1980_CastanoL_Don_Rinaldi_vivente_immagine_di_Don_Bosco


1980_CastanoL_Don_Rinaldi_vivente_immagine_di_Don_Bosco

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U.P.S. - BIBLIOTECA
DON BOSCO
DOPPIO
CONTROLLATO

1.4 Page 4

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Ricordando la benedizione
che don Rinaldi mi dava
il 9 luglio 1922
nel partire
dall'Oratorio
per le Missioni
della Patagonia

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LUIGI CASTANO
DON RINALDI
vivente immagine di don Bosco
EDITRICE ELLE DI CI
10096 LEUMANN (TORINO)

1.6 Page 6

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Nihil obstat
Romae, 27.5.1980
>B Josephus Casoria, Archiep. tit. Foronovan., a Secretis
Proprietà riservata alla Elle Di Ci - 1980

1.7 Page 7

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FONTI
Il presente lavoro attinge a fonti processuali, archivistiche e bibliogra-
fiche, delle quali si dà una breve rassegna.
A. Fonti processuali
Sono costituite dall'insieme delle indagini canoniche condotte dal 1947
al 1953 a Torino e a Barcellona, in vista della Causa di Beatificazione e
Canonizzazione del Servo di Dio.
I risultati di istruttorie, esami e discussioni si trovano in: Positio super
Causae Introductione, Roma, 1972.
Le componenti della Positio sono:
a) lnformatio, pp. 1-88.
b) Summarium, pp. 1-375 .
c) Litterae postulatoriae, pp. 1-46.
d) Positio super scriptis, pp. 1-13.
e) Animadversiones Promotoris Generalis Fidei, pp. 1-20.
f) Responsio Patroni ad Animadversiones, pp. 1-43.
Nel corso del lavoro si citano le singole parti della Positio, con indica-
zione di pagina e paragrafo o numero.
B. Fonti archivistiche
a) Archivio Centrale della Congregazione Salesiana (Roma).
1) [Circolari collettive del Consiglio Centrale] dal 24 gennaio 1905 al
24 aprile 1920, nn. 1-176.
2) Atti del Capitolo Superiore della Pia Società Salesiana, dal 24 maggio
1922 al 24 novembre 1931, Anni III-XII, nn . 14-57.
C. Fonti bibliografiche
COLLI EVASIO, Don Filippo Rinaldi, elogio funebre, Torino1932, pp. 12.
CERIA EUGENIO, Vita del Servo di Dio sac. Filippo Rinaldi, successore di
S. Giovanni Bosco, Torino, ristampa 1951, pp. 526.
5

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LARESE · CELLA L., Il cuore di Don Rina/di, Terzo Successore di San Gio-
vanni Bosco, Torino 1952, pp. 423.
CÀSTANO LUIGI, Servo di Dio Filippo Rina/di, Rettor Maggiore della Congre-
gazione, 1856-1931, in Santità Salesiana, Torino 1966, pp. 257-276.
FrERRO TORRES RODOLFO, El Siervo de Dios Don Felipe Rina/di, 2' ed.,
Madrid, 1960, pp. 494.
R1NALDI PIETRO M., Sospinto dall'amore, Vita di Don Filippo Rinaldi ecc.,
traduzione dall 'inglese, Torino 1979, pp. 110.
Nelle citazioni, senza alterare il testo , si è dato unità di stile e comple-
tezza di pensiero alle testimonianze e all'andatura del racconto.
6

1.9 Page 9

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PRESENTAZIONE
Nel centenario - 1880-1980 - della professione religiosa del
Servo di Dio don Fi'1ippo Rinaldi, terzo successore di don Bosco,
e nel cinquantenario, non piì:1 lontano - 1931-1981 - , del suo
pio transito, l'Istituto Secolare « Volontarie di Don Bosco», che in
don Rinaidi riconosce il suo ispiratore e fondatore, ha desiderato il
presente lavoro bio-agiografico; non tanto allo scopo di comme-
morare le due ricorrenze, quanto ne'll'intento di approfondirne lo
spirito genuinamente salesiano, gli esempi , il messaggio, e in parti-
co1are la silenziosa ma fattiva apertura ai bisogni del mondo, per
la sua animazione e santificazione cristiana.
Non si può tuttavia scrivere di don Rinaldi senza tratteggiare e
compendiare un'epoca di storia, che porta il sigillo de'lle origini
salesiane, e ne interpreta, applica ed estende il carisma. Con don
Rina1di si chiude infatti fa prima età di Salesiani e Figlie di Maria
Ausiliatrice, vissuti nell'alone del Fondatore e di testimoni imme-
diati de1le sue imprese e dei suoi insegnamenti.
L'opera quindi è rivolta al'l'intera Famiglia Salesiana che in don
Rinaldi scopre, in modo evidente e in misura difficilmente supera-
bile, l'efficace paternità di don Bosco, e la avverte come caratteri-
stica fondamentale della sua santità.
In una indimenticabile circostanza, attorno alle spoglie del
Santo ohe da Valsa1ice ridiscendevano a Va'ldocco, si cantò a voce
di moltitudini: « Don Bosco ritorna». Non sarà meno vero · oggi
asserire che don Bosco ritorna in don Rina'ldi, che ne fu, proiettato
nel tempo, la vivente immagine. E la sua missione pare di attualità,
ora che il decreto Perfectae Caritatis del Vaticano Secondo invita
7

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le famiglie religiose a un ritorno alle sorgenti delle rispettive forme
di consacrazione, per il ripristino della identità che ognuna deve
avere e manifestare nella Chiesa.
non Rinaldi può risuitare un passaggio obbligato per la rinascita
effettiva e sicura dell'autentkità salesiana. Giudicheranno i lettori.
Varese, 24 aprile 1980
d. L. C.
8

2 Pages 11-20

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2.1 Page 11

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PRELUDIO

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2.3 Page 13

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1
VERSO GLI ALTARI
Nel 1929, l'anno della beatificazione di don Bosco, dalla quale
scaturì un riflesso di onore e di gloria anche per don Filippo Rinal-
di, suo terzo successore, don Giovanni Battista Francesia, poeta,
scrittore e conoscitore come pochi delle origini salesiane, con felice
accostamento di nomi e di traiettorie ,spiritua'li ebbe a dire: « A don
Rina/di manca solo la voce di don Bosco: tutto il resto l'ha ».1
Non era adulazione e tanto meno elogio estemporaneo del Supe-
riore che impersonava il novello Beato. La testimonianza dell'ultra-
novantenne superstite della prima schiera che aveva suscitato nel
1859 la Congregazione, offriva in anticipo un giudizio fondato e
sicuro circa la santità di don Rinaldi; il quale si era sempre studiato
di nascondere sotto un velo di semplicità e quasi di bonomia i te-
sori e il lustro delle non comuni virtù.
Anche la morte avvenuta nel 1931, tra beatificazione e canoniz-
zazione di don Bosco, sembrò distogliere lo sguardo e l'interesse di
molti per la sua persona, che pure aveva 'lasciato orme indelebili
neHa storia salesiana e nella guida spirituale di molte anime .
***
La fama però di santità fiorita al momento del suo trapasso era
tutt'altro che spenta. Covava sotto la cenere in attesa di esplodere
al momento segnato dalla Provvidenza. Lo lascia intravedere don
Ricaldone, succedutogli nel governo della Società Salesiana, al pro-
cesso Informativo di Torino.
« Dato - afferma - il suo impegno di non lasciar trasparire...
nulla di straordinario, non si pensava che di 1lui si dovesse avviare
la Causa di beatificazione. Di ciò ero persuaso a tal punto che alle
11

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persone, le quali domandavano se non fosse il caso di promuovere
indagini canoniche, rispondevo: " Lasciamoci guidare dal Signore;
se Egli vorrà glorificare il suo servo, lo farà capire in maniera ine-
quivoca " ».2
'
E la Provvidenza che « esalta gli umili» (Le 1,52), e pone sul
candelabro chi si nasconde in faccia agli uomini, perché fa ,sua luce
risplenda « a tutti queHi che sono nella casa » (Mt 5,15), intervenne
con un fatto strepitoso, passato a processo e destinato forse a glori-
ficare in terra l'umile grande Rettor Maggiore dei Salesiani, e Fon-
datore - come si vedrà- delle Volontarie di don Bosco.
Don Ricaldone infatti aggiunge nella testimonianza giurata:
« Poco dopo ebbi comunicazione dalla Curia di Mondovì (Cuneo),
con cui mi s'informava di una guarigione là avvenuta per interces-
sione di don Rinaldi. Si capì daU'aocaduto quale fosse il disegno di
Dio e non si frapposero indugi all'inizio della Causa ».3
Il fatto capitato sul finire della seconda guerra mondiale viene
riferito nei particolari al menzionato processo Informativo di Tori-
no, da chi fu testimone diretto ed ebbe parte immediata e prepon-
derante nel far fronte al tragico avvenimento.
Il 20 apri'le 1945 suor Maria Carla De Noni, Missionaria della
Passione di Gesù, viaggiando in ferrovia da Villanova a Mondovì
fu sorpresa da mitragliamento aereo delle ultime sconvolte giornate
di guerra in Italia settentrionale: era portatrice di viveri a parti-
giani nascosti.
« Mancava poco alla stazione di Mondovì - racconta la teste
madre Maria Lazzari, fondatrice e superiora del nascente Istituto
- allorché tre aeroplani, comparsi improvvisamente nel cielo, sce-
sero a bassa quota e mitragliarono fa motrice e le vetture del con-
voglio elettrico.
Suor Maria Carla fu gravemente colpita; ebbe fracassata e in
parte asportata la mandibola inferiore e riportò ferite al polmone e
al braccio sinistri. Le condizioni generali si rivelarono subito aUar-
manti, tanto che le si amministrò l'Olio degli infermi per strada.
Si riuscì a trasportarla in clinica, ma si temeva da un momento
aU'altro il decesso.
Tosto si fece ricovso con la preghiera all'intercessione di don
Rinaldi - madre Lazzari era stata sua figlia spirituale e ne stimava
la santità - : e l'inferma poté esser trasferita alla ,casa centrale di
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Villanova-Mondovì. Ma il 27 aprile, a una settimana dal sinistro
era agonizzante: H medico dichiarava non esservi più ·speranza di
ripresa.
Ricordai allora - prosegue madre Lazzari - di avere un faz-
zoletto di don Rinaldi; andai a prenderlo e lo diedi a suor Celina,
perché lo applicasse alla morente, mentre io radunavo la comunità
in cappella onde implorare il miracolo per intercessione di don
Rinaldi. Poi corsi al letto di suor Maria Carla con l'angoscia in
cuore.
L'ammalata raccontò più tardi che a'I contatto del fazzoletto di
don Rinaldi con la parte inferma le era sembrato ,come se la morte
si allontanasse da lei. Sentì un gran sollievo e con stupore dei pre-
senti chiese da bere: ma con gesti, poiché dopo il mitragliamento
non aveva più potuto articolar parola. Le porgemmo del latte e
riuscì a sorbirlo.
Da quell'istante cominciò a migliorare: in poco tempo si chiu-
sero >le ferite, e la carne e la cute del viso si ricomposero in ma-
niera sorprendente. Mancava però parte della mandibola, per cui
la bocca non si chiudeva, la lingua restava penzoloni e suor Maria
Carla non poteva né parlare né mangiare.
L'infermiera suor Celina che l'accudiva le disse più tardi: " Ve-
drà, suor Maria Carla, don Rinaldi non lascerà le cose a metà: le
farà crescere anche l'osso".
Qualche giorno dopo suor Maria Carla si addormenta al pome-
riggio e riposa a lungo. Svegliatasi ha una strana sensazione in boc-
ca. Si sfascia, si tocca il mento e nota che era cresciuto l'osso della
mandibola. Da quel momento si sentì completamente guarita; poté
chiudere la bocca, parlare, nutrirsi e riprendere la vita di prima » .4
Non ci furono più dubbi o incertezze nei responsabili: il cielo
aveva parlato; Dio voleva la glorificazione di don Rinaldi, per esal-
tarne le virtù, il fecondo apostolato, non sempre da tutti compreso,
la stupenda paternità salesiana che tanto l'aveva avvicinato a don
Bosco « padre e maestro della gioventù » .5
***
Non ci volìe molto per riscoprire e lumeggiare, a quindici anni
dalla scomparsa, la figura di don Rinaldi, salesiano dei tempi anti-
chi e superiore secondo il cuore di Dio e del Fondatore.
Don Ricaldone che, pur essendogli vissuto lungamente accanto,
era rimasto perplesso sulla convenienza di avviarne la Causa, così
13

2.6 Page 16

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ne scolpisce il profilo: « Dovendo esprimere il mio modesto giudizio
sulla personalità di don Rinaldi, direi che egli fu sacerdote di gran-
de vita interiore, di giudizio e criterio pratico veramente eccezio-
nali; di una bontà e paternità che gli traspariva da tutti gli atti ;
di una forza e capacità di lavoro che non si riesce a spiegare, con-
siderando negli ultimi tempi la salute molte volte precaria ; e in-
fine di una umiltà così profonda, da non lasciar trasparire nella per-
sona alcunché di straordinario ».6
Tuttavia lo straordinario c'era nella sostanza e nelle modalità
di un agire controllato e perfetto; e non sfuggiva all'occhio di os-
servatori attenti e sagaci. Madre Rosalia Dolza, ispettrice delle Fi-
glie di Maria Ausi'liatrice dichiara ai processi: « Non ho trovato né
conosciuto sacerdoti e superiori che gli fossero uguali in virtù e
santità, pur trattandosi di persone degnissime e di religiosi pieni di
virtù. Il Servo di Dio eccelleva e tutti superava in modo eminente ».7
Aggiunge don TranquiHo Azzini: « Io che gli fui per molti anni
vicino a motivo di lavoro nel suo stesso ufficio, posso attestare che
teneva continuamente la corona in mano e quando aveva spazi di
libertà si innalzava a Dio con preghiere, giaculatorie e sante invo-
cazioni. Lavoro e preghiera, si può dire, furono la caratteristica
della sua vita, pur così movimentata a causa delle alte mansioni ».8
H compaesano mons. Evasio Colli, allora vescovo di Acireale,
poi di Parma, così parla di don Rinaldi nell'Elogio funebre, a po-
che settimane dalla scomparsa:
« Don Rinaldi fu uomo che ebbe l'equilibrio di tutte le virtù
più che l'appariscente preponderanza di una di esse. Egli fu , al me-
desimo tempo, uomo di azione formidabile ed asceta; audace e pru-
dente; tenace ed umile; forte e paterno; uomo di affari e uomo di
Dio; apostolo e costruttore; moderno e conservatore. Fu, insomma,
uomo spiritualmente completo, che lavorò in estensione e profon-
dità, con l'avvedutezza di un condottiero e la tenerezza di un padre ;
con la dignità di un capo e la modestia di un soldato sconosciuto ...
Dalla abituale unione con Dio... derivava in lui, come in don
Bosco, quella... calma serena e fidente, forte e.. . mansueta..., con
cui tutti accoglieva e ascoltava, come se in quel momento null'altro
avesse a pensare; quella calma per cui non si sgomentava nelle più
terribili evenienze e non si esaltava nei trionfi; sempre uguale a se
14

2.7 Page 17

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stesso; sempre serenamente vigile; sempre sanamente ottimista
come i santi... ».9
* ~' *
La figura di don Rinaldi, oltre che dal'le affermazioni di coevi
e testimoni, prima di rivivere nel suo quadro biografico, si affaccia
nitida e luminosa nelle Lettere Postulatorie di vescovi ed altre per-
sonalità, le quali non temono di eccedere nell'esaltarne meriti e san-
tità, mentre sollecitano alla Sede Apostolica l'Introduzione della
Causa.
Il cardinale Giacomo Lercaro, arcivescovo di Bologna, ne mette
a fuoco « lo zelo illimitato e prudente, la pietà sincera e profonda,
la carità spirituale e materiale senza limiti, e in particolare quella
inalterabile ed universale bontà paterna, che faceva rinascere in lui
la dolcezza di san Francesco di Sales e la mitezza del Salvatore ».10
Il cardinal Dalla Costa, arcivescovo ,di Firenze, nel ministero
pastoraile di don Rinaldi sottolinea « il padre, il superiore, il diret-
tore d'anime » '1; mentre l'arcivescovo di Vercelli mons. lmberti,
che a Torino « molte volte » lo aveva avvicinato nelle più svariate
circostanze, così ne parla: « Sacerdote esemplarissimo, di uno zelo
eccezionale, di spiccata vita interiore, seppe riflettere in alla per-
fezione le virtù di don Bosco, viverne lo spirito e trasfonderlo nei
suoi figli spirituali ».12
Fa eco il satlesiano mons. Salvatore Rotolo, prelato di Altamura
e Acquaviva delle Fonti : « Il Servo di Dio - scrive - aveva capito
in pieno lo spirito salesiano e lo viveva in forma eroica, sì da lascia-
re in quanti l'avvicinavano il più soave ricordo. Pochi superiori fu-
rono tanto amati come don Rinaldi, che faceva toccare con mano la
divina paternità » .13
Perciò, soggiunge l'arcivescovo di Bari mons. Nicodemo, « egli
può essere considerato come un consumato maestro di spirito, che
seppe Hluminare, indirizzare, correggere e riempire dell'amore di
Dio e delle anime quanti ebbero Ia ventura di attingere all'inesau-
ribile ricchezza del suo spirito ».14
***
Madre Angela Vespa, superiora generale delle Figlie di Maria
Ausiliatrice, poté a sua volta dichiarare: « Nel nostro Istituto don
Rinaldi profuse tesori di ,saggezza e di prudenza nel .segnare diret-
tive secondo lo spirito del ,santo Fondatore e le esigenze dei tempi.
Diede fervido slancio all'apostofato missionario; zelò fa cura delle
15

2.8 Page 18

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vocaZJioni e il sorgere di apposite case per la loro formazione. So-
prattutto ebbe a cuore la santità della vita religiosa, l'unione con
Dio, l'interiorità dello spirito nel fervore dell'azione, così da santi-
ficare il lavoro e da trasformarlo in autentica preghiera » .15
Da ultimo Carla Turco, in nome dell'Unione don Bosco fra edu-
catori, suscitata dal Servo di Dio: « Don Rinaldi - osserva con
animo riconoscente e commosso - ebbe la squisitissima dote di
saper scorgere l'azione occulta della grazia nella vita degli umili,
di seguirla, apprezzandola come si conveniva, e di assecondarla.
Meritamente quindi il Signore gli concedeva di veder coronate da
successo le imprese cui poneva mano. L'Unione di don Bosco fra
educatori è di quelle » .16
***
Non senza ragione quindi l'avcivescovo di Torino, cardinale
Maurilio Fossati, concludeva la sua supplica a Giovanni XXIII in
questi termini: « Santità: dinanzi a questa prodigiosa manifesta-
zione di virtù e di santità del Servo di Dio, quale Pastore di questa
città che si onora di avere fa culla della Società Salesiana ..., sento
impellente il bisogno e imprescindibile il dovere di umiliare a Vo-
stra Santità la mia preghiera onde voglia compiacerSi di segnare la
Commissione per l'Introduzione della Causa ... Sono intimamente
convinto che la esaltazione di don Filippo Rinaldi, mentre sarà di
maggior gloria per il Signore che vien glorificato nei suoi santi, co-
stituirà per la duplice Famiglia Salesiana un vivo incitamento a cal-
carne le orme di virtù e di santità, e per i fede'li tornerà di stimolo
ad apprezzare i beni celesti ».17
** *
Questo è don Rinaildi, uomo di Dio e candidato all'onore degli
altari, visto dalle vette che seppe raggiungere: una creatura che non
si attarda e non si perde nei sentieri del mondo, ma drizzata la mira
e scelta la mèta, la persegue con tenacia indomabile a prezzo di
ogni sacrificio.
Ma santi non si nasce. Il cammino, soprattutto agli inizi, può
essere incerto e duro; occorrono coraggio, perseveranza e docilità
alla chiamata. Occorre speciamente fiducia in chi ha da Dio il cari-
sma di leggere nel futuro e di tracciare con mano esperta la strada
ai principianti. Per don Rinaldi fu così.
Lo vedrà chi vorrà seguirci nel racconto della sua vita, che in-
comincia dai campi, e dopo qualche alternativa, sale dritta come
16

2.9 Page 19

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« la via del giusto» (ls 26,2), verso l'alto di continue e crescenti
responsabilità, fino a impersonare la vita, le virtù e le opere del
Fondatore don Bosco: fatto a sua volta perfetto come il Modello e
come lui meritevole d'imperitura memoria.
N ot e
' Da un ricordino funebre di don Fi-
lippo Rinaldi del 1931 ; e Summ., 98,
344.
' Summ ., 266-267, 927.
3 Summ., 267, 928.
' Summ., 311-321 , 1088-1089.
5 Liturgia di S. Giova nni Bosco.
' Summ., 266, 927 .
' Summ., 163, 564.
' Summ ., 16, 53.
9 CO LLI E., pp. 1-2, 4-5 .
10 Liii. postul., 5.
" Litt. postul., 6.
12 Litt. postul., 8.
13 Litt. postul., 31.
14 Lift. postul., 13.
" Litt. postul., 38.
" Litt. postul., 16.
17 Litt. postul., 3-4.
17

2.10 Page 20

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3 Pages 21-30

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3.1 Page 21

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Parte prima
IN CAMMINO
- Figlio dei campi
- Prediletto di un Santo
In Congregazione
Salesiano e sacerdote
Direttore
A Sarrià
- Ispettore di Spagna e Portoga1lo
- Prefetto Generale

3.2 Page 22

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3.3 Page 23

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2
FIGLIO DEI CAMPI
Come don Bosco, don Rinaldi, destinato ad esserne il terzo suc-
cessore, è figlio di contadini. Viene dai campi e dalla vita agricola,
che sanno dare uomini robusti e laboriosi.
Fu sua terra natale il Monferrato, nella parte nord-orientale com-
presa fra il Tanaro e la riva destra del Po, a una ventina di chilo-
metri circa da Casale, capoluogo della zona.
Il terreno è collinare e lievemente degrada verso i due fiumi che
attraversano fertili se pur strette pianure.
Paesi e borgate punteggiano le sommità dei modesti rilievi, in
un rincorrersi di alture dai fianchi cosparsi di vigneti, campagne,
boschetti e casolari.
A qualche distanza dalla strada che da Casale Monferrato, pas-
sando per Mirabella e San Salvatore, porta ad Alessandria, su di
un poggio dei meno elevati, prospiciente a distanza più il corso del
Tanaro che le ampie sinuosità del Po, sorge Lu Monferrato, paese
di don Rinaldi, noto per la religiosità dei suoi abitanti e la straor-
dinaria ricchezza di vocazioni sacerdotali e religiose fornite alla
Chiesa negli ultimi cento anni. Un fatto che ha destato meraviglia
e ha richiamato l'attenzione - come si vedrà - di ecclesiastici
interessati al problema.
Lu era e rimane un grosso borgo agricolo dell'alto Monferrato,
senza particolare storia, anche se vanta una vecchia torre quadran-
golare che sembra sorvegliare e proteggere l'abitato come sentinella
più che fortezza, e « forma - scrisse don Francesia nel secolo scor-
so - l'invidia e il desiderio dei paeselli vicini ».1
Nell'Ottocento la popolazione, tradizionalmente fedele alle pra-
tiche e osservanze cristiane, viveva dei piccoli commerci e soprat-
21

3.4 Page 24

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tutto del lavoro dei campi. Uve, frumento, granoturco, foraggi, frut-
ta: i prodotti principa'li del terreno ferace e coltivato con solerzia
ed amore.
Al tempo di cui si tratta c'erano a Lu tre parrocchie: la colle-
giata di Santa Maria Nuova, San Nazaro e San Giacomo, con i ri-
spettivi titolari.2 Come si vede, una popolazione spiritualmente assi-
stita e perciò in grado di dare buona prova di religiosità nella vita
delle famiglie e della comunità paesana. Don Rinaldi, rievocando
memorie della sua fanciullezza , svelerà ad estranei il segreto che
aleggiava nelle case del tempo e si effondeva dal cuore e dalla vita
di mamme genuinamente cristiane.
Egli nacque il 28 maggio 1856, ottavo di nove figli dei coniugi
Cristoforo Rinaldi e Antonia Brezzi.
Quella dei Rinaldi non era l'ultima tra ile famiglie di Lu, non
solo per la corona di figli sopraggiunti nel volgere di un ventennio,
ma anche per le proprietà agricole , da1le quali traeva prospe-
rità e benessere. Anche un secolo dopo, nel 1958, al termine
dei processi sulla vita, virtù e miracoli del Servo di Dio, il sin-
daco di Lu, Enrico Grattarola, elencava quella dei Rinaldi tra le
famiglie « benestanti » del paese, e osservava con acuta semplicità:
« I Rinaldi ... avevano ed hanno tuttora beni più che bastevoli, da
non dover emigrare per il mondo in cerca di fortuna ».3
Una famiglia, si direbbe con linguaggio moderno, di coltivatori
diretti, la quale con le tecniche del tempo, fondate sull'esperienza
e sul lavoro delle braccia, curava assiduamente le proprie terre,
cavandone sostentamento e decoro. Dei contadini agiati, in una
parola: gente modesta, abituata alla fatica dei campi, senza miraggi
di straordinari guadagni, lieta di vivere anche una lunga esistenza
all'ombra del proprio campanile.
Don Rinaldi non rinnegò mai Ie sue origini, che lo facevano
figlio del popolo e amico degli umili, pur se ammirò e ringraziò la
Provvidenza di averlo preso dai campi per affidargli il governo spi-
rituale dei fratelli.
***
Al benessere in casa Rinaldi si accoppiava l'attaccamento alla
fede. Dei genitori del Servo di Dio un testimone di famiglia asse-
risce che erano « entrambi di ottimi principi e di vita integra!Jmente
22

3.5 Page 25

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cristiana ».4 Anche don Ricaldone, nativo di Mirabella Monferrato,
a cinque chilometri da Lu, attesta di scienza propria ai processi:
« In famiglia sentii sempre parlare dei parenti del Servo di Dio, che
per vicinanza di paese erano assai noti ai miei congiunti, come di
persone di sani principi cristiani e praticanti ».5
Lo stesso don Rinaldi rese indirettamente a sua madre una te-
sfimonianza che da sola illustra l'atmosfera di famiglia e lascia in-
travedere i lunghi anni da lui passati tra le pareti domestiche.
Impegnato al problema deHe vocazioni un ,sacerdote era stato
a Lu, senza tuttavia darsi ragione di una fecondità che lo invoglia-
va a studiare il fatto di centinaia e centinaia di chiamati in un pic-
colo centro di campagna, senza speciali attrattive religiose. Capi-
tando più tardi a Torino volle interpellare don Rinaldi, che di quel-
la floridezza vocazionale era la più rinomata espressione. « Lei -
disse pacatamente il Servo di Dio - non ebbe successo nell'inda-
gine perché non è penetrato nel sacrario delle famiglie. Il secreto
delle vocazioni sta tutto nella fede e nella pietà delle nostre mam-
me. Esse, devote agli insegnamenti della Chiesa, facevano il possi-
bile per allevare i figli nel timor di Dio, istillando nelle loro anime
quei sentimenti che sono la disposizione migliore a secondare la di-
vina chiamata ».6
***
In conclusione: una famiglia, quella di don Rinaldi, saldamente
ancorata all'amore, che non teme le nascite; a1 lavoro della terra,
che riempie le giornate e le stagioni, e dà serenità e gioia; alla pra-
tica assidua e fedele delle osservanze cristiane, che attribuiscono
senso u'ltraterreno alla vita.
Un insieme doè patriarcale di gente semplice, attiva, onesta,
legata alle tradizioni del passato e libera da ambizioni che non mi-
rino alla prosperità dei suoi membri, specie dei figli.
In definitiva, un piccolo santuario domestico, sperduto tra i colli
del Monferrato, ma tale ·da offrire la vita a un santo, che la Provvi-
denza si fosse compiaciuta d'inviare al bene degli altri.
***
Lo spirito schiettamente cristiano dei Rinaldi, attaccati al Van-
gelo in forza della predicazione più che dello studio, traspare da
un fatto legato alla nascita del Servo di Dio.
23

3.6 Page 26

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Venuto in luce alle « otto del mattino », alle « due pomeridia-
ne» era già portato a Santa Maria Nuova per il battesimo. Una
premura che, senza essere eccezionale, mette a fuoco lo stile reli-
gioso della famiglia.
Ne ,dà conferma l'atto di battesimo, al numero 48 del registro·
parrocchiale del 1856.
Il rito fu amministrato dal canonico Francesco Garlando, ma è
sottoscritto dal parroco, prevosto don Nicola Roggero.7
Al neonato furono imposti i nomi di Pietro e Filippo. Il secondo
prevalse sul primo per motivi che nessuno precisa.
Padrini, l'agricoltore Costantino Quartero - un amico o paren-
te - , e fa sorella Filomena, alla quale il Servo di Dio si mostrerà
sempre affezionato, forse anche perché nell'infanzia gli fece un po'·
da mamma.
***
Il battesimo non è mai avvenimento secondario per chi viene
incorporato a Cristo nel segno e nel mistero della salvezza. Per Fi-
lippo Rinaldi, che si apriva alla vita nel mese di Maria, divenne
l'impegno dell'intera esistenza. Col fiorire degli anni, a misura che
egli andrà scoprendo gli obblighi e le ricchezze del battesimo, cre-
scerà in lui l'ardore della pietà e l'esercizio delle virtù, pur con al-
ternative d'incertezza e passaggi di qualche difficoltà.
Alla rinascita spirituale il Servo di Dio vorrà essere fedele sino
alla fine, in uno sforzo costante di santità e nella ricerca assidua
della perfezione.
Vorrà giungere all'estremo traguardo con l'abito di grazia dell'
onda battesimale e l'ardente lampada d'una fede vittoriosa n~lle
lotte e contrasti della vita, che non potevano mancargli.
Di auspicio gli erano lo sguardo e la benedizione della Vergine,.
nel cui tempio diventava figlio di Dio.
* * ,i
A sei anni esatti, il 21 maggio 1862, riceveva il sacramento della
Cresima in Cùccaro Monferrato, dalle mani di mons. Luigi Nazari
di Calabiana, vescovo diocesano di Casale, poi arcivescovo di Mi-
lano.
La preparazione fu certamente sommaria e cosa di famiglia,
vista la scarsa età del fanciullo, che dava però segni d'inte1'ligenza
viva e di rare intuizioni, come si dirà .
24

3.7 Page 27

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A quei tempi il passaggio del Vesoovo era motivo sufficiente
per affrettare il sacramento della confermazione, nella certezza che
non mancherebbero in seguito studio e approfondimento della dot-
trina cristiana. Don Roggero nel presentare il piccolo Filippo Rinal-
di fuori paese per il sacramento del perfetto cristiano, non poteva
dubitare dei suoi genitori che erano tra gli ottimi fedeli del suo
gregge parrocchiale.
Un particolare invece merita rilievo e documenta conoscenze
ed amicizie dei Rinaldi in diocesi, se pure non si tratti di mera
casualità. Padrino di cresima del Servo di Dio fu « il sacerdote Emi-
liano Manacorda »,8 più tardi vescovo ,di Fossano, grande ammirato-
re di don Bosco e sostenitore delle Opere Salesiane.
Se in anticipo si volessero scrutare i doni dello Spirito Santo a
Filippo Rinaldi, destinato a svolgere una larga missione apostolica
nel mondo, si dovrebbe dire che la Cresima depose in lui germi di
sapienza e discernimento degli spiriti; di soavità e unzione nel go-
verno delle anime; di bontà e amorevolezza nell'esercizio di una
straordinaria paternità che gli avrebbe guadagnato i cuori.
Ci vorrà del tempo perché tutto ciò fiorisca e dia frutti: ma la
grazia non ha fretta; vuole solo corrispondenza e sacrificio, pron-
tezza ai suoi richiami e ardore di carità. Don Rinaldi, identificato
il cammino da percorrere, non porrà indugi ai ministeri che Dio gli
prepara e vivrà in pienezza i doni dello Spirito a vantaggio degli
altri.
***
Dire ora che l'esistenza del Servo di Dio sboccia in un'epoca for-
temente mariana è cogliere fin da principio una componente della
sua spiritualità e del suo apostdlato.
Due anni prima che egli nascesse, 1'8 dicembre 1854, Pio IX
aveva solennemente definito il dogma dell'Immacolata Concezione
di Maria; e due anni dopo la sua nascita la Vergine stessa appariva
a Lourdes a confermare l'insigne privilegio.
La devozione all'Immacolata, sincera e robusta in tutto il Pie-
monte, aveva bussato anche aMe porte delle famiglie cristiane di Lu
Monferrato e noi la troviamo in casa Rinaldi come stimolo quoti-
diano di devozione e di preghiera.
In una niochia sul pianerottolo della scala che portava alle stan-
ze e si apriva sul ,cortile di casa, una statuetta dell'Immacolata sem-
brava sorvegliare e benedire l'andirivieni dei membri di famiglia.
Al mattino, andando a scuola, i bambini so1evano inginocchiarsi al
25

3.8 Page 28

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primo gradino della rampa inferiore per un'Ave Maria alla regina
del cielo. A sera poi, conducendo i figli a dormire, mamma Anto-
nia ,sostava con ,loro dinanzi al simulacro della Madonna, e ispirava
e guidava la preghiera: « Vi saluto, o Maria, e vi dono H mio cuore:
non restituitemelo più » .9
Vi fu un tempo in famiglia nel quale si pensò di sostituire l'umi-
le statuina con altra più bella. Don Rinaldi si oppose decisamente.
Quell'Immacolata gli ricordava i tempi lontani dell'infanzia e prima
giovinezza; gl'insegnamenti e gli esempi materni, portati sempre in
cuore; i teneri slanci dell'animo verso la Madre di Dio, avanti an-
cora di capirne la grandezza e la missione nella storia delle anime.
Della Prima Comunione del fanciullo non sopravvive ricordo.
Difficile dire se la fece a Lu, prima dei dieci anni, o nel coHegio,
salesiano di Mirabello, dove presto lo troveremo a cimentarsi con gli
studi secondari, pur senza risultati.
B certo ad ogni modo che sin dall'infanzia Filippo risentì un'
accentuata debolezza all'occhio destro, che andò attenuando la ca-
pacità visiva, fin quasi a sopprimerla nella tarda età, e gli fu mo-
tivo di incomodi, talora notevoli, nel corso .dell'esistenza.
Quanto al resto il giovane crebbe forte , sano e slanciato nella
persona, di piacevole aspetto, anche se schivo e riservato, d'intelli-
genza più che mediocre.
Non si sa molto degli studi primari, che seguì probabilmente par-
te in casa parte neMe pubbliche scuole del paese, dove la cultura
era in arrivo col progresso della storia nazionale.
* * ;~
Infatti dopo la seconda guerra d'Indipendenza, il 17 marzo 1861
veniva proclamato il regno d'Italia, sotto la corona di Vittorio Ema-
nuele II di Savoia·Carignano, e si preparava l'annessione degli Stati
Pontifici e l'occupazione di Roma il 20 settembre 1870.
Il Servo di Dio conobbe gli avvenimenti esterni del'la sua prima
età, senza poterne valutare la portata e le conseguenze. Egli non
respingerà mai l'amore della patria terrena, ma la servirà facendo
le sue scelte in campo spirituale. Vorrà essere un cittadino esem-
plare, come don Bosco, e per dovere di ufficio si trovò a trattare
con alte Autorità amministrative dello Stato e con Principi del san-
gue, ma più che gl'interessi fugaci degli uomini cercherà gl'interessi
26

3.9 Page 29

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di Dio e delle anime. Non ambirà glorie e successi mondani: vorrà
solo essere un prete che vive la sua vocazione e il suo apostolato:
e anche questo dopo essersi persuaso che Dio lo voleva per quel
cammino .
Così è don Rinaldi sul limitare della vita: modesto nella nascita
e nella condizione sociale della sua famiglia, che non vantava pre-
rogative di grandezza; umile nelle qualità e risorse umane, protette
da temperamento riflessivo e placido, che poté sembrare indeciso;
ricco solo d'insegnamenti assimilati al tepore della comunità dome-
stica e parrocchiale, che di lui fecero un fervente cristiano prima
che un consacrato tra i Salesiani .
Gioverà qui ricordare che dei nove fratelli Rinaldi, figli di Cri-
stoforo e di Antonia Brezzi, tre divennero sacerdoti: 10 don Luigi,
entrato nel clero diocesano e vissuto in cura d'anime; don Giovanni,
nato dopo il Servo di Dio e ultimogenito di famiglia, fattosi anch'
egli salesiano dopo aver studiato nel seminario di Casale; e don
Filippo, nel cui nome si riassumono le glorie dei Rinaldi, sia per gli
uffici ricoperti e la popolarità della figura, sia per lo splendore della
santità, oggi all'esame e al giudizio della Chiesa.
Note
l DEA M BROGIO L., Le passeggiate au-
tunnali di don Bosco per i colli mon-
ferrini, Castelnuovo Don Bosco 1975,
p. 262.
2 DEAMBROGIO L. , op. cit., pp. 262-
263 .
3 Litt. postul., 36.
' Summ., 313 , 1093 .
5 Summ. , 267, 929.
6 Litt. postul., 34.
1 Summ ., 358 , I.
' Summ., 359, Il.
9 C ERIA E ., 10.
" Summ ., 313, 1093 .
27

3.10 Page 30

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3
PREDILETTO DI UN SANTO
Il santo è don Bosco. Alla nascita e durante l'infanzia di Filippo
Rinaldi, egli già riempiva della sua fama Torino, il Piemonte, e in
particolare la regione dell'Astigiano e del Monferrato che, si può
dire, conosceva palmo a palmo. Aveva costituito la Società di San
Francesco di Sales nel dicembre del 1859 ed era alla ricerca di svi-
luppi nelle diocesi piemontesi e di giovani che potessero diventare
avanguardie per le sue conquiste.
Nel pomeriggio del 15 ottobre 1861 lo troviamo a Lu, durante
una di quelle passeggiate autunnaH che duravano persino 15 giorni
e nei paesi portavano gioia, entusiasmo e fervore di vita cristiana.
Da Mirabello, dove con un « centinaio » di ragazzi era ospite
della famiglia Provera,1 don Bosco aveva raggiunto Lu a suon di
banda e tra canti ed evviva del suo piocolo esercito giovanile. Incu-
riosita e ammirata la popolazione andatagli incontro ascoltò la sua
parola in Santa Maria Nuova: don Bosco si rivolgeva ai giovani,
ma non tralasciava mai di esortare anche il pubblico presente alle
sue manifestazioni di pietà e di preghiera. I Rinaldi, vicini di casa,
non poterono mancare all'inconsueto appuntamento, che aveva sa-
pore di grande novità: tra essi il piccolo Filippo, di soli cinque anni
e mezzo, che faceva la prima grande conoscenza della vita.
Del casuale incontro non possono esserci precise memorie. Tut-
tavia mons. Colli, nativo come si è detto di Lu e vescovo di Acirea-
le, nel commemorare don Rinaldi dopo fa sua scomparsa assicura
che nella sua ingenuità il fanciullo ebbe a dire: « Quel prete conta
più di un vescovo ».2 Di vescovi egli non ne aveva mai visti; forse
se n'era parlato in vista della futura cresima: certo Filippo intuì
che si trattava di capi e guide del popolo, in grado di dar vita e
sostenere forti imprese; ma non poté pensare che il «prete» co-
nosciuto di sfuggita a Lu e subito ammirato sarebbe, nel volgere
28

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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degli anni, divenuto suo padre e maestro di vita apostolica e di san-
tità.
* * '~
A Lu don Bosco era andato su invito del prevosto don Roggero,
che desiderava preparargli « una casa per la cristiana educazione
della gioventù ».3 Una visita, come si vede, non di puro passatempo,
ma in prospettiva di estensione della sua opera, che mirava a span-
dersi fuori di Torino. Purtroppo né allora né più tardi la Congrega-
zione poté mai fissare le sue tende nel paesello dei Rinaldi.
Rimase però il ricordo di un apostolo che aveva ,sostato fra le
sue case, suscitando commozioni profonde. Una anziana dopo aver-
lo guardato in volto: « Se ora - esclamò - dovessi anche morire,
me ne andrei contenta perché ho visto don Bosco ».4
Si creò soprattutto una certa simpatia tra il Santo e i Rinaldi,.
dalla cui discendenza dovevano passare figli e figlie alle istituzioni
salesiane, primo fra tutti il Servo di Dio, destinato a succederg1i nel
governo della sua grande famiglia religiosa.
Con vivacità di particolari don Ceria, primo biografo di don
Rinaldi , racconta che papà Cristoforo, tornato dai campi, offrì quella
sera a don Bosco cavallo e calesse che lo riportarono a Mirabello.5
Non è improbabile che in quel momento di congedo, vedendo il
forestiero favorito e ossequiato dal padre, e salutato forse dal clero
locale, Filippo si lasciasse andare al suo commento, che esprimeva
in maniera inconsapevole una realtà piena ancora di mistero. Una
volta ancora « dalla bocca dei bambini » Dio traeva « lode » per i
suoi predestinati (Mt 21,16).
E nel caso i predestinati erano due: Giovanni Bosco e Filippo
Rinaldi, padre e figlio, maestro e discepolo, che sarebbero vissuti
per lo stesso ideale.
***
Mette conto notare qui che due anni dopo, il 20 ottobre 1863,
don Bosco apriva a MirabeHo il primo collegio fuori Torino, affi-
dandone la direzione a don Michele Rua, oggi elevato all'onore degli
altari, e allora braccio destro della nascente Congregazione.
Mirabello doveva essere il luogo di più maturo e indimenticabile
incontro.
Intanto seguiva la fanciullezza del preadolescente, dai sei ai die-
ci anni, senza novità di rilievo.
In casa Filippo imparò a leggere e scrivere sotto la guida di
29

4.2 Page 32

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maestri privati, non sappiamo se per tutto il corso elementare o solo
in parte. Studiò la dottrina e la storia sacra; divenne un frugolo
eh~ volentieri serve all'altare in veste di chierichetto; e sentì il ca-
lore di una famiglia numerosa nella quale era tra gli ultimi arrivati,
e perciò il beniamino un po' di tutti, specie delle sorelle.
La convivenza domestica, ora e più tardi, assicurò a don Rinaldi
una grande spigliatezza e libertà di spirito, e gli conferì il senso di
quella paternità larga e comprensiva che fu la sua caratteristica,
mentre lo predispose a capire lo spirito salesiano di famiglia, da lui
confermato e irradiato nel mondo della Congregazione e nei suoi
,campi di apostolato.
Non si hanno o non furono tramandati episodi e riferimenti
che segnino l'evolversi della sua personalità. Appariva un tempera-
mento tranquillo, riflessivo, portato se mai alla osservazione delle
cose esteriori e alla diffidenza di sé. Solo il tempo rivelerà il criterio
pratico nascosto in boccio e l'umifo sicurezza nell'agire, che di lui
faranno un uomo di governo.
Al suo avvenire, più che lui stesso, pensarono gli altri, special-
mente suo padre, che vegliava per la sorte dei figli e in don Luigi
aveva già dato un membro della famiglia al sacerdozio.
Le capacità intellettuali di Filippo sembravano promettere una
buona riuscita: perché non tentare anche per lui la via degli studi
nel Collegio San Carlo o Piccolo Seminario che don Bosco aveva
stabilito nel vicino paese di Mirabello? La breve distanza avrebbe
permesso di tenerlo vicino a casa e di poterlo facilmente accudire.
Che il ragazzo portasse il tesoro della vocazione i fatti lo dimo-
strarono in maniera stupenda; ma che egli non ne fosse intimamente
persuaso e sicuro fin da principio è altrettanto certo. La chiamata
del Servo di Dio non fu né un colpo di folgore, né la manifestazione
infantile di un ideale che affascina prima di essere capito. Sarà
'l'evoluzione lenta di una grazia tanto più efficace quanto più soffer-
ta e quasi respinta.
Comunque a 10 anni, nell'autunno del 1866, Filippo entrava
nel collegio di Mirabello per il corso ginnasiale. Il lavoro dei campi
e le tradizioni di famiglia non sembravano per lui. Cosa avrebbe
fatto, nessuno poteva dire; ma non è da scartare che babbo, mam-
ma, don Roggero, il fratello don Luigi ed altri puntassero a'l sacer-
dozio. Egli non si esprimeva - ed era forse prematuro l'esigerlo-,
30

4.3 Page 33

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dalla condotta esterna però lo si poteva giudicare un candidato alla
vita sacerdotale. per lì, comunque, tutti sarebbero rimasti delusi.
Il fanciullo non vide subito chiaro nel futuro del'la sua vita e la
strada doveva essere ancora molto lunga prima di una risoluzione.
La presenza, ad ogni modo, di Filippo al collegio di Mirabello,
pur se non coprì l'intero anno scolastico 1866-67, mise le premesse
del suo domani e alla lontana gli aprì la strada che Dio gli teneva
in serbo.
Alla testa dell'Istituto era don Giovanni Bonetti, scrittore e pre-
dicatore di qualità, successo a don Rua che vi rimase solo per due
anni .
Dire che a Mirabello si vivesse la vita dell'Oratorio di Torino e
che don Bosco fosse al centro dell'animazione generale di superiori
ed alunni, è fare dell'autentica storia salesiana. Benché lontano iI
Santo era presente nella parola, negli insegnamenti e nel lavoro apo-
stolico dei primi figli lanciati nel mondo ad estendere le sue opere.
Il giovane Rinaldi si trovò così alle cristalline sorgenti di una
vita che sarebbe stata la sua e fin d'allora ne assimilò i principi e
lo stile.
Non mette conto scrutare le sue capacità o gli eventuali successi
nello studio del latino: giova in cambio vedere come assorbì forme
proprie dello spirito salesiano.
Gli fu assistente, fra gli altri, i'l chierico Pao'lo Albera, con il
quale si troverà più tardi gomito a gomito nella guida della Con-
gregazione. Di ilui, che « era - si disse - di don Bosco più che
don Bosco stesso »,6 in un quadernuccio scritto ai primi tempi della
sua vita salesiana, il Servo di Dio tratteggia la figura e l'azione edu-
cativa nei termini seguenti: « Per me, visibile angelo custode fu don
Albera. A Mirabello aveva l'incarico di sorvegliarmi; e lo faceva
con tanta carità da stupirmi ogni volta che ci penso. Mi allontanava
dalle compagnie sospette, mi consigliava, mi .confortava con la nar-
razione di fatterelli, e mi faceva passare le ore di ricreazione come
in un baleno. Ma più delle parole aveva risonanza nel mio cuore il
suo portamento modesto, pio, religioso. Anche 'lontano dalle case
salesiane - allude al ritorno in famiglia - ebbi sempre dinanzi
agli occhi, come se li rivedessi, gli esempi del chierico Albera » .7
Un'osservatore attento e sagace il piccolo Filippo Rinaldi in col-
legio: un adolescente ponderato e giudizioso che bada aHo studio
31

4.4 Page 34

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- per il quale d'altronde non si sentiva troppo tagliato - , ma
non trascura le persone incaricate di indicargli un sentiero.
* :,: *
A Mirabello soprattutto Rinaldi ebbe la fortuna d'incontrarsi
di nuovo con don Bosco, il quale non lasciava di visitare i suoi figli,
sia per sostenerli nella fatica, sia per plasmarli all'ideale di vita con-
sacrata ed apostolica in mezzo a'lla gioventù.
Quell'anno scolastico ci fu due volte: sul finire del novembre
1866 e il 9 luglio del 1867, quando probabilmente il giovane pen-
sava già di abbandonare gli studi per tornare dai suoi a Lu Mon-
ferrato.
Dell'incancellabi'le incontro con don Bosco del 1866 don Rinaldi
parlò pubblicamente in una circolare del 1931, due anni dopo la
beatificazione del Santo. Non si trattava più di impressioni infantili,
ma di veri ed autentici ricordi che lo riempivano di ,commozione e
avvaloravano il messaggio educativo del Padre assurto alla gloria
degli altari.
« Ricordo come ieri - scriveva don Rinaldi, vicino ormai al
tramonto - , la prima volta che ebbi la fortuna di avvicinare don
Bosco nella mia fanciullezza . Contavo poco più di dieci anni. Il
buon Padre era in r.efettorio dopo il pranzo, ancora seduto a mensa.
Con grande amorevolezza s'informò delle mie cose - forse rievocò
la sua comparsa a Lu nel 1861 - , mi parlò al'l'orecchio e dopo
avermi domandato se volevo essere suo amico soggiunse, quasi per
sollecitare una prova di corrispondenza, che l'indomani andassi a
confessarmi da lui. Sono luci del mattino - conclude don Rinaldi
- che brillano di viva chiarezza ora che la vita volge al termine ».ij
***
Con animo discreto don Rinaldi non dice di aver accolto l'invito
di don Bosco: è tuttavia certo che l'indomani gli si presentò in con-
fessione e gli aprì il cuore. Anche don Bosco non rivelò mai le sue
impressioni sul giovanetto di Lu, del quale però intravide l'avvenire
salesiano.
Don Rinaldi stesso narrava a don Ceria, suo futuro biografo, il
quale aveva ripreso la stesura delle Memorie Biografiche del Santo,
che confessandosi da don Bosco nella seconda visita di que'll'anno
a Mirabello, lo vide « rifulgere all'improvviso di luce arcana nel
volto »,9 come se ai suoi occhi si svelasse un mistero.
32

4.5 Page 35

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4.6 Page 36

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Don Rina/di rivolge a Pio Xl un omaggio di gratitudine dopo la beatificazione di Don Bosco, 3
giugno 1929.
Nell'ultimo viaggio a Roma, il 19 giugno 1931, Don Rina/di benedice la statua in bronzo dora-
to del Sacro Cuore innalzata sul campanile della basilica eretta in suo onore da Don Bosco nel
1887.

4.7 Page 37

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Gli aspiranti missionari dell'Istituto Cardinal Cagliero di Ivrea portano in trionfo il caro Padre,
nella sua ultima visita fra loro.

4.8 Page 38

▲back to top
Don Rina/di in raccoglimento di fronte all'urna del beato Don Bosco.

4.9 Page 39

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Don Rina/di ispettore nella Spagna, nel tipico costume nazionale.

4.10 Page 40

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Don Rina/di, accanto a Don Rua, nella Spagna.

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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Don Rina/di, giovane sacerdote, nel 1887, quando era direttore al« San Giovanni» di Torino.

5.2 Page 42

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Don Rina/di con Don Antonio Candela da lui chiamato nel Capitolo Superiore nel 1925.

5.3 Page 43

▲back to top
Due santi si erano incontrati e l'uno aveva letto nella vita dell'
altro. Non si farà luce subito; ma t'insistente predilezione di don
Bosco per Filippo Rinaldi lascerà capire che Dio agiva servendosi,
come sempre, degli uomini.
Piacerebbe anche sapere da chi e perché il ragazzo di Lu fosse
presentato a don Bosco nell'autunno del '66, in un luogo e in un
momento meno propizio per incontri. Se fu privilegio riservato
al piccolo Rinaldi, giunto a MirabeUo da qualche settimana, bisogna
concludere che nell'insieme della condotta e della persona il fan-
ciullo appariva diverso dagli altri, tanto da sembrare una promessa
per il collegio e forse per la nascente Congregazione.
***
In realtà per allora non si approdò a nulla: anzi le cose parvero
incamminarsi per tutt'altro sentiero. Infatti nell'estate del 1867,
dopo la seconda visita di don Bosco, Filippo Rinaldi si allontanò
dal collegio con animo amaro, come chi ha sbagliato strada.
A Mirabello con superiori e chierici salesiani vi era qualche ele-
mento in prova, che non aveva le delicatezze e la bontà del sistema
educativo di don Bosco; il quale, a quei tempi, faceva fuoco con la
legna che aveva, usandone di stagionata e di verde. Un assistente
non salesiano sul finire dell'anno scolastico usò - non se ne sapreb-
be il perché - un cattivo trattamento con Rinaldi: e questi reagì
chiedendo di rientrare in famiglia, prima ancora degli esami finali
e deHe vacanze.
È credibile che il fatto divenisse la goccia che fa traboccare il
vaso. Il giovane, quantunque sano, non godeva ottima salute; l'oc-
chio destro gli dava fastidio, il cuore gli batteva forte a ogni corsa
in ricreazione, e non mancavano stanchezze e mal di capo. Don Giu-
lio Barberis, maestro di noviziato del Servo di Dio e suo confiden-
te all'inizio della vita religiosa, dirà con maggior chiarezza che il
giovane« quasi non aveva voglia di studiare ».10
Forse è la chiave che spiega tutto e lascia capire il travaglio
interiore di un giovane che non sente - anche per i suoi malanni
- inclinazione ai libri. Resta vero comunque che anche più tardi
il Servo di Dio, per il basso concetto che aveva di e la vaga diffi-
denza nelle sue doti, non spiccò mai o non lasciò trasparire speciali
inclinazioni allo studio, pur se riuscì egregiamente in quelli che
portò a termine.
2
33

5.4 Page 44

▲back to top
***
Eccolo dunque nuovamente a Lu, sotto la tutela ,di papà e mam-
ma, e dei fratelli maggiori.
Lasciare la scuola per Filippo significava voltarsi indietro, rim-
boccarsi le maniche e darsi alla vita dei campi, sull'esempio dei
maggiori. E se non proprio subito questa fu la sua vita per un de-
cennio, dai dieci ai vent'anni.
È il tempo meno conosciuto o se si vuole meno illustrato nella
vita di don Rinaldi: il tempo che si perde in una scolorita esistenza
di campagna, pur se non manca di episodi caratteristici e di qualche
momento drammatico.
Che da principio Filippo ricordasse con nostalgia i suoi incontri
con don Bosco non fa meraviglia, anche se non sentiva l'impulso
a seguire le sue direttive che spingevano verso il sacerdozio. Ma
stupisce che il Santo non dimenticasse o non volesse perdere di vista
quel ragazzo, chiamato ad essere il suo terzo successore.
Quel che scorgesse don Bosco nello studentino di Lu, andato a
svelargli i secreti della coscienza, non si saprà mai; non è conget-
tura però supporre che intravedesse qualcosa •degli arcani misteriosi
che un giorno lo avevano riempito di meraviglia alla prima cono-
scenza e conversazione con Domenico Savio, e in altra circostanza
gli avevano scoperto l'avvenire missionario di Giovanni Cagliero,
il futuro apostolo della Patagonia.
Certo non lasciò di interessarsi alla sua persona mandandogli
all'occasione saluti e richiami. Rinaldi da prima rispose che « la
carriera sacerdotale non era per lui ». Poi, a nuove insistenze ribadì
che il mal di testa e la debole vista gl'impedivano il corso degli stu-
di. Ma don Bosco ribatté per iscritto « che il mal di testa sarebbe
passato, e di vista ne avrebbe avuto a suffìcenza ».11
* * >::
Il dialogo s'interruppe, senza che le due parti in contrasto ri-
nunciassero alle rispettive posizioni. Alla tenacia del rifiuto si op-
pose una tenacia che sa d'inspiegabile predilezione; e che si mani-
festò poi con tutto il suo peso non appena scoccò l'ora di Dio.
Questa però, come si è accennato, tardò a scandire lieti rintocchi
nella vita uniforme e paesana del Servo di Dio, che si ritraeva sgo-
mento dall'ideale propostogli dal Santo di Valdocco, nonostante il
recalcitrare della sua natura. Don Rinaldi doveva essere una voca-
zione adulta, saggiata al crogiuolo del tempo e delle difficoltà, per
34

5.5 Page 45

▲back to top
meglio comprendere ed aiutare le vocazioni tardive che gli sareb-
bero affidate nei primi tempi del sacerdozio.
Nell'attesa perciò di eventi, che non furono subito prevedibili,
a poco a poco, nella misura che l'adolescenza diventava giovinezza
forte e robusta, Filippo Rinaldi si diede alla cura dei campi e a la-
vori domestici, pur con qualche breve parentesi di studio e cultura.
La fatica gli fu maestra e compagna e lo rese quell'instancabile
e assiduo lavoratore che poi fu; al punto che, già prefetto generale
della Congregazione - come dichiara don Azzini - esaminava
scherzevolmente le mani dei giovani adulti per vedere se fossero
incallite: « perché - diceva - chi è buon lavoratore, sarà anche
buon operaio nella vigna del Signore ».12
* * :~
Al lavoro nel decennio dell'attesa Filippo unì l'esercizio della
pietà e la frequenza dei sacramenti, che aveva imparato al collegio
di Mirabello, dove ogni giorno si ascoltava messa e c'era comodità
di confessarsi e accostarsi alla comunione. Si può anzi credere che
a Mirabello il fanciullo ricevesse per la prima volta l'Eucaristia.
A una nipote il Servo di Dio fece in materia confidenze, che
vennero poi trasmesse a don Giacomo Vacca, secretario personale
di don Rinaldi negli ultimi anni della vita. « Ai miei tempi - le
aveva detto - nessun giovane a Lu frequentava la comunione. Ero
solo io a farla: e questo per le raccomandazioni della mamma. Gli
altri se ne stavano lontani, perché allora i sacerdoti non si occu-
pavano gran che della gioventù. Anzi qualche volta anch'io restavo
senza comunione per la difficoltà di confessarmi. Il sacerdote al qua-
le mi rivolgevo, prima voleva celebrare, poi fare il ringraziamento
e la colazione, cosicché passando il tempo me ne tornavo a casa
senza ricevere i sacramenti ».13
Sui 17 anni non mancò una breve crisi di fede o di rispetto uma-
no. Il Servo di Dio medesimo la descrive nei suoi appunti; ma ne
uscì prontamente anche per le preghiere della mamma, che vegliava
alla vita cristiana del figlio, e non gli lasciava mancare, come del
resto gli altri in famiglia, esempi ed insegnamenti.
Non si sa di particolari lotte interiori del giovane al passare
dall'adolescenza all'incipiente virilità. Si può invece asserire con
tutta certezza che il giovane non pensò mai ad accasarsi; al con-
35

5.6 Page 46

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trario, rifiutò con vigore proposte in tal senso, di chi stimava la
sua prestanza fisica, l'integrità morale, il buon nome e l'agiatezza
di famiglia. « Di donne - dirà modestamente don Rinaldi a persona
di fiducia - non ho amato che la Madonna » .14
Prova della pietà e della riputazione che Filippo godeva in paese
è la sua elezione, proprio intorno ai 17 anni, a « priore » della Con-
fraternita di San Biagio, della quale era solito portare la bianca di-
visa nelle processioni.
Lo ricorda il biografo don Ceria 15 e lo ,conferma don Ricaldone
ai processi: « Pur essendo giovanissimo - depone - fu eletto prio-
re della sua confraternita » .16 Anche don Azzini commenta: « Fu
allora - tra i 17 e 18 anni - che venne fatto priore della Confra-
ternita locale di San Biagio: il che dimostra in quale stima fosse
tenuto dai compaesani e come fosse generale la convinzione che
sarebbe rimasto in paese ».17
Le cose però andarono diversamente.
Note
1 M.B., VI, 1025-1026.
2 CERIA E., 12.
' M.B., VI, 1030.
' M.B., ibid.
5 CERIA E., 11-12.
FAVINI G., Don Paolo Albera, le
petit don Bosco, Torino 1975, 31.
7 CERIA E., 13.
' Atti, 940-941.
' CERIA E., 14.
IO CERIA E., 14.
11 CERIA E., 15-16.
12 Summ., 2, 2.
13 Summ., 249, 866.
14 LARESE-CELLA L., 15.
15 CERIA E., 17.
1
Summ ., 268, 933.
17 Summ. , 12, 41.
36

5.7 Page 47

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4
IN CONGREGAZIONE
Don Rinaldi ebbe una singolare vocazione all'apostolato e alla
santità: la sua vita lo dimostra. Eppure il problema della vocazione
fu il nodo principale che si trovò a sciogliere in gioventù, sino
ai vent'anni. E senza l'aiuto chiaroveggente e le insistenze di don
Bosco chissà per quali sentieri si sarebbe incamminato.
Il fatto, accennato già al suo iniziale manifestarsi, è troppo im
portante per consentire comode reticenze; sembra anzi esigere più
attento esame, anche perché si veda che le vie della Provvidenza
non sempre sono piene di luce e senza tormenti.
L'incidente collegiale che allontanò l'undicenne Filippo Rinaldi
dalla strada maestra degli studi, è piccolo episodio di fronte al rin-
vio di due lustri nella scelta dello stato.
Pur se in famiglia c'era l'esempio del fratello don Luigi, che
aveva studiato o studiava al seminario di Casale, nella sua adole-
scenza il Servo di Dio non fu in grado di impegnarsi per l'avvenire:
non rivelò almeno quel dono di chiarezza interiore, per cui, sin
dalla prima giovinezza, s'infila e si percorre con decisione la via
del santuario.
Pigrizia spirituale? Sordità o peggio resistenza alla grazia? In-
differenza al dono di Dio?
***
Per dovere di ufficio nelle Difficoltà all'Introduzione della Cau-
sa il Promotore Generale della Fede tentò di accreditare il fatto -
le remore cioè del Servo di Dio nel seguire la vocazione - a scarsa
generosità nel divino servizio; tanto più che persone qualificate lo ri-
tenevano idoneo alla vita sacerdotale e lo giudicavano fornito delle
necessarie qualità.
A spiegazione e quasi giustificazione dell'atteggiamento dilatorio
don Rinaldi avrebbe detto con franchezza - lo ·si legge nei processi:
« Il mestiere del prete non sembrava fatto per me ».1
37

5.8 Page 48

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Più di altre considerazioni le parole non certo improvvisate
del Servo di Dio fanno luce nel suo dramma giovanile e lasciano
trasparire, per chi legge fra le righe, le angustie e perplessità che gli
straziarono '1o spirito; in vista soprattutto delle insistenze di don
Bosco, e forse anche degli inviti che gli rivolgevano in casa e in pae-
se persone di fiducia interessate al suo avvenire.
Tutti, a misura che passava il tempo, ne ammiravano la serietà,
il buon senso, l'attaccamento alle cose di chiesa e aHe pratiche reli-
giose, nonché il tono schietto di una vita onesta e laboriosa. Era
fatto per i campi quel giovane robusto e gagliardo nella persona,
pronto a:l lavoro ma anche attento al suono delle campane, poco
amante del chiasso e delle compagnie?
Non risulta con certezza, ma è facilmente intuibile il cruccio di
mamma Antonia e di papà Cristoforo per quel figlio senza orizzonti
per il suo domani.
***
Le difficoltà nascevano dal di dentro. Non si trattava di scarso
fervore, come di chi volta le spalle al sacrificio o rifugge da ardua
impresa, ma da assillante incertezza psicologica, conseguenza d'in-
nata umi'ltà che dava peso a ostacoli più apparenti che reali e, pur
con pena, rinviava ogni scelta definitiva.
In altri termini: lo studente di Mirabello e il giovane di Lu non
riuscirono per anni a decifrare i disegni di Dio. Gli altri vedevano
meglio di lui nella sua vita; ma in coscienza il Servo di Dio, dubi-
tando soverchiamente delle sue capacità intellettuali e risorse fisiche,
non sentiva slancio per un genere di vita che apprezzava e non era
nuovo tra gli stessi suoi fratelli.
A un certo compromesso sembrò approdare sui vent'anni, dopo
l'esenzione dal servizio militare, che gli poneva il problema della
vita. Non sentendosi chiamato al matrimonio e dovendo prendere
una risoluzione, Filippo aveva pensato di farsi laico in qualche ordi-
ne religioso. Non dunque contadino, ma neppure sacerdote.
Non respingeva cioè la vita consacrata per motivi umani: te-
meva solo di abbracciare il sacerdozio, al quale pensava di non es-
sere chiamato. Dice appunto un testimone ai processi: « Data l'età,
alquanto avanzata, la difficoltà degli studi e la profonda umiltà, il
Servo di Dio avrebbe preferito entrare in qualche Famiglia religiosa
come laico ».2 Le proposte anzi di matrimonio - vien ricordato
ancora nei processi - lo spinsero ad affrettarsi nel « prendere la
via alla quale il Signore lo chiamava ».3
38

5.9 Page 49

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Non dunque uri pigro o un renitente nelle vie di Dio, ma sol-
tanto un insicuro che viveva in silenzio l'angoscia del suo spirito,
senza sapere in che porto avrebbe gettato l'ancora e trovato la pace
del cuore.
Il particolare ebbe la sua provvidenziale importanza. Fece capire
a don Rinaldi i labirinti, le difficoltà e le sofferenze nelle quali pos-
sono dibattersi le anime, senza loro colpa, lungo il travagliato cam-
mino che porta a Dio. Egli, che tardò a veder chiaro nel suo mondo
interiore, fu largo di comprensione e di aiuto ai tribolati dello spi-
rito, li confortò con animo paterno e generoso; e instancabilmente
li sorresse tra difficoltà che gli evocavano le asprezze delle sue oscu-
rità giovanili.
Il colpo di luce o di grazia che lo determinò a uscire in campo
aperto e a percorrere con passo franco il sentiero che gli era riser-
vato, e lo farà grandeggiare fra gli uomini, avvenne proprio a Lu,
nel giugno del 1877, allorché Filippo aveva compiuto il ventunesimo
anno di età, e le circostanze incalzavano perché tirasse il suo dado e
desse un orientamento alla vita.
Ancora una volta il Servo di Dio, non più fanciullo ma uomo
fatto e consapevole delle sue responsabilità, si trovò casualmente
faccia a faccia con don Bosco, il quale lo teneva d'occhio come si
mira a una preda.
Non si saprebbe se a muovere il Santo fosse più l'interesse delle
sue opere o uno speciale carisma in favore di chi da solo non si
sarebbe mai deciso ad abbracciare il sacerdozio, di cui per altro
doveva essere insigne rappresentante.
* *
:>;!
Sta di fatto che il 22 giugno di quell'anno, da Borgo San Mar-
tino, dov'era stato trasferito il Piccolo Seminario di Mirabello, don
Bosco si recava a Lu Monferrato per ispezione e visita d'incorag-
giamento alle Figlie di Maria Ausiliatrice, le quali nell'autunno del
1876 vi avevano aperto un asilo.
Non si può dire che il passaggio tra le sue figlie spirituali fosse
un pretesto per recarsi a Lu, ma è certo che il Santo vi andò anche
per incontrare Filippo Rinaldi che fino a quel momento aveva la-
sciato cadere le sue proposte.
Dell'incontro parla don Rinaldi stesso in un quadernetto di me-
39

5.10 Page 50

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morie purtroppo mutilo. Il discorso fu imperniato sulla vocazione,
certa ormai nella sostanza, incerta nelle modalità dell'attuazione.
Le note autografe che rimangono, da sole bastano a far capire come
a poco a poco ìl giovane, per il quale alla resa dei conti una Fami-
glia religiosa valeva l'altra, fosse abilmente guadagnato all'ideale
salesiano, che fino allora non gli aveva destato entusiasmi all'in-
terno.
Scrive don Rinaldi riassumendo il dialogo chiarificatore della
sua vita: Don Bosco « aveva risposto a tutte le mie obiezioni e ada-
gio adagio mi aveva guadagnato l'animo. Distaccato da me stesso -
dalle difficoltà cioè interne che a lungo lo avevano fatto soffrire -
io non avevo più ostacoli da superare. I genitori mi avrebbero la-
sciato libero, e la mia scelta cadeva naturalmente su don Bosco ».4
Il Santo l'aveva conquistato con la forza della grazia che operava
in lui e con le attrattive del suo apostolato. Gli aveva parlato della
sua Congregazione, dei suoi collegi e delle prime spedizioni missio-
narie, avviate con Giovanni Cagliero nel 1875 in Argentina.
Lo stato d'animo del Servo di Dio in quel momento affiora da
annotazioni posteriori. Egli restava indifferente circa l'eventuale ri-
presa degli studi interrotti un decennio prima: avrebbe ubbidito
senza scegliere di sua volontà. La paura d'inoltrarsi in un campo
non adatto alle sue inclinazioni vagava nel suo animo come rima-
suglio di nebbia che tarda a dissolversi al sole. Rivivendo, a distan-
za di anni, quella schiarita interiore don Rinaldi osserva con mode-
stia: « Avessi sempre avuti gli umili sentimenti di allora! ». E com-
pleta: « Allora desideravo essere nascosto in Congregazione e im-
piegarmi in uffici senza rilievo ».5
Non doveva essere così: proprio perché Dio agli umili « dà gra-
zia» (1 Pt 5,5) e per 'loro mezzo compie cose mirabili.
***
Forse ci furono timori o vaghe incertezze dell'ultima ora. Pri-
ma di decidere il Servo di Dio volle abboccarsi con don Bonetti,
suo antico direttore e confessore di Mirabello. In settembre tentò
di raggiungerlo a Borgo San Martino, dove - come si è detto -
era stato trasferito il collegio: ma don Bosco lo aveva richiamato a
Torino per affidargli la direzione del Bollettino Salesiano, che pre-
sto avrebbe iniziato ile sue pubblicazioni.
Gli scrisse tuttavia una lettera, nella quale manifestava il desi-
derio di farsi salesiano: segno evidente che si era alla stretta finale e
che il giovane aveva superato o intendeva superare le residue diffi-
40

