1978_ViganoE_Non_secondo_la_carne_ma_nello_Spirito


1978_ViganoE_Non_secondo_la_carne_ma_nello_Spirito

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EGIDIO VIGAnò 101
•...
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.
I

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.P.S. - BIBLIOTECA
DON BOSCO
DOPPIO
NTROLLATO

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J

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NON
SECONDO LA CARNE
MA NELLO SPIRITO

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EGIDIO VIGAnò 1db
non
/ECOnDO LA CARnE
MA nELLO /PIRITO
ISTITUTO FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE - ROMA

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Queste meditazioni dettate dal Rettor Maggiore a Mornese, nel
corso di esercizi spirituali del 9 - 15 agosto 1978, sono state riprese
direttamente da registrazioni, senza una revisione propriamente detta
del testo. Conservano lo stile diretto e le caratteristiche di una con-
versazione viva, difficilmente percepibili nella trascrizione.
Pro manoscritto
Scuola tipografica privata FMA - ROMA 1978

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\\
PRESENTAZIONE
Carissime sorelle,
ripeto a tutte quanto quest'estate ho detto a Mornese alle
partecipanti alla verifica post-capitolare: la presenza del
Rettor Maggiore don Egidio Viganò nella terra natale di san-
ta Maria Mazzarello dal 9 al 15 agosto è stata un dono di
eccezione.
È stato come un ritorno di don Bosco in mezzo a noi per
rimettere in luce, a distanza di cento anni, i punti-chiave del
nostro carisma, del nostro spirito, e dirci a quali orientamenti
essi ci spingono oggi nelle mutate condizioni socio-culturali.
Con le sue parole egli ci ha fissato così un testo di rife-
rimento non solo per tutti gli argomenti che abbiamo tratta-
to in quell'incontro, ma per potere, nelle varie circostanze,
verificare se siamo o no nel carisma salesiano e nello spirito
di Mornese.
Il libro che oggi vi presento raccoglie la predicazione da
lui fatta in quei giorni durante gli Esercizi.
Le sue parole sono state riprese direttamente da registra-
zioni e sono espressione del suo amore paterno, del suo vivo
interesse perché l'Istituto, vitalmente unito alla Congrega-
zione salesiana, sia sempre animato dagli stessi princìpi, così
da fondersi sempre più nella bella unità di un'unica Fami-
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glia, chiamata nella Chiesa alla missione privilegiata della
salvezza della gioventù.
La predicazione, piena di luce e di calore, fu tutta incen-
trata su un'unica idea motrice: « Non secondo la carne, ma
nello Spirito ».
Il « primato » della vita nello Spirito Santo come ha ca-
ratterizzato, nel periodo delle origini, e specialmente nella
vita della nostra Santa, lo spirito di Mornese, così assicura
il futuro stesso del nostro Istituto, poiché, come bene è mes-
so in luce, « non c'è futuro per una Congregazione religiosa
che non viva in pienezza la presenza dello Spirito ».
Questa presenza viva e vivificante va vissuta nei suoi due
aspetti fondamentali: quello interiore della divina inabita-
zione da cui proviene la nostra santificazione, e quello stori-
co-ecclesiale da cui proviene il nostro impegno apostolico.
Aspetti che non vanno mai separati e che devono dare pie-
nezza di significato alla « sequela Christi », che è l'espressione
più esplosiva della « vita nello Spirito».
« L'indole salesiana della vita nello Spirito » ci apre a
scoperte ricche e feconde sul nostro « carisma », sul nostro
« spirito », sulla nostra « missione », e ce ne fa penetrare il
senso, la specificità e la vitalità.
La nostra identità, ossia i valori specifici della vita reli-
giosa in genere e della vita salesiana in particolare, che dob-
biamo evidenziare nella società di oggi, in cui è richiesta una
« nuova presenza » della vita religiosa, sono messi in chiara
luce dalla parola del Rettor Maggiore.
Mi preme sottolineare come Egli evidenzi per primo lo
« specifico religioso nella riscoperta della santità» realizza-
ta nella « professione » vissuta con « impegno totalizzante »
a « tempo pieno e a piena esistenza», per noi « nello stile di
don Bosco e di madre Mazzarello ».
Presenta poi i « servizi di fedeltà alla vita nello Spirito »,
dando particolare rilievo allo stile dell'autorità nel nostro
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carisma, agli obiettivi della formazione permanente e al
« progetto educativo-pastorale del sistema preventivo ».
Bastano questi semplici accenni per evidenziare tutta una
ricchezza di princìpi e di idee da leggere, meditare, assimila-
re personalmente e comunitariamente.
Ancora una volta, vi invito a essere profondamente grate
al rev.mo Superiore e Padre per un tanto dono e a dimostrar-
gli la nostra riconoscenza, con la preghiera e specialmente
con lo studio amoroso di queste sue preziose direttive che
vogliamo tradurre in vita.
Roma , 26 novembre 1978
Festa di Cristo Re
Vostra aff.ma madre
Suor ERSILIA CANTA
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LA VITA NELLO SPIRITO
INTRODUZIONE
FACCIAMO MEMORIA
UN LUOGO PRIVILEGIATO DELLO SPIRITO
ATTUALITÀ DELLA MEDITAZIONE SULLA VITA NELLO
SPIRITO
UN'ORA DELLO SPIRITO SANTO
IL FONDAMENTO DELLA NOSTRA VOCAZIONE
PRIMATO DELLA VITA NELLO SPIRITO
DOMANDE SCONCERTANTI
IL MISTERO DELLO SPIRITO SANTO
a) Più in là della psicologia e della sociologia
b) Lo Spirito Santo non è il Verbo rivelatore
c) Lo Spirito Santo vivifica e illumina
I DUE POLI DELLA VITA NELLO SPIRITO
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INTRODUZIONE
Sono venuto con molto piacere fra voi per pregare e me-
ditare insieme, perché credo sia questo uno dei doveri che
hanno i superiori salesiani per rendere più efficiente il loro
sacerdozio. E poiché desideravo dare buon esempio ai miei
confratelli, ho voluto mostrare ai miei cari ispettori che bi-
sogna, anche con sacrificio, far funzionare il nostro sacer-
dozio in primo luogo in famiglia. Questa è la ragione prin-
cipale per cui, quando la Madre ha chiesto un predicatore,
le ho risposto: «Cercheremo»... ma già prevedevo la con-
clusione.
Poi sono venuto io stesso a Mornese, con molta umiltà
e senso di piccolezza, non tanto per voi quanto per chi è
stato qui prima di noi.
Facciamo memoria
Ho letto molto, nei giorni scorsi, su quanto si riferisce a
Mornese: ho riscoperto in profondità madre Mazzarello e
le prime Figlie di Maria Ausiliatrice (FMA), don Pestarino,
don Cagliero, don Costamagna; ma soprattutto mi sono sen-
tito molto piccolo davanti a don Bosco. Pensavo a come è
arrivato qui don Bosco la prima volta, con più di cento ra-
gazzi: bisognava cercare loro da dormire, da mangiare...
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venivano a piedi, con la banda... Don Bosco è venuto a caval-
lo: un cavallo bianco... Adesso noi veniamo in macchina.
Don Bosco veniva per fare delle cose che non si esauri-
vano in quei giorni nell'allegria dei giovani, ma mettevano
le fondamenta per un grande futuro. E la Provvidenza l'ha
fatto incontrare con don Pestarino, Maria Mazzarello, poi
con don Bodrato e don Lemoyne, ecc. Insomma le passeg-
giate di don Bosco - e questa a Mornese è stata l'ultima -
erano una raccolta di semi per un futuro di grandi propor-
zioni. Tra tutte le sue passeggiate la storia dimostra che la
più feconda è stata questa.
