RINGRAZIAMENTO DEL RETTOR MAGGIORE A PORDENONE
Pordenone: Discorso Consiglio Comunale (23.05.05)
“Pordenone, 23 maggio 2005
Illustrissimo Signor Sindaco, Sergio Bolzonello,
Sigg. Consiglieri Comunali,
Autorità civili e religiose,
Amici Tutti,
Il conferimento della cittadinanza onoraria di Pordenone al locale opera salesiana, in occasione dell’ottantesimo della venuta dei figli di Don Bosco in questa città, assume per me come Rettor Maggiore e per tutti i salesiani un grande significato: quello di riconoscere il valore di un patrimonio educativo che viene da lontano, che affonda le sue radici nel cuore appunto di un grande educatore, Don Bosco, che sui giovani aveva un preciso progetto: farne “degli onesti cittadini e dei buoni cristiani”; di quel prete dell’ottocento, che il papa recentemente scomparso, Giovanni Paolo II, ha definito “padre e maestro dei giovani“, di cui io sono il IX successore, e di cui il V successore è stato don Renato Ziggiotti, vale a dire il primo direttore dell’opera salesiana di Pordenone.
1. Tale pubblico riconoscimento conferito alla mia presenza vorrei anzitutto che fosse indirizzato a tutti i singoli salesiani, sacerdoti e laici, che lungo questi ottant’anni hanno messo loro stessi a completo servizio dei giovani della città di Pordenone e del territorio circostante; la gran parte di loro, ovviamente, tale gesto di riconoscenza lo vedranno dal cielo; ciò nondimeno è giusto esprimere loro, in questa circostanza, il nostro grazie più sincero, così come, evidentemente, agli attuali educatori.
2. “Fare memoria” del passato, di 80 anni, per i nostri giovani che vivono solo l’attualità, può dare l’impressione di commemorare qualche cosa di archeologico, ma non è così. Si “fa memoria” non per inorgoglirsi di un passato, anche glorioso come nel nostro caso, ma perché questo passato costituisce per noi tutti una grande responsabilità in merito al futuro proprio di questo spicchio di Italia, di questa provincia friulana che lavora, cresce in civiltà, in libertà, nella costruzione della pace e del progresso civile.
Lungo i vari decenni la presenza salesiana a Pordenone ha saputo manifestarsi con duttilità ed efficacia, interpretando le esigenze dell’intera comunità civile, religiosa ed economica, adeguando allo scopo anche i propri indirizzi scolastici e didattici con intelligente praticità, riuscendo così ad essere sempre di più un centro di formazione per ceti medi ed imprenditoriali e un autorevole punto di riferimento aperto a tutti. Da un semplice ginnasio inferiore con annesso un piccolo oratorio degli anni venti del XX secolo, è diventato, attraverso varie fasi, la grande e complessa opera attuale che tutti conosciamo: scuola media, liceo classico e scientifico, istituto tecnico giuridico, economico, aziendale, centro di orientamento, parrocchia, oratorio, centro giovanile. Ovviamente al suo interno si sono svolte quelle attività ricreative, sportive, musicale, teatrali, cinematografiche, culturali (banda, scout, polisportiva, cineforum, filodrammatica, vacanze educative, biblioteca…) proprie di ogni opera salesiana, nella quale tutto (spazi, persone, attività, orari, atteggiamenti ed orientamenti, stile di vita…) diventa educativo, perché tutto è carico di messaggi valoriali.
Il seme radicato nel territorio pordenonese e fecondato dal carisma e da una spiritualità salesiana, è diventato albero, allargando le braccia in continua crescita per giungere a costituire oggi una delle strutture cittadine più importanti per la formazione dei giovani; alla sua ombra noi viviamo nel ricordo e oggi celebriamo l’esperienza di questa educazione e di questa spiritualità vissuta per 80 anni.
3. L’educazione dei giovani nelle scuole umanistiche, nelle scuole professionali, negli oratori, nei centri giovanili, nelle parrocchie, in Italia e in tutto il mondo – oggi siamo presenti in 130 paesi – è il nostro campo di lavoro e talvolta anche di battaglia: campo aperto e fertile, verso il quale è andata crescendo l’attenzione e la preoccupazione di molti, anche di diverse sensibilità. Un momento di riflessione sull’educazione si impone dunque per tutti, almeno per trovare qualche consenso intorno a questa parola, che ha mille suggestioni, mille sfaccettature, mille interpretazioni, ma che deve trovare in quanti operano all’interno di comunità civile un serio impegno di promozione, di riscatto, di continua resurrezione
Educazione, soprattutto se scolastica, significa istruzione, autorealizzazione personale e professionale all’altezza dei tempi e dei nuovi modi, cui corrisponde dall’altra la richiesta pressante della ripresa economica e dello sviluppo tecnologico-scientifico. In tutte le epoche l’evoluzione del sapere è stata alla base dei cambiamenti del modo di produrre e di scambiare le risorse, e di conseguenza anche del modo di vivere. Ebbene quella che un tempo era la chiave dello sviluppo economico, ossia la disponibilità di materie prime e di capitali, oggi è invece l’istruzione e la formazione delle risorse umane, a tutti i livelli. Sono esse che costituiscono il fattore essenziale e strategico per assicurare la necessaria competitività in un mercato globalizzato. Di questo occorre essere coscienti.
