polizia o minacciati dalle bande giovanili più forti, li porta a cercare tane dove trovare rifugio. Così nell’America Latina. Ma anche l’Europa è colpita: vivono nelle fogne di Bucarest un migliaio di ragazzi. Più numerosi sono i vaganti nel continente (Francia, Germania, Olanda...). Si parla di almeno un milione. Nel mondo raggiungono i 12 milioni.
I ragazzi ammalati
Mai come oggi la scienza e la tecnica, anche – o soprattutto – nel campo della medicina, sono state capaci di raggiungere i successi e le possibilità su cui si può ora contare. Il che significa che ci sono le condizioni per vincere molte malattie; tuttavia ogni minuto nei 5 continenti 5 bimbi contraggono l’AIDS; sono quasi 11 milioni i minori che ne hanno contratto il virus; quanti, poi, i bimbi attaccati da tubercolosi, malaria, meningite, epatite, colera, ebola?...
I ragazzi rifugiati e orfani
Sono molte le espressioni di una causa comune, la violenza, che spinge a molti ragazzi e persino bambini ed adolescenti ad emigrare e cercare rifugio. Ho trovato gruppi di adolescenti di Honduras nella frontiera con gli Stati Uniti dopo aver fatto un viaggio ricolmo di rischi. Li ho trovati nella Colombia, sono gli “spiazzati dalla guerrilla” o gli orfani di grandi sciagure o malattie. Li ho visto in Africa. Sono più di 50 milioni i bambini profughi e/o rifugiati vittime di odi razziali, guerre, persecuzioni, ammassati in campi profughi o dispersi qua e là. Moltissimi gli orfani: in Africa 13 milioni causati dall’AIDS.
I ragazzi ...
Tanta sventura sollecita le coscienze di tutti. Alla fine del Capitolo Generale 25 i Salesiani hanno fatto un appello rivolto a tutti quelli che hanno responsabilità nei confronti dei giovani: “Prima che sia troppo tardi salviamo i ragazzi, il futuro del mondo”. Ecco il mio appello, come successore di Don Bosco, l’amico dei giovani, proprio qui a Roma, il centro della cultura e della civiltà occidentale.
Dinanzi a questo panorama così triste delle piaghe del mondo giovanile, noi Salesiani “siamo dalla parte dei giovani, perché – come Don Bosco – abbiamo fiducia in loro, nella loro volontà di imparare, di studiare, di uscire dalla povertà, di prendere in mano il loro proprio futuro… Siamo dalla parte dei giovani, perché crediamo nel valore della persona, nella possibilità di un mondo diverso, e soprattutto nel grande valore dell’impegno educativo”. Investiamo nei giovani! Globalizziamo l’impegno per l’educazione e prepariamo così un futuro positivo per il mondo intero.
Forse voi mi domanderete: “Ma in concreto che stanno facendo i salesiani oggi per attutire questa scottante realtà”?
Anzitutto siamo consapevoli che nel contempo, grazie a personalità di alto profilo morale, sono sorte molte istituzioni che con la generosità e la dedizione mirabili dei loro membri, hanno creato opere e servizi di assistenza, di educazione e di recupero come risposta alle situazioni di emarginazione soprannominate, e così contribuiscono a promuovere quello che Giovanni Paolo II chiama “la cultura della vita e della solidarietà”. L’umanesimo cristiano, l’umanesimo interreligioso si è articolato con l’umanesimo laico, per sinergicamente collaborare alla ridefinizione delle coordinate educative e delle decisioni operative in favore di quella che don Bosco definiva “la porzione più delicata e preziosa dell’umana Società, la gioventù”.
In questo sforzo collabora anche la Congregazione Salesiana apportando la ricchezza del metodo educativo ereditato da Don Bosco, il ben noto Sistema Preventivo, di cui anche il libro che è stato questa sera presentato porta i chiari segni.
Secondo questo Sistema la prima preoccupazione è quella di prevenire il male attraverso l’educazione. Come ho accennato prima, la povertà e l’emarginazione non sono soltanto un fenomeno economico, ma una realtà che tocca la mentalità delle persone e della stessa società, una forma di vedere e di mettere a fuoco la vita. L’educazione è, quindi, un elemento fondamentale per la prevenzione e superamento della emarginazione. Attraverso l’educazione il Sistema Preventivo vuole aiutare i giovani a ricostruire la propria identità personale, a rivitalizzare i valori che non sono riusciti a sviluppare e ad elaborare appunto per la loro situazione di emarginazione e scoprire ragioni per vivere con senso, con gioia, con responsabilità e competenza.