Un luogo privilegiato dello Spirito
Venire a Mornese non significa, per me, la pretesa di
imitare queste visite di don Bosco, ma piuttosto l'intenzione
di meditarle e di vedere in esse proprio il tema che ho scelto
per questi giorni di ritiro: « Non secondo la carne, ma nello
Spirito».
Perché tanta ricchezza spirituale, perché tanto futuro in
un paese che quasi non aveva neppure un presente? PERCHÉ
VI ALEGGIAVA LO SPIRITO SANTO.
C'è qualche cosa, nelle vicende storiche delle origini del-
l'Istituto, che fa pensare a una realtà che non è quella che
vive il mondo. Una realtà che dobbiamo saper scoprire per-
ché ha dato origine, sostiene e dà futuro alla vita religiosa
e ad ogni carisma: LO SPIRITO SANTO.
Una vostra consorella ha scritto un bel libro proprio con
questo titolo: Un 'anima di Spirito Santo. Ma non soltanto
Maria Mazzarello è stata un'anima di Spirito Santo: lo era-
no tutte le sue compagne, lo era don Pestarino; lo era, an-
zitutto, in forma straordinaria, don Bosco. E anche noi dob-
biamo essere anime di Spirito Santo.
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Attualità della meditazione sulla vita nello Spirito
Ho cercato perciò di riunire alcuni temi di attualità che
nei titoli sembrano un po' ... generici, ma trattano di cose
molto concrete che ci toccano, e sulle quali vogliamo riflet-
tere sotto questa angolatura della vita nello Spirito Santo.
Ne abbiamo bisogno! Non dirò che è un ricorso da disperati,
ma piuttosto che è una riscoperta da fortunati!
Ne abbiamo bisogno perché i segni dei tempi sono stati
portatori di valori umani e di cambiamenti culturali che
hanno provocato quella che è stata chiamata la svolta an-
tropologica, con vari processi di maggiore umanizzazione.
Pensate, per esempio, al processo di promozione della don-
na: quanti valori enucleati e sviluppati! Pensate al processo
di liberazione dei popoli: quale evoluzione nella presa di
coscienza, e quanti fermenti di ristrutturazione! ...
La storia ci appare un po', come cantavamo poco fa nel
Magnificat, portatrice di una vera rivoluzione nelle situa-
zioni umane. Pensate al processo di personalizzazione e al
senso che hanno acquistato oggi la libertà, la persona, la
responsabilità, la socializzazione.
Una simile svolta antropologica sviluppa senza dubbio
grandi valori, ma di per sé soltanto in una linea di crescita
umana, quindi in una linea ambivalente, che porta con
non solo valori, ma anche disvalori. Mettete per esempio a
fianco della promozione della donna, con i suoi valori, tutto
ciò che sta facendo il femminismo con espressioni che sem-
brano veramente prescindere dal buon senso.
Ognuno di questi valori umani, inoltre, è di fatto vinco-
lato a disvalori molto forti, non solo perché si tratta di real-
tà in se stesse ambivalenti, ma anche perché crescono in
una storia che è marcata dal peccato. Il peccato originale
non è un mito, è un peso terribile che grava su tutta l'esi-
stenza umana, come dimostra la storia degli uomini fatta
di odi, di guerra, di incomprensioni, di tanti orrori.
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Ora questo clima di peccato fa sì che di fronte a un valo-
re ambivalente ci sia un peso storico molto incline ai disva-
lori. E non è forse ciò a cui stiamo assistendo? Nel processo
di secolarizzazione, per esempio, ci sono tanti valori posi-
tivi: la scoperta, in definitiva, di tutte le autonomie volute
da Dio. Tuttavia chi non vede al tempo stesso la deviazione
del secolarismo, che sta minando dal di dentro la vita di
fede, distruggendone i valori fondamentali?
Ci troviamo dunque a vivere un'ora di crescita umana,
che può essere una situazione entusiasmante da un lato, ma
che dall'altro lato appare di fatto, e storicamente, deviata
in non pochi aspetti.
In definitiva, tutto sommato, ci si domanda con realismo
storico: questa crescita, questa svolta antropologica ci porta
davvero verso una vittoria, verso un uomo più perfetto, ver-
so una società più umana? Sotto un certo aspetto possiamo
rispondere di sì: la tecnica infatti ha portato tanto benes-
sere all'uomo. Invece di venire a piedi o a cavallo noi siamo
venuti a Mornese in macchina... Ma chi ha il coraggio di
dire che la sola tecnica fa l'umanità più umana? Pensiamo
agli orrori delle bombe atomiche, alle superbombe all'idro-
geno... alle armi sofisticate... alla violenza scientifica... alle
ingiustizie strutturali... Non si può dunque dire che la tec-
nica abbia perfezionato l'umanità.
La conseguente crisi di questa svolta, di questo sviluppo
ci fa allora pensare all'impotenza dell'uomo a raggiungere
da solo la propria piena libertà e la integrale maturità senza
l'aiuto di un Salvatore. L'uomo solo è incapace di raggiun-
gere la mèta a cui tende. Non si disprezzano dunque i valori
umani, anzi si amano, ma si criticano le ambiguità, si con-
dannano e si combattono i disvalori, e si cerca di scoprire
quale sia il segreto o l'energia in grado di darci la capacità
di essere aggiornati per la vittoria, per far raggiungere al-
l'uomo la sua mèta di libertà e di felicità. La fede ce lo in-
segna: questo segreto è la grandezza reale di Dio nella sto-
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ria, è la comunione con noi dell'Inviato dal Padre e da Gesù
Cristo risorto, la terza Persona della SS. Trinità, lo Spirito
Santo.
Un'ora dello Spirito Santo
Il compianto Papa Paolo VI (io sono stato lunedì mattina
a Castelgandolfo a nome di tutta la Famiglia salesiana a
pregare presso la sua salma) ci ha assicurato, nella magni-
fica esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, che noi stia-
mo vivendo un'ora privilegiata dello Spirito Santo. Sono
tanti gli elementi che lo dimostrano. Iddio stesso, in vista
di questa crescita umana, si comunica a noi con doni spe-
ciali e con una sua particolare presenza appunto per aiutarci
a fare quella svolta antropologica in maniera corretta, senza
incidenti.
L'amore di Dio ci appare evidente nel fatto che quest'ora
privilegiata dello Spirito Santo è sincronizzata con quest'o-
ra di crisi. Le grandi visite dello Spirito Santo nella storia
della Chiesa hanno coinciso con ore di svolta, e ci hanno
dato grandi santi con peculiari carismi per risolvere i pro-
blemi umani.
Noi pensiamo con umile gratitudine ai tempi di don Bo-
sco e di madre Mazzarello: non erano certo ore di trionfo
per la Chiesa quelle in cui essi erano chiamati a vivere, ep-
pure proprio in quei momenti c'è stata, e proprio qui a Mor-
nese, una speciale visita dello Spirito Santo.
Dunque oggi viviamo un'ora privilegiata di effusione
dello Spirito Santo. Sarebbe inconciliabile che, avendo noi
una vocazione di Spirito Santo, non ne percepissimo la real-
tà e non sapessimo farla presente in forma chiara e comuni-
cativa nella nostra vita personale e comunitaria, anche in
vista delle situazioni difficili da affrontare nell'ora in cui
viviamo.
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Il fondamento della nostra vocazione
Uno degli ultimi documenti approvati dal Santo Padre
Paolo VI, Criteri direttivi sui rapporti tra vescovi e religiosi
nella Chiesa, espone nella sua prima parte i princìpi dottri-
nali che guidano queste reciproche relazioni. Alla base di
tutti i rapporti tra i vescovi e i superiori, tra sacerdoti dio-
cesani e religiosi e religiose, sta la vita nello Spirito. Questo
è il fondamento comune di tutti. Prima di pensare a qua-