6 Pages 51-60

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6.1 Page 51

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coltà. Don Bosco - gli rispose don Bonetti il 3 novembre - « è
ben contento di ricevere un buon soldato » nella sua Congregazione.
« Perciò - inculcava - parla ai tuoi genitori, prega e prendi una
risoluzione ».
Quanto ai timori non ancora dissipati del Rinaldi, don Bonetti
tagliava corto e veniva alle conclusioni: « Non ti turbare - diceva
- sembrandoti di non poter far molto : nella casa di Dio vi sono
mansioni per tutti: se non sarai capace di ricoprire quelle alte, rico-
prirai quelle più basse e ne avrai pari merito... Pertanto - conclu-
deva, come chi ha in pugno la vittoria, - potrai scegliere, per in-
cominciare gli studi, tra il venire aN'Oratorio o il recarti a Sampier-
darena. Penso sia meglio Sampierdarena, perché vi sono altri della
tua età che studiano per lo stesso fine ».6
***
L'ultima spinta venne una volta ancora da don Bosco, interes-
sato come nessun altro all'aggregazione del giovane monferrino.
Il 22 di novembre il Santo era a Borgo San Martino per la festa
di san Carlo, titolare del collegio. In quella circostanza, con gesto
di predilezione che diventava abituale, egli volle il Rinaldi alla men-
sa comune, onorata dalla presenza di mons. Pietro Ferrè, vescovo di
Casale. Nel colloquio privato, per seconda volta Fi'lippo vide il vol-
to e la pel.'sona di don Bosco « illuminarsi » di luce misteriosa e
poi riprendere le normali condizioni.7 Fu il segno di Dio che
ratificava i suoi pensieri e le sue decisioni. Non gli restava che met-
tere insieme l'indispensabile e recarsi in Liguria, secondo l'indi-
cazione di don Bonetti, confermata senza dubbio da chi gli aveva
parlato in nome di Dio con l'autorità di un profeta.
« Nel 1877 - dichiara lo stesso don Rinaldi ai processi di don
Rua - , dopo vari inviti del venerabile don Bosco, entrai nel colle-
gio di Sampierdarena con la precisa intenzione di farmi salesiano ».8
E così a ventun anno suonati il « laccio » (Sa[ 114,7) si spezza-
va, e per don Rinaldi cominciava la vita nuova destinata a protrarsi
per 54 anni consecutivi.
'~ * *
Prima di andar oltre conviene soffermarsi ancora qualche istante
sull'incontro dBl Servo di Dio con don Bosco a Borgo San Martino.
Quel giorno Filippo Rinaldi udì dalle labbra del Fondatore una
41

6.2 Page 52

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profezia che si avverò 33 anni dopo, e in qualche maniera coinvolge-
va la sua persona e la sua testimonianza.
A mensa tra l'altro il discorso era caduto su don Albera, e don
Bosco divinando il futuro aveva detto: « Egli sarà il mio secondo.. . »,
senza conchiudere fa frase. Filippo, che ricordava in don Albera il
suo primo assistente, non dimenticò quelle parole e, passando il
tempo ne scoprì il significato: don Albera sarebbe stato il secondo
successore di don Bosco. Perciò nel 1910, essendo egli prefetto ge-
nerale della Congregazione, prima che don Rua morisse mise in car-
ta il vaticinio, lo ripose in busta chiusa con la soprascritta: « Da
aprirsi alle elezioni che si terranno dopo la scomparsa di don Rua »,
e la consegnò al segretario del Capitolo Superiore don Giovanni
Battista Lemoyne.
Il 16 agosto, effettuato lo scrutinio da cui uscì eletto Rettor Mag-
giore don Albera, il Servo di Dio che per dovere di ufficio aveva
presieduto fino a quel momento l'assemblea, si fece portare la let-
tera, la aprì e lesse la predizione di don Bosco, della quale egli era
garante e che si era compiuta quel giorno in maniera superiore a
ogni sospetto.9
Rimarrebbe solo da chiedersi se in quel lontano 22 novembre
1877, a Borgo San Martino, don Bosco non vedesse anche il suo
terzo successore nel giovane di Lu, che egli stesso aveva invitato
a mensa e da troppi indizi appariva come un predestinato alla sua
Congregazione.
Quattro giorni più tardi, il 26 novembre, Filippo entrava tra i
Figli di Maria - le vocazioni tardive - che la giovane Famiglia
salesiana coltivava a Sampierdarena con un corso accelerato di studi.
Il distacco dalla famiglia e dalla terra di origine, se fece san-
guinare il cuore, fu affrontato con animo impavido e sereno. Il gio-
vane abbandonava il mondo convinto che, senza sua colpa, gli aves-
se « rubato i più begli anni della vita ». Scriverà poi con quell'umil-
tà che segna fin dall'inizio il suo itinerario spirituale: « Facciano il
Signore e Maria SS.ma che dopo aver resistito alla grazia in passato
non abbia ad abusarne per l'avvenire ».10
Se aveva tardato nel riconoscere e accettare il tesoro della voca-
zione, ora intendeva rendersene degno e corrispondere « come prode
che percorre la via » (Sal 18,6).
42

6.3 Page 53

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A Sampierdarena era direttore proprio don Albera. Fortuna mag-
giore non poteva toccare a Filippo, che aveva già conosciuto e spe-
rimentato la mitezza d'animo e la bontà del giovane salesiano, al
quale per di più ora andavano le previsioni del Fondatore. « Mi
bastava - dirà - una sua parola, talora uno sguardo per colmare
e rallegrarmi il cuore. La parola di don Albera - aggiunge - che
più mi fece del bene, fu quando gli dissi che temevo un giorno o l'
altro di farne una deHe mie fuggendo dal collegio. Mi rispose: " E
io verrei a prenderti " ».11
Il « timore», che fa pensare a difficoltà dei primi giorni, non si
avverò. Vedeva giusto chi, scartando l'instabilità degli inizi, scorgeva
nel giovane, maturo d'anni, qualcosa d'insolito che infondeva sicu-
rezza e dava garanzie per il futuro.
D'altronde le note del Servo di Dio, sia per quello scorcio del
1877, sia per i mesi successivi, sono a testimoniare la sdlidità
della vita spirituale che egli conduceva, e non poteva essere fuoco
di paglia o entusiasmo del momento. Affiora una maturità sopran-
naturale che avrebbe aiutato Filippo a respingere ogni tentazione e
scoraggiamento. Il ritorno in famiglia, come nel 1867, a 11 anni,
non era che vago ricordo di un passato lontano. « Piuttosto la mor-
te - scriverà in quei mesi - anziché abbandonare la vocazione ».12
***
Messo allo studio, dopo qualche alternativa, il giovane di Lu
manifestò buon ingegno e fece rrlevanti progressi. Mantenne però
gli umili sentimenti che Io avevano guidato alla casa di Dio.
« Il pensiero degli studi - scrive - lo lascio al direttore. Son
contento se riesco a dire: fin qui ho fatto ciò che ho potuto. Di scien-
za, ingegno e memoria non ne ho senza la protezione di Maria».
Perciò supplicava: « Madre santissima, ricordateVi che intendo ·stu-
diare per la gloria di Dio: non datemi quindi sapere che sia di dan-
no. Finora mi avete sempre soccorso: spero che mai mi abbando-
nerete ».13
Un'ultima nota spirituale che introduce nell'intimità rigogliosa
del Servo di Dio, il quale ormai non sentiva più velleità di ritorno
al mondo. Il 22 settembre 1878, infatti, tra il primo e second'anno
di studi a Sampierdarena: « Ho fatto - scrive - voto di castità
per un anno ».14
43

6.4 Page 54

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Era dunque sulla sua strada. La vedeva e la percorreva nella
bellezza dei suoi ideali; e ne pregustava, in umiltà e obbedienza,
lo snodarsi e il salire verso mète che gli riempivano il cuore di gioia.
Bastarono due anni perché lo si giudicasse pronto al noviziato.
Note
' Anirnad., 20, n. 30.
' Surnrn., 77, 269.
3 Responsio, 45, n. 78.
4 CERIA E., 20.
5 CERIA E., 21.
CERIA E., 22.
7 CERIA E., 23.
8 CÀSTANO L., 261.
' FAVINI G., op. cit., 167.
10 CERIA E., 25 .
11 CERIA E., 25.
12 CERIA E., 24.
13 CERIA E., 26-27.
14 CERIA E., 26.
44

6.5 Page 55

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5
SALESIANO E SACERDOTE
La preparazione tecnico-scientifica di Fi'lippo Rinaldi, sia ali'
inizio della vita religiosa che in seguito, fu ridotta all'essenziale.
Il bagaglio delle sue conoscenze non attinse come quello di altri con-
fratelli dei primi tempi e dell'età successiva ai vasti campi delle
umane discipline. Con i:l Servo di Dio, don Bosco - lo si vedrà
- volle fare in fretta, averlo subito a disposizione, e si accontentò
del puramente necessario.
Nel giovane virtù e dati naturali supplivano e suppliranno sem-
pre le ricchezze talora ingannevoli del sapere. D'altra parte più che
in cattedra la sua intelligenza doveva emergere in quello spiccato
senno pratico dal qua'le viene l'uomo di governo, pronto a capire,
equilibrato nel giudicare, prudente nel decidere.
Alla vigilia dell'elezione a Rettor Maggiore qualcuno osserverà
ancora che egli « era soltanto un Figlio di Maria »: una vocazione
tardiva cioè, che aveva bruciato le tappe senza " studi profondi ".1
Un uomo, per chi voleva capire, di non eccessiva cultura.
In realtà don Rinaldi non raggiunse diplomi o titdli accademici.
Più che dai libri imparò dalla vita e da una esperienza varia e si
può dire internazionale. Bisogna però osservare subito che fu sem-
pre all'altezza dei suoi compiti e della sua missione, tanto nell'uso
della parola quanto negli scritti, e che dimostrò intraprendenza e
saggezza pari ed anche superiore a chi ne sapeva più di lui.
Nel Servo di Dio non risplende la scienza degli uomini, che ta-
lora favorisce la vanità e l'ostentazione, ma la sapienza dello spirito
che edifica e illumina, e nell'umiltà porta a compimento grandi im-
prese. Alla fine della sua vita chi legge si potrà domandare come
mai con una preparazione tanto sommaria don Rinaldi sia riuscito
uomo così completo e così incisivo nell'apostdlato.
45

6.6 Page 56

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***
Dagli esordi la casa-madre de'll'Oratorio era stata anche novi-
ziato della Congregazione. Lì, sotto Ia guida e il controllo personak
di don Bosco, s'erano formate le prime generazioni salesiane, spar-
se in vent'anni per il mondo.
Ora occorreva trovare sede più adatta e più rispondente al bi-
sogno. La scelta cadde suHa storica Badia di San Benigno Canavese,
non lontano da Torino, pur se in diocesi di Ivrea. Qui nel settembre
del 1879 s'inaugurò il primo noviziato canonico della ancor giovane
famiglia salesiana, incamminata verso i suoi grandi destini.
Filippo Rinaldi vi giunse 1'8 settembre, e con cinquanta altri
compagni si mise sotto la direzione di don Giulio Barberis, nomi-
nato primo maestro di noviziato della Congregazione, che veniva
in tal modo avviando e consolidando '1e sue case di formazione.
Aveva compiuto 23 anni. Era passato per difficoltà interiori non
picc;ole, pari in qualche modo alla sua notte oscura de'll'anima. Ora
camminava sicuro. Il biennio di Sampierdarena gli garantiva di tro-
varsi nel solco della Provvidenza e aveva saggiato le disposizioni e
qualità di riuscita, sia nello studio, sia nei doveri deHa vita religiosa.
Da lui sappiamo che il 26 di quel mese rinnovava il voto privato
« di castità » .2
Nessuno vorrà dire che a quel momento fosse un santo: man-
cano prove e testimonianze. Si può tuttavia affermare che il Servo
di Dio si era distinto nello studio - l'avevano qualificato « studio-
sissimo » 3 - ; nella riflessione spirituale: le sue note spirituali lo
dimostrano; e camminava già a passo spedito per i sentieri di una
sa,na e robusta ascetica. Aveva capito soprattutto « che ifa preghiera
e la fiducia in Dio vincono ogni difficoltà ».4
e Se non era santo c'erano in lui 1a stoffa e la volontà di esserlo:
mai fu così vero che chi ben incomincia è alla metà dell'opera.
***
Il 20 ottobre, sul limitare quindi del noviziato, come divenne
poi consuetudine, la festa e la gioia delle vestizioni chiericali.
Presiedette 1a funzione don Bosco, il quale dovette sorridere al
chierico di Lu, che fin da ragazzo aveva intravisto come candidato
al sacerdozio e membro ,della sua società religiosa. Il fatto che don
Bosco abbia potuto formare i suoi tre primi successori e continua-
tori - don Rua, don Albera, don Rinaldi - spiega il solido evol-
46

6.7 Page 57

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versi della Congregazione salesiana, e 'la conservazione e conti-
nuità del suo spirito.
Che il Servo di Dio prendesse sul serio gl'impegni della vita chie-
ricale e comunitaria traspare dal « metodo giornaliero » di con-
dotta che si era prefisso e dai propositi fatti a varie riprese. Capi-
saldi: l'obbedienza, la devozione alla Madonna, l'impegno e l'assi-
duità della preghiera.
Un punto merita speciale rilievo. Don Rinaldi sarà sempre mi-
surato nel parlare: ma fin da novizio, assecondando la natura che
non lo portava al cicaleggio, si era proposto: « In ricreazione mi
asterrò dal parlar troppo, a me tanto dannoso ».5
La maturità degli anni diventava maturità dello spirito, tanto
che don Barberis, pieno di ammirazione per quel giovane serio, os-
servante, compassato nell'incedere e nell'agire, lo aveva nominato
assistente, che è quanto dire capogruppo, dei compagni, con fun-
zione di esemplarità e di stimolo più che di superiorità. Comunque
fu quello il passo iniziale verso crescenti responsabilità che lo porte-
ranno al vertice della Congregazione.
Ai processi don Pietro Tirone conferma che il Rinaldi fu fatto
assistente dei compagni. Anzi aggiunge: « Dal suo compagno don
Roberto Riccardi appresi come il Servo di Dio godesse larga stima
per la serietà, l'esercizio delle virtù e la riuscita negli studi ».6
***
In noviziato a quei tempi si cercava di conciliare lo sforzo spiri-
tuale con '1o studio. Pio IX aveva dato a don Bosco speciali facoltà
e il Santo se ne valeva con discrezione e insieme con 'libertà. Non
tutto poteva essere perfetto sin da principio: era già grande conqui-
sta il fatto che la Congregazione avesse una casa per la formazione
dei membri, fino allora cresciuti sul campo del lavoro.
A che studi si dedicasse in particolare Filippo Rinaldi non ri-
sulta. È probabile che approfondisse e completasse materie letterarie
e affini. Da una relazione di don Barberis a don Bosco dopo sette
mesi di noviziato risuitta che il Servo di Dio godeva di buona salute,
salvo il disturbo all'occhio destro; non trovava più tanto dure le
fatiche di libri e quaderni; s'impegnava a fondo nella preghiera; e
non dubitava della sua vocazione, dati i « segni incontrastabili » che
l'avevano preceduta, pur se a tratti lo turbava il pensiero di non
avere le qualità per la vita e l'apostolato salesiano.7
Comunque H 13 agosto 1880 - anche se per lui i mesi canonici
47

6.8 Page 58

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scadevano solo 1'8 settembre - emetteva la professione perpetua
nelle mani del Fondatore,8 ch'era stato e seguiterebbe ad essere l'ar-
bitro delle sue ascensioni.
***
I voti subito perpetui del chierico Rinaldi bastano da soli a dare
la misura della decisione con cui egli abbracciò gl'ideali del Santo
che aveva incontrato nella giovinezza.
Ormai uomo fatto capiva di scegliere secondo il piano della Prov-
videnza; mentre il fratello maggiore don Luigi era già in cura d'
anime, e il minore, don Giovanni, che poi l'avrebbe seguito, studia-
va nel seminario di Casale.
Da gran tempo la consacrazione a Dio era entrata nello spirito
di Filippo, che a suo tempo, nella maturità del ministero, la esten-
derà ad anime impossibilitate a lasciare il mondo e pur desiderose
di una vita di perfezione. Sarà quello un momento nel quale, pensan-
do ai suoi voti, don Rinaidi saprà discernere il giusto sentiero che
apre vie nuove al destino degli uomini in seno alla Chiesa.
***
Dopo la professione il Servo di Dio restò ancora tre anni a San
Benigno Canavese, sotto la direzione di don Barberis, che lo formò
alla vita e alle responsabilità salesiane. Bastarono però due anni e
mezzo perché don Bosco lo giudicasse preparato e meritevole del
sacerdozio.
Ci si può meravigliare di tanta premura: ma le cose andarono
così. Bisogna dire che i santi si conoscono, e che speciali carismi
li sostengono in decisioni all'apparenza azzardate o non conformi
all'ordinario maturare degli eventi.
Parlare di corso filosofico e teologico in piena regola per don
Rinaldi sarebbe antistorico. A San Benigno però c'era don Luigi
Piscetta, che fu poi insigne teologo e moralista: egli aiutò privata-
mente don Rinaldi nello studio dell'essenziale in vista degli ordini
sacri.
Pur tra occupazioni che non gli davano tregua, secondo la vita
salesiana delle origini, il Servo di Dio affrontò uno dopo l'altro i
trattati principali della teologia e ne subì i rispettivi esami. A spro-
narlo non era l'ansia della mèta bensì la premura degli altri. Già
Rettor Maggiore confidò di aver raggiunto il sacerdozio solo per
obbedienza. « Diedi gli esami di teologia - asserì - , presi gli or-
48

6.9 Page 59

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<lini e la messa solo per obbedienza ».9 Don Bosco impartiva dispo-
sizioni ed egli le eseguiva, in spirito di totale abbandono al volere
di Dio.
Giova notare che don Bosco agì in tal modo solo con Filippo
Rinaldi : il che dice, a parte ogni altra considerazione, come il gio-
vane, nella sua linea di condotta spirituale e religiosa, offrisse ga-
ranzie superiori a ogni dubbio. Don Bosco, in altre parole, si fidò·
di lui; che a sua volta si fidò del Padre e Maestro della sua inci-
piente vita di consacrazione.
***
A quei tempi San Benigno era noviziato e studentato insieme.
I neo-professi chierici rimanevano qualche anno per completare gli
studi come allora si poteva. Rinaldi fu loro assistente e anche inse-
gnante di italiano e di latino nelle sezioni inferiori. Ognuno capi-
sce che si faceva di necessità virtù, aspettando anni migliori.
Com'era da pensare le prime esperienze scolastico-educative
presentarono qualche difficoltà a chi non si era mai occupato d'altri;
ma con la guida del direttore il Servo di Dio si venne addestrando
nell'esercizio di quella bontà umile e comprensiva, che sarebbe di-
ventata sua caratteristica. Pregava perciò don Barberis a tenerlo
d'occhio, a correggerlo, ad aiutarlo nel formarsi un carattere ama-
bile e dolce insieme.
Quanto dell'animo saggio e mite di don Barberis sia passato in
don Rinaldi, lo si arguisce dal suo diario al momento di lasciare San
Benigno per il primo incarico nelle opere salesiane.
Anche se lo scritto è di qualche anno posteriore, merita di essere
qui riportato, quale specchio di due anime che si compresero e si
fusero in un lavorìo intimo destinato a grande successo. « Addio,
caro don Barberis - scriveva don Rinaldi nel 1883 - ; da te ho
ricevuto tanti benefici, tanti incoraggiamenti, tanti aiuti allo spirito..
Addio, caro padre. Io non potrò dire di te il bene che basti. Tu sei
il vero tipo del direttore salesiano: dolcezza e fortezza in te non
andarono mai disgiunte. Sarà mio dovere praticare i tuoi consigli ».m
** *
Mentre il Servo di Dio si prepara al sacerdozio conviene rintrac-
ciare e identificare nel suo cammino gli elementi formativi che die-
dero alla sua fisionomia lo stampo genuinamente salesiano.
Alla chiaroveggenza profetica, alla finezza spirituale di don Al-
bera, si unì l'attenta e fervida direzione di don Barberis.
49

6.10 Page 60

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Fino al momento del noviziato si può dire che Filippo Rinaldi
non avesse ancora sperimentato e capito ciò che significa lasciarsi
plasmare nello spirito. Questo compito spettò a don Barberis, vero
maestro di vita religiosa e formatore di santi, quali i venerabili don
Andrea Beltrami e principe Augusto Czartoryski.
Da lui don Rinaldi, in un contatto che durò quattro anni - dal
1879 al 1883 - imparò la difficile arte d'insinuarsi nelle anime e di
guidarle nelle scelte all'acquisto della virtù. Senza la scuola di don
Barberis, che gl'insegnava praticamente la teologia della santità,
lo addolciva nel temperamento, Io distendeva e incoraggiava nelle
ore difficili, gli dava norme di sana pedagogia cristiana e salesiana,
difficilmente il Servo di Dio sarebbe riuscito quello che fu. Lo si
vedrà fin dai primi passi del sacerdozio.
***
Toccò infatti a don Barberis consolare e confortare il chierico
Rinaldi allorché il 16 maggio 1881 moriva suo padre, senza che
il figlio potesse trovarsi accanto per raccoglierne l'ultimo respiro.
A chi doveva impugnare le redini di casa, rifacendosi al defunto, il
giovane religioso scriveva: « Imitate la sua giustizia nei contratti,
il suo attaccamento alla fede, il suo disinteresse nell'amministrare
beni e cose di chiesa, la sua costanza e risolutezza nella educazione
dei figli » .11
Dopo la morte del padre il Servo di Dio si recò più volte a Lu
nell'estate del 1881, dalla casa di Borgo San Martino dove trascor-
reva le vacanze con i chierici di San Benigno. Gli pareva tuttavia
di rimetterci nello spirito, dovendosi occupare in questioni di fami-
glia; e forse esagerava confidando a don Barberis di aver fatto passi
indietro nella pietà e di non sentire quasi « più voglia di rialzarsi ».12
Erano momenti di spossatezza e di abbattimento che assalgono
anche i buoni e che al Servo di Dio facevano comprendere la fra-
gilità della natura umana nello scontro con 'le difficoltà della vita.
***
Difficoltà anche maggiori incontrò nelle vacanze del 1882 a Lan-
zo Torinese, mentre si dava con più intensità allo studio della teo-
logia, che presto doveva portarlo all'altare. L'allegra brigata dei
chierici non sempre gli era motivo di gioia; qualcuno gli dava pen-
siero, e non mancarono defezioni a farlo soffrire. Una lettera di lu-
glio a don Barberis tradisce sintomi quasi di esasperazione: « Tutto
50

7 Pages 61-70

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7.1 Page 61

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per me - scrive - è oscuro e soffocante... Non ho pace e non la
spero... Scrivo perché il bisogno del cuore mi spinge ».13
Un momento di autentica depressione, che gli tornava d'impedi-
mento alla preghiera. Questo perché si veda che anche i santi sono
creature umane e attraversano ore buie e di sconforto.
Per fortuna H pensiero e la parola di don Barberis, alla cui « di-
rezione» 14 sperava di tornare presto, gl'infondevano coraggio e
riportavano pace nello spirito.
Forse l'impegno eccessivo dello studio, il senso acuto della re-
sponsabilità che aveva su giovani confratelli, e lo sforzo ascetico
della virtù e del meglio, logoravano il suo equilibrio interiore e met-
tevano a dura prova la resistenza dei suoi nervi.
Ma si trattò ,di eclissi passeggera, di fugace prova del momento,
acuita chissà dall'avvicinarsi degli ordini, per i quali il Servo di
Dio non sentì, prima di riceverli, un'attrattiva che fosse di entusia-
smo e di esaltazione. « Io - dirà, conformando un aspetto quasi
misterioso del suo intimo, - non avevo nessuna intenzione di farmi
prete. Religioso sì; ma sacerdote no ».15 L'avvicinarsi quindi delle
grandi tappe ben poté riempirlo di sgomento e come di sconcerto,
a sua stessa insaputa, alla stregua di persona che è portata per un
sentiero che non gli pare il suo, e solo percorre nell'oscurità della
sottomissione, libera ,e sofferta, a chi tiene saldamente le redini
in pugno.
***
Lo si è accennato; ora è il caso di ripeterlo: il Servo di Dio
divenne sacerdote per umiltà, in obbedienza. Mentre egli non cre-
deva alle sue capacità di ministero, altri più illuminato di lui lo
giudicava all'altezza di quei compiti che avrebbero fatto di don
Rinaldi un ricercatissimo e qualificato ministro di Dio.
Nel settembre del 1882, a soli tre anni dalla professione, con
un curricolo di studi certamente frazionario e imperfetto, era pre-
sentato al vescovo di Biella mons. Basilio Leto per fa tonsura e gli
ordini minori. Pochi giorni dopo lo stesso mons. Leto gli conferiva
il suddiaconato nella parrocchiale di San Benigno; e ancora in San
Benigno 1'8 ottobre veniva ordinato diacono da mons. Manacorda,
vescovo di Fossano, suo padrino di cresima.
Questo avvicendarsi di presuli, amici di don Bosco, attorno a
un membro della Congregazione - il tutto si era effettuato in un
mese - , esprime da solo quanto la carriera sacerdotale di don Ri-
51

7.2 Page 62

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naldi stesse a cuore del Santo. Si direbbe che don Bosco non fu
contento fino a quando non vide il Servo di Dio arrivare all'apice
del presbiterato, conferitogli da'l vescovo diocesano mons. Davide
dei conti Riccardi nella chiesa cattedrale di Ivrea il 23 dicembre
1882, antivigilia di Natale.16
***
Del grande giorno e dei giorni successivi di letizia e di festa, a
San Benigno e a Lu Monferrato, non rimangono si può dire memo-
rie. Accadde quel che suole avvenire in simili circostanze, e non
mette conto far supposizioni vere più che verosimili.
Interessa piuttosto sapere quel che il 24 dicembre, dopo la prima
messa, intercorse fra don Bosco e il suo prete novello.
- Sei contento? - interrogò don Bosco al quale sprizzava
dagli occhi una singolare gioia paterna.
- « Se mi tiene con sé - rispose umile e pacato don Rinaldi
- sì; altrimenti non saprei che cosa fare ».17
Il Santo sorrise compiaciuto. Quel figlio, spinto quasi al sacer-
dozio, sarebbe stato gran parte della sua eredità alla Famiglia sale-
siana. Avrebbe incarnato ila figura e lo spirito del Fondatore, allar-
gandone le istituzioni con un carisma che manifesta la fecondità
della grazia sacerdotale e della missione che doveva svolgere nel
mondo delle anime.
***
Sappiamo di un solo proposito fatto da don Rinaldi nel giorno
della prima messa: leggere ogni anno la vita di un santo.
La semp1icità e praticità della risoluzione offre l'immagine e
l'orientamento dell'uomo. Non grandi voli dello spirito, non sublimi
aspirazioni; soltanto la via della santità sull'esempio di chi l'aveva
percorsa.
È vero: lo dice don Ceria, biografo principe del Servo di Dio:
« Don Rinaldi non fu mai un gran lettore ».18 Ma tenne fede al suo
proposito e fino alla fine le non abbondanti letture furono di carat-
tere ascetico e agiografico, tanto da poter dire che in ogni Santo
aveva sempre scoperto qualcosa dello spirito di don Bosco.
Chiaro indizio che nel suo sacerdozio egli ebbe fisso costante-
mente l'occhio e il pensiero al Padre e Fondatore della Congrega-
zione, per diventarne copia vivente.
52

7.3 Page 63

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I 48 anni di vita sacerdotale del Servo di Dio sono fa prova più
splendida della sua fedeltà agli ideali di santità e salesianità che si
era prefissi.
Morirà con la vita di don Rua tra le mani.
Note
' Responsio, 12, n. 29.
2 CERIA E., 26.
3 CERIA E., 27.
4 CERIA E., 25 .
5 CERIA E., 31.
Summ., 229, 791.
7 CERIA E., 31-32.
8 Summ., 359-360, 1223.
9 CERIA E., 38.
10 CERIA E., 33.
11 CERIA E., 35.
12 CERIA E., 37.
13 CERIA E., 40.
14 CERIA E., 41.
15 CERIA E., 38.
1
Summ., 360, 1224.
17 CERIA E., 43.
18 CERIA E., 43 .
53

7.4 Page 64

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6
DIRETTORE
Dopo il sacerdozio don Rinaldi rimase nove mesi a San Beni-
gno, dedito ai chierici e allo studio di materie sacre e profane.
La teologia teneva il primo posto, come esigenza degli ordini
ricevuti e in preparazione al ministero. Ecco però sorgere anche il
pensiero e l'impegno di pubblici esami.
Don Bosco teneva a qualificare i membri della Congregazione,
non solo per il prestigio delle persone, ma anche per il lavoro da
svolgere in collegi e opere giovanili.
E così nella primavera e nell'estate del 1883 troviamo don Ri-
naldi nel gruppo che si preparava alla licenza normale per il diplo-
ma governativo di maestro elementare.
Sue lettere a don Barberis informano sul tempo trascorso a Ge-
nova presso i Lazzaristi durante gli esami. « Le confesso - diceva
tra l'altro - di trovare questa obbedienza molto difficile... Non
devo pensarci, altrimenti la fantasia si scalda e non concludo più
nulla ».1
Lo studio, per di più di materie scientifiche e letterarie, non era
il suo forte e psicologicamente non gli creava prospettive. S'accor-
geva di non essere fatto per montare in cattedra e accudire scola-
resche. Le sue inclinazioni - almeno in quel momento - lo porta-
vano verso paesi lontani. Con libri ed esami si cimentava solo per
obbedire in umile sottomissione al desiderio dei superiori.
Le prove scritte andarono felicemente in porto; non così queUe
orali e le esercitazioni pratiche: e non consta che alla sessione au-
tunnale don Rinaldi si ripresentasse per il conseguimento di un at-
testato che non ambiva e del quale la Congregazione non aveva
espresso bisogno. Sul Servo di Dio d'altra parte don Bosco aveva
altri disegni.
54

7.5 Page 65

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***
Più che a fare il maestro don Rinaldi pensava seriamente a di-
ventare missionario, a consacrarsi all'apostolato. Le sue propensio-
ni lo spingevano da quella parte. D'altronde don Bosco se l'era ade-
scato con l'attrattiva delle spedizioni d'America, e proprio nell'ago-
sto di quell'anno don Costamagna - il primo salesiano giunto nel
1879 tra gl'indigeni delle Pampas - incontrandolo a Lanzo con i
chierici di San Benigno aveva cercato di accaparrarselo per l'Argen-
tina e la Patagonia.
Pur se in quel momento, più che al campo di ilavoro don Rinaldi
badava a correggere i suoi « difetti » 2 e a far progredire i confratelli
affidati alla sua sorveglianza, è certo che il sogno delle missioni gli
si affacciava alla mente senza che lo potesse respingere. Ne parlò
fino con don Bosco, tanto gli ferveva in cuore l'anelito di una vita
modesta e operosa. Non si era fatto salesiano per primeggiare ma
come sdldato di retroguardia. Dirà qualche anno dopo: « Io pure
feci domanda di andare in missione. Don Bosco mi rispose che in
missione non sarei andato: che avrei mandato altri » .3
Senz'essere esplicito il vaticinio era chiaro; anzi il Santo, andan-
do oltre, aveva annunciato a don Rinaldi che sarebbe rimasto ad
aiutare don Rua. Quanto poi all'America il buon Padre aveva detto:
« Ci andrai quando non avranno più bisogno di personale dall'Eu-
ropa ».4 Il che voleva dire chiudere le porte a ogni speranza, poiché
anche da Rettor Maggiore il Servo di Dio continuò ad inviar rinfor-
zi nell'America Latina.
***
L'insieme dei preannunci, che si chiarirono col tempo, e dei va-
ticini che a poco a poco presero i contorni della realtà fa capire
che, illuminato dall'alto, don Bosco vide lontano nel futuro del suo
giovane sacerdote e spiega la fretta e la fiducia, sia nel presentarlo
agli ordini, sia nell'investirlo subito di autorità e responsabilità.
In tal caso diplomi e patenti scolastiche diventavano superflui e non
potevano influire là dove erano evidenti qualità operative non co-
muni ed esercizio singolare di virtù.
Don Bosco in quell'estate fissò di nominare don Rinaldi diretto-
re della casa di Mathi Torinese.
La voce arrivò a San Benigno in settembre. Un fulmine a ciel
sereno. Don Rinaldi ne scrisse angosciato a don Barberis che era
a Torino per le sedute del Capitolo Superiore o Consiglio Centrale
ss

7.6 Page 66

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della Congregazione, per le nomine e la distribuzione del personale
alle case.
« Io direttore? - si domandava con spontaneo scetticismo don
Rinaldi - . Ma non sanno che è mandare alla rovina poveri giovani
bisognosi di aiuto e di consiglio? ».5
***
La scelta invece era indovinata e cadeva su persona adatta al
compito da affrontare, secondo le mire di don Bosco. Proprio vero
che , Iddio sceglie ciò che nel mondo e ai propri occhi « è nulla»
(1 Cor 1,29) per attuare i suoi disegni di sapienza e di misericordia.
Dopo averle tenute all'Oratorio e a Sampierdarena, in coda ad
altre opere, don Bosco s'accorgeva che 'le vocazioni tardive - i così
detti Figli di Maria, come si è accennato, - abbisognavano di casa
a parte e di cure speciali. Decise pertanto di aprire a Mathi Torinese
una casa destinata a sole vocazioni adulte, tanto per la Congregazio-
ne quanto per le diocesi, bisognose anch'esse di operai della vigna.
A chi affidare la nuova istituzione se non a don Rinaldi, che
veniva da quel solco e sarebbe in grado di coltivarlo con saggezza
e con amore?
Ventisette anni di età e nove mesi di sacerdozio non erano mol-
ti per diventare superiore di un piccolo seminario di vocazioni
adulte. Il senno però che don Rinaldi aveva dimostrato coi chierici
e l'esperienza accumulata, pur tra difficoltà e alternative in larga
parte felici, nonché la sua calma e posatezza facevano presagire un
buon successo. Per altro chi aveva tardato a riconoscere e a con-
vincersi della sua propria vocazione, con più facilità e ardore si
sarebbe prodigato a vantaggio dei chiamati della seconda e terza ora.
Non ci furono comunque esitazioni da parte dei superiori. « È
Dio - gli scrisse don Rua, in nome senza dubbio di don Bosco -
a mandarti a Mathi»: 6 e dinanzi al volere di Dio, pur con l'animo
in tumulto, come si è visto, don Rinaldi ·era pronto ad obbedire,
piegando fa sua volontà fino al totale sacrificio di sé e all'immola-
zione dei suoi gusti e delle sue aspirazioni.
Quella di Mathi fu la sua prima obbedienza di governo, 'l'inizio
dell'ascendente cammino che lo portò alla successione di don Bosco.
I fatti incominciavano a dimostrare che don Rinaldi non era uomo
di studio ma di comando. La Provvidenza lo donava alle anime
per vie misteriose, che forse non tutti intravidero dai punto di
partenza.
56

7.7 Page 67

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Alto, vigoroso, riflessivo, prudente, disposto alla fatica, don Ri-
naldi era ruomo del momento per un'opera che lo av!'ebbe allenato
a responsabilità e a zelo sempre maggiori.
***
Nel partire da San Benigno se non versò lacrime sentì fortemente
il distacco. Era un voltar foglio nel libro della vita. Fino a quel
momento aveva ricevuto: ora doveva dare e darsi. Da figlio di fa-
miglia improvvisamente e impensatamente diventava padre e cu-
stode di una tradizione che aveva bevuto alla sorgente. Portava
soprattutto in cuore un'ansia di bontà che avrebbe contrassegnato
ogni passo nel nuovo campo di lavoro. La soavità e l'ottimismo di
don Barberis, la sua delicatezza e il suo fervore nella guida delle
anime, gli davano coraggio e lo preparavano a un mondo di intimità
spirituali che sarebbe diventato la risorsa impareggiabile della sua
vita.
A Mathi trovò una picco'la casa, un povero ambiente e quattro
giovani che presto salirono alla ventina e in poco tempo divennero
oltre cinquanta.
Il da fare era molto in tutti i campi: bisognava pensare alle abi-
tazioni, alla scuola, aHo spirito, alla vita comunitaria in santa gio-
vialità. Don Rinaldi si rivelò per quel che era: un superiore tutta
attività e tutto cuore, pronto a ogni richiesta e bisogno dei dipen-
denti. Cominciò a predicare, a confessare, a dirigere nello spirito:
e fin d'allora apparve in quella luce di paternità, che non si smentì
più nella sua persona e nel suo stile di governo.
Il salesiano don Maggiorino Olivazzo, che fu tra i primi sudditi,
così parla del Servo di Dio a Mathi Torinese: « Lo zelo, la carità,
la paternità di don Rinaldi fecero subito della casa una famiglia.
Il direttore teneva conferenze, predicava, confessava, animava tutti.
Soleva prendere parte ai giuochi e di tanto in tanto metteva in piedi
gite e passeggiate straordinarie. In casa regnava una santa allegria:
per fomentarla s'improvvisò perfino tra i giovani una banda di can-
ne e cartoni ».7
Il 24 maggio don Rinaldi portò tutti a Torino per la festa di
Maria Ausiliatrice e per incontrare don Bosco, il quale seguiva i
consolanti sviiuppi dell'opera: sgorgata dal suo cuore di apostolo,
e ora in mano a uno dei ,suoi figli che dimostrava di capirla e di
farla fiorire come aiuola di speranze per le anime.
Le vi,site di don Rua, vicario del Fondatore, di don Barberis,
padre e maestro del Servo di Dio, e probabilmente dello stesso don
57

7.8 Page 68

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Bosco, accertarono il sicuro impianto e l'incremento dell'istituzione
e ne prepararono il trasferimento a Torino.
***
Questo accadde nell'autunno del 1884, dopo un solo anno di
permanenza a Mathi.
Sul corso Vittorio Emanuele, a pochi passi dalla stazione di
Porta Nuova, da qualche anno la Congregazione aveva la casa di
San Giovanni Evangelista, con omonimo tempio annesso. In una
splendida costruzione attigua alla chiesa, nel centro si può dire della
città, don Bosco aveva pensato di dar consistenza ed ampio respiro
al1'opera dei Figli di Maria, che preparava ottimi soggetti ai seminari
e al noviziato di San Benigno.
Al momento di entrare nella nuova sede i giovani erano una
cinquantina, ma nel volgere di pochi mesi oltrepassarono il centi-
naio.
A Torino era più facile curarli, con l'aiuto anche di confratelli
appartenenti ad altre case, specialmente quella di Valsalice, nell'
oltre Po, dov'era direttore don Piscetta, legato a don Rinaldi da sti-
ma e affetto. D'altra parte i migliori tra i Figli di Maria e quelli più
preparati avrebbero potuto dare una mano nell'assistenza e nei ca-
techismi del locale oratorio San Luigi, il secondo fondato da don
Bosco nel 1847, in una zona estremamente bisognosa e insidiata
della città.
Don Rinaldi veniva così nel cuore delle fondazioni e delle atti-
vità salesiane, come a saggiare le capacità pratiche e gl'impulsi apo-
stolici di cui era dotato. Senza dire che gli si offriva più vasto cam-
po di azione e maggiori occasioni di mettere in evidenza, pur in
cornice di voluta modestia, la sua rigogliosa personalità.
***
È certo anzi che a San Giovanni Evangelista maturò e si mani-
festò la personalità di don Rinaldi, mentre si andava modeUando in
lui la figura del superiore salesiano di stampo autentico e genuino.
La permanenza a Torino, durata allora cinque anni, gli consentì
la vicinanza di don Bosco, che egli imparava meglio a conoscere
nell'esercizio della prudenza e del comando. Ogni settimana scen-
deva all'Oratorio di Valdocco per informare il Santo del suo lavoro
e per attingere alla di lui esperienza lumi e consigli nel discerni-
mento delle vocazioni e nella guida delle anime.
58

7.9 Page 69

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Don Bosco in quegli incontri scopriva sempre più nel direttore
di San Giovanni l'uomo di governo, il salesiano attaccato allo spi-
rito della Congregazione, la speranza di un bel domani per la sua
famiglia religiosa. Un fatto singolare dimostra fa speciale stima di
don Bosco per don Rinaldi: qualche volta gli usò la eccezionale
benevolenza di farlo sedere nelle adunanze consiliari che egli pre-
siedeva. Era come se gli indicasse la strada che un giorno doveva
seguire, nel trentennio delle sue responsabilità al vertice della Con-
gregazione.
***
Pensare che tutto c10 avvenisse a caso sembra temerario, pur
se è vero che allora nessuno pensava o immaginava don Rinaldi al
posto di don Bosco. Le vie di Dio sono misteriose, ma conducono
a mète segnate dalla Provvidenza. Lo fa capire lo stesso don Rinaldi.
Egli evidentemente, secondo una forma di vita in auge attorno al
Santo, profittava delle sue visite a Valdocco per la confessione set-
timanale con don Bosco: non capirà mai il fondatore de'lla Società
Salesiana chi non si accorga che egli educò e formò i suoi figli mi-
gliori attraverso il sacramento della riconciliazione.
Degna dunque di memoria l'ultima confessione di don Rinaldi
a don Bosco nel gennaio del 1888, pochi giorni prima che il Santo
morisse. Non volendo rinunciare a quel supremo conforto, entrato
nella stanza disse don Rinaldi all'infermo: « Don Bosco, mi ascolti
ancora una volta e per non stancarsi mi dica poi una sola parola ».
L'ammalato acconsentì. Don Rinaldi s'inginocchiò vicino al letto
e fece la sua accusa. A mezza voce, prima dell'assoluzione, don
Bosco pronunciò chiaramente una parola: «meditazione». Un mes-
saggio!
Narrando il fatto don Rinaldi notava che nell'accusa egli non
aveva toccato l'argomento, e commentava: « Quella parola m'impres-
sionò fortemente: mi fece capire l'importanza che don Bosco annet-
teva alla preghiera mentale; sicché quando divenni Rettor Maggiore
pensai che il buon Padre, prevedendo forse che sarei arrivato a
questo ufficio, volle darmi l'incarico di promuovere l'esatta osser-
vanza di così importante pratica ».8
***
All'Oratorio il Servo di Dio incontrava anche don Rua, avviato
a prendere l'eredità del Fondatore; e senz'altro qualche volta si sarà
59

7.10 Page 70

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domandato in che modo gli avrebbe dato aiuto invece di recarsi
alle missioni. La parola di don Bosco era chiara, ma navigava an-
cora sulle nubi, presagio forse più che profezia.
Lo storico ha il dovere di sottolineare gl'incontri fra i santi;
specie dove i fatti non sembrano casuali, ma preordinati secondo
un piano divino che giuoca nella sorte degli uomini e li conduce
in maniera anche visibilmente provvidenziale.
A quel tempo, senza pensare ad altro, don Rinaldi badava ai
giovani, venuti con lui da Mathi, o che via via arrivavano, specie
da Piemonte e Lombardia, a ingrossare il numero dei suoi figli.
La parola figli non esce dalla penna a caso. Quantunque sotto
i trent'anni il Servo di Dio aveva il senso di una paternità viva
che lo faceva anzfano di spirito. Non si ritenne messo a comandare
per ricevere ossequio; ma a servire nella bontà e nella carità. Nei
direttori conosciuti sul cammino egli aveva riscontrato il padre più
che il superiore. Quella doveva essere la via da battere.
In famiglia, a Lu Monferrato, aveva conosciuto cosa vuol dire
vivere nell'intesa e in armonia, pur con qualche ora di turbamento.
Don Albera a Sampierdarena e don Barberis a San Benigno gli si
erano mostrati su un fondo di amabilità imparata alla scuola di san
Francesco di Sales. Non poteva egli tenere altro sentiero.
Qui incomincia la grandezza di don Rinaldi: nella piena ade-
sione a un sistema di vita che attingeva al Vangelo.
Don Brunelli che gli fu collaboratore a San Giovanni e gli suc-
cesse nella direzione della casa scrive: « Grazie a don Rinaldi la
vita che si conduceva nell'istituto era vita di famiglia. Grande la
confidenza tra superiori ed alunni: e questi non avevano segreti per
il direttore che da essi otteneva qualunque sacrificio per la bontà
e amorevolezza con cui sapeva renderli graditi ».9
***
Le prime e principali cure del direttore erano per il giovane e
inesperto personale che gli veniva da Valsalice, trasformato in Se-
minario per le Missioni Estere o se si vuole in casa di studi secon-
dari per i chierici.
Da questi, alle prime armi nell'insegnamento, non esigeva più
di quanto non potessero dare. Li accoglieva con belle maniere, li
animava nel compimento del dovere, li voleva esatti nella pietà,
non li pretendeva perfetti. Ne studiava l'indole, cercando di cor-
reggere asprezze e difettosità; e soprattutto li faceva molto parlare,
60

8 Pages 71-80

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8.1 Page 71

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sia in ufficio che passeggiando sotto i porticati o facendo magari
un giretto in città, tra i viali del Valentino, vicinissimo alla casa.
Se un chierico mancava alle preghiere in comune, lasciava cor-
rere una due volte; poi bonariamente interveniva, tagliando la stra-
da a'll'inosservanza. Era pronto anche a rintuzzare con garbo disap-
provazioni e critiche e a calmare le impennate di qualche insegnan-
te novellino che non riusciva a dominare la composita scolaresca
affidata alle sue cure.
Don Rinaldi sapeva pazientare e prendere ognuno per il suo
verso. Un giorno al chierico Antonio Cornetti che battendo i pugni
sulla cattedra aveva abbandonato l'aula, don Rinaldi offrì di uscire
a far due passi.
Andarono a Porta Nuova, il direttore staccò due biglietti per la
vicina Chieri, con visita al duomo e alla città. Sull'accaduto neppure
una parola. Al ritorno il volto spianato del professore incoraggiò-
la scolaresca, che non sapeva come sarebbe andata a finire .10 La
saggezza longanime del direttore aveva dissipato il temporale.
***
Sollecitudini non inferiori il Servo di Dio usava con i giovani.
Nessuno come lui era fatto per comprenderli nelle difficoltà dello
studio e nelle incertezze della divina chiamata. Non dimenticava di
essere passato per quel doloroso crogiuolo e si mostrava oculato e
sapiente nel dar coraggio e nell'infonder costanza onde aiutarli a
superare gl'inciampi del sentiero.
Ogni settimana teneva loro una conferenzina spirituale; impar-
tiva norme di buona educazione e di convivenza religiosa; li for-
mava alla pietà e al culto ecclesiastico; al canto gregoriano e alla
musica sacra; li esercitava nelle cerimonie e nella catechesi ai gio-
vani dell'oratorio festivo; e sovente parlava loro delle missioni della
Patagonia, dove proprio nel 1884 la Santa Sede aveva inviato il
primo Vicario Apostolico nella persona di mons. Giovanni Cagliero,
che un giorno sarebbe divenuto cardinale.
Don Rinaldi ebbe soprattutto l'arte di guadagnarsi fa confidenza;
di ascoltare tutti in particolare e di riservare a ciascuno una parola
che usciva dal cuore. Grave più che sostenuto, semplice e riservato
insieme, sorridente e aperto all'arguzia e alla battuta geniale, non
incontrava difficoltà a stabilire contatti d'anima, che lasciavano li-
beri tuttavia nella scelta del seminario, della Congregazione o di
altre istituzioni religiose.
61

8.2 Page 72

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***
Diecine e diecine di quei Figli di Maria, sorretti dal paterno con-
siglio di don Rinaldi, al termine del loro corso accelerato di studi,
entrarono nel noviziato di San Benigno e divennero ottimi salesiani
e valorosi missionari. Se ne trova l'eco nei processi del Servo di Dio.
« Con la sua paternità, prudenza e zelo - dichiara don Tirone
- egli diede forte impulso all'opera dei Figli di Maria... Fece del
gran bene e riscosse ampia e incondizionata approvazione da parte
dei superiori ».11 « Sotto di lui - aggiunge don Bordas - si forma-
rono ottimi salesiani e zelanti missionari»; 12 e don Ricaldone con-
ferma: « Visitando le case della nostra Società sparse nel mondo,
trovai non pochi missionari e direttori formati alla sua scuola ».13
È ancora don Ricaldone ad asserire che i confratelli di San Gio-
vanni e i Figli di Maria che egli, venendo da Valsalice, incontrava
tutte le domeniche all'oratorio San Luigi, avevano sempre espres-
sioni « di grande ammirazione e più ancora di straordinario affetto
per il loro direttore don Rinaldi ».14
Per concludere, la testimonianza di don Giuseppe Matta, del
clero torinese. Riferendosi a quel periodo egli depone: « Mi riferiva
don Francesco Cottrino che il Servo di Dio esigeva l'esatta osser-
vanza della Regola, ma la osservava per primo in tutte '1e prescri-
zioni. Ed erano tali l'ascendente, la stima e la benevolenza di cui
godeva, che al venir mandato nella Spagna alcuni chiesero di an-
dare con lui ».15
Aveva ragione don Giovanni Zolin di scrivere nel 1947: « Ho
conosciuto don Rinaldi a San Giovanni Evangelista dal settembre
1887 all'agosto 1889. Fu sempre mio fermo convincimento che egli
fosse di una bontà senza pari ».16
Un uomo 'Cioè che viveva già in pienezza l'amore di Dio e dei
suoi figli.
Note
1 C ERIA E., 44.
1 CERIA E., 45.
3 CERIA E., 46.
4 CERIA E., 46 .
5 CERIA E., 47.
6 C ERIA E., 49.
7 CERIA E., 51.
8 CERIA E., 54-55 .
62
9 C E RIA E., 55.
10 Summ ., 57 , 202 ; e CERIA E., 58-59.
11 Summ ., 229-230, 793 .
12 Summ ., 57, 201.
13 Summ., 269, 939.
14 Summ., 263 , 917.
" Summ., 318, 1106.
16 CERIA E., 64 .

8.3 Page 73

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7
A SARRIÀ
Nel suo ingenuo fervore don Rinaldi aveva pensato molte volte
alle missioni; un ministero invece di governo fuori d'Italia, in paese
d'Europa dove la Congregazione allargava le tende, non si era affac-
ciato mai alla sua mente. Come si è detto egli non ambiva cariche
e pur riuscendo ne1l'incarico ricevuto non accarezzava sogni da
grande personaggio. I Figli di Maria poi gli erano così profonda-
mente affezionati e gli procuravano tali soddisfazioni da togliere
ogni spazio a pensieri che non fossero il loro profitto negli studi e
l'avanzamento nella virtù.
L'invito perciò a trasferirsi nella Spagna fattogli dal Rettor Mag-
giore don Rua, sucoesso a don Bosco nel 1888, dopo la sua morte,
lo colse di sorpresa e lo pose di fronte a una obbedienza ar·dua se
non proprio dura ·e straordinaria.
Allenato a veder Dio nei Superiori e ad accogliere nelle loro
disposizioni il piano della Provvidenza, don Rinaldi fu pronto a
cambiare Torino per Sarrià, il Piemonte per la Catalogna, l'Italia
per la Spagna.
Era una esperienza che dava carattere internazionale alla sua
persona, lo metteva a contatto con un paese nuovo e nuov·e culture,
gli proponeva più vasti e complessi problemi, e lentamente fo pre-
parava a responsabilità di cui non aveva sentore e non poteva im-
maginare.
***
Nel 1889, allorché il Servo di Dio si vide affidare la direzione
della casa di Sarrià, a poca distanza da Bal:'cellona, verso la parte
alta della città, i Salesiani in Spagna contavano molti amici ma solo
due case. Quella di Utrera, nell'Andalusìa, aperta nel 1881, e quella
di Sarrià, nella capitale si può dire della Catalogna, fondata nel
63

8.4 Page 74

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1884: entrambe del tempo di don Bosco, il quale nel 1886 si era
spinto fino a Barcellona, accolto dal popolo, dal clero e dal patri-
ziato come un « santo ».
A offrire la casa di Sarrià era stata Donna Dorotea Chopitea,
vedova Serra, grande cooperatrice salesiana. « Noi - dichiara don
Rinaldi ai processi della Serva di Dio - si andò a Barcellona chia-
mati da lei, che voleva provvedere specialmente ai giovani appren-
disti e agli orfani abbandonati, onde fossero tenuti sul retto sen-
tiero della vita cristiana. Essa acquistò il terreno con una casa, di
cui curò l'ampiamento fino a potervi insediare l'opera vagheggiata.
Quando io arrivai a Barcellona - nel 1889 - la costruzione era
già finita ».1
***
Bisogna tosto aggiungere che i primi anni dell'opera non furono
del tutto felici e tranquilli. Il direttore don Giovanni Branda nel
suo grande zelo « si era lasciato trascinare da impegni e predica-
zioni esterne » e fa casa, non interamente provvista di personale
religioso, ne aveva scapitato nella disciplina e nella condotta degli
alunni.
Da Torino - attesta don Ricaldone ai processi di don Rinaldi
- don Bosco dovette intervenire con severi ammonimenti e gravi
scoraggianti minacce, che davano la misura di inconvenienti cono-
sciuti misteriosamente e ai quali occorreva porre urgente rimedio.
Alla fine don Branda toccò con mano che il Santo aveva messo il
dito sulla piaga e prese gli opportuni provvedimenti.
Tuttavia un cambiamento di guardia s'imponeva. « Don Bosco
- dichiara don Ricaldone - era persuaso che ,si dovesse cambiare
il superiore, ma non ne ebbe modo. Lo fece don Rua, il quale nell'
autunno del 1889 scelse e nominò don Rinaldi quale direttore ap-
punto della casa di Sarrià ».2
Le circostanze fanno capire la fiducia che la Congregazione met-
teva nel Servo di Dio in un momento non facile dei primordi sale-
siani in Spagna. Fu suo merito indiscusso non solo il superamento
della momentanea crisi che attraversava l'opera di Sarrià, ma l'aver
fatto di essa il centro di sviluppo - la casa madre in certo senso -
della Congregazione nella penisola iberica, sia per l'importanza ur-
bana del centro che le dava vita, sia perché don Rinaldi, venendo
da una casa di formazione come San Giovanni Evangelista di To-
rino, seppe fronteggiare subito il problema delle vocazioni locali.
64

8.5 Page 75

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***
A Sarrià don Rinaldi s'installò sul finire di ottobre del 1889.
Il distacco daHa famiglia, dalla patria, dai suoi Figli di Maria,
non fu senza stretta al cuore. Chi non ebbe pace furono proprio i
Figli di Maria, « che non sapevano adattarsi a vivere senza il loro
antico direttore. E tanto fecero - almeno alcuni di essi, come affer-
ma don Ricaldone, confermando attestazioni già riportate, - che
ottennero di seguirlo nella Spagna, dove li attendeva una magni-
fica riuscita » .3
Mettendo piede in quel mondo nuovo non si può affermare che
il Servo di Dio vi giungesse del tutto impreparato.
Aveva alle spa'l'le un tirocinio e collaudo di vita salesiana vissuta
alle fonti e sotto gli occhi e la guida del Fondatore. Trentatré anni
di età non erano molti, anche se gli consentivano una conoscenza
più che iniziale delle anime e gli permettevano di guardare con ardi-
mento all'avvenire della Congregazione nella terra di Cervantes,
pur se da principio questo non era il compito assegnatogli dall'obbe-
dienza. Il dinamismo de1le cose e la sua vigile intraprendenza lo
avrebbero portato in men che non si dica a un successo che la sto-
ria salesiana della Spagna a giusto titolo gli riconosce.
***
Rimaneva la difficoltà della lingua per chi non aveva la tempra
del poliglotta. Nell'estate aveva cercato di ,superarla con l'aiuto del
salesiano cileno don Camilla Ortùzar.
Converrà annotare subito che don Rinaldi, pur maneggiando con
discreta facilità il castigliano, in modo da non sfigurare in pubblico,
non riuscì mai ad assimilarlo in maniera perfetta e a parlarlo con
accento e tona'lità spagnuola. La lingua per lui, uomo d'azione più
che di tavolino e di letture, fu mezzo secondario d'inserimento nell'
apostolato che veniva a svolgere.
La miglior preparazione che portava era quella dello spirito e
dell'equilibrio nel governo. Da appunti che son rimasti si arguisce
la Enea alla quale voleva improntare la sua azione educativa e for-
mativa nel nuovo campo di lavoro. Carità, mansuetudine, esercizio
di soave paternità con tutti, giovani e confratelli. Studio di tenersi
raccolto in Dio mediante intensa vita di pietà. E poi: evitare vane
chiacchiere e inutili discorsi; nessuna concessione alla politica, di-
chiarandosene incompetente ed alieno; dedizione assoluta alla pro-
pria missione in mezzo alla gioventù.
65

8.6 Page 76

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Tre cose gli parevano importanti all'inizio, tenuto conto forse
della situazione .che ereditava. Eccole nella loro semplicità schema-
tica, da cui traspare un direttore avveduto e prudente. « 1°: Visite-
rò tutta la -casa: laboratori, scuole, cortili, chiesa, refettorio, cer-
cando di conoscere bene le usanze del posto. 2°: Interrogherò bella-
mente confratelli, chierici, preti, secolari e ascritti. 3°: Farò una
conferenza a tutti ».
Conchiudeva il piano di attacco scrivendo: « Umiltà, confiden-
za in Maria Ausiliatrice, coraggio ».4
Un religioso, come ognuno vede, che non si avv,entura cieca-
mente al lavoro, fidando nelle sue forze e nel suo ingegno, ma pone
in Dio la ragione della sua speranza mentre si fissa norme sagge e
concrete di azione.
C'è da osservare che senza la tempestiva esperienza di Mathi e
San Giovanni Evangelista, alla quale don Bosco lo aveva precoce-
mente sottoposto, don Rinaldi non avrebbe potuto essere subito
nella Spagna l'uomo che fu.
***
L'incontro con la realtà, che esigeva mano ferma e sapiente,
non deluse alcuno. Don Emilio Nogués, testimone oculare, assicura:
« Fin dal primo istante don Rinaldi produsse in tutti bell'impres-
sione per l'amabilità del suo fare paterno ».5
Se ne accorsero superiori ed alunni, che presero ad avvicinarlo
e ad aprirgli il cuore, non badando all'accento straniero e alla diffi-
cdltà di esprimersi del direttore. Il cuore ha un linguaggio univer-
sale che non tarda a farsi capire e a cattivarsi la benevolenza degli
altri.
D'altronde in poche settimane don Rinaldi fu in grado di far
prediche, tenere conferenze, dar « buone notti » e avviar rapporti
con il pubblico.
Si vide il suo impegno di adattarsi ad usi e costumi del posto,
alla mentalità della gente e alle tradizioni del paese. Egli volle es-
sere spagnolo in mezzo a spagnoli, se non si vuol dire proprio -
almeno per allora - catalano tra catalani. Dall'Italia non portava
che '1o spirito salesiano di cui era profondamente impregnato, e che
doveva trasmettere in larga misura.
Dire che non trovasse difficoltà nelle cose e nelle persone, che
tutto fosse liscio in casa e fuori, non sarebbe secondo verità. « Sia-
mo ancora molto lontani dalla mèta - scriverà nel febbraio-marzo
1890 - ... Son circondato di rose, ma ho pungootissime spine, il
66

8.7 Page 77

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più delle volte note solo a Dio ».6 Né gli mancò, agli inizi e più tar-
di, qualche momento oscuro e di risorgente notte dello spirito.
Nello spazio di pochi mesi tuttavia don Rinaldi si trovò a pa-
droneggiare la situazione e a gettar le basi per i futuri progressi
della Congregazione in terra catalana e in regioni più lontane della
Spagna.
***
Audace e lungimirante come don Bosco, 1'8 dicembre 1889, a
poche settimane dall'arrivo a Sarrià, don Rinaldi dava l'abito chie-
ricale a Giuseppe Calasanz e al citato Emilio Nogués. I due, insie-
me con il capo-laboratorio Giuseppe Rocaséns, furono le pietre :in-
golari del primo noviziato spagnuolo.
Il particolare fa supporre un'intesa con i superiori, i quali da-
vano carta bianca al nuovo direttore di Sarrià per le sorti della
Congregazione nell'intera penisola.
Per suscitare vocazioni bisognava istituire o allargare il gruppo
studenti, essendo la casa principalmente per giovani artigiani. L'ap-
poggio di Donna Dorotea, la « mamma » dei Salesiani di Barcello-
na, come l'aveva chiamata don Bosco,7 fu sollecito e determinante.
Così ne parla don Rinaldi medesimo ai processi della Serva di
Dio: « Un giorno conversando con Donna Dorotea - alla quale
don Rua l'aveva presentato fin dall'inizio - le accennai ,che alla
sezione artigiani pareva conveniente aggiungere una sezione studenti
da avviare al sacerdozio. Donna Dorotea ascoltò; non disse nulla,
rifletté qualche giorno come era sua abitudine, poi tornò e mi disse
di andare avanti, che avrebbe sovvenzionato l'impresa. Chiamai
l'architetto, si fecero i disegni e in pochi mesi la costruzione fu
pronta. La Serva di Dio ebbe la gioia di vederla non molti giorni
prima della morte » - avvenuta il 1° aprile 1891.8
Don Rua in visita a Sarrià nel marzo del 1890, per l'inaugu-
razione della casa di Via Rocafort, nel quartiere più turbolento di
Barcellona, non aveva potuto che rallegrarsi dell'attività prometten-
te e serena di don Rinaldi, che veniva dimostrando il suo amore alla
Congregazione, nonché le sue capacità di governo, nascoste sotto un
velo di grande modestia, ma rese evidenti dalla stima e dall'affetto
che dimostravano verso di lui le persone oggetto delle sue cure.
***
In casa don Rina1di era il padre di famiglia che tutto sa e vede,
e a tutto provvede con senno e bontà.
67

8.8 Page 78

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I confratelli scorgevano in lui il modello della foro vita religiosa
fatta di osservanze e dedizione al dovere. I giovani lo sentivano
amico più che superiore. Li sorvegliava e guidava nella loro vita di
pietà. Li ascoltava in via sacramentale e confidenziale, secondo i
casi e i bisogni. Parlava loro di Maria Ausiliatrice, di don Bosco,
della Congregazione, specie nei sermoncini serali della « buona not-
te »; si trovava con loro in cortile e volentieri li lasciava parlare
per conoscerne indole, carattere e disposizioni interiori. Sapeva so-
prattutto sventar burrasche, spianare contrasti, ridonare la pace del
cuore e la placidezza dello spirito.
Talora fece persino come don Bosco aveva fatto con lui, spin-
gendo al sacerdozio chi credeva di doverne abbandonare la strada.
Così capitò a Gregorio Ferro. Condotto a Sarrià dal fratello, con
l'intenzione di fare anche di lui un salesiano, un giorno si presenta
al direttore deciso a tornare in famiglia. « No, figlio mio, - gli
dice don Rinaldi, stringenddlo paternamente a sé - : tu sarai sale-
siano e farai molto bene». « La sua voce amorevolissima - dichia-
rava don Ferro nel 1932, dopo 1a morte del Servo di Dio, - mi
aveva cambiato il cuore, sicché non provai più dubbi circa la
vocazione ».9
È proprio don Ferro a rievocare con animo riconoscente la fi-
gura di don Rinaldi negli anni di Sarrià. Dice: « Era squisita la
sua pietà; le sue parole spiravano fragranza di virtù e infondevano
coraggio a diventar migliori ... Con sante e piacevoli industrie ci
rendeva spedito il cammino della virtù e ci spingeva, senza quasi
che ce ne accorgessimo, per i suoi sentieri... Quanti avemmo la
sorte di stargli accanto - conclude don Ferro - e di confidargli
le nostre debolezze e miserie, non lo potremo dimenticare. Per noi
era fa personificazione di don Bosco ».10
***
Col Padre e Fondatore della Famiglia salesiana don Rinaldi
condivise fin da quei tempi l'efficacia della parola. Giova sentirlo
da don Salvatore Rosés, entrato a Sarrià nel mese stesso in cui
giunse il nuovo direttore dall'lta'lia.
Del giovane superiore, che divenne sua guida spirituale, don
Rosés ricorda e sottolinea innanzi tutto, l'allegria inalterabile e
serena, la soavità dei modi che non si smentiva mai, la paternità
viva e feconda, capace di far fiorire « 1e steppe più aride del cuore
umano». Ricorda in particolare don Rosés lo sguardo del Servo di
68

8.9 Page 79

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Dio: « quel suo sguardo - dice - caratteristico e irresistibile,
nel quale ci pareva di cogliere qualcosa di sovrumano »; ma soprat-
tutto rammenta la « parola calda » di don Rinaldi, e il confortante
e sano « ottimismo », che dava alla sua massiccia figura un senso
di umanità non facilmente riscontrabile in altri.
« Ciò che maggiormente porto impresso nell'anima - afferma
i'autorevole testimone - e destò in me profonda ammirazione...
è la forza espressiva del suo dire ... Don Rinaldi non era un genio
per 'le lingue. In molti anni di permanenza fra noi non riuscì ad
assimilare perfettamente il castigliano, né a liberarsi di certa ca-
denza piemontese che toglieva armonia alle sue parole; nondimeno
possedeva in grado eminente il dono della eloquenza, perché i suoi
discorsi, senza bisogno di classici o di figure retoriche, erano grandi
idee finemente cesellate e lavorate come pietre preziose; erano
santi affetti accesi al fuoco del suo cuore di apostolo .. . Ed era tale
la veemenza con cui incideva in noi le cose che voleva dire al
suo uditorio, che 'le pardle gli uscivano dalle labbra in forma scul-
toria ... Si era come soggiogati dalla virtù più che dalla presenza,
conquistati dalla sua paternità ».
Non fa meraviglia - conclude don Rosés - « che noi, i piccoli,
lo amassimo con delirio; che fosse padrone assoluto della nostra
volontà e ci sentissimo disposti a fare per lui qualunque sacrificio ».11
Si potrà facilmente pensare a qualche frangia di lirismo evoca-
tivo, dopo fa morte di don Rinaldi, ma siccome altri testimoni usano
identico linguaggio - lo si vedrà più avanti - bisogna concludere
che la rea1ltà oltrepassava i comuni limiti delle cose e delle persone .
***
Troppo 1ontano si andrebbe se si volessero annotare e commen-
tare intuizioni, delicatezze, espressioni di bontà, che affezionarono a
don Rinaldi molti alunni di Sarrià, studenti e artigiani: sarebbe un
florilegio di e'logi e di encomi. Basterà notare invece che nei tre anni
del suo direttorato egli seppe trasceg'liere e coltivare le prime sicure
vocazioni spagnuole che diedero vita e aiutarono a estendere la
Congregazione nella penisola.
Per suo merito Sarrià divenne, come l'Oratorio di Valdocco ai
primi tempi, un campo fertile di chierici e coadiutori, una palestra
di formazione religiosa, affrettata per le esigenze del momento, ma
fervida per slancio e stabile nel suo fondamento spirituale e nel
sincero attaccamento a don Bosco e agli ideali della vita salesiana.
69

8.10 Page 80

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Tipico il caso di Guglielmo Vifias: chierico a tredici anni, assi-
stente e insegnante a quindici, professo perpetuo a sedici. Da ispet-
tore di Andalusìa, viaggiando con il Rettor Maggiore don Rinaldi,
don Vifias gli domandò: « Come faceva, don Rinaldi, a fidarsi
tanto di noi? ». Rispose il Servo di Dio: « Caro don Vifias, è vero
che a quei tempi facevamo cose che oggi si direbbero spropositi.
Ma, come vedi, non tutto è andato male. Io facevo spropositi, e
don Bosco li aggiustava » .12
Ispirandosi in altri termini al Fondatore, don Rinaldi aveva
capito che la necessità non ha legge; e che la grazia di Dio fa pro-
digi quando non mancano rettitudine e buona volontà.
***
Resterebbe da dire, per completare il quadro, ciò che don Ri-
naldi fece sin da principio per dotare la Congregazione di salesiani
coadiutori e capi d'arte, estendere ed accrescere il culto di Maria
Ausiliatrice, stringere e mantenere vincoli di cordiale benevolenza
con coopratori e cooperatrici salesiane, che appoggiavano le sue
imprese.
Basti aver accennato per comprendere come a Torino don Rua
moltiplicasse la sua fiducia nel Servo di Dio e lo considerasse la
colonna di ,sostegno per l'avvenire salesiano ,della Spagna. Nel
1892 infatti metteva nelle sue mani la responsabilità delle case e
le prospettive che si aprivano aHa Congregazione oltre i Pirenei.
Note
' CÀSTANO L., 236.
' Summ., 264, 920.
3 Summ., 264-265, 921.
4 CERIA E ., 72.
' C ERIA E., 73.
6 CERIA E ., 76-77.
7 CÀSTANO L., 219.
8 CÀSTANO L. , 236 e 238.
9 CERIA E ., 81.
" CERIA E ., 80-82 .
11 FIERRO TORRES R. , 80-82.
12 C ERIA E ., 85.
70