Ma non basta l’insegnare a progettare e fare; la scuola deve fare altro per realizzare la propria funzione educativa, deve rispondere alle esigenze culturali attorno ai valori come la pace, la moralità, la legalità, il sano realismo, la partecipazione, la comunione, la solidarietà, l’accoglienza, la scoperta dell’inesaudito e impellente bisogno di senso. In ambito educativo non si tratta di proclamare ostentatamente tali parole sublimi, ma di ricercare, individuare, proporre poli di attrazione, che danno chiarezza all’azione, che indicano pluralistiche rotte da percorrere, che prospettano mete su cui consentire di “giocare” il proprio impegno e la propria vita con gli altri.
4. Oggi – è inutile nascondercelo – molti giovani che siamo chiamati ad educare vivono in loro stessi un grande disagio morale e spirituale; fanno fatica ad aprirsi ad un sistema di valori universali, ad accettare dei principi che li superano, con la logica conseguenza che si abituano a fare di loro stessi il metro del mondo, della storia e a lasciarsi guidare dal fascio dei loro desideri. In un mondo particolarmente complesso e frastagliato come l’attuale, non si raccapezzano più. Non è tutta colpa loro, si intende: senza guide autorevole e disinteressate, a contatto con mille indistinti filoni di pensiero e di azione, come potrebbero seguire un discorso lineare, finito, articolato, armonico nelle varie dimensioni? Non resta loro che fare dello zapping, saltare da un programma all’altro, da un genere all’altro, da un prodotto all’altro, da una sensazione all’altra, da un’esperienza all’altra.
Ebbene in una società in rapida disgregazione morale come la nostra, da parte di noi adulti non si può essere accomodanti sui valori della responsabilità civile ed etica, e anche della propria fede. Certo i valori non si impongono, né con la violenza né col ricatto; vanno cercati assieme, scoperti progressivamente e proposti. La società politica, civile ed ecclesiale, le agenzie sociali di formazione e in particolare la scuola, la famiglia, la parrocchia, l’oratorio, uniti in una sorta di rete relazionale, hanno proprio il compito di aiutare i giovani a prendere coscienza di sé e del mondo, a dilatare le proprie percezioni e conoscenze, raccordandole e arricchendole con il patrimonio culturale e sapienziale della umanità intera.
5. Oggi più che mai ci vogliono arte, carisma e competenza nell’educazione. L’educatore deve chinarsi sul giovane, prenderlo per mano e rifare con lui la strada verso la maturità; aiutarlo a discernere bisogni reali che nascono dal profondo, da quelli indotti, transitori, superficiali, che nascono da chi ha altre finalità che l’educazione e il bene della società. Occorre costruire per i giovani e soprattutto con loro una comunità educativa, dove riscoprire il senso dell’impegno, del sacrificio, dello sforzo che portano poi alla serenità dei propri pensieri, della propria coscienza.
Educare le nuove generazioni è un’impresa non indifferente: l’esperienza quotidiana è lì a ricordarcelo con cruda evidenza. Bisogna essere disposti a “stare e perdere tempo con i giovani”, a ringiovanire sempre: bisogna essere capaci di tenere un ritmo veloce. Il che è possibile solo se amiamo i giovani, ma li amiamo di un amore sincero, alla don Bosco, per il quale, come ben sappiano “l’educazione è cosa di cuore”; per il quale “non basta che i giovani siano amati, occorre che i giovani sappiano di essere amati”.
Questi non sono degli slogan utili per ogni evenienza; sono un condensato, in formule semplici, di convinzioni profonde che devono orientare l’essere e l’operare di chi si inspira al sistema educativo di don Bosco, il famoso “ Sistema Preventivo” che in questa sede ci basta nominare.
Conclusione
La storia di questa città è stata diversa grazie alla presenza dell’opera salesiana. E se vanta oggi, così come nel secolo scorso, una grande energia nell’impegno civile e religioso, si deve certo a questa educazione della quale voi siete i primi testimoni, tanto come onesti cittadini, vale a dire uomini dalle convinzioni civiche solide, corrette, dotate del senso della giustizia, capaci di giudicare ed agire moralmente secondo profonde esigenze interiori, quanto come buoni cristiani, ossia credenti che operano secondo la legge di quella carità, che assume tutta al giustizia e la supera nel nome di Gesù.
Sorta in tempo di regime, passata in qualche modo indenne attraverso la guerra e la lotta partigiana particolarmente violenta nella zona - sviluppatasi in tempo di democrazia, l’opera salesiana di Pordenone oggi è arrivata al punto da apparire come una presenza naturale sul territorio, quasi necessaria, per ciò che ha saputo essere, per ciò che è e per ciò che essa tutti attendiamo che sia nel nostro domani: una garanzia per il futuro dei nostri giovani, un punto di riferimento per tutti. E’ proprio questo futuro che annunziamo nel momento che facciamo memoria del passato.
I salesiani della città di Pordenone, a mio nome, mentre ringraziano ancora una volta per questo nuovo titolo di onore loro attribuito, che viene ad aggiungersi alla medaglia d’oro conferita nel 1964 all’allora Collegio come “benemerito della scuola, della Cultura e dell’arte”, assicurano la loro ferma volontà di continuare ad essere sul territorio una presenza educativa ed educante, intenzionata ad offrire ai giovani della città e del circondario un progetto di vita a misura personale e comunitaria, spendibile concretamente nella propria situazione vitale e con il proprio volume di forze e di talenti personali.
Se la città gioisce in questa circostanza, i salesiani non lo sono da meno. Grazie.
P. Pascual Chávez Villanueva
Rettor Maggiore