lunque differenza nella Chiesa, prima di pensare alla varietà
dei ministeri, bisogna pensare a questo patrimonio comune
che è la vera grandezza e la genuina dignità di tutti, qualun-
que sia la funzione che ognuno può avere nel popolo di Dio.
Cito due passi del capitolo I. Da questo abbiamo tratto
il titolo dato alle nostre conversazioni spirituali: Non secon-
do la carne, ma nello Spirito.
Nella presentazione di alcuni elementi dottrinali, nel
documento citato, per poter parlare delle mutue relazioni
si domanda dapprima: « Che cos'è la Chiesa?». Non si pos-
sono interpretare queste relazioni, né si possono interpreta-
re i valori della svolta antropologica partendo semplicemen-
te da riflessioni antropologiche e psicologiche, perché queste
anche se hanno il loro valore, non arrivano a fondo, restano
in superficie e non possono penetrare il mistero della
Chiesa.
La Chiesa non è una realtà semplicemente umana, anche
se ha aspetti sociologici e psicologici il cui approfondimento
apporterà degli utili rinnovamenti: questi però non potran-
no mai dare o spiegare un indirizzo globale della Chiesa.
Gli orientamenti globali e la struttura vitale, infatti, sgorga-
no dal mistero della presenza di Dio, che fa della Chiesa il
Corpo di Cristo.
Ma chi realizza quotidianamente il capolavoro di fare
della Chiesa il Corpo di Cristo? Lo Spirito Santo che la ani-
ma, che le dà vita, le dà la comunione, le dà l'entusiasmo,
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l'amore, la capacità di iniziativa, la pazienza, la resistenza.
Questo è il vero segreto centrale che spiega la natura della
Chiesa. « L'elemento dunque, sul quale si fonda l'originalità
di questa natura, è la stessa presenza dello Spirito Santo.
Egli infatti è vita e forza del popolo di Dio e coesione della
sua comunione, è vigore della sua missione, sorgente dei
suoi molteplici doni, vincolo della sua mirabile unità, luce
e bellezza del suo potere creativo, fiamma del suo amore
[sono tutte citazioni del Concilio]. Il risveglio spirituale e
pastorale, infatti, di questi ultimi anni rivela, in virtù della
presenza dello Spirito Santo - alla quale alcuni serpeggianti
abusi, pur inquietanti, non risulta che abbiano recato la mi-
nima ombra - un particolare momento di privilegio per
una fiorente giovinezza nuziale della Chiesa, protesa verso
il giorno del suo Signore ».
Quale ottimismo!
Primato della vita nello Spirito
La svolta antropologica con le sue ambiguità e con le sue
crisi non deve portarci a un atteggiamento di paura, di sgo-
mento, di funerale, di avvìo alla tomba; deve anzi aiutarci
a scoprire una presenza speciale dello Spirito Santo che rin-
nova, che prepara per il futuro. Solo coloro che non sono
capaci di entrare in sintonia con lo Spirito Santo non hanno
avvenire nella Chiesa.
Questo vale anche per noi religiosi: non c'è futuro per
una Congregazione religiosa che non viva in pienezza la pre-
senza dello Spirito Santo. Non è una frase che invento io:
don Bosco e madre Mazzarello hanno avuto futuro perché
erano pieni di Spirito Santo. Se non siamo capaci di far sì
che i nostri Istituti, le persone e le comunità siano pieni di
Spirito Santo, non avremo futuro, anche se ci presentassi-
mo come i più secolarizzati di tutti i religiosi o le religiose.
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Il citato documento (al n. 4) dimostra come tutti nella
Chiesa, senza distinzione tra vescovi, religiosi e laici, abbia-
no una vocazione comune con una doppia caratteristica: ap-
pello alla santità e invio all'apostolato, e soggiunge: « Per-
tanto, prima di considerare la diversità dei doni, degli uffici
e dei compiti, è necessario ammettere come fondamentale
la vocazione comune all'unione con Dio per la salvezza del
mondo».
Dunque: unione con Dio nella santità e apostolato per
la salvezza del mondo è un dato comune a tutti.
« Ora - prosegue il testo - questa vocazione richiede
in tutti, come criterio di partecipazione alla comunione ec-
clesiale, il primato della vita nello Spirito, in base a cui si
ha in privilegio l'ascolto della Parola, la preghiera interiore,
la coscienza di vivere come membro di tutto il corpo e la
sollecitudine dell'unità, il fedele adempimento della propria
missione, il dono di sé nel .servizio e l'umiltà del pentimento ».
Si potrebbe su ognuna di queste indicazioni concrete fare
un commento. Ma ora vorrei semplicemente ricordare che
la vita nello Spirito non è semplicemente un ritorno alle
origini, ma un rinnovamento in sincronizzazione con i tempi.
Questa vita nello Spirito è indispensabile perché, mentre da
una parte mette in sintonia di fedeltà con ciò che c'è di Spi-
rito Santo nelle origini, dall'altra ci porta a crescere umana-
mente per saper essere attuali nello Spirito senza essere
culturalmente ritardati.
Non è vera vita nello Spirito Santo, almeno nella nostra
vocazione, quella di rimanere indietro nei valori umani. La
patria della vocazione salesiana è situata nell'area della cul-
tura umana; noi non possiamo evangelizzare se non educan-
do, e l'educazione è cultura. Ora noi non possiamo permet-
terci, per una sedicente fedeltà allo Spirito Santo, di essere
degli anacronisti, delle persone di altra epoca; siamo chia-
mati ad essere attuali, non possiamo essere culturalmente
rachitici, ma ben sviluppati. Ma cresciuti nello Spirito: ecco
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il punto. Proprio perché dobbiamo essere di oggi, abbiamo
più che mai bisogno di essere pervasi interamente dallo Spi-
rito Santo. Non solo perché dobbiamo crescere nella sta-
tura umana a misura dei tempi, ma anche perché la nostra
vita religiosa e la nostra Congregazione, come tutti gli altri
Istituti, devono confrontarsi con domande sostanziali che
toccano la loro stessa esistenza.
Domande sconcertanti
Ci sono, oggi, articoli di studiosi con affermazioni che
fanno drizzare i capelli. Io ne leggevo uno poche ore fa, in
treno, di un teologo tedesco sulla « capacità di sparire come
Istituto nella Chiesa per docilità allo Spirito Santo». Forse
qualche Istituto lo dovrà fare ... pensavo tra me; ma non è
certamente a ciò che noi siamo chiamati, oggi.
Chi non ha sentito domande come questa: « È possibile
ancora la vita religiosa? Ha senso una sequela di Cristo isti-
tuzionalizzata?»; ecc...
- Ci sono perplessità e riflessioni di tipo dottrinale che
toccano la nostra esistenza. Dobbiamo saper rispondere. Lo
Spirito Santo non ci rende ignoranti, ma ci fa sapienti,
anche se non scientifici. Maria Mazzarello era una sapiente,
una saggia anche se ha imparato a scrivere a trentacinque
anni.
- Ci sono poi perplessità e difficoltà di tipo pastorale.
Noi siamo un Istituto di vita attiva. Qual è la metodologia
per la gioventù di oggi? Quale il linguaggio? Quale il siste-
ma, la modalità concreta per « impastare » il vangelo con
gli ideali che hanno i giovani oggi? Chi ce l'ha? C'è stato un
Sinodo dei vescovi al riguardo, ma poi ha parlato piuttosto
della catechesi in generale. Qual è dunque il metodo per
evangelizzare la gioventù?
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- Ci sono, infine, delle difficoltà e perplessità di tipo
esistenziale, ossia di sensibilità nei confronti di ciò che è
la testimonianza religiosa. Quante uscite e soprattutto quan-
to poche entrate! Forse io esagero, ma dipende dalla zona
dalla quale proviene ognuno di noi.