9 Pages 81-90

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9.1 Page 81

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8
ISPETTORE DI SPAGNA E PORTOGALLO
Pur dedicandosi anima e corpo alla casa di Sarrià, e facendone
rifiorire il nome e le opere, don Rinaldi non tardò ad accorgersi che
la sua persona e la sua missione in Spagna andavano oltre i limiti
di una istituzione 1oca:le. Il nome salesiano si faceva strada e le
richieste di fondazioni piovevano da una parte e daH'altra. Vi con-
tribuì nel 1890 la presenza di don Rua per l'inaugurazione della
casa di Via Rocafort, voluta, fatta costruire e donata alla Congre-
gazione - come si è accennato - dalla munificenza di Donna
Dorotea Chopitea, vedova Serra.
Qualche tempo dopo il trentaquatrenne direttore di Sarrià, preso
di mira dai richiedenti, ne era come sbalordito. « Si figuri - scri-
veva in tono quasi ironico a don Barberis - ... che cosa può acca-
dere se si pensa che don Rina1di a Barcellona diviene don Rua,
essendo qui fa più grande autorità della Congregazione ».1
Certo a provocare il fatto contribuiva la vicinanza della metro-
poli catalana con il suo clero e i suoi problemi: ma era anche il
crescente prestigio dell'uomo che esprimeva nella sua persona il
vigore e l'attualità dell'ideale salesiano. A lui da molte parti si
rivolgevano come se di fatto rappresentasse il Rettor Maggiore, per
offrire e chiedere fondazioni. « Io - scriveva nel 1891, dopo la
visita di don Rua - non sapevo che la Spagna fosse tanto favore-
vdle ai salesiani. Dappertutto ci vogliono; in molte città son pre-
parate case per noi ».2
Perciò di fronte ai problemi che le circostanze sembravano ad-
dossargli il Servo di Dio umilmente confidava a don Barberis, che
era l'uomo della sua fiducia: « Quanto converrebbe che si man-
dasse qui un nuovo superiore. Gioverebbe anche per alzare il
prestigio della Congregazione, che necessariamente ne perde con
uno come me alla testa ».3
71

9.2 Page 82

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La bassa stima che aveva di sé non impediva però al Servo di
Dio quel'l'azione che le circostanze parevano imporgli, senza averne
la responsabilità ufficiale. Don Rinaldi sarà sempre uomo umile
e forte insieme: il concetto che aveva della sua persona, mai lo
condannerà all'inerzia o al rinvio di questioni che trovava sul cam-
mino.
E così da semplice direttore di Sarrià ottenne da Torino che
si aprissero, nel 1891 la casa di Gerona, al nord di Barcellona,
come co1onia agricola e oratorio festivo; e nel 1892 l'oratorio e le
scuole ,diurne e serali di Santander, nel'la regione nord-occidentale
della Spagna, sul mar Contabrico. Evidentemente questo impose al
Servo di Dio viaggi, sopralluoghi ed incontri, che si aggiungevano
agli impegni di Sarrià.
Anche in Andalusìa, nell'estate del 1892, ci fu da Utrera una
ramificazione nella città di Siviglia, capoluogo della regione, con il
collegio di arti e mestieri della SS.ma Trinità.
La Congregazione si metteva in marcia con grandi possibilità
di sviluppo e con avvenire lusinghiero. S'impiantava neHa Spagna
al momento giusto del progresso industriale e sociale. Si poteva
darle fiducia ed autonomia.
***
Questo pensò don Rua con il suo consiglio. Fino a quel mo-
mento le case di Spagna erano alle dipendenze del Capitolo Supe-
riore: bisognava dichiararle per così dire adulte e lanciarle sulla
via della naturale espansione. Molto personale affluiva ancora dall'
Italia, ma il noviziato di Sarrià, o le vocazioni raccolte a Sarrià,
costituivano una incoraggiante promessa.
Nel 1892 fu dunque decisa e decretata l'erezione dell'ispettoria
o provincia spagnuola « Nostra Signora della Mercede» e se ne
affidò fa responsabilità e il governo a don Rinaldi.
Il pensiero di molti confratelli, al ventilarsi l'erezione della
nuova ispettoria, si era posato su don Ernesto Oberti, da otto anni
direttore di Utrera, buon conoscitore della Spagna, ottimo parlatore
e uomo di specchiate virtù.
A Torino però non ci furono dubbi sulla scelta. Le predilezioni
di don Bosco per don Rina'1di, la sua fruttuosa esperienza a San
Giovanni, l'intraprendente lavoro svolto a Sarrià, in favore soprat-
tutto deHe vocazioni, l'abilità dimostrata nel rapporto con auto-
rità e pubblico, l'assennatezza di cui tutti gli davano atto, e
forse l'iniziale progetto di metterlo col tempo alla testa dei sale-
72

9.3 Page 83

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siani al di ià dei Pirenei, determinarono don Rua alla nomina, pur
se non si poteva negare la sua ancor breve permanenza in Catalogna.
Il religioso e il salesiano in don Rinaldi valevano assai più
dell'uomo: don Rua, con il consiglio senza dubbio di don Barberis,
mostrò di rendersene persuaso; anche se intuiva le difficoltà che
avrebbe potuto incontrare al principio da parte dei confratelli di
Andalusìa, maggiormente inseriti nella vita culturale spagnuola.
Con don Rinaldi non bisognerà mai fermarsi a'lle apparenze o
giudicare con criteri prevalentemente umani. Occorreva guardarlo
in profondità e scoprire una ricchezza che istintivamente egli na-
scondeva. Don Rua perciò lo fece depositario della sua stima e gli
diede credito per le sorti di confratelli e opere in un paese desti-
nato ad accogliere largamente il seme salesiano.
***
La nomina fu conosciuta e divenne effettiva nell'estate del 1892.
In parte giunse inattesa e durò nove anni consecutivi.
Come l'accogliesse il Servo di Dio non risulta. Più voleva eclis-
sarsi e più lo mettevano in luce. La sua doveva essere una costante
ascesa fino alle vette del comando; ma senza vani compiacimenti,
in spirito di servizio.
Allorché da Rettor Maggiore chiamò don Antonio Candela a
far parte del Consiglio, questi gli fece le sue difficoltà, non giudi-
candosi aH'altezza dell'ufficio che gli era affidato. Don Rinaldi
amabilmente tagliò corto: « Vedi - gli disse - in Congregazione
ci sono confratelli più capaci di noi, i quali farebbero meglio al
nostro posto. Ma il Signore ha scelto noi. Facciamo quel che si
può: Dio farà il resto ».4
Don Ricaldone, che allora si trovava a Siviglia, nota appunto
che ne'l recarsi da ispettore a Utrera, dove c'era stata qualche lieve
delusione, don Rinaldi « seppe guadagna1:1si il cuore di tutti con
tratto e carità paterna ».5 Aveva capito la delicatezza deUa posi-
zione e si era prefisso una linea di governo centrata sulla bontà.
~ questo il momento nel quale la paternità spicciola e bonaria
del direttore, che vive consacrato al bene della sua casa, si estende
a più fargo raggio e diventa paternità di superiore preposto al
governo di opere sparse in città e regioni diverse con caratteri sva-
riati e disuguali esigenze.
73

9.4 Page 84

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***
Il passaggio da una realtà all'altra - e non sarà l'ultimo -
fu per don Rina1di motivo di esame interiore e di rinnovato impe-
gno spirituale. Si direbbe che l'accrescersi del peso di governo
affina in lui il senso della esemplarità e della umanità, già tanto evi-
denti e spiccate nel suo profilo di superiore.
Dai propositi de'l 1892 affiora un uomo che non indulge
all'amor proprio, non sente le vertigini dell'autorità, non crede e
non conta su qualità e doti delle quali si ritiene in possesso. « Il
mio modo di fare - dice a se stesso, e alludeva all'esercizio del
ministero - bisogna che sia più umile e caritatevole; il mio con-
tegno, più cauto e più grave, pur se pieno di bontà... Nell'ascoltare
ie confessioni, moltissima carità; mai parole aspre; non pensare ad
altro; dare sempre buoni consigli ».6
Passando dall'ambito sacramentale, che a quei tempi era il cam-
po privilegiato della paternità salesiana, alla sfera deHa guida este-
riore, don Rinaldi ribadiva il principio fondamentale della supe-
riorità cui voleva restar fedele: « Sarò padre. Eviterò i modi aspri.
Quando i confratelli sono a colloquio non darò a vedere di essere
stanco o di aver fretta: provvederò ai loro bisogni. Avrò presente
don Bosco ».7
Imitare don Bosco - egli l'aveva sperimentato nella sua pa-
ziente bontà - , diportarsi con giovani e confratelli a suo esempio,
educare le anime in confessione e fuori con i suoi metodi e secondo
il suo spirito, cancellare se stesso onde nella persona del superiore
si potesse ravvisare il Fondatore della Congregazione e se ne accet-
tassero gl'insegnamenti e la pedagogia, fu il segreto di don Rinaldi
e 'la principale ragione del suo inimmaginabile successo nella Spagna.
***
Ma ci furono anche i propositi per lo sforzo ascetico, la vita
religiosa e la esemplarità della condotta in seno alle comunità.
Si propose di essere assiduo alla meditazione del mattino e
di farla « in comune »; di celebrare messa « senza fretta », pro-
nunciando attentamente formule e preghiere, e accompagnandole
« con l'affetto e col pensiero»; di prestarsi alle Figlie di Maria
Ausiliatrice e loro novizie, senza tuttavia preferirle ai confratelli.8
Altri propositi si riferiscono a momenti e occupazioni della gior-
nata; alle visite da fare e ricevere; al disbrigo della corrispondenza.
74

9.5 Page 85

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« Alle lettere - annotava - risponderò con prontezza e senza
alcuna passione dell'animo ».9
Don Rinaldi, nel suo accurato bilancio preventivo, s'accorge
di ·dover avviare un competente ufficio ispettoria1e; e anche se
non vuole metter da parte, sia pure transitoriamente, certa sor-
veglianza sul'la casa e le conferenze al personale, non intende so-
vrapporsi al nuovo direttore di Sarrià, che fu don Emanuele Her-
mida, venuto dal clero secolare a infoltire la prima generazione
di salesiani spagnuoli.
L'impressione generale che suscita l'insieme di propositi, risolu-
zioni e norme che il Servo di Dio prende all'inizio dell'ispettorato,
lascia scorgere una persona matura, dal taglio pratico e deciso, dalle
vedute chiare, dal passo fermo e sicuro.
Non sono certamente i propositi a fare i santi. Ma dai propositi
si riesce a intuire il cammino dei santi e la loro espressa volontà di
vita perfetta.
***
Don Rinaldi si mise al lavoro senza scomporsi e cercando di
superare le difficoltà che gli uscivano al passo. A Sarrià era cono-
sciuto e non gli costò presentarsi in veste di superiore provinciale.
Altrove, come si è accennato, non mancò qualche momento d'incer-
tezza, che i superiori forse avevano previsto e lo stesso don Rinaldi
avvertì e abilmente seppe dissimu'lare. Qualche visita bastò a far
conoscere e stimare i'uomo, anche se H suo accento in Andalusìa
- osserva don Ricaldone - « pareva un po' strano ».10
Ben presto il Servo di Dio con il fare bonario, la ,semp'licità dei
modi, il distacco da ogni sussiego e pretesa di autorità; ma soprat-
tutto con il fascino del cuore e la santità delle azioni, riuscì a con-
quistare l'animo di confratelli, giovani ed amici dell'opera salesiana,
e a regolarsi in modo da tornare gradito a tutti.
Rapidamente le occupazioni andarono moltiplicandosi; i pro-
blemi si fecero più vasti e complessi; viaggi e sopralluoghi furono
all'ordine del giorno. La sua non era stagione di pacifica conser-
vazione, bensì di movimentato progresso.
E in tutto ciò don Rinaldi venne dimostrando quel sereno giu-
dizio e quella praticità d'intenti che in lui consolidarono e perfezio-
narono l'uomo d'azione. È nel giusto mons. Marcellino Olaechea,
arcivescovo di Valenza, quando afferma che i successi « nella dire-
zione delle anime e negli affari materiali » erano frutto di « vita
interiore ».11 Più che la forza del ragionamento in lui operava la
75

9.6 Page 86

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visione fu1lminea delle cose, per cui arrivava al nocciolo delle que-
stioni con immediatezza che talora aveva del sorprendente. Per
mons. Olaechea egli era il superiore « esemplare di consumata per-
fezione ».12
***
Ne fecero l'esperienza quanti lo frequentarono in quegli anni.
Prima che ad altro don Rinaldi badava alla persona di confratelli
e giovani, alla loro formazione individuale e collettiva. Pronto sem-
pre a riceverli, a incoraggiarli, a chiarir dubbi, a smussare attriti,
a condurli per una via facile ma sicura di robusta spiritualità sale-
siana. Come don Bosco egli capì che per aver collaboratori alacri
e intraprendenti, doveva contare su figli affezionati e devoti. Verso
di essi perciò aprì il cuore, nella certezza di venir capito e assecon-
dato, allo scopo di farne dei consacrati e degli apostoli.
A leggere certe rievocazioni c'è da restar stupiti. I superlativi
si sprecano, in un crescendo che può sembrare inverosimile più che
artificioso. Va1ga una affermazione per tutte: « In don Rinaldi si
sentiva più l'affetto di padre che l'autorità di superiore ».13
Mons. Olaechea, il quale conobbe e sperimentò le delicatezze
del Servo di Dio e raccolse la voce della Spagna salesiana, ai pro-
cessi afferma: « Ho l'impressione di non aver incontrato nella mia
non breve esistenza un sacerdote che mi abbia dato più alta idea
della paternità amorosa di Dio. Mi è difficile far nomi, ma posso
attestare di non aver sentito salesiani che avendolo conosciuto non
parlassero con entusiasmo della sua persona ».14
Anche un distinto ecclesiastico, già professo nella Congrega-
zione avendolo avvicinato in quegli anni, dichiara: « La virtù di don
Rinaldi sfiorava l'eroismo. Sono stato per molto tempo a contatto
con lui e non 'lo vidi mai perdere la calma. Né indiscrezioni di
alunni, né pretese di chierici filosofi o teologi, né gravi problemi di
sacerdoti lo turbavano per un solo istante. Mai una frase spiace-
vole, un gesto che tradisse disgusto, un rannuvolamento che gl'inter-
rompesse il bonario sorriso... Ci riceveva sempre con amabilità e
compiacenza. Don Rinaldi mi pareva un uomo caduto dal cielo,
e come angelo interamente alieno da passioni umane ».15
Aneddoti e fatterelli riempirebbero pagine intere: basta comun-
que aver delineato l'immagine del Servo di Dio come ispettore, per
mettere a fuoco e lasciar intravedere lo stile del suo governo.
76

9.7 Page 87

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***
Conviene in cambio volgere io sguardo alle opere che in nove
anni di ispettorato gli riuscì di mettere a segno. Dànno quasi il pro-
filo di un fondatore della Congregazione salesiana nella penisola
iberica.
Fin da direttore, come si è visto, egli pensò a moltiplicar brac-
cia e ad aprire case. Fu l'uomo che seppe cogliere il momento e
sfruttarlo con un coraggio e un'intraprendenza che hanno dell'incre-
dibi'le. C'è da domandanrsi se don Bosco o altri avessero potuto
fare di più. Un collaboratore di quei tempi lontani lo proclama
« grande apostolo, che centuplicò nella Spagna l'esercito salesiano ».16
Prima sollecitudine per dar consistenza alla nuova ispettoria fu
provvederla di un noviziato vicino a Sarrià, ch'era divenuta casa
ispettoriale, modello e centro propulsore di vita per tutta 1a peni-
sola. Profittando delle disponibilità di una ricca dama che voleva i
salesiani a Béjar, don Rinaldi ottenne da lei i mezzi per l'acquisto
di una casa a San Vicente dels Horts, non lontano da Barcellona;
e così nel 1895 la Spagna ebbe il primo fiorente noviziato che fornì
soggetti per le nuove fondazioni. « A San Vicente - proponeva
il Servo di Dio - andrò possibilmente una volta alla settimana per
la conferenza e una volta al mese per le confessioni ».17 Come si
vede, pur fasciando mano libera agli altri, don Rina'ldi intendeva
fare la sua parte nella formazione dei nuovi confratelli chierici e
coadiutori, dei quali doveva servirsi nell'espansione delle opere.
***
Sul finire del 1894 s'erano aperte le case di Màlaga, in Anda-
lusìa, sotto gli auspici del santo vescovo Marcello Spìnola, poi
arcivescovo e cardinale di Siviglia; di Rialp, tra i Pirenei, in diocesi
di Urgel; e di Vigo, in Galizia.
Seguirono altre case con un ritmo si può dire travolgente: Béjar
- già ricordata-, Ecija, Carmona, Baracaldo, Salamanca, Siviglia
- San Benito - , Valenza, Ciudadela - nelle Baleari - , Montilla,
Madrid, Còrdoba. I1 passaggio dalla Spagna al Portogallo era facile
e quasi ovvio: e nacquero in quel paese le case di Braga, Pinheiro
de Cima - come noviziato di lingua portoghese-, e Lisbona.
Ai processi don Ricaldone ricorda appunto che le case fondate
da don Rinaldi in nove anni di ispettorato furono 21, « compresa
quella di Rialp, che poi fu chiusa ».18 Un miracolo di attività, di
77

9.8 Page 88

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coraggio, di avvedutezza nella scelta e distribuzione dei soggetti,
che sotto la sua guida erano pronti a ogni sacrificio.
Don Ricaldone giustamente osserva: « È doveroso aggiungere
che don Rina:ldi seppe guadagnarsi la stima e 'le simpatie di tutti,
non solo a Sarrià, ma anche nelle regioni dove si recò a fondar
case. E non erano soltanto i salesiani a venerarlo e a riporre confi-
denza in lui, bensì anche persone della nobiltà e dell'industria, che
lo consultavano in questioni spirituali e materiali della loro vita ».19
Anche don Candela, mandato più tardi in Andalusìa, depone:
« Negli anni trascorsi in Spagna costatai com'era vivissimo il ricor-
do di don Rinaldi, non solo in Congregazione ma pure fra lo stuolo
nùmeroso di benefattori, amici ed ammiratori. Si lodavano in par-
ticolare le sue virtù, il criterio pratico, la prudenza, il grande cuore,
lo zelo ardente per le anime, la ricerca delle vocazioni, che sapeva
discernere, guidare e sostenere ».20
Un superiore - in una parola - impareggiabile e completo
don Rinaldi, quale non è facile trovare. E bisogna aggiungere che
la quasi totalità delle sue fondazioni raggiunsero gli scopi desiderati
e sussistono tuttora.
***
Resta da dire ciò che don Rinaldi fece in Spagna per le
Figlie di Maria Ausiliatrice, deHe quali curò sempre con cuore di
padre la formazione spirituale e salesiana, mediante conferenze,
ritiri e scritti occasionali.
Da direttore nd 1892 aveva fatto sapere a don Barberis: « Io
non ho tempo di pensar a moltiplicar le loro case e non ne ho la
mfasione ». Ma soggiungeva: « È necessario che si muovano ».21
Ci pensò da ispettore aiutandole a espandersi soprattutto in
Andalusìa. L'Istituto contava la sola casa di Sarrià, dono di Donna
Dorotea Chopitea. Con don Rinaldi alla testa dell'opera salesiana
in Spagna, anche le Figlie di Maria Ausiliatrice si mossero ed ebbe-
ro sette nuove fondazioni, tra le quali Siviglia, Ecija, Jerez de la
Frontera e Valverde del Camino; divenuta celebre quest'ultima fon-
dazione per il soggiorno e la morte della Serva di Dio suor Eusebia
Palomino, di cui si prepara il processo di beatificazione.
Suor Clelia Genghini, segretaria generale dell'Istituto poté di-
chiarare ai processi di don Rinaldi: « Mercè lo zelo e l'attività del
Servo di Dio il nostro Istituto fece molti progressi nella Spagna.
Al suo arrivo in Catalogna le suore erano quattro e le novizie tre;
78

9.9 Page 89

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alla sua partenza le suore erano salite a 63 e a 31 le novizie, quasi
tutte spagnuole ».22
***
Il quadro di don Rinaldi ispettore non è ancora completo.
Imitatore ed emulo del Fondatore egli, che pur non aveva molto
studiato, sentì il dovere della buona stampa e di edizioni educative
e ricreative per la gioventù. Fondò le Letture Cattoliche in lingua
spagnola; ideò una collana di classici per giovani e studenti, la
quale purtroppo non andò oltre i primi volumi; e lanciò un fo-
g1ietto settimanale dal titolo El Oratorio festivo. Dopo una visita
nel 1899 alle opere maschili e femminili di Spagna, il Rettor Mag-
giore don Rua scriveva all'intera Congregazione: « Tra le molte
cose che riempirono il mio cuore di consolazione, nel visitare quelle
case, fu il gran numero di oratori festivi che vi trovai, e 'l'attenta
e sollecita cura che se ne ha ».23
Il riconoscimento andava a tutti, ma ricadeva specialmente su
don Rinaldi che, ispirandosi agli esempi di don Bosco, aveva sa-
puto incoraggiare e indirizzare i confrateHi verso un'autentica for-
ma di apostolato salesiano.
Perciò nel 1901 don Rua chiamava don Rinaldi al suo fianco
nel governo centrale deHa Congregazione.
* * ,,
Prima che il Servo di Dio si allontani da'lla Spagna, che fu sua
patria adottiva, giova ricordarlo, nei tratti saHenti, secondo il ritrat-
to che di lui traccia don Vifias al processo Rogatoriale di Barcellona.
« Viso piacevole, soffuso di paterna bontà e benevolenza.
Occhiali leggermente inclinati a sinistra: dietro 1e lenti, occhi
vivi che erano un segreto, una calamita per quanti lo avvicinavano ...
Tutti potemmo godere di sguardi amabili, che scendevano dolce-
mente nell'anima ed affascinavano.
Nell'orazione don Rinaldi sembrava inabissarsi in Dio: distrarlo,
chiamarlo, fargli una commissione dava turbamento.
Nello zelo per la educazione della gioventù era un apostolo;
nella cura del personale, un piccolo don Bosco; coi confratelli, un
padre .
Il suo sorriso mite e bonario diventava un contagio, non perché
prorompesse in forme clamorose, tutt'altro che del suo stile, ma
perché il vederlo soddisfatto infondeva gioia e rallegrava i subalterni.
79

9.10 Page 90

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Gesti bruschi e maniere forti non rientravano nel suo fare dolce
e al tempo stesso risoluto.
Le sue parole erano sempre contate. Non ne faceva sperpero.
Dalle sue labbra ognuno raccoglieva l'espressione adatta che scen-
deva in cuore con accento ispirato e talvolta profetico.
Il suo portamento, dignitoso e semplice; virHe, senza affetta-
zione; attirava per l'incanto della virtù.
La profonda umHtà e l'abbandono in Dio gli davano intrepi-
dezza nelle imprese: di B nacque la Spagna salesiana.
La sua paternità, un sole senza tramonto che faceva del bene
a tutti.
Così - conclude don Vifias - doveva essere san Francesco
di Sales ».24
Questo don Rinaldi sui quaranta-quarantacinque anni. Non si
potrebbe dire meglio o chiedere di più.
Note
' CERJA E., 78.
2 CERJA E ., 78.
3 CERIA E., 79.
Summ., 196, 686.
5 Summ., 265, 923.
6 CERIA E., 92.
7 CERIA E., 93.
8 CERIA E., 92.
9 CERIA E ., 93.
10 Summ. , 265, 923 .
11 Summ ., 364, 1234.
" Summ ., 364, 1233.
13 CERIA E., 99 .
14 Summ., 363, 1230.
15 FIERRO TORRES R., 79.
16 CERIA E., 99.
17 CERIA E., 95.
18 Summ., 265, 924.
" Summ., 269-270, 940.
20 Summ., 165, 572.
21 CERIA E., 110.
22 Summ., 209, 726.
23 CERIA E., 113.
24 CÀSTANO L., 267-268 .
80

10 Pages 91-100

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10.1 Page 91

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9
PREFETTO GENERALE
« Don Rinaldi - parla don Ricaldone ai processi - fu sacer-
dote di vita interiore; di criterio pratico veramente eccezionale;
di bontà e paternità che trasparivano da tutti gli atti; di una capa-
cità di lavoro che non si riesce a spiegare, se si tien conto special-
mente della salute a volte precaria; e infine di profonda umiltà » .1
L'abbozzo è degli ultimi tempi, ma rivela i tratti caratteristici
di precedenti età, salvo gl'incomodi fisici che si accentuarono al
termine della vita.
Don Rua se ne ricordò allorché, morto improvvisamente il
17 febbraio 1901 don Belmonte, prefetto generale della Congrega-
zione, si vide nella necessità di sostituirlo fino a'l Capitolo deI 1904.
Egli conosceva da gran tempo don Rinaldi; sapeva quanto
l'avesse prediletto e stimato don Bosco; era stato sul campo del suo
lavoro, nella visita del 1899 alle case di Spagna e Portogallo, e ne
aveva ammirato l'inteHigente e instancabile operosità. Non poteva
trovare di meglio tra confratelli e superiori al bene di tutti.
L'invito a lasciare la Spagna e a trasferirsi a Torino partì subito,
il 1° marzo 1901,2 con immediatezza che stupisce, e al tempo stesso
fa capire la fiducia che si riponeva nel talento e nelle virtù di chi
era chiamato a occupare la seconda carica della Congregazione.
***
Per la Spagna - dice don Ricaldone, confidenzialmente infor-
mato da don Rinaidi stesso a Còrdova - « fu un lutto generale ».3
Anche se non mancavano uomini capaci di prenderne il posto, la
nazione perdeva un padre e condottiero, che difficilmente avreb-
bero trovato in a'ltri. Don Rua parlerà di « mente e operosità
insigni ».4
81

10.2 Page 92

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Per don Rinaldi in cambio fu l'ora giusta. Non per l'ascesa
umana, che lo onorava dentro e fuori la Famiglia salesiana, ma
per la stanchezza accumulata in anni di improbo lavoro. A don
Ricaldone egli manifestava « grande ripugnanza alla nuova carica»,
pur dicendogli: « Da una parte ringrazio Dio, perché non avrei po-
tuto reggere sei mesi in più neH'ufficio di ispettore ». Infatti -
commenta don Ricaldone - « era tanto il lavoro, tante le preoccu-
pazioni, così disagevoli e lunghi i viaggi, che nessuna fibra avrebbe
potuto resistere oltre alfa fatica ».5
La prova più evidente la si ebbe nel fatto che, partito don Ri-
naldi e per suo consiglio, le opere di Spagna vennero suddivise in
tre ispettorie: Sarrià-Barcellona, Siviglia e Madrid; e una certa
autonomia fu concessa al Portogallo, in vista della futura erezione
a ispettoria indipendente.
Don Rinaldi era dunque stato un pilastro di eccezionale saldez-
za per la Congregazione al di là dei Pirenei.
Di quegli anni egli dirà nel 1912, in un ritorno alla penisola:
« Gli anni passati in Spagna sono stati i migliori della mia vita ».6
Diedero invero aHa sua personalità e alla sua fisionomia quel
fascino umano e salesiano, che lo accompagnò poi fino alla morte.
***
Rientrando all'Oratorio, che diventava la sua casa, e metten-
dosi al fianco di don Rua in veste di suo primo e principale colla-
boratore, il Servo di Dio dovette rammentare e arrendersi una volta
di più ai vaticini di don Bosco: egli non era destinato alle missioni,
ma ad aiutare don Rua, a condividerne imprese e dolori, con tutto
ciò che poteva seguire.
Da allora infatti, e per un trentennio, don Rinaldi stette a Val-
docco, all'ombra del santuario di Maria Ausiliatrice, vicino alle
camerette del Fondatore, tra rico1:1di di un passato ch'egli conosceva
nei particolari, e all'insegna di uno spirito e di una animazione
religioso-educativa di cui volle essere custode geloso e fedele inter-
prete fino all'ultimo respiro.
***
Confermato da'1 voto dei confratelli in successivi Capitoli, don
Rinaldi fu prefetto generale della Congregazione per 21 anni: dal
1901 al 1922. Prima con don Rua, poi col successore don Albera;
.82

10.3 Page 93

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e durante due interregni, compreso quello che precedette la sua
elezione a Rettor Maggiore.
B il tempo più lungo e in certo senso più vario del suo servizio
al governo delle opere salesiane; e quello che maggiormente ne
mise a sbalzo l'attività e la modestia.
La modestia in primo luogo. « Era tanta la stima di cui godeva
- attesta don Ricaldone divenuto ispettore a Siviglia - , che nell'
aprile del 1910, alla morte di don Rua, noi della Spagna eravamo
persuasi che la successione dovesse ricadere sulle sue spalle ».7
Ma ricordando la predizione di don Bosco a Borgo San Martino
nel 1877, e cioè che don Albera sarebbe stato il suo « secondo»,
il Servo di Dio si era mantenuto alieno da ogni intesa o scambio
di vedute, come chi vuol restare in ombra e lasciare alla Provvi-
denza di percorrere Ie sue strade. Proclamò in quella circostanza
il neo-eletto, gli cedette la presidenza dell'assemblea e si ritrasse
in disparte, lieto di aver interpretato, com'era nei disegni di Dio,
la reticente espressione colta sul labbro di don Bosco quand'egli
si preparava ad entrare in Congregazione.
Fu quello il momento più delicato della sua lunga prefettura;
quello che maggiormente mise in evidenza il suo distacco da pro-
spettive terrene, e che gli accrebbe la fiducia della Società, la quale
in don Albera esaltava un fedelissimo della prima generazione
salesiana .
***
Della sua innata modestia don Rina'ldi aveva dato saggio fin
dall'insediarsi nell'Oratorio quale vicario e sostituto del Rettor
Maggiore. « A quei tempi - osserva don Ricaldone, che fu tra le
persone più intimamente e lungamente vicine al Servo di Dio -
il prefetto generale non era soltanto il primo collaboratore del Su-
periore Generale, ma anche l'amministratore dei beni della Con-
gregazione ».8 Il lavoro d'ufficio quindi era pieno di responsabilità
e di pensieri per l'andamento economico e finanziario di case e di
ispettorie, e soprattutto per le missioni.
Ben presto anche qui don Rinaldi si accorse come don Bosco
avesse letto con chiarezza nella sua vita. Sarebbe rimasto in Italia
a mandare, pensare e provvedere a chi partiva per lidi lontani.
Vita di ufficio, di tavolino, di conti e corrispondenze, di beghe
e contese. « Nei primi anni - rileva ancora don Ricaldone -
dovette trovarsi a disagio, abituato com'era a percorrere in lungo
e in largo le vaste regioni deHa Spagna ».9 Tutto si era ridotto a
83

10.4 Page 94

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una povera stanzetta che aveva solo il pregio di affacciarsi sui cor-
tili dell'Oratorio e di godere la visione della cupola di Maria Ausi-
liatrice.
Temprato al sacrificio e alla rinuncia, don Rinaldi si adattò alle
nuove occupazioni che, se gli permettevano di riprendersi in salute
e fo obbligavano a una forma metodica - si può dire burocratica
-di vita, a poco a poco gli dischiudevano ampi orizzonti congeniali
al suo spirito e alle sue inclinazioni, e misero in evidenza qualità
apostoliche e ricchezze di paternità, quali non si potevano imma-
_ginare in persona d'affari.
,, * *
Da principio nel nuovo prefetto generale si ammirarono bono-
mia, scrupolosità al dovere, attaccamento a don Rua e alle tradi-
zioni, senso di posatezza e di equilibrio nel parlare e nel giudicare.
Don Tranquillo Azzini, chiamato presto a lavorare nel suo uffi-
cio per la parte amministrativa, e rimasto lunghi anni accanto al
Servo di Dio, meglio d'altri è in grado di ritrarre in lui l'uomo
della bontà, il lavoratore indefesso, l'amministratore fedele . « Notai
sempre in lui - dice - una grande bontà e pazienza ... Avvici-
nandolo continuamente crebbi di giorno in giorno la stima e vene-
razione che avevo concepito al primo incontro... Notai poi che tutti
erano pieni di ammirazione per la serenità e lo zelo che dimostrava
in ogni occasione » .10
« Era - prosegue don Azzini - l'uomo giusto per eccellenza .. .
Ebbi campo di rilevare la sua precisione in materia di contabilità.. .
Vidi quanto fosse puntuale e minuto nella registrazione; come vo-
lesse che fossero soddisfatti a dovere creditori e fornitori. Posso
attestare che mai alcuno gli fece appunti ne'l suo modo di ammini-
strare... Era poi la franchezza in persona ».'1
« Teneva molta corrispondenza con le case, ed era diligentis-
simo nel sbrigarla giorno per giorno: nessuno mai si lamentò che ci
fosse trascuratezza nel rispondere alle sue missive ».12
Dal lavoro di ufficio, per natura arido e deviante, non era di-
sgiunta la preghiera. « Posso attestare - depone l'attento collabo-
ratore - che teneva si può dire sempre la corona del rosario in
mano, e in momenti liberi innalzava il pensiero a Dio con giacu-
latorie, sante invocazioni e aspirazioni devote ».13
***
Di altre attività e dei movimenti e spostamenti del Servo di Dio
si dirà più avanti. Qui conta ritrarlo neHa condotta e atteggiamenti
.84

10.5 Page 95

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coi subalterni, che amò e trattò con ina'1terabile mitezza. Non andò
molto infatti che la bontà del nuovo superiore divenne proverbiale
com'era stata nella Spagna.
La carica di prefetto generale sembrava richiedere severità e
l'igore nel richiamare e correggere, e nel far fronte ad eventuali
allontanamenti dal retto sentiero. Ma dire don Rinaldi, significava
bontà longanime e indulgente anche verso i colpevoli o chi in qual-
che maniera avesse mancato. « Senza venir meno alla sincerità
- osserva don Ricaldone riferendosi al tempo dell'ispettorato - ,
per non mortificare il colpevole, talora girava attorno all'argomento
e preferiva incoraggiare ». E chiarisce: « Era persuaso dell'obbligo
e dell'importanza del correggere; ma voleva che si facesse con
dolcezza; più della correzione vera e propria amava lo stimolo alla
buona volontà ».14
Don Luigi Ferrari, che gli fu segretario negli anni della prefet-
tura, aggiunge: « Gli ripugnava condannare. Trovava mille atte-
nuanti. Sull'esempio di Gesù porgeva la mano a chi fosse caduto,
onde aiutarlo a rialzarsi e a rimettersi in cammino... " Difetti -
diceva - ne abbiamo tutti. Bisogna compatire per essere compatiti.
H più delle volte nelle mancanze non c'è vera malizia" ».15
Era così geloso della carità nelle maniere che, ricevendo lettere
sgarbate o irritanti, non rispondeva d'impulso; leggeva le minute
al segretario, tacendo il nome dell'interessato; limava e tornava
a limare le espressioni, perché non gli sfuggissero dalla pena ter-
mini o parole che non fossero espressione di bontà e di carità.
Come i santi riteneva che una mala grazia o una villania è me-
glio subirla che farla ; e che ad ogni modo non andava mai ricam-
biata.
Un giorno - racconta don Azzini - H confratello che stava in
udienza parve dare in escandescenze. Don Rinaldi, che pur sapeva
essere forte e deciso al momento opportuno, si mantenne calmo e
padrone di sé, come chi disapprova in silenzio. L'interlocutore
capì, « riconobbe il suo torto e chiese scusa ».16 La bontà, come
sempre, aveva avuto la meglio.
***
Di don Rinaldi, prefetto generale, si hanno anche le impres-
sioni di estranei che lo avvicinarono in quegli anni. Felicina Ga-
stini, che tornerà più avanti, dichiara di averlo conosciuto la prima
volta nel 1908. « L'impressione che riportai - dice - fu di per-
sona pia, umile..., buona ». Essendo tornata spesso in udienza per
85

10.6 Page 96

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motivi di apostolato: « Ricordo - aggiunge - la sua prontezza e
puntualità nel ricevere.. . Ascoltava con amorevolezza, interloquiva
con affabilità, e io restavo ammirata e commossa per il vivo inte-
ressamento che prendeva a quanto gli andavo esponendo ».17
Come si vede l'ufficio di don Rinaldi non era solo centro ammi-
nistrativo e disciplinare, ma luogo d'incontri per il bene, dentro e
fuori deHa Congregazione. Don Tirone, allora maestro dei novizi
a Lombriasco, nei frequenti incontri col prefetto generale si per-
suadeva che era « uomo straordinario per attività e per virtù ».18
A buon diritto afferma don Azzini: « Don Rinaldi arrivava a tutto,
dove c'era una necessità, un bisogno o un dolore. Non attendeva
neppure che le cose gli venissero segnalate: le preveniva. Con tutti
era largo di aiuto e di incoraggiamento, in particolare con i con-
fratelli infermi » .19
Non a torto quindi don Barberis aveva scritto fin da principio:
« Pare che don Rinaldi sia sempre stato prefetto generale. Tutto
procede senza sbalzi ». E ancora: « Credo che farà mirabilia » .20
* * ,.,
Don Rua gli accordava piena fiducia, ne stimava il buon senso,
la speditezza e alacrità neHe occupazioni, e si valeva della sua
esperienza e dei suoi pareri nel governo materiale e spirituale della
Società. Tra il Rettor Maggiore e il suo Vicario non sorsero diver-
genze o dissensi. L'uno continuava nelle sue frequenti visite alle
case e alle ispettorie; l'altro teneva saldamente in mano le redini
della Congregazione, anche durante 'le prolungate assenze del Supe-
riore Generale. Don Rinaldi poi, come si dirà, stette al fianco di
don Rua in ore amarissime e in svolte burrascose per la Società,
prestandogli il valido aiuto del suo appoggio e della sua opera.
A !lui in particolare venne affidata la formazione salesiana degli
studenti di teologia raccolti, a partire dal 1904, nella casa di Fo-
glizzo Canavese, che fu l'embrione dal quale prima si sviluppò
l'Istituto Teologico Internazionale Don Bosco di Torino, quindi
nel volgere di non molti anni il Pontificio Ateneo Salesiano di Roma.
Dal 1906 al 1914 due volte al mese, durante l'anno scolastico,
il prefetto generale si recava a Foglizzo per un paio di conferenze
- che erano preparate lezioni - su vita e pedagogia salesiana.
Il corso divenne quadriennale con circa 20-24 incontri all'anno. Fu
designato col titolo De officiis, che arieggiava alle note opere di
Cicerone e di Sant'Ambrogio.
Tali opere forse don Rinaldi non aveva mai letto, ma ne posse-
86

10.7 Page 97

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deva lo spirito e :l'informazione tecnica, frutto più di esperienza che
di studio, anche se non manca una impostazione che ben potrebbe
dirsi scientifica.
Chi scrive ne ha preso conoscenza attraverso gli appunti, vigili
e minuziosi, di don Luigi Olivares, poi vescovo di Sutri e Nepi;
allora giovane professore di teologia morale e sociologia. Segno
evidente che alle due conversazioni del Servo di Dio - mercoledì
sera e giovedì mattina - prendeva parte anche il personale docente.
Che non si trattasse di semplici parlate d'uso, lo dimostra il
contenuto: chiaro, preciso, graduato, secondo uno schema che anda-
va dai principi fondamentali di pedagogia salesiana, ai singoli uffici
nei quali si articola una casa secondo il pensiero e le geniali intui-
zioni di don Bosco.
Fortemente impegnative, ad esempio, le conferenze che don Ri-
naldi consacra al Direttore nell'esercizio di una paternità, la quale
deve incarnare quella del Fondatore; altrettanto fondate e sicure le
norme che egli dà per l'applicazione del sistema preventivo nella
educazione della gioventù.
In questo, si può dire, don Rinaldi fu il primo teorico della vita
salesiana, dopo che disposizioni della Chiesa avevano tolto ai Supe-
riori la facoltà di ascoltare le confessioni di sudditi e alunni. Gran
parte del sistema poggiava su tale consuetudine cara a don Bosco,
e radicata un po' dappertutto. Bisognava adeguarsi alle nuove dispo-
sizioni, salvando l'orientamento delle origini, di cui il Servo di Dio
aveva sperimentato l'efficacia nella sua persona e nel suo ministero,
e che ora andava prospettato in diversa maniera, senza tradire lo
spirito del Fondatore e i criteri con i quali egli aveva predisposto
l'andamento delle sue case.
Umile, equilibrato, prudente e saggio, in quei suoi trattenimen-
ti, che ben potrebbero paragonarsi a quelli di san Francesco di
Sales, don Rinaldi mostra tutta la sicurezza di un maestro di vita
religiosa, secondo il carisma, o le peculiari intonazioni, del'la Con-
gregazione Salesiana.
***
Non è da credere però che tutto andasse sempre liscio, anche
se è vero che il piccolo mondo internazionale di Foglizzo lo atten-
deva a festa , come si attende un padre che trae dal suo scrigno
tesori vecchi e nuovi.
L'attenzione era grande. Tutti ascoltavano quel suo dire lento,
compassato, a volte sillabato per scandire parole e concetti; molti
87

10.8 Page 98

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prendevano appunti, e non è faci'le dire l'influsso che ebbero quelle
conversazioni nel'la vita pratica di molti qualificati confratelli.
Non mancò tuttavia qualche dissapore, spiegabile tra giovani
non pienamente maturi o non del tutto pronti a qualche suo auto-
revole richiamo. Egli era pur sempre il prefetto generale, tutore
supremo si vorrebbe dire della disciplina salesiana.
Lo spagnuolo don Bordas, che fu a Foglizzo dal 1913 al 1917,
racconta che durante una conferenza, mentre don Rinaldi richia-
mava i teologi « al senso deHa disciplina », non si saprebbe in rap-
porto a quali fatti concreti, parve notarsi neU'assemblea « un se-
gno, che si poteva interpretare di protesta». Don Rinaldi manifestò
un attimo di contrarietà, « ma si riprese subito e non modificò il
tono paterno del suo dire ». Perciò don Bordas assicura che la
paternità del Servo di Dio era universalmente accolta e rispettata.
Se talora - aggiunge - ci fu « qualche manifestazione di con-
trasto o qualche mancanza di riguardo, H Servo di Dio non se ne
risentì mai; al contrario si dimostrò magnanimo e generoso ».21
Teneva fede a ciò che insegnava. « Bisogna essere veramente
buoni - aveva detto in una circostanza - . Chi è virtuoso ottiene
risultati quand'anche non appaia. Bontà con noi stessi, bontà con
gli altri. Vedendo quant'è grande la bontà di Dio con noi, sentia-
mo di amarlo di più; così gli altri: vedendo la bontà che loro
usiamo, saranno stimolati al bene e alla virtù ».22
D'altronde ammoniva nelle conferenze: « È impossibile essere
superiore e non affrontare odiosità. Ma sarà cosa del momento,
la quale più tardi si converte in stima ».23
Per don Rinaldi fu veramente così: le odiosità che dovette pren-
dersi per dovere di ufficio, non gl'impedirono mai l'esercizio d'una
bontà che gli conquistò sempre i cuori.
Note
' Summ., 266, 927.
2 CERIA E., 127.
3 Summ ., 265, 924.
4 CERIA E., 128.
' Summ. , 265-266, 924.
CERIA E., 160.
' Summ., 266, 925 .
' Summ ., 270, 941.
' Summ., 270, 941.
0
'
Summ.,
2-3,
3-4 .
11 Summ. , 20-21, 69-71.
12 Summ ., 5, 12.
88
13 Summ. , 16, 53 .
14 Summ. , 291 , 1020 e 1022.
15 CERIA E., 134.
16 Summ. , 19, 62.
17 Summ ., 34-35, 125-126.
18 Summ ., 227, 783.
19 Summ., 18, 61.
,o CERIA E., 129.
21 Summ. , 83, 293 .
22 CERIA E., 153.
23 CERIA E., 155 .

10.9 Page 99

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Parte seconda
APOSTOLATO
E SANTITA
- Nel vortice delle occupazioni
- Tra la gioventù femminile
- Al confessionale
- Fondatore in penombra
- Apostolo del dopoguerra
Uomo di spirito
Religioso perfetto
Rettor Maggiore

10.10 Page 100

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11 Pages 101-110

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11.1 Page 101

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10
NEL VORTICE DELLE OCCUPAZIONI
Delineata nei suoi aspetti fondamentali e quotidiani, la figura
di don Rina:ldi, prefetto generale dei salesiani, è tutt'altro che esau-
rita. Le dedichiamo scorci e prospettive che la ritraggono nella sua
complessità e illustrano il ventennio meno brillante della sua vita,
ma forse più fecondo, per l'apostolato che svolse e le opere alle
quali si dedicò senza quasi averne l'aria né destar clamori intorno
alla sua persona. Qui è da rintracciare il don Rinaldi più autentico
e più tipicamente salesiano: il don Rinaldi che lavora nell'ombra,
mentre sostiene i'I peso di un ufficio che poteva dispensarlo da altre
incombenze e attività.
Conviene incominciare dagli addentellati che si inserivano come
fatti normali, se pure a volte straordinari, nelle attribuzioni e nei
compiti della sua carica: i discorsi e le predicazioni.
***
Si è già lasciato intravedere che il Servo di Dio non fu oratore
e neppure parlatore nel senso corrente della parola. Ebbe in cam-
bio un suo dire pacato, tranquillo, sostanzioso; una sua maniera
di esprimersi in pubblico e di avvicinare l'uditorio. Si direbbe che
avesse l'arte di parlare dando tempo all'altrui riflessione.
Come direttore e ispettore aveva fatto largo uso della parola,
tanto a giovani che a confratelli. Nessuna ricercatezza di forma.
Semplicità e sodezza di argomenti; e soprattutto praticità d'intenti.
La parola - era suo pensiero - deve servire non accontentare.
Da Superiore Capitolare avrebbe potuto trincerarsi dietro la
natura all'apparenza arida del suo mandato. Glielo impedirono lo
zelo e •l'ansia di conservare, chiarire, precisare, difendere lo spirito
salesiano. Il corso di lezioni tenuto a Foglizzo fu soltanto l'espres-
sione più alta e metodica del suo magistero.
91

11.2 Page 102

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Sermoni, « buone notti », conferenze, furono all'ordine del gior-
no fin dal suo ritorno in Italia. Sentiva, non per vanità o presun-
zione, di aver qua'lcosa da dire: perciò era sempre disponibile, sen-
za venir meno ai suoi doveri di ufficio.
Don Tirone, maestro - come si è detto - dei novizi a Lom-
biasco, dichiara: « Lo invitavo a predicare ed egli veniva volen-
tieri»; 1 e ancora: « Visitava le case di formazione vicine a Torino;
vi teneva prediche e talvolta dettava esercizi spirituali ».2
« La prima volta che 'lo vidi - attesta suor Rosalia Dolza -
fu nell'aprile del 1903: ero novizia e mi preparavo alla professione.
Egli venne per gli esercizi e dettò le istruzioni. La sua parola, ricca
di unzione e di spirito salesiano, mi penetrò nell'animo; suscitò
propositi fermi di vita religiosa e mi riempì di entusiasmo per le
opere apostoliche dell'Istituto ».3
Madre Clelia Genghini, come si è detto segretaria generale
delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ricorda ai processi le speciali e
frequenti allocuzioni del Servo di Dio, dal 1905 al 1921, a Nizza
Monferrato, nella casa centrale della Congregazione. « Le sue con-
ferenze - afferma - erano interessanti e pratiche, sia per gli argo-
menti, sia per le trattazioni ».4 Talvolta erano di carattere ascetico,
come quando parlava di « carità vicendevole», di « semplicità e
prudenza»; ma per lo più preferiva temi di vita e di pedagogia
salesiana. « Queste conferenze - assicura madre Genghini -
erano molto gustate, e ancora se ne conservano le note ».5
Un duplicato, in qualche maniera, delle conferenze di Foglizzo,
con adattamenti al mondo femminile, che egli aveva imparato a
conoscere e a frequentare nella Spagna. « Per acquistare e mante-
nere lo spirito deliI'Istituto - disse in una circostanza - occorre
soprattutto unità di azione, di mente e di cuore. Al che concorrono
persino l'ordine e la nettezza esteriore ».6
Il solco delle Figlie di Maria Ausiliatrice, come si vedrà, sarà
tra i campi preferiti del Servo di Dio.
***
Fin da princ1p10 dunque don Rinaldi non intende essere sol-
tanto l'uomo della economia e deHa disciplina: il prefetto generale.
Pur senza voler sostituirsi, prima a don Rua, poi a don Albera, si
adopera a infondere nei centri vitali della Famiglia salesiana uno
spirito che era patrimonio di tutti, ma che non tutti riuscivano a
tradurre in teoria sicura di vita come autorevolmente faceva il
Servo di Dio.
92

11.3 Page 103

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È nel giusto don Ricaldone quando afferma che don Rinaldi
fu « uomo di riflessione e di meditazione ».7 Si potrebbe aggiungere,.
di attenta e sollecita osservazione: per cui gli era facile, nelle « fre-
quentissime conferenze » che teneva, affrontare i più svariati argo-
menti con la sodezza e la competenza di chi aveva molto pensato
e sapeva quel che diceva.
Che non improvvisasse, né allora né in seguito lo si arguisce dai
numerosi appunti trovati alla sua morte. Facendo lo spoglio delle
cose che aveva lasciato: « Trovai - assicura don Ricaldone -
molti fogli e foglietti con schemi di prediche e conferenze ».8 Segno
inequivoco della serietà con cui si preparava a comparire in pub-
blico e del rispetto che aveva dell'uditorio.
Anche le note - e sono moltissime - prese mentr'egli parlava,.
accreditano un conferenziere preparato, che bada alla sostanza delle
cose e sa dove vuole arrivare: gli orpelli non lo interessano; ha un
tracciato da seguire e cammina per la sua strada.
Si vorrebbe ,dire fin d'ora che don Rinaldi fu ascoltatissimo
servitore della parola, specialmente salesiana.
***
Nel ventennio e più della sua prefettura egli non viaggiò molto
fuori d'Italia; e anche in Italia gli spostamenti non furono nume-
rosi, sa'lvo in Piemonte, In quegli anni i peUegrini del mondo sale-
siano sono don Rua e don Albera.
Unica eccezione, la Spagna. Dal 1901 al 1922 il Servo di Dio
tornò sei volte sul campo delle prime grandi fatiche: nel 1902,
1905, 1911, 1912, 1914 e 1919. È chiaro che furono viaggi di rap-
presentanza o d'ufficio, alcuni dei quali durarono vari mesi, con
visite a tutte o gran parte delle case.
Non era lui a scegliere, ma nessuno si meravigliava se don Rua
e don A:lbera volentieri lo mandavano in un paese dov'era cono-
sciuto e dove la sua presenza univa al centro e aiutava a risolvere
problemi del momento.
l'l primo viaggio colmava un voto deH'animo. Nel 1886 la cit-
tadinanza di Barcellona aveva offerte a don Bosco le alture del
colle Tibidabo, che domina la grande metropoli, perché vi erigesse
una chiesetta ad onore del Sacro Cuore. Il Santo ne fu commosso;
nel venire in Catalogna una voce misteriosa gli ripeteva dentro:
Tibi dabo; Tibi dabo, mentre appunto si domandava che cosa po-
93

11.4 Page 104

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tesse fare in Spagna ad onore del Sacro Cuore, dopo che il tempio
nazionale di Roma, al quale s'impegnava, fosse terminato.
Purtroppo allorché don Rinaldi giunse a Sarrià, per una serie
di incresciose circostanze, la Congregazione aveva perduto la pro-
prietà su cui doveva sorgere la chiesa; e rientrando a Torino egli
aveva l'amarezza di non essersi adoperato abbastanza per dar vita
al sogno del Padre e Fondatore.
Nel 1902 però si era ricuperato quel tanto di area fabbricabile
che permettesse la erezione di un monumentale santuario, che
avesse carattere espiatorio per fa città, la regione e l'intero paese.
Don Rinaldi rappresentò don Rua alla posa della prima pietra,
il 28 dicembre di quell'anno.
Non è possibile ricapitolare in breve la storia di quel santuario,
solennemente inaugurato pochi anni fa, e divenuto centro di pietà
eucaristica e di riparazione espiatrice: ma è doveroso osservare che
don Rinaldi, soprattutto da Rettor Maggiore, fu tra i più ardenti
sostenitori e fautori dell'opera.
Nel 1905, con l'economo don Luigi Rocca, visitò le tre ispet-
torie, spingendosi fino a Braga e Lisbona, in Portogallo . Nel 1911
studiò sul posto come difendere contro incameramenti legali, le
proprietà immobiliari della Congregazione. Nel 1912 rappresentò
don Albera al venticinquesimo delle Figlie di Maria Ausiliatrice in
Spagna. Nel 1914 e 1919 si trattò di visite per l'assestamento delle
case, in vista del primo conflitto europeo e al termine di esso.
Per la Spagna - lo si vede - il prefetto generale della Con-
gregazione fu sempre l'uomo del momento, il superiore accorto e
illuminato, il sostenitore e difensore di fondazioni che in origine
erano costate a lui sudori e sacrifici senza numero.
***
Non mancò il da fare al Servo di Dio anche nei Capitoli Gene-
rali che si svolsero nel 1901, 1904 e 1910. Con i preparativi, in
prevalenza affidati alle direttive e all'occhio del prefetto generale,
c'era la partecipazione alle assemblee e la presidenza di commis-
sioni per questioni o affari particolari.
Così nel 1901 don Rinaldi fu alla testa della commissione che
trattò dell'osservanza regolare. li risvolto disciplinare dell'argo-
mento 'lo faceva rientrare nelle sue attribuzioni; e dai verbali si
ricava che il Servo di Dio impartì norme e richiami in materia di
sistema preventivo. Don Rinaldi, occorre metterlo a fuoco, aveva
94

11.5 Page 105

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l'animo dell'educatore cristiano, secondo le forme più che la teoria
della Congregazione; e nella praticità del suo temperamento, senza
trascurare i principi, sapeva indicare le vie da seguire nel modo
di comportarsi dei confratelli coi giovani, e dei superiori coi con-
fratelli.
Nel Capitolo del 1904, dovendosi addivenire alle elezioni del
Consiglio, si ebbe la riprova della stima che il Servo di Dio godeva
nelle ispettorie, e la conferma del criterio con il quale don Rua
lo aveva scelto quale suo braccio destro nel governo della Società.
Egli raccolse 58 voti su 73 votanti: 21 più del necessario. Anche in
quel Capitolo don Rinaldi presidette una commissione: quella inca-
ricata di studiare i mezzi per conservare i beni patrimoniali della
Congregazione, onde evitare fallimenti e confische.
Nel 1910 invece si trovò a sostituire don Rua sullo scorcio
della vita, a guidare la Società dopo la sua morte e a preparare
l'assise che gli avrebbe dato un successore. Questi, come si è detto,
fu don Albera. Don Rinaldi, che molti ritenevano candidato alla
carica, si era tenuto consapevolmente in disparte, come chi si rite-
neva distaccato da avvenimento che non riguardava la sua persona;
e fu il primo a rallegrarsi con l'eletto e a porgergli filiale omaggio.
Il vaticinio di don Bosco, da lui solo conosciuto, e rivelato in quel
momento, diede gioia a tutti, come prova che dal cielo il Fondatore
non abbandonava la sua opera.
La rielezione di don Rinaldi a prefetto generale in quel Capitolo
fu plebiscitaria. Nella prima circolare don Albera gli rendeva una
testimonianza che non può esser trascurata . « Alla specchiata pru-
denza di don Rinaldi - scriveva - , al suo tatto finissimo e al suo
noto spirito di iniziativa andiamo debitori se durante la malattia
di don Rua, e specialmente alla sua morte la nostra Congregazione
non ebbe a subire scosse che minacciarono l'esistenza di floride
comunità al perdere i'l loro fondatore o altro superiore dotato di
preclare qualità. Durante il governo di don Rinaldi tutto procedette
con ordine e regolarità, sia all'interno della Congregazione, sia nel
rapporto con l'esterno » .9
In qud Capitolo il Servo di Dio intervenne vigorosamente su
tre punti: l'amministrazione economica, che era di sua competenza;
gli oratori festivi e la paternità salesiana, che gli rubavano il cuore
di apostolo e di superiore, come si vedrà in appresso.
Del Capitalo del 1922, che egli convocò dopo la morte di don
Albera e dal quale fu eletto Rettor Maggiore, ,si dirà al momento
opportuno.
95

11.6 Page 106

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***
Durante i rettorati di don Rua e don Albera, il prefetto gene-
rale don Rinaldi ebbe anche la missione di condividerne amarezze
e pene, e di prestare ad entrambi tutto l'appoggio di cui era capace.
L'intesa e la dimestichezza con don Rua furono perfette. Al
processo Informativo del primo successore di don Bosco, don Ri-
naldi ebbe a dichiarare: « Dal 1883 - dalla sua nomina cioè a
direttore di Mathi - ebbi relazioni molto intime con don Rua per
ragione del mio ufficio, e anche perché egli mi onorava di speciale
-confidenza ».10 Di don Rua più avanti afferma: « Non solo fu un
diligente e affezionato discepdlo di don Bosco, ma anche un suo
collaboratore efficacissimo: oso asserire che i due formassero una
-cosa sola e che la Provvidenza abbia suscitato don Rua per com-
pletare l'opera ·di don Bosco ».11
Pare di leggere un testo autobiografico, per il decennio che don
Rimddi visse gomito a gomito con don Rua. Lo capì; lo coadiuvò,
ne integrò l'opera.
***
Fu queUo il decennio cntJco di don Rua. È don Rinaldi a
asserirlo e a darne le motivazioni. « La crisi - dichiara il Servo
di Dio sotto giuramento - non va attribuita alle molte case aperte
fino allora - vale a dire fin verso il 1900 - , ma al mutato indi-
dizzo di formazione, dopo il decreto sulle confessioni. Trovandoci
impreparati si ebbero defezioni e calo ,di vocazioni ».12
Son parole che rivelano in don Rinaldi un diretto conoscitore
delle cose, nel momento più delicato della storia salesiana. Come
forse nessun altro egli soppesò le conseguenze di una inevitabile
sterzata alla tradizione formativa della Congregazione, che fino
al 1899 aveva rispettato e mantenuto una felice esperienze del
passato.
Gli anni che seguirono sono tra i più difficili di don Rua e il
Servo di Dio li visse al suo fianco. Il decreto sulle confessioni
- dichiara lo stesso don Rinaldi - « intaccava le tradizioni e lo
spirito di don Bosco, secondo cui nel superiore salesiano non si
doveva considerare l'autorità, bensì la paternità delle anime ».13
I due massimi responsabili della Congregazione ubbidirono sem-
pre con umiltà, ma attraversarono angosce formidabiii per le sorti
della Società. Di lì nacque in don Rinaldi l'ansia di salvare e far
rivivere per altra via lo spirito del Fondatore, che per qualche mo-
96

11.7 Page 107

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mento sembrò colpito a morte. Chi non coglie queste ripercussioni
nell'animo apostolico e salesiano del Servo di Dio rischia di non
capire il suo sforzo di restaurazione, sia come prefetto generale, sia
soprattutto come Rettor Maggiore.
***
Don Rinaldi fu accanto a don Rua anche nella resistenza che
la Società oppose alle infiltrazioni subdole del modernismo, senza
che ne subisse danni; anzi proprio aHora egli cominciò il suo
lavoro di formazione tra gli studenti internazionali di Foglizzo che
si preparavano al sacerdozio. Intensa poi l'azione di don Rinaldi,
prefetto generale, al momento in cui la Santa Sede conferì autono-
mia giuridico-amministrativa all'Istituto delle Figlie di Maria Ausi-
liatrice, che dall'inizio erano considerate una cosa sola con i mem-
bri della Società Salesiana, in dipendenza del Rettor Maggiore,
come loro legittimo superiore.
« Il periodo che intercorse fra il 1905 e il 1913 - osserva
madre Genghini - , specialmente fra il 1905 e il 1907, fu davvero
cruciale ».14 Temevano le suore di passar sotto la direzione degli
Ordinari e di perdere la guida salesiana. In tale periodo - sostiene
madre Genghini - « con la sua bontà paterna e i suoi saggi con-
sigli, don Rinaldi fu di grande aiuto e conforto al nostro Istituto » .15
« H Signore vi illumini - scriveva alle superiore il 5 settembre
1905 - . Passate l'ora più difficile della vostra vita. Occorrono
serenità e grazia di Dio. Dai nuovi provvedimenti potrà seguire
molto bene, se in tutto si saprà inoculare lo spirito di don Bosco ».16
Il 4 gennaio 1906, scrivendo alla Superiora Generale madre Cate-
rina Daghero, don Rinaldi confermava: « Per parte mia, ora che
vedo le Madri e noi lavorare ... come custodi dello spirito di don
Bosco, sono contento e tranquillo. Qualunque cosa avvenga sarà per
il bene di tutti » .17
Per il Servo di Dio l'adesione al Fondatore era la sola ancora
di salvezza, specialmente in tempo di trasformazione e di burrasca.
***
La burrasca più insidiosa che don Rinaldi si trovò ad affron-
tare negli ultimi anni di don Rua e nei primi di don Albera, fu
quella che va sotto il nome di Varazze o Fatti di Varazze. Sorta
nell'estate ,del 1907 si prolungò fino a'I 1912. Don Rina1di stesso
dichiara ai processi di don Rua: « Ricordo quanto i fatti di Varazze
97

11.8 Page 108

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angosciarono il Servo di Dio. Ciò che maggiormente feriva il suo
cuore non era tanto il dover lottare contro accuse, quanto il genere
stesso delle accuse mosse contro la Congregazione ».18
Così ne parla don Ricaldone: « Altro fatto che diede gran la-
voro a don Rinaldi, e nel quale manifestò un'abilità eccezionale, fu
quando la massoneria scatenò i fatti di Varazze. Don Rua impar-
tiva le alte direttive, ma chi doveva trattare con avvocati, giornalisti
e altre persone fu don Rinaldi. Egli seppe condurre le cose in modo
che a poco a poco cessò la canea dei giornali e della propaganda
avversaria... Tutto rimase stroncato e i colpevoli vennero condan-
nati; ma quante noie per don Rinaldi, quanti pensieri e quanto
lavoro ».19
Anche don Azzini, che per la vicinanza di ufficio ne seguiva le
attività, descrive l'impegno del prefetto generale in quella terribile
contingenza, che tenne in trepidazione tutta ia Società, il cui onore
fu poi rivendicato con splendida vittoria. E osserva: « Si può dire
che gran parte di questo trionfo si deve ascrivere all'azione di don
Rinaldi, il quale sorretto dalla vivezza della ,sua fede negli aiuti
del Cielo, seppe anche valersi degli aiuti umani coordinandoli al
piano della Provvidenza, per un successo... che sembrava impossi-
bile da ottenere ».20
Per comprendere l'animo buono e de1 Servo di Dio anche in
quella penosa avversità, è da osservare con don Azzini: « Anche
quando dovette prendere le difese della Società, ignominiosamente
attaccata dai nemici di Dio e della Chiesa, il Servo di Dio non
dimostrò astio verso '1e persone. Volle anzi che si pregasse per la
foro conversione ».21
***
Capitò persino che i dirigenti e capi operai del cotonificio Poma,
in una vertenza sindacale con scioperi ad oltranza, si accordassero
nel scegliere ad arbitro don Rua. Non potendo occuparsi egli stesso
detla faccenda, passò incarico a don Rinaldi, il quale seppe con-
durre le trattative in maniera che « tra le parti in contrasto si
venisse a un accordo » .22
Né mancarono altri casi e problemi d'indole contenziosa e giu-
diziaria che fecero capo a don Rinaldi. Egli allora - come assicura
don Bordas per dissensi tra confratelli - sapeva « meravigliosa-
mente conciliare la giustizia con la carità ».23
E carità straordinaria dimostrò al fianco di don Albera negli
anni della guerra 1914-1918, pensando e provvedendo alle case
98

11.9 Page 109

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e ai confrateili chiamati sotto le armi. Basti l'affermazione di don
Azzini, che gli era vicino e poteva seguirne l'operato: « Ricordo
- dice - che al termine dell'altra guerra - fa prima conflagra-
zione europea - molti confratelli caddero malati. Don Rinaldi si
prodigò in ogni maniera verso di loro, dimostrando una carità
straordinaria. Moltiplicava Ie visite, si interessava alle condizioni
di ognuno, disponeva perché nulla mancasse in cure, alimenti e
vestiti » .24
Tutto a tutti, con una presenza che non si esauriva in tante
cose, ma fasciava spazio per una operosità pubblica e sotterranea,
che rimane da conoscere e illustrare.
Note
' Summ., 226, 782.
2 Summ., 231-232, 800.
3 Summ. , 162, 560.
' Summ., 216, 750.
5 Summ., 217, 753.
' Summ., 218, 755.
7 Summ ., 277, 966.
8 CERIA E., 170.
10 Postul. Sai., Copia pubi., f. 1946-
1947 r. e v.
11 Postul. Sai., Copia pubi., f. 1951.
12 Postul. Sa!., Copia pubi., f. 2051.
Il cosiddetto « decreto sulle confes-
sioni » allude, per chi non ne fosse
informato, alla disposizione della Sa-
cra Congregazione del Sant'Ufficio,
con cui si vietava ai direttori sale-
siani di ricevere le confessioni di
confratelli e giovani delle loro case,
secondo una tradizione introdotta da
don Bosco, dalla quale erano seguiti
ottimi frutti. Il fatto, come lascia ca-
pire don Rinaldi , sconvolse la vita
spirituale delle comunità.
13 Postul. Sa!., Copia pubi., f. 1978. ·
14 Summ ., 218, 758.
15 Summ. , 219, 760.
" Summ., 219, 760.
17 Postul. Sai., Copia pubi., f. 430 v.
18 Postul. Sa!., Copia pubi., f. 2019.
19 Summ., 271, 945.
20 Summ., 14, 45.
21 Summ. , 19, 64.
22 Summ., 271, 944.
23 Summ. , 87, 306.
" Summ., 18, 61.
99

11.10 Page 110

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11
TRA LA GIOVENTÙ FEMMINILE
Don Ricaldone tocca di passaggio l'argomento: informa che don
Rinaldi « non solo compiva esemplarmente i suoi doveri di pre-
fetto generale, ma trovava anche modo di consacrare « le dome-
niche all'oratorio festivo delle Figlie di Maria Ausiliatrice, dove
esercitò - attesta - un apostolato fecondo ».1 È qui che si scopre
il volto genuinamente salesiano del Servo di Dio, e il suo animo
sacerdotale di apostolo.
L'ufficio sembrava relegarlo al mondo degli affari, a occupa-
zioni d'interesse amministrativo e generale: e ne avrebbe avuto
da riempire la vita, con le pause e i riposi che accompagnano
l'uomo di governo. Ma l'esperienza delle anime e della gioventù
fatta specialmente nella Spagna, gli vietò di chiudersi in se stesso
e di vivere soltanto in un'atmosfera ufficiale di superiorità, tra
carte, udienze e tavolino. Egli volle essere salesiano secondo il
cuore e il modello -di don Bosco: anzi scese nel primo solco del
Fondatore, e come lui per molti anni fu l'anima di un oratorio
festivo, che amò con ardore di padre e considerò come il « suo
oratorio ».2
***
Si tratta dell'oratorio femminile di Valdocco aperto da don
Bosco nel 1876, allorché da Mornese chiamò a Torino le prime
Figlie di Maria Ausìliatrice e le allogò in povere stanze vicino alla
culla delle opere salesiane. L'opera sua doveva essere completa là
dov'era nata. In sogni misteriosi d'altra parte egli aveva udito le
suppliche di ragazze del popolo invocanti il suo aiuto.
Don Francesia per 25 anni aveva speso belle energie in quell'ora-
torio detto al principio di Sant'Angela Merici. Don Rinaldi lo sostituì
temporaneamente nel 1903, poi ne ereditò il posto. « Nell'autunno
100

12 Pages 111-120

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12.1 Page 111

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del 1907 - dice espressamente madre Genghini - il Servo di
Dio raccolse in maniera definitiva la successione. Fu allora - essa
spiega - che, pur essendo prefetto generale, prese la direzione
effettiva dell'oratorio, e la tenne fino al 1922, quando venne eletto
Rettor Maggiore della Congregazione ».3
Non è facile abbozzare le figura di don Rinaldi, animatore e
direttore d'oratorio, suscitatore di attività e di associazioni rivolte
al bene spirituale, culturale e sociale della gioventù femminile che
lo frequentava, e ai suoi tempi si mostrò più assidua che mai, felice
di assecondarlo e seguirlo neUe sue proposte e intraprese.
Al sopraggiungere di don Rinaldi - ebbe a scrivere lo stesso
don Francesia - « l'oratorio si è come ringiovanito ».4
E veramente fu così.
***
Cominciò con la presenza domenicale e festiva . « Ogni dome-
nica e festa di precetto - attesta suor Teresa Graziano ai processi
- il Servo di Dio celebrava per le ragazze più alte e teneva loro
la spiegazione del Vangelo ».5 « Non era - osserva anche suor
Graziano - un oratore nato... ma non si dispensava mai dal do-
vere... Anzi predicava in ogni occasione e teneva appropriate con-
ferenze ... Le sue parole, piene di bontà e semplicità, erano adatte
alle circostanze e scendevano efficacemente nel cuore delle ascolta-
trici. Il suo era un parlare chiaro, ordinato, incisivo ».6
Le suore assistenti per lo più - anche perché si trattava del
prefetto generale - con lapis e taocuino prendevano appunti, e a
distanza di tempo ricordavano argomenti, impostazioni e suggeri-
menti pratici, nel dare i quali il Servo di Dio si rivelava un mae-
stro provetto e ispirato consigliere; o se meglio piace un pastore
che conosce, ama e cura il suo gregge.
Nessuno in quei momenti lo avrebbe giudicato uomo d'affari e
di maneggi temporali: era come se la sua persona si sdoppiasse,
lasciando campo libero a una personalità re'1igiosa, che si nascon-
deva nelle pieghe più intime del suo io. Per conoscere don Rinaldi
bisognava guardarlo in azione, scoprire il ministro di Dio che si
celava sotto un fare ,dimesso, e non suscitava impressioni per lo
studio di passare inosservato.
L'oratorio femminile di Va1docco però e l'incalzare della vita
oratoriana finirono col farne apprezzare la vitalità interiore e il
tesoro della sua salesianità.
101