Di pari passo il Sistema Preventivo di Don Bosco ha una grande proiezione sociale; vuole collaborare con molte altre agenzie alla trasformazione della società, lavorando per il cambio di criteri e visioni di vita, per la promozione della cultura dell’altro, di uno stile di vita sobrio, di un atteggiamento constante di condividere gratuitamente e di lottare per la giustizia e la dignità di ogni vita umana.
Inoltre, questo Sistema crede decisamente che la dimensione religiosa della persona è la sua ricchezza più profonda e significativa, e perciò cerca, come finalità ultima di tutte le sue proposte, di orientare ogni ragazzo verso la realizzazione della sua vocazione a figlio di Dio. Penso che questo sia uno dei contributi più importanti che il Sistema Preventivo di Don Bosco può offrire nel campo dell’educazione dei ragazzi, degli adolescenti e dei giovani in situazione di povertà e rischio psicosociale.
Tutta questa strada Don Bosco l’ha voluta realizzare trasformando le sue opere educative in vere e proprie case – voleva che si chiamassero proprio in questo modo, in un’epoca in cui non esistevano le “Case-Famiglia” oggi tanto diffuse, Borgo Don Bosco compreso - dove il ragazzo potesse esperimentare appunto un clima di famiglia, inserirsi attivamente in una rete di rapporti interpersonali autentici e significativi, e così sviluppare il suo protagonismo e la sua naturale creatività. È quello che si chiama “una comunità educativa”, in cui tanto gli educatori come gli stessi giovani condividono man mano i valori e i traguardi del progetto educativo e si impegnano insieme nella sua realizzazione. L’esperienza del Borgo Don Bosco oggi qui raccontata ne è un mirabile esempio.
Non so se c’è veramente bisogno di un nuovo ordine internazionale o si manca piuttosto good governance. È indubbio invece che i grandi problemi macrocosmici si risolvono nel microcosmo della nostra vita e delle nostre opere educative. È lì dove cominciano la gestazione e la crescita delle proposte alternative.
La risposta di Don Bosco all’incipiente Rivoluzione Industriale, nella seconda metà del secolo XIX, non è consistita in un dibattito accademico, in una sterile ricerca di teorici correttivi di una difficile situazione, ma nella sua fantasia pastorale per uscire sulle strade, accogliere i ragazzi che venivano dalla campagna e restavano esposti allo sfruttamento, fare contratti di lavoro con i datori di lavoro che assicurassero i diritti di questi giovani, organizzare lui stessi laboratori di formazione che li mettesse in condizione di guadagnarsi onestamente il pane, e, soprattutto, offrire loro una esperienza educativa che li abilitasse ad affrontare con garanzie di successo la vita.
Dietro questo esempio luminoso, oggi ci sono centinaia di Salesiani, membri della Famiglia Salesiana, educatori, animatori, pedagogisti, psicologi, volontari che lavorano a favore dei ragazzi operai, degli adolescenti soldati, dei bambini sfruttati nel turismo sessuale, dei ragazzi della strada. Sono cambiati i tempi, sono cambiati i pericoli, i rischi, le esigenze dei minori, dunque devono cambiare anche i modelli educativi, le tipologie di intervento. Le case salesiane di Roma oggi non sono quelle di un secolo o di mezzo secolo fa che ci ha presentato il prof. Rossi. Il visitatore del Borgo di oggi non trova quasi più nulla di quanto colà esisteva e si faceva nel primo dopoguerra: e non mi riferisco solo alla struttura edilizia, si intende. Non c’è dubbio. Ma l’amore per i giovani rimane lo stesso, e guai se dovesse venir meno!
Si tratta, dicevo, di una chiara e significativa esperienza di solidarietà, orientata a formare – sono parole di Don Bosco – “onesti cittadini e buoni cristiani”, cioè costruttori della città, persone attive e responsabili, consapevoli della loro dignità, con progetti di vita, aperti alla trascendenza agli altri e a Dio.
Le nostre differenti esperienze di opere di emarginazione nel mondo hanno valore come “segno” di una proposta educativa a servizio dei ragazzi, e di una proposta alternativa a favore della società, e gioveranno veramente a dare volto umano alla globalizzazione se siamo capaci di creare uomini solidari e di promuovere reti di solidarietà.
“Globalizzare tutti insieme l’impegno per l’educazione! È questo un compito per tutti gli uomini e le donne che responsabilmente hanno a cuore il futuro dei propri figli e di tutti i giovani del mondo. A una globalizzazione di tipo economico cerchiamo di rispondere con una globalizzazione di tipo educativo, che dia vigore e speranza al mondo giovanile”.
Don Pascual Chávez Villanueva,
Rettore Maggiore
Roma – Campidoglio, 27 novembre 2002