Chi ci aiuta a rispondere alle obiezioni di oggi? Non è
la scienza; ci sono grandi studiosi che dicono anche delle
magnifiche cose, ma poi di colpo lanciano delle conclusioni
che ci stupiscono e vien fatto di dire: di dove proviene a
costui tanta sicurezza? Per fortuna le cose dello Spirito San-
to non sottostanno agli schemi dei pensatori e a nessuna
previsione delle scienze umane. Lo Spirito spira dove vuole,
quando vuole e come vuole.
Il Signore ha detto: « Le mie strade non sono le vostre ».
Vuol dire che noi non sappiamo come sono queste strade:
c'è sempre la sorpresa dell'iniziativa di Dio che non può mai
sottostare ad un'analisi preventiva.
Oggi viviamo un'epoca in cui si parla tanto di analisi
scientifica della società, così da costruire una futurologia,
che intende predire scientificamente quello che avverrà fra
venti o cinquant'anni. Ma nessuno mai potrà calcolare chi
sono i santi suscitati per noi oggi o per i prossimi cinquan-
t'anni. All'inizio del secolo scorso nessuno studioso avrebbe
potuto prevedere l'esistenza di un don Bosco e di una madre
Mazzarello, perché i santi non sono frutto di costanti stori-
che, né di leggi controllabili da qualsiasi competenza umana.
Dobbiamo aver fiducia nello Spirito Santo proprio per
affrontare le odierne difficoltà, per affrontarle con tranquil-
lità, con profondità, sapendo ciò che diciamo, senza paura,
ascoltando le obiezioni che vengono da chi guarda le cose
solo umanamente. Quante volte in passato si è detto:
« ... quel povero vecchietto che fa da Papa, lasciamolo lì che
morirà e poi è finito tutto». Sono finiti tutti questi grandi
Napoleoni che hanno creduto di fare del Papa un cappellano
di corte, sono finiti tutti e il Papa è più vivo di prima.
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Noi costatiamo in questi giorni, attraverso la stampa e
i vari mezzi della comunicazione sociale, la simpatia, la ri-
sonanza e la riconoscenza di tutta l'umanità verso la santa
persona di Papa Paolo VI.
Dunque abbiamo urgente bisogno dello Spirito Santo.
Il mistero dello Spirito Santo
Ma chi è questo Spirito Santo che noi cerchiamo? Abbia-
mo bisogno qui di arricchire la nostra capacità di medita-
zione. Incomincio con alcune esclusioni significative.
a) Più in là della psicologia e della sociologia
Carissime sorelle, lo Spirito Santo non è né il nostro
« io », né il nostro « noi»: non si deduce né dalle scienze
psicologiche, né dalle scienze sociali!
Nello studio dell'« io » profondo ci troviamo davanti a
un nome celebre, quello di Freud che ha lanciato la scienza
alla scoperta del continente psicologico, non di rado con la
pretesa di spiegare tutta l'intimità della persona anche nel-
l'area della religiosità, e quindi con il pericolo non immagi-
nario d'invadere il mistero dello Spirito Santo dando spie-
gazioni psicologiche che ne svuotano la realtà divina.
Nello studio del « noi» comunitario o della società uma-
na ci imbattiamo in un altro nome celebre, quello di Marx.
Ha iniziato tutto un metodo di analisi, di scoperte sociali,
di impegno storico, di approfondimento critico e di scìenze
sociologiche. Ma che cosa si osserva? La pretesa di spiegare
tutta la storia senza Dio.
In questi due grandi pensatori ci sono progressi, ma an-
che rischi e deviazioni.
Avete mai visto alcuni preti e suore entusiasti della psi-
cologia e della sociologia, ma ormai disinteressati circa il
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senso dello Spirito Santo? È questa una delle cose che suc-
cedono oggi.
Non è, care sorelle, per disprezzare queste discipline,
queste scienze; dobbiamo studiarle, per noi sono indispen-
sabili. Anzi, abbiamo una Università con Facoltà di queste
scienze. Benedetto il Signore! Difendiamole e facciamo tutti
i sacrifici per farle crescere.
Però ciò che volevamo dire è che lo Spirito Santo è ve-
ramente Altro. E bisogna averne coscienza, non per disprez-
zare queste scienze, ma per sapere dove cercare lo Spirito
Santo. E per poter orientare i valori delle scienze stesse, per
la crescita della vita spirituale, per la nostra comprensione
e docilità allo Spirito Santo.
Le scienze ci spiegano molti valori e meccanismi indi-
viduali e sociali per cui noi, oggi, possiamo capire meglio
le relazioni interpersonali e soprattutto avere un metodo pe-
dagogico, di azione pastorale, adeguato alle esigenze degli
uomini e della gioventù di oggi. Sono mezzi di cui dobbiamo
servirci: però rimane chiaro che non si identificano né sosti-
tuiscono lo Spirito Santo. Chi ne idolatra i valori prescinde
praticamente dal considerare realtà quotidiana l'azione del-
lo Spirito Santo, e assume facilmente un certo complesso
di superiorità. Avete mai visto persone con questo comples-
so, con cipiglio di superiorità, pronte a giudicare tutto « scien-
tificamente »? Che cosa sarebbe stata una madre Mazzarello
di fronte ad una grande psicologa o ad una sociologa? Una
povera contadinella che andava a tagliare il fieno, a potare
le vigne... e invece guardate che storia!
C'è anche chi, al contrario, accusa un complesso di infe-
riorità. Avete mai visto una buona suora o un buon prete
che conosce poca psicologia, poca sociologia e si crede emar-
ginato o antiquato, e non vuole più predicare né fare cate-
chismo perché si sente superato totalmente dal progresso
delle scienze? Anche un simile complesso di inferiorità non
ha senso: bisogna studiare, senz'altro, ma si possono sapere
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con saggezza tante cose anche se non si possiedono le scien-
ze. E voi ne avete un esempio formidabile nella vostra con-
fondatrice. Dove prendeva quell'acutezza di giudizio, quel-
l'intuizione delle persone, quella capacità di governo, quella
sagacia di coesione, quella penetrazione del carisma di don
Bosco, quell'adesione a lui, quel senso di apertura, di fidu-
cia e di coraggio , tanto che l'Istituto incominciava appena a
esistere e già pensava alle missioni d'America? Di dove le ve-
niva una così straordinaria sapienza? Dallo Spirito Santo.
b) Lo Spirito Santo non è il Verbo rivelatore
Lo Spirito Santo non è la Parola del Padre; non è il Ver-
bo; non è Gesù Cristo; lo Spirito Santo non porta una nuova
rivelazione perché non è Lui la Parola di Dio. Inoltre, non
essendo il Cristo, non è il Capo della Chiesa, non è Lui l'au-
torità (quindi, care ispettrici, non pensate per adesso all'au-
torità nella Chiesa e nella comunità; la vita nello Spirito è
situata prima, come base delle funzioni e dei servizi che
disimpegniamo).
Lo Spirito Santo non ha la missione né di fare il rivela-
tore, né di essere il Capo del Corpo che è la Chiesa: queste
sono funzioni proprie di Gesù Cristo. Sappiamo che esistono
due missioni distinte nelle Persone della Trinità: quella del
Verbo e quella dello Spirito Santo; esse non si identificano.
I Padr i facevano una sintesi di tutta l'economia della sal-
vezza con due frasi pregnanti ed espressive. L'una indicava
l'iniziativa di Dio che scende fino all'uomo: « dal Padre, per
il Figlio, nello Spirito ». Così si arriva a Pentecoste! L'altra
indicava l'ascesa dell'uomo a Dio: « al Padre, nel Figlio, per
lo Spirito ».
Così si descrive la vita della Chiesa da Pentecoste in poi
nella mediazione ascendente: per lo Spirito, nel Figlio, ver-
so il Padre. Quindi non dobbiamo attribuire allo Spirito ciò
che è proprio del Verbo.
25