12.2 Page 112

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Per don Rinaldi l'oratorio era « l'arca della salvezza » che si
apriva alla gioventù, la teneva lontana dai pericoli e la veniva for-
mando al senso cristiano della vita. Desiderava perciò « che 'le ra-
gazze frequentassero l'oratorio non solo al mattino, ma anche at
pomeriggio »; e voleva « che lo si presentasse, per così ,dire, in
veste nuova tutte le domeniche » con varietà di trattenimenti e
feste capaci di far presa sull'animo giovanile.
Quindi al principio di ogni mese si elaborava il programma per
ogni domenica, in modo che le oratoriane, salite in poco tempo a
varie centinaia, « fossero invogliate a intervenire e a prendere parte
attiva ».7
Per il Servo di Dio quelle giornate laboriose divenivano un
sollievo alle consuete occupazioni di ufficio; ebbe a dire: « Il tempo
che passo all'oratorio - ed era gran parte dei giorni festivi - lo
considero tempo di riposo ».8 Si avverava per lui, come per i santi
più attivi: la distensione avveniva nel cambio di lavoro.
***
Se non che per il Servo di Dio l'oratorio non fu semplice diver-
sivo e tanto meno passatempo o scacciapensieri. Fin da principio
non intese fare della sola guida spirituale, dall'altare o dal confes-
sionale, dove accoglieva quante ragazze si rivolgevano al suo mini-
stero sacerdotale. Affrontò fa vita oratoriana nel suo complesso e
nelle sue mdlteplici forme, per le quali manifestò un genio singo-
lare, che nessuno avrebbe sospettato in una persona schiva e quasi
ritrosa, benché ,sempre disponibile verso chi ricorreva al suo aiuto.
Cominciò dal'le Figlie di Maria. Era stato pensiero di don Bosco,
e lo era di don Rua, che si approntasse un regolamento generale
per le associazioni di oratori e collegi, dove ogni gruppo o sodalizio
si reggeva in maniera autonoma o in dipendenza da associazioni
primarie non salesiane.
Tentativi ed esperienze non erano riusciti, e non approdarono
a risultati neppure con don Rinaldi; egli però tenne fermo al pen-
siero del Fondatore, che in sostanza mirava a una principale asso-
ciazione giovanile costituita all'ombra del Santuario di Maria Ausi-
liatrice, con facoltà di aggregazione di associazioni locali, dovun-
que il ramo femminile salesiano si fosse esteso.
L'idea di don Rinaldi - e qui comincia a rivelarsi la sua chiaro-
veggenza - era che il pio sodalizio avesse carattere proprio, « per-
102

12.3 Page 113

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ché ai nostri tempi - insisteva - non basta più la sola pietà:
occorre l'azione ».9 I fatti gli diedero pienamente ragione; dopo la
sua morte si arrivò alle Figlie di Maria Immacolata-Ausiliatrice,
che ebbero larga fioritura negli oratori e istituti affidati alle cure
spirituali delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
L'incerto stato però deHa questione non impedì a don Rinaldi,
interessato più al'le cose che alle strutture, di occuparsi con frutto
del'le Figlie di Maria, così come erano in voga, onde accrescerne la
vitalità e iii fervore. I verbali delle adunanze lo danno solitamente
presente, quale maestro di religiosità e di ascetica giovanile. Anzi
promosse un convegno di associazioni torinesi per dibattere un tema
che gli stava a cuore: « La Figlia di Maria e i nostri tempi ».10
***
Il passaggio da problemi spirituali a quelli sociali era nella im-
postazione della nuova Figlia di Maria, proprio perché il Servo di
Dio la concepiva in azione e voleva fare dell'oratorio femminile di
V~ldooco « l'oratorio modello »,11 o pilota come oggi suol dirsi.
Già nel 1905, prima di impugnare definitivamente le redini,
aveva suggerito la fondazione di una piccola Società di mutuo soc-
corso tra le oratoriane: le iscritte versavano « modeste quote e in
caso di malattia avevano diritto ad essere soccorse ».12 Ne'l 1906
invece era riuscito a costituire un gruppo di Patronesse, in « difesa
delle giovani operaie » del quartiere e della zona periferica di Maria
Ausiliatrice. 13
Ma quel che più premeva a don Rina'ldi era difendere e pre-
munire oratoriane e Figlie di Maria contro le dottrine che a quei
tempi in Torino diffondeva il materialismo socialista. Le tesi del
Servo ,di Dio, non appena assunse la direzione dell'oratorio, furono
chiare e ispirate al Vangelo. « Quando si tratta del necessario mi-
glioramento economico - insegnava alle giovani - anche voi fate
pure sentire fa vostra voce. Evitate però di compromettere gl'inte-
ressi dell'anima con quem del corpo. Reclamate il giusto, ma non
sacrificate l'onestà. Associatevi: non mai tuttavia con chi vi toglie
la fede. Chi fa il bene con libertà è rispettato anche dagli altri.
Portate con onore il caro titolo di Figlie di Maria ».14
Impareggiabili e insuperate per allora le istruzioni ed esorta-
zioni di don Rinaldi sul matrimonio, la vita domestica e i doveri
coniugali. Qualora se ne raccogliessero gl'insegnamenti da verbali,
testimonianze e appunti presi mentre egli parlava, si potrebbe misu-
103

12.4 Page 114

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rare iI 'lavoro svolto in aggiunta alle occupazioni ordinarie, e la
competenza e saggezza che lo informavano e rendevano attuali e
gradite le sue allocuzioni.
***
Nel 1908 favorì e diede impulso all'Unione Ex-allieve dell'ora-
torio, che poi si allargò e diede origine alle Unioni Ex-allieve delle
Figlie di Maria Ausiliatrice. La presidente, signora Felicina Gastini,
che ci ha parlato delle udienze di don Rinaldi nel suo ufficio, dichia-
ra ai processi: « La nostra - quella cioè di Valdocco, oratorio fem-
minile, - fu la prima Associazione Ex-allieve delle Opere Sale-
siane, e si costituì per merito del Servo di Dio... Non si può descri-
vere la gioia di tutte nel ritrovarci insieme, poiché dopo il matri-
monio non si era più solite frequentare l'oratorio ».15 Il Servo di
Dio volle festeggiare il primo incontro con una piccola processione
eucaristica e una recita in teatrino; quindi pensò a un consiglio
direttivo, a gite e conferenze, a esercizi mensili di buona morte,
a corsi di esercizi spirituali in preparazione alla Pasqua, e a cento
altre iniziative che solo uno zelo intraprendente riesce a scovare.
Depone ia Gastini: « Nel 1910 istituì il segretariato di colloca-
mento che affidò alle ex-allieve; ci fornì libri di letture amene per
la bibiloteca; incoraggiò la filodrammatica ». E ancora: « Nel 1911
promos,se i'l primo convegno ex-allieve; patrocinò e diresse la fon-
dazione di altri centri; formò il consiglio regionale, poi quelli na-
zionale e internazionale, del quale anch'io feci parte ».
Anche da Rettor Maggiore - conclude Felicina Gastini - don
Rinaldi « non si disinteressò della nostra associazione. Ci confortò
sempre con la sua parola; seguì da vicino le nostre imprese; e sin-
ché visse fu padre amorevole di tutte le ex-aHieve dell'oratorio di
Va1docco » .16
Anche don Ceria assicura che don Rinaldi, fatto Rettor Maggio-
re, non si distaccò totalmente dall'oratorio. Vi andava la domenica
- dice - e « si ritirava nel parlatorio a dire l'ufficio, dando per
un'ora udienza alle oratoriane più grandi, che avessero bisogno
di parlargli ».17
Figlie di Maria ed Ex-allieve furono i gruppi femminili che il
Servo di Dio curò con impegno speciale e di cui si valse nel campo
dell'apostolato religioso e sociale, che - lo si è visto - cominciò
ben presto a travalicare i confini dell'oratorio per raggiungere mète
e traguardi più lontani.
104

12.5 Page 115

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***
Nella sua deposizione giurata madre Clelia Genghini cerca di
illustrare in ordine cronologico le attività di don Rinaldi presso
l'oratorio femminile di Valdocco. Raccogliamo le testimonianze che
confermano e completano H quadro.
« Nel 1908 - dice - egli costituì le Zelatrici dell'Oratorio;
scelse cioè tra le Figlie di Maria le incaricate di accrescere il nu-
mero delle oratoriane, specialmente fra le ragazze del popolo ...
Nel 1909 introdusse l'assistenza medica gratuita, le conferenze
sociali, la schola cantorum, il segretariato del lavoro, le scuole se-
rali, le nove domeniche in onore del Sacro Cuore.
Nel 1910 pensò alla Cassa dei piccoli risparmi, distinta da quel-
la di mutuo soccorso, e alle scuole estive per bambine delle scuole
pubbliche.
Nel 1911 fondò il Circolo di CU'ltura... che fu preparazione ai
Circoli femminili di Azione Cattolica, sorti più tardi.
Nel 1912 diede vita ai catechismi quaresimali per alunne delle
scuole elementari di Stato.
Nel 1913 incoraggiò la scuola di ginnastica e la filodrammatica:
egli stesso inviò produzioni e - cosa veramente singolare - dettò
saggi per il palco.
Nel 1914 spronò a fondare la scuola di buona massaia, in ag-
giunta alla scuola serale; suggerì l'istituzione di propagandiste per
la comunione frequente ; e stimolò ad avviare esercizi spirituali
chiusi per oratoriane » .18
***
Si andrebbe in lungo a recensire le attività degli anni che segui-
rono; per qualcuna d'altronde si dovrà tornare sull'argomento. Qui
restano da fare alcune osservazioni.
Don Rinaldi aveva lo spirito e il piglio del fondatore o susci-
tatore di cose nuove e adatte alla società che gli stava intorno. Era
un perfetto uomo d'azione: pronto, sagace, coraggioso. Il suo zelo
non aveva tregua. Non cercava grandi successi o di far colpo. Gli
bastava coltivare, a:ll'insaputa di molti, il suo campicelio, facendone
fruttificare tutte le zolle con un ardore che aveva del meraviglioso.
Certo non faceva tutto lui: aveva collaboratrici intelligenti e
assidue. Lo stimolo però e la direzione erano suoi; suo l'impulso
e lo slancio; sua l'intraprendenza, che rivelava un instancabi'le ricer-
catore di mezzi e sussidi per il bene.
105

12.6 Page 116

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E tacitamente col suo procedere don Rinaldi offriva una vivente
lezione di pedagogia salesiana alle Figlie di Maria Ausiliatrice, che
da lui impararono con quali criteri e metodi fa religiosa di don
Bosco deve operare in mezzo alle ragazze del popolo, che sono il
campo privilegiato della sua vocazione.
Non senza motivo don Bordas dice dell'oratorio diretto da don
Rinaldi: « Era un emporio di opere femminili, religiose e sociali
che servivano di modello agli oratori delle Figlie di Maria Ausi-
liatrice ».19
Il Servo di Dio, in altre parole, faceva scuola, e appariva il più
autorevole interprete de'llo spirito salesiano anche in campo fem-
minile .
***
Ma più che ad esser ideatore di novità, don Rinaldi teneva a
sentirsi e a manifestarsi padre spirituale delle giovani che lo cir-
condavano all'altare, lo sentivano in confessionale, ascoltavano le
sue prediche e raccomandazioni, lo accoglievano a feste nelle loro
adunanze, nei teatrini ed accademie, e perfino nei cortili quando
si affacciava sorridente e passava in mezzo a loro .
« Per le ragazze - depone la Gastini - era veramente un
padre. Si interessava per trovare a chi aveva bisogno posti di la-
voro ..., le visitava inferme, e quando fosse del caso le aiutava con
sussidi e medicine ».20 Quante volte - soggiunge - io fui testimone
della sua bontà verso ex-allieve ammalate... Visitava anche le fami-
glie di que'lle più bisognose, portando con la sua benedizione « il
soccorso della sua carità ».21
La Gastini aveva la cassa della piccola società di Mutuo soc-
corso del gruppo; dovendo riscattare oggetti in pegno, una socia
la pregò di attingere dal fondo comune. « No - le disse con ama-
bile fermezza il Servo di Dio - : non rientra nei fini dell'associa-
zione. Piuttosto ci penso io ». E così fece.22
In altra circostanza, rivedendo una oratoriana che non si pre-
sentava da tempo: « Ti aspettavo - le disse - perché ti sapevo
in pena per l'affitto. Eccoti la busta. È pronta da settimane». La
giovane - osserva Felicina Gastini - fu altamente impressionata,
perché non aveva detto niente a nessuno ».23
Il cuore di don Rinaldi aveva intuito e la sua preveniente carità
stava in attesa.
106

12.7 Page 117

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***
Non si deve pensare tuttavia che gli mancassero dispiaceri e
disgusti. l'l mondo giovanile è un mondo instabile e irrequieto,
facile ad applaudire e pronto alla critica e all'insinuazione.
Suor Teresa Graziano aiuta a leggere questa pagina che mise
a prova la costanza, la rettitudine e l'indulgenza del Servo di Dio.
« Anche nel campo ristretto dell'oratorio - depone suor Graziano
- non mancarono a don Rinaldi pene per la poca delicatezza di
qualche oratoriana, per malevoli insinuazioni di altre o incompren-
sioni del suo operato in determinate circostanze ». Il Servo di Dio
proprio allora dimostrava « speciale indulgenza e benevolenza più
grande verso le colpevoli. Dimenticava e ridava fiducia, pur non
lasciando di correggere al momento opportuno ... Egli era il padre
buono che in tutto ricopiava don Bosco ».24
Sapeva comunque essere forte se il caso lo esigeva. Una giovane
dell'oratorio - assicura suor Graziano - , la quale con mormora-
zioni e critiche fu causa di molti guai, incontratasi col Servo di Dio
sulla porta del Santuario di Maria Ausiliatrice, si sentì apostrofare
con parole insolite sulla bocca di don Rinaldi: « Ricordati - le
disse - che si può andare all'inferno anche per la lingua ».25
***
Ci fu anche un atto di ribellione.
Un gruppo di ex-allieve al principio non voleva ammettere nell'
associazione se non quelle che pagassero la quota per la società di
Mutuo Soccorso, che lo stesso don Rinaldi aveva introdotto. Si tra-
visava però in tal modo lo spirito dell'Unione com'era concepita
secondo la tradizione salesiana, che non voleva discriminazioni.
Il Servo di Dio convocò un'adunanza per spiegare il concetto
fondamenta'le dell'associazione e invitare tutte ad accogliere le fina-
lità del gruppo. Le sue parole non riuscirono a calmare le acque.
Ci furono repliche e atteggiamenti scortesi. Don Rinaldi ne provò
disgusto. « Ho tentato - sentenziò - le vie del cuore, ma non
sono per voi. Passiamo perciò all'autorità. Da questo momento
l'associazione è sciolta. Alla porta si trovi una suora e prenda i
nomi di chi intende iscriversi all'Unione per viverne lo spirito di
don Bosco » .26
Detto questo don Rinaldi uscì dignitosamente di sala, lasciando
che la burrasca si placasse.
« Questi tratti - rileva suor Graziano - erano rari nel Servo
di Dio, e avevano fondati motivi ».27
107

12.8 Page 118

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***
Tra la gioventù femminile don Rinaldi fu il pastore buono che
anima al bene, conforta nel dolore, incoraggia all'apostolato.
« Don Rina'ldi - scrive una suora - mi fu padre e guida nei
pericoli che la vita di studio e d'impiego mi presentava in una città
come Torino... A lui debbo i sereni ricordi d'una giovinezza pura;
a lui il benessere morale e spirituale della mia famiglia; a lui la
crescita e lo sviluppo della mia vocazione ».28
Un'altra oratoriana scrive: « Egli era l'ispiratore di tutte le no-
stre opere buone; nella luce della sua carità eravamo pronte a
qualunque sacrificio ».29
Si capisce perciò come nel 1911, durante un viaggio nella Spa-
gna, scrivesse da Madrid: « Temo di non trovarmi a Torino per la
prima domenica di marzo. Mi rincresce. Io sto meglio nascosto
nell'Oratorio - alludeva alla casa madre della Congregazione -
che sbalestrato nelle capitali d'Europa. Mi dispiace soprattutto per-
ché non potrò assistere alla conferenza de'lle Figlie di Maria. Mi
sostituirà don Ferrati»; il fido segretario che lo coadiuvava fra le
giovani dell'oratorio femminile, che il Servo di Dio considerava
« come porzione - son sue parole - affidata alle mie cure ».30
E nessuno vorrà contestare a don Rinaldi il diritto di vedere,
nell'oratorio festivo delle Figlie di Maria Ausiliatrice di Valdocco,
il suo campo specificamente salesiano di lavoro in mezzo alla gio-
ventù, e insieme la palestra del suo zelo sacerdotale e di quella
carità che in quegli stessi luoghi aveva infiammato il cuore di don
Bosco.
Note
1 Summ., 270, 942.
2 CERIA E., 178.
3 Summ., 210, 730.
4 CERIA E., 179.
5 Summ., 126, 431.
6 Summ., 127, 433-434.
7 Summ., 127, 432.
8 CERIA E., 178.
' Summ., 211, 733.
10 CERIA E., 183.
11 Summ., 212, 733.
12 Summ., 212, 734.
13 Summ. , 212, 735.
14 CERIA E., 186.
15 Summ., 36, 128-129.
108
16 Summ. , 37-38, 134-136.
17 CERIA E., 180.
18 Summ., 212-214, 735-740.
19 Summ. , 62, 220.
20 Summ., 35, 127.
21 Summ., 48, 171.
22 Summ., 49, 176.
23 Summ., 52, 186.
24 Summ., 143, 492.
25 Summ. , 143, 492.
26 Summ. , 149, 515.
" Summ., 143, 492.
28 CREIA E., 198-199.
29 CERIA E., 198
°3 CERIA E., 199.

12.9 Page 119

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12
AL CONFESSIONALE
Dal 1° marzo 1902, fino al 1931, anno della morte, don Rinaldi
puntualmente si fece rinnovare ogni dodici mesi dalla Curia di
Torino la patente per le confessioni. Non certo per semplice forma-
lità od occasionale servizio a vantaggio dei fede1i.
L'amministrazione del sacramento a giovani e confratelli aveva
collaudato in lui 1e attitudini al governo delle anime. La naturale
calma, la posatezza dello spirito, l'istinto alla riflessione al prudente
giudizio di cose ed avvenimenti, facevano de'l Servo di Dio un facile
candidato alla guida ,degli altri nell'atmosfera della grazia.
Anche in questo don Rina1di volle stare agli esempi di don
Bosco e don Rua, che gli furono modelli di integrale attività sale-
siana. Mai e poi mai il Servo di Dio si sarebbe ripiegato sulle fredde
operazioni amministrative del'l'ufficio, concedendo ad esse l'esclusiva
della vita. Egli apprezza la vitalità e fecondità del sacerdozio messo
a disposizione degli altri in un lavoro faticoso e snervante, ma soli-
damente costruttivo: e s'impegnò a corpo morto, pur senza trascu-
rare i ,doveri che '1a superiorità gl'imponeva.
Le pagine su don Rinaldi al confessionale, non sono certo le
meno fulgide della sua esistenza, pur se vissute nell'oscurità e nel
silenzio.
***
Ai processi i confratelli documentano il fatto, che attirava la
loro attenzione e non andò esente - lo si vedrà - da irragionevoli
critiche, delle quali il Servo di Dio, secondo la sua linea di con-
dotta, non si amareggiò e non tenne calcolo.
Dichiara ,don Ricaldone: « Non solo don Rinaldi compiva esem-
plarmente i suoi doveri, ma trovò tempo da dedicare ogni giorno
109

12.10 Page 120

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parecchie ore al confessionale ».1 Don Azzini, detto che il Servo di
Dio celebrava per tempo in basilica di Maria Ausiliatrice, aggiunge:
« Quindi entrava in confessionale e attendeva al ministero fino ad
ora tarda ».2 « Io stesso - conferma don Candela - potei costa-
tare personalmente questa sua attività ».3
Più ampi particolari offre don Tirone: « Ogni mattina - dice
- andava all'altare alle 4,30; poi per un paio d'ore sedeva al con-
fessionale, sempre molto frequentato. Chiamato anche di giorno -
prosegue i'l testimone - lasciava il lavoro e scendeva subito in
chiesa ».4 Anche il biografo don Ceria annota come il segretario
don Ferrari ammirasse « la sollecitudine con cui in ore di ufficio,
ai convenuti tocchi del timpano, accorreva al confessionale. Nulla
lo tratteneva; quand'anche stesse dando udienza, pregava il visi-
t~tore di attendere. Si sarebbe detto che avesse il voto di non mai
riegarsi ai penitenti ».5
A chi si meravigliava di tanto zelo bellamente rispondeva: « Ci
ricordiamo così di essere preti » .6
. . Don Rinaldi che aveva tanto temuto di accedere al sacerdozio
dimostrava di capirne il pregio e la missione pastorale.
***
: Si ' può domandare, a questo punto, quali fossero le sorgenti
della ,sua spiritualità, o se piace della sua direzione spirituale. Non
sicuramente uno studio intenso e metodico, se pur è vero che don
Rinaldi cercava di arricchiarsi come poteva. In Spagna pare avesse
fatto, forse nei lunghi viaggi, buone '1etture.
·: ,, Fonte principale, comunque, della guida che impartiva era la
sua non ordinaria vita interiore. Egli proiettava se stesso nelle
anime; forniva l'acqua zampi1lante delle sue riflessioni e medita-
zioni; si ispirava soprattutto agli esempi e insegnamenti di don
Bosco, e al'la tradizione salesiana vissuta a Mirabella, Sampierda-
rena e specialmente San Benigno.
Gli furono di valido appoggio anche l'assennatezza della quale
era fornito, e un temperamento portato e forgiato alla sopportazione
e alla pazienza. « Guidava le anime - scrive don Ceria - in ma-
niera semplice e confidente, al lume del suo grande buon senso ».7
Calza qui a pennello un rilievo di don Ricaldone. « Se dovessi
dire - egli afferma, e si riferiva in particolare al governo pub-
blico, - quale sia stata la virtù che più spiccò in don Rinaldi, non
temerei di asserire che fu la prudenza: io a'lmeno l'ho visto e lo
no

13 Pages 121-130

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13.1 Page 121

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vedo neU'aureola di questa luce ».8 A sua volta don Azzini rileva:
« Da natura aveva sortito un carattere calmo, equilibrato, sereno,
e lo aveva perfezionato con la vigilanza e la preghiera ».9 In don
Rinaldi cioè la grazia si sovrappose e perfezionò la natura e gli per-
mise di cogliere frutti abbondanti nel ministero.
« La sua direzione - si legge nei processi - era apprezzata
e molti ne approfittavano ».10 Il suo confessionale - osserva ap-
punto don Azzini - « era sempre assiepato di penitenti dei più
svariati ceti sociali ».11 Pure don Candela e don Bordas concordano
nel ripetere che don Rinaldi confessore era « apprezzato e ricer-
cato » per la « fama del suo prudente consiglio ».12
Don Giuseppe Matta, del clero torinese, entra anch'egli in ma-
teria per dire: « Segno evidente della consumata prudenza del Servo
di Dio era il concorso di anime al suo confessionale in Maria Ausi-
liatrice... Lo provocava il fatto che i penitenti scoprivano in don
Rinaldi un direttore di spirito illuminato, pratico e fatto secondo
il cuore di Dio ».13 Un uomo nel quale parlava uno spirito che non
era del mondo.
***
Le dichiarazioni processuali non si restringono però all'aspetto
esterno del fatto, che tutti vedevano: toccano il merito della que-
stione e gettano luce in uno spazio biografico arduo da illuminare
e tradurre in valutazioni personali.
È il caso perciò di spigolare, tra penitenti abituali, esperienze e
giudizi, che meglio lascino scorgere il volto di don Rinaldi, guida
delle anime . Che poi la schiera dei suoi penitenti sia stata in preva-
lenza femminile è comprensibile per le attività svolte nel vicino
oratorio festivo delle Figlie di Maria AusHiatrke. Figlie di Maria,
ex-allieve, impiegate e donne del popolo, furono le assidue frequen-
tatrici del suo confessionale, dove tuttavia molte persone arriva-
rono impensatamente per le misteriose vie della grazia o su indica-
zione di chi ne faceva la vantaggiosa esperienza.
Felicina Gastini, che abbiamo trovato fra le coHaboratrici laiche
del Servo di Dio, depone di propria scienza: « Era assiduo al con-
fessionale in Maria Ausiliatrice; e alla domenica stava in confessio-
nale anche all'oratorio . Per noi il poterci confessare da lui era una
delle più belle fortune, perché le sue parole e i suoi consigli scen-
devano in cuore pieni di luce e di fervore ».
111

13.2 Page 122

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***
Al primo incontro il Servo di Dio dava un senso di serenità e
di pace, e le sue espressioni infondevano sicurezza per l'avvenire.
"È. quanto accadde a Teresa Graziano in cerca - nel 1915 -
di luce per il suo domani nella vita. Entrata in Maria Ausiliatrice
si trovò senza saperlo nel gruppo di persone che aspettava di ingi-
nocchiarsi accanto a don Rinaldi. « Attesi a lungo - racconta -
e fui tentata di passare da altri. Avvertivo però come una mano che
mi tratteneva, quasicché una speciale grazia fosse legata per me a
quell'incontro ». Fu proprio così; « anche se per la fretta - osser-
va - non manifestai ciò che più mi angustiava, sentii una grande
pace e una sicurezza nuova. Avevo trovato chi mi avrebbe aiutato
a risolvere il problema del mio futuro ».15
Dei successivi incontri Teresa Graziano afferma: « Accrebbero
in me la stima e la venerazione del primo casuale contatto ».16
Sotto la guida di don Rinaldi la giovane non tardò ad abbracciare
la vita religiosa tra le Figlie di Maria Ausiliatrice e a consacrarsi
all'apostolato salesiano, che svolse poi in varie regioni d'Italia quale
direttrice e ispettrice. Qualche giorno dopo l'ingresso nell'Istituto,
rallegrandosi del suo entusiasmo per la vocazione, don Rinaldi sag-
giamente le aveva detto: « Ricorda che la virtù dell'adattamento è
virtù da conservare e praticare tutta la vita ».17
Rievocando il suo direttore e padre suor Graziano non soltanto
afferma: « infondeva massima tranquillità in chiunque ricorresse
alla paternità del suo cuore »,18 ma così ne scolpisce la figura di
guida spirituale: « Per natura era calmo e riflessivo ..., ma la pru-
denza in lui era virtù soprannaturale ... Prima di rispondere o di
dare un consiglio si raccoglieva in se stesso e pregava. Sembrava
proprio che attingesse da luce interiore le deliberazioni che doveva
prendere o i consigli ch'era chiamato a dare ».19
Nulla mai di umano e di interessato: solo i disegni e il volere
di Dio, soprattutto nelle creature di predilezione, che la Provvi-
denza gli affidava come figlie spirituali.
***
Anche un'altra giovane, divenuta essa pure Figlia di Maria Ausi-
liatrice, così parla di don Rinaldi confessore e direttore d'anime:
« La Provvidenza volle che un matttino, entrando in Maria Ausi-
liatrice, mi trovassi al confessionale di don Rinaldi. Mi aprii inte-
ramente a lui ed egli comprese subito il mio stato d'animo. Mi
112

13.3 Page 123

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trattò con grande bontà e subito m'ispirò fiducia. Mi esortò a ri-
prendere i sacramenti e a ritornare all'oratorio, che avevo abban-
donato, senza per altro farmi di questo espresso comando. Da quel
momento cominciai ad avvicinarlo ogni otto giorni, mentre ripren-
devo la vita di pietà un po' abbandonata ».20
La guida del Servo di Dio si protrasse per due anni, durante i
quali l'assidua penitente arrivò alla meditazione e comunione quo-
tidiana e alla conoscenza della divina chiamata. « Dopo avermi
lungamente messa alla prova... - essa dice - , mi permise di ab-
bracciare la vita religiosa. Anzi fu egli stesso a impormi la medaglia
di postulante nell'Epifania del 1915 ».21
***
Che i'l Servo di Dio poi trasmettesse alle anime già formate
l'influsso della sua santità, lo attesta suor Giuseppina Ciotti, Figlia
di Maria Ausiliatrice. Negli anni 1914-1920 da Bagnolo Piemonte,
dov'era direttrice, spesso scendeva a Torino per commissioni. In
Maria Ausiliatrice approfittava per la sua riconciliazione . Anch'essa,
senza saperlo, capitò al confessionale -di don Rinaldi, che nelle ore
mattutine era come un piccolo porto di mare per le anime. Fatta
l'esperienza vi tornò abitua'lmente, perché don Rinaldi - s'informò
più tardi che era il prefetto generale deHa Congregazione - « con-
fessava - depone - svelto e bene »,22 sì da lasciarla profonda-
mente impressionata e spiritualmente soddisfatta.
« Faccio notare - dichiara con giuramento ai processi - che
il Servo di Dio era uomo di intensa vita interiore e di non comune
umiltà, per cui le sue stesse virtù restavano nascoste. Coloro che lo
accostavano però ne sentivano il benefico influsso e avevano per
lui massima stima ».23
***
Tipico il caso di madre Maria Lazzari, fondatrice della Pia
Unione delle Missionarie della Passione di Gesù, di Mondovì.
Aveva conosciuto casualmente don Rinaldi nel 1906 in Maria Ausi-
liatrice al confessionale. Dopo qualche contatto: « Mi persuasi
- osserva - che valeva la spesa di attraversare ogni otto giorni
la città per ricevere la sua direzione: egli mi sembrò scelto dalla
Madonna per la cura deUa mia anima. Rimasi sotto la sua guida
per ohre venticinque anni. Ebbi in lui un vero maestro di spirito...
un confessore e direttore ideale, un santo di impareggiabile virtù » .24
113

13.4 Page 124

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« Nella direzione delle anime - descrive madre Lazzari -
egli era fermo e soave. Sapeva rendere la pietà amabile, dimostrava
desiderabile e facile l'esercizio della perfezione, ed esortava alla pra-
tica delle virtù solide. Conduceva le anime a Dio quasi senza che
se ne avvedessero, e sapeva infondere ardentissimo amore a Gesù
Sacramentato e a Maria Ausiliatrice. Nelle anime assecondava la
grazia, non 'la preveniva; sapeva cioè attendere l'ora di Dio e con-
durre non secondo personali vedute, ma seguendo i particolari dise-
gni della Provvidenza ».25
Madre Lazzari va oltre nelle sue dichiarazioni. « Il Servo di Dio
- attesta per sua esperienza - aveva il discernimento degli spiriti,
per cui le anime che stavano sotto la sua guida si sentivano al sicuro.
Egli comprendeva tutto; sovente leggeva nel cuore e sapeva anche
ciò che io non gli dicevo. Anzi in varie circostanze diede prova di
conoscere l'avvenire; molte cose da lui annunciate in vita, si sono
verificate dopo la sua morte ».26
***
Infatti nel 1918, durante l'epidemia detta spagnuola, don Rinal-
di si era recato al capezzale di Maria Lazzari, gravemente colpita
con altri familiari dal morbo. « Dopo essermi confessata - raccon-
ta - gli dissi che temevo di morire - era allora sui 35 anni - .
Don Rinaldi mi fece coraggio e mi disse di stare tranquilla: non
sarei morta, bensì avrei dovuto compiere ancora molte obbe-
dienze ».n
Quattro anni più tardi, nel luglio del 1922 - tre mesi dopo la
sua elezione a Rettor Maggiore - don Rinaldi confermava e pre-
cisava i suoi vaticini a Maria Lazzari: « Mi raccomandò di pre-
gare e di prepararmi a una grande missione. Di questa - aggiunge
- mi parlò varie volte nel corso dei nove anni che seguirono
- fino alla sua morte - , dicendo che si trattava di opera desti-
nata a fare molto bene. Difatti - conclude madre Lazzari -
qualche anno dopo la scomparsa del Servo di Dio sorse il nostro
Istituto, senza quasi che io ci pensassi o sapessi spiegarmi il fatto ».28
In varie occasioni - insiste madre Lazzari - il Servo di Dio
mostrò di conoscere cose interne a tutti sconosciute. Una volta,
mentre don Rinaldi era a Milano, la giovane ebbe « assoluto biso-
gno» di parlargli. Senza preavviso e senza che nessuno lo sapesse
prese il treno e si portò a Milano. Chiese di lui all'Istituto sale-
siano di Via Copernico e tosto se lo vide comparire davanti. Mera-
114

13.5 Page 125

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vigliata di trovarlo subito in casa sentì rispondersi che la stava
aspettando. « Gli chiesi - dichiara essa medesima - come era
possibile che mi aspettasse, quando neppur io sapevo di potermi
recare improvvisamente a Milano. Ed egli mi assicurò con grande
naturalezza che in mattinata aveva sentito senza alcun dubbio che
quel giorno sarei andata a parlargli ».29
***
Don Rinaldi - come si vede sotto il manto d'una vita e
d'un servizio pastorale modesto, nascondeva una paternità spiri-
tuale ricca di doni carismatici ch'egli sapeva tenere segreti.
Alla signora Emma Caviglione Coppa che a voce gli aveva ma-
nifestato un forte disagio fisico-psichico nell'accostarsi al confes-
sionale, prima la rasserenò dicendole: « Stia tranquilla e si accosti
pure alla Comunione»; poi le fece l'invito: « Venga in Maria Ausi-
liatrice, perché possa darle l'assoluzione ».
La tormentata signora vi andò; la confessione « fu brevissima »;
e tornò la pace dello spirito. « Fin che don Rinaldi visse - assicu-
ra - fui sua penitente e non ebbi più a provare l'orgasmo che
prima mi angosciava ».30
***
Don Ceria trova il segreto di don Rinaldi confessore e direttore·
di spirito nella sua arte di incoraggiare. « Incoraggiava - scrive
- chi correva, chi andava a rilento, chi cadeva. I frutti sono la
prova più convincente della bontà del suo metodo. Quante sue
penitenti ,debbono a lui il fervore e la pace di una vita veramente
cristiana; quante l'aver abbracciato la vita religiosa o l'avervi per-
severato. Si può con tutta verità - continua don Ceria - asserire
che don Rina:ldi appartenne alla schiera di quei direttori d'anime,
i quali affezionano i penitenti non alla persona ma alla direzione
che s'imparte ».31
Degna di attenzione una confidenza del Servo di Dio al segre-
tario don Ferrari: solo una volta gli era capitato di « rifiutare >>
con rammarico l'assoluzione.32
***
Nessuno pensi però che nell'esercizio di così fecondo mini-
stero, del quale è impossibile misurare l'ampiezza e la copiosità
115

13.6 Page 126

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dei frutti, mancassero a don Rinaldi amarezze e contrasti. Non tutti
vedevano di buon occhio che il prefetto generale, il quale pur
s'ispirava agli esempi di don Bosco, dedicasse tanto tempo e tante
cure al ministero e fosse aperto a una carità spirituale così larga
e continua.
Ai tempi di don Rua non sorsero difficoltà. Queste affiorarono
sotto don Albera, che pure aveva del suo primo collaboratore un
altissimo concetto. Talora però - come osserva acutamente don
Ceria - don Albera vedeva « certe cose di don Rinaldi con occhi
altrui ».33 Vi era cioè chi giudicava con minor benevolenza il pro-
digarsi del Servo di Dio nel ministero e gettava ombre sull'animo
del Rettor Maggiore.
Fin da principio del nuovo rettorato don Rinaldi, intuendo il
problema e dichiarandosi disposto a ogni rinuncia, aveva deciso
di non cambiare linea di condotta. Solo l'ubbidienza poteva disto-
glierlo dall'apostolato: ma questa non venne; ed egli pur soffrendo
per qualche atteggiamento riservato, per mezze parole che indiret-
tamente lo colpivano, continuò ad essere un dono per le anime.
Il bene lo si paga a prezzo di umiliazioni e di sofferenze. Don Ri-
na1di lo sapeva e non si sgomentò di nulla.
Il 28 ottobre 1917 annotava: « Starò più attento perché il con-
fessionale e specialmente le donne non mi distolgano da una vita
veramente salesiana e secondo don Bosco - : qui dunque giuoca-
vano i commenti-. Per questo bisogna che preghi molto. Da solo
sono incapace di stare nel giusto termine. Mi aiuti Maria Ausi-
liatrice » .34
Forse fu allora ch'era capitato quanto don Ricaldone, testimone
oculare, ha cura di raccontare ai processi: « Una volta il compianto
don Albera, non bene informato, gli fece in Consiglio più che un
appunto un vero rimprovero. Don Rinaldi che avrebbe potuto chia-
rire e difendesi, non disse parola. Quello stesso giorno, usciti in
città, mi permisi di ricordare con lui il fatto spiacevole. Don Ri-
naldi tacque e non volle che se ne parlasse ».35
***
Ha ragione suor Rosalia Dolza là ove dichiara: « Non ho tro-
vato né conosciuto sacerdoti e superiori che gli fossero uguali in
virtù e santità »; 36 e quando assicura che nessuno più di lui « asso-
migliava a don Bosco » per genialità, bontà e zelo.37
116

13.7 Page 127

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Dal Fondatore don Rinaldi aveva imparato che le anime si
coltivano e si conducono per i sentieri di Dio mediante la confes-
sione e la guida spirituale; e pur tra incomprensioni e pene egli
amò il ministero con ardore apostolico e salesiano.
Note
1 Summ ., 270, 942.
2 Summ., 9, 29 .
3 Summ., 171 , 591.
' Summ ., 231 , 799.
5 C ERIA E ., 144.
6 Summ ., 231 , 799.
7 CERIA E., 144.
8 Summ ., 289, 1013.
' Summ., 20, 67.
10 Summ ., 231 , 799.
11 Summ ., 20, 68.
12 Summ ., 83, 290; 85, 300; 187, 652.
Il Summ ., 340, 1173.
14 Summ. , 49, 174.
15 Summ. , 99, 346.
16 Summ., 101 , 351.
17 Summ. , 100, 350.
18 Summ., 144, 497.
" Summ., 144, 496.
20 Summ., 352, 1209.
21 Summ., 353, 1210.
22 Summ ., 198, 693.
23 Summ ., 200, 700.
" Summ., 304, 1065.
25 Summ., 306-307, 1075-1076.
26 Summ., 307, 1077.
27 Summ., 306, 1072.
28 Summ., 307-308, 1078.
2
'
Summ., 308,
1079.
30 Summ ., 202-203, 708-709.
31 C ERTA E ., 146 .
32 C ERIA E., 144.
33 C ERIA E., 174.
34 C ERTA E., 145.
35 Summ ., 290, 1018.
36 Summ. , 163, 564.
37 Summ., 162, 563 .
117

13.8 Page 128

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13
FONDATORE IN PENOMBRA
Parrà strano ma è così. Anche se riusciva a nasconderlo, don
Rinaldi - come si è detto - aveva il temperamento del fonda-
tore e le qualità per diventarlo. Aperto alle cose nuove, sapeva
leggere nei bisogni delle anime e della società. Da giovane era
apparso incerto e taciturno; da adulto invece mostrò di essere por-
tato all'azione con tempestività e chiaroveggenza, pur restando in
sott'ordine e non scostandosi mai dalla più religiosa obbedienza.
Il soggiorno di Spagna aveva saggiato la sua laboriosità e messo
in chiaro le capacità di scelta, che adornavano il suo spirito e face-
vano di lui un campione della vita salesiana. A Torino, nella piena
maturità degli anni, il temperamento non si smentì: si vorrebbe
anzi dire che si affinò nel settore spirituale delle anime.
Qui don Rinaldi arrivò a concepire ed attuare una forma nuo-
va di vita consacrata nel mondo e a porre gl'inizi di un Istituto
che oggi in lui si riconosce e lo onora come ispiratore e padre. Si
potrebbe dire che fu questa l'opera più indovinata e personale del
Servo di Dio, anche se è verissimo che egli volle restare nell'ideale
di don Bosco, attribuendo al Fondatore ciò che faceva , e al princi-
pio poteva sembrare una semplice derivazione del suo spirito, ma in
realtà non 1o era. Più che a condividere la missione del Padre e
Maestro, ,don Rinaldi mirava ad allargarne le opere, a diffonderne gli
orientamenti, ad accrescere la vitalità dell'albero salesiano.
Di fatto, guardato alfa luce della storia, egli riuscì ad emu-
lare e completare la figura del suo grande Modello, e ad acquistare
cittadinanza tra gli ideatori e iniziatori di nuove associazioni reli-
giose nella Chiesa. Intuì cioè e percorse la via che portava alla
secolarità consacrata per la elevazione e santificazione del mondo.
Il che era del tutto nuovo allo spirito salesiano.
118

13.9 Page 129

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***
L'argomento riconduce per forza di cose all'apostolato di don
Rinaldi nell'oratorio femminile di Valdocco, dove la Provvidenza
l'aveva guidato non senza un fine che andasse oltre l'azione del
momento.
Come già don Luigi Variata ad Agua de Dios in Colombia,
anche il Servo di Dio tendeva l'orecchio alle istanze del mondo
giovanile che gli si agitava intorno: era attento cioè alle aspirazioni
che invocavano tentativi nuovi e coraggiosi nel campo della vita
consacrata o, se si vuole, della spiritualità cattolica in seno al
mondo laicale.
Già nel 1911, al primo convegno Ex-allieve delle Figlie di
Maria Ausiliatrice, don Rinaldi aveva colto a volo il desiderio di
alcune più attaccate all'Istituto le quali, pur restando nel mondo
per motivi talora indipendenti dalla propria volontà, desideravano
integrarsi nella Famiglia salesiana per vivere lo spirito di don
Bosco ed esercitare, in qualche misura, le opere caratteristiche
del suo zelo.
Per don Rinaldi, abituato alla ponderatezza e sensibile alle
aspirazioni delle anime, quel gruppo di antiche allieve, desiderose
di avere « la parte propria... nella missione della Chiesa », onde
dare « testimonianza a Cristo » per la salvezza del prossimo,1 non
tardò a far rivivere nella sua mente il progetto di « Soci esterni»,
che don Bosco aveva ideato nello schema primitivo delle Regole, e
che i revisori di Curia avevano scartato come novità non inquadrata
nelle forme tradizionali di vita religiosa.
In realtà i due progetti - quello iniziale del Santo e quello
innovatore delle ex-allieve - non erano destinati a identificarsi,
per la diversità di vita che si presupponeva: l'una di semplici cri-
stiani, l'altra di anime consacrate. Comunque la richiesta del 1911
era per la Società Salesiana un invito a trasferire in maniera nuova
e schiettamente religiosa lo spirito di don Bosco tra laici destinati
a vivere nel mondo.
Ma era ciò possibile? Chi avrebbe avuto il dono e la missione
di estendere il carisma della Congregazione fuori delle istituzioni
tipicamente salesiane?
Il problema non era facile anche perché i tempi non apparivano
maturi per l'accettazione di una secolarità consacrata nello spirito
salesiano. La strada fu lunga e conobbe soste e difficoltà. Il primo
a intuirne il significato e i vantaggi fu don Rinaldi, che la imboccò
119

13.10 Page 130

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e la percorse arditamente; e a distanza di tempo, m vita e dopo
morte, gli arrise il successo.
***
Vi fu innanzi tutto un passo anonimo, che si ricollega alla ri-
chiesta avanzata nel convegno del 1911. Esiste, con la data di quell'
anno, un abbozzo di « Statuto » per una « Pia Società delle Figlie
di Maria Ausiliatrice laiche ». Si voleva, in qualche modo, bru-
ciare le tappe e dalle parole passare ai fatti. Lo schema resta in
archivio, fu stilato a Conegliano Veneto e fa pensare che fosse alla
ricerca di approvazione.2
Don Rina'ldi lo ebbe certamente fra le mani, pur se non trovò
applicazione tra le stesse richiedenti, neppure in via di prova o di
sperimento. Forse non rispondeva del tutto a persone che inten-
devano restare nel mondo.
Visto alla luce della storia o delle idee fondamentali che ne co-
stituivano l'ossatura, tre punti meritano speciale rilievo. L'ideata
Società voleva nascere vicino al santuario di Maria Ausiliatrice,
come germoglio « alle radici deUa grande pianta salesiana ». I mem-
bri o le ascritte intendevano abbracciare « un vero e proprio stato
religioso con voti » permanenti. E in terzo luogo il sodalizio, pur
cercando « il miglioramento individuale, la diffusione della pietà,
l'incoraggiamento alla virtù », si proponeva di completare o sosti-
tuire l'azione apostolica delle Figlie di Maria Ausiliatrice. In so-
stanza la Figlia di Maria Ausiliatrice laica doveva essere « donna
di preghiera, di virtù e di azione ».
***
Forse il progetto era troppo articolato e di non facile applica-
zione.
Don Rinaldi ritenne l'idea, la sfrondò di particolari che le da-
vano aspetto di nuova fondazione autonoma, senza che qualcuno
la guidasse e garantisse; e per alcuni anni si accontentò dell'es-
senziale, mentre veniva maturando il suo progetto.
Lo presentò infatti per iscritto al Rettor Maggiore don Albera
il 9 ottobre 1916, in piena guerra europea. « Conviene - gli di-
ceva - che Vostra Riverenza sappia come alcune pie persone se-
guono il tenore di vita qui unito. Esse non formano corpo a parte,
ma possono determinare una corrente di idee che un giorno o l'altro
potrebbe arrivare a Vostra Riverenza come Rettor Maggiore della
Pia Società Salesiana ».
120

14 Pages 131-140

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14.1 Page 131

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Dalle caute espressioni del Servo di Dio sembra di capire che
il progetto del 1911 era caduto perché atteggiava il sodalizio a
nuova istituzione in grande stile e pienamente autonoma. Biso-
gnava aggirare l'ostacolo affi'liando l'associazione, non tanto all'Isti-
tuto del1e Figlie di Maria Ausiliatrice, quanto al Superiore Gene-
rale della Congregazione Salesiana.
In una paginetta e in sette schematici punti costituzionali don
Rinalti presenta al Successore di don Bosco quale poteva essere
l'ideale di vita salesiana consacrata nel mondo, secondo i criteri
che le « pie persone » in parola seguivano da anni sotto la sua
direzione.
Dire che quella pagina è la magna charta da cui ha formale
origine l'attuale istituto secolare delle Volontarie di don Bosco è
senz'altro cogliere nel segno. Don Rinaldi aveva pensato; fatto le
sue esperienze; si era convinto della possibilità e utilità della nuova
forma di vita consacrata; e, spinto forse dalle interessate, che cieca-
mente si fidavano di lui, giuocava la sua parte, tentando le vie
della Provvidenza.
Nella sua umiltà egli non si sarebbe mai impegnato nel dar
vita a una nuova istituzione, che doveva portare il sigillo salesiano,
senza l'approvazione del legittimo Superiore. Si direbbe anzi che
la sua mossa mirava a far cadere sul Rettor Maggiore la paternità
più che la responsabilità dell'impresa.
* '~ *
Le candidate al nuovo genere di vita - annota don Rinaldi -
appartenevano all'associazione dei Cooperatori Salesiani; facevano
voto di castità temporaneo o perpetuo secondo il consiglio del con-
fessore; vivevano intensa vita di pietà secondo lo spirito di don
Bosco e svolgevano, in famiglia e nella società, l'apostolato del
buon esempio e delle varie opere di carità.
Dai fatti si deduce che don Albera, pur senza interventi perso-
nali - almeno in via ufficiale - diede la sua approvazione al pro-
getto che don Rinaldi caldeggiava; sicché il Servo di Dio, a partire
dall'autunno del 1916, poté operare con mano libera nell'attuazio-
ne di un ideale che si era venuto delineando alla sua mente, e
riprendeva e sviluppava un pensiero di don Bosco.
Il 20 maggio 1917, nella novena di Maria Ausiliatrice, fu la
data prescelta per avviare il nuovo sodalizio di anime consacrate
nel mondo. Servendosi di tre Figlie di Maria, che debbono consi-
121

14.2 Page 132

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derarsi pietre angolari dell'istituzione, don Rinaldi metteva le basi
per una « Società di Figlie di Maria Ausiliatrice nel secolo ». Le tre
prescelte, dietro opzione e accettazione, furono Maria Verzotti,
Francesca Riccardi e Luigina Carpanera. AHa solerzia di quest'ulti-
ma si debbono i verbali - o meglio i resoconti - della seduta
inaugura1e e degli incontri solitamente mensili che seguirono; oggi
pubblicati ne'lla collana formativa dell'Istituto Volontarie di Don
Bosco, Documenti e Testi, V, Quaderno Carpanera, Roma, Poli-
glotta Vaticana, 1980.
***
Nella prima conversazione don Rinaldi accennò al tentativo del
1911. Il regolamento steso dalle richiedenti non era sembrato con-
sono « ai bisogni di anime destinate a vivere nel mondo ». I Supe-
riori salesiani tuttavia accoglievano l'idea, essendo essa « vera-
mente nel pensiero e nel programma » di don Bosco.
« Don Albera - soggiunse don Rinaldi coinvolgendo le pre-
senti - dopo la visita che gli avete fatto per la terza volta, espo-
nendogli il vostro desiderio, me ne parlò, manifestandomi la preoc-
cupazione di dar vita a una nuova opera di bene che richiede spe-
ciale assistenza in un momento difficilissimo per la mancanza di
personale ».
Vista però la disponibi'lità delle Figlie di Maria Ausiliatrice a
dar sede e aiuto al nascente sodalizio - e qui è da supporre il
lavoro persuasivo di don Rinaldi - , « noi incominciamo quest'
opera - proseguì il Servo di Dio - ne'll'oscurità, con voi tre pre-
senti.. Nessuno deve sapere quel che sta maturando... Continuate
ad essere quel che siete ».
Tracciato quindi il programma di vita spirituale sulla falsariga
dello spirito e delle devozioni salesiane, don Rinaldi concludeva:
« Siete poche: solo tre, ma non importa. Le opere del Signore
nascono nella povertà e nell'umihà, e si consolidano nel silenzio.
Meglio poche, ma di buono spirito. Meglio un arboscello solo, ma
di radice sana e forte, che molti sparsi e di radice inferma... Non
chiamate nessuna a seguirvi: basterà il vostro buon esempio. Siate
unite tra voi, e formate un cuor solo e un'anima sola ».
Nel mese di luglio alle tre confondatrici del gruppo si univano
Celestina Dominici e Giovannina Peraldo; e in novembre Caterina
Borgia e Teresa Sa1assa. Si trattava perciò di un fermento che ada-
gio adagio poteva lievitare la massa.
A questo punto è dovere annotare che al gruppo, per il quale
122

14.3 Page 133

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non esisteva ancora un nome ufficiale, prestarono attenzione e cure
materne le ispettrici madre Felicina Fauda e madre Rosina Gilardi,
che si avvicendarono in quei mesi alla direzione dell'ispettoria pie-
montese, e accettarono l'opera dei Superiori e di don Rinaldi, come
impresa della Famiglia salesiana.
***
Ma cade qui la crisi che maggiormente afflisse il Servo di Dio
e minacciò indirettamente la sopravvivenza dell'istituzione prima
ancora che potesse attecchire e rassodarsi con atti formali e pub-
blici.
Quali commenti si spargessero sul conto di don Rinaldi in quel
momento, che è tra i più significativi del suo apostolato, sembra
più facile supporre che documentare. Mentre egli con iucidità di
spirito era tutt'intento a interpretare e dar forma integrale allo
slancio apostolico del Fondatore, per uno di quei facili paradossi in
cui cadono gli uomini, si levava qualche dubbio circa la sua sale-
sianità. Lo si è visto - proprio nel 1917 - in ragione del suo
apostolato femminile.
Da Ivrea, dove probabilmente era andato per un corso di eser-
cizi e un esame delle sue vicende, egli come figlio che si rimette
al giudizio del padre, chiedeva a don Albera: « Devo continuare ad
occuparmi dell'oratorio femminile e delle Ex-al'lieve? ». La nuova
istituzione non veniva nominata, ma era presente sullo sfondo del
problema.
Con amarezza don Rinaldi soggiungeva: « Sotto il mio nome pas-
sano cose che io non conosco, non ho approvato e non mi piac-
ciono ». Non è facile dire a che cosa alludesse e quali persone
entrassero a intralciare il suo operato. Comunque: « Sappia - di-
ceva il Servo di Dio con franchezza e dignità a don Albera - che
io non ho difficoltà a lasciare questa occupazione; anzi, che desidero
avere, qualora debba riprenderla, una sua parola sicura ».
Don Albera postillò l'autografo di don Rinaldi e glielo restituì.
« Sicuro - annotò circa l'eventuale sostituzione - . Perché cam-
biare? ».
Era tormato il sereno; e il Servo di Dio restava al suo posto di
guida spirituale delle anime e servo d'imprese alle quali Dio lo
destinava. Se nella prima conferenza al nucleo iniziale della fon-
dazione don Rinaldi manifesta la stoffa dell'autentico fondatore,
investito di speciale grazia per un'opera nuova; qui si rivela reli-
123

14.4 Page 134

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gioso perfetto che intende vivere la sua obbedienza a costo di qua-
lunque sacrificio. La saggezza e l'equità di don Albera avevano
evitato il naufragio dell'istituzione prima che uscisse in aperto mare.
***
Qui s'impone una annotazione di grande rilievo. Nel preparare
e nell'avviare la nuova istituzione don Rina'1di si muove in punta
di piedi, come chi va per terreno minato. Intende agire ma lo fa
con somma prudenza e circospezione.
Il motivo c'era ed egli per ufficio ne era informato. Al Consi-
glio Centrale della Congregazione si ,dibatteva la questione del ricor-
dato don Luigi Variara che ad Agua de Dios in Colombia aveva
dato vita a una comunità femminile. Sul posto erano sorte difficoltà :
confratelli e superiori esprimevano pareri contrastanti; non sem-
brava che un sa'lesiano potesse improvvisarsi fondatore. E non man-
carono tentativi di far naufragare l'opera, che pure don Rua aveva
benedetto e incoraggiato.
Anche a Torino non si era unanimi nel favorire il disegno di
don Variara, destinato a portare frutti abbondanti.
Al corrente di tutto ciò, pur se non personalmente interessato,
don Rinaldi s'accorgeva che novità del genere portavano scompiglio
e disorientamento tra i confratelli, ai quali non sembrava conve-
niente che ci fossero in Congregazione piccoli fondatori; perciò si
mosse con estrema cautela, ·desiderando che fosse lo stesso Rettor
Maggiore don Albera a favorire ed approvare il gruppo delle prime
candidate alfa nuova istituzione, che aveva le sue radici nella sua
mente e nel suo cuore.
***
Seguì il tempo - due anni - della formazione alle singole
candidate e al gruppo; e della preparazione alla pubblica emissione
dei voti.
Con quella pazienza e metodicità che di lui fecero l'esperto for-
giatore d'anime che conosciamo, per tutto il 1918 e gran parte del
1919 don Rinaldi venne disponendo le sue figlie, più che discepole,
al genere di vita consacrata che intendevano condurre nel mondo.
Non è il caso di scendere a particolari. Basti notare - come
risulta dagli appunti avidamente presi alla sua scuola - che essi
formano un vero codice di vita religiosa femminile secolare, con-
forme aUo spirito e alle tradizioni sa'lesiane. Sono acque cristalline
filtrate a un condotto il più genuino che si possa desiderare.
124

14.5 Page 135

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Insegnamento fondamentale e attualissimo del Servo di Dio,
che mostrava di capire la forza santificatrice della secolarità con-
sacrata, e perno della sua ascetica secolare, l'invito a rinnovare
nella società moderna la vita dei santi. « Abbiate - suggeriva in
una circostanza - lo spirito buono. La vostra missione non con-
siste solo nel farvi sante, ma nell'adattarvi alle necessità della vita,
ai tempi, per far del bene ». E ancora: Portate « 'lo spirito reli-
gioso dove vi trovate ».
***
Prima di arrivare all'emissione pubblica dei voti occorreva un
regolamento. Ne parlò il cardinal Cagliero nella primavera del 1918
a Maria Verzotti, andata a fargli visita. Il grande missionario della
Patagonia salesiana, depositario e tutore dello spirito di don Bosco,
aveva guardato di buon occhio l'iniziativa di don Rinaldi, pur
senza intravedere con chiarezza il suo futuro di vero e proprio isti-
tuto secolare pienamente autonomo.
Il Cagliero parlò alla Verzotti di « piccolo regolamento », non-
ché di « nome » da attribuire al sodalizio, in maniera da non fare
« troppo » colpo, né da apparire come specifica « nuova istitu-
zione ».
A quel momento non era certo facile veder chiaro nell'esperi-
mento di don Rinaldi, e prevedere gli sviluppi che la consacrazione
secolare avrebbe avuto qualche decennio più tardi nella vita della
Chiesa, indipendentemente dal tentativo salesiano.
Lo schema di regolamento non poteva che essere affidato a don
Rinaldi, autore e promotore dell'opera. Se ne possiede l'autografo
in 18 punti. Pare sia della seconda metà del 1918, e va sotto il
titolo: « Associazione delle Zelatrici salesiane ».
Molti dei punti in questione son presi da don Bosco e in parti-
colare dal suo regolamento per i Cooperatori salesiani. Forse fu un
accorgimento per attenuare il fatto verso chi non riusciva a persua-
dersi che qualcosa di veramente nuovo stava nascendo all'ombra
dell'albero salesiano.
Di don Rinaldi è certamente il numero tre che dice: « Zelatrici
sono quelle giovani che vogliono osservare tutto il regolamento delle
Cooperatrici salesiane e stando in famiglia (intendono) vivere vita
da religiose ».
Alla vita consacrata, ribadita al numero dieci, era da aggiun-
gere l'apostolato. « Questa associazione - sottolinea il numero
125

14.6 Page 136

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cinque - si propone vita attiva nell'esercizio della carità verso il
prossimo, specialmente verso la gioventù ».
Tutto il resto: vita e pratiche di pietà, opere di zelo, forma-
zione e ordinamenti per la crescita del sodalizio, erano presi o
affidati alla Congregazione Salesiana e all'Istituto delle Figlie di
Maria Ausiliatrice.
In conclusione: pur con le incertezze degli inizi e la mancanza
di autonomia istituzionale, il regolamento delineava con chiarezza
gli elementi costitutivi di una nuova forma di vita consacrata ten-
denzialmente laicale.
A quel momento, e in casa salesiana, non si poteva chiedere di
più; né don Rinaldi mostrò di voler forzare i tempi. Gli bastava
sancire i connotati essenziali che più gli stavano a cuore.
***
Le prime sette professioni furono emesse il 26 ottobre 1919
nella cappella attigua alle camerette di don Bosco. A riceverle fu
lo stesso cardinal Cagliero, alla presenza di don Rinaldi, di suor
Rosalia Dolza, in rappresentanza dell'ispettrice, e di suor Madda-
lena Brunetto, assistente del gruppo.
Per la verità il solo voto specifico emesso dalle neo-consacrate
fu quello di castità; ma con solenne impegno di osservanza del
regolamento, che parlava di povertà e di obbedienza, secondo le
rispettive condizioni di vita.
« Col voto di castità - ammonì il Cagliero, la cui presenza
dava solennità e ufficialità salesiana all'atto, - voi siete morte al
mondo e appartenete a Dio. Immolatevi serene per la sua gloria ».
Poco prima aveva asserito: « Ora... è necessario che il supe-
riore don A1bera si occupi di voi; e prenda questo nuovo virgulto
sotto la sua protezione. Gliene ho parlato stamane ».
Non è facile dire se queste parole erano semplice deduzione o
benevola esortazione a superare residue difficoltà. L'assenza del
Superiore Generale potrebbe indurre a pensarlo.
Usando poi il suo linguaggio da condottiero, il capo della prima
spedizione missionaria del 1875, aveva così concluso all'indirizzo
delle neo-congregate: « Voi siete le truppe di riserva» della Con-
gregazione Salesiana.
Atle nuove religiose al secolo si diede il nome di « Zelatrici di
Maria Ausiliatrice della Società di San Francesco di Sales ». Ema-
nazione cioè e prolungamento della fondazione salesiana.
126

14.7 Page 137

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Pensò don Rinaldi che il 26 ottobre 1919 nasceva un Istituto
Secolare, di cui egli - anche per l'assenza di don Albera - era il
Padre e Fondatore?
Certo egli intese prendere un ideale inattuato di don Bosco e
dargli forma, in attesa che l'autorità ecclesiastica si pronunciasse
e lo facesse suo. Per questo aveva fatto sbocciare e maturare l'idea;
l'aveva coltivata e favorita con criteri istituzionali che andavano
oltre il pensiero di don Bosco; la difese rispettosamente con don
Albera, perché impegnava la Congregazione più che la sua persona;
e la portò a compimento restando nell'ombra senza vantare successo.
La gioia di quel giorno memorando non ha eco nelle fonti:
rimane da immaginare, anche se non tutti la intravidero come alba
di tempi nuovi per la vita consacrata. Don Rinaldi dovette bene-
dire in cuor suo l'avvenimento, che aveva trovato avallo nel Rettor
Maggiore e nel cardinal Cagliero, eredi e custodi dello spirito ge-
nuino di don Bosco.
Questo però in nessuno era apparso così vivo, autentico e
avanzato, come nel prefetto generale della Congregazione, che più
e meglio di tutti aveva interpretato la grazia delle origini, susci-
tando una nuova associazione chiamata ad affermarsi nella Chiesa.
L'umiltà degli inizi forse fece velo a molti e non fasciò capire che
l'ideale di don Bosco era rispuntato e si era perfezionato in don
Rinaldi, divenuto a sua volta, quasi senza saperlo, padre e fonda-
tore di un nuovo ramo della Famiglia salesiana.
***
In novembre al gruppo delle prime sette si aggiungero « due
nuove sorelle », Cristina Mìlone e Olimpia Ferrero, « veterane
dell'oratorio» di Valdocco.
Negli anni ,successivi, a poco a poco, assistito dalle Figlie di
Maria Ausiliatrice e ,da don Rinaldi, il gruppo arrivò a contare
sedici membri; nel 1921 scelse a suffragio segreto un Consiglio
direttivo, e fissò le rispettive incombenze.
Dai verbali risulta che il Servo di Dio trattava le congregate da
« religiose » e le educava a vita di consacrazione nel mondo. La
meditazione e la lettura spirituale, la pratica della bontà e della
mansuetudine, la devozione all'Eucaristia, al Sacro Cuore e a Maria
Ausiliatrice, erano temi preferiti, insieme a quelli dell'apostolato.
Don Bosco poi costituiva il punto di riferimento obbligato e il mo-
127

14.8 Page 138

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dello di santità da imitare; tanto che nell'ultima domenica di aprile
de1 1920: « È tempo - diceva alla piccola assemblea - che stu-
diate il modo di rendervi vere figlie di don Bosco ».
In luglio parlava delle cure verso « le nuove aspiranti »; e invi-
tava allo studio delle modalità pratiche nell'esercizio della carità
« in corrispondenza ai bisogni e aUe circostanze della vita mo-
derna».
« Non nella preminenza - insegnava nel 1921 - , nel compa-
rire, nell'esser lodate, sta la forza che santifica e perfeziona, bensì
nell'umiltà e nell'amore di Dio ». E inculcando la devozione alla
Madonna, come battendo un chiodo che non dava requie al suo
pensiero, esortava a ricopiare le sue virtù per « far rivivere Maria
SS.ma nella società».
« Siate - esortava ancora - vere figlie di don Bosco: nei labo-
ratori, nelle fabbriche, per le vie, senza smentirvi mai. Sempre
uguali, coerenti a voi stesse; pie, gravi, zelanti. Lavorate con sem-
plicità e candore, senza ostentazione, manifestando la vostra pietà
con la parola dolce, soave, caritativa».
***
Scorrendo i resoconti delle adunanze mensili si rimane colpiti
dall'impegno che don Rinaidi mette nella guida spirituale delle
sue figlie. Nulla mai però che si riferisca alla sua persona o alla
sua paternità. Nulla che ricordi o alluda a contrasti e difficoltà.
Il Servo di Dio resta volontariamente in ombra. Cancella si
può dire la sua persona per mettere in evidenza don Bosco, san
Francesco di Sales e di quando in quando madre Mazzare11o. Non
rivendica mai l'opera a sé; non si qualifica; non vanta privilegi,
e tanto meno reclama onori o distinzioni. È contento di aver lavo-
rato nella vigna del Signore, e quasi teme di uscire dalla sua pe-
nombra.
***
Così anche da Rettor Maggiore, quando più facilmente avrebbe
potuto far sentire il peso della sua autorità e personalità.
Anzi dopo l'elezione, le sue presenze in mezzo alle Zelatrici
si vanno lentamente diradando. Interviene e parla nelle professioni,
,che si susseguono con ritmo consolante.
128

14.9 Page 139

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Nell'ottobre del 1922, ad esempio, riceve nelle camerette di don
Bosco, dove l'istituzione era nata come già la Congregazione Sale-
siana, la rinnovazione dei voti triennali delle prime sette consorelle.
« Ad esse - nota il verbale - si è unita la consorella Giuseppina
Bianchi, venuta da Milano per fare i voti e ricevere la medaglia di
Maria Ausiliatrice ».
« Voi - disse in quell'occasione il nuovo Rettor Maggiore -
siete una piccola famiglia raccolta in questo luogo sacro dal quale
don Bosco salì al cielo... Vi siete raccolte qui per meglio rivivere
il suo spirito, seguirne gli esempi, e aiutarne le opere ». Concluse,
ribadendo un concetto che gli era abituale: « Alla santità della vita
uniamo la santità deU'azione ». La santità laicale per don Rinaldi
doveva prender di mira la elevazione e santificazione del mondo.
Perciò in una allocuzione gli erano uscite più dal cuore che dalle
labbra 1e parole: « Voi siete le prime figliuole che vi dedicate a
seguire don Bosco... nella società ».
L'ultima presenza del Servo di Dio tra le Zelatrici è del 21
maggio 1928. NeHa vita dell'associazione, per incarico dello stesso
don Rinaldi, compare qualche volta don Calogero Gusmano, se-
gretario generale della Congregazione, il quale per la sua vicinanza
al Superiore era in grado di informarlo su quanto accadeva.
Alle singole poi fu sempre lecito incontrarlo e riceverne aiuto
e consiglio.
***
Si può ora domandare: ebbe don Rinaldi la convinzione di aver
dato inizio a qualcosa di nuovo nella vita consacrata? Certamente
pensò di aver dato un passo in avanti nel programma spirituale di
don Bosco, verso mète che ancora non erano chiare nella giurispru-
denza ecclesiastica, ma che non avrebbero tardato a concretarsi nella
vita della Chiesa.
Sentì inoltre di essere diventato, più che padre spirituale di
anime, padre di una nuova famiglia di consacrate, che in lui avreb-
bero riconosciuto il fondatore della 'loro associazione e l'ispiratore
della loro vita?
Così di fatto ritennero le prime Zelatrici, anche se non si
pensò da principio a usare un titolo che don Rinaldi si guardò
sempre dall'attribuirsi, parendogli una usurpazione.
In realtà la sua condotta è quella di un fondatore che sa
di esserlo, ma finge di non saperlo e opera attribuendo ad altri
la gloria di quel che fa.
129

14.10 Page 140

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Gli rende giustizia proprio don Gusmano, che in altri tempi gli
era stato motivo di qualche amarezza. Per lui il gruppo delle Zela-
trici di Maria Ausiliatrice « è l'ultimo capitello della grande Opera
Salesiana »; anzi egli afferma che nel dar vita al gruppo « don
Rinaldi ha spremuto il succo del pensiero di don Bosco ».
Netla linea salesiana, dunque, ma con novità di pensiero e di
forme .
,:, * ,:,
Purtroppo dopo la morte di don Rinaldi, avvenuta nel 1931 e
seguita a breve distanza dalla scomparsa di don Gusmano, la fon-
dazione subì battute di arresto, non essendo ancora pienamente
consolidata.
Si rianimò con don Domenico Garneri a partire dal 1943.
Superate le difficoltà della ripresa, il vecchio ideale di vita consa-
crata nel mondo rifiorì come per incanto. Era il tempo nel quale
sorgevano qua e là gl'Istituti Secolari.
Ufficialmente però la rinascita delle Zelatrici di Maria Ausilia-
trice, secondo gl'ideali di don Rinaldi e con la partecipazione di
alcune sue figlie, si attuò il 6 gennaio 1956, con l'approvazione e
sotto gli auspici di don Renato Ziggiotti, dall'agosto 1952 quinto
successore di don Bosco.
Tosto si avvertì la fioritura di gruppi nelle principali città
d'Italia e anche all'estero. Nel marzo del 1959, decisamente orien-
tata verso la forma secolare, l'associazione prendeva il nome di
Volontarie di don Bosco e contava già 150 congregate.
Nel 1961 si componeva il testo delle nuove Costituzioni in
armonia con i documenti pontifici e secondo i criteri della spinta
iniziale, che raggiungeva così un importante traguardo .
Il 31 gennaio 1964, festa di san Giovanni Bosco, l'arcivescovo
di Torino, cardinale Fossati, erigeva in forma canonica l'associa-
zione e ne approvava gli Statuti. Sette anni più tardi, i'1 31 gennaio
1971, su mandato della Sacra Congregazione per i Religiosi e gli
Istituti Secolari, il cardinale Michele Pellegrino, successo al cardi-
nale Fossati, erigeva a sua volta 'le Volontarie di Don Bosco in
Istituto Secolare di diritto diocesano; mentre con decreto ·del 5 ago-
sto 1978 deHa stessa Sacra Congregazione venivano riconosciute
Istituto Secolare di diritto pontificio.
Il lungo cammino dal 20 maggio 1917 era compiuto. L'opera di
don Rinaldi riceveva il più alto e vagheggiato collaudo.
130