3.8 Page 28

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c) Lo Spirito Santo vivifica e illumina
Lo Spirito Santo è dono. La sua è una missione di amore
che ci immerge in Gesù Cristo, ci incorpora a Lui, ci fa di-
ventare membra del suo Corpo mistico, ci fa crescere nella
Chiesa cattolica, ci fa capire e approfondire la parola rive-
lata, ci dona infine l'entusiasmo della docilità, dell'ascolto,
del contemplare, del meditare.
È una missione a cui si apre con speciale sensibilità la
psicologia femminile: tanto è vero che la persona umana più
piena di Spirito Santo è Maria. Lo Spirito ci porta a Gesù
Cristo, ci porta a prescindere da noi fino al dono di sé, al
senso del sacrificio, dell'amore, della profondità, dell'intui-
zione, della fedeltà; non rivela cose nuove, perché tutte le
cose sono già nel Verbo e la rivelazione si è già chiusa.
Lo Spirito guida le intuizioni del cuore per far crescere
quella saggezza che aiuta a percepire il senso della storia e il
significato salvifico degli eventi, che ha fatto esclamare a
Maria SS. (e vedete, forse anche lei non sapeva né leggere né
scrivere) un Magnificat che è come un volo d'aquila nei se-
coli e un saggio di contemplazione teologale della storia, che
nessuno studioso ha saputo esprimere con più acuta pene-
trazione.
La vita nello Spirito deve allora portarci a questo tipo
di docilità e di illuminazione, per poter essere più di Cristo,
più della Chiesa, per poter capire meglio e più a fondo la
rivelazione, per poter fare crescere il nostro oggi nel cam-
mino verso il Padre.
I due poli della vita nello Spirito
Ma in che cosa consiste la vita nello Spirito? Quali sono
gli aspetti che la compongono? Ecco, le cose di Dio non è
che le inventiamo noi, né che le possiamo schematizzare a
26

3.9 Page 29

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piacimento. Le impariamo da Dio, dobbiamo saperle leggere
nel suo libro, e osservarle nella Tradizione viva della Chiesa.
Tra gli agiografi del Nuovo Testamento Paolo e Luca pre-
sentano due linee differenti e convergenti della presenza vi-
vificante dello Spirito, e quindi della nostra vita in Lui. Due
linee differenti che costituiscono, in definitiva, la nostra ma-
niera di vivere nello Spirito.
Paolo (soprattutto nell'Epistola ai Romani al capo 8, e
nella ia Epistola ai Corinzi al capo 2) esprime l'aspetto del-
l'inabitazione dello Spirito nel cuore, e in questo senso svi-
luppa e sottolinea l'aspetto santificante escatologico della
vita dello Spirito in ognuno di noi. È l'aspetto della santità,
della carità che è il dono dello Spirito per eccellenza: san
Paolo si è dedicato a sviluppare formidabilmente questo
aspetto del mistero della presenza dello Spirito. Leggete il
magnifico capitolo ottavo dell'Epistola ai Romani: è entu-
siasmante! Per san Paolo l'invasione dello Spirito era tale
che lo identificava con Gesù Cristo: « La mia vita è Gesù
Cristo » e per lui quasi non c'era più distinzione neppure
tra il dire « in Cristo » e « in Spirito »; sono due espressioni
che egli usa quasi interscambievolmente.
Luca invece (soprattutto nella prima parte degli Atti degli
Apostoli) sottolinea un altro aspetto più storico ed ecclesiale
della presenza dello Spirito Santo. Non nega quanto afferma
san Paolo, così come san Paolo non contraddice in nulla san
Luca. Sono semplicemente diversi gli obiettivi che si sono
proposti nello scrivere. Luca sottolinea l'aspetto dinamico-
storico, ossia la presenza dello Spirito Santo non tanto nel
cuore di ogni persona, quanto nelle grandi svolte storiche.
È lo Spirito Santo che interviene, è Lui che suscita decisioni
nuove capaci di orientare la storia. Nella prima parte degli
Atti troviamo due eventi di Pentecoste. Il primo è la Pen-
tecoste per antonomasia, ossia la venuta dello Spirito Santo
su Maria e il Collegio apostolico; è una presenza dello Spiri-
to Santo che va più in là, o sottolinea un aspetto distinto
27

3.10 Page 30

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dalla santificazione interiore; il giorno di Pentecoste infatti
ci appare come la nascita della Chiesa (Atti 2). Se noi leggia-
mo il capitolo quarto degli Atti vediamo che il discorso di
san Pietro dopo la Pentecoste denota una svolta, non solo
nella vita degli Apostoli, ma nella storia religiosa dell'uomo
e nella vita di tutto il popolo di Dio.
Poi c'è anche la cosiddetta « Pentecoste di Cornelio »
(Atti 10), in cui lo Spirito fa capire a Pietro che nel piano
di Gesù Cristo, nel piano della salvezza di Dio, c'è una rela-
zione di universalità con i pagani, totalmente distinta dalla
tradizione religiosa seguita fino allora nella fede ebraica; è
un approfondimento, o una intuizione, non indifferente per-
ché porta con sé una vera rivoluzione in tante cose pratiche
(certe leggi rituali, norme e modalità di approccio, cibi im-
mondi, ecc.).
Noi sappiamo, anche per esperienza attuale, che in que-
sto campo pratico di tradizioni religiose non è affatto sem-
plice fare innovazioni. Ebbene, la Pentecoste di Cornelio ci
presenta una visita dello Spirito Santo che aiuta a fare una
svolta storica, che qualcuno ha anche chiamato la liberazìo-
ne del cristianesimo.
Simili interventi dello Spirito Santo, che comportano
svolte più o meno grandi nella storia, si verificano lungo tut-
ti i secoli della Chiesa. Anche oggi lo Spirito Santo continua
a manifestarsi in simili Pentecoste. Pensiamo, ad esempio,
al Vaticano II. Rimanendo in famiglia, guardiamoci intorno:
Mornese è una piccola Pentecoste, di questo tipo dinamico-
storico. Consideriamola non solo nella santità interiore di
madre Mazzarello o di don Pestarino o di don Bosco, ma nel-
l'evento salvifico della fondazione del vostro Istituto, nel
fatto di un carisma che deve crescere, di una realtà dinami-
ca che non è destinata semplicemente a Mornese, o al secolo
scorso, ma che è un'iniziativa storica di largo raggio, in cui
si manifesta la libertà e la magnanimità dello Spirito. È
nata qui, ieri, ma è lanciata al mondo e ai secoli.
28

4 Pages 31-40

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4.1 Page 31

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Dunque, in conformità con queste due linee indicate da
Paolo e da Luca, possiamo scoprire nella nostra vita nello
Spirito un duplice versante: quello della santità e quello
del carisma.
La docilità interiore di ognuna di voi allo Spirito compor-
ta non solo il santificare voi stesse interiormente, nella linea
indicata da san Paolo, ma anche l'essere fedeli al carisma
seminato a Mornese, e industriose nel suo sviluppo secondo
la linea indicata da Luca.
Noi dobbiamo sentirci invogliati ad essere allo stesso
tempo « santi » e « salesiani », ossia ciò che lo Spirito ha vo-
luto che fossimo; non si tratta di amor proprio, ma di am-
mirazione e di entusiasmo per lo Spirito Santo. È quello che
voi avete cantato poco fa nel Magnificat. La Madonna, umi-
lissima, guardando se stessa scopre le grandezze di Dio e si
mette a lodare, entusiasta, le meraviglie di Colui che attra-
verso la sua piccolezza ha fatto cose così grandi. E noi pos-
siamo dire la stessa cosa. Lui a Mornese, in un paese così
insignificante, attraverso persone culturalmente così piccole,
per mezzo di noi, così poco importanti nella storia, ha voluto
fare cose grandi.
Allora non lasciamoci invadere dal complesso di inferio-
rità, ma alimentiamo il senso dello Spirito Santo; viviamo
con entusiasmo questa vocazione e mettiamo tutte le nostre
energie, senza paura, a servizio di questa vita nello Spirito.
Eccovi presentata la vita nello Spirito, di cui vorremmo
parlare in questi giorni. Non è che io possa svolgere a fondo
nessuno dei temi indicati nel programma: semplicemente
suggerirò delle tracce, delle riflessioni che spero servano per
essere sviluppate molto più ampiamente nel cuore e nelle
riflessioni di ognuna di voi, e magari anche nelle vostre con-
versazioni.
Chiediamo insieme allo Spirito che ci illumini e ci ac-
compagni.
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4.2 Page 32

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4.3 Page 33

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LE DUE MEDIAZIONI
DELLA VITA NELLO SPIRITO
PRIMA PARTE
IL SIGNORE: LA SEQUELA DI CRISTO
DAL PADRE AL PADRE
LA SEQUELA DI CRISTO
LA PRIMA SCINTILLA
I DUE VERSANTI DELLA VITA NELLO SPIRITO
Interiorità
Impegno storico
LA GRAZIA DI UNITÀ
IL REALISMO DELLA VITA PRATICA QUOTIDIANA
DISCEPOLI: DI QUALE CRISTO?
a) Cristo: Profeta, Sacerdote e Re
b) Cristo: Crocifisso e Risorto
c) Cristo: Eucaristia
SECONDA PARTE
LA MADONNA: CON MARIA PER LA CHIESA
NECESSITÀ DI REALISMO
DATI OBIETTIVI
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MARIA E LE NOSTRE ORIGINI
a) Maria nell'ora de gli inizi
b) Maria nell'ora delle grandi transizioni
e) Maria nelle ore pentecostali
MARIA E LA CHIESA
CON MARIA PER LA CHIESA
NELL'INTERIORITÀ E NELL'IMPEGNO
LA NOSTRA PIETÀ MARIANA
CONCRETEZZA DEL NOSTRO PROPOSITO DI RILA NCIO
MARIANO
Area della formazion e dottrinale
Culto e pietà mariani
Grandi orizzonti di impegno ecclesiale
Cura delle vocazioni
M ARIA E LA PROMOZIONE DELLA DONNA
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4.5 Page 35

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PRIMA PARTE
IL SIGNORE: LA SEQUELA DI CRISTO
Quest'oggi riflettiamo un po' insieme sulle due mediazioni
della vita nello Spirito. Dico: riflettiamo insieme, perché
non sono qui a fare scuola, ma ad imparare con voi.
Dal Padre al Padre
Dicevamo che tutto il movimento dell'amore di Dio verso
di noi e di noi verso Dio è stato riassunto dai Padri in quella
frase sintetica così bella e profonda che ci fa sempre perce-
pire come l'amore del Padre, che arriva a noi facendoci vive-
re nello Spirito, passa per una mediazione, che è il Figlio.
Nel movimento di ritorno al Padre, lanciati dalla carità con
cui ci muove lo Spirito Santo, c'è ancora una mediazione,
che è di nuovo il Figlio. Nella mediazione discendente è Cri-
sto che ci dà lo Spirito; nella mediazione ascendente è lo
Spirito che ci fa figli nel Figlio per dirigerci al Padre. Ecco:
noi vogliamo vivere sinceramente la vita nello Spirito, per-
ché abbiamo visto che ha il primato in tutto il senso della
nostra vocazione battesimale e della nostra vocazione speci-
fica di religiosi salesiani.
Lo Spirito è l'intelletto d'amore che ci fa capire chi è
Gesù Cristo e che cos'è la Chiesa, chi sono il nuovo Adamo
33
3

4.6 Page 36

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e la nuova Eva che ci generano e ci aiutano a vivere la nuo-
va vita.
Oggi vorremmo concentrare la nostra capacità di rifles-
sione su queste due colonne basilari della vita nello Spirito:
Gesù Cristo - a cui guardiamo questa mattina dall'angola-
tura scelta per la nostra meditazione, ossia la sequela di
Cristo - e la nuova Eva, che è Maria « personalmente », e
la Chiesa « comunitariamente ». Cercheremo di riflettere un
po' su tutto ciò che ci dà Maria, che ci dà la Chiesa, e tutto
ciò che con Maria nella Chiesa dobbiamo fare per arrivare
al Padre. Forse questa maniera di esprimerci ha qualche
aspetto di novità, però questa è la realtà vissuta sempre da
coloro che sono stati invasi dallo Spirito.
È bello per noi fare queste riflessioni proprio a Mornese,
nel paese di una santa che non ha fatto gli studi che abbiamo
fatto noi. Se una ragazza così semplice ha non solo delle in-
tuizioni e delle scelte chiarissime, ma orienta di fatto tutta
la sua vita e il suo amore, tutti gli slanci del suo progetto di
esistenza su questi binari di Cristo e di Maria, abbiamo la
conferma pratica che questo è proprio il contenuto sostan-
ziale della vita nello Spirito.
Da Cristo e dalla Chiesa a noi arriva la grazia, e in Cristo
con Maria, nella Chiesa, noi facciamo fruttificare questa gra-
zia dello Spirito per arrivare a portare al Padre tutta l'u-
manità.
La sequela di Cristo
Cerchiamo adesso di approfondire la nostra vita nello
Spirito in rapporto a Cristo.
Ho letto un interessante studio sulla vita religiosa in cui
si afferma che « un tempo di crisi è un tempo di sequela ».
Bello! Dobbiamo riconoscere che tale è il nostro tempo. Ma
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4.7 Page 37