15 Pages 141-150

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15.1 Page 141

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Attualmente - 1980 - le Volontarie sono oltre 750, sparse
in più di 60 gruppi, dei quali 25 in Italia, gli altri all'estero, in tre
continenti e più di 20 nazioni.
Un miracolo al quale don Rinaldi non aveva certamente pen-
sato, ma che si è co·mpiuto in virtù del seme da lui gettato nel
solco, e fecondato dal suo virtuoso silenzio e dalla sua santità.
Note
' Vat. Sec ., AA, nn. 1-2.
' I documenti usati in questo capito-
lo provengono dall'Archivio Centrale
Salesiano, fondo don Rinaldi; non
portando segnatura uili ciale, se ne
omettono le singole citazion i. Ne ga-
rantiamo però l'autenticità e il fedele
impiego.
131

15.2 Page 142

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14
APOSTOLO DEL DOPOGUERRA
La guerra del 1915-18 - lo si è potuto vedere di scorcio -
non interruppe Ie attività apostoliche di don Rinaldi. Pur deplo-
rando lo sterile conflitto, che aveva diviso i popoli e obbligato
molti salesiani a vestire le divise, il Servo di Dio si adoperò per
fronteggiare le strettezze del momento, sia in Italia, sia nei paesi
travolti nella bufera bellica. Don A'lbera sentì il forte appoggio
della sua collaborazione e ammirò la prontezza dei suoi inter-
venti e delle norme e disposizioni che impartiva.
Parrà strano ma è così. Mentre nel santuario di Maria Ausi-
liatrice don Rinaldi guidava le anime nelle vie deUo spirito,
all'oratorio femminile era direttore attivo e insuperabile nelle ini-
ziative, tra 'le Zelatrici assumeva il volto del fondatore, nel suo
ufficio era il superiore vigile e premuroso che svolge la sua opera
di governo, aU'ombra e in aiuto del Rettor Maggiore.
Abbiamo voluto passare a una a una le circolari mensili del
Consiglio Superiore all'intera Congregazione. Vanno dal 1905
al 1921: dal numero 1 al numero 189, e portano quasi tutte la
firma del prefetto generaie don Rinaldi. Ognuna contiene racco-
mandazioni, informazioni, richiami, dei singoli membri del Con-
siglio Superiore, secondo le rispettive competenze. In coda c'è
sempre il brano o la parte del Servo di Dio.
La parola di don Rinaldi, senza far torto agli altri, è sempre
concisa: tocca le questioni de1 momento riguardanti case e con-
fratelli, stimola all'osservanza, invita alla regolarità amministra-
tiva, sostiene la parola de'l Superiore. Non mancano battute spi-
rituali, ma come a volo d'uccello. In quella sede egli è ,soprattutto
l'uomo dell'ordine, della disciplina, il complemento si direbbe
della figura paterna di don Rua e don Albera, ai quali non fa ombra
e tanto meno intende sostituirsi .
132

15.3 Page 143

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Si ha l'impressione che per vent'anni don Rinaldi seppe stare
al suo posto: in alto ma in ombra, come chi è chiamato a collabo-
rare non a dirigere.
***
n rapporto con don Albera merita uno speciale rilievo, anche
perché fino al 1910 lo aveva preceduto nella graduatoria dei rispet-
tivi compiti in seno al Consiglio della Congregazione.
Fin dal 1911 si era prefisso: « Col Superiore sarò umile. Gli
esporrò quanto possa interessarlo. Quando non fossi interpe'llato
offrirò al Signore la pena » .1
Si potrebbe domandare se '1e ultime parole non alludono a qual-
che lieve passeggera amarezza. Comunque il biografo don Ceria
assicura: « Aveva tanto scrupolo di scostarsi dal pensiero e dalla
volontà del Superiore, che ordinariamente ogni mattina, prima di
mettersi a tavolino, coltivava l'abitudine di presentarsi per riferire
su gli affari in corso e prendere ordini e istruzioni ».2
Tra don Albera e don Rinaldi ci fu - come si è detto - qual-
che fugace malinteso per il suo apostolato femminile, senza che
mai il Servo di Dio venisse meno al rispetto e alla sottomissione
dovuti al Superiore. Lo attesta chiaramente don Rica1done, a quel
tempo membro del Consiglio Superiore della Congregazione. « Per
don Rinaldi - egli dice - la voce di don Bosco, don Rua, don
Albera, era un comando ».3
Nel 1919 però il Servo di Dio ebbe 'lo scrupolo di oltrepassare
le attribuzioni dell'ufficio, invadendo il campo del Superiore. Dopo
un corso ·di esercizi, come al solito ad Ivrea, ne scrisse candidamente
a don Albera . Questi in lettera da Roma si affrettava a rassicurarlo
che gli recava conforto Ia riuscita delle sue imprese; le quali - sog-
giungeva ·con encomiabile umiltà - compensavano « la mancanza
di iniziative » da parte sua e « la poca pratica » che egli aveva
degli affari.4
***
Si può dire infatti che durante la guerra e specie negli anni che
seguirono, l'attività di don Rinaldi assume forme nuove e sorpren-
denti. La delicata salute di don Albera, che si avviava alla fine, gli
permise di grandeggiare sulla scena salesiana e di promuoverne la
ripresa nel mondo, dopo gli sconvolgimenti e 'la forzata pausa del
conflitto.
133

15.4 Page 144

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In quegli anni la voce del Servo di Dio si era levata come invito
alla carità. Nel'la circolare del 25 settembre 1915 richiamava « l'at-
tenzione ,dei direttori d'Europa sui nostri cari confratelli soldati.
Mdlti ·di loro - diceva - sono obbligati a passare la loro vita
dormendo sotto le tende o nelle trincee; altri sono sui monti in
mezzo al ghiaccio e alla neve. È necessario che i direttori pensino
a mandare loro per tempo indumenti di flanella e di lana. Abbiano
cura - esortava - di questi confratelli e procurino di alleviare le
loro sofferenze quanto più sarà possibile ».5
Il 24 febbraio 1916, tornando sull'argomento e sui vuoti che si
facevano neUe case: « Preghiamo - diceva - per i cari fratelli
militari, esposti a pericoli d'ogni genere; preghiamo anche per la
salute di coloro che si debbono sobbarcare a doppio lavoro, e fac-
ciamo tutto volentieri e allegramente: sarà una meritoria penitenza
per l'imminente quaresima ».6
A guerra finita don Rinaldi si adoperò a lenirne le conseguenze.
« Ricordo - depone don Azzini - come al termine della guerra
molti confratelli fossero caduti infermi ». Il Servo di Dio si prodi-
gava in ogni maniera verso di loro, « dimostrando una carità vera-
mente eccezionale ».7 A nessuno dovevano mancare le cure neces-
sarie.
Uguale carità usò negli anni 1918-1919 con i colpiti da febbri
epidemiche. « Durante gli anni de'lla guerra - attesta don Mat-
ta - , e specialmente al tempo infausto della così detta spagnuola,
il Servo di Dio esercitò un vero apostolato verso sofferenti, amma-
lati e bisognosi, di ogni condizione sociale, soprattutto verso i po-
veri. So che egli stesso, con non lieve sacrificio di tempo e di riposo,
si recava molte volte a portare i necessari soccorsi; e aUorché ciò
gli tornava impossibile, ne affidava l'incarico a persone di provata
e sperimentata fiducia ».8
In particolare si occupò di orfani e orfane di guerra, ai quali si
aprirono le porte di adatte case salesiane. « Egli - informa suor
Graziano - desiderava aprire case per orfani di guerra, dai sei ai
dieci anni, da affidare alle Figlie di Maria Ausiliatrice, anziché ai
Salesiani. .. Ma trovò qualche difficoltà presso le Superiore, sia per
la novità deH'opera, come per la mancanza di fondi ». Ma non si
scoraggiò. « Radunò il Consiglio - assicura suor Graziano - e
disse: " Il mondo per avviare le sue opere cerca anzitutto il denaro
e si garantisce il provento. Don Bosco invece scorge anime da sal-
134

15.5 Page 145

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vare, cerca gli operai e lascia il resto alla Provvidenza. Con chi
volete stare: col mondo o con don Bosco? " ».9 La risposta non
poteva essere dubbia, e nel 1918 sorse l'opera degli orfani e delle
orfane di guerra; che si proiettò e prolungò per i primi nell'Istituto
di Monte Oliveto presso Pinerolo.
« l'l Servo di Dio - informa suor Graziano - s'interessava al
gruppo delle orfane di guerra; godeva di vederlo prosperare e dar
frutti e non lesinava direttive e consigli ».10 Eccone un saggio che
dimostra l'avvedutezza pedagogica e la paterna bontà di don Rinaldi .
« Desiderava che le bambine - rileva ,l'informatrice - non fossero
tenute sotto severa disciplina, ma educate con sistema familiare.
" Lasciatele parlare a tavola - insinuava - anche a colazione:
a quell'età il parlare è un bisogno fisico! " . Voleva che prima di
pranzo avessero una mezz'ora di ricreazione, e che lo studio della
sera fosse intervallato da un po' di sollievo. Insisteva perché si
formassero le bambine alla sincerità; raccomandava che la pietà
fosse spontanea, non forzata; che il trattamento a tavola fosse
buono ». 11
~' * *
L'occhio e il cuore di don Rinaldi - i fatti lo dimostrano -
arrivava dappertutto. Non c'era opera di bene, nel raggio delle sue
possibilità, che egli trascurasse o non lo avesse subito alleato vigile
e intraprendente.
E qui s'introduce il discorso di ciò che fece nel dopoguerra,
soprattutto a Torino, e dell'impegno ,che mise a livello internazionale
per Ex-allievi e Cooperatori salesiani .
Prima ancora di assumere la direzione dell'oratorio femminile
di Valdocco, teatro classico deHa sua operosità apostolica, don Ri-
naldi aveva cooperato nel 1906 a costituire, nell'oratorio maschile,
annesso alla casa madre, il Circolo Auxilium, per ex-allievi e operai
della zona. Ne assunse perfino fa presidenza provvisoria, curò la
compilazione dello statuto e sancì che fine primario fosse la forma-
zione religiosa e sociale dei membri .
Depone in proposito l'ex-allievo don Matta ai processi: « Fu il
fondatore del Circolo Auxilium di Valdocco, uno dei primi se non
il primo costituitosi a Torino. Per qualche anno ne fu l'Assistente,
con assistenza non puramente formale , ma pratica e attiva... Della
sua intensa attività mi parlava uno dei primi soci, il quale esaltava
il grande e fruttuoso apostolato del Servo di Dio tra gli adulti ».12
135

15.6 Page 146

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***
Questo spiega l'indomito zelo di don Rinaldi per la fondazione
di due oratori in Torino, proprio nel 1918, mentre si profilava
l'armistizio e la fine della guerra. Sono gli oratori di Borgo San
Paolo e Monterosa, due zone periferiche della città, prese di mira
dall'estremismo politico e investite da gravi problemi sociali, in un
momento che voleva essere di ripresa e di rinascita.
Il Servo di Dio era aperto ai problemi del momento. Li andava
per così dire a studiare sul posto, per rendersene conto e cercare
sdluzioni. « Ricordo - narra don Ricaldone - che uscendo di
casa dopo il pranzo mi diceva: "Vieni; andiamo verso le fabbriche,
all'entrata degli operai, e passiamo in mezzo ad essi. Credilo: la
sola presenza del prete fa già del bene " » .13
Gli episodi soprattutto contrari alla religione richiamavano la
sua attenzione. Così « quando fu bruciata la chiesa di San Bernar-
dino - è sempre don Ricaldone che parla - mi disse: "Andiamo
a vedere" ». Andarono e ai loro occhi si presentò un ben triste
spettacolo di rovina e di sacrilega profanazione. Uscendo, il Servo
di Dio ,con volto afflitto e pensieroso: « Qui - esclamò - sarebbe
necessario un oratorio festivo ».
Attraversando quei prati incolti, a riprova dello scaduto senso
cristiano della zona, i due superiori salesiani s'intesero ingiuriare
da un gruppo di ragazzi, che in dispregio deHa loro persona si
misero a gracchiare come i corvi: quàa... quàa... Don Rinaldi si
voltò a guardarli con benevolo compatimento, ed affermò: « Sì,
proprio qua metteremo un oratorio festivo ».
« Giunti a casa - prosegue don Ricaldone - una signora lo
aspettava, e tutta desolata per i fatti di San Bernardino, che aveva-
no scosso 1a pubblica opinione, gli consegnò cospicua offerta per un
oratorio da erigere in quei paraggi. Quella sera ci fu riunione di
Consiglio. Don Rinaldi parlò di quanto accaduto nel pomeriggio, e
all'unanimità fu deciso l'acquisto di una cascina con 18.000 metri
quadri di terreno per dar inizio all'oratorio ».14 In breve la cosa fu
fatta.
Con l'oratorio intitolato a San Paolo sorse poi il tempio di Gesù
Adolescente, divenuto centro di comunità parrocchiale e di fiorenti
associazioni giovanili e cattoliche. « L'azione svolta dall'oratorio
- è detto nei processi - cambiò la faccia di quel rione » .15
Fu l'oratorio prediletto di don Rinaldi nell'ultimo decennio
deHa vita. In solenne circostanza del 1921 egli diceva, esprimendo
136

15.7 Page 147

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il suo pensiero, che era un programma: « L'oratorio di San Paolo
deve essere la casa di tutti. Qui non deve regnare la politica o il
partito, ma soltanto l'amore ».16
***
Altrettanto fece per l'oratorio di Monterosa, nella cosddetta bar-
riera di Mrlano, in un sobborgo di recente formazione, bisognoso
di assistenza spirituale per la gioventù.
Esordì - contemporaneamente a quello di San Paolo - 1'8
dicembre 1918, festa dell'Immacolata e anniversario del primo cate-
chismo di don Bosco a Bartolomeo Garelli nel 1841.
Dopo averne caldeggiato l'apertura il Servo di Dio ne divenne
il protettore. Volle in primo luogo che fin da principio fosse dotato
di personale sufficiente; procurò benefattori e fu largo di consigli
e incoraggiamenti.
All'inizio vi andava con frequenza e non mancò mai fino
all'ultimo di recarsi a presiedere la premiazione dei giovani orato-
riani. Come a San Paolo, una ben distribuita catechesi, la fonda-
zione ·di associazioni religiose e ricreative, la cura delle famiglie,
in breve rinnovò il quartiere.
Come ognuno può supporre, non tutto certo faceva don Rinaldi,
che aveva altri compiti da svolgere; ma egli aveva l'arte di lanciar
proposte, suscitare entusiasmi, animare al bene, confortare nelle
difficoltà e negli immancabili disagi che il lavoro apostolico porta
con sé. Non gli mancava il coraggio dei forti sia nel destare imprese
che nel condurle in porto.
***
In quegli anni don Rinaldi promosse all'oratorio femminile di
Valdocco, sempre al centro dei suoi pensieri, un'aggiornata cultura
religiosa intorno a problemi di carattere dogmatico, morale e sociale.
Fin dal 1909, notando la eterogeneità delle oratoriane, aveva
introdotto una scuola di religione a parte per impiegate, studenti
e maestre. Gli era stato di grande aiuto il segretario don Ferrari che
per anni tenne ogni settimana lezioni appropriate di cultura a un
bel gruppo di partecipanti.
Dieci anni dopo, nel 1919 istituì il Circolo di Cultura « Maria
Mazzarello ». Per comprendere la tempestività di quel gesto, che
arditamente precorreva i tempi, basterà notare che un anno più
tardi, nel 1920, sorgevano in Italia i primi Circoli della gioventù
cattolica femminile.
137

15.8 Page 148

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Don Rinaldi camminava in testa, vedeva giusto e guardava lon-
tano. Più che i suoi lumi, era la luce di Dio che lo investiva e lo
spingeva in avanti.
Tra le associate egli introdusse il dialogo, la discussione, il con-
fronto delle idee; e volle che ognuna si incoraggiasse a tener brevi
conferenze a difendere pubblicamente i principi cristiani. Non
basta - insegnava - essere buone in famiglia: bisogna professare
e difendere le proprie convinzioni davanti aUa società. NeUa sua
apertura <li spirito il Servo di Dio, che non era e non poteva essere
classicista o romantico, con materie sociali e religiose, includeva
anche temi letterari e di cultura profana.
Anche qui, evidentemente, non faceva da solo, ma invitava
abili conferenzieri. A sé riservava temi quali il matrimonio, il di-
vorzio e simili: e sapeva svolgerli con chiarezza e riserbo. Nel Cir-
colo nacque anche una « Conferenza di San Vincenzo » per la visita
e l'aiuto ai poveri.
Articolata e intensa soprattutto la vita spirituale delle « circo-
line ». Messa ogni mese, primi venerdì, ora santa, che lui stesso
predicava, preparazione alla Pasqua, gite a Valsalice, in visita alle
tombe di don Bosco e di don Rua.
Suor Giselda Capetti, Figlia di Maria Ausiliatrice, che appar-
tenne al Circolo, assicura che nel primo decennio « uscirono
trenta vocazioni religiose » . « Noi - essa dice - avevamo per
don Rinaldi una venerazione illimitata, unita alla più filiale e rispet-
tosa confidenza; e benché qualcosa ci potesse costare, come le
famose conferenzine, gli ubbidivamo in tutto ».17
***
Nel 1920 fu la volta del secondo Congresso Internazionale degli
Ex-allievi e dei Cooperatori e Cooperatrici salesiane.
Nei suoi progetti operativi don Rinaldi era fervido e instanca-
bile. Al suo arrivo a Torino nel 1901 esistevano qua e là unioni
locali di ex-allievi. Egli fu d'avviso che si dovessero moltip'licare
tali gruppi, in modo da unire e confederare tra di loro quanti erano
cresciuti alla scuola di don Bosco, per continuare a viverne lo spi-
rito e diffonderlo nella società. Suoi alleati furono il Bollettino Sale-
siano e gli abili redattori che prendevano l'imbeccata dal prefetto
generale e si attenevano alle sue direttive.
Nel 1910, sotto la sua presidenza, una commissione aveva stu-
diato le modalità e lo statuto di una Federazione di Circoli e Unioni
di ex-allievi; e nel 1911 si era tenuto il primo Congresso Interna-
138

15.9 Page 149

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zionale per sancirla e renderla esecutiva: vi parteciparono ex-allievi
di 22 nazioni. In queH'occasione, come scintilla, era anche scattata
la proposta di un monumento a don Bosco sulla Piazza di Maria
Ausiliatrice al compiersi, nel 1915, il primo centenario della nascita.
Le fatiche di don Rinaldi onde la proposta divenisse realtà
non possono rientrare in un quadro biografico d'insieme. Basti
riportare il giudizio di Piero Gribaudi, primo presidente interna-
zionale degli Ex-allievi: « Chi faceva tutto e non voleva apparire
- afferma - era don Rinaldi .. . Egli mi maneggiava come voleva ».18
La guerra creò intralci. l'l monumento dello scultore Cellini fu
solennemente inaugurato soltanto il 23 maggio 1920; e appunto
a far da cornice all'avvenimento il Servo di Dio progettò e diede
vita al secondo Congresso Internazionale di ex-allievi , che rinnovò
e rese più feconda la vita dell'associazione.
« Fu tale e tanto l'interesse che egli si prese degli ex-allievi
- attesta don Matta - che da essi era chiamato padre degli ex-
allievi ». Le frequenti raccomandazioni in proposito nelle circolari
mensili del Consiglio lo dimostrano. A ragione perciò don Matta
dichiara: « Avendolo io seguito, come presidente di una Unione,
posso garantire che la sua azione era così alacre e fattiva, che chi
non avesse conosciuto o saputo del suo grande lavoro di prefetto
generale della Congregazione, avrebbe facilmente creduto che quella
fosse la sua sola occupazione. Egli non si metteva in vista, ma sape-
va far presentare da altri le proposte che aveva escogitato e gli sem-
bravano opportune ».19
Per don Rinaldi valeva in anticipo l'insegnamento di Giovanni
XXIII: Fare, far fare, dar da fare, lasciar fare. Egli sapeva muo-
vere le persone e coordinare la loro azione ai fini che si proponeva.
Soltanto una volta, ma più tardi, - attesta il presidente inter-
nazionale degli Exallievi Arturo Poesio - don Rinaldi « prese
aspetto e linguaggio di autorità, aUorché, nella sua qualifica di
Rettor Maggiore, dichiarò che l'organizzazione degli Ex-allievi rien-
trava nel numero delle nuove famiglie, suscitate nella Chiesa da
don Bosco, alle quali si allude nella preghiera del Santo ».20
Don Bosco era aUora Beato e premeva al Servo di Dio ricono-
scere l'appartenenza degli ex-allievi alla Famiglia Salesiana secondo
il pensiero e i desideri del Fondatore.
Nel 1920, il prefetto generale aveva anche ideato e fatto indire
l'ottavo Congresso Internazionale dei Cooperatori e il secondo delle
139

15.10 Page 150

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Ex-allieve di Maria Ausiliatrice. Attorno al monumento del Padre
dovevano raccogliersi tutti i rappresentanti delle sue ramificazioni
nel mondo.
Del Congresso dei Cooperatori, che studiò i modi della coope-
razione salesiana, basterà dire che don Albera si fece rappresentare
dal Servo di Dio; poiché dai tempi della Spagna egli si era occupato
della crescita e degli sviluppi dell'associazione, di cui fu sempre
il più valido sostenitore.
Le ex-allieve poi dovevano tutto a lui; venne quindi a trovarsi
nel suo centro e tra persone, che lo consideravano il perno dell'
associazione e la guida sicura nei compiti da assolvere. Il Congresso
propose un periodico mensile e fu don Rinaldi a indicare il titolo
simbolico di Unione che ancora porta.
Parecchi anni dopo, al celebrarsi nel 1933 il venticinquesimo
della prima associazione, istituita come si disse nel 1908 dal Servo
di Dio - già passato all'eternità - , chi commemorò il fausto avve-
nimento non poté trattenersi dal dire: « Non so come si riesce a
parlare in questo luogo - l'oratorio femminile di Valdocco -
senza vedere tra noi la paterna figura di don Rinaldi. Il bene rice-
vuto da lui è immenso. L'idea dell'associazione gli appartiene: e
più che dalla mente gli uscì dal cuore » .21
***
Resta da aggiungere ciò che in quel tempo e anche prima don
Rinaldi fece per la Casa Generalizia delle Figlie di Maria Ausilia-
trice, con sede allora in Nizza Monferrato. Vi erano fiorentissimi
il noviziato San Giuseppe e la Scuola Normale o Magistrale pareg-
giata nel 1900. Sovente lo si invitava non solo per occasionali pre-
dicazioni, ma anche per conferenze alle novizie, alle educande, alle
diplomate e al corpo insegnante.
Il Servo di Dio era persuaso che nella donna si dovesse for-
mare la sposa e la madre per il mantenimento e la crescita dello
spirito cristiano nella famiglia e nella società . Perciò non rifiutava
mai le sue prestazioni, che erano avvalorate da larga esperienza in
campo femminile, sia oratoriano che ministeriale.
Dalle cronache dell'Istituto e dalle note dei suoi discorsi, che
avevano sapore di conversazioni familiari - tipo i Trattenimenti
di san Francesco di Sales - , si potrebbe ricavare un trattato di
sana pedagogia cristiana e salesiana, per l'interpretazione e applica-
zione del Sistema preventivo, e la missione che la giovane maestra
è chiamata a svolgere nel suo campo di lavoro, in paesi e città.
14 0

16 Pages 151-160

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16.1 Page 151

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L'acume, la finezza, la praticità delle cose che don Rinaldi, con
fare bonario diceva e insegnava, sembrano più dono dello Spirito
Santo che frutto di riflessione e di esperienza. Ispirandosi al Van-
gelo e agli orientamenti del Fondatore, ma attingendo specialmente
al suo cuore di padre e di apostolo, egli trova argomenti adatti, indi-
rizzi opportuni, consigli saggi, che attiravano l'attenzione e l'am-
mirazione di ascoltatrici, pronte a mettere in carta quel che diceva
per tradurlo poi in pratica di vita.
« Fu per tutte - si legge in una testimonianza - un padre che
dà a ognuna: ragazza, suora, donna, non solo quello che un diret-
tore spirituale può dare a un'anima; bensì quello che una mamma
santa e saggia trasmette alle sue figlie. Le pagine più belle di lui
- condude chi riassume un vasto magistero pubblico e privato
del Servo di Dio - non saranno mai scritte quaggiù ».22
***
Qui è giocoforza porre una domanda: quale il movente di così
instancabile attività di don Rinaldi, prefetto generale della Congre-
gazione, in tutti i settori del'la vita salesiana? Quale il segreto di
tanta efficacia di parola, di apostolato, di ministero?
Bisogna affondare lo sguardo nell'uomo interiore. Don Rinaldi
non era soltanto la figura di un salesiano attivo come don Bosco:
come nel Fondatore, nel Servo di Dio c'era la stoffa del santo.
Note
1 CERIA E ., 175.
2 CERIA E. , 175.
' Summ., 293, 1030.
4 C ERIA , 175 .
5 Circolari, n. 121, 4.
Circolari, n. 126, 4.
1 Summ. , 18, 61.
8 Summ., 337, 1163.
9 Summ. , 142, 487-488.
" Summ., 109, 378.
11 Summ., 142, 489.
12 Summ. , 320, 1111.
13 Summ., 287, 1003.
14 Summ. , 287, 1003-1004.
15 Summ. , 111 , 381.
16 C ERIA E., 149.
17 C ERIA E., 215 .
18 C ER IA E. , 254 e 256.
" Summ., 321 , 1113-1114.
20 Summ., 28, 97.
21 CERIA E., 228.
22 CERIA E., 238.
141

16.2 Page 152

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15
UOMO DI SPIRITO
La vita interiore di don Rinaldi, prefetto generale e rettor mag-
giore dei Sa'lesiani, è in gran parte da scoprire. I processi l'hanno
scandagliata e messa in evidenza più di ogni altro aspetto biografico.
Nel Servo di Dio si verifica quanto il Perfectae Caritatis del
Vaticano Secondo insegna per i religiosi. « B necessario - recita
il documento conciliare - che i membri di qualsiasi istituto...
congiungano tra loro la contemplazione, con cui si è in grado di
aderire a Dio.. ., e l'ardore apostolico, con cui si sforzano di colla-
borare all'opera della Redenzione » (n. 5).
Degli istituti attivi in particolare si dice che la loro « azione
apostolica... rientra nella natura stessa della vita religiosa »; in
modo da ottenere che la condotta dei membri, pur sorretta da atti-
vità esteriore a vantaggio degli altri, sia costantemente « animata
da spirito religioso » (n. 8).
In don Rinaldi '1o spirito apostolico - lo si è visto nei decenni
della sua prefettura - balza evidente agli occhi di tutti. Più che
attivo egli è l'attività . Ciò che gli manca in cultura è supplito dall'
incredibile susseguirsi delle opere, nelle quali si prodiga e alle quali
vita.
Ma il suo non è attivismo di chi asseconda la natura per fini
umani: è intensità di lavoro che sgorga da animazione interiore.
Don Rinaldi è tutto per gli uomini a motivo della sua elevazione in
Dio. Il soprannaturale spiega in lui la forza e la creatività dello zelo.
* * :~
Caratteristica non di meno del Servo di Dio una semplicità di
vita che quasi nasconde le ricchezze dello spirito. Lo attesta chiara-
mente don Ricaldone, che lo ebbe ispettore in Spagna e gli visse
142

16.3 Page 153

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un ventennio al fianco in Torino. « Dalle molte conversazioni che
ebbi con lui mi convinsi che don Rinaldi non riteneva possibile
perfezione religiosa e sacerdotale senza perfezione cristiana cen-
trata suU'esercizio deUe virtù... Il Servo di Dio non predicò e non
praticò mai un'ascetica sublime... Questo spiega perché in lui non
si vide mai nuUa di straordinario: la sua vita ordinaria però fu da
lui vissuta così perfettamente da potersi qualificare come straordi-
naria ».1
Don Azzini che per un trentennio di vita in comune poté osser-
varlo in tutti gli atteggiamenti, assicura che all'apparenza, nella
semplicità e spontaneità del suo vivere, don Rinaldi appariva « ordi-
nario», ma che in realtà viveva la sua giornata con impegno
« straordinario ».2 Qualcuno azzarda che non si poteva arrivare a
« maggior perfezione ».3
Anche suor Graziano attesta che per « semplicità, alacrità e
costanza » l'esercizio della virtù era diventato nel Servo di Dio
« una seconda natura ».4 Pur avendo conosciuto altre persone di
virtù, suor Giuseppina Ciotti, che avvicinò frequentemente don
Rinaldi all'oratorio femmini'le di Valdocco, « in nessuna - afferma
- riscontrai l'esercizio assiduo della virtù ammirato in don Ri-
naldi ».5
A ragione madre Lazzari, figlia prediletta si può dire del Servo
di Dio, lo dichiara « modello per i suoi confratelli ».6
***
Innanzi tutto don Rinaldi fu uomo di preghiera. Si alzava e
celebrava per tempissimo; partecipava alla prima meditazione co-
munitaria, quindi passava al confessionale per le sue ore di mini-
stero .
Don Ricaldone rileva l'esattezza del Servo di Dio nella vita di
pietà: « Era - osserva - di'ligente e vorrei dire rigoroso con
e con gli altri, quando si trattava di pratiche religiose ».7 « Alla
meditazione - precisa don Azzini - partecipava immancabilmente
ogni giorno insieme con i confratelli .. . Né mancava mai alle pre-
ghiere e agli esercizi della comunità... Dal modo di pregare si nota-
va come la sua anima fosse elevata in Dio ... Quanto all'Ufficio
divino attesto che, quando gli era possibile, lo recitava in chiesa,
dove sempre si trovava a suo bell'agio. Dovunque però assolvesse
al suo dovere sacerdotale di preghiera, lo faceva con dignità e com-
postezza edificanti, come chi è convinto di trattare con Dio ».8
143

16.4 Page 154

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Don Bordas, detto che don Rinaldi fu « dotato di grande spirito
di preghiera», aggiunge: « Era per noi edificante vederlo sempre
al suo posto, fin dalle prime ore del mattino, nel coro - allora -
di Maria Ausiliatrice: il suo contegno infondeva pietà nei presenti.
Non lo vedemmo mai sedersi durante la meditazione... Frequenti e
fervorose erano le sue visite... Amava le orazioni giaculatorie, e ne
inculcava 'l'uso... Lo spirito di pietà serviva a don Rinaldi per man-
tenersi unito a Dio e gli traspariva dalla parola e dal contegno.
Erano molte ie persone che uscivano, piene di fervore e di santi
propositi, sia dal suo confessionale, sia dalle udienze che gli consu-
marono la vita. Chi l'avvicinava aveva l'impressione di trovarsi
davanti a un uomo di Dio ».9
E lo era veramente. Don Ricaldone informa che « leggeva libri
di pietà, li meditava e assimilava; e la sua conversazione dimostrava
quanto fosse unito con Dio. Qualunque argomento trattasse, egli
sapeva introdurre il pensiero di Dio ».10
A ragione dichiara un testimone: « Si vedeva che il pensiero di
Dio gli occupava 'l'anima; tanto che lo si sarebbe potuto definire
l'uomo della vita interiore anche nel frastuono delle occupazioni
quotidiane ».11
***
Tutto ciò nasceva in don Rinaldi dalla sua fede, robusta, mas-
siccia, viva come l'anima della sua anima. « Fu uomo di altissima
fede - osserva don Azzini - . Ciò che grandemente spiccava in
iui era fa sua fiducia, continua ed assoluta, in Dio ».12
« La fede era la norma di ogni sua attività » 13 - dicono i testi-
moni - . Non agiva e non si lasciava guidare da motivi umani.
Pensando alle sue attività oratoriane Felicina Gastini conferma:
« Dalla fede traeva ispirazione per le iniziative e opere buone che
intraprendeva ».14 Anche don Candela ritiene che solo da « arden-
tissima fede proveniva il grande zelo spiegato in tutta la vita, spe-
cialmente nei lavori per la gloria di Dio e il bene delle anime ».15
A cogliere e ad ammirare la fede del Servo di Dio furono so-
prattutto le figlie spirituali che lo avvicinavano per lumi e consigli.
Suor Graziano così ne parla: « Lo spirito di fede affiorava in tutte
le manifestazioni del cuore e del pensiero di don Rinaldi. Da ogni
cosa prendeva spunto per elevarsi a parlare di Dio ed esortare con
pie riflessioni... Andando da lui per consigli di governo ascoltava
paternamente e dopo aver dato un parere innalzava a pensieri di
spirito. Quantunque breve la sua risposta lasciava l'animo tran-
144

16.5 Page 155

▲back to top
quillo: ne feci l'esperienza molte volte. Al solo trovarmi davanti a
lui mi sentivo rasserenare interiormente e le difficoltà cadevano in
un momento ».16
La fede nel Servo di Dio era alimentata dall'assiduità alla rifles-
sione. « Si notava - osservano i testimoni - dalle parole, dalle
conferenze, dalle stesse improvvisazioni, com'egli fosse un'anima
riflessiva, '1a quale vive di fede. Don Rinaldi non avrebbe potuto
parlare con tanta precisione di dottrina, con linguaggio talora ispi-
rato ove le verità della fede, che gustava e approfondiva nella medi-
tazione, non avessero nutrito il suo spirito ».17
***
Pietà ardente e fede vivissima brillavano in don Rinaldi all'al-
tare e nelle manifestazioni della sua vita eucaristica.
« Nella celebrazione del Santo Sacrificio, cui ebbi la fortuna
di assistere molte volte - dichiara don Azzini - , aveva un con-
tegno angelico... Osservava a puntino le minime cerimonie; non
era breve, ma neppure soverchiamente lungo, sì da riuscire di edifi-
cazione a tutti ».18 « Assistetti molte volte alla messa del Servo di
Dio - conferma Felicina Gastini - : posso dire che la sua devo-
zione dimostrava di quale fede fosse animato. Modesto nello sguar-
do e nel portamento, compassato nei gesti e nei movimenti, lasciava
chiaramente trasparire quanto fosse compreso del mistero che cele-
brava ».19
Anche don Matta di propria scienza attesta Ia precisione di don
Rinaldi all'altare e la sua « pietà edificante ».20 Don Bordas a sua
volta: « Pur senza singolarità - dice - il suo contegno all'altare
dimostrava... quanto fosse profondamente convinto della presenza
reale di Cristo nell'Eucaristia ».21
« La devozione all'Eucaristia - ribadisce don Azzini - il Servo
di Dio l'aveva radicata in cuore.. . Perciò ai sacerdoti raccomandava
di celebrare secondo 'le prescrizioni liturgiche e con fervore di spi-
rito » .22 « Ai penitenti - in particolare - inculcava 'l'amore a
Gesù Sacramentato, ed era fervente apostolo della comunione fre-
quente, quale mezzo di correzione dei difetti e di progresso nella
virtù » .23
Con liturgisti avanzati, specie con il compianto don Eusebio
Vismara, presentì fa necessità che i fedeli partecipassero vivamente
alle celebrazioni liturgiche. « Era lieto - assicura suor Graziano -
aUorché, celebrando per le ragazze neUe camerette di don Bosco,
145

16.6 Page 156

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le sentiva rispondere in coro alle preghiere del sacerdote. Amava
pure la messa dialogata, perché offriva modo di più diretta parte-
cipazione al Sacrificio ».24
Alle Quarantore in Maria Ausiliatrice - rammenta ancora suor
Graziano - lo si vedeva prostrato a lungo in adorazione, così rac-
colto e assorto da non accorgersi quasi di ciò che avveniva all'in-
torno. Anche all'oratorio - prosegue i'informatrice - dava impor-
tanza alle adorazioni che si tenevano per carnevale. Anzi egli stesso
predicava l'ora santa, dando rilievo in particolare alla ripara-
zione » .25 Presiedeva poi le processioni eucaristiche nelle ricorrenze
de'l Corpus Domini e del Sacro Cuore: « e il suo contegno raccolto
e devoto riempiva di ammirazione i presenti » .26
Lo si vedeva pure in solitaria preghiera davanti al Tabernacolo.
« Molte volte - depone Felicina Gastini - 'lo vidi pregare nella
cappella dell'oratorio e in Maria Ausiliatrice. Notai sempre come
egli si ritraesse in qualche angolo per rimanere più raccolto e dare
con maggior Hbertà effusione al suo cotloquio con Dio ».27
***
Devozioni fondamentali del Servo di Dio furono il Sacro Cuore
e Maria Santissima.
Educato alla scuola di don Bosco e di san Francesco di Sales,
don Rinaldi nutrì ardente devozione al Sacro Cuore. Gli anni pas-
sati accanto al Fondatore erano il tempo nel quale il Santo veniva
innalzando in Roma, al Castro Pretorio, il tempio votivo ad onore
del Sacro Cuore. Il fatto aveva destato in Congregazione un vasto
movimento di pietà secondo lo spirito di Paray-le-Monial e gl'inse-
gnamenti della Chiesa. Il Servo di Dio se ne fece eco e portatore,
come di tradizione domestica, la quale interpretava e viveva il senso
cristiano del momento. Anche la sua natura, portata alla bontà e
al perdono, lo incoraggiò a spingersi per quella strada.
Don Rinaldi, giova sottolinearlo una volta ancora - non fu
teologo, ma uomo pratico; perciò non senza motivo don Ricaldone
osserva: « Per lui la devozione al Sacro Cuore era soprattutto devo-
zione eucaristica - orientata cioè verso l'amore di Cristo - ; e la
caldeggiava per questo motivo ».28
Più che ricordare l'impegno messo per riavere la cima del Tibi-
dabo, a Barcellona, dove oggi sorge un monumentale tempio espia-
torio del Sacro Cuore, converrà seguirlo nell'attività oratoriana.
Nel 1908 introdusse la festa del Sacro Cuore con processione
146

16.7 Page 157

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eucaristka per i corridoi e cortili della casa. Nel 1910 « istituì le
prime nove domeniche del mese in onore del Sacro Cuore, con
l'esercizio di buona morte ».'29 Nel 1916 costituì le « Promotrici del
Sacro Cuore », le quali da principio furono un gruppo secreto,
disposto a lavorare « in silenzio, umilmente e di nascosto »,30 come
fermento fra le compagne, e poi divenne stuolo di anime volente-
rose, che si moltiplicarono in altri oratori e città.
Qui bisogna ascoltare suor Graziano che fu in mezzo a quel
lavoro fecondo. Essa conferma che don Rinaldi diede speciale im-
pulso nell'oratorio al culto del Sacro Cuore. « Era persuaso -
dichiara - che solo attraverso un intenso amore al Sacro Cuore si
potesse radicare la pietà nella vita delle ragazze ... Aveva creato
intorno a sé un'accolta di apostole, che si proponessero la diffusione
in famiglia e negli stabilimenti della devozione all'amore di Cristo ».
Perciò ogni settimana le radunava e teneva loro brevi conferen-
zine. « La sua parola, semplice e calda, attesa e apprezzata - si
legge nei processi-, scendeva efficace nell'anima di quelle giovani,
alcune delle quali divennero eroine della devozione al Sacro Cuore ,
che propagavano, senza paure o rispetti umani, nelle fabbriche
della città ».31
Straordinario l'impegno del Servo di Dio anche per la consa-
crazione delle famiglie al Sacro Cuore. Ogni anno invitava le fami-
glie consacrate a due raduni che egli presiedeva . Il convegno prin-
cipale era alla prima domenica di luglio. « Da ogni parte di Torino
- attesta suor Graziano - giungevano a Valdocco padri di fami-
glia: si confessavano e comunicavano, mentre il Servo di Dio gioiva
di quella manifestazione di fede e di amore a Gesù Cristo, re e
centro dei cuori ».32
La devozione al Sacro Cuore aveva nel Servo di Dio uno sfondo
ascetico altamente formativo e grandemente efficace. Lo dice madre
Lazzari: « Raccomandava di foggiare il proprio cuore sul Cuore
stesso di Gesù; ed egli ne era copia fedele ».33 Perciò nel'la guida
delle anime inculcava: « Non dimentichiamo che avvicinarci a Gesù
vuol dire partecipare a tutto queUo che è suo: compresi le umilia-
zioni, l'Orto, le spine, la croce ... Un giorno senza croce potrebbe
essere un giorno perduto ».34
Tenerissima e filiale la devozione di don Rinaldi alla Madonna.
L'aveva imparata in famiglia. In Congregazione 'l'accrebbe sin da
principio, sì che divenne una delle sue caratteristiche. I testimoni
147

16.8 Page 158

▲back to top
lo asseriscono senza incertezze e illustrano il suo zelo per la esten-
sione del culto a Maria Ausiliatrice.
« È noto a tutti in comunità - esordisce don Azzini - come la
devozione alla Madonna fosse tra le caratteristiche del Servo di
Dio. Il suo amore per Lei aveva qualcosa di profondamente inge-
nuo, direi d'infantile, che rivelava la sua fiducia e il suo abbandono
nella Madre di Dio...
Era fedelissimo all'invocazione salesiana: " Maria aiuto dei cri-
stiani, prega per noi ", che aveva continuamente sulle labbra.
Con ardore si studiava di promuovere ìl culto di Maria Ausiliatrice,
in prediche, esortazioni e per iscritto.
Quando parlava della Madonna la parola gli usciva commossa
dal labbro e si accendeva di speciale eloquenza, che faceva fremere
l'uditorio.
Non solo compiva le pratiche prescritte in suo onore, ma ne
faceva altre per conto proprio. Frequentissime le sue visite al san-
tuario di Maria Ausiliatrice, dove si tratteneva in fervente preghiera.
Celebrava e faceva celebrare le festività mariane con solennità
e splendore; soprattutto la festa del 24 maggio, per la quale desi-
derava che nulla fosse risparmiato di quanto poteva concorrere
all'annuale celebrazione della Regina delle Opere Salesiane ».35
Fu il Servo di Dio infatti a volere nel mese di maggio una terza
funzione quotidiana nel Santuario di Valdocco per accrescere e
dilatare il culto della Vergine. Don Azzini conclude: « Il Servo di
Dio fu un vero modello di devozione a Maria Santissima ».36
Non meno esauriente il quadro di suor Graziano: anch'essa
depone che la pietà mariana fu tra le « caratteristiche » di don Ri-
naldi. « Il nome di Maria Ausiliatrice - specifica - gli veniva
spontaneo alle labbra, e l'invocazione alla Madonna risolveva ogni
sua difficoltà e preoccupazione. Egli amava la Madonna con amore
di figlio; ne parlava con accenti così fervidi da suscitare entusiasmo.
Ne celebrava e faceva celebrare le feste con solenità, specialmente
quella dell'Immacolata. Fino agli ultimi anni veniva alle cinque
e trenta per la messa e il fervorino ... Per la festa di Maria Ausilia-
trice si compiaceva di vedere le sue figlie dell'oratorio attorno
all'altare della Madonna, e nel pomeriggio godeva un mondo veden-
dole sfilare in processione tra una fiumana di popolo...
Quantunque dissimulasse la sua pietà, capitava sovente di sor-
prenderlo con la corona in mano... A tutti raccomandava la recita
del rosario... Ed era commovente vederlo pregare davanti al quadro
di Maria Ausiliatrice, nel suo santuario, dove si recava spesso du-
148

16.9 Page 159

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rante la giornata a effondere il suo amore alla Madre di Dio ».37
L'8 dicembre soprattutto viveva l'esultanza delle Figlie di Maria.
Era la festa dell'oratorio, delle iscrizioni e accettazioni delle nuove
aggregate. « Fin quando gli fu possibile - ricorda Felicina Gastini
- venne quel giorno a imporre il nastro alle nuove Figlie di Maria;
e in quella circostanza teneva apposito fervorino e impartiva alla
sera la benedizione eucaristica ».38
***
L'infantilità della devozione mariana di don Rinaldi merita uno
schiarimento. Era si potrebbe dire con paradosso una infantilità
adulta e cosciente. Fin dai tempi della Spagna il Servo di Dio soleva
scrivere su bigliettini le necessità del momento, per poi collocarli
sotto una statuetta di Maria Ausiliatrice che teneva in camera.
Così ne parla don Azzini, al corrente delle abitudini anche più
segrete del Servo di Dio : « Quando aveva difficoltà particolari, con
fiducia ricorreva al patrocinio della Madonna. Scriveva su fogliettini
di carta le grazie di cui aveva bisogno, li deponeva sotto una sta-
tuina che aveva nella sua stanza e attendeva con fiducia ».39
In uno ad esempio diceva: « Senza di Voi non ne indovina una
il vostro in Cristo figlio, Filippo Rinaldi ». In altro scriveva: « Voi
siete il nostro aiuto. La nostra madre. Se vi debbo servire, coman-
datemi; ma guidatemi. Mi basta essere uno strumento nelle vostre
mani, e sempre vostro degno figlio e servo ».40
Dopo la morte di don Rinaldi, don Ricaldone trovò alcuni di
questi biglietti nella camera del Servo di Dio. Il contenuto era
quasi identico: « Vergine Santa vi raccomando N.N. - con nome
e cognome - : fate voi quello che non riesco a fare io ».41
Per concludere. « Visitava - nota ancora don Ricaldone - i
santuari per apprendere novità da introdurre eventualmente in Ma-
ria Ausiliatrice e nelle chiese salesiane ».42 Infatti come prefetto
generale aveva l'incarico de'lla Basilica di Valdocco e se ne occu-
pava con vivo interesse e premura: « Vorrei quasi dire - afferma
don Ricaldone - che in qualche maniera fosse inflessibile, allorché
si trattava di conservare tradizioni messe da don Bosco » .43
Essere devoto di Maria Ausiliatrice come lo era stato don Bosco,
fu una delle sue ardenti aspirazioni, che divenne poi preghiera
allorché il Fondatore fu elevato all'onore degli altari.
* * '~
Notevoli nella vita di don Rinaldi il culto e la venerazione che
egli ebbe per san Giuseppe, san Francesco di Sales e altri santi,
149

16.10 Page 160

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dei quali imitava le virtù. Suor Rosalia Dolza assicura che fin dai
suoi primi incontri con il Servo di Dio - e si era agli inizi della
prefettura di don Rinaldi - , per la bontà e la mitezza essa lo con-
siderò come « un novello san Francesco di Sales ».44
I verbali o resoconti delle Zelatrici di Maria Ausiliatrice sono
ricchi di accenni agiografici, e nell'insieme e nei particolari fasciano-
intravedere la soda spiritualità del Servo di Dio, accresciuta e matu-
rata alla scuola dei santi.
Nessuna elucubrazione ascetico-mistica. Nessun mistero della
fede messo al centro o alla base di costruzioni interiori. Don Rinaldi
non fu né pretese di essere un teorico della vita spirituale. Visse e
insegnò il dono de1'la grazia che si sviluppa e cresce con l'esercizio
della preghiera, la frequenza dei sacramenti, la pratica delle virtù
individuali e sociali, specialmente la carità, fatta bontà e premura
verso tutti.
Dirà da rettor maggiore: « La vera pietà non è di parole, di belle
frasi, di atteggiamenti esteriori, di molte visite in chiesa; la vera
pietà è quella che si nutre di sacrifici e di adempimento del volere
di Dio ».45
Come si vede e come 'le testimonianze processuali dimostrano ,.
don Rinaldi fu un uomo di spirito.
Egli ebbe - e perciò stesso insegnò - una vita interiore sem-
plice e forte insieme. Il temperamento e la tradizione salesiana lo
tennero lontano da estrosità, che potevano spingere fuori strada.
La solida quadratura piemontese di cui era fornito e il non co-
mune buon senso lo aiutarono a camminare per una via piana ma
sicura e ad esercitare, nel mondo delle anime, un magistero collau-
dato dall'esperienza.
Una vita spirituale, in altri termini, quella del Servo di Dio,.
in grado di imprimere un moto vertiginoso al suo apostolato e di
portarlo alla santità.
Note
1 Summ. , 277, 967-968.
' Summ. , 24, 83.
' Summ., 34, 123.
' Summ ., 156, 541.
' Summ. , 198-199, 694 .
' Summ., 324, 1123.
' Summ., 286, 1001.
150
' Summ. , 15-17, 50-55 .
9 Summ., 79-80, 278-281.
10 Summ., 286, 1001.
11 Summ ., 242, 840.
12 Summ., 7, 20.
13 Summ., 324, 1124.
" Summ ., 40, 143.

17 Pages 161-170

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17.1 Page 161

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15 Summ., 175, 606.
16 Summ. , 119, 407-408.
17 Summ. , 177, 611.
" Summ. , 8, 26.
" Summ ., 41 -42, 148-149.
20 Summ. , 326, 1134.
21 Summ ., 72, 253.
22 Summ. , 8, 25.
23 Summ. , 72, 255 .
" Summ. , 124, 424.
" Summ., 125, 426.
26 Summ. , 126, 429.
21 Summ., 46, 166.
28 Summ. , 280, 978.
" Summ. , 37, 132.
°3
·
C ERTA E ., 195 .
31 Summ. , 107, 371.
32 Summ., 107-108, 372-373.
33 Summ., 306, 1074.
34 Summ. , 150, 517.
35 Summ. , 10-11, 33-36.
36 Summ. , 12, 38.
37 Summ ., 128-129, 438-441.
38 Summ., 45, 159.
39 Summ ., 13-14, 33-34.
40 Summ ., 180-181 , 624-625.
41 Summ ., 282, 986 .
42 Summ. , 281-282, 984.
43 Summ. , 279, 975.
44 Summ. , 162, 561.
" Summ. , 242, 842.
151

17.2 Page 162

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16
RELIGIOSO PERFETTO
All'uomo interiore, proteso nel soprannaturale, in don Rinaidi
si unì e si fuse il religioso esemplare, che cerca la perfezione secon-
do il suo stile di vita e gl'impegni assunti con l'emissione dei voti.
Le testimonianze processuali ne dànno ampia e giurata garanzia.
Don Azzini per primo depone: « Il Servo di Dio fu modello di
osservanza dei comandamenti di Dio e della Chiesa, e degli obblighi
del suo stato ».1 Per scienza diretta e riferenza altrui suor Graziano
assicura che nel corso deHa vita, e specialmente al tempo della pre-
fettura, don Rinaldi si rese « modello di virtù sacerdotali e religio-
se ».2 Don Ricaldone, lumeggiando nel Servo di Dio il figlio di don
Bosco non teme di asserire che don Rinaldi fu più che esemplare
ne'll'osservanza « delle costituzioni e tradizioni salesiane » .3
***
Vissuto nel clima deUe origini e a contatto del Fondatore e dei
suoi primi figli, colonne e sostegno della Congregazione, don Rinaldi
capì e approfondì come pochi il valore del carisma salesiano nella
educazione della gioventù e nell'apostolato a vantaggio del popolo,
per rinsa1ldarne la fede e proteggerla dall'insidia della trascuratezza
e dai rischi del male. Suo impegno fin dai tempi di San Giovanni
e della Spagna fu quello di conservare vivo ed operante lo spirito
di don Bosco. Giustamente rileva don Azzini che del Padre e Fon-
datore il Servo di Dio « si studiava di seguire con fedeltà gli esempi
e gl'insegnamenti ».4
Mai che sentisse di mortificare la sua personalità in quest'impe-
gno o che provasse disagio a doversi conformare a uno schema
ideale di vita che non partisse da lui. Divenendo salesiano aveva
accettato in pieno il modello di don Bosco: Dio gliene faceva dono;
152

17.3 Page 163

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da parte sua egli s'impegnava ad attuarlo con slancio e vigore, come
chi sa di essere nel piano della Provvidenza e sulla via della per-
fezione.
Pur se al principio ne ritardò l'esecuzione per incertezze di co-
scienza, don Rinaldi visse la sua vocazione salesiana al di sopra di
ogni altro ideale terreno. Essere salesiano fu la sua condizione di
vita, se proprio non si vuol dire la sua spirituale ambizione, il per-
ché di ogni intrapresa. Le esortazioni e predicazioni, il governo di
giovani e confratelli, le fondazioni e gli orientamenti che impartiva,
le non comuni fatiche nel ventennio della prefettura: tutto in lui
aveva il timbro salesiano di chi guarda e si ispira a don Bosco, e
ne continua ed estende le opere.
Stralciata dall'atmosfera salesiana la figura di don Rinaldi per-
derebbe il suo incanto, mancherebbe della cornice che le dà splen-
dore. Qui è la sua grandezza assai prima che il voto dei confratelli
- che riconoscerà e legittimerà una situazione di fatto - lo innalzi
all'ufficio di Rettor Maggiore della Società con il compito di prose-
guire nella Congregazione 'la presenza e le funzioni del Fondatore.
***
Più avanti si dirà dell'attaccamento di don Rinaldi aHe Costi-
tuzioni o Regole della Società, allorché da Superiore Generale ne
festeggiò il cinquantesimo della definitiva approvazione apostolica.
Ora interessa il modo con il quale egli visse 1a sua consacrazione
a Dio, come frutto di spirito schiettamente religioso, che gli faceva
osservare nella pratica di ogni giorno i consigli e le beatitudini del
Vangelo.
Mille e miUe volte don Rinaldi ebbe modo di parlare dei voti
e delle virtù religiose, in pubblico e in privato. Lo poté fare sempre
a cuor sereno e con singolare efficacia, perché - come si è detto
di insigni personaggi e di santi - egli era 1a virtù che predicava
1a verità.
I testimoni son concordi nel dirlo « angelo di purezza » .5 Il
Servo di Dio - son parole di don Azzini - praticava in modo
esemplare e vivamente inculcava ai confratelli '1a virtù della castità
come quella che il Fondatore prediligeva. In iui tutto era appropria-
to e riservato: lo sguardo, il gesto, il portamento, la paro'la. Trovan-
dosi per lunghi anni a contatto con ragazze, non solo mai si ebbe
a notare da parte sua la minima debolezza, ma tutte furono sem-
pre ammirate della sua condotta improntata a severo riserbo... La
153

17.4 Page 164

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sua presenza eccitava a santi pensieri, tanto angelico era il suo--
aspetto ».6 Anche don Matta afferma che la sola presenza del Servo
di Dio « inculcava negli altri la virtù ,della castità ».7 Don Bordas,
riferendosi al molteplice apostolato del Servo di Dio in campo fem-
minile, assicura: « Conservò sempre H suo prestigio e la fama di
santità per la modestia e purezza che traspariva dal suo atteggia-
mento e dalla sua persona ».8
Felicina Gastini, che trattò a lungo con il Servo di Dio e lo-
seguì nella sua linea di condotta all'oratorio femminile di Valdocco:
« Lo trovai sempre - garantisce - di una ineccepibile correttezza.
Mai una parola che anche lontanamente potesse offuscare l'incanto·
della virtù; il suo sguardo era riservato e modesto; non permetteva
che gli si baciasse la mano ...; si può dire che fosse veramente un
angelo ».9
A sua volta don Ricaldone, ritraendo il Servo di Dio nella vita
di comunità, osserva: « Fu sempre modesto, composto, correttissi-
mo. Non abbiamo mai rilevato in lui qualcosa di meno delicato nel
parlare e nell'agire. Anche trattandosi di scherzi o barzeHette, voleva
che si fosse castigati » .10
Sull'esempio di don Bosco inoltre fu strenuo difensore dell'inno-
cenza del fanciullo. « Le sue raccomandazioni circa l'osservanza
del Sistema Preventivo - informa don Bordas - avevano lo scopo
di conservare l'innocenza dei giovani che non l'avessero perduta,
come pure di evitare il contagio e le ricadute in chi già fosse stato·
vittima del ma'le ».11
La castità del Servo di Dio fiorì sul terreno della mortificazione.
Anche in questo egli fu discepolo attento e devoto del Fondatore
che aveva preannunciato: « Lavoro e temperanza faranno fiorire la
Congregazione ».12
Quanto al lavoro basti 'l'apprezzamento di don Matta: « Consi-
derando il fervore e l'assiduità del lavoro di ufficio e di quello
apostolico, oso dire - egli osserva - che la somma di tali fatiche
costituì per il Servo di Dio il più duro cilicio e la più severa disci-
plina, che lo aiutarono a conservare i'I giglio della castità ».13
Ma ci fu anche lo sforzo costante per dominare la natura e le
passioni dell'animo. La parola di don Ricaldone qui più che altrove
è testimonianza di chi per 'lunghissimi anni fu vicino a'I Servo di Dio
nell 'intimità e nella vita di ogni giorno. « Lo conobbi sempre -
asserisce don Ricaldone - temperante nel mangiare e nel bere, e
154

17.5 Page 165

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modestissimo nel vestito e nella camera. Faceva i digiuni prescritti
e sapeva mortificarsi senza che altri l'avvertissero ». E ancora:
« Praticò la temperanza nel dominare se stesso, nel tacere, nel non
perdere la calma, pur avendo un carattere di monferrino vivace e
vigoroso ».14 « La sua - dice non senza motivo don Azzini - fu
una vita penitente e mortificata ».15
Suor Graziano che lo osservò le cento e cento volte nel suo apo-
stolato femminile è convinta che la castità del Servo di Dio fosse
« frutto di continua vigilanza su di sé e di costante mortificazione
dei sensi ».16 Anch'essa ricorda che abitualmente non si lasciava
baciare le mani, tenendole incrociate sul petto; aggiunge però,
dando rilievo alla bontà dell'uomo: « Quando si trattava di piccoli
e di poveri fasciava fare; e approfittava dell'occasione per dire una
parola, fare una domanda, suggerire un buon pensiero ».17
Secondo don Matta, don Rinaldi « aveva completo dominio di
sé»; 18 e al dire di suor Graziano « era l'equilibrio in persona ».19
***
Si studiò anche di essere un religioso distaccato e povero. In
famiglia non gli era mancato nulla: in Congregazione volle essere
libero da tutto, pure se cariche ed uffici lo misero a contatto col
denaro, che amministrò come depositario vigile e fedele. Informa
don Azzini: « Non era ricercato, nel vestito, nell'arredamento della
camera e dell'ufficio; intorno alla sua persona tutto era intonato
alla povertà di un ottimo religioso ».20
Quando le sue figlie con delicatezza femminile volevano fargli
omaggio d'indumenti personali: « No, no - rispondeva - : non
ho bisogno di nulla ; mi basta quanto provvede la comunità ».21
« Paternamente generoso con g'li altri - annota don Bordas, che ne
fece l'esperienza, - era stretto con se stesso. Per molti anni ebbe
camera ed ufficio - continua don Bordas - all'ultimo piano e
nelle soffitte costruite da don Bosco, senza comodità di riscalda-
mento, d'acqua corrente, di suppellettili ».22 « Quando, dopo la sua
morte, entrai nella cameretta che aveva abitato - completa don
Ricaldone - rimasi edificato della estrema povertà in cui era vis-
suto... Più del semplice voto egli praticò 'la povertà come virtù, eser-
citandosi nella mortificazione e nel distacco ».23 Don Matta arriva
a dire che don Rinaldi diede prova di avere e praticare « uno spi-
rito di francescana puvertà ».24
Nel governo economico della Congregazione - si è già avuto
occasione ·di sottolinearlo - fu esatto sino a'llo scrupolo. « Da pre-
155

17.6 Page 166

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fetto generale - dicono i processi - don Rinaldi si mostrò ottimo
e oculato amministratore »,25 sollecito nella tenuta dei conti e rispet-
toso dei diritti altrui. Tra l'altro - attesta don Bordas - « pose
mano ad organizzare l'amministrazione di tutte le case salesiane »,26
attenendosi strettamente ai criteri di don Bosco. Il Santo aveva sta-
bilito che la Congregazione non conservasse proprietà a titolo reddi-
tizio: « su questo assicura don Ricaldone - il Servo di Dio fu
intransigente ».27 Anche nelle costruzioni, salvo le esigenze igienico-
pedagogiche, voleva escluso « ogni particolare che sapesse di lusso
o ricercatezza » .28
Prima che nelle opere e nella condotta privata e pubblica biso-
gna riconoscere che la povertà il Servo di Dio la portava nel cuore.
L'aveva attinta all'insegnamento e agli esempi del Salvatore.
***
Pur se lungamente preposto agli altri don Rinaldi visse con fede
eroica l'ubbidienza, come dono a Dio della propria volontà e libertà.
« La sua vocazione ed elevazione al sacerdozio - osserva giusta-
mente don Bordas - furono effetto di totale obbedienza a don Bo-
sco, che si era scelto come padre e guida dell'anima » .29 Le Regole e
le tradizioni di famiglia costituirono la sua norma di vita. Accettò
cariche sempre più elevate e impegnative solo perché tale era l'ob-
bedienza che gli indicava il volere di Dio.
« Da prefetto generale - si legge nei processi - sottometteva
ogni iniziativa al Rettor Maggiore al quale ogni mese faceva il suo
rendiconto »,'!il come l'ultimo confratello della Congregazione. Suor
Graziano, al corrente per motivo di apostolato in comune, dichiara
che il Servo di Dio fu « di una sottomissione ammirabi'le. Il pen-
siero del Rettor Maggiore - di don Albera cioè, come già si è
ricordato, - diveniva il suo pensiero, e lo traduceva in atto con
assoluta buona volontà, se pure talora con sacrificio ».31 Anche nell'
apostolato - in altri termini - senza mai sacrificare il suo dovere
- don Rinaldi volle essere e fu figlio di obbedienza.
***
Dall'obbedienza all'umi'ltà il passaggio è facile e doveroso. Qua
e là si è visto come don Rinaldi non coltivasse ambizioni o desideri
di preminenza. Le cariche lo inseguirono senza che egli ne andasse
mai alla ricerca: si deve dire al contrario che gli facevano paura,
se ne reputava indegno, e vo'lentieri le avrebbe lasciate ad altri.
Aveva innato il senso deHa modestia, del riserbo, del nascondi-
156

17.7 Page 167

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mento. Fare, fu l'esigenza della sua vita apostolica, sin dai primis-
simi tempi del sacerdozio; l'aspirazione cocente del suo infrenabile
e multiforme zelo. Ma volle sempre agire come chi resta in disparte;
senza farsi vedere o sentire; senza procurare lodi o stima alla sua
persona. Egli vedeva e s'accorgeva che le sue azioni per lo più erano
coronate da successo; ma fin dove gli era possibile non le lasciava
trasparire, non se ne vantava, evitava persino di parlarne. Di molte
cose che lo riguardavano si seppe solo dopo la sua morte; e di
alcune solo ai processi per la Causa di Beatificazione.
Don Rina'ldi amò l'ombra e il nascondimento. Chi lo conobbe da
vicino asserì: « La pratica dell'umiltà nel Servo di Dio proveniva
dalla sua volontà permanente di considerarsi piccolo, di non metter-
si in evidenza e tanto meno di sovrastare su gli altri. Accettò le più
a1te cariche della Congregazione, ma avrebbe desiderato e gradito
un posticino all'ombra di un noviziato ».32
Don Azzini, che per un trentennio lo avvicinò quasi quotidia-
namente, riferisce: « Non ambì mai onori e non cercò mai di farsi
valere. Era tanto umile e modesto che chi non l'avesse personal-
mente conosciuto, lo poteva considerare l'ultimo sacerdote della
Congregazione ».33
La sua prontezza nel far passo agli altri brillò di vivissima edifi-
cante luce nella scelta del successore di don Rua. Molti - come
si è accennato - pensavano che il governo della Congregazione
dovesse ricadere sulle sue spalle; ma don Rinaldi sapeva di non
essere il prescelto, e non mosse un dito per cambiare H corso degli
avvenimenti. Al contrario, immise con gioia don Albera nel possesso
dell'alta carica e per primo gli rese devoto filiale omaggio. Per lui
il secondo posto in Congregazione era anche troppo.
L'umiltà - osserva però don Ricaldone - « era intesa retta-
mente dal Servo di Dio », e non gl'impedì mai di tenere « con de-
coro » gli uffici che « gli vennero affidati come direttore, ispettore,
prefetto generale, rettor maggiore ».34 E spiega: « Lo abbiamo sem-
pre visto, umile nel portamento, nel parlare, nell'agire.. . Aveva
basso concetto di sé e non parlava mai della sua persona... La sua
umiltà inoltre si rivestiva di bontà e dolcezza.. . Dal modo di ope-
rare si capiva che riteneva di essere il servo di tutti ».35
Anche don Bordas e don Azzini dicono: « Non assumeva mai
portamento solenne o tono autoritario; era ... affabile con tutti e
volentieri si tratteneva coi più umili confratelli coadiutori»; 36
« Nella sua mansione di superiore... trattava tutti con squisita bontà,
per cui dai dipendenti era avvicinato con fiducia ».37
157

17.8 Page 168

▲back to top
In definitiva, se si volesse concludere fermandoci al 1922 - al
tempo cioè della prefettura -, don Rinaldi non è uomo di pura
amministrazione o di semplice governo burocratico; e neppure di
straordinaria e instancabile attività pastorale.
AUa vigilia di essere eletto Rettor Maggiore dei Salesiani egli è
uomo di autentica vita interiore e di perfetta osservanza. Un santo
nel genuino senso della parola, pur se cerca di nasconderlo e non
tutti se ne accorgono . È viola profumatissima nell'aiuola di Val-
docco, fiorita al'l'ombra di Maria Ausiliatrice nell'operosità e nel
silenzio.
Non sarà quindi la suprema carica della Congregazione a dar
lustro e consistenza a'lle sue virtù. Non la carica farà il santo , pur
se lo lascerà meglio intravedere, e gli offrirà più vasto campo di
spirituale attività.
Ne1 delineare perciò il mondo interiore di don Rinaldi si son
prescelti quasi sempre testimoni de'l tempo in cui il Servo di Dio
non era ancora al vertice della vita salesiana. Il ventennio della
prefettura è Io specchio tersissimo della sua perfezione, provata e
matura in tutti i campi dello spirito. L'età d'oro, si potrebbe quasi
dire, delle sue virtù.
Più che per l'ufficio ricoperto in quegli anni, egli splende agli
occhi di chi 1o incontra per il fascino che emana dal suo modo di
vivere. Tutto è semplice in lui, cristallino come acqua di vena
sorgiva . Non è figura complicata, enigma indecifrabile. Da parte
sua non richiama 1l'attenzione degli a'ltri, ma si lascia conoscere per
quello che è: un esemplare di vita secondo lo spirito di don Bosco.
Dio sta in cima ai suoi pensieri, e non accarezza a'ltri desideri fuori
della sua gloria.
A que'l momento don Rinaldi non era più giovane. Da un pezzo
aveva superato i sessant'anni e si avviava alla senilità. Gli rimane-
vano però energie fisiche e spirituali per una intensa pagina di vita
e anche di gloria terrena; ma soprattutto di servizio alla Chiesa e
alle anime, neHo spirito e sulla scia di don Bosco, che sapiente-
mente avrebbe incarnato nell'u'ltimo scarso decennio dell'esistenza.
Si vuol dire con tutto questo che la santità di don Rinaldi non
è accresciuta ma solo testimoniata a partire dal 1922, che lo vide
158

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rettor maggiore della Società Salesiana. La luce terrena che lo
accompagna e fa alone alfa sua persona nell'ultimo tratto del cam-
mino, integrando la sua figura storica, non può far pensare a infa-
tuazione del momento e a moti subitanei e occasionali di venera-
zione. Tra le pieghe del passato c'era il segreto di una santità vigo-
rosa e lungamente vissuta, la quale da allora prese a manifestarsi
come sole al meriggio, o se piace come lucerna posta sul lucerniere
a far luce « a tutti quelli che sono nella casa » (Mt 5,15) .
N ot e
' Sum m., 7, 19.
2 Summ ., 118, 405 .
' Summ ., 277, 967.
' Summ ., 12, 39.
' Summ ., 344, 1187.
' Summ., 22, 77.
7 Somm., 344, 1187.
' Summ., 90, 317.
' Summ ., 50, 180.
" Summ ., 292, 1027.
11 Summ. , 90, 317 .
12 Summ., 89, 312 .
13 Summ ., 345 , 1188.
" Summ. , 291 , 1023-1024.
" Summ. , 21 , 72 .
" Summ., 151 , 521.
17 Summ., 152, 522 .
" Summ ., 343 , 1182.
" Summ. , 148, 512 .
20 Summ ., 22, 79 .
21 Summ., 51, 181.
22 Summ., 91 , 322.
23 Summ., 292, 1028.
" Summ., 345, 1190.
25 Summ ., 188, 656.
26 Summ ., 87, 306.
27 Summ ., 272, 948.
28 Summ ., 92, 323.
29 Summ ., 92, 325 .
30 Summ. , 93 , 326.
31 Summ ., 154, 532 .
32 Summ., 155, 534.
33 Summ ., 23 , 82 .
" Summ., 293 , 1033 .
35 Summ ., 293, 1032-1033 .
36 Summ ., 93 , 329.
37 Summ ., 23-24, 82 .
159

17.10 Page 170

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17
RETTOR MAGGIORE
All'alba del 29 ottobre 1921, quasi improvvisamente, cessava di
vivere il rettor maggiore don A'lbera, che aveva governato la Con-
gregazione per oltre undici anni, con il valido appoggio e contri-
buto del prefetto generale don Rinaldi.
Per la seconda volta il Servo di Dio si trovò sulle braccia il
peso della Famiglia Sa'lesiana e la preparazione del Capitolo Gene-
rele, in programma, a norma delle Costituzioni, per il 1922; tanto
più che quello intermedio del 1916 non si era potuto convocare a
motivo della guerra.
Don Rinaldi fu nuovamente all'altezza del compito e delle
responsabilità che le circostanze gli addossavano.
Provvide alle onoranze funebri di don Albera e ne tratteggiò la
figura in lettera necrologica alla Congregazione. Elogiata la singo-
iare pietà dello Scomparso, chiudeva con un pensiero che accostava
i due Superiori, dei quali era stato l'umile grande collaboratore e
ne scolpiva la figura per la storia salesiana: « Don Rua e don Albera
- scriveva con autorità don Rinaldi - non devono essere consi-
derati semplici successori di don Bosco, ma continuatori della sua
vita: questa in loro prosegue, si svolge e arriva al suo compi-
mento ».1
***
A integrare la vita del Fondatore doveva concorrere anche il
Servo di Dio. Egli non lo presumeva, ma era nei disegni del cielo.
Le difficoltà pratiche e procedurali del momento non furono
lievi. Don Rinaldi le affrontò e risolse con animo pacato e sereno.
Ebbe udienza anche da Benedetto XV, al quale riferì circa i lavori
del prossimo Capitdlo, che avrebbe dovuto adeguare le Costituzioni
al nuovo Codice di Diritto Canonico promulgato nel 1917.
160

18 Pages 171-180

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18.1 Page 171

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L'ordinaria amministrazione della Società trovò nel Servo di Dio
un uomo esperto e capace, in grado di risolvere problemi che si
presentavano senza ammettere dilazione. Nessuno si lagnò dell'uso
che egli fece delle facoltà interinali messe neHe sue mani.
***
Due fatti meritano rilievo. La convocazione innanzi tutto del
Capitolo Generale per il 23 aprile 1922, non però nella tradizionale
sede di Va'lsalice, vicino alfa tomba di don Bosco, ma nella casa
madre di Va:ldocco, « a noi non meno cara - osservava don Ri-
naldi - , in quanto culla dell'amata Congregazione, all'ombra del
santuario di Maria Ausiliatrice ».2
ll secondo fatto è la risoluzione presa in Consiglio di avviare i
processi Informativi per la Causa di don Rua. L'idea veniva dal
1915, ma al Servo di Dio parve che il momento giusto fosse i'1 Capi-
tolo del dopoguerra. Difatti ii 2 maggio 1922 il cardinale arcive-
scovo di Torino costituiva i'l Tribunale per le indagini canoniche.
A quel momento don Rinaldi era già insediato Rettor Maggiore,
al posto di don Albera.
***
L'elezione avvenne il mattino del 24 aprile, primo giorno del
mese di Maria Ausiliatrice.
Don Ricaldone racconta che il 23, facendo quattro passi con
don Rinaldi, questi, « volendo quasi svalutare fa sua imminente ele-
zione», ebbe a dirgli: « Cosa vuoi! Puntano proprio sui nostri due
nomi. Il Signore ne scampi! ». Commenta don Ricaldone: « Io sor-
risi, e gli dissi che ero tranqui'llo; e avrei desiderato la stessa tran-
quillità per 'lui ».3
Nella sua umiltà il Servo di Dio aveva preparato una dichiara-
zione da leggere in aula dopo l'eiezione dd nuovo Rettor Maggiore.
In essa pregava di lasciarlo in disparte e di scegliere un prefetto
generale « giovane », secondo i bisogni della Congregazione.4
Ma non ebbe modo di leggerla perché al primo scrutinio 50
dei 64 voti andarono al suo nome. Don Luigi Piscetta, regolatore
del Capitolo - racconta ancora don Ricaldone - « lo interrogò se
accettava la carica. Don Rinaldi aveva nascosto H viso tra 1e mani
e stette così alcuni istanti, che a noi parvero eterni. Poi commosso
rispose: " Questa elezione è una confusione per me e per voi. La
Madonna vuol farci capire che è solo Lei a operare fra noi. Pregate
161

18.2 Page 172

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perché io non guasti ciò che hanno fatto don Bosco e suoi suc-
cessori " ».5
***
Chi scrive, presente all'Oratorio di Valdocco, rammenta che
l'elezione avvenne nello studio deHa sezione studenti. Nei piani
sottostanti gli alunni erano in classe. A un certo momento dal cor-
tile attiguo squiHò la banda musicale degli artigiani , pronta a salu-
tare con note festose l'avvenimento.
Indicibile l'entusiasmo di giovani e confratelli allorché l'alta e
sorridente figura di don Rinaldi apparve fra loro, confusa in mezzo
a ispettori e delegati capitolari. L'ispettore detl'Uruguay, nel tu-
multo della fol'la giovanile che prendeva d'assalto i'l nuovo Rettor
Maggiore, ebbe la felice idea di lanciare una forte acclamazione:
Viva don Bosco Quarto! Fu un delirio con esplosione di esultanza,
che si placò solo al momento di entrare nella basilica di Maria
Ausiliatrice, dove tutti si erano diretti per il Te Deum di ringrazia-
mento .
Ai piedi della Vergine, prima d'impartire la Benedizione Eucari-
stica, ,don Rinaldi si raccolse in preghiera, come nei momenti più
solenni della sua vita. Così ne parla egli stesso un mese dopo nella
prima circolare alla Congregazione: « Quando il 24 del'lo scorso
aprile, accompagnato da ispettori e delegati, e attorniato da confra-
telli e giovani dell'Oratorio mi prostrai commosso dinanzi alla
taumaturga immagine della nostra Ausiliatrice, nel suo santuario,
sentii in cuor mio che tutti in quell'istante essa mi dava come figli
carissimi in Gesù Cristo, e che non dovevo più vivere se non per
voi. La paternità - si domandava divinando il sentiero che inten-
deva percorrere - non chiede forse completa immolazione per i
figli? ».6
Perciò aveva esordito col vocativo: « Miei carissimi figli in
Gesù Cristo », aggiungendo: « B la prima volta che vi scrivo come
rettor maggiore, e mi sarebbe caro potervi manifestare in tutta la
loro pienezza i sentimenti e gli affetti che la nuova grande respon-
sabilità ha suscitato in me durante questi giorni memorandi » . Non
essendogli possibile, perché nella vita accadono talora avvenimenti
« che 1le parole non riescono ad esprimere e a colorire » come si
vorrebbe, fasciava alla bontà di tutti i Salesiani l'interpretarli: « Ve
ne formerete - diceva - un concetto più esatto di quello che
potrei darvi io con le mie povere parole ».7
162

18.3 Page 173

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In quel primo scritto, riferendosi al Capitolo Generale chiuso
da qualche settimana, don Rinaldi fa una osservazione, che per lui
è « una grande meraviglia ». Lo spirito del Padre, che da 80 anni
si era diffuso nel mondo proprio da Valdocco, nei giorni de'1 Capi-
tolo : « È rifluito - scrive - genuino, copioso, pieno di vita,
alla primitiva sorgente, per ritemprare il suo vigore, adattarlo ai
bisogni della società d'oggi, e rinnovarsi alla culla delle tradi-
zioni paterne, dove don Bosco visse e tuttora vive » .8
Nulla aveva dato tanta gioia al cuore di don Rinaldi come
l'affermazione di Capitolari, che rituffati nell'atmosfera di Valdocco
durante il mese di maggio, esclamavano pieni di ammirazione :
« Qui si respira ancora don Bosco! » .9
***
Si vorrà sapere a questo punto se vi fossero predizioni del Santo
circa H suo terzo successore. Fin dal 1890 - dai primi tempi cioè
deUa Spagna - don Bonetti, antico direttore di Mirabella, aveva
confidato a don Giovanni Rinaldi, fratello del Servo di Dio, che
don Bosco, in circostanze non precisate era stato esplicito intorno
all'avvenire della Congregazione: dopo di lui si sarebbero succe-
duti al governo don Rua, don A,lbera, don Rina'idi. Ciò spiegherebbe
e giustificherebbe in larga misura la predilezione del Fondatore
per chi ne'l 1922 - come si è visto - diventava padre più che
superiore della grande Famiglia Salesiana.
Don Giovanni Rinaldi tenne scrupolosamente il segreto per
32 anni e lo svelò solo « il 26 aprile »,10 due giorni dopo l'avvenuta
elezione, che tornava di onore anche alfa famiglia e al paese di Lu
Monferrato.
Per i'l Servo di Dio fu certamente un conforto sapere che don
Bosco l'aveva intravisto nel'la 'linea di don Rua e don Albera e lo
animò ad affrontare con animo intrepido e sereno la sua missione.
***
I favori capitolari durarono fino al 9 maggio: don Rinaldi li
diresse e presiedette con autorità e chiaroveggenza di problemi che
aprivano un'era nuova alla Congregazione avviata a straordinario
sviluppo. Nel discorso di chiusura disse: « Uno solo è il mio pro-
posito: arrivare al cuore dei confratel'li per far del bene a tutti » .
Riprendendo un pensiero già espresso in altra circostanza, e che
avrebbe rinnovato poi nella prima circolare del 24 maggio, con-
163

18.4 Page 174

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eluse: « Con Ia osservanza di don Rua e la pietà di don Albera
noi manterremo intatto lo spirito del Fondatore e meriteremo le
benedizioni di Dio. Maria Ausiliatrice vi benedica e ci aiuti a man-
tenere i propositi del Capitolo ».11
Don Giuseppe Vespignani, eletto Consigliere Professionale della
Congregazione scriveva in Argentina nell'ottobre del 1922: « Il
Rettor Maggiore è degno successore di don Bosco... Io che lo vedo,
lo ascolto, lo studio tutti i giorni neHe sedute consiliari, sono inti-
mamente convinto che è la persona della quale ha bisogno la Con-
gregazione in questi tempi. È un regalo del Sacro Cuore e di Maria
Ausiliatrice ».12
***
Due fatti meritano particolare menzione agli esordi de'l rettorato
di don Rinaldi: l'indulgenza del lavoro santificato e un geniale im-
pulso alle vocazioni missionarie.
Nel febbraio del 1922 a Benedetto XV era successo Pio XI,
che più tardi la Congregazione acclamò come il Papa di don Bosco.
Subito dopo '1a proclamazione, nell'umile veste di superiore interi-
na1e, don Rinaldi avvertì i1 bisogno di rendergli omaggio e d'implo-
rarne l'Apostolica Benedizione.
In udienza fu ricevuto da Rettor Maggiore il 6 giugno di quell'
anno. Era la prima volta che Achille Ratti e Filippo Rinaldi s'in-
contravano. Il Papa tuttavia aveva conosciuto don Bosco a Valdocco
molti anni prima e ne conservava indelebile memoria, di santo più
che di uomo apostolico.
L'affabilità del Pontefice, che riandò i lontani ricordi della sua
sacerdotale giovinezza, mise subito don Rinaldi a suo agio e favorì
il susseguirsi di argomenti predisposti allo straordinario incontro.
Fedele agli insegnamenti del Fondatore, il Servo di Dio confermò
a Pio XI l'attaccamento della Congregazione alla Cattedra di Pietro,
e '1a disponibilità a ogni desiderio del Papa. Don Ricaldone dirà che
don Rinaldi fu « veramente romano, per l'amore e la difesa del
Papa, e 'la cordiale sottomissione a ogni sua direttiva ».13
Fin da quel primo contatto si creò tra il grande papa lombardo
e l'umile sacerdote piemontese un rapporto di speciale benevolenza,
che permise al Pontefice di confidare a don Rinaldi i suoi disegni
di restaurazione cristiana del mondo, e al Servo di Dio di avanzare
suppliche e richieste, fra cui la sollecita glorificazione di don Bosco,
per un rilancio spirituale de1la Congregazione.
164

18.5 Page 175

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***
La prima supplica per un programma di arricchimento interiore
di Confratelli e Figlie di Maria Ausiliatrice, don Rinaldi osava pre-
sentarla al termine dell'udienza.
I religiosi e le religiose di vita contemplativa - disse al Papa -
hanno ore ed ore di preghiera. « Noi invece per vocazione favoriamo
tutto ìl giorno. l'l nostro motto è Lavoro e Preghiera ».14 Non era
quindi il caso d'impreziosire il lavoro salesiano con speciali indul-
genze, onde favorire la vita interiore e la santificazione di tanti
operai della vigna?
La richiesta che don Rinaldi teneva in mano era così architet-
tata: quattrocento giorni di indulgenza per ogni volta che un Sale-
siano o una Figlia di Maria Ausiliatrice offrisse a Dio lavoro od
occupazione, sia pure con semplice aspirazione interiore; e una
indulgenza plenaria quotidiana per chi, anche una sola volta nella
giornata, avesse offerto a Dio le attività esteriori, indirizzandole
alla sua gloria.15
Il Papa si mostrò largo e ben disposto. « Lavoro e preghiera
- osservò - sono una cosa sola. Il lavoro è preghiera... Lavoro
e preghiera sono inseparabili ... Prima però la preghiera.. . Perché
l'operosità sia fruttuosa deve essere indirizzata a Dio ». Prendendo
quindi il foglio che il Servo di Dio modestamente gli porgeva, di
suo pugno appose la formula di rito, alla quale si legava la grazia.16
***
Fu questo l'inatteso regalo che don Rinaldi all'inizio del suo
rettorato offrì a Salesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice, Allievi,
Ex-allievi e Cooperatori per l'arricchimento de'lla loro vita spirituale.
Ai confratelli il 24 giugno diceva, manifestando le finalità della
richiesta: « Non occorre certo, miei carissimi figli, ch'io insista nel
rilevare l'importanza e l'estensione del favore accordatoci tanto
volentieri dal Papa: non posso tacervi però quanto gli stia a cuore
la nostra santificazione. Siamo chiamati dal Signore - insisteva
don Rinaldi - a far parte della Congregazione per santificarci:
questo è il fine primario della professione religiosa; tutto il resto
ha ragione di mezzo. Le opere più grandiose e degne di encomio
perdono valore, se non ile facciamo per la nostra santificazione ».17
Della speciale benedizione che Pio XI gl'impartì in quel primo
incontro il Servo di Dio scrisse: « Ogni mia speranza è in Maria
Ausiliatrice e nell'efficacia di questa benedizione del Vicario di Cri-
165

18.6 Page 176

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sto ». Perciò esortava: « Preghiamo per il Papa in tutte le nostre
case; amiamo'lo e facciamolo amare dai giovani, che sono la pupilla
dei suoi occhi ».18
* **
Il secondo fatto che a molti passò inosservato nelle prime setti-
mane di don Rinaldi, nuovo rettor maggiore dei Salesiani, è l'im-
pulso geniale che egli diede alle vocazioni missionarie dei giovani,
così caldamente ricordati nella circolare del 24 giugno.
L'Oratorio del 1922 era un campo rigoglioso di magnifiche spe-
ranze. La presenza e il passaggio di missionari, l'arrivo e la par-
tenza di vescovi per paesi •lontani - si potrebbero ricordare mons.
Comin, mons. Versiglia, mons. Agui'lera, mons. Piani - , l'annuale
spedizione di operai evangelici in Maria Ausiliatrice, e mille altre
circostanze alimentavano e stimolavano il desiderio di consacrarsi a
Dio in terra di missione.
Se ne accorsero ispettori e delegati venuti al Capitolo Generale,
alcuni dei quali si diedero attorno per mietere tra i più volenterosi.
Tra gli altri don Luigi Pedemonte, ispettore della Patagonia e
Terra del Fuoco. In breve tempo egli riuscì a mettere insieme una
trentina di giovani pronti a seguirlo sul campo della prima missione
salesiana in Argentina. Erano studenti, artigiani, oratoriani e qual-
che esterno di associazioni cattoliche. Né mancarono rappresen-
tanti della casa professionale di San Benigno Canavese. Un vero
piccolo esercito di missionari in erba. Il cammino sarebbe stato
lungo, ma '1a formazione sul campo del lavoro avrebbe dato vantag-
gi incalcolabili.
Informato di quanto accadeva, don Rinaldi - mentre qualcuno
tentennava il capo o parlava d'imprudenza - diede la sua approva-
zione. Si chiarivano sempre più alla sua mente le profetiche parole
di don Bosco: Tu starai qui a mandare gli altri.
La mattina della domenica 9 luglio, con don Pedemonte e don
Pietro Savani il primo scaglione lasciava l'Oratorio diretto al porto
di Genova. La comitiva era sul treno a Porta Nuova quando corre
la voce: « Don Rinaldi! Viene don Rinaldi! » .
H buon Padre era a salutare e benedire i suoi piccoli missio-
nari, come don Bosco aveva salutato don Cagliero e compagni nel
1875 al momento d'intraprendere il viaggio verso l'America.
La commozione fu grande. Il Servo di Dio distribuì ai partenti
una corona del Rosario e li incoraggiò alla perseveranza.
Nell'estate a qualche ritardatario, che non aveva potuto imbar-
166

18.7 Page 177

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cars1 m luglio, don Rinaldi benedì privatamente, nelle camerette
di don Bosco, il crocifisso, confermando che l'idea delle vocazioni
missionarie giovanili aveva il suo plauso e gradimento, e tutto il
suo appoggio.
Si era festeggiato in quei mesi all'Oratorio il sessantesimo di
sacerdozio del cardinale Cagliero, capo e guida della prima spedi-
zione missionaria. Don Rinaldi che aveva con fine intuito colto a
volo i segni dei tempi per l'avvenire delle Missioni Salesiane, gli
offrì la prima casa missionaria che si inaugurò ad Ivrea nell'autunno
di quell'anno e che s'intitolò « Istituto Missionario Cardinale Ca-
gliero ».
Idealmente la casa era nata all'Oratorio nel clima di entusiasmo
salesiano favorito dal Capitolo Generale che aveva eletto don Ri-
naldi a successore di don Bosco.
E nessuno si meraviglierà se quella casa, che divenne semenzaio
di vocazioni missionarie, fu la casa del cuore del Servo di Dio
durante l'ultimo decennio della sua vita.
Note
1 CER!A E., 261.
2 CERTA E., 262.
3 Summ. , 272-273 , 950.
4 CERIA E., 270.
5 Summ ., 289, 1014.
' Atti, 2-3 .
' Atti, 3.
' Atti, 5.
' Atti, 5.
10 CERIA E ., 276.
11 CERIA E., 281.
12 CERIA E ., 282.
13 Summ. , 281, 983 .
14 Summ., 286, 964.
15 Atti, 16-17.
" Atti, 17.
11 Atti, 18.
" Atti, 20.
167

18.8 Page 178

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18.9 Page 179

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Parte terza
SUCCESSORE
DI DON BOSCO
Al timone del governo
Zelo missionario
Viaggi opere insegnamenti
Per le Figlie di Maria Ausi'liatrice
Beatificazione di don Bosco
Paternità 1senza limiti
Ultimi bagliori ,di salesianità
Morte repentina

18.10 Page 180

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19 Pages 181-190

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18
AL TIMONE DEL GOVERNO
Dal 1922 al 1931, per quasi un decennio, il Servo di Dio fu al
timone ddla Società Salesiana, che lo ebbe superiore e padre, e in
lui ravvisò una delle più luminose incarnazioni del Fondatore.
Nulla di cambiato nella sua persona. Lo stesso don Rinaldi dei
lunghi anni della prefettura: umile, semplice, acoostevole. Se mai il
cuore più largo e comprensivo per la sacra eredità di cui era depo-
sitario.
« La prima volta che l'incontrai dopo l'elezione - racconta il
fedele don Azzini - non senza trepidazione mi disse: " Vedi che
cosa mi hanno fatto! ". E aggiunse, come scherzando: " Tu continui
nel tuo ufficio: io passo nell'altro " ».1
Quel passaggio di stanze, modesto e dimesso, comportava per il
Servo di Dio una nuova impellente missione : « Conservare ed ap-
plicare » nella sua integrità lo spirito del Fondatore e della Fonda-
zione.2 Calza qui un giudizio dell'ex-allievo giornalista Luigi Miche-
lotti , il quale conobbe don Rinaldi nel 1903, ne ammirò in Spagna e
Portogallo le opere, e gli fu di valevole aiuto negli anni di Torino.
Senza aver conosciuto don Bosco direttamente egli non dubita di
accostare il Servo di Dio al Fondatore per un fatto: « la coscienza
- dichiara - che don Rinaldi ebbe della sua missione ».3
Una coscienza chiara e precisa del compito che la Provvi,denza
gli affidava: quello di studiare e di aderire agli insegnamenti, alle
tradizioni, agli esempi di don Bosco. In questo don Rinaldi emulò
e forse per il suo temperamento attivo sorpassò don Rua, che pur~
era stato tra i confondatori della Congregazione.
La sua missione il Servo di Dio l'aveva intravista nel 1901, al
rimetter piede nell'Oratorio come Prefetto Generale; ma la sentì
gravare sulle spalle nel 1922 dopo la elezione a Rettor Maggiore.
Ad essa dedicò il suo ingegno pratico, la sua azione vigile e costan-
171

19.2 Page 182

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te, la sua connaturale e tenace intraprendenza. Si può dire che da
allora don Rinaldi visse ed operò solo per le persone e le istituzioni
che Dio metteva nelle sue mani.
***
« Il suo rettorato - osserva don Ricaldone che gli successe
nell'alto ufficio - fu tranquillo; non funestato da guerre. E vero:
ebbe tempi di salute cagionevole, ma riuscì a compiere un bene
straordinario ».4
La vista gli si era indebolita, pur se gli permise fin quasi alh
fine di leggere il breviario e di stare lungamente a tavolino con pen-
na e corrispondenze fra le mani. Anzi, riferendosi in particolare
agli anni del rettorato, don Ricaldone attesta: « Leggeva libri di
pietà ; li meditava e assimilava, e la sua conversazione faceva ca-
pire quanto si tenesse unito con Dio... Anche da rettor maggiore
per solito celebrava alle 4,30, per poi prendere parte alla medita-
zione delle 5 insieme con la comunità della casa madre ».5
Prima di essere il superiore generale don Rinaldi voleva essere
il confratello osservante, c he dà spazio alla preghiera e trova in Dio
la forza per le fatiche della giornata.
Da rettor maggiore lasciò il confessionale che aveva tenuto per
due decenni in Maria Ausiliatrice. Fu senza dubbio un taglio dolo-
roso, ma lo accettò, comprendendo che la sua vita ormai era con-
sacrata in diversa maniera alle anime. In qualche misura supplì.
con le udienze, alle quali erano ammesse anche persone a lui le-
gate da vincoli spirituali. Anche allora non tutti capirono la sua
linea di condotta: ma non era facile al Servo di Dio rinnegare una
paternità, che aveva profonde radici nel suo cuore.
Lasciò evidentemente la direzione dell'oratorio femminile, al
quale aveva dato - sintetizza suor Graziano - « generosa e me-
ravigliosa attività ». Continuò tuttavia a guidarlo per interposta
persona: per mezzo cioè di don Gusmano, segretario del Consiglio,
che da lui riceveva direttive e a lui porgeva ragguagli e informa-
zioni.6
Non tralasciò per altro d'intervenire a feste e ricorrenze straor-
dinarie e di presentarsi, come già si è accennato, a ricevere ta-
lora in udienza le giovani più alte che avessero bisogno di par-
largli.
Seguì in particolare le Zelatrici, che gli appartenevano di dirit-
to; si mantenne al ,corrente dei loro pur modesti sviluppi, e con
172

19.3 Page 183

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gioia partecipava alle professioni e rinnovazioni dei voti, rivolgendo
sempre parole incoraggianti e illuminatrici.
***
Il mondo del quale il Servo di Dio prese ad occuparsi con im-
pegno e zelo di padre e guida fu, com'è evidente, il mondo della
Società Salesiana, che dopo la stasi della guerra accennava a incon-
tenibile rigoglio, in Italia e in alcuni paesi del mondo.
Anticipando il quadro che andremo abbozzando, don Ricaldone
afferma che, fatto rettor maggiore, don Rina'ldi si consacrò « con
slancio aHa preparazione del personale, servendosi di circolari, vi-
site, conferenze, e soprattutto con riunioni di ispettori, direttori,
maestri ,dei novizi... L'incremento da lui dato alle vocazioni - è
sempre don Ricaldone ad asserirlo - fu davvero mirabile. Basterà
sapere che alla morte di don Albera, nell'ottobre del 1921, i Sale-
siani erano 4788, distribuiti in 404 case; e che don Rinaldi in meno
di dieci anni li portò - quasi raddoppiandoli - a 8836, con un
aumento medio di circa 450 professi ogni dodici mesi. Le case poi
sotto di lui arrivarono alla dfra di 644, con ,l'aumento di 240 nuovè
fondazioni ».7
***
I numeri hanno la loro poesia e dimostrano la fecondità del ger-
moglio salesiano in tempi di generosità e di fervore, specie tra la
gioventù.
Don Rinaldi avvertì il particolare fenomeno di crescita che por-
tava la Congregazione tra le grandi famiglie religiose della Chiesa.
Ne trattò con Pio XI, ricevendo consiglio e direttive; e più volte si
pose il gravissimo problema d'impedire che il numero nuocesse alla
qualità, e che l'estensione dell'opera nel mondo non andasse a sca-
pito delLa conformità al carisma che doveva permearla e sostenerla.
A quei tempi non si parlava di carisma. Don Rina!ldi però ne
conosceva il contenuto e i contorni; e la sua azione di governo,
illuminata e sicura, fu tutta rivolta a conservare e ad accrescere
nella Congregazione il dono dello Spirito Santo a don Bosco.
***
La cura spirituale ,dei confratelli divenne quindi l'ansia del suo
cuore di padre e pastore. Anohe se più avanti si tratterà della pater-
nità di don Rinaldi, per illustrarne 'l'ampiezza e l'intensità, qui è il
173

19.4 Page 184

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caso di accennare alla sua disponibilità verso tutti all'interno della
Congregazione.
Dalle 9 alle 12 don Rinaldi era in ufficio pronto a ricevere i
confratelli vicini e lontani che gli si presentavano per conoscerlo,
parlargli, ricevere luci e conforti. Nessuno si presentava invano. Il
Rettor Maggiore era per tutti, ma specialmente per i suoi figli. « Con
i Salesiani - dice don Bordas - era proverbiale la sua amore-
volezza nel ricevere e ascoltare chi avesse motivi di abbattimento o
di pena. Dal colloquio si usciva solitamente rinfrancati. In morte di
persone care o in circostanze dolorose di famiglia, il Rettor Maggio-
re preveniva i confratelli e occorrendo ,largiva aiuti materiali, che
lasciavano profondamente commossi ».8
Accoglieva tutti - assicura il segretario don Giacomo Vacca
- « con tratto amabile, bel sorriso e parola incoraggiante ».9 Anche
l'ultimo chierico o il più giovane coadiutore si trovavano subito a
loro agio col Rettor Maggiore.
« Non bisognava dirgli che era desiderato per una udienza -
osserva il ,segretario - , se si voleva evitargliela quando era oppres-
so dal male; ma proprio allora - insiste don Vacca - pareva che
le presagisse, e raccomandava di non privare nessuno del suo di-
ritto ».10
Negli anni di don Rinaldi non passò confrateilo all'Oratori::i
senz'essere ricevuto in udienza, magari nei cortili, durante momenti
di sollievo, quando i doveri di ufficio incalzavano. H colloquio per-
sonal e fu il mezzo con cui il Rettor Maggiore , pur oberato di affari,
arrivava al cuore dei figli. Non era burocrazia o sterile ammini-
strazione la sua, ma incontro d'anime per il profitto delle persone
e l'efficacia dei rispettivi compiti apostolici e salesiani.
Quanto mai giusto e veritiero il rilievo di don Ricaldone: « Era
sempre accogliente; e dal suo modo di agire si arguiva che si rite-
neva il servo di tutti ».11
Seguiva con scrupolosa esattezza la fittissima corrispondenza
con ispettori, direttori e confratelli, che si rivolgevano al Superiore
Generale.
Della corrispondenza - fa sapere don Ricaldone - « era gelo-
sissimo »,12 come di un dovere che non si poteva delegare. Ai con-
fratelli rispondeva con sollecitudine e di suo pugno.
Il Secondo Revisore canonico degli scritti di don Rinaldi, rife-
rendosi alla parte dell'epistolario diretto ai confratelli, osserva che
174

19.5 Page 185

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tali corrispondenze « appaiono sempre improntate a grande bontà,
equanimità e comprensione »; in altre parale: « a quel senso di pa-
ternità spirituale che, secondo lo spirito di don Bosco, deve ispirare
i rapporti fra superiori e sudditi ».13 Il Primo Revisore vi aveva
colto « intimità, freschezza umana e sincera immediatezza », pro-
prie di un direttore d'anime, il quale « ammaestra, consola, consi-
glia, solleva, incoraggia, sprona » i suoi figli per i sentieri della vita
religiosa. 14
* i, *
Nel governo della Congregazione don Rinaldi non era solo: ave-
va l'aiuto del Consiglio, verso del quale fu 1sempre deferente e ri-
spettoso, lasciando a ciascuno la sua parte di responsabilità e di la-
voro. Dei Consiglieri :si valse, oltre che negli affari della Società,
secondo le rispettive competenze, per le visite alle ispettorie vicine
e lontane.
Don Candela, membro .del Consiglio, dice appunto che il Servo
di Dio « era parco nelle parole, ascoltava molto e dava importanza
a quello che gli si diceva.. . Con umiltà osservava a noi Consiglieri:
" Potrà accadere che quailcuno non abbia fiducia in me; basta però
che l'abbia in qualcuno di voi e siano legati al centro. I confratelli
scrivano pure a me, che desidero essere loro padre; ma scrivano an-
che liberamente ai Consiglieri, perché quello che non potrò fare io,
sarò ben lieto che venga fatto dagli altri " ».15
Anche don Tirone, altro membro del Consiglio Centrale, di-
chiara a sua volta: « Don Rina:ldi non era mai agitato, corrivo nelle
decisioni; era calmo, tranqui:llo, ponderato. Se necessario prendeva
il tempo utile per esaminare e riflettere... Da uomo interiore trat-
tava gli affari con Dio prima •di risolversi ad agire ».16
« Più di una volta - conferma don Rica1done - mi parve
eccessivo nella prudenza: e mi permettevo di farglielo osservare .
Egli sorrideva; ma alla resa dei conti dovevo convincermi che aveva
ragione. Era non solo temporeggiatore, ma abi1le veleggiatore tra
ostacoli e scogli, e riusciva a trovare soluzioni impreviste anche in
affari materiali ».17
Del Servo di Dio, superiore impareggiabile, don Ricaldone che
gli visse accanto vent'anni e gli successe nella carica di prefetto
generale, fa questa descrizione: « Possedeva in grado sommo la di-
screzione; di essa si serviva per illuminare, ordinare e guidare le
cose in ogni circostanza. Sapeva conservar ·segreti e confidenze.
Misurava le parole e ancor più certi scritti. Tuttavia fa sua discre-
175

19.6 Page 186

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zione si ammantava, secondo il bisogno, di verità, soavità e fer-
mezza. Quando si trattava di sostenere principi o tradizioni di don
Bosco era irremovibile. Pregava e faceva pregare; ma quando si
persuadeva che una decisione o un'opera erano per la gloria di Dio
e i'l bene delle anime, non badava più a difficoltà o sacrifici ».18
***
Seguendo una tradizione di famiglia, neHa ·sua qualità di rettor
maggiore don Rinaldi volle periodicamente arrivare a tutti i suoi
figli; a quelli che non conosceva, ai più lontani, ai più bisognosi di
sentire il cuore del padre per vivere in comunione con il centro.
Le ,sue lettere circolari, pubblicate in Atti del Capitolo Supe-
riore - anno III, anno XII - vanno dal 24 maggio 1922 al 24
novembre 1931. Sbaglia suor Graziano là dove afferma che don
Rinaldi « non fu ... l'apostolo della penna ».19 Non lo fu nel senso
corrente dell'espressione, come chi fa della penna lo strumento pri-
mario dell'apostolato. In realtà le circolari del Servo di Dio sono
un monumento di saggezza e di ascetica salesiana; riscossero ap-
provazioni ed elogi nel mondo dei confratelli e suscitarono tensioni
spirituali ed apostoliche, e risoluzioni di santità.
Lo stile è piano e discorsivo, come quello di don Bosco; la for-
ma, semplice e senza orpclli d'ingombrante cultura; la dottrina,
chiara e sicura. Il Rettor Maggiore fornisce notizie di famiglia;
commemora e commenta avvenimenti e ricorrenze; e soprattutto
anima e sprona alla pietà e alla perfezione.
Le sue circolari - annota il Primo Revisore Teologo - « sono
veri e propri trattatelli di pietà, ricchi di equilibrio ». In essi il Ser-
vo di Dio si rivela « superiore nato, il quale domina i sudditi con
saggezza e forza di virtù. Egli è consapevole - prosegue acuta-
mente il Revisore - della posizione ,di privilegio e di res•ponsabilità
in cui è venuto a trovarsi; e con sforzo di rinnovamento e control-
lato dominio dei suoi atti cerca di rendersi modello di virtù ope-
rosa ».20
Scendendo al particolare il Secondo Revisore osserva: « Educato
alla vita religiosa e sacerdotale da san Giovanni Bosco, negli scritti
il Servo di Dio si manifesta discepolo fedele e devoto, e imitatore
assiduo del suo Maestro; è intento a esprimere in se stes·so lo spi-
rito, e a comunicarlo e custodirlo nei religiosi affidati alle sue re-
sponsabilità di superiore generale della Congregazione ».21
« Se lo stile è ,l'uomo - conclude il Primo Rey,isore, che non
176

19.7 Page 187

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dubita di affiancare il Servo di Dio a san Francesco di Sales, - è
facile dire senza incertezza: negli scritti don Rina:ldi appare come
uomo che vive coi piedi in terra, ma con lo spirito in cie1o ».22
***
Un primo esempio concreto. Come direttore, ispettore, prefetto
generale, don Rinaldi era stato strenuo assertore delle Regole e Co-
stituzioni. Agli esordi del rettorato gli si offrì l'oocasione di illu-
strarne a tutta la Congregazione ,l'altissimo valore. « Forse nessuno
dopo don Bosco - attesta con solennità don Ricaldone - le mise
in più bt,lla 'luce, meglio le illustrò, e ne promosse con più ardore
l'osservanza ».23
Ricorreva infatti nel 1924 il cinquantenario dell'approvazione
delle Regole, avvenuta il 3 aprile 1874 sotto Pio IX. La circolare
scritta in quella ,circostanza - dice ancora don Ricaldone - « sarà
sempre uno dei documenti più importanti della Società Salesiana ».
Anzi « volle che la data memoranda fosse ricordata in tutte fo case
mediante conferenze, congressini e speciali solennità ».24
Chi scrive non può non rammentare la vasta eco della circo-
lare n~lle case più lontane della Congregazione, dove la parola del
Rettor Maggiore era giunta portatrice e suscitatrice d'entusiasmo.
salesiano.
***
Don Rinaldi l'aveva pensata e preparata nel primo biennio di
rettorato, partendo dalla esemplarità religiosa di don Rua. Infatti
la prima ,strenna annuale che diede ai confratelli in Maria Ausilia-
trice la sera del 31 dicembre 1922 suona così: « Cerchiamo di imi-
tare il Servo di Dio don Rua nel'la esatta osservanza de1la vita reli-
giosa ».25 E nella circolare del 6 gennaio seguente commentava:
« L'esatta osservanza della vita religiosa non è altro che la Regola
fedelmente seguita ».26
Delle Costituzioni e dei Regolamenti si era occupato il recente
Capitolo Generale del 1922: a don Rinaldi premeva d'informare
sul lavoro compiuto e sulle pratiche in corso con [a Santa Sede,
ma per asserire che nei nuovi testi erano rimasti intatti i contenuti
e lo spirito delle origini. Mai don Rinaldi si sarebbe prestato a tra-
visare il pensiero di don Bosco. « Le nostre Costituzioni - scriveva
- sono ancor quelle uscite dal cuore di don Bosco: sono la regola
bella e cara, breve e completa, che ila Chiesa ha approvato e che,
177

19.8 Page 188

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osservata con fedeltà, sarà la vita della Congregazione e l'unica via
della nostra santificazione ».27
Delle Costituzioni il Servo di Dio rileva il carattere « di vera
congregazione religiosa », che don Bosco intese dare alla sua fonda-
zione; ma ne sottolinea la flessibilità « alle esigenze dei tempi ». E
scrive con autorevolezza: « Questa elasticità di adattamento a tutte le
forme di bene, che vanno di -continuo sorgendo in seno aU'umanità,
è lo spirito proprio delle Costituzioni. Il giorno in cui s'introducesse
una variante contraria, per la nostra Pia Società sarebbe finita ».'8
Nessuno potrebbe meglio definire o descrivere la dinamicità del ca-
risma salesiano. E ciò fa meglio comprendere quel don Rinaldi,
fondatore in penombra di cui sopra si è parilato.
}:e * *
Il 24 febbraio 1923 don Rinaldi annunciava a tutti i suoi figli
l'avvenimento che si profilava aU'orizzonte: « Il 3 aprile prossimo -
diceva - entriamo nell'anno che segna il Giubileo d'Oro delle no-
stre Costituzioni ». E animando al rispetto, all'amore, all'osservanza
della carta costituzionale inculcava: « Chiamandoci alla vita reli-
giosa Dio ha inteso farci wnseguire la santità coll'osservanza intera
ed esatta delle Costituzioni ».29
Il documento commemorativo al quale allude don Ricaldone, e
che insolitamente reca un titdlo - « Il Giubileo d'Oro delle nostre
Costituzioni» - è del 24 gennaio 1924. Per don Rinaldi la ricor-
renza cinquantenaria è fatto « intimo e di vitale importanza » per la
Congregazione, e deve stimolare tutti i membri a corrispondere con
crescente ardore alla propria « vocazione religiosa ».30
È, si potrebbe dire, una circolare-trattato: uno degli scritti ma-
gistrali del Servo di Dio, superiore e successore di don Bosco .
Si avverte che don Rinaldi ha studiato l'argomento; lo ha ap-
profondito nelle sue tappe storiche e 110 presenta, senza collabo-
razione d'altri, come vibra nel suo spirito. Accetta e suggerisce ma-
nifestazioni esteriori, specie nelle case di formazione, ma solo a
patto che aiutino a « comprendere, amare, e meglio praticare le
Costituzioni ».
Di esse dice: « Le Costituzioni, miei cari, sono l'anima della
nostra Società: e questa fu l'anima di tutta la vita di don Bosco;
perciò la storia deHe Costituzioni è interamente nella vita di lui.
Possiamo anzi dire ,che nelle Costituzioni abbiamo tutto il Fondato-
re. In esse, il suo unico ideale di salvezza delle anime; la sua per-
178

19.9 Page 189

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fezione coi voti; il suo spirito di soavità, di amabilità, di pietà, di
tolleranza e di sacrificio » .
·
Qui don Rinaldi fa una osservazione degna del suo intuito e
del suo amore di figlio : « Per ben comprendere le Costituzioni nel
loro sviluppo storico e nella loro essenza specifica - osserva -
bisogna rendersi familiare '1a lettura e lo studio delle Memorie Bio-
grafiche del nostro Fondatore », giacché - conclude più avanti -
« don Bosco più che fondatore può dirsi creatore della sua Società,
che seppe tirar su dal nulla, prendendo soggetti, crescendoli intorno
a sé, e trasfondendo in essi a poco a poco i'l suo spirito » .31
Non è il caso di andar oltre, in un quadro che è biografico e
non di studio. Ma non si può tacere l'accenno personale che il Ser-
vo di Dio introduce nella lunga tessitura della circolare. « Le non
poche volte - scrive don Rinaldi - che ebbi la fortuna d'intrat-
tenermi familiarmente col nostro santo Fondatore, ricordo che la
fedeltà alle Costituzioni era il suo argomento favorito: negli ultimi
anni non sembrava respirasse altro che le Regole ».32
Don Rinaldi , che delle Regole era « osservantissimo » 33 - l'at-
testazione è di don Ricaldone - , lo imitava egregiamente fin dagli
inizi del suo governo della Congregazione. Si comprende quindi
come al visitatore straordinario don Vespignani , in partenza per
l'America Latina, desse come viatico e consegna : « Faccia amare
la regolarità salesiana » .34
No te
' Sunun ., 6, 15.
' Summ ., 6, 16.
' Summ., 303, 1062.
' Summ., 273, 952 .
' Summ., 286, 1000.
' Summ ., 112, 386.
7 Summ., 273-274, 952-954 .
' Sumrn ., 83 , 292.
9 Sumrn ., 250, 867 .
10 Surnrn ., 250, 869.
11 Surnrn ., 293, 1033.
12 Surnrn ., 275 , 960.
" Pos. super scriptis, 12-13.
" Pos. super scriptis, 4-5 .
" Surnrn ., 192, 672 .
" Surnm ., 243, 844-846.
" Sumrn ., 293-294, 991.
" Sumrn., 290, 1015.
" Summ ., 118, 403 .
20 Pos. super scriptis, 4 e 5.
21 Pos. super scriptis, 10.
22 Pos. super scriptis, 4.
23 Summ ., 293 , 1031.
24 Surnrn ., 293 , 1031.
25 Atti, 26.
" Atti, 44.
21 Atti, 40-41.
" Atti, 41.
" A tti, 58-59.
' 0 Atti, 174 e 176.
,, Atti, 177-178.
" Atti, 188.
33 Summ. , 293 , 1031.
34 Chi scrive l'ha udito dalla bocca di
don Vespignani.
179

19.10 Page 190

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19
ZELO MISSIONARIO
Le finalità missionarie della Congregazione risalgono al Fonda-
tore, che in visioni e sogni preannunciò il futuro delle sue opere
nel campo dell'evangelizzazione degli infedeli.
Don Bosco aveva guardato a Occidente. Don Rua e don Albera
si rivolsero timidamente anche a Oriente. A don Rinaldi, in un
tempo di assestamento e di fervore, toccò di portare a termine ar-
diti programmi, cominciando dalla rioe11ca delle vocazioni.
Per diventare Istituto Missionario a pieno titolo la Congregazio-
ne doveva coltivare e diffondere lo spirito missionario tra i giovani,
destare entusiasmi, favorire la generosità e lo slancio di chi era
pronto ad affrontare la sublime avventura.
***
Si è visto come sin dalle prime ,settimane del rettorato il Servo
di Dio si aprisse con intima soddisfazione al ,problema dei giovani
che sollecitavano di recarsi in missione. Pensando che qualcuno non
sfiorava neppure i 15 anni, c'è da restare stupiti e come trasognati.
Don Rinaldi ebbe fede e mentre benediceva quelli che partivano,
si occupò dei più che rimanevano e occorreva preparare secondo
opportuni schemi scolastici e di vita spirituale.
Nacque così - lo si è accennato - l'Istituto Missionario di
Ivrea, che divenne la pupilla dei suoi occhi. Si cominciò con una
sezione di giovani studenti, affiancati al noviziato dell'ispettoria
piemontese; ma tosto si vide la necessità di dare alla casa finalità
e intonazione esclusivamente missionarie.
Favorita dalle partenze del 1922, 1'idea di alcuni ispettori dell'
America Latina che il nuovo Rettor Maggiore costituisse un centro
di aspiranti per paesi lontani, aveva dato i suoi frutti e prometteva
180

20 Pages 191-200

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20.1 Page 191

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rinforzi anche per le missioni d'Oriente, assetate di operai evan-
gelici.
Nel secondo anno di vita - 1923-1924 - i così detti « caglie-
rini » erano 160, e provenivano soprattutto da Piemonte, Lombar-
dia e Veneto. Anzi alcune ,decine, per mancanza di posto, avevano
trovato ospitalità a Valdocco, dove si ,era sprigionata la fiamma
delle missioni tra i giovani.
***
Vedendo che l'impresa attecchiva, oltre ogni previsione umana,
don Rinaldi progettò di darle forma canonica per la sua consisten-
za e i futuri sviluppi. Con decreto infatti ,d~l 30 aprile 1924 la Sa-
cra Congregazione de Propaganda Fide erigeva l'Istituto Cardinal
Giovanni Cagliero come seminario di aspiranti alle missioni sale-
siane, lo dichiarava alle sue dipendenze e gli accordava diritti e
privilegi di simi1i istituti.
L'alto riconoscimento giovò al prestigio dell'Istituto, dentro e
fuori la Congregazione, gli attirò simpatie e benefattori e ne assi-
curò le sorti per molti anni.
Ivrea divenne l'oasi di pace e di riposo del Servo di Dio. Vi si
recava sovente, parlava ai giovani, li visitava - magari impensata-
mente - nello ,studio, li animava alla preseveranza. Fin da princi-
pio aveva detto: « Se sarete santi salverete le anime ».1
I giovani 'lo amavano non tanto per quello che era, quanto per
il raggio di paternità che la sua persona irraggiava attirandosi i cuo-
ri. L'll febbraio 1930, volendo egli benedire la prima pietra di un
erigendo tempietto al Sacro Cuore, sull'altura della cosiddetta
sassonia - un terreno pietroso trasformato in vigna - lo fecero
salire, benché riluttante, su di un'improvvisata sedia gestatoria e
ve lo portarono come in trionfo.
Anche da Torino don Rinaldi seguiva l'andamento della casa.
Ogni settimana il direttore scendeva a dargliene conto. Ed è in que-
gli incontri che il Rettor Maggiore, dando consigli e avvertimenti,
soleva ripetere: « Così mi suggeriva don Bosco, quand'ero direttore
dei Figli di Maria a San Giovanni Evangelista. Prega e il Signore ti
illuminerà ».2
***
Frattanto si profilava a distanza il cinquantenario de1le Missioni
Salesiane, vivente ancora il condottiero della prima spedizione e
apostolo della Patagonia, diventato cardinale di Santa Chiesa.
181

20.2 Page 192

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In qualche maniera l'Istituto di Ivrea ne era stato il preannun-
cio. Ma occorreva fare di più per attizzare il fuoco tra la gioventù.
Don Rinaldi se ne rendeva conto e non voleva essere in ritardo
coi tempi.
Nel 1921, dopo l'enciclica Maximum il/ud di Benedetto XV,
con l'approvazione di don Albera e l'appoggio di don Rinaildi, era
nata nell'oratorio festivo di Valdocco l'Associazione Gioventù Mis-
sionaria con lo scopo di fornire alla Chiesa un'avanguardia del mo-
vimento che il Papa desiderava suscitare tra i fedeli. Fatto superio-
re generale don Rinaldi prese in mano il movimento e servendosi
di zelanti confratelli a poco a poco lo estese a oratori e coillegi in
Italia e all'estero, e lo passò al mondo femminile delle Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice. Ottenne anzi dalla Santa Sede indulgenze e favori
spirituali per il sodalizio, che ovunque contribuì a far conoscere le
missioni, a far pregare per il loro sviluppo e a raccogliere sacrifici
e offerte per la diffusione del Vangelo.
Bisogna averli visti in azione quei gruppi per comprendere il
bene da essi fatto e i vantaggi arrecati all'idea missionaria.
***
Si direbbe che don Rinaldi ispirandosi a don Bosco, il quale
aveva suscitato la Congregazione coi giovani, per loro mezzo volesse
ringiovanire e dare un impulso alle sue missioni, estendendone il
raggio d'azione.
E in favore dei giovani fu il proposito che venne maturando,
mentre ad Ivrea si raccoglievano le prime schiere di aspiranti alle
missioni. Lanciare cioè tra di essi una rivista capace di alimentare
la fiamma.
Nacque così « Gioventù Missionaria» nel gennaio del 1923:
un mensile illustrato, edito dalla tipografia di Valdocco e destinato
in particolare alle migliaia di giovani del:le case e degli oratori sale-
siani. rn periodico divenne subito il portavoce e l'interprete dell'
Associazione Gioventù Missionaria, fece conoscere i territori e i
problemi delJ',evangelizzazione riservata ai figli di don Bosco, e con-
tribuì a creare un'atmosfera di simpatia e d'interesse intorno alla
persona, all'opera e ai ,sacrifici del missionario.
Da principio si pensò che l'agile e ariosa rivista dovesse concor-
rere soltanto alla preparazione del giubileo delle missioni: 1875-
1925. Ma visti i frutti che la sua diffusione produceva in mezzo alla
gioventù, se ne deliberò la continuazione. Si arrivò anzi alle reda-
zioni in lingua spagnuola, francese e portoghese. Don Bordas che fu
182

20.3 Page 193

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tra gli animatori di quelle pubblicazioni dichiara ai processi del
Servo di Dio: « Queste riviste, pur avendo lo stesso scopo, erano
redatte con diversi contenuti, che meglio si adattavano alle singole
nazioni ». E aggiunge, a riprova che l'idea era penetrata ovunque
nel mondo salesiano: « A foro imitazione ne sorsero altre in Polo-
nia, Ungheria, Cecoslovaochia e altrove: e si comprende quanto per
loro mezzo se ne avvantaggiarono le vocazioni e gli aiuti mate-
riali alle missioni ».3
Facile capi.Te come per l'edizione spagnuola don Rinaldi conce-
.desse volentieri un autografo con l'affermazione di famiglia: « Se
Domenico Savio oggi fosse fra noi , sarebbe H miglior propagandista
-di Gioventù Missionaria ».4
Anche qui, come negli altri campi, don Rinaldi non faceva tutto
da solo. Però, pensava a tutto; teneva d'occhio tutto, sceglieva perso-
ne adatte all'impresa; dava orientamenti, pur lasciando ampia li-
bertà di azione. Era bello lavorare con lui, proprio per il senso di
fiducia che dava ai collaboratori.
Una delle scelte più indovinate in campo missionario fu quella
di don Ricaldone, eletto - come si è ricordato - Vicario del Ret-
tor Maggiore nel Capitolo del 1922. A lui nel 1924 don Rinaldi,
valendosi delle facoltà che i Regolamenti gli conferivano, attribuì
il pensiero deille missioni, senza voler perciò diminuire con tale de-
lega « quel contatto - scriveva - che io desidero conservare con i
miei cariissimi missionari, così 'lontani e a volte esposti a gravi peri-
coli e sorprese ».5
A don Ricaldone il Servo di Dio aveva affidato fin dal novem-
bre 1923 la sorveglianza dell'aspirantato di Ivrea, che passava così
alle dirette dipendenze del Consiglio Superiore della Congregazione.
Questo fa capire come don Rinaldi facesse del problema missio-
nario un impegno del Rettor Maggiore e suo Consiglio: un interes-
se vitale cioè della Società, alle dipendenze del centro.
* **
Per l'anno 1925 - anno giubilare - Pio XI aveva indetto una
Esposizione Mondiale delle Missioni da tenersi nei Palazzi Vaticani.
Furono interessati i superiori generali di Ordini e Famiglie Religiose
o Istituti aventi responsabilità ed opere nel campo dell'evangelizza-
zione. « La nostra Pia Società - scrive don Rinaldi il 24 giugno
1923 - non solo non si può esimere dall'onorevole invito, ma sente
183

20.4 Page 194

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il dovere di portare tutto il suo concorso ..., non tanto per l 'onore
ohe ne può venire al nome di don Bosco, quanto e più perché il
Santo Padre da questa Esposizione si ripromette un grande risveglio
religioso nel mondo e un maggiore incremento delle opere missio-
narie e di evangelizzazione ».6
Non appartiene a questa biografia la ,storia del grande avveni-
mento che ebbe vasta eco nei pellegrini giunti a Roma in occasione
dell'Anno Santo: basta aver sottdlineato la prontezza di don Ri-
naldi nel far suo il desiderio del Papa e nel contribuire, senza ba-
dare a spese e sacrifici, alla sua riuscita con l'allestimento di padi-
glioni destinati alla Congregazione Salesiana. Il Rettor Maggiore
impartì norme e disposizioni, ma l'attuazione toccò al Vicario don
Rica!ldone, che fu la persona dell'impresa e del momento.
***
Come ·si è accennato nel 1925 cadeva anche il cinquantenario,
delle Missioni Salesiane. La sua celebrazione, nel pensiero di don
Rinaldi, doveva « non solo porre in evidenza ... il bene operato, ma
suscitare iniziative ed energie » nuove, per il consolidamento e il
progresso di quanto si era fatto in mezzo secolo di attività missio-
narie.7 La sera dell'l 1 novembre 1875 don Bosco aveva detto in
Maria Ausiliatrice: « Noi diamo principio a una grande opera »; 8
convinto che il vaticinio si fosse compiuto, don Rinaldi intendeva
richiamare l'intera Congregazione a rivivere, più che ~'epopea del
passato, un aspetto fondamentale dell'animazione salesiana.
Perciò in preparazione alla ricorrenza giubilare, come già aveva
fatto per le Costituzioni, il 24 giugno di quell'anno indirizzava ai
suoi figli un paterno documento dal titolo: « Il Giubileo d'Oro delle
nostre missioni » .
« Nel!la circolare dello scorso ottobre - diceva - vi ho invitati
a prepararvi alla solenne commemorazione di questa data; ora è
tempo, miei cari, ch'io vi parli un po' più a lungo di questo argo-
mento, perché le missioni tra i popoli incivili, come furono una delle
più ardenti aspirazioni del cuore di don Bosco, così sono e saranno
tra i più preziosi gioielli dell'Opera Salesiana » .9
***
Non è possibile seguire il Servo di Dio nella rievocazione dei
fatti. Ciò che più gli preme è di scrutare e illustrare l'animo arden-
temente apostolico del Fondatore, che egli appunto aveva conosciuto
184

20.5 Page 195

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nel suo fervore m1ss10nario. Sotto la penna di don Rinaldi certe
osservazioni rivestono il valore di autentica interpretazione. « Non
dimentichiamo - scriveva come chi legge una storia interiore -
che nel cuore del nostro buon Padre si erano accumu'lati da anni
gli ardori di un Francesco Saverio, alimentati dalla luce superna
che gli andava rischiarando l'avvenire per mezzo di sogni: si potrà
così comprendere come egli in quell'anno - 1875 - rivolgesse
tutta la sua straordinaria attività... alle Missioni d'America. Per me
- afferma il Servo di Dio - penso che forse nessun missionario
è stato più zelante e infaticabile di lui. Lo rivedo, il Padre amatis-
simo - aggiunge commosso don Rinaldi - , nei lontani ricordi
della mia vocazione, proprio negli anni del suo maggior fervore
missionario: me ne è rimasta un'impressione indelebile. Don Bosco
era un vero missionario, un apostolo divorato dalla passione delle
anime ».10
Qui, senza pensarlo, la figura di don Rinaldi sembra confondersi
e prolungare quella del Fondatore, di cui incarnava gl'idea'li, che
facevia meglio conoscere alla Congregazione. Anch'egli era e voleva
essere un vero missionario al servizio della fede e dell'apostolato;
anch'egli era divorato dalla passione delle anime e si accendeva di
entusiasmo nel desiderio di accrescere, secondo Ile possibilità delle
circostanze, il numero degli operai evangelici. Di lui dirà giusta-
mente don Ricaldone ai processi: « Lavorò incessantemente per
dilatare la fede » e fu « notevole l'incremento che diede alle mis-
sioni ».11
***
La parte dispositiva della circolare non interessa; come interessa
di scorcio notare che a ricordo della data giubilare il cardinal Ca-
gliero, ultimo superstite della prima spedizione, benediceva 172
Salesiani e 52 Figlie di Maria Ausiliatrice, partenti per i vari campi
di missione.
Giova invece capire ciò che maggiormente raHegrava il cuore
di don Rinaldi. Egli godeva per l'intenso sviluppo dato in quegli
anni all'azione missionaria: « sia col ·creare - diceva - un apposi-
to periodico; sia coi numerosi comitati missionari (loca'li, regionali,
nazionali); sia col partecipare all'Esposizione Vaticana; sia final-
mente col suscitare tra cooperatori ed ex-allievi, e in modo parti-
colarissimo tra gli allievi, un vivo entusiasmo per le nostre mis-
sioni ».
E soggiungeva, con gli occhi rivolti a una realtà che egli aveva
185

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intravisto, benedetto e incoraggiato: « Quante consolazioni ci hanno
procurato e ci procurano col loro zelo missionario, gli alunni degli
oratori festivi , dei collegi e dei pensionati. Si sono fatti promotori
di congressi, lotterie, collette, recite di beneficenza, sottoscrizioni
rateali, numeri unici, conferenze con proiezioni e simili ».12
Più avanti don Rinaldi soggiungeva: « Questo entusiasmo gio-
vanile aumenta di anno in anno con frutti sempre più copiosi, nuove
geniali industrie e gradite sorprese ». E arrivava alla conclusione,
che era come l'insegnamento pratico del cinquantenario delle mis-
sioni: « L'educazione missionaria, se ben diretta, è fonte di nume-
rose vocazioni tra i nostri giovani ».13
* '~ *
Per conto suo don Rinaldi aveva ideato di festeggiare la ricor-
renza salesiana, oltre che mediante una spedizione di operai evan-
gelici che superasse tutte le precedenti, con una grande Esposizione
da tenere nella casa madre per far conoscere e documentare i1 lavo-
ro compiuto in cinquant'anni. La coincidnza con l'Esposizione Vati-
cana gli consigliò di rimandarla. Fu inaugurata il 16 maggio 1926,
e abbinata a un Congresso Internazionale di Cooperatori ed Ex-al-
lievi d'intonazione missionaria.
Un doppio successo . Dandone ragguaglio al Papa il Servo di Dio
confessava ch'era stata sua intenzione ravvivare in tutti, particolar-
mente nei giovani , l'amore alle missioni. Perdò av,eva desiderato
che dal novembre 1925 al gennaio 1926 in ogni casa e oratorio
festivo si tenessero congressini missionari, in preparazione a con-
gressi regionali ,e a quello Internazionale di Torino.
Dei primi don Tirone dichiara: « Per disposizione del Servo di
Dio il Congresso Internazionale fu preceduto e seguito da innu-
merevoli congressini tenuti in quasi tutte le case e oratori salesiani.
Se ne contarono più di 800 ».14
« L'interessamento che dimostrano i nostri giovani per le fatiche
dei missionari e 'l'evangelizzazione degli infedeli - scriveva soddi-
sfatto don Rinaldi nel gennaio del 1926 - è un sorriso di cielo,
un fatto che commuove e profondamente edifica » .15
Il Servo di Dio - è facile rilevarlo - non intendeva con la
celebrazione giubilar.e far della storia o della semplice accademia
missionaria. Con lo sguardo penetrante di don Bosco aveva scoperto
186

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la via dei giovani come rigogliosa promessa all'avvenire e aHo svi-
luppo delle missioni. E decisamente la percorreva.
Sotto il suo rettorato si aprirono infatti, oltre quello di Ivrea,
gl'istituti missionari di Penango, Bagndlo e Cumiana, in Piemonte;
quello di Gaeta, nel Lazio Inferiore, per l'Italia Meridionale; e
quelli di Astudi1lo, nella Spagna, e di Shrigley, nell'Inghilterra;
e da ultimo quello di Torino, Istituto Conti di Rebaudengo, per
coadiutori.
L'ansia del Rettor Maggiore aveva investito l'intera Congrega-
zione e dappertutto si cercavano vocazioni da convogliare, secondo
le 'lingue e le culture, ai paesi dove maggiore arrideva il profitto.
Si accrebbero anche notevolmente le missioni propriamente det-
te, specie in India, Giappone, Thailandia, Brasile, Paraguay e Congo
Belga; mentre si provvide a rinforzare le ispettorie dell'America
Latina e degli Stati Uniti.
* ,i *
A tutto ciò è da aggiungere la crociata missionaria suggerita da
don Ricaldone e subito accolta e appoggiata dal Servo di Dio.
Depone lo stesso don Ricaldone, protagonista in prima persona
del progetto. « Nel dicembre del 1926 don Rinaldi mi mandò a vi-
sitare l'Estremo Oriente, mentre altri visitatori e lui stesso percorre-
vano l'Europa e l'America.
Finita la visita in India, Thailandia, Cina e Giappone, prima di
lasciare quei paesi gli scrissi una lettera manifestandogli la mia pe-
na e quel'la dei missionari, che sentivano la loro limitatezza di fron-
te al miliardo e duecento milioni di pagani viventi nelle tenebre
deJrl'errore ... Don Rinaldi fece suo lo scritto nel quale invocavo una
crociata per le vocazioni missionarie . La crociata fu accolta con en-
tusiasmo in tutte le nazioni e si pot-erono raccogliere mezzi per fon-
dare case missionarie - quelle sopra elencate - , sia per sacer-
doti, per capi d'arte e di aziende agricole, sia per catechisti. Si giun-
se ad avere 1200 aspiranti, i quali fornirono personale scelto e ab-
bondante alle nostre missioni ».16
Anche oggi - 1980 - la Crociata Missionaria del 1927 conti-
nua a vivere e a dare frutti in favore di opere e istituzioni missio-
narie.
Non tutto quello che don Rinaldi suscitò nel suo rettorato in
favore deHe missioni ha oltrepassato il mezzo secolo. Il secondo
187

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conflitto mondiale e :le trasformazioni sociali che seguirono posero
fine a tante sue iniziative; è rimasto però in Congregazione quello
spirito missionario del quale egli fu valoroso paladino e maestro
senza confronti.
Note
' CERIA E., 380.
2 CERIA E., 382.
' Summ., 67, 233.
4 CERIA E., 384.
' Atti, 296.
Atti, 98.
' Atti, 312.
' Atti, 312.
' Atti, 365.
IO Atti, 367.
11 Summ. , 278, 972-973 .
12 Atti, 371.
13 Atti, 371.
" Summ. , 236, 315.
" Atti, 428.
1
Summ.,
274,
955-956.
188

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20
VIAGGI OPERE INSEGNAMENTI
Ai confratelli lontani e sparsi nel mondo i'l Servo di Dio pensò
con sollecitudine paterna. Non poteva, come avrebbe desiderato,
raggiungerli tutti personalmente: gliene mancavano i'l tempo e le
forze.
Supplì con visitatori straordinari, ai quali - come si è visto -
affidava il compito di rappresentarlo in paesi e missioni. « Io - de-
pone don Candela - venni da lui inviato alle case d'Inghi'lterra,
Marocco, Algeria, Tunisia, Congo Belga, Stati Uniti, Messico, An-
tille, Australia e Palestina ».1
Da Torino il Rettor Maggiore seguiva i visitatori e trasmetteva
consigli e indicazioni opportune; raccomandava soprattutto d'infon-·
dere dovunque lo spirito di don Bosco. Così a don Candela, mentre
percorreva gli Stati Uniti, scriveva: « Ti raccomando di far del bene
ai confratelli di codeste case, che affido alla tua carità e a'l tuo zelo ...
H Santo Padre - aggiungeva - s'interessa alle nostre case degli
Stati Uniti. Le vorrebbe moltiplicate. Mi raccomandò che mantenes-
simo i confratelli nello spirito deHa Chiesa e della Congregazione...
Tu interessati molto alla regoiarità della vita religiosa, perché non
si lascino trascinare dalla libertà dell'ambiente ... Diceva il Papa:
senza spirito di mortificazione non predicheremo mai Gesù Cristo ».
E sullo stesso argomento in altro ,scritto insisteva: « Pio XI mi rac-
comandò molto gli Stati Uniti e gli emigranti, i quali talora vi per-
dono fa fede ... Vorrebbe che aumentassimo case e parrocchie ».Z
Da padre sollecito don Rina'ldi non trascurava, col bene dei con-
fratelli e deHe opere, la persona del Visitatore. « Ti raccomando -
scriveva a don Candela - di usarti i riguardi dovuti alla salute »;
« abbine cura, facendo anche le spese necessarie e prendendoti, di
quando in quando, giorni di riposo » .
189

20.10 Page 200

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L'esortazione caratteristica però era quella che gli veniva dal
cuore e fotografava l'uomo: « Cura di trattare i confratelli con tale
bontà, che si sentano uniti al centro: vis unita fortior. E la nostra
forza viene dalla carità ».3
.,. .,. ,)
Le raccomandazioni ai visitatori sono l'espressione viva del Ser-
vo di Dio neHe sue visite alfa Congregazione.
Don Rinaldi - almeno nella tarda età - non era fatto per
grandi viaggi. Né d 'altronde convenivano prolungate assenze da
Torino, in tempi che furono - come si è potuto intravedere -
di crescita e di molteplici attività.
Eppure, nei primi anni di rettorato, il Servo di Dio si sobbarcò
anche alla fatica delle visite in Italia e in alcuni paesi d'Europa.
Cominciò nel febbraio-marzo del 1923 con la Sidlia, dov'era
stato da prefetto generale nel 1916 per incarico di don Albera.
A Palermo visitò le opere di Salesiani e Figlie di Maria
Ausiliatrice, trattò con autorità civili e religiose, tenne conferenze
ai cooperatori, diede udienze a confratelli e a amici della Società.
Altrettanto fece a Marsala, Trapani, Alì Marina, Messina e Taor-
mina. Dovunque il pubblico salesiano era scosso da fremiti d'entu-
siasmo e si stringeva al nuovo successore di don Bosco, che a tutti
dava l'impressione di grande bontà d'animo e di ricchezza interiore.
Il 19 febbraio giungeva a Randazzo, culla dell'opera salesiana
in Sicilia; quindi passava a Catania, sede ispettoriale, per prose-
guire verso Caltagirone e Modica. Da Modica scriveva al suo vica-
rio: « Il mio viaggio volge al termine. Nelle case si fa molto del
bene ed aleggia buono spirito. Abbiamo tenuto cinque convegni di
numerosi decurioni e buoni sacerdoti. La ,difficoltà più grande è di-
fendersi dalle domande di nuove case. .. Ci vogliono in tutte le
città » .4
Le ultime tappe furono: Acireale e Trecastagni, per le Figlie di
Maria Ausiliatrice; Pedara e San Gregorio, per i Salesiani. Vanno
aggiunte, sulla via del ritorno, le case di Napoli e Roma.
Di tutto il lungo giro il Servo di Dio si compiaceva nella circo-
lare del 24 aprile, primo anniversario della sua elezione. « Mi è di
somma consolazione - diceva - il costatare che lo spirito del Ve-
nerabile Padre è vivo nel cuore dei figli, perché ciò mi assicura di
quei maggiori frutti di bene per la gioventù e le famiglie cristiane,
che la nostra Società è destinata a portare, e che io ho la grave re-
190

21 Pages 201-210

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21.1 Page 201

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sponsabilità di perseguire con la parola e l'azione, mediante tutte le
mie forze ».5
* ~' *
Nell'autunno del 1923 fu a Venezia e Trieste; e di ritorno, a
Gorizia, Conegliano Veneto, Mogliano, Chioggia, Treviglio e Milano.
La Gazzetta di Venezia scrive che egli parlava ai giovani e alla
gente del popolo « con quella dolcezza e geniale attrattiva, che è
segreto mirabile dello spirito salesiano »; mentre Vita Nuova di Trie-
ste, sullo stesso tema, diceva che il Rettor Maggiore dei Salesiani
parlava « in maniera semplice, come usava Gesù con le turbe ».
Dappertutto - assicura Vita Nuova - la figura di don Rinaldi,
umile più che maestosa, lasciava « una soave onda di bene » .6
Confratelli, alunni, ex-alunni, cooperatori, Figlie di Maria Ausi-
liatrice, scoprivano nel Servo di Dio una ricchezza spirituale che
superava assai la dignità che ricopriva. Non diremo che si scorgeva
in lui il santo, ma !l'uomo della bontà, .della mitezza, dell'affabilità,
della facile e costante unione con Dio.
***
Nel 1924 si recò solo a Bologna, onde presiedere un congresso
di oratori festivi , che egli stesso aveva indetto. Nella seduta finale
approfittò per suggerire l'incontro e la collaborazione fra oratori e
circoli, come già avveniva - per suo merito - negli oratori ma-
schrle e femminile di Valdocco in Torino.
In aprile e maggio del 1925 percorse l'Emilia, le Marche e l'
Umbria. Rivide Bologna e visitò Rimini , San Marino, Ancona, Porto
Recanati, Macerata, Gualdo Tadino, Trevi, Cannara e Perugia, por-
tando con la sua paterna presenza quella parola calda e affettuosa
che gli conquistava gli uditori più svariati. L'ispettore che lo accom-
pagnava poté affermare: « Fu sempre meraviglioso ».7 Il 5 maggio,
in San Pietro, assisteva alla solenne Beatificazione di Giuseppe Ca-
fasso, direttore e guida di don Bosco; mentre col pensiero e col
cuore pregustava la gioia di vedere presto lo stesso don Bosco ele-
vato alla gloria degli altari.
In autunno, con breve sosta a Vienna, don Rinaldi volle spin-
gersi in Polonia, dove l'opera salesiana era in forte ascesa. Visitò
Oswiecim, G6dz, Varsavia, Vilno, Cracovia e le altre case dell'
ispettoria, senza trascurare come era sua consuetudine, le opere
delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
191