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che cos'è questa sequela, che cosa opera lo Spirito Santo in
noi perché siamo veri discepoli di Gesù Cristo?
Innanzitutto c'è una cosa da sottolineare: la sequela del
Cristo non è semplicemente un fatto individuale, ma un even-
to che implica una vita di comunione. Il documento cui ac-
cennavamo ieri sui rapporti tra vescovi e religiosi, al n. 2
richiama la dottrina del Concilio sul popolo di Dio: « Nel
mistero della Chiesa l'unità in Cristo comporta una mutua
comunione di vita tra i membri. Infatti Dio volle santificare
e salvare gli uomini non individualmente e senza legame tra
loro, ma volle costituirli in popolo. La stessa presenza vivi-
ficante dello Spirito Santo costruisce in Cristo l'organica
coesione: Egli unifica la Chiesa nella comunione e nel mini-
stero, la coordina e la dirige con diversi doni gerarchici e
carismatici e l'abbellisce dei suoi frutti. Gli elementi, quindi,
che differenziano i vari membri tra loro, i doni cioè, gli
uffici e i vari compiti, costituiscono in sostanza una specie
di complemento reciproco e in effetti sono ordinati all'unica
comunione e missione del medesimo Corpo. Il fatto pertanto
che nella Chiesa si possa essere pastori, laici o religiosi non
comporta disuguaglianza quanto alla dignità comune dei
membri, ma esprime piuttosto l'articolazione delle giunture
e delle funzioni di un organismo vivo ».
Il primo effetto della riflessione sulla vita nello Spirito,
nella sequela di Cristo, è di farci sentire in Cristo tutti fra-
telli, tutti con la stessa vocazione, con la stessa dignità, con
la stessa missione.
Certo, però, se ci guardiamo in faccia ci accorgiamo su-
bito che non siamo uguali per tante altre cose. Non è quindi
che questa fraternità tolga le disuguaglianze, le differenze;
piuttosto le interpreta come elementi che arricchiscono la
Chiesa, che sono complementari per costruire l'unità. Lo
Spirito, cioè, ci fa percepire che l'essere in Cristo per noi è
formare un'unità organica, essere un corpo; non tutti sa-
ranno occhi, non tutti saranno mani, ma sono tutti lo stesso
corpo.
35

4.8 Page 38

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Nella nostra riflessione di oggi non andiamo a cercare il
significato delle differenze, che pure spiritualmente è im-
portante, ma cerchiamo di approfondire il significato della
comune vocazione e missione, in vista di una risposta, la più
radicale possibile, a questa domanda: che cosa significa per
me, quando lo Spirito m'invade e mi fa vivere la nuova vita,
l'essere discepolo di Gesù e vivere la sequela del Cristo?
La prima scintilla
Perché « un tempo di crisi è un tempo di sequela?».
Direi che la prima scintilla che lo Spirito Santo fa spriz-
zare in un momento di convulsioni è il ricordare con chia-
rezza la radice più profonda, la sorgente, la fonte prima della
nostra vocazione cristiana e religiosa: l'incontro affascinante
con Gesù Cristo. Questa è la vera risposta in profondità.
Ai miei cari confratelli, a me per primo e ora a voi, care
sorelle, faccio sempre notare che il pericolo più grande in
un tempo di crisi, in cui emergono anche tanti valori e tante
novità positive, tanti fenomeni interessanti, il pericolo più
grande è la superficialità. Il superficiale si lascia abbagliare
dalla prima cosa che luccica; il primo fuoco artificiale che
scorge per lui è il sole, è tutto... Ora come fare per non imi-
tare le lepri un mio ricordo patagonico) che di notte si
lasciano abbagliare dai fari delle auto e vanno a finirvi sotto
facendosi ammazzare? Quante «lepri», quante suore e reli-
giosi superficiali sono finiti sotto la macchina in questi anni,
abbagliati da luci artificiali! Gli avvisi economici della città
hanno nascosto loro il firmamento con le stelle.
Per non cadere in questi abbagli, in queste deviazioni
facili per chi è superficiale, che cosa dobbiamo fare? Dob-
biamo sentire in profondità Io Spirito e vedere dove ci porta.
Dicevamo che la prima cosa che fa lo Spirito per condur-
ci al Padre è di inserirci in profondità in Gesù Cristo. Ma
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4.9 Page 39

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quando io dico che lo Spirito mi fa discepolo di Gesù Cristo,
che cosa succede in me? Qual è la risposta che devo dare al
quesito: « Che cos'è per me la sequela del Cristo?».
Ripetendo la geniale espressione di un grande pensatore
francese, un teologo moderno risponde che bisogna situarsi
nella « sfera dello spirito alla fonte». È una frase di J. Mari-
tain . Che cosa vuol dire la « sfera dello spirito alla fonte »?
Pensiamo ad un artista, a Beethoven, a Michelangelo: la pri-
ma scintilla o lo « spirito alla fonte » di questo artista è quel
momento di genio, di creatività da situarsi più in là della
ragione, più in là della logica, più in là dei calcoli; è ciò che
lo fa essere artista creatore. Chiedete a un genio famoso di
dove gli è venuta l'ispirazione del suo capolavoro; neppure
lui lo saprà dire. C'è come uno scoppio di luce, una scintilla
atomica interiore, spirituale, che è alla sorgente del suo spi-
rito in quanto artista, è la radice ultima, la più vivace, la più
feconda della sua personalità.
Ecco, la sequela del Cristo in noi è proprio qualche cosa
di simile, è l'espressione della nostra genialità di santità,
della nostra capacità spirituale d'interpretare l'esistenza: è
la prima radice del nostro spirito, più in là della sfera della
ragione, a livello potremmo dire artistico, dove una scintilla
esplode in uno scoppio d'amore che intuisce, che sceglie, che
segue, forse senza sapersi spiegare razionalmente il perché,
ma con chiarezza e totalità. È un atteggiamento squisitamen-
te mistico, proprio perché è più in là dei calcoli e non è
frutto di molti ragionamenti, ma esclusivamente proprio del-
la presenza dello Spirito in noi. È l'esperienza più intima
del mio cuore, l'incontro della mia persona con Gesù, per
cui il Cristo ( la cui luce sì che mi abbaglia!) non è un fuoco
artificiale, lo vedo come il sole, come il tutto, capace di dare
un senso globale, definitivo alla mia esistenza: una forza
che orienta l'amore, che entusiasma l'intelligenza, la capaci-
tà di vita, la capacità di azione. Noi siamo uomini, avremo
dei momenti di debolezza, lo sappiamo; però quando ritor-
niamo con calma alla pienezza della vita nello Spirito, ecco,
37