21.2 Page 202

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Nel ritorno visitò le case dell'Ungheria e della Baviera, allie-
tandosi del bene che ovunque si faceva. La sua non era una visita
canonica nel senso stretto, ma un contatto paterno con 4a realtà
salesiana in paesi che fronteggiavano la società del dopoguerra, con
problemi di ripresa in campo educativo e cristiano.
Dappertutto don Rinaldi era accolto a festa, ammirato e ascol-
tato con venerazione. Per chi non sapeva l'italiano - e non erano
in molti - le ,sue parole venivano tradotte, in modo che ognuno
sentisse di aver attinto al cuore del superiore e padre :lo spirito del
Fondatore.
Nel noviziato di Ensdorf, in Germania, il Rettor Maggiore ri-
cordò in particolare i:l sogno nel quale don Bosco vide avanzare
verso la sua persona giovani di paesi lontani, con pellicce indosso e
alti gambali. E si disse felice di aver benedetto in quel viaggio la
divisa chiericale a circa 200 futuri salesiani, tra polacchi, unghe-
resi e tedeschi, dai quali poteva dipendere il progresso della Con-
gregazione nelle regioni detl'Europa centro-orientale.
***
Nel 1926 don Rinaldi visitò Marsiglia e il mezzogiorno della
Francia, e specialmente la Spagna, che aveva sempre portato nel
cuore, con i ricordi di un passato per lui indimenticabile. Vi trovò
42 case dei Salesiani e 16 delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Im-
possibile 5eguirlo nei lunghi e complessi itinerari, che 1o portarono
per regioni e città in gran parte conosciute.
Gli fu compagno don Candela, il quale dichiara: « Nel corso di
questa visita, che durò dal 4 febbraio al 14 di aprile, fui testimone
edificato dell'operosità non comune del Servo di Dio. Giornate pie-
ne, Je ,sue: ricevimenti, ,discorsi, visite, conferenze, colloqui perso-
mdi, affari e problemi da esaminare e risolvere... Don Rinaldi era
instancabile e si prestava a tutto e a tutti con estrema bontà, sem-
pre calmo, uguale a se stesso; nel suo cuore paterno sapeva trovare
la parola opportuna che tutti lasciava soddisfatti, e al tempo stesso
pieni di ammirazione e venerazione per lui. Il viaggio - lo possia-
mo capire - fu un trionfo dappertutto. Benefattori, cooperatori, ex-
allievi in gran numero; autorità civili, militari, ecclesiastiche, clero
secolare e regolare, ricchi e poveri, accorrevano a salutare il suc-
cessore di don Bosco ».8
Due particolari non si possono omettere. A Cadice lo scrittore e
poeta Giuseppe Maria Peman in un alato discorso affermò che « nel-
192

21.3 Page 203

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la persona di don Rinaldi si venerava non un grande della terra
ma del cielo » .9 Segno che la santità del Servo di Dio, pur se na-
scosta sotto il manto dell'abituale modestia e bonomia, non sfuggiva
all'occhio perspicace di chi sapeva osservare.
Il secondo partico'lare è un incontro con il re Alfonso XIII,
che lo invitò a palazzo per un colloquio, nel quale si interessò alle
opere salesiane della Spagna, pregandolo poi che la Congregazione
facesse qualcosa per« la pacificazione catalana ».10
Nel tardo autunno don Rinaldi ripigliava il treno per Toscana,
Lombardia e Jugoslavia, sempre atteso, desiderato e acclamato dai
suoi figli, che ovunque si accorgevano di avere in Don Rinaldi un
padre più che un superiore.
***
Negli anni successivi la salute non gli permise più strapazzi:
scendeva a Roma per circostanze particolari; nell'inverno del 1928
volle spingersi in Campania e nelle Puglie; ma per lo più dovette
accontentarsi di brevi comparse qua e là, specialmente in Piemonte,
tra Sa!lesiani e Figlie di Maria Ausiliatrice, che sovente vedevano
con sgomento il buon padre avviarsi alla fine.
Nel 1926 aveva compiuto settant'anni e la salute non era più
florida come in passato. Don Ricaldone ricorda che in certi tempi
don Rinaldi ebbe« salute assai cagionevole »; 11 ma qui è da aggiun-
gere che il Servo di Dio non voleva troppi riguardi: « Non mi son
fatto salesiano e sacerdote - diceva - per aver cura della mia
salute ».12 La vista si era indebolita, e il cuore gli causava affanni e
insonnie. Erano i mali delila prima giovinezza che riaffioravano con
tutti gli incomodi. « Negli ultimi anni della sua vita - osserva don
Ricaldone - si temeva che potesse mancare da un momento all'
altro ».13
Anzi è don Ricaldone a informare che don Rinaldi quando vide
affievolirsi le forze « ebbe il pensiero di rinunciare alla carica, pre-
sentando le dimissioni alla Santa Sede ».14
La Provvidenza tuttavia lo conservò al suo posto sino alla fine,
pure se con qualche evidente sacrificio, perché il Servo di Dio vo-
leva accontentare i figli come gli dettava il cuore. « Ricordo -
narra appunto don Ricaldone - che verso la fine una volta era
già uscito di camera con la valigia per recarsi in Sicilia. H medico
presente gli osservò che in coscienza non poteva permettergli quel
viaggio. Don Rinaldi fece capire che si trattava di impegno preso e
193

21.4 Page 204

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gli pareva di stare discretamente. Il medico insistette: e il Servo di
Dio ubbidì ».15
Viaggiare non fu mai caratteristica della persona e dell'attività
di don Rinaldi, tranne che durante l'ispettorato di Spagna, quand'
era in buona età; vi si era adattato da rettor maggiore per dovere e
amore ai figli che gli era dato raggiungere, senza abbandonare trop-
po il governo centrale della Congregazione, tenuto sempre salda-
mente nelle mani. Il monito di don Bosco ch'egli da Torino avrebbe
mandato gli altri in paesi lontani, fu sempre il criterio che don Ri-
naldi seguì anche al tempo degli spostamenti in Italia e in alcuni
paesi d'Europa.
***
Stando a Torino egli seguiva e incoraggiava attività e avveni-
menti, che oltrepassavano il governo ordinario della Società. Meri-
tano un cenno, pur fugace, l'impegno e la costanza messi nel pro-
pagare il culto al Sacro Cuore e a Maria Ausiliatrice, e la tenacia
nel richiamare e confermare tra i responsabili più qualificati della
Congregazione lo spirito salesiano.
Si deve a don Rinaldi il primo Congresso Nazionale del Sacro
Cuore tenutosi a Casale Monferrato nell'ottobre del 1922, al mo-
mento di inaugurarsi in quella città il tempio che i confratelli ave-
vano eretto in onore del Sacro Cuore. Egli lo presiedette e diresse
con quella accortezza e sagacia che gli venivano dall'esperienza; e
seppe mettere in chiara luce quanto la devozione al Cuore di Cristo
aiuti l'educatore nei suoi compiti formativi della gioventù. « Qui
pure - diceva ai confratelli - ho ammirato la bontà squisita e lo
zelo ardente dei nostri Cooperatori per tutte le iniziative che mi-
rano al bene della gioventù » . Perciò gli pareva che il Congresso
fosse destinato a trasformarsi in « radice di numerosi altri congres-
si in avvenire ».16
Don Rinaldi ebbe ragione. Durante il suo rettorato tre altri Con-
gressi Nazionali del Sacro Cuore si organizzarono in America pres-
so chiese salesiane dedicate al Sacro Cuore. Chi scrive ricorda di
aver partecipato a quello di Bahìa Bianca in Argentina nel 1924.
Don Rinaldi ne avrebbe voluto un quinto a Roma nel 1930, al
compiersi il cinquantesimo della prima casa, che don Bosco aprì in
città nel 1880, vicino all'erigenda basilica del Sacro Cuore; ma altri
avvenimenti lo distolsero dal progetto.
194

21.5 Page 205

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Per il Servo di Dio ogni occasione era buona per destar fervo-
re e rafforzar tradizioni di famiglia, con allusione a sogni e previ-
sioni di don Bosco.
Così nell'ottobre del 1924 ricordava ai confratelli il prossimo
venticinquesimo della consacrazione che don Rua aveva fatto al Sa-
cro Cuore dell'intera Congregazione, e si domandava: « Perché
neJrl'Anno Santo - 1925 - non chiamare tutti i miei confratelli e
figliuoli a ripetere ... la consacrazione solenne al Cuore di Gesù,
proclamandolo un'altra volta l'unico Sovrano dei nostri cuori, delle
nostre case, di tutta la Congregazione? ».17
Allo stesso modo volle che nel corso del 1925 si ricordasse il
centenario del primo sogno di don Bosco: « Rileggiamo insieme, o
miei carissimi - diceva - la pagina scritta da don Bosco per no-
stro ammaestramento... Rileggiamola con venerazione e fissiamoce-
la in mente parola per parola: essa ci descrive evangelicament0
l'origine soprannaturale, la natura intima e la forma specifica della
nostra vocazione. Più si legge e più diventa nuova e luminosa ».18
Del sogno dei nove anni - 1824 - don Rinaldi asseriva nella
circolare del 24 dicembre 1924: « I:: la sintesi del metodo educativo
lasciatoci in eredità dal nostro Venerabile Padre; è la voce del Cuo-
re di Gesù che ancora una volta parla agli uomini ».19
Tra le imprese materiali che il Servo di Dio avviò a soluzione
ci fu l'ingrandimento e l'abbellimento del santuario di Maria Au-
siliatrice, che da prdetto generale aveva curato con sommo inte-
resse « anche nelle minime cose riguardanti il culto e la liturgia » .'J
Don Ricaldone che fu l'erede e l'esecutore del pensiero di don Ri-
naldi, così ne parla: « Ebbe vivissimo il desiderio di ampliare la
basilica di Maria Ausiliatrice. Me ne parlò ripetutamente e ne trat-
tò in Consiglio. Di sua iniziativa fece preparare un progetto dal!'
architetto Ceradini. Lo studiò. Lo fece rifare e finalmente presentò
la proposta al Consiglio. La discussione fu lunga, non mancando
- in Consiglio e fuori - coloro ai quali non sembrava opportuno
toccare il monumento che don Bosco aveva innalzato alla Madonna.
Da ultimo il progetto fu approvato; ma don Rinaldi non poté met-
terlo in esecuzione »: 21 la morte lo rapì avanti che si iniziassero i
lavori. Il fatto però dimostra quanto il Servo di Dio fosse lungimi-
195

21.6 Page 206

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rante nelle sue vedute e nel governo, anche in questioni puramente
edilizie o materiali.
Altrettanto avvenne si'a per il trasferimento dell'Istituto Teolo-
gico Internazionale da Foglizzo a Torino, dove si formarono centi-
naia di confratelli ed ebbe inizio l'attuale Pontificio Ateneo Sale-
siano di Roma; sia per il tempio di Maria Ausiliatrice in Roma,
sulla via Tuscolana, del quale riuscì solo a porre la pietra ango-
lare nel 1929 e ad avviare l'annesso istituto Pio Xl con scuole pro-
fessionali.
Don Rinaidi era uomo di spirito, ma oamminava coi piedi per
terra. Sapeva cogliere necessità e convenienze; e guardava lontano
secondo linee sicure di sviluppo. Lasciava ai competenti le attua-
zioni pratiche e non interferiva in questioni tecniche; non mancav3
tuttavia di dire la sua parola prima che problemi materiali fossero
decisi al bene della Società o delle anime.
***
Quale tutore dello spirito nella Famiglia salesiana, in due distin-
ti convegni, radunò a Valsalice nel 1926, gl'ispettori e direttori d'
Europa, dal 18 al 24 luglio; e quelli d'Italia dal 22 al 28 agosto,
« per raccomandare l'osservanza religiosa, la cura delle vocazioni e
la formazione del personale ».22 « Il mio cuore gioisce fin d'oi-a -
scriveva il 24 giugno - pensando a questi convegni di famiglia,
sia per i vantaggi che ne deriveranno all'amata Congregazione, sia
perché a un padre è sempre dolce rivedere i figli che vivono da lui
lontani ».23
E il 24 settembre informando che ai due convegni erano inter-
venuti « circa trecento direttori e venticinque ispettori », oltre i
membri del Consiglio, esprimeva compiacimento e soddisfazione .::
si augurava che tali fraterni e fecondi incontri si rinnovassero an-
che« in avvenire ».24
Nel 1927 convocò infatti, sempre a Valsalice, accanto alle tom-
be di don Bosco, di don Rua e di don Albera, tutti i direttori e in-
caricati di oratori festivi d'Italia e d'Europa, per un corso di ,esercizi
e giornate di convegno su problemi riguardanti fa vita oratoriana
secondo gl'indirizzi e le « tradizioni » ·del Fondatore.25
Chiudendo il convegno don Rinaldi esortava: « Lasciate che vi
proponga don Bosco a modello di ogni attività propria degli oratori
festivi. Nella sua vita si trova il programma per oratori modesti e
grandiosi: egli cominciò ai Becchi di Castelnuovo e finì a Valdocco
di Torino ».26
196

21.7 Page 207

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* '~ *
Don Rinaldi - risulta chiaro - non si accontentò di ammini-
strare la Congregazione, tanto meno di ricevere ossequi ed onori.
Volle essere fa presenza viva del Fondatore, con uno zelo che è
prova di santità. Dal passato il Servo di Dio traeva ispirazione per
i tempi nuovi. Ogni momento e circostanza delle origini lo facevano
trasalire e davano sostanza e spinte alle sue costanti e indovinate
esortazioni.
A Torino, in Italia e nel mondo; in viaggi ed opere; con estranei
e confratelli; con piccoli e grandi; in circolari e discorsi; in privato
e in pubblico, don Rinaldi voleva essere il custode di un patrimo-
nio che arricchiva tutti, e che pur con i necessari adattamenti biso-
gnava conservare nella sua integrità e purezza di espressione, per
dovere di fedeltà alla Chiesa, alla Congregazione, alle anime.
Forse fu il Rettor Maggiore che nel suo operare maggiormente
visse e trasmise l'assillo dello spirito e della vitalità salesiana comi:!
sgorga alla sorgente.
Note
1 Summ., 173, 600.
2 Summ., 176, 609-610.
3 Summ ., 185, 645-646.
4 C ERIA E., 354 .
' Atti, 74.
6 C ERIA E., 357-358 .
7 C ERIA E., 360.
8 Summ., 167, 578-579.
9 Summ., 168, 582 .
10 Summ. , 169, 584.
11 Summ ., 273, 952.
12 Summ. , 283, 990.
13 Summ. , 294, 1037.
14 Summ ., 293, 1023.
15 Summ. , 293, 1030.
16 Atti, 39.
11 Atti, 311.
" Atti, 313.
" Atti, 333.
20 Summ., 279, 975.
21 Summ., 282, 985 .
22 Summ. , 192, 671.
23 Atti, 459 .
2• Atti, 472-473.
" Atti, 564-565; 589.
26 Atti, 615.
197

21.8 Page 208

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21
PER LE FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE
Don Rinaldi ebbe il dono dell 'apostolato femminile. Avrebbe po-
tuto fare per trent'anni il superiore ,che sta a tavolino e pensa ai
doveri dell'ufficio: tanto più che i compiti affidatigli al ritorno dalla
Spagna erano a raggio mondiale.
Fare il superiore, fin dai primi tempi del sacerdozio, non fu mai
il progetto unico ed esclusivo della sua vita. L'apostolato, nelle sue:
diverse forme, lo affascinò, lo travolse e non gli diede pace.
Per circostanze particolari - come si è visto - il solco apertosi
dinanzi a lui, desideroso di lavorare in mezzo alle anime, furono il
confessionale e l'oratorio femminile di Valdocco. Non si sarebbe
immaginato che all'uomo schivo e modesto che appariva, corrispon-
dessero un cuore e una mente di apostolo quali si manifestarono
gradualmente, a misura che il Servo di Dio andava conoscendo le
persone e si rendeva padrone del campo che dissodava .
,;: * *
Il passaggio dalle oratoriane alle Figlie di Maria Ausiliatrice,
incaricate dell'oratorio e addette alla casa, era più che normale.
Avvenne anche in forza della sua qualità di prefetto generale e vi-
cario di don Rua e don Albera. Una occupazione portava all'altra.
Non era possibile attendere alle ragazze e trascurare la comunità,
anzi l'Istituto, che attraversava momenti scabrosi della sua storia.
La teste suor Genghini ha cura di metterlo in evidenza nelle su.::
dichiarazioni processuali: « Al tempo stesso che svolgeva la sua
attività nell'oratorio - essa dice - si occupava con sollecitudine
della direzione e formazione delle suore, a loro richiesta o su man-
dato del Rettor Maggiore ».1
Altrove si è accennato all'opera svolta nella stessa casa genera-
lizia di Nizza Monferrato in ore di incertezza per l'avvenire e la
vitalità interna della fondazione.
198

21.9 Page 209

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L'elezione quindi a Superiore Generale mise don Rinaildi in
condizioni d'intervenire più frequentemente e d'autorità nella guida
spirituale delle Figlie di Maria Ausiliatrice, le quali gli portarono
singolare affetto e v,enerazione. Osserva in proposito suor Graziano:
« Il Servo di Dio considerava l'Istituto delle Figlie di Maria Ausi-
liatrice come sacro deposito che la Provvidenza e don Bosco gli
avevano affidato, quale seconda grande Famiglia salesiana ».2
***
Nel frattempo lo stato giuridico dell'Istituto verso la Società Sa-
lesiana aveva registrato una consolante schiarita. Con la piena auto-
nomia concessagli dalla Santa Sede si era paventato che, sottratt8
alla direzione dei successori di don Bosco, insensibilmente si potesse
allontanare dallo spirito del Fondatore. Il che costituiva un rischio
« specialmente all'estero - dice suor Genghini - dove don Bosco e
le sue opere non erano ancora abbastanza conosciute ».3
È certo ad ogni modo che l'avvenuta separazione ,disciplinare ed
amministrativa non distolse l'Istituto delle Figlie di Maria Ausilia-
trice dai suoi legami spirituali con la Congregazione Salesiiana. Si
potrebbe perfino asserire che la persona e l'opera di don Rinaldi
valsero a mantenere vincoli di rispettosa dipendenza e di attesa fi-
duciosa nell'avvenire.
Pur restando in ombra, com'era suo solito, egli fu il grande
mediatore che riuscì a preparare tempi nuovi. Infatti nel 1917, die-
tro interessamento del cardinal Cagliero, che nutriva stima per don
Rinaldi, ed era stato direttore delle Figlie di Maria Ausiliatrice in
Mornese, ai tempi della confondatrice madre Mazzarello, Benedetto
XV nominava il Rettor Maggiore don Albera Delegato Apostolico
dell'Istituto, per la guida spirituale e la conservazione della sua
identità.
Con un pizzico perciò di bell'ironia il biografo don Ceria scri-
ve: « L'elezione di don Rinaldi - a Rettor Maggiore-, se incon-
trò il plauso dei Salesiani, mandò in visibilio le Figlie di Maria
Ausiliatrice, che direttamente o per sentito dire, sapevano quanto
egli amasse, e non solo a parole, il loro Istituto » .4
« Eletto Rettor Maggiore - conferma suor Genghini - il Servo
di Dio continuò ad oocuparsi con grande bontà e paterna solleci-
tudine del nostro Istituto ».5
Anche don Ricaldone, scendendo al conci,eto, sia pure per som-
mi capi, dichiam: « Il Servo di Dio spiegò zelo tutto particolare per
199

21.10 Page 210

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l'Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Le sue visite alle case di
formazione, i suoi frequenti contatti con le Madri del Consiglio,
gli esercizi dettati a ispettrici e direttrici, le riunioni da lui presie-
dute e le norme date in molte circostanze, furono per esse una vera
provvidenza e le aiutarono a fiorire in Italia e nel mondo ».6
***
A riprova di tutto ciò basterebbe annotare che dal 23 luglio
1922 ,al 9 giugno 1927, in cinque anni, il Servo di Dio si recò ven-
tidue volte alla casa generalizia di Nizza Monferrato: 7 in media più
di quattro volte all'anno.
La prima visita, nella doppia qualità di Superiore Generale dei
Salesiani e Delegato Apostolico dell'Istituto, fu dal 23 al 25 luglio
1922, tre mesi dopo l'elezione.
Quell'anno il'Isti:tuto festeggiava il cinquantesimo della fondazio-
ne, avvenuta con la presenza di ,don Bosco a Mornese nel 1872.
Fin dal 24 maggio don Rinaldi aveva indirizzato alla Superiora
madre Caterina Daghero una lunga lettera celebrativa. In essa, ricor-
dando che l'Istituto doveva essere un monumento vivo della rico-
noscenza di don Bosco a Maria Ausiliatrice, esortava le suore a ri-
vivere lo spirito di umiltà, di candore, di povertà e semplicità che il
Padre aveva loro infuso.
Conchiudendo il Servo di Dio diceva a madre Daghero: « Que-
sti sono i pensieri che il povero rappresentante di don Bosco vorreb-
be trasfondere neHe Figlie di Maria Ausiliatrice, perché il monu-
mento del Padre abbia a prendere nel mondo le proporzioni che
egli si era proposto ed acquisti quella bellezza che l'amore alla
Madonna gli aveva ispirato ».8
Balza chiaro che, tra le Figlie di Maria Ausiliatrice, non meno
che tra i Salesiani, il Servo di Dio, fedele al suo programma di vita
e di governo, non portava se 'stesso bensì la missione di cui era
investito.
***
Le feste monferrine per il cinquantesimo dell'l,stituto ebbero
due momenti: uno in luglio, l'altro in agosto. Don Rinaldi prese
parte a entrambi.
Al primo, chiudendo un corso di esercizi e trattenendosi a lungo
con i membri del Consiglio, in vista del prossimo capitolo generale.
Al cordiale sa:luto della comunità in festa attorno alla sua venerata
200

22 Pages 211-220

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22.1 Page 211

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persona: « Mi avete chiamato padre - osservò - , e come tale vi
chiedo, quale frutto degli esercizi, la pratica di indulgente bontà
verso le sorelle ».9
In agosto invece rievocò la data cinquantenaria e la figura di
madre Mazzarello, e predicò l'ora santa, « con espressione - si
legge in una nota di cronaca - di padre e di santo ».10 Don Rinaldi
sapeva toccare le corde del cuore, e manifestare ardore di fede e di
pietà: e il pubblico avvertiva la ricchezza della sua non comune
vita interiore.
Parlò anche ,all'accademia di circostanze, illustrando il compito
di Delegato Apostolico, rinnovatogli in quei giorni dalla benevo-
lenza di Pio Xl. « Il cuore - disse - sente che siete figlie, e che
mi aiuterete rendendo più facile l'ufficio che mi è affidato ». Accen-
nando poi ai membri del Consiglio Superiore salesiano: « I miei
confratelli - esclamò con vigore - vi vogliono bene. Non sempre
possono trovarsi in mezzo a voi; ma vegliano, cooperano e sono
pronti a fare il possibile in favore delle nostre opere, di cui il vo-
stro Istituto è gran parte ».11
Don Rinaldi intervenne anche al convegno regionale dei Coo-
peratori, culminato il 15 agosto con l'incoronazione della Madonna
delle Grazie per mano del cardinal Cagliero. A Nizza non si era
mai visto nulla di così imponente e grandioso.
***
In settembre don Rinaldi presiedette il Capitolo Generale, che
integrava le celebrazioni cinquantenarie dell'Istituto. Con bontà
ascoltò, durante gli esercizi, ispettrici e delegate che dovevano pren-
dervi parte, e si interessò al bene individuale di ciascuna e ai pro-
blemi delle opere •che rappresentavano.
Allargando lo sguardo anche al Capitolo del 1928 suor Genghini
dichiara: « In qualità di Delegato Apostolico presiedette due Capi-
toli Generali dell'Istituto: l'uno nel 1922, l'altro sei anni dopo; e in
entrambi i casi diede prova di bontà paterna e grande praticità.
« Su ogni argomento in discussione - prosegue suor Genghini
- non solo egli lasciava che le Capitolari esprimessero in piena
libertà il loro pensiero, ma anche interrogava onde si avesse mag-
gior fadlità di interloquire. Illustrava le proposte, ed era tale il
prestigio di cui godeva, che le decisioni rispecchiavano il suo pen-
siero ed apparivano le migliori e più opportune in favore dell'Isti-
tuto .
201

22.2 Page 212

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Al termine delle sedute riassumeva con chiarezza gli argomenti
tvattati, e quasi sempre insisteva sui temi dell'unità e carità, secondo
lo spirito di don Bosco ».12
Anche il biografo don Ceria assicura che partecipando alle as-
semblee capitolari delle Figlie di Maria Ausiliatrice il Servo di Dio
« appoggiava il suo dire all'autorità di don Bosco; sebbene tvaesse
molto dal suo buon senso illuminato dall'esperienza e dalla ca-
rità ». 13
Due stralci dai numerosi discorsi di don Rinaldi in quelle gior-
nate del 1922 meritano sottolineature, come fonti che aiutano a
capire i sentimenti del suo animo portato all'ottimismo e a una smi-
surata bontà.
Incoraggiando le Capitolari a non fermarsi sui difetti delle per-
sone, ma ,a guardare al gran bene che si faceva nell'Istituto: « Sap-
piate apprezzare e rilevare - inculcò - tutto il bene che si fa
nelle vostre case. Vi confesso che, quanto a me - alludeva senza
dubbio alla casa di Valdocco - vi ho trovato maggior perfezione
che non credessi. C'è pietà, carità, desiderio di progr,edire e di lavo-
rare per le anime ».14 Era il più bel riconoscimento alle ignote ma
assidue collaboratrici di tanti anni di lavoro umile e nascosto, che
gli aveva dato le più belle soddisfazioni.
Alla chiusura poi del Capitolo affermò con solennità: « Venendo
a Torino, venite alla casa del padre. Ricordate che il Superiore dei
Salesiani è anche il padre delle Figlie di Maria Ausiliatrice ».15 Non
si poteva essere più espliciti né meglio esprimere il cuore di don
Bosco verso le sue figlie spirituali, in un momento che era tutto
una promessa per l'Istituto.
Perciò nella circolare del 24 ottobre 1922, rinnovando e confer-
mando quanto per parte sua aveva fatto don Albera, invitava gl'
ispettori a pJ.1estare, nell'ambito delle rispettive giurisdizioni, ogni
cura spirituale alle case delle Figlie di Maria Ausiliatrice. « È opera
- diceva - del nostro padre don Bosco, e noi dobbiamo aiutarla
a raggiungere la perfezione e la santità », implicite nella Delegazione
Apostolica del Papa al Rettor Maggiore ,della Congregazione.16
Le suore non scordarono l'invito di don Rinaldi, e durante il suo
rettorato non furono poche ad avvicinarlo in ufficio durante le ore
202

22.3 Page 213

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di udienza. Il Servo di Dio accoglieva, ascoltava, diceva parole di
luce e di conforto. A qualcuno sembrò persino esagerata la sua
condiscendenza verso le Figlie di Maria Ausiliatrice che si succede-
vano nell'anticamera del Rettor Maggiore; qualcuna forse abusò
della sua longanimità e pazienza, non considerando il lavoro che
pesava sulle spalle di don Rinaldi: ma il Servo di Dio tenne fede
alle parole dette e non smentì l'impegno di essere padre con chi
bussava alla sua porta.
Del resto, come si è visto, anche nei viaggi in Italia e all'estefù
il Servo di Dio non mancò mai di rallegrare le case e le opere delle
Figlie di Maria Ausiliatrice con la sua incoraggiante presenza.
La casa e l'oratorio di Valdocco evidentemente ebbero sempre
le sue predilezioni, come pure noviziati e case di formazione.
Non a torto suor Genghini informa ai processi: « Il Servo di
Dio si diede pensiero che nei noviziati vi fosse uniformità di indiriz-
zo. Suggerì pertanto che si organizzasse un convegno in proposito...
Lo si tenne poi a Torino, nella casa Madre Mazzarello di Borgo
San Paoilo dal 1° al 4 giugno 1925, e fu lui a presiederlo... Le con-
clusioni - asserisce suor Genghini - rivelano il suo spirito pra-
tico e recano l'impronta delle direttive ch'egli impartiva ».17
Nel 1924, a soli due anni dalla rielezione, moriva madre Daghe-
ro, che aveva governato l'Istituto per quarantatré anni. Don Rinaldi
suggerì uno straordinario ricorso alla Santa Sede; e per suo inte-
ressamento, dopo consultazioni segrete, fu nominata madre Luisa
Vaschetti fino al regolare Capitolo del 1928.
Il Servo di Dio si interessò anche alla preparazione del Manuale
o Regolamento delle Figlie di Maria Ausiliatrice, che si pubblicò
con sua pr,esentazione nel 1929. Diceva: « Mi par conveniente pub-
blicare e consegnare alle suore il nuovo Manuale proprio neil:l'anno
della beatificazione del nostro Padre, come dono che viene dalle
sue sante mani ».18
Patrocinò infine il trasferimento della casa generalizia dell'Isti-
tuto da Nizza a Torino-Valdocco. « Col tempo - aveva detto don
Bosco nel 1885, trovandosi a Nizza, - sarete a Torino ».19 Se n'era
parlato fin dal 1925 . Don Rinaldi temporeggiò; ma nel 1929, d'in-
tesa con lui e con l'approvazione di Roma, la Madre Generale con
il suo Consiglio prendeva stabile dimora all'ombra del santuario di
Maria Ausiliatrice, proprio ne'1'la casa dove don Rinaldi aveva speso
le più belle energie.
203

22.4 Page 214

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***
Don Rinaldi inoltre promosse ed ebbe a cuore la Causa di ma-
dre Mazzarello, alla quale non senza motivo la Santa Sede conferì
il titolo di confondatrice dell'Istituto. Intuiva il Servo di Dio che la
santità della prima Figlia di Maria Ausiliatrice avr,ebbe contribuite>
a irrobustire la spiritualità di ragazze, suore e novizie. Come al soli-
to non fece direttamente, ma spinse e favorì, scegliendo persone
adatte all'impresa, e richiamandosi spesso agli esempi e insegna-
menti dell'umile Figlia di Maria divenuta pietra angolare di nuova
e promettente fondazione.
Fu poi tenace il lavoro svolto dal Servo di Dio perché tra le
Figlie di Maria Ausiliatrice divampasse il fuoco missionario che il
suo zelo aveva suscitato fra i Salesiani.
« Non si può avere missioni senZia suore - gli aveva detto Pio
XI - . Anzi - aveva insistito il Papa - occorrono più suore che
° missionari ».2 Forte del qual pensiero don Rinaldi giunse a dire:
« Senza suore non si può convertire un paese ».21
Fin da principio del rettorato, quindi, H Servo di Dio sognò che
le Figlie di Maria Ausiliatrice potessero fare per il mondo femmi-
nile ciò che egli avev·a fatto ad Ivrea per quello maschile.
Anche se l'Istituto era nato missionario, proprio in rapporto alla
persona di don Cagliero e per i suoi inviti a trasferirsi in America;
e quantunque le Figlie di Maria Ausiliatrice si fossero affiancate ai
primi salesiani penetrati nella Patagonia e nel'la Terra del Fuoco,
nonché in altri paesi sudamericani, la strada non fu senza difficoltà.
Don Rinaldi non si scoraggiò. Sostenuto dal suo zelo per le mis-
sioni, portò avanti la battaglia, chiarendo in svariate occasioni il suo
pensiero e programma. Pose all'Istituto il problema delle vocazioni
tipicamente missionarie; ottenne che si diffondesse in tutti i modi
l'idea missionaria; illustrò i punti essenziali per una soda prepara-
zione missionaria; e insistette perché nessuna considerazione umana
sbarrasse la via a chi optava per le missioni. Anzi nella sua chiaro-
veggenza il Servo di Dio prospettava il problema delle vocazioni
indigene per meglio raggiungere i fini dell'apostolato.
Quanto abbia visto giusto lo dimostrarono i fatti nel volgere di
pochi decenni, specialmente nelle missioni d'Oriente, dove sotto
l'egida salesiana sorsero famiglie religiose femminili in appoggio
all'opera evangelizzatrice dei figli di don Bosco.
Gli istituti o case missionarie presso le Figlie di Maria Ausiliatri-
ce in Italia nacquero più tardi, ma è fuori ,dubbio che don Rinaldi
per primo aveva sparso il seme.
204

22.5 Page 215

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***
Suor Graziano, ad esempio, assicura che a Valdocco sin dal
1922 don Rinaldi avviò fra le oratoriane l'Associazione Gioventù
Missionaria, che si diffuse poi in molte case. « Le ascritte - osser-
va - tenevano contatti con suore missionarie: il che rendeva più
sensibile ed efficace il loro amore per le missioni ».22 Anche nei
noviziati il tema delle missioni tornava sovente nelle visite e nei
discorsi del Servo di Dio, il quale animava alla preghiera e al sa-
crificio per impetrare da Dio rl progresso del'l'evangelizzazione nel
mondo e l'aumento delle vocazioni missionarie tra la gioventù fer-
vida e generosa.
Una statistica consolante. Dal 18 agosto 1922 al 22 ottobre
1931, durante il rettorato di don Rinaldi, partirono da Torino per
le missioni - alcune delle quali interamente nuove - 613 Figlie di
Maria Ausiliatrice. Di esse 450 erano al primo viaggio e 163 torna-
vano sul campo del lavoro dopo un soggiorno in patria.
Anche qui don Rinaldi era stato l'esecutore fedele del disegnJ
e vaticinio di don Bosco: « Tu starai qui a mandare gli altri».
,., * *
A chiusura del capito'lo giova mettere un particolare -che dimo-
stra la stima e la fiducia di Pio XI nel Delegato Apostolico per le
Figlie di Maria Ausiliatrice.
In uno scritto del 7 gennaio 1930 madre Luisa Vaschetti
relazione di una sua udienza presso il Papa. « Avendo accennato
- scrive - a un argomento particolare, il Santo Padre mi guardò
un momento e disse: " Rivolgetevi a don Rinaldi ". In quel mo-
mento - soggiunge madre Vaschetti - mi sentii doppiamente fe-
lice, petché negli oochi di Pio XI lessi quanto grande fosse la stima
per il nostro Superiore, e quanta fiducia riponesse nel suo consi-
glio ».23
A ragione quindi nel 1958 madre Angela Vespa scriveva nella
postulatoria per l'Introduzione della Causa del Servo di Dio: « Egli
profuse nel nostro Istituto tesori di saggezza e di prudenza, col se-
gnargli direttive sicure, secondo lo spirito del Fondatore e 'le esigen-
ze dei tempi. Diede fervido slancio all'apostolato missionario; zelò
la cura delle vocazioni e il sorgere di apposite case per la formazione
del personale ». Ebbe a cuore soprattutto « la santità del1a vita reli-
205

22.6 Page 216

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giosa, l'unione con Dio, la profonda interiorità nel fervore dell'azio-
ne », onde 'le suore santificassero il lavoro e lo trasformassero in
preghiera » .24
In breve c'è tutto il rettorato di don Rinaldi nel suo rapporto
di superiore ,e padre verso l'Istituto delle Figlie di Maria Ausilia-
trice, dove più che altrove il suo nome rimane in benedizione.
Note
' Summ., 216, 750.
2 Summ. , 116, 396.
3 Summ ., 219, 758.
4 CERIA E., 289.
' Summ. , 220, 764.
' Summ., 274, 958.
7 CER[A E., 349 .
8 CERIA E., 291.
9 CERIA E., 292.
10 CERIA E., 294 .
11 CERIA E., 295 .
12 Summ. , 221, 766-767 .
13 CERIA E., 300.
14 CERIA E., 302 .
15 CERIA E., 303 .
" Atti, 22.
17 Summ., 222, 769.
18 Summ., 222, 770.
19 Summ., 223, 771.
20 CERIA E., 395 .
21 CERIA E., 395.
22 Summ., 108, 374.
23 Summ ., 225 , 777.
24 Litt. postul., 38.
206

22.7 Page 217

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22
BEATIFICAZIONE DI DON BOSCO
L'avvenimento più importante e grandioso del rettorato di don
Rinaldi fu senza dubbio la beatificazione del Fondatore don Bosco.
Egli che lo aveva conosciuto e avvicinato nell'intimità, ebbe anche
la gioia di venerarlo su gli altari, nella gloria dei santi. Nessuno co-
me il Servo di Dio preparò e pregustò l'esultanza di quel giorno,
che era di onore per tutta la Congregazione, ma anche di stimolo al-
la santità propria dello spirito salesiano.
Nella glorificazione del Padre, don Rinaldi ravvisò il corona-
mento della sua missione .e della sua opera, onde assicurare la fe-
deltà dell'intera Famiglia che rappresentava, agli esempi, insegna-
menti, tradizioni educative e religiose di don Bosco. La Chiesa con
suprema autorità sembrò come sancire un indirizzo di governo eh'
era stato l'ispirazione e il sostegno della sua autorità e del suo apo-
stolato . Camminando perciò nella scia di don Bosco si avanzava al
sicuro e l'efficacia del suo carisma avrebbe continuato a dar frutti
nella vita delle sue istituzioni.
***
È ora il momento di dire qualcosa sul lavoro che don Rinaldi
svolse, sempre in penombra, in favore della santità salesiana, affin-
ché venisse documentata, illustrata e riconosciuta, non per motivi
terreni o di famiglia, ma per la gloria di Dio e dei suoi santi.
Arrivando a Torino nel 1901 egli successe a don Belmonte an-
che neH'incarico di vicepostulatore della Causa di don Bosco, la
quale doveva ancora affrontare la costruzione dei processi Aposto-
lici. Come tale don Rinaldi, che nel frattempo si era v,enuto im-
pratichendo delle procedure canoniche, nel 1918 portò a Roma il
voluminoso incartamento giudiziale per lo studio e la discussione
sulle virtù eroiche del Fondatore.
207

22.8 Page 218

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Nessuno contò i passi e gl'incontri di don Rinaldi con giudici e
testimoni, che davano il foro concorso a un'indagine di grande re-
spiro.
Nel contempo si era dato inizio alle Cause di san Domenico
Savio e di Santa Maria Mazzarello, che il Servo di Dio favorì con
appoggi e consigli. Suor Genghini ricorda in particolare l'interesse
di don Rinaldi per la Confondatrice dell'Istituto delle Figlie di Ma-
ria Ausiliatrice,1 con la segreta intenzione che anche le suore avesse-
ro un modello di vita salesiana femminile, ,al quale richiamarsi nell'
esercizio delle virtù religiose e dell'apostolato educativo.
Altrettanto fece per le Cause dei Servi di Dio don Andrea Bel-
trami e principe Augusto Czartoryski: due splendide figure di gio-
vani confratelli legate all'azione spirituale di don Bosco.
Egli medesimo si presentò più tardi in Tribunale come teste im-
mediato nelle Cause di donna Dorotea Chopitea e di don Rua: e in
molti punti l,e due dichiarazioni, specialmente 1a seconda, rivelano
la sua interiorità e il concetto ch'egli aveva delle singdle virtù.
***
Al visitatore don Candela scriveva: « Salutami i confratelli, le
suore, i novizi... Si facciano santi, imitando le virtù dei nostri Servi
di Dio: don Bosco, don Rua, don Beltrami, don Czartoryski, Do-
menico Savio, madre Mazzarello, e ultima suor Teresa Valsè Pantel-
lini, deHa quale si è incominciato il processo ».2
Che miglior prova per ,la santità del Fondatore che una splen-
dida corona di figli e figlie incamminati all'onore degli altari?
Don Rinaldi avvertì il fascino e la forte consistenza dell',eroismo
cristiano, secondo lo spirito della Congregazione: perciò don Can-
d~la ,a buon diritto ha cura di sottolineare l'impegno dei Servo di
Dio alla santità e la sua costante azione in proposito. Depone: « L'
impegno per la santità appariva nella vita quotidiana di don Rinal-
di: ordinata, raccolt,a, zelante; come anche dalle parole, dai consigli,
dalle virtù che praticava e facevano di lui un modello di sacerdote
e religioso ».
Ma voleva santi anche gli altri. Continua don Candela: « A con-
frateHi e suore, in prediche e colloqui, ricordava spesso il dovere
dell,a santità ».3
Artefice, in altri termini, di santi da aureola, e laborioso nel
lungo cammino per raggiungere l'intento; ma anche sollecito, per
sé e per gli altri, di quella vita religiosa perfetta che è strada all'
autentica santità.
208

22.9 Page 219

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***
A partire dal 1925 la Causa di don Bosco, pendente a Roma
presso l'allora Sacra Congregazione dei Riti, parve muoversi verso i
sospirati traguardi. Nessuno più di don Rinaldi stette in vigile e
trepida attesa.
« Noi - scriveva il 24 febbraio di quell'anno - abbiamo l'inti-
ma persuasione che don Bosco abbia raggiunto la perfezione delle
virtù richiesta per salire all'onore degli a:ltari ». Anzi egli era sicuro
che « da tempo » nel cuore dei figli il Padre era considerato santo.
Da parte sua « per aver avuto la fortuna di trattare familiarmente
con 'lui durante parecchi anni», dichiarava con animo filiale di aver
respirato la santità del Fondatore « dal suo sguardo, dalle parole,
dalle azioni anche minime » della sua vita.
E proseguiva, alludendo al fiorire della Congregazione: « Le
vocazioni alla nostra Società in questi ultimi tempi assumono, sia
per il numero, sia per il modo con cui vengono suscitate, un caratte-
re evidente di controprova della santità di don Bosco, e ci fanno
pensare e sperare non più lontano il giorno della sua glorificazione ».
Quindi esortava: « Spetta a noi, che conosciamo più profonda-
mente la santità straordinaria di don Bosco, farla risplendere agli
occhi di tutti con la nostra vita di ogni giorno, e dissipare i pregiu-
dizi ancora esistenti, con le nostre fervide incessanti preghiere ».-1-
Non a caso don Rinaldi parla di « pregiudizi » che, neHe discus-
sioni ufficiali, oscuravano la figura del Padre e Fondatore. Pareva
a qualcuno che don Bosco fosse stato uomo di sola attività aposto-
lica, e non anche di preghiera e di vita interiore .
Suor Genghini ricorda di aver trasmesso al Servo di Dio, fin da
quando era prefetto generale, l'insinuazione di chi non riteneva si
mettesse a fuoco in don Bosco l'abituale contatto con Dio. « Egli
- racconta suor Genghini - non solo ascoltò con interesse quanto
gli riferivo, come dettomi da un ragguardevole ·ecclesiastico, ma
promise di farne parola in Consiglio onde vedere il modo di pro-
muovere studi e ricerche per dare di don Bosco un'idea più esatta
e completa ».5
Questo divenne l'assillo di don Rinaldi mentre su processi e do-
cumenti, consu1tori teologi, prelati e cardinali, discutevano intor-
no all'eroismo delle sue virtù. Il problema non si presentò di facile
soluzione. Don Rinaldi sollecitò preghiere « per assicurare esito
209

22.10 Page 220

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favorevole» 6 al corso della Causa; ma tenne prudentemente na-
scosti gli ostacoli che essa incontrava.
Passò giornate amare, specie dopo la prima seduta così detta
preparatoria, il cui risultato non fu del tutto soddisfacente.
Il 29 settembre 1926, nella sua veste di Rettor Maggiore e di
teste oculare intervenne presso il ponente cardinale Antonio Vico;
e sotto giuramento fornì le « maggiori prove » che si desideravano,
specialmente « circa la vita di preghiera » di don Bosco e il suo
conclamato « spirito profeti:co ». Attingendo a personali conoscenze
ed esperienze don Rinaldi fu in grado di sciogliere i nodi che pare-
vano impedire il traguardo. Di don Bosco asseriva essere sua intima
convinzione, per averlo trovato molte volte « raccolto, con le mani
giunte, in meditazione », che egli fosse davvero « un uomo di Dio,
,continuamente unito al Signore nella preghiera ».7
* * !~
Le attestazioni estragiudiziali di don Rinaldi, per l'autorità che
gli veniva dall'ufficio, sortirono l'effetto desiderato: e pochi mesi
dopo, il 20 febbraio 1927, giorno che - ,diceva - « rimarrà me-
morabile nei fasti della nostra Società », Pio XI promulgava il de-
creto sull'eroicità delle virtù di don Bosco.
L'esultanza del momento fece trasalire don Rinaldi e lo indusse
a parlare umilmente delle sue fatiche in rapporto alla Causa. « Per
arrivare a questo decreto - scriveva con intima soddisfazione del
cuor,e - ci vollero ben 37 anni di processi, tra Ordinari ed Apo-
stolici: ad essi, per il mio ufficio, presi parte attiva durante 26 anni.
In sì lungo periodo di tempo - soggiungeva - potei tener dietro
con immensa gioia filiale a1 progressivo, imponente, luminoso sus-
seguirsi delle prove circa la santità del nostro Padre, dinanzi ai
TribunaH della Chiesa; la quale, in questi affari, a tenore stesso del
decreto, osserva tutta quella severità, che a tal~ giudizi conferisce
maggior credibilità e autorità più grande ».8
Alla solenne lettura del decreto, benché to desiderasse « da tan-
to tempo » - è lo stesso Servo di Dio a confessarlo - don Rinaldi,
per motivi di salute, non poté essere presente; ma si affrettò a infor-
marne 1'intera Congregazione. Il documento, secondo il suo pensie-
ro, dava autorevole conferma alla convinzione - dice - « che della
santità di don Bosco ci ,eravamo formati noi, che per bontà di Dio
abbiamo avuto la sorte non solo di conoscerlo e di parlargli qualche
volta, ma di fare con lui vita di famiglia ».9
210

23 Pages 221-230

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23.1 Page 221

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A rallegrare don Rinaldi e a ravvivargli in cuore memorie lon-
tane, che gli facevano scorgere le misteriose vie della Provvidenza,
fu il discorso che Pio XI pronunciò in quella circostanza, parago-
nando il nuovo eroe delle virtù cristiane a queHe grandi meteore
che attraversano il cielo della storia. « Noi - disse il Papa - la
abbiamo vista da vicino questa figura , in una visione non breve, in
una conversazione non momentanea: una magnifica figura, che I'
immensa, insondabile umiltà, non riusciva a nascondere... : una di
quelle anime che, per qualunque via ,si fosse messa, avrebbe lasciato
traccia di sé, tanto era magnificamente attrezzata per la vita».
Ad accrescere, fuori di ogni misura, la contentezza di don Rinal-
di fu l'accenno del Papa alla vita interiore di don Bosco . Avendolo
osservato da vicino, durante il suo passaggio all'Oratorio, Pio XI
asserì: « Questa era una delle più belle caratteristiche di lui: quella
cioè di essere presente a tutto, affaccendato in una ressa continua
di affanni , tra una folla di richieste e consultazioni, ed avere sempre
lo spirito altrove: sempre in alto, dove il sereno era imperturbato
sempre, dove la calma era sempre dominatrice e sovrana: sì che in
lui il lavoro era effettiva preghiera ».10
Le « pregiudiziali » contro la vita di orazione e di unione con
Dio in don Bosco erano autorevolmente e trionfalmente superate:
e più nessuno ne parlò.
Gioia anche maggiore inondò l'animo di don Rinaldi il 19 marzo
1929 alla lettura del decreto che approvava i miracoli presentati
per la beatificazione del Fondatore.
« La faustissima notizia che vi comunico - scriveva il 6 aprile
- ha già riempito il mio e i vostri cuori della pienezza di una gioia
che più nessuno ci toglierà ... Noi possiamo fin d'ora esultare della
più santa letizia per l'imminente beatificazione del nostro Padre
amatissimo, da noi implorata e sospirata per oltre 41 anno, con
suppliche e voti ardenti , nell'umile imitazione dei suoi esempi e
delle sue virtù ».11
Nessuno infatti più di don Rinaldi si era messo nella scia di don
Bosco per cogliere e tramandare intatto il suo carisma di vera san-
tità prima che di puro apostolato, e per mantenerlo vivo in mezzo
a una famiglia religiosa , fa quale cresceva e si diffondeva nel mondo.
Don Tirone ha motivo di affermare ai processi che don Rinaldi
211

23.2 Page 222

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ebbe verso del Fondatore « una devozione che è impossibile descri-
vere»; e che ,egli coltivò come « stretto dovere personale » e come
« speciale missione » 12 della sua vita salesiana e in particolare del
suo rettorato.
Fu, seguendo in punta di piedi le discussioni uffici1a'li, sino all'
approvazione dei miracoli, e ripercorrendo il sentiero delle sue
esperienze, che il Servo di Dio trasse, in quegli anni, dal cuore, più
che dal pensiero, l'identità salesiana, come forza e distintivo dei
figli di don Bosco. Disse infatti in una riunione di confratelli im-
pegnati al problema. La caratteristica della Congregazione deve es-
sere: « Operosità instancabile santificata da'lla preghiera e dall'
unione con Dio ».13
Senza volerlo don Rinaldi aveva fornito il suo ritratto.
***
Nell'approvare i mimcoli per la beatificazione di don Bosco,
piacque a Pio XI confermare che nella vita di ,lui « il soprannatura-
le era diventato quasi naturale », e « lo straordinario ... quasi ordi-
nario ». Ben si può dire - affermò ancom il Papa, dopo aver ri-
calcato i suoi personali ricordi, - 1che « ogni anno della vita di don
Bosco», anzi « ogni momento», erano stati « un miracolo, una
serie di miracoli ».14
NuUa di più gradito al cuore del Servo di Dio, che dalle parole
autorevoli del Sommo Pontefice vedeva uscire la figura del Fonda-
tore, quale egli l'aveva conosciuta, e si studiava di presentarla in
luce di perfezione e di santità.
Non restava quindi ai figli che esultare per 'l'imminente glori-
ficazione del Padre e proporsi una più larga e fedele imitazione
delle sue virtù.
La parola di don Rinaidi, nella circolare del 6 aprile 1929, la-
scia trasparire tutta la commozione del suo animo. Era l'avverarsi di
un sogno lungamente accarezzato, che metteva fuoco .e fiamme al
suo dire, per solito pacato e sereno, ma ora pervaso di gioia incon-
tenibile. Nel suo fervore egli metteva in bocca a don Bosco, che dalla
tomba di Valsalice sarebbe passato a un altare in Maria Ausiliatrice,
le parole: « D'ora in poi fa mia voce non salirà più a voi dal se-
polcro, ma scenderà dall'altare.. . Io sarò in mezzo a voi per ani-
marvi alla virtù e alla santità sulle mie orme, e per condurvi al cielo
sulla via da me battuta, che è la mia opera di salvezza per le
anime».
212

23.3 Page 223

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Poi, rifacendosi al discorso del Papa, che nel Da mihi animas
coetera talle aveva identificato l'eroismo spirituale e apostolico di
don Bosco, scriveva come fuori di sé: « Com'è bello, sublime, at-
traente, tutto questo. Come allarga gli orizzonti del nostro aposto-
lato e della nostra vita religiosa. Il nostro Beato Padre - don Rinal-
di con esultanza gli anticipa il titolo - era riuscito a perdersi in
Dio, in Gesù Cristo, e ,da quella mirabile unione si era lanciato
alla conquista delle anime, con gli stessi ardori di carità ,del Reden-
tore, in maniera da non più vivere respirare ohe per esse ».
E seguendo il filo dei pensieri e l'onda dei sentimenti don Rinal-
di proseguiva come chi finalmente, alla luce di un supremo ora-
colo, può dire tutta la verità racchiusa in seno: « Oh, noi ,che abbia-
mo vissuto accanto a '1ui e goduto della sua familiarità veramente
unica, possiamo attestare di aver ascoltato più volte, quasi in modo
sensibile, il suo respiro per le anime, che erano tutta la sua vita ».
E concludeva: « Qui, miei cari, sta tutto il segreto dell'ecoelsa san-
tità e delle meravigliose opere di don Bosco; ,e qui noi pure dobbia-
mo far convergere i nostri sforzi», per far sì che la vita salesiana
da noi abbracciata, venga animata « dallo spirito di cui viveva e
con il quale esercitava le virtù don Bosco ».15
Chi legge scusi il biografo per le larghe !Citazioni del Servo di
Dio. Par,e, non senza motivo, che oltre ad essere fonte storica per
un momento fra i più solenni della Congregazione, esse abbiano
sapore inconsciamente autobiografico e aiutino a comprendere la
vita interiore e l'ardente zelo del Servo di Dio.
***
Il 2 giugno 1929 ,don Rinaldi era in San Pietro per assistere
alla solenne beatificazione di don Bosco. C'era folla straordinaria,
entusiasmo e allegria insolita attorno a lui. Oltre che al noveHo
Beato gli occhi di molti si rivolgevano al suo fortunato terzo succes-
sore, il quale più che rappresentarne la figura ne incarnava la san-
tità.
Vedendo l'immagine del P,adre nella raggiera del Bernini, udendo
l'invocazione Eturgka al novello Beato, e scorgendo il Papa in ve-
nerazione davanti alla sua reliquia « compresi - egli scrive - chi
diventava don Bosco per noi... ». Senza lasciar di ,essere quello che
era sempre stato, cioè « il Padre presente e operante al nostro fian-
co», a partire da quel momento egli diveniva - scrive don Rinaldi
ai confratelli - « il modello sicuro della nostra vita di religiosi
213

23.4 Page 224

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educatori; la lucerna posta sul candelabro per illuminare il mondo;
il ministro fedele preposto alla distribuzione di beni ~gli indigenti;
lo speciale intercessore presso la Vergine Ausiliatrice ».16
Che don Rinaldi fosse uomo di spirito anche nei momenti più
estroversi della vita, lo dimostra il fatto delle invocazioni formulate
come preghiera al momento della glorificazione del Fondatore.
« Raccontava egli stesso - depone suor Graziano - che stando in
San Pietro e contemplando don Bosco nella gloria ... gli erano ve-
nute spontanee dal cuore le invocazioni:
Perché possiamo essere come Voi devoti di Gesù Sacramentato
e di Maria Ausiliatrice, o Beato don Bosco, pregate per noi.
Perché possiamo amare la gioventù come voi l'avete amata, o
Beato don Bosco, pregate per noi.
Perché possiamo essere assidui al lavoro come lo foste Voi, o
Beato don Bosco, pregate per noi.
Perché a vostra imitazione possiamo vivere sempre uniti con
Dio, o Beato don Bosco, pregate per noi ».17
Tutta la spiritualità salesiana in quattro espressioni fatte pre-
ghiera.
Don Rinaldi era sempre all'altezza del suo compito e sapeva
leggere con soprannaturale chiarezza il significato degli avvenimen-
ti. La calma serena dello spirito, i'l vigile senso interiore, la padro-
nanza di sé, gli permettevano, al di là di ogni esaltazione umana ,
di trarre dai fatti le opportune conseguenze per la vita dello spirito.
***
Il 3 giugno, in una memorabile udienza nel cortile di San Dama-
so, don Rinaldi esprimeva a Pio XI l'esultante riconoscenza della
Famiglia Salesiana per l'avvenuta beatificazione del Fondatore. Il
Papa rispose con uno di quei discorsi che traeva dal suo spirito
profondo e dalla mente eletta, e fasciava come ricordo le parole che
egli stesso aveva colto un giorno sulle labbra del Beato: « Quando
si tratta di qualcosa che riguarda la causa del bene, don Bosco vuol
essere sempre all'avanguardia del progresso ... Sia questa fa vostra
parola d'ordine, l'eccitamento continuo a procedere animosamente
per quelle vie alle quali vi guidano la parola, l'esortazione, l'esem-
pio e ora l'intercessione del Beato Giovanni Bosco ».18
Questo era stato e continuò ad essere fino alla fine il program-
ma di don Rinaldi.
214

23.5 Page 225

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Le feste di Torino culminarono col trionfale ritorno di don Bo-
sco dal riposo di Valsalice alla gloria di Valdocco, nel santuario di
Maria Ausiliatrice. Così ne scrisse il Servo di Dio: « L'abbiamo vi-
sto con i nostri occhi; l'abbiamo goduto con la gioia commoventis-
sima delle lacrime; l'abbiamo scolpito inddebile nell'intimo dello
spirito, il trionfale corteo che accompagnò a Valdocco i resti mor-
tali del nostro Padre. Non è stata opera degli uomini, ma del Si-
gnore ».19 E commentava più avanti: « Maria SS .ma Ausiliatrice lo
ha richiamato, nella gloria dei Beati, accanto a Sé, quasi comparte-
cipe dello stesso suo trono di grazie... E così il nome di don Bosco
è divenuto come indivisibile da quello della sua potente Ausilia-
trice ».20
Anche qui don Rinaldi, con l'occhio dei santi, vedeva giusto e
tracciava linee sicure alla spiritualità salesiana. Nessuno più di lui,
nel « magnifico poema della beatificazione di don Bosco »,21 aveva
indicato prospettive e traguardi altrettanto nobili ·e allettanti. Que-
sto, pur se con tono umile e dimesso, confidava ai suoi figli sul fi-
nire dellia circolare del 9 luglio 1929: « Come al solito, anche que-
sta volta non ho avuto altra intenzione che di mettervi a parte delle
cose che mi sono sembrate più opportune, onde animarci a divenire
migliori e più degni figli del nostro Beato Padre ».22
***
Inserite nelle feste della beatificazione due grandi opere: una a
Roma, ,}'altra a Torino. Don Rinaldi ne informava la Congregazione
con la circolare sulle feste.
A Roma, sulla via Tuscolana, l'istituto professionale « Pio XI »,
a ricordo del giubileo d'oro sacerdotale del Papa, con la posa - il
4 giugno - della prima pietra di un nuovo grandioso tempio in
onore di Maria Ausiliatrice.
A Torino la benedizione della pietra angolare dell'erigenda isti-
tuto professionale missionario « Conti Rebaudengo », destinato a
casa di perfezionamento per confratelli coadiutori e « come vivaio
- tra essi - di vocazioni missionarie ».23
* ,~ *
Dire che di tutto ciò don Rinaldi fosse felice, più che orgoglioso,
è situarlo a giusta luce nell'avvenimento di maggior splendore del
215

23.6 Page 226

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suo rettorato: è come ritrarne la paterna figura che coincideva con
quella del Fondatore e Padre, verso la fine ormai della sua vita
terrena.
Il grande traguardo non era 'lontano. Nel 1929 il Servo di Dio
aveva compiuto 73 anni di età. Don Bosco fin dall'alba ero stato
la stella del suo cammino. L'aveva seguito attratto, se pure con lun-
ga interruzione, dal fascino della sua persona e dal fervore deHe ,sue
fondazioni. Si era immedesimato con i suoi ideali facendoli propri.
Aveva creduto nella sua santità e neUa efficacia dei suoi esempi e
insegnamenti. E ora lo rivedeva nella sua urna splendente avvolto
nella gloria dei beati.
Ai confratelli, rifacendosi aUe parole di Pio XI, ricordava che
« gloria del Padre sono i figli sapienti », che al Padre ricorrono, pen-
sano e del quale calcano le orme « per continuarne l'opera ».24
Ma per conto suo nel silenzio del cuore pensava a intornare il
Nunc dimittis da una vita intensa e laboriosa.
Restavano le luci del tramonto.
Note
' Summ. , 223-224, 772.
' Summ ., 193, 675 .
' Summ. , 193, 674-675.
' Atti, 344-345.
' Summ., 207, 721.
6 Atti, 459.
1 M .B., XVII , 399-400.
' Atti, 537.
' Atti, 538.
10 Atti, 552-555.
11 Atti, 729.
12 Summ ., 240, 835 .
" Summ ., 242, 842 .
" Atti, 750.
" Atti, 733-734.
1
Atti,
770.
11 Surnm. , 130-131, 444.
" Atti, 790.
" Atti, 764.
0
'
Atti,
767.
" Atti, 769.
" Atti, 769.
" Atti, 769 .
" Atti, 771.
216

23.7 Page 227

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23
PATERNITÀ SENZA LIMITI
La caratteristica inconfondibile di don Rinaldi fu la paternità
che esercitò nell'intero arco della vita, ma si affinò e divenne mera-
viglia di tutti nel trentennio torinese, e in modo particolare negli
anni del rettorato. « Come Rettor Maggiore il Servo di Dio - atte-
sta don Azzini - si vide fatto segno alla stima e venerazione di
confratelli e quanti lo avvicinavano; la sua memoria vive neUa
comunità che ne ricorda soprattutto la non comune paterna bontà ».1
Nel Servo di Dio, specialmente verso la fine, più che il supe-
riore, appariva l'uomo di una bontà che sembrava non aver limiti.
Il fascino che emanava dalla sua persona e dal tratto abituale con
gli altri , non era 'l'abbagliante luccichìo di qualità umane, né il
prestigio .dell'ufficio o delle imprese, bensì l'incanto di una santità
che si traduceva in belle maniere, in parole dolci, in espressioni
di longanime pazienza e di inarrivabile carità .
Abitualmente - osserva don Ricaldone - « presentava Dio
come padre»; 2 sicché nell'intimo sperimentava il bisogno di sen-
tirne e di farne sentire l'infinita paternità, che ama in silenzio, ac-
coglie, conforta e perdona.
***
Le testimonianze processuali in proposito sono concordi e rile-
vano nel Servo di Dio la somiglianza, se non proprio l'identità,
coi modelli ai quali s'ispirava.
« Fu sua cura specialissima - afferma don Tirone - ricopiare
in tutto don Bosco, specialmente nella bontà e paternità, e riuscì
una copia fedele » .3
« Fin dal primo incontro - assicura suor Rosalia Dolza -
mi lasciò l'impressione di una eccezionale paternità, sì che 1o con-
siderai fin d'allora un novello san Francesco di Sales » .4 È suor
217

23.8 Page 228

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Dolza - come si è ricordato altrove - ad asserire: « Da parecchi
salesiani intesi che il Servo di Dio era - come superiore generale
della Congregazione - quello che maggiormente faceva rivivere
don Bosco per bontà d'animo e genialità di opere » .5
Anche Felicina Gastini asserisce: « Dalle conversazioni con
mdlti membri della Società Salesiana mi son formata la convin-
zione che nel suo governo il Servo di Dio desse prova di grande
paternità: anzi di quella stessa paternità che distinse il Fondatore
don Bosco ».6
A sua volta suor Graziano che fu in contatto intimo con don
Rinaldi non dubita di affermare: « Nominato Rettor Maggiore ac-
crebbe quello spirito di paternità che aveva dimostrato da prefetto
generale, desiderando che la Congregazione vivesse quello spirito
di famiglia che le aveva impresso il Fondatore... Quanto più saliva
in dignità, altrettanto si curvava abbassandosi nel servizio degli
altri ».7
***
La paternità di don Rina1di aveva radici lontane: germogliava
dal terreno della carità evangelica.
Lascio la parola a madre Maria Lazzari, figlia spirituale del
Servo di Dio e fondatrice - come si è detto - delle Missionarie
della Passione di Gesù. « Lo vidi - essa dice - avvicinare ragaz-
zetti, ascoltarli, trattarli con espressioni di paternità , quasi con ri-
spetto e interessamento commovente. Sempre disposto a fare un
piacere o a rendere un servizio .. . Sull'esempio di don Bosco, e so-
prattutto del divino Maestro, don Rinaldi passò beneficando tutti,
prodigando i tesori della sua carità, che era paterna, universale,
inesauribile. Si può dire che arrivasse a comprendere tutti i dolori,
a soccorrere ogni miseria . Ricchi e poveri, dotti e ignoranti, reli-
giosi e religiose del suo e di altri istituti, secolari, ragazze, uomini,
fanciulli: tutti accoglieva con immensa bontà; per tutti manifestava
comprensione, a tutti dava l'aiuto che gli era possibile. Per tutti
era un dono, non solo come padre, bensì come servo umile e de-
voto ».8
« La sua santa e squisita paternità - termina madre Lazzari,
che aveva sperimentato le cento volte la bontà del Servo di Dio -
è ricordata con rimpianto; e molti sono unanimi ne'l dire che un
altro don Rinaldi non si trova più » .9
218

23.9 Page 229

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Don Candela attesta in particolare che durante il rettorato don
Rinaldi governò « con metodo veramente paterno » .10 E don Bordas,
fondendo insieme umiltà e paternità di don Rinaldi, così si espri-
me: « Non assumeva mai portamento solenne o tono autoritario.
Era sempre affabile con tutti; volentieri si tratteneva con umili
coadiutori. Era anche felice di sottomettere il suo parere al parere
altrui, pur essendo superiore ». 11
« Con questa sua bontà - è don Ricaldone che parla - si
guadagnava la fiducia dei confratelli. Nel riceverli a colloquio egli
parlava poco; il più delle volte bastava una frase, una parola per
rasserenare e incoraggiare l'interlocutore. Ricordo un confratello il
quale sorridendo diceva: " Quando si va da don Rinaldi , con una
frase accomoda tutto " ». 12
Ed era vero. Ne fa fede anche l'ex-allievo don Matta. « Confesso
per conto mio - dichiara ai processi - che la sola presenza del
Servo di Dio o una sua parola, o anche un semplice sorriso pieno
di bontà, mi davano l'impressione di trovarmi accanto a una per-
sona nella quale splendeva la divina benevolenza, e producevano
in me l'effetto di una esortazione ad amare di più il Signore » .13
* * :>',e
Perciò la sua anticamera, sia da prefetto generale che da rettor
maggiore, era sempre affollata; e alla carità spirituale molte volte
univa quella materiale. Lo afferma don Rica1done, il quale aggiun-
ge: « Sono innumerevoli gli orfani e abbandonati da lui accolti
nelle nostre case. Allorché talora gli si faceva osservare che erano
troppi, bonariamente rispondeva: "Va' un po' là: il Signore ne ha
per tutti" ».14
Non mancarono evidentemente indiscreti, scrupolosi e persone
moleste. Don Rinaldi sopportava con eroica pazienza e inalterabile
longanimità. E a chi si permetteva dirgli, quasi a volerlo liberare
da un fastidio: « Don Rinaldi , questa gente le fa perdere un tempo
enorme », invariabilmente egli rispondeva: « Che vuoi? È opera
di carità anche questa ». 15
Era la bontà fatta persona: una bontà che non rifiutava niente
e nessuno; che era pronta ad accogliere tutti, come la prima visita
del mattino . « Rappresentava al vivo - dice don Matta - la bontà
di don Bosco : la stessa comprensione delle umane miserie, lo stesso
219

23.10 Page 230

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zelo ed amore per le necessità del prossimo, la stessa premura nel
ricevere, nel consolare e portar soccorso a chi batteva al suo cuore
di padre ».16
***
Gl'insegnamenti alle Figlie di Maria Ausiliatrice in tema di bon-
tà sono il ritratto del suo spirito.
A suor Graziano, divenuta direttrice a Valdocco raccomandava
calma e padronanza di sé. Quando le fosse capitato di sentirsi alte-
rata, doveva ritirarsi per un quarto d'ora in camera, perché « una
superiora - inculcava - non deve mai farsi vedere col viso cor-
rugato ».17
Parlando alle direttrici sul dovere della correzione: « Attente
- diceva - a non far correzioni in pubblico o ne11a conferenza
settimanale, perché in tal caso l'incontro comunitario si trasforma
in tribunale». E insisteva: « Non accennate a mancanze di poche,
se parlate a molte. Non fate correzioni la sera nel dare la buona
notte, perché le suore debbono andare a riposo tranquille. " Le fa-
remo ,allora - domandò una direttrice - nel colloquio perso-
nale? ". " Oh, no - rispose don Rinaldi - : il colloquio deve
essere un cordiale e affettuoso espandersi del cuore per intendersi,
per meglio lavorare insieme. Se attendeste il colloquio per correg-
gere le sorelle, queste ne avrebbero paura: ed ecco perduto il risul-
tato di una pratica sommamente utile al buon andamento della
casa". " Allora - incalzò la direttrice - a quando la correzio-
ne?". E il Servo di Dio: " Quando siete calma; quando anche la
sorella è calma; quando l'occasione si presenta propizia; magari
quando fate con lei un giro per casa; così, alla buona, con poche
parole e cambiando subito discorso, per far vedere che tutto è pas-
sato e non ci pensate più " ».18 E batteva e ribatteva perché le diret-
trici amassero le suore più bisognose e le conquistassero con la
forza della carità.
Il senso vivo detla paternità suggeriva a don Rinaldi - come
si vede - sfumature di maternità perché ovunque, nel mondo reli-
gioso femminile , al quale egli fu tanto vicino, regnasse la bontà.
* * '~
Soltanto gl'interessi di Dio e il bene delle anime gli potevano
togliere, per un momento, l'abituale calma e serenità. « Lo vidi una
sola volta adirato - depone don Rica1done - : era proprio il caso:
220

24 Pages 231-240

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24.1 Page 231

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Nell'ira non peccate (Ef 4,26). Si trattava di persona che aveva
lasciato con la sua condotta pessima impressione tra i giovani. Il
Servo di Dio 1a redarguì severamente e le tolse la sua presenza ».19
Questo però accadde solo qualche rara volta, in casi che coin-
volgevano l'esercizio delle sue alte responsabilità.
Per solito don Rina'ldi seguiva altri sistemi con chi mancava.
« Nell'ammonire e correggere - informa don Azzini - era sempre
paterno ». E documenta: « Un giorno nel suo ufficio un confratello
alzava la voce e dava in escandescenze; ma il Servo di Dio si man-
tenne calmo e padrone di sé, tanto che quegli riconobbe il suo sba-
glio e chiese scusa ».20 Sapeva cioè contemperare « la maniera forte
- è ancora don Azzini a dirlo - con quella grande bontà paterna
che era sua caratteristica: perciò gli ammoniti e rimproverati re-
stavano commossi» 21 e si allontanavano da lui con l'anima in pace.
In casi di qualche dissenso - aggiunge don Bordas - don
Rinaldi riusciva ad « aggiustare le cose senza urtare superiori o
sudditi. Era tutta sua l'arte di conciliare giustizia e carità, senza
lasciare incrinature ».22
Quando poi si trattava di applicare sanzioni procedeva con
estrema cautela, dopo aver assunto le necessarie informazioni. « Ri-
cordo in proposito - rammenta don Tirone - che mentre visitavo
il Brasile egli mi scrisse più volte esortandomi - in un caso con-
creto - a prendere informazioni sul posto; e quantunque le parti
interessate facessero premura, volle rimandare ogni decisione fino
al mio ritorno ».23
Se poi si trattava deUa sua persona, sopportava e taceva. « Un
giorno - racconta il segretario don Vacca - ricevette una lettera
infarcita di violenti accuse e invettive, da un confratello che rite-
neva di essere stato ostacolato da don Rinaldi. Io ne rimasi pieno
di meraviglia e di sdegno e ritenevo che gli si dovesse rispondere
a tono. Il Servo di Dio con calma inalterabile disse: " Non ti mera-
vigliare di tali miserie umane. Questo confratello ha la mente ele-
vata nei suoi studi e perde un po' la visione reale delle cose. Crede
che io gli abbia creato inciampi nel suo cammino, anche se non
mi sono mai sognato di farlo. Ci vuole pazienza! " ».24 E non se
ne fece nulla.
Era davvero « l'uomo che per virtù e per lungo esercizio di auto-
controllo aveva il completo dominio di sé »,25 e riusciva a far trion-
fare la bontà sul risentimento, la soavità sulle maniere impetuose,
il cuore sulla ragione.
221