4.10 Page 40

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quello che rimane chiarissimo è che Cristo è tutto e tutto il
resto è niente.
Questo è il dono geniale dello Spirito Santo in ognuno di
noi, questa è la radice della sequela Christi. Non è un propo-
sito di ascetica, non è un programma di morale, non è un'os-
servanza, un volontarismo; è una genialità e un entusiasmo,
è un innamoramento e una mistica, ed è solo questo che può
escludere in modo assoluto la superficialità.
Come vi spiegate voi - per rimanere in famiglia - quan-
to ha fatto e ciò che è stata a Mornese una ragazza come la
Mazzarello, o ai Becchi un povero ragazzo come Giovannino
Bosco? E Paolo, e Francesco, e Caterina da Siena, e Teresa
e tutti i santi; e possiamo richiamare anche la nostra espe-
rienza personale, quella dei nostri familiari: perché la vita
nello Spirito non si concepisce come un'impresa esclusiva
per pochi astronauti. Nella nostra esperienza vissuta, abbia-
mo visto che lo Spirito spira dove vuole, e che appare dove
meno ci si aspetta, con una potenza, una costanza, una capa-
cità inspiegabile di superare difficoltà di ogni genere.
La sequela Christi è frutto dello Spirito Santo precisa-
mente alla radice più profonda di ogni personalità, ossia alla
sorgente o alla fonte di un progetto di esistenza.
Il discepolo è una persona che, allo scoccare di questa
scintilla, fa la sua opzione fondamentale, la scelta prima e
decisionale per il senso di tutta la sua esistenza.
La sequela del Cristo è un'intuizione di scelta e dì ade-
sione che precede e supera i livelli dell'ascesi e della morale.
La preoccupazione della perfezione da conseguire verrà come
una conseguenza, come una coerenza: il vivere secondo la
morale, il vivere secondo l'ascetica, il vivere nell'osservanza
è un fatto di coerenza, ma non è la scelta fontale; sarebbe
troppo piccola, troppo povera! La scelta è questa intuizione
mistica della persona, che non è un fuoco di paglia esterno,
che forse non si esprime né a parole né in entusiasmi super-
ficiali, ma invade il profondo del cuore e dà senso a tutto.
38

5 Pages 41-50

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5.1 Page 41

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\\
Forse chi ha meno cultura e si occupa di lavori più umili,
chi è più semplice lo percepisce meglio di qualcuno di noi
che ha fatto studi ed ha una mentalità un po' sofisticata; la
persona semplice non saprà forse manifestare agli altri que-
sta sua esperienza intima, però a guardare la sua vita non la
si può spiegare senza un forte amore e un grande entusia-
smo per un ideale nascosto, che poi non è un ideale soltanto,
perché è la Persona di Gesù Cristo.
Ecco allora: lo Spirito ha fatto a tutti noi questo bel re-
galo, il regalo del genio spirituale: intuire Cristo e decidere
di essere suoi discepoli. Non dobbiamo avere paura d'esser-
ne senza: questa è la nostra vocazione comune, lo Spirito
ha fatto saltare la scintilla nei nostri cuori. L'umiltà non con-
siste nel credere che lo Spirito non ci ha visitati, insomma
nell'avere quel « complesso d'inferiorità » di cui parlavamo
ieri. Bernanos ha scritto giustamente che non si può disprez-
zare se stessi senza disprezzare Iddio; tutti siamo ricchi di
doni di Dio, e questi non li possiamo disprezzare. La sequela
Christi è appunto un dono dello Spirito Santo che sentiamo
in noi; questo senso di capacità d'amore totale è un regalo
suo, dobbiamo esserne coscienti e saperlo coltivare, dobbia-
mo sapercene entusiasmare e - direi - addirittura sentir-
cene orgogliosi (senza bisogno di arrivare al « complesso di
superiorità»!).
·Occorre avere questa certezza di fondo: che chi vive nel-
lo Spirito non è tapino, non è un emarginato della cultura,
non è un estemporaneo né un superato. Dove c'è lo Spirito,
c'è la novità, c'è la creazione, c'è il futuro. Il problema è
se viviamo davvero di questo Spirito, se cresciamo nella se-
quela di Cristo suscitata in noi dallo Spirito: questo è il
problema. È solo la carenza della sequela Christi che ci deve
fare paura.
Che spettacolo poco confortante è vedere religiosi e reli-
giose che sanno anche l'ultima novità della moda culturale
e sono superficiali nelle cose di Dio! Guardate invece una
madre Teresa, anche se non appare tanto moderna nella sua
39

5.2 Page 42

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maniera di vivere e di vestire, come in tutti gli ambienti le
fanno tanto di cappello; si vede chiaro che nella sua vita c'è
una formidabile sequela Christi, alla cui luce appaiono se-
condarie tutte le altre cose. L'importante è che facciamo
funzionare questa nostra genialità radicale che ci dà la ca-
pacità di partecipare e di testimoniare il mistero di Cristo.
I due versanti della vita nello Spirito
La lettura di Paolo e Luca ci ha mostrato brevemente co-
me lo Spirito Santo opera nelle persone e nella storia. Pos-
siamo scoprire due grandi modalità di presenza dello Spiri-
to Santo, che sono fra loro complementari, e che si proiet-
tano sulla sequela del Cristo.
Il primo versante si potrebbe definire il versante dell'in-
teriorità, della santità, della consacrazione; è quello che par-
te dall'entusiasmo mistico e che orienta la persona ad ade-
rire pienamente a Gesù Cristo: tutto il livello della inabita-
zione dello Spirito Santo in noi, che ci fa maturare in santità.
Il secondo versante è quello che potremmo chiamare il
versante dell'impegno storico. Ci fa essere di Cristo, in Cri-
sto, con Cristo, non solo come il Figlio del Padre e il religio-
so di Dio, ma anche come il Fratello dell'uomo, il Salvatore
di tutti, l'Uomo per gli altri, colui che dà la vita per salvarci.
L'abbiamo sentito nel Vangelo di oggi, festa di san Lo-
renzo: « Se il chicco di grano non muore ... ». Gesù Cristo è
l'essere per gli altr i: ecco il versante dell'impegno storico,
che ci ricorda immediatamente il carisma per cui nella Chie-
sa seguiamo Cristo con una determinata missione.
Lo Spirito dunque fa crescere la nostra sequela Christi
su questi due versanti: l'uno dell'interiorità, che comporta
la ricerca della perfezione come risposta al lampo mistico
40

5.3 Page 43

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dell'incontro con Cristo; l'altro, il versante dell'impegno sto-
rico per cui non siamo degli alienati, degli inutili, ma dei
fratelli, dei servitori che compiono determinate opere di be-
ne per gli altri. Proprio come Gesù Cristo.
La grazia di unità
Il pericolo che si corre oggi, proprio tra i discepoli di
Cristo, è di separare questi due versanti. Lo si può fare in
due modi, entrambi sbagliati.
Un primo pericolo è di privilegiare in tal modo l'interio-
rità da ignorare la dimensione del servizio storico, cioè l'a-
spetto sociale e politico della nostra esistenza. Si cerca solo
l'interiorità, che così diviene intimismo. Ma tale unilateralità
non è la vera vita