24.2 Page 232

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Non sarà un di pm ascoltare la voce degli ex-allievi, per la
bocca del loro presidente internazionale Arturo Poesio, educato a
Valdocco negli ultimi anni di don Bosco. « Caratteristica del Servo
,di Dio - egli attesta - era la carità paterna che dimostrava anche
verso gli ex-allievi ». Era lieto di partecipare a riunioni e convegni
-e di sedere con 'loro a mensa. In una circostanza ebbe a dire: « Per
un padre nulla di più consolante che vedere intorno a sé i propri
figli » _26
« Come rettor maggiore - specifica Arturo Poesio - dimostrò
predilezione per gli ex-allievi e lavorò allo sviluppo della loro asso-
ciazione, con l'intento in primo luogo di giovare alle loro anime
e di farne dei buoni e ferventi cristiani. Ebbe anche l'intenzione
di fondare un segretariato per assicurare ad essi conveniente assi-
stenza morale, legale e perfino economica ».27
« Ogni volta che lo avvicinai - dice ancora Arturo Poesio -
ebbi a rilevare in lui calma, serenità, tranquillità proprie di un
uomo di Dio»; 28 mi appariva « sacerdote esemplare, alieno da im-
perfezioni e dedito ad opere di bene ».29 Dimostrava « grande equi-
librio; né lo vidi mai compiere gesti d'impazienza o di malcon-
tento ».30 « Nel parlare era semplice e ben lontano da pose o toni
autoritari ».31
In sostanza: un padre che ama; che sta volentieri con i figli: li
ascolta, li edifica con la parola e l'esempio, e cerca, per quanto gli è
possibile, il loro vantaggio spirituale e materiale nella vita.
***
Se così lo vedevano persone del mondo, sia pure legate alla
Famiglia salesiana, immaginarsi chi gli stava accanto. Lo si è po-
tuto cogliere attraverso le deposizioni giurate dei testimoni al pro-
cesso di Torino.
·
Nessuno tuttavia fu in grado di tratteggiare la bontà paterna di
don Rina1di alla pari di don Vacca, il quale gli fu al fianco negli
ultimi due anni della vita - dal marzo 1930 al dicembre 1931 -
in veste di « segretario particolare »,32 o persona di fiducia . Così
,egli ne parla in giudizio:
« Si può dire che la carità di don Rinaldi per il prossimo fosse
davvero senza limiti. E questo non per vedute o motivi umani, pur
senza negare la sua carica di sensibilità d'animo e di cuore. Essa
proveniva daH'ardente carità soprannaturale che lo univa a Dio e
222

24.3 Page 233

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lo portò alla più delicata e sqms1ta paternità. Egli la dimostrava
- la sua paternità - col tratto, col sorriso, con la parola incorag-
giante usata nell'accogliere, consolare, dirigere, aiutare, chi lo
visitava.
« Dalla carità traeva forza per mantenersi uguale a se stesso e
inalterabilmente paterno, nonostante le incomprensioni e certa sorda
opposizione, su cui sorvolava.
Di lui mi è rimasto i1l ricordo di una paternità insuperabile,
fatta di bontà paziente e premurosa, che gli suggeriva le più deli-
cate attenzioni per gli altri e noncuranza per sé, anche nel caso di
un 'anima sola.
Non bisognava dirgli ch'era desiderato per udienze, se si voleva
evitargliele, soprattutto quando era oppresso dal male...
Non so come a volte intuisse che gli toglievo la gioia d'intratte-
nersi con qualcuno e scherzando amabilmente me lo faceva notare.
gli bastava che si parlasse di prescrizione medica. Aveva pronte
lepidezze per sventare la sorveglianza, dissipare apprensioni circa
la sua salute, pur di mantenere quanto per lui era imperioso dovere:
darsi a tutti e a ciascuno senza riserve, nel lavoro estenuante, pur
se non appariscente, dell'aiuto al singolo, per un efficace orienta-
mento dello spirito.
Non ricordo di lui - assicura don Vacca - un gesto d'intol-
leranza o di poco gradimento o richieste inopportune: neppure
quando il cuore non reggeva più e gli si scorgeva nel viso cianotico
e nel'la respirazione affannosa tutto lo sforzo che s'imponeva ».33
Sarà troppo dirlo martire della bontà e della pazienza?
Chi scrive ne fece indimenticabile esperienza, che non può restar
segreta.
Arrivando semplice chierico all'Oratorio nel novembre del 1930
col compagno don Fogliasso, pregò don Vacca di introdurre entram-
bi alla desiderata udienza del Superiore che nel 1922 ci aveva be-
nedetti in partenza per l'Argentina. Vinta qualche esitazione, il
buon segretario, ad ora stabi'lita, aprì la porta della stanza n. 7 al
secondo piano della casa capitolare, e discretamente si ritirò.
Don Rinaldi era convalescente da un attacco di cuore e non
scendeva in ufficio, ma riceveva solo alla buona in camera. L'acco-
glienza fu quella di un tenero padre verso figli che venivano da
lontano. Subito s'interessò al motivo di studio che ci riportava in
223

24.4 Page 234

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Italia; anzi risolse d'autorità il problema che l'ispettore - incerto
fra Torino e Roma - lasciava nelle sue mani, invitandoci a restare
all'istituto internazionale della Crocetta; e con tono profetico, che
al momento sembrò consolatorio: « A Roma - disse - andrete
dopo; andrete dopo». Nessuno poteva pensare a quel momento che
la vita dei due chierici, appartenenti a una ispettoria missionaria,
doveva trascorrere in gran parte, a motivo di studio e di occupa-
zione proprio nella città di Roma, intravista allora come evane-
scente sogno.
Poi don Rinaldi prese in mano l'Elenco Generale della Congre-
gazione, cercò la casa dalla quale eravamo partiti, fece passare a
uno a uno i confratelli e superiori, e di parecchi sollecitò notizie
e informazioni, mostrando di ricordarli e di conoscerne qualità e
provenienza.
Che si fosse diportato così verso l'ispettore don Manachino,
ch'egli stesso aveva nominato all'ufficio e stimava, non fece mera-
viglia; ma che iI Rettor Maggiore portasse il medesimo interesse a
tutto il personale della casa di formazione di Fortfn Mercedes, ci
stupì grandemente e ci lasciò capire con che cuore don Rinaldi
governava la Congregazione. Per lui non vi erano distanze; e chissà
quante volte il suo occhio passava su quei nomi, come a sentire
più vicini i figli lontani.
Lo si vede, la vita interiore di don Rinaldi era vita di amore a
Dio e dedizione al prossimo. Il suo amore agli altri però si amman-
tava di bontà, di soavità, di benevolenza attenta e premurosa, di
dolce ,longanimità. In una parola: di spirituale paternità che so-
stiene e aiuta a camminare nelle vie di Dio.
Qui don Rinaldi manifesta il carattere distintivo della sua non
comune personalità di superiore, e dei lineamenti inconfondibili
della sua vita sacerdotale, nell'esercizio della più alta e perfetta
virtù teologale.
Scrive in una deMe ultime circolari: « La più importante e vitale
tradizione per noi è la paternità. Il nostro Fondatore non è mai
stato altro che Padre, nel senso più nobile della parola... Tutta la
sua vita è un trattato completo della paternità che viene dal Padre
celeste, e che egli praticò in grado sommo, quasi unico, verso la
gioventù e verso tutti... con totale sacrificio di sé... E come la sua
vita non fu altro che paternità, così la sua opera e i suoi figli non
possono sussistere senza di essa ».34
224

24.5 Page 235

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***
Per questo don Rinaldi aveva messo l'esercizio della paternità
alla base del suo apostolato e al centro del suo governo.
Ritraendo il suo mondo spirituale e la sua norma di vita, scri-
veva in diverse circostanze all'ispettore don Manachino: « Cerca
di renderti sempre più paterno con tutti; per godere la fiducia di
tutti fa' che ti trovino sempre calmo e buono. La padronanza dei
nostri nervi ci rende padroni degli altri. Edifica tutti con una grande
bontà. Sii padre: con la paternità farai miracoli ».35
Si comprende perciò come nell'ultimo anno di vita, al segreta-
rio che lo aiutava nel disbrigo della corrispondenza dicesse: « Met-
tici molto cuore ».36 Aveva quindi ragione il confratello che, fin dai
tempi in cui il Servo di Dio era ispettore della Spagna, affermava :
« Don Rinaldi sente più affetto di padre che autorità di superiore » .37
***
È questo il ritratto p1u autentico del terzo successore di don
Bosco, e lascia intravedere i disegni del'la Provvidenza nel favorire
con miracoli e grazie continue la fama di santità che accompagna
il suo nome e segue la sua memoria.
Non sbaglia pertanto il segretario don Vacca nell'affermare ai
processi che la spirituale paternità del Servo di Dio gli sembra
frutto « di un diuturno ed eroico esercizio di tutte le virtù; in par-
ticolare, dell'umiltà, deHa pazienza, di una carità senza confini »,
« nonché di ardentissima fede e di profonda pietà.38
« Pareva a me - conclude don Vacca - aver egli compreso
che la fecondità dell'apostolato è posta nell'immolazione di sé, più
che nell'affermazione di particolari ·doti della persona ».39
Per questo la sua amabile figura sembra richiamare gli uomini
alla bontà e alla carità del Vangelo, senza di cui non è possibile
portare le anime alla salvezza.
Note
' Summ ., 6, 17.
' Summ., 283, 989.
' Summ ., 237, 819.
4 Summ. , 162, 561.
' Summ ., 162, 563.
Summ., 39, 140.
1 Summ ., 113, 387.
' Summ ., 305-306, 1069.
' Summ., 307, 1075.
10 Summ., 173, 599.
11 Summ ., 93 , 329.
12 Summ ., 289, 1011.
13 Summ., 338, 1168.
14 Summ. , 287-288, 1006.
15 Summ. , 288-289, 1010.
1
Summ.,
336,
1161.
225

24.6 Page 236

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17 Swnm. , 139, 478.
" Summ ., 139-140, 479-480.
19 Summ ., 285, 996.
20 Summ. , 19, 62.
21 Summ ., 22, 76.
" Summ., 87, 306.
23 Summ. , 244, 848.
24 Summ., 253-254, 880.
25 Summ., 343, 1183.
26 Summ ., 32, 115-116.
27 Summ., 29, 101.
28 Summ., 31 , 111.
" Summ ., 31, 113.
30 Summ., 33, 120.
31 Summ. , 34, 122.
32 Summ., 248, 861.
33 Summ., 249-250, 867-870.
34 Atti, 939-940.
35 CERIA E ., 44 7.
36 CERIA E., 447.
37 CERIA E ., 99.
38 Summ. , 257, 893 .
39 Summ. , 252, 876.
226

24.7 Page 237

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24
ULTIMI BAGLIORI DI SALESIANITÀ
Paternità e salesianità sono due aspetti focali nella vita di don
Rinaldi: si compenetrano e si completano a vicenda. Sono due
forme inseparabili della sua personalità di superiore, che hanno
fortemente impressionato i contemporanei, soprattutto all'interno
della Congregazione, e specialmente sullo scorcio della vita.
Alla beatificazione di don Bosco, don Rinaldi sopravvisse due
anni e pochi mesi. Don Azzini, sempre attento ai particolari del
Servo di Dio osserva: « Il lavoro sostenuto per le feste della beati-
ficazione di don Bosco ne fiaccò gravemente l'organismo. Tuttavia
continuò nelle sue occupazioni, senza dar a divedere che la salute
andava deperendo » .1
Si sapeva che don Rinaldi soffriva di cuore: un male di famiglia
che egli ben conosceva e non lo impensieriva. Un male che non
gl'impedì il lavoro, sia pure con qualche pausa o rallentamento, fino
all'ultimo . Il segretario don Vacca: « Portò il suo male - dichiara
- sempre in piedi, lavorando, sebbene anche a'ltri acciacchi lo
tribolassero. Gli ultimi due anni - assicura - furono particolar-
mente gravosi , tanto che il controllo medico era, si può dire, quoti-
diano » .2
Nel tempo del rettorato, pur senza risparmiarsi, non aveva sem-
pre goduto, a partire almeno dagli anni 1925-26, florida salute.
« Don Rinaldi - confidava egli stesso a don Ricaldone - è mi-
nacciato da due malattie: l'esaurimento che gli mette in disordine
e gli sfianca il cuore; e il colpo apoplettico, infermità di famiglia,
che può abbatterlo quando meno si pensa ».3
Non si faceva dunque illusioni, ma non risparmiava né smetteva
l'intensità delle occupazioni. Don Ricaldone così ne parla ai pro-
227

24.8 Page 238

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cessi: « Il suo spirito di lavoro fu del tutto straordinario. Nei perio-
di in cui ilo assaliva l'esaurimento, passava notti insonni, seduto per
lo più su di un seggiolone. Al mattino però era sempre là, al1e 4,30,
per celebrare messa e partecipare alla meditazione in comune. Io,
che gli ero al fianco - soggiunge don Ricaldone - insistetti più
volte perché, oltre ai segretari ,d'ufficio, ne prendesse uno personale,
ma invano. Una volta anzi, senza dargli preavviso, feci venire a
Torino un ottimo confratello, e dissi al Servo di Dio: " Don Rinaldi,
questa vo'lta non mi dirà più di no: H segretario è qui". Non riuscii
però a convincerlo: " È uno spreco - diceva -: con tanto lavoro
che c'è ».4
Solo nell'ultimo biennio si poté mettergli accanto il ricordato
don Giacomo Vacca, il quale, a dispetto della poca salute, gli pre-
stò filiale e valido appoggio fino alla morte.
***
Fu quello il tempo in cui si temette che il Servo di Dio « potesse
mancare da un momento all'altro »: 5 perciò si allestirono mezzi di
pronto soccorso e, senza che egli se ne avvedesse, qualcuno di notte
cominciò a sorvegliarlo in una stanza attigua alla sua.
Don Rinaldi si accorgeva che le forze gli si affievolivano e -
come si è accennato - « ebbe i1 pensiero di rinunciare alla carica,
presentando le dimissioni al'la Santa Sede ».6
Non lo fece, sia perché dissuaso da chi gli era più vicino, sia
perché, pur con strapazzi e sacrifici, riusciva ancora a ricevere, a
scrivere, a recarsi qua e là, e soprattutto a parlare in pubblico, con
voce sempre più lenta, più intervallata e stanca, ma in qualche ma-
niera sempre più ascoltata per le cose che paternamente e sapiente-
mente diceva.
Per diminuirgli la fatica ogni giorno don Ricaldone cercava di
sottrargli la corrispondenza e di contenere le udienze, in primo
luogo degli estranei alla Congregazione. Ma - come si è detto -
della corrispondenza don Rinaldi fu « gelosissimo » 7 fino all'ulti-
mo; e fino all'ultimo accolse chi, conosciuto o no, voleva confi-
dargli crucci e pene, e ricevere da lui conforto e guida.
Sensibile alle premure di confrateHi e medici, scherzava ama-
bilmente con i sanitari che lo visitavano; e nei momenti più acuti
de'l male si rimetteva alle loro prescrizioni frenando il lavoro.
« Era persuaso - assicura don Vacca-, date le condizioni del
cuore, che la morte lo avrebbe colpito all'improvviso; ma in genere
228

24.9 Page 239

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non alterò il ritmo della sua giornata ».8 Speranze di ripresa non
c'erano. Unico rimedio sarebbe stato il riposo assoluto, che don
Rinaldi non vo'lle e non poteva accettare stando in carica.
Così visse gli ultimi trenta mesi, più o meno, della vita: al suo
posto; con l'occhio e il pensiero a tutto; con l'animo aperto ai bi-
sogni dei figli, immolandosi giorno per giorno, fino all'estremo delle
forze.
* ,., *
NeH'estate del 1929, dopo le feste romane e torinesi per la bea-
tificazione di don Bosco, aggiungendo fatica a fatica, aveva presie-
duto a Valsalice il Capitolo Generale XIII della Congregazione. Fu
con probabilità a quel momento che don Rinaldi pensò di ritirarsi
nell'ombra. Ma per 1a Congregazione il momento era di luce e
forse, mancando una vera e propria inabilità, non si sarebbe capito
il perché di una dimissione che tutti avrebbero giudicata inoppor-
tuna.
Il Capitolo trattò in particolare della formazione intellettuale
e religiosa dei chierici, di quella tecnico-professionale dei coadiutori,
e delle missioni.
La svolta era ·propizia per consolidare all'interno la compagine
della Società e imprimerle uno slancio rinnovatore all'insegna di
don Bosco salito all'onore degli altari. Don Rinaldi lo fa capire
nella circolare del 24 ottobre, che porta i « temi trattati » dall'as-
semblea capitolare.9
Il Rettor Maggiore si era ispirato ai discorsi di Pio XI e aveva
messo al centro della spiritualità e dell'attività salesiana il motto
del Fondatore: « Dammi le anime e prendi tutto il resto ». Com-
mentava il Servo di Dio: « Quando si comprende il valore di
un'anima, il sacrificio di tutte le cose, compresa la vita, non ammet-
te più discussioni » .10
Anzi per don Rinaldi la vita di don Bosco, guardata in prospet-
tiva delle anime, costituisce il « Vangelo Salesiano »,11 da tenere
fra ie mani , consultare e seguire nell'apostolato.
« La nostra missione - affermava quasi con fierezza di capi-
tano - non è di essere trascinati, ma di trascinare; non di rice-
vere impressioni di luoghi e persone dove andiamo, bensì di por-
tare il nostro spirito nella formazione cristiana della gioventù e
dell'ambiente che ci attornia » .12 « La nostra missione - ribadiva
con vigore più avanti - non è tanto di impedire il male, quanto di
educare al bene, onde la gioventù abbia la forza di evitare il male ».13
229

24.10 Page 240

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A voler trascegliere, non si finirebbe più. Don Rinaldi sembra
immedesimarsi con don Bosco e fare una cosa sola con lui e con
la sua pedagogia soprannaturaile che mira alla salvezza dei giovani.
Seguirono nel 1930 altre circolari importanti. Il Servo di Dio
ormai governava più nelle sfere dello spirito, che nel molteplice
progresso di opere e fondazioni.
Di particolare importanza la circolare del 24 aprile sull'eccidio
dei protomartiri salesiani in Cina, mons. Luigi Versiglia e don Cal-
listo Caravario . Pur nel dolore della sanguinosa perdita, il Servo
di Dio rendeva omaggio ai due confrate'lli caduti sul campo dell'
apostolato per la propagazione della fede e la difesa della purezza di
tre giovani donne affidate alle loro cure pastorali, e « già consacrate
o iniziate alla consacrazione a Dio », per una vita di servizio nelle
nascenti cristianità del Vicariato Apostolico di Shiu Chow.11
« In Cina - scriveva don Rinaldi con animo presago - si dice
che siamo dinanzi a due martiri. Registriamo con animo grato que-
sta voce, con la fiducia e la preghiera che un giorno venga ratifi-
cata dalla suprema Autorità della Chiesa, la quale nata nel sangue
del divino Fondatore, s'imporpora attraverso i secoli col sangue di
figli che si lasciano violentemente trucidare per propagarla e difen-
derne le conquiste ».15
Con l'intuito dei santi il Servo di Dio vedeva giusto e guardava
lontano. Il 13 novembre 1976 Paolo VI proclamava con speciale
decreto il martirio di mons. Versiglia e don Caravario, dei quali si
attende la beatificazione.
In ottobre don Rinaldi compiva un ulteriore atto del suo magi-
stero salesiano, facendo proprio e dando pubblicità ufficiale a un
ampio studio del Consigliere Professionale don Giuseppe Vespi-
gnani sul coadiutore salesiano.
Don Vespignani prendeva le mosse da alcune affermazioni di
don Bosco nel 1883; perciò don Rinaldi: « Le parole del Padre
- scriveva - e il commento del figlio mi paiono tanto giusti ed
opportuni, che penso bene di farli miei e di presentarli a tutta la
Congregazione.16
Mandava poi la strenna di famiglia per il 1931, ultimo anno
della sua vita. L'aveva così concepita con semplicità e franchezza:
« Facciamo conoscere meglio il beato don Bosco ».17
230

25 Pages 241-250

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25.1 Page 241

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A misura che si avvicinava alla fine, mentre attacchi e disturbi
di salute minavano la sua gagliarda figura, che appariva lievemente
curva, il Servo di Dio, fedele al programma prefisso, non finiva di
eocitare allo studio di ciò che aveva chiamato, con felice espres-
sione, il « Vangelo salesiano ».
Altrettanto fece con le circolari del 24 dicembre 1930 e 26 apri-
le 1931. I due scritti, con l'interruzione del ritmo ordinario nelle
comunicazioni, solitamente bimestrali, lasciano intravedere alti e
bassi nella salute del Servo di Dio; ma documentano la chiarezza
dd pensiero e 'le riflessioni dello spirito, ch'erano tutta la vita di
don Rinaldi in quei mesi, intanto che secondo possibilità e circo-
stanze si recava qua e là per visite e allocuzioni paterne.
Il discorso del Rettor Maggiore in data 24 dicembre tocca in-
nanzi tutto le finalità dell'apostolato educativo salesiano, a soste-
gno e sviluppo dell'apostolato laicale voluto e promosso da Pio Xl.
Don Rinaldi invita i ,confratelli a far rifiorire le Compagnie reli-
giose di Collegi e Oratori, onde preparare e favorire la collabora-
zione dei laici all'impegno gerarchico per la cristianizzazione della
società.
Dava pertanto disposizioni affinché « i direttori delle case e
degli oratori, senza eccezione», preparassero « la giornata delle
Compagnie», in vista del « Congresso delle Compagnie » da tenersi
in ogni ispettoria.18
Con questo il Servo di Dio voleva richiamare e rendere attuale
l'impegno di don Bosco nel formare i giovani al senso dell'apostolato.
La seconda parte della lunga circolare, pensata e stesa in no-
vembre-dicembre, si riferiva alle case di studio e perfezionamento
di chierici e coadiutori. Il Superiore diceva quanto si era fatto
negli ultimi anni a vantaggio di centinaia e centinaia di giovani con-
frateHi, delineava programmi e scendeva a particolari concreti.
Ma al suo animo paterno e lungimirante, di vivente incarnazione
del Fondatore, si affacciavano i rischi non immaginari di una for-
mazione intellettuale e professionale fine a se stessa. « Guardiamoci
bene - ammoniva quasi accorato - dal formare solo degli studiosi
e degli abili professionisti! La scienza è buona e necessaria: è il
sale della terra; ma guai se si corrompe. Allora la nostra Società,
231

25.2 Page 242

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possedesse anche scienziati. .. di prim'ordine, non eserciterebbe più
i'l suo originario apostolato educativo, e sarebbe simile a un vetusto
caste1lo che presenta ancora all'esterno segni dell'antica magnifi-
cenza, ma al di dentro è tutto in rovina ».19
***
Nel 1931 si avvicinava il cinquantenario del sogno fatto da don
Bosco il 10 settembre 1881, e da lui raccontato il 21 novembre dello
stesso anno. Si tratta del misterioso personaggio che nel primo
apparire indica e rappresenta la Società Salesiana quale deve esse-
re; e nel secondo momento, con totale capovolgimento di imma-
gini, quale minaccia di diventare.
« Il vero salesiano - osserva don Rinaldi, riferendosi alla prima
parte del sogno, - ci è presentato in tutto lo splendore delle sue
virtù, raffigurate nei dieci diamanti (del personaggio), ognuno dei
quali porge argomento a tali e tante meditazioni, da contenere
esaurientemente tutta la spiritualità della vita salesiana... Le brevi
delucidazioni descrittive, fatte da don Bosco, indicano il modo
della nostra trasformazione nel personaggio... Tutti i diamanti -
conclude don Rinaldi, sempre intuitivo e profondo, - hanno una
luce propria; ma tutte le luci non sono che una luce sola : don
Bosco».
« È mio desiderio - insisteva il Servo di Dio - che fissiamo
principalmente il nostro sguardo sui diamanti della carità, del la-
voro, della temperanza, della castità, obbedienza e povertà, che
sono le virtù distintive del vero salesiano, e la salvezza della nostra
Società ».20
'~ * *
L'infermità, come si vede, non creava ostacoli al lavoro spm-
tuale di don Rinaldi, il quale insisteva perché specialmente nelle
case di formazione i direttori commentassero « durante tutto l'an-
no » il sogno dei diamanti, dando rilievo alla voce ammonitrice
echeggiata nella seconda parte: cioè: « Quale minaccia di diven-
tare», per l'incorrispondenza al dono della vocazione. Quella parte
- secondo don Rinaldi - era « il rovescio del vero salesiano », e
quindi il rischio nel quale poteva cadere,21 allontanandosi dall'ideale
di santità e di vita consacrata, che 'la Congregazione persegue.
Chi scrive può attestare che nel 1931, pur vicino alla morte, don
Rinaldi faceva quanto consigliava ai superiori delle case. Nell'esta-
232

25.3 Page 243

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te, -cianotico in viso, lento nell'incedere, ma sereno e solenne come
patriarca, egli commentò all'Istituto Internazionale Don Bosco della
Crocetta il sogno-programma della vita salesiana. Una parola arden-
te, incisiva, efficace, che risuona ancora all'orecchio, come testa-
mento ,di un padre che porgeva e interpretava il più completo mes-
saggio spirituale di vita salesiana.
***
Il 26 aprile di quell'anno il Servo di Dio aveva diramato la
penultima circolare: altro documento che lo ritrae nel suo alto go-
verno delle anime. Prostrandosi in Maria Ausiliatrice all'urna del
Beato Padre, don Rinaldi avvertiva l'invito a far presto nel richia-
mare « confrateilli e figli » a « divenire autentici salesiani » secondo
il sogno dei diamanti.
« La vita salesiana - scriveva il Servo di Dio - considerata
nella sua attività è lavoro e temperanza, vivificati dalla carità del
cuore, nella luce splendente deilla fede e della speranza; considerata
invece nella sua spiritualità interiore, è guidata dall'obbedienza, che
distacca dai beni caduchi con la povertà, e rende simili agli angeli
con la castità, sostenute (queste ultime) dal digiuno e daHa visione
del premio. Spostando i diamanti - ammoniva con fine intelligenza
ermeneutica don Rinaldi - si avranno altre forme di vita spiri-
tuale, ma non più la forma salesiana ».22
Come si vede il Servo di Dio dava importanza anche alla collo-
cazione dei diamanti nel fulgente personaggio del sogno e li vedeva
l'uno in funzione dell'altro, per una armoniosa e ragionata presen-
tazione e descrizione della spiritualità tipica della Congregazione,
secondo don Bosco.
L'occasione era buona e don Rinaldi la colse al volo. Dopo aver
illustrato nel 1924 le Costituzioni, ora gli si presentava l'occasione
d'insistere sulle tradizioni della vita sa'lesiana, le quali a suo dire
non dovevano cadere « in disuso in nessun tempo e luogo » .
Le tradizioni - annota il Servo di Dio con quella finezza di
analisi che arricchiva il suo spirito - « dànno il colore e impri-
mono il carattere alla nostra Società e alla missione che essa svolge.
Se questo colore svanisce, se questo carattere si perde, potremo
ancora essere religiosi, ancora educatori, praticando puramente la
lettera •delle Regole, ma non saremo più salesiani di don Bosco ».23
Per giungere alle tradizioni don Rinaldi risaliva alle sorgenti:
233

25.4 Page 244

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« La documentazione - diceva - ... è di prim'ordine e ricchissima,
sia perché contenuta nella vita, nelle opere, e negli scritti di don
Bosco; sia per il contributo di testimoni, più che oculari, in me-
morie e cronache: giacché essi medesimi sono il libro vivente, nel
quale l'amore del Padre s'è degnato di scrivere, a caratteri indele-
bili. .., tutto il suo cuore e tutta l'anima, con le sue ardenti e mera-
vigliose aspirazioni ».24
Don Rinaldi proseguiva illustrando l'importanza di rimanere
saldi al « patrimonio » delle tradizioni di famiglia, specialmente in
materia di pietà, di sistema preventivo e di regolarità salesiana.
Si potrebbe e si deve domandare: quale secondo don Rinaldi,
la tradizione più bella e più « vitale » della vita salesiana? Non
vi è che una risposta: « la paternità ».
Traendo anche dalla sua esperienza, qui don Rinaldi toccava
un punto centrale della salesianità, col quale si confondeva la sua
stessa individualità, tanto se n'era impregnato . Per il Servo di Dio,
don Bosco non era stato altro che padre: cioè amore che ricerca e
accoglie; benefica e sostiene; aiuta e incoraggia; solleva e perdona.
Un padre che cerca il bene spirituale e materiale dei giovani; li com-
patisce; li aiuta a crescere; Ii guida alla salvezza eterna.
Nella paternità bene intesa, esemplata sulla stessa paternità di
Dio, don Rinaldi vede l'elemento essenziale e stabile dello stile di
vita salesiana con cui il Fondatore aveva arricchito, secondo il Van-
gelo, la pedagogia del cristianesimo.
Per il Servo di Dio il salesiano è padre spirituale dei giovani,
di cui deve amare « tenerissimamente » l'anima; e per i quali deve
sacrificarsi, onde preservarli da'l male e fortificarli nel bene.25
Nessuno più di don Rinaldi ha messo a fuoco una paternità che
non è paternaHsmo, bensì illuminante vigore da cui la gioventù
trae la spinta alfa sua crescita umana e cristiana.
***
In modo particolare, scrutando a fondo iI sistema salesiano,
don Rina'ldi mette in risalto la paternità del direttore salesiano, che
in don Bosco coincideva e si identificava con il suo ministero sacra-
mentale. « Confessare i giovani - osserva - era l'occupazione pre-
ferita, che non avrebbe cambiato con nessun altra » .26
Don Rinaldi si addentra nel problema, lo documenta con i suoi
fatti personali, accenna alle disposizioni restrittive della Santa Sede
234

25.5 Page 245

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in proposito, e soluzioni pratiche in modo da conciliare le di-
sposizioni canoniche con lo spirito della primitiva ed efficace tra-
dizione di famiglia.
« Vi scongiuro - dice a ispettori e direttori - di far rivivere
in voi e attorno a voi questa tradizione della paternità spirituale,
che purtroppo va spegnendosi con grave danno delle anime giova-
nili e della nostra fisionomia salesiana ».
H suo appassionato appello, che riflette il suo intimo e prospetta
l'intera sua esistenza, si chiude così: « Siate padri dell'anima dei
vostri giovani. Non abdicate alla vostra paternità spirituale ... Posse-
detene il cuore ».27
***
Pur toccando altri punti delle tradizioni salesiane, qui don Ri-
naldi aveva colpito nel vivo. Non si poteva meglio scolpire la fisio-
nomia del superiore salesiano sullo stampo del Fondatore, in tempi
che non consentivano più di seguire i suoi esempi, che pur avevano
dato frutti meravigliosi.
Il Servo di Dio aveva colto la parte essenziale di uno stile sin-
golare di vita, e l'aveva bellamente adattato alle nuove esigenze
della Chiesa. Cristiano perfetto e salesiano esemplare.
ll tempo di apparente inerzia o di maggior ritiratezza gli per-
metteva di condensare in pagine rioche di salesianità, la lunga
esperienza, l'amore filiale a don Bosco, il senno pratico e sicuro,
nella guida dei figli.
Un tramonto di luce che rendeva don Rinaldi padre e maestro
della Congregazione.
Not e
' Summ ., 24, 84.
' Summ., 258, 898.
3 Summ., 295, 1039.
' Summ. , 275, 959.
5 Summ., 294, 1037.
Summ. , 293 , 1032.
' Summ. , 275 , 960.
Summ ., 258, 899.
' Atti, 805-826.
10 Atti, 798.
11 Atti, 798.
12 Atti, 800.
" Atti, 801.
" Atti, 852.
" Atti, 859.
" Atti, 877.
11 Atti, 877.
18 Atti, 916-917 .
" Atti, 922.
" Atti, 923.
21 Atti, 924.
" Atti, 934.
" Atti, 935.
" Atti, 936.
" Atti, 940.
2
Atti,
940.
27 Atti, 942.
235

25.6 Page 246

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25
MORTE REPENTINA
Don Rinaldi si accorgeva di avvicinarsi alla fine, ma non ne
era turbato. Ai primi di marzo del 1930 stando in riposo a Ivrea,
la casa del cuore, aveva scritto con serenità: « Sia tutto come Dio
vuole. Si tratta di pochi anni, se tutto va bene; di guarire non c'è
speranza » .1
Non si faceva dunque illusioni, pur affrontando - come si è
visto - le sue fatiche di governo, e moltiplicando, dov'era possi-
bile, la paterna presenza, per dar gioia ai figli e alle figlie e aver
l'occasione di rivolger loro la sua parola.
In realtà con il dono della calda e stimolante parola c'era la
forza dell'esempio e l'incanto della santità.
Dovunque si accoglieva e si guardava al Rettor Maggiore per
ciò che dimostrava di essere, non per la dignità che rivestiva. Ognu-
no lo vedeva e lo sentiva padre, e ammirava la sua bontà fatta
persona.
Don Rinaldi dava il senso di Dio. Grave nel passo, ilare in volto,
raccolto e allo stesso tempo disinvolto nella persona; affabile e cor-
tese, pronto al saluto, al ricordo, al richiamo di luoghi e confratelli
lontani, dava netta e inconfondibile l'impressione di quella ricchez-
ze interiore che era manifestazione di grazia e lo rendeva sempre
disteso e sereno.
Standogli vicino non si aveva la presunzione di trovarsi con un
santo: la bonomia gli faceva da schermo; si avvertiva però qualcosa
di misterioso che attirava alla sua persona, anche ,se egli restava in
una cornice di perfetta normalità. Chi ne fece l'esperienza non può
dimenticarlo.
,., * *
Ad Ivrea, in uno degli ultimi soggiorni, avvenne anche qualcosa
che lumeggia la sua interiorità.
236

25.7 Page 247

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Profittando del riposo impostogli dai medici volle, come altre
volte fare qualche giorno di ritiro. 11 documento che ho tra mano,
scritto dal salesiano don Giuseppe Sangalli, non precisa il tempo,
ma si tratta quasi certamente dell'ultimo biennio, forse del 1930.
Don Rinaldi aveva pregato i superiori della casa di non recapi-
targli neppure la corrispondenza, per meglio conservare il raccogli-
mento e lo spirito di preghiera. Se non che arrivò un telegramma
proveniente pare dal Brasile.
Il direttore dapprima rimase incerto se consegnarlo subito o no.
Vinse il carattere d'urgenza proprio della forma straordinaria di
comunicazione. Recatosi dal Superiore trovò la porta socchiusa.
Bussò due o tre volte, senza risposta. Si sapeva che don Rinaldi
soffriva di cuore; perciò, temendo qualche sorpresa, il direttore
entrò cautamente nella stanza.
Trovò don Rinaldi inginocchiato presso lo scrittoio col viso in
lacrime. Capì d'essere stato indiscreto, improvvisò le sue scuse e
fece per ritirarsi.
« Vieni, vieni, figliuolo - disse il Servo di Dio - . Vedi, il
Rettor Maggiore sta facendo l'esame di coscienza su questo libri-
cino - e mostrò le Costituzioni - . In quante cose il Rettor Mag-
giore trova di aver mancato! ».
« Il giusto - dicono i Proverbi - è il primo ad accusare se
stesso» (18,17). Don Rinaldi conosceva il passo biblico e nella
sua profonda umiltà, senza ritenersi giusto, pensava di applicarselo:
e dava con ciò una prova della perfezione che aveva raggiunto.
***
Dell'eroica fortezza del Servo di Dio nell'ultimo biennio e della
sua inestinguibile carità verso i figli, don Vacca dichiara: « Pur
conoscendo il suo stato e le condizioni pericolose del cuore, anche
nell'ultimo biennio si sottomise a viaggi faticosi per portare dovun-
que i1l suo sorriso. Fu, per esempio, da Torino a Padova in auto-
mobile, seguendo all'andata e nei ritorno percorsi diversi, allo
scopo di visitare maggior numero di case... Io che lo sorvegliavo,
mi accorgevo della sua depressione e fatica: ma don Rinaldi era
sempre per tutti, sia nel dare udienze, che nel ricevere manifesta-
zioni di gioia o celebrare funzioni, senza mai darsi per vinto. Mai
poi che il suo sorriso si alterasse o lasciasse trasparire stanchezza
e noia. Così anche in viaggi meno lunghi.
Lo vedevamo sofferente, qualche volta con la parola inceppata;
tuttavia sempre garbato e compiacente. Inutile domandargli come
237

25.8 Page 248

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si sentisse: sorrideva e parlava d'altro, se pur non rispondeva con
pardle scherzose. Agiva con tale sopportazione e adattamento al
suo mafo, che il ricorso aH'aiuto d'altri sembrava da parte sua più
un atto di paterna confidenza che un preciso bisogno.
Non un lamento per le notti insonni - prosegue don Vacca-.
Né queste gli erano motivo per sottrarsi alle premure quotidiane
di governo e di carità. Sospendeva solo per l'impossibilità del mo-
mento; ed era pronto a riprendere non appena gli pareva di sentire
che il cuore fosse in ripresa. Non lasciava di scendere in ufficio, al
primo piano, neppure nei giorni in cui la forte miocardite lo obbli-
gava a camminare e a fare le scale con passo stanco ed estrema pru-
denza, rasente il muro o con la mano alla ringhiera, come chi ha
bisogno di appoggio.
Di notte - conclude i'l segretario - non incomodava mai nes-
suno. Trascorreva le veglie in preghiera, ed era delicato nell'evitar
rumori che potessero svegliarmi. Più volte mi interrogò in proposito.
Nel riprendere poi al mattino il suo lavoro, con sguardo paterno
e faceto, sembrava rassicurare chi gli stava intorno e badava alla
sua persona » .2
***
Così visse don Rinaldi, in casa e fuori, gli ultimi due anni della
sua vita: soprattutto la tarda estate e l'autunno del 1931, mentre si
preparava la fine. Lavoro, sofferenza, preghiera.
Ancora lo si vedeva in comunità. Come nel trentennio di Val-
docco, nella casa madre, i confratelli ammiravano la sua esattezza
nelle cose di Dio. Lo guardavano con venerazione in preghiera da-
vanti al quadro di Maria Ausiliatrice e accanto all'urna di don
Bosco, tra devoti e pellegrini che ogni giorno animavano la basilica.
Si legge nei processi: « Ogni giorno don Rinaldi si recava pres-
so l'urna del Padre, Beato, e vi si tratteneva in orazione. Agli intimi
spiegava: " Sono stato a fare un po' di rendiconto a don Bosco " ».3
Gli pareva fossero tornati i bei tempi deHa sua giovinezza sale-
siana, allorché da San Giovanni Evangelista scendeva all'Oratorio
per informare don Bosco sull'andamento dei Figli di Maria, e per
ricevere luci e consigli. Ora in cambio gli parlava dell'accresciuta
ed estesa Famiglia Salesiana, che operava nel mondo ed egli inten-
deva conservare nel solco delle origini, per una schietta fecondità
di apostolato.
Erano veramente - come ebbe a scrivere egli stesso nella cir-
colare de'l 26 aprile 1931 - « luci lontane », che brillavano di più
238

25.9 Page 249

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viva chiarezza » nel momento in cui la vita « volgeva al termine »,
intanto che aveva la gioia di contemplare la fronte del Padre e Fon-
datore cinta « dall'aureola immortale dei santi ».4
***
In quest'atmosfera di mistica soavità e quasi di tenerezza spiri-
tuale, sempre sollecito e presente a se stesso, don Rinaldi trovò
modo di preparare, senza averne forse diretto sentore, la sua ultima
circolare, che porta la data del 24 novembre 1931, e fu distribuita
nei giorni del suo trapasso.
E uno scritto pieno di saggezza e di attualità. Nulla faceva pre-
sagire che avesse il significato di un testamento, quasi di un addio.
Lo ebbe in realtà.
La prima raccomandaZJione di don Rinaldi ai confratelli era
« di avvicinarsi di più » a don Bosco, attingendo con assiduità alle
fonti e alla letteratura salesiana, che in quegli anni si era notevol-
mente arricchita.
Le angustie del momento, nel mondo più che in Italia, spro-
navano il Servo di Dio a caldeggiare l'impegno dei confratelli verso
la gioventù abbandonata. L'eroismo di tutta la vita di don Bosco
- scriveva - « non ebbe altro movente che l'amore e 1a pietà
verso la gioventù; non altro fine che quello di alleviarla nelle sue
miserie, educarla e condurla a Dio ».5
Passando quindi alla grave « crisi finanziaria » che affliggeva il
mondo e si ripercuoteva nella vita delle case e dell'intera Congre-
gazione, don Rinaldi - che era sempre stato uomo di amministra-
zione - lancia un forte richiamo all'esercizio della povertà e
all'acquisto di « un fine spirito di economia ». Con il Fondatore
inculcava: « Non dobbiamo cercare di rendere la nostra vita più
agiata, ma far buon uso del1a carità che altri ci fanno ».6
Anticipando le strenne per il 1932, che egli non doveva vedere,
don RinaMi invitava tutti: sacerdoti, chierici, coadiutori, allievi
interni ed esterni, oratoriani ed ex-allievi - ogni gruppo secondo
aspetti e pratiche diverse - « a crescere nell'amore all'Eucaristia ».
E siccome in Spagna c'erano stati torbidi politico-sociali, con
affettuoso ricordo al passato, il Rettor Maggiore invitava alla pre-
ghiera per le case e ispettorie di « queHa nobile nazione ». Diceva:
« Le ho poste sotto la protezione di Maria Ausiliatrice: supplicatela
anche voi, mattino e sera, con insistenza filiale, perché faccia pre-
239

25.10 Page 250

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sto sentire a quei nostri carissimi confratelli tutta l'efficacia del suo
potente aiuto e la pienezza della sua materna protezione ».7
Dall'andatura dello scritto e dal tono paternamente sereno del
Servo di Dio, che pensava sempre agli altri mai a sé, poteva dirsi
che tutto era normale al centro e nel governo della Congregazione;
invece furtivamente si preparava il grande lutto.
Col sopraggiungere del freddo e delle nebbie d'autunno le con-
dizioni generali di don Rinaldi cominciarono a destare allarmi.
« Nell'ultimo mese della vita - depone don Azzini - dovette te-
nersi ritirato in camera: i fenomeni cardiaci si venivano accentuan-
do.. . 11 Servo di Dio però si dimostrava in tutto sottomesso al di-
vino volere e si manteneva calmo e tranquillo di quella calma e
tranquiUità che gli erano abituali ».8
« Nelle ultime settimane - conferma don Vacca - i reperti dei
sanitari si fecero ogni giorno più allarmanti, e di conseguenza più
rigorosi gli ordini d'impedirgli ogni fatica. Non senza rincrescimento
don Rinaldi si accontentò di dare un semplice sguardo alla corri-
spondenza e di ricevere qualche visita. Passava il resto del tempo in
pie letture e preghiere » .9
Si era aUestita una cappellina provvisoria accanto alla stanza da
letto, e « finché poté, di buon mattino vi celebrava messa, tratte-
nendosi a lungo in ringraziamento; anzi durante il giorno vi tornava
per una più raccolta preghiera ».10
I dottori chiamati a consulto ormai non davano speranze, e
da parte sua don Rinaldi, pur accettando forzati riposi e cure,
sapeva e presentiva che la morte lo avrebbe ghermito repentina-
mente.
Si installarono pulsanti e campanelli per il caso di improvvisi
collassi. « Tu - diceva celiando al segretario - pensi a metter
campaneHi; ma quando questo qui - e in così dire accennava al
cuore - sarà stanco di battere ... addio a tutti i vostri campanel-
'1i .. ».11 Anche al vicario don Ricaldone ebbe a dire: « Con tanti
bottoni e campanelli, un bel giorno me ne andrò senza che nessuno
se ne accorga » .12
***
Si era tra la fine di novembre e i primi di dicembre: alla nove-
na ·dell'Immacolata, che tante volte don Rinaldi aveva celebrato
con le Figlie di Maria dell'oratorio femminile di Valdocco.
240

26 Pages 251-260

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26.1 Page 251

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Guardando dalla finestra della camera, il sottostante santuario
di Maria Ausiliatrice gli suscitava nostalgie e ricordi. Quante anime
aveva portato a Maria; quante giovani aveva consacrato, come bian-
chi gigli, a'lla purezza del suo amore. La basilica di don Bosco e
l'oratorio delle sue figlie erano stati i solchi più be11i d'un aposto-
lato silenzioso e fecondo.
Ora, fissando la statua dell'Immacolata, troneggiante sulla cupola
del tempio, cinta di una corona luminosa di stelle, non gli restava
che ripetere con don Bosco, negli ultimi tempi della vita: « Ha fatto
tutto Lei! » e disporsi a raggiungerlo in paradiso.
« Negli ultimi giorni - dichiara don Vacca-, sopraffatto daW
asma, dovette rinunciare al conforto della celebrazione mattutina ».n
Si comunicava stando a letto; e più tardi si alzava per assistere
alla messa celebrata da un confratello ne'Ha cappellina domestica.
A fotto non rimase che nelle ore di estrema sofferenza. Osserva
il segretario: « Non gli veniva meno anche allora l'accogliente affa-
bilità; e per poco che si riprendesse, tornava a interessarsi di cose
e ·Confratel'li ch'erano in attesa di una sua parola. Mi pregava di
farglieli salire e di introdurli, mostrando con la serenità del volto
che non c'era nulla da temere.
Se ne privò - attesta con scrupolo don Vacca - soltanto gli
ultimi due o tre giorni, durante i quali una crisi particolarmente
acuta gli tolse ogni possibilità di contatto con gli altri; ed egli re-
stava solo, co_l rosario che gli scorreva per ore fra le mani ».14
***
Anche don Ricaldone ricorda che all'inizio del mese di dicem-
bre il Servo di Dio « ebbe due giorni e due notti di un continuo
singulto, che lo tormentò gravemente » .15
Eppure don Rinaldi, che tante volte aveva detto in passato di
non essersi fatto salesiano per curare la propria « salute »,16 inten-
deva cadere sulla breccia come soldato in adempimento del do-
vere; o se piace come capitano che avendo insegnato a ben vivere,
vuole insegnare anche a ben morire.
Racconta don Ricaldone: « Il due dicembre, tre giorni esatta-
mente prima della morte, voleva ad ogni costo scendere per la con-
ferenza di buona morte ai confratelli dell'Oratorio, casa madre.
E tradizione infatti - osserva don Ricaldone - che nella novena
dell'Immacolata faccia quella conferenza il Rettor Maggiore. Mi
costò gran fatica - aggiunge - persuaderlo che assolutamente non
241

26.2 Page 252

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doveva e non poteva scendere in comunità, anche se tutti aspetta-
vano la sua parola. " Mi dica il tema della conferenza e la farò io
in suo nome". Rammento - conchiude don Ricaldone - che il
tema pensato per la conferenza era il centenario dell'andata di
Giovannino Bosco a Chieri » .17
Don Rinaldi chiudeva quindi la vita con l'ansia di parlare di
don Bosco e di commemorarne le vicende giovanili.
Quello stesso giorno, consapevole del suo stato e che sorella
morte poteva coglierlo da un momento all'a1ltro, il Servo di Dio
aveva fatto chiamare i'I confessore e umilmente si era riconciliato.
Era un tenersi pronto « al gran passo »,18 che si avvicinava in punta
di piedi.
Don Rinaldi non temeva la morte: la guardava in faccia e ne
accettava l'incontro con fede e coraggio. Aveva lavorato nella vigna
del Signore e portato con entusiasmo e rettitudine il peso di una
lunga giornata.
Aveva amato le anime con cuore di padre e di apostolo: e dai
più -si era capito il suo indomabile zelo e le sue chiaroveggenti
premure.
Poteva volgere indietro lo sguardo e contemplare i solchi delle
fatiche senza turbamenti né perplessità.
La consacrazione a Dio, il sacerdozio, l'esercizio diuturno dell'
autorità, avevano segnato una strada feconda, pur se talora tribo-
lata e a tratti incompresa.
Arrivava ora il momento del riposo. Con lo spirito poteva entra-
re fiducioso all'eternità che gli si spalancava sul capo.
La mancata rinuncia alla carica era stata un bene, non tanto
per lui quanto per la Congregazione, che aveva goduto fino all'ulti-
mo del suo illuminato ardore salesiano e deUa sua confortante pa-
ternità.
Ma la fine incombeva, senza averne l'aria.
***
Passò infatti bene 'la notte dal 4 al 5 dicembre. Di buon'ora gli
portarono la comunione, e più tardi, avvertendo un certo benessere
si alzò. Indossò - dice don Ricaldone - « la biancheria di bucato
e si allacciò le scarpe ». Disse: « A messa non si va in pantofole ».
242

26.3 Page 253

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Senza gravi difficoltà poté assistere al santo sacrificio ne'lla cappel-
lina accanto alla stanza.
Uscendo trovò il dottor Clerico, che 'lo visitava anche più volte
al giorno. Dopo accurato esame: « Mi rallegro - gli osservò - ,
perché lo trovo meglio... Se continua così - soggiunse alludendo
a un divieto di qualche tempo prima - presto potrà prendere an-
che il treno ».19
Don Vacca conferma: « L'ultimo giorno ci diede qualche fugace
speranza. Al mattino si sentì più sollevato del solito... Si comunicò
presto, non pensando forse che quella era 1a sua ultima comunione...
Lo trovai particolarmente gaio e disposto, in contrasto con i giorni
precedenti, a serena espansione di giovialità, che mi parve di buon
auspicio ».20
Non era che il bene ingannevole delle ultime ore. Era imminente
la fine.
***
Sentendosi meglio don Rinaldi subito pensò all'anziano confra-
tello don Cartier, che da giorni attendeva udienza, prima di tornare
in Francia. All'insaputa del segretario l'aveva convocato per l'in-
contro.
Mentre don Cartier spiegava in corridoio a don Vacca il perché
della sua presenza, la porta del Servo di Dio si apre e don Rinaldi
affabilmente invita l'ospite a entrare, « dicendo a me - osserva
il segretario - che si tratterebbe di un semplice saluto; e che il
buon don Cartier ben meritava quella piccola eccezione ».21
Il colloquio fu realmente breve. Don Cartier si accorse che il
Rettor Maggiore aveva colpi di tosse e filialmente prese congedo.
Il segretario che sorvegliava all'esterno salutò don Cartier e vide
il Servo di Dio incamminarsi ,con passo incerto e adagiarsi sul seg-
giolone che aveva in camera. Chiuse l'uscio e lo lasciò in assoluto
riposo.
Si udì ancora qualche colpo di tosse e poi più nuHa.
Don Rinaldi se n'era andato in silenzio e tutto solo come aveva
previsto.
Qualche tempo dopo, entrando per motivo di servizio: « lo tro-
vai esanime - depone don Vacca - nella posizione in cui l'avevo
visto adagiarsi poco prima. Era spirato senza spasimi, in atteggia-
mento composto come quando pregava » .22
« Lo trovai seduto - narra don Ricaldone subito accorso - col
capo leggermente inclinato e un libro (la vita di don Rua) aperto
243

26.4 Page 254

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sulle ginocchia... Lo chiamai, ma purtroppo don Rinaldi non ri-
spondeva più. Gli amministrai sub conditione l'Olio Santo e ingi-
nocchiato con superiori e confratelli raccolti nella stanza recitammo
le prime preghiere di suffragio ».
Era « verso le undici» del 5 dicembre 1931.
Don Rinaldi aveva « 75 anni, 6 mesi e 7 giorni ».23
Con lui si chiudeva nel governo della Società Salesiana l'età
delle origini e la generaazione dei superiori direttamente formati
alfa scuola del Fondatore.
***
Il cordoglio e il rimpianto a Valdocco, in città, in Italia e nel
mondo, furono universali. Da tutti si capì quanto don Rinaldi pur
nella sua umile semplicità fosse amato, stimato e venerato.
« Siccome era già vestito - osserva don Ricaldone - , e in un
atteggiamento edificante, lo feci portare sullo stesso seggiolone nella
cappellina dove poco prima aveva ascoltato messa ».24
« Immediato - aggiunge don Vacca - l'accorrere di confra-
telli ed estranei... Il flusso dei visitatori, dalle prime ore del pome-
riggio, non ebbe sosta. Persone di ogni ceto e grado si affollavano
accanto allo scomparso; anime riconoscenti e cuori devoti; ammira-
tori sinceri e figli affezionati. Tutti volevano baciare quelle sacre
mani che tante volte si erano levate a benedire. Era un rimpianto
genera'le e comune sulla bocca di mo'lti ;che fosse morto un santo ».25
Chi scrive ricorda di aver reso omaggio alla salma del Servo di
Dio nelle primissime ore del pomeriggio. Era ancora là, al secondo
piano, nella cappellina provvisoria, lievemente adagiato sul seggio-
lone dal quale aveva spiccato il volo a:ll'eternità. In quegli istanti
sopraggiunse l'arcivescovo di Torino, mons. Maurilio Fossati, che
sostò in preghiera e devotamente baciò le mani dello Scomparso.
***
Verso sera la salma fu portata nella chiesa succursale di piazza
Maria Ausiliatrice. La fo1la si accalcò attorno ad essa fino alle tarde
ore della notte. E così nei giorni seguenti.
Nel pomeriggio dell'Immacolata - la festa delle sue oratoriane
- si snodò il trasporto funebre per le vie di Valdocco fino al san-
tuario di Maria Ausiliatrice. Qui il giorno nove si celebrarono le
solenni esequie.
244

26.5 Page 255

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Poi, al cimitero comune di Torino. « I Rettori Maggiori prima
di lui - rileva don Ricaldone - vennero tumulati a Valsalice.
Io però conoscevo il pensiero di don Rinaldi, condiviso dai membri
del Consiglio: e cioè che il Rettor Maggiore fosse sepolto coi con-
fratelli. E così fu fatto ».26
Molti tuttavia fin d'allora pensarono che le spoglie del Servo di
Dio potessero e dovessere tornare a Valdocco in attesa della gloria.
Note
' CERIA E., 464.
2 Summ. , 255-256, 888-890.
3 Summ., 331, 1141.
4 Atti, 941.
' Atti, 965 e 967.
6 Atti, 969-970.
1 Atti, 971-972 .
8 Summ., 24, 84-85.
' Summ., 259, 901.
0
'
Summ.,
259,
901.
11 Summ., 259, 900.
" Summ., 294, 1037.
13 Summ ., 259, 902; e 24, 84.
14 Summ., 259, 902.
" Summ., 295, 1038.
16 Summ., 283, 990.
17 Summ., 281 , 982.
18 Summ., 96, 337.
" Summ., 295, 1039.
20 Summ., 260, 904.
21 Summ ., 260, 906.
22 Summ., 261, 906.
" Summ., 296, 1042.
24 Summ. , 296, 1041.
" Summ., 261, 908-909.
26 Summ ., 297, 1044.
245

26.6 Page 256

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26.7 Page 257

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NELLA SCIA DEL PADRE

26.8 Page 258

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26.9 Page 259

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26
FAMA DI SANTITÀ
E CAUSA DI BEATIFICAZIONE
Attorno alle spoglie di don Rinaldi, per moto spontaneo di folla,
a guisa di fiore che si apre e d'improvviso manifesta il suo incanto,
proruppe la fama di santità nascosta in molti cuori. Dichiara don
Ricaldone, il teste più autorevole e più responsaabile in materia :
« In morte del Servo di Dio e durante i funerali si capì di quanta
stima egli fosse circondato. Rammento che molti, dopo essersi indu-
giati a contemplarne i resti mortali ... uscivano dicendo: " Era pro-
prio un santo" » .1
Il confratello salesiano Giuseppe Caccia non solo parla di « gran-
de aillusso » ai funerali, con « largo intervento di autorità civili e
religiose », ma è in grado di asserire: « Unanime era la voce: è
morto un santo » .2
Anche don Giuseppe Vifias depone al processo Rogatoriale di
Barcellona: « Quando presi parte ai suoi funerali in Torino, l'opi-
nione generale era che fosse morto un santo ».3
Ognuno riandava memorie, ricordava incontri, riascoltava esor-
tazioni e consigli; rivedeva la figura di don Rinaldi in preghiera;
considerava sue azioni private e pubbliche; ricamava intorno alla
sua perfetta somiglianza, se non proprio identità, con don Bosco:
e scorgeva il santo, l'uomo che si distacca dagli altri, ed emerge ed
ecce'lle anche tra i più buoni e virtuosi.
Non tutti potevano avere il concetto teologico della santità, né
l'idea esatta circa l'eroismo delle virtù; ma ognuno, guidato dal
senso cristiano del soprannaturale, intuiva che la figura dello scom-
parso era come avvolta da una luce di singolare esemplarità.
***
Questa fama, che era manifestazione spontanea e sincera dell'
animo, e interpretava già i disegni di Dio sul terzo successore di
249

26.10 Page 260

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don Bosco, non creava meraviglia, perché una stima non comune
aveva accompagnato il Servo di Dio nel corso deHa vita, a partire
specialmente dagli anni della Spagna.
Don Vifias dice infatti: « L'opinione che si aveva di lui in vita,
e che io sentii esprimere molte volte durante la sua permanenza in
Spagna, è che si trattava di un uomo perfetto e completo ».4 Anche
don Manfredini, rifacendosi a tempi lontani di vita spagnuola,
testimoniava dopo la morte di don Rinaldi: « Era in tutto un uomo
così somigliante a don Bosco, da non meravigliarmi adesso che lo
si consideri un santo, e che per sua intercessione avvengano fatti
prodigiosi ».5
Il processo di Barcellona ha soprattutto messo in evidenza la
fama « di sacerdote straordinario »,6 della quale il Servo di Dio fu
circondato al tempo del suo ispettorato nella penisola iberica. Si
può dire che la sua maturità spirituale, la ricchezza interiore, il non
comune equilibrio di governo, l'esattezza nel compimento del do-
vere, e in particolare l'esercizio di una amabilissima paternità, assu-
mano fin d'aHora forma costante di vita e si trasformino in abito
di virtù, che appare ogni giorno più perfetto.
Come teste auricolare, lungamente vissuto nella Spagna, il se-
gretario don Vacca depone: « In Spagna, lui vivente, la sua figura
era molto ricordata per l'esempio delle virtù; quanti l'avevano co-
nosciuto lo ritenevano un santo. L'ammirazione per lui era incondi-
zionata » .7
***
Nel trentennio torinese tale fama si accrebbe a misura che il
prefetto generale della Congregazione si faceva conoscere nelle
attività di governo e nelle manifestazioni di zelo apostolico.
Il primo ad accorgersi di avere un eccezionale collaboratore al
fianco fu don Rua. L'ex-allievo don Matta racconta di una persona
la quale appunto con don Rua si lamentava di non avere, durante
i di lui viaggi in Italia e aH'estero, con chi consigliarsi « nei biso-
gni spirituali della sua anima ».
« '' Gliela indico io - avrebbe detto don Rua - : vada da don
Rinaldi che è un santo ". Questo - conclude don Matta - lo
sentii più volte dalla persona interessata, ora defunta ».8
Madre Lazzari, che dopo la morte del Servo di Dio fu la prima
a impetrare dalla sua intercessione una grazia singolare, che ha
tutto l'aspetto di miracolo, dichiara a sua volta: « In don Rinaldi,
fin da quando era in vita, io trovai sempre un vero modello di reli-
250

27 Pages 261-270

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gioso, direttore di spirito e superiore. E il mio giudizio era piena-
mente condiviso da persone che mi parlavano di 'lui. Egli aveva da
Dio doni preziosi i quali, con la sua costante corrispondenza alla
grazia, davano frutti meravigliosi a vantaggio delle anime ».9
Anche i confratelli, che più gli erano vicini, sono concordi nell'
asserire la fama di santità in vita, pur se nel Servo di Dio, a foro
avviso, c'era l'impegno di passare inosservato. Trascelgo le testimo-
nianze di don Azzini e don Ricaldone.
Don Azzini: « Mentre era in vita - afferma - , benché condu-
cesse vita umile e modesta, il Servo di Dio era molto stimato per
la sua virtù ... Questa appariva ordinaria, ma in realtà non era co-
mune ».10 « Riguardo alla fama di cui godeva don Rinaldi - ag-
giunge don Ricaldone - attesto che si trattava di grande stima, per
le doti di governo, la prudenza nella direzione delle anime e l'abi-
lità nel condurre imprese. Egli però amava il nascondimento e si
reputava l'ultimo di tutti ». 11
***
Gli anni che seguirono immediatamente alla sua morte parvero
interrompere o attenuare la fama goduta in vita ed esplosa al mo-
mento della scomparsa. La ragione fu la canonizzazione di don
Bosco nel 1934, che sembrò concentrare sul Fondatore la tensione
spirituale dei figli e delle opere. « In pubblico - ammette una Fi-
glia di Maria Ausiliatrice - si parlava meno di lui. Ma noi - ag-
giunge - , sue figlie spirituali, e quanti lo avevano avvicinato...
non lo dimenticavamo. Nel nostro cuore vi era la convinzione che
don Rinaldi fosse un santo ».12
Non mancavano tuttavia persone avvedute le quali insistevano
presso i superiori salesiani, onde si avviasse la Causa del Servo di
Dio. Don Ricaldone - lo afferma egli medesimo ai processi - pre-
ferì temporeggiare aspettando un segno dall'alto.13
E il segno venne con la sorprendente guarigione di suor Carla
Denoni, figlia spirituale di madre Lazzari, raccontata nel capitolo
introduttivo alla presente biografia.
Si era allora nel 1945, a 14 anni dalla morte del Servo di Dio.
Il fatto fu la scintilla che ridestò l'incendio. « Benché in un primo
momento non si parlasse di promuovere la Causa di beatificazione
- osserva don Bordas - , non appena si conobbe un fatto prodi-
gioso ottenuto per sua intercessione, in tutta la famiglia salesiana
si manifestò unanime consenso di approvazione e di entusiasmo, con
impegno di ricorrere al Servo di Dio per ottenere grazie e favori ».14
251

27.2 Page 262

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Anche suor Graziano annota: « Al'lorché si conobbero le grazie
straordinarie impetrate per sua intercessione, la fama latente di san-
tità prese nuovo rigoglio, sia nella famiglia salesiana che tra le per-
sone 1e quali lo avevano ·conosciuto, specialmente nel ministero
sacerdotale » .15
« Fu una gioia generale - conferma don Candela - quando
si vide che il Signore, con fatti prodigiosi, esaltava la memoria
del suo Servo fedele » .16
Modestamente e quasi con rimpianto don Tirone osserva: « Lo si
stimava santo; ma non si osava dirlo da altare, perché fatti straordi-
nari di lui non si conoscevano». Solo i più esperti conoscitori delle
sue virtù, ricorrendo· con fede alla intercessione del Servo di Dio
- conclude don Tirone - risvegliarono la fama di santità che
circondava il suo nome; e questa « rapidamente » crebbe e si dif-
fuse nel mondo sa1esiano.17
***
Le pratiche per l'inizio della Causa furono presto allestite. Il 5
novembre 1947 la Curia Arcivescovile di Torino costituiva il Tri-
bunale e incominciavano le indagini canoniche.
In cinque anni vennero ascoltati 42 testimoni: 22 al processo
Informativo di Torino e 20 a quello Rogatoriale di Barcellona; si
raccolsero gli scritti de1 Servo di Dio e si procedette all'inchiesta
circa l'assenza di ogni forma di culto indebito alla memoria di don
Rinaldi.
Nel 1958 si stampava a Roma, presso la Sacra Congregazione
dei Riti, competente in materia, il grosso Summarium con le prin-
cipali deposizioni giurate dei due processi. Intanto era già avvenuta
la revisione teologico-morale degli scritti, che esaltava il Servo di
Dio come degno emulo di san Francesco di Sales.
Tardarono in cambio le difficoltà del Promotore Generale della
Fede, uscite in luce soltanto 1'11 dicembre 1971.
Sollecita invece la risposta del Patrono della Causa, in data 1°
febbraio 1972.
Anche la pubblica discussione da parte di Prelati e Consultori
fu rimandata fino al 1° febbraio 1977.
Seguì la discussione cardinalizia, e con decreto dell'l 1 giugno
1977 di Paolo VI, la Causa fu felicemente introdotta.
252

27.3 Page 263

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***
Ora sono in corso i processi Apostolici, che si svolgono di nuovo
presso la Curia Arcivescovile di Torino, dove vivono o converranno
testimoni immediati, le cui deposizioni son destinate a congiungersi,
in via probativa, alle testimonianze informative: e così si aprirà
la strada allo studio definitivo e alla proclamazione delle virtù eroi-
che di don Rinaldi, preludio della sua elevazione all'onore degli
altari .
Intanto, fin dal 1956, al compiersi il venticinquesimo della
morte e il centenario ,della nascita, le sue spoglie vennero privata-
mente esumate e trasportate nei sotterranei della basilica di Maria
Ausiliatrice. Nella sottostante cappella delle Reliquie è indicato il
luogo della tomba, presso la quale s'inginocchiano in preghiera de-
voti e ammiratori.
Su quella tomba deponiamo l'auspicio che spunti presto l'alba
di gloria per don Filippo Rinaldi: segua la scia del Padre egli che fu
vivente incarnazione di don Bosco e guida spirituale di molte anime.
Not e
' Summ. , 298, 1048.
' Respon., 34, n. 60.
3 Respon., 30, n. 54.
' Respon., 30, n. 54.
5 Respon., 32-33, n. 58.
Respon., 26, n. 49.
7 Summ., 262, 911.
' Summ ., 350, 1205.
' Summ. , 308, 1081.
10 Summ. , 26, 92 .
11 Summ., 298, 1048.
12 Respon., 27, n . 50.
13 Summ ., 266-267, 927-928; 298-299,
1049.
14 Summ., 97-98, 343 .
15 Summ., 160, 555.
16 Summ ., 196, 685 .
17 Summ. , 246, 855-856.
253

27.4 Page 264

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INDICE
Fonti
Presentazione
1. Verso gli altari
Preludio
PARTE PRIMA
In cammino
2. Figlio dei campi .
3. Prediletto di un Santo
4. In Congregazione
5. Salesiano e sacerdote .
6. Direttore
7. A Sarrià.
8. Ispettore di Spagna e Portogallo
9. Prefetto Generale
PARTE SECONDA
Apostolato e santità
10. Nel vortice delle occupazioni
11. Tra la gioventù femminile
12. Al confessionale
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pag. 5
»
7
»
11
» 21
» 28
» 37
» 45
» 54
» 63
» 71
» 81
» 91
» 100
» 109

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13. Fondatore in penombra .
14. Apostolo del dopoguerra .
15. Uomo di spirito .
16. Religioso perfetto
17 . Rettor Maggiore
PARTE TERZA
Successore di Don Bosco
18. Al timone di governo
19. Zelo missionario
20. Viaggi opere insegnamenti
21. Per le Figlie di Maria Ausiliatrice
22 . Beatificazione di Don Bosco .
23. Paternità senza limiti
24. Ultimi bagliori di salesianità .
25 . Morte repentina
Nella scia del Padre
26 . Fama di santità e causa di beatificazione
» 118
» 132
» 142
» 152
» 160
» 171
» 180
» 189
» 198
» 207
» 217
» 227
» 236
» 249
255

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ISBS - Castelnuovo Don Bosco (Asti) - 1980

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27.8 Page 268

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DON RINALDI
vivente immagine di Don Bosco
Nel centenario - 1880-1980 - della professione religiosa del Ser-
vo di Dio Don Fi:;ppo Rinaldi, terzo successore di Don Bosco, e alle
soglie del cinquantenario - 1931-1981 - della sua morte, l'Istituto
Secolare« Volontarie di Don Bosco», che in Don Rinaldi riconosce il
suo ispiratore e fondatore, ha desiderato il presente lavoro bio-
agiografico; non tai:,to allo scopo di comr:nemorare le due ricorren-
ze, quanto nell'intento di approfondirne lo spirito genuinamente sa-
lesiano, gli esempi, il messaggio, e in particolare la silenziosa ma
fattiva apertura ai bisogni del mondo, per la sua animazione e san-
tificazione cristiana.
Non si può tuttavia scrivere di Don Rinaldi senza tratteggiare e
compendiare un'epoca di storia, che pmta-il-sigillo<lelle origini-.sale- . --
siane, e ne interpreta, applica ed estende il carisma. Con Don Rinal-
di si chiude infatti la prima età di ·s·alèìsiàni ·e Fìgl1e è.lì Marra Ausilia_:
trice vissuti nell'alone del Fondatore e testimoni immediati delle sue
imprese e dei suoi insegnamenti.
In una indimenticabile circostanza, attorno alle spoglie del Santo
che da Valsalice ridiscendevano a Valdocco, si cantò a voce di mol-
titudine: « Don Bosco ritorna». Non sarà meno vero oggi asserire
che Don Bosco ritorna in Don Rinaldi, che ne fu, proiettato nel tem-
po, la vivente immagine. E la sua missione pare di attualità.
ISBN 88-01-11627-6
(5660) L. 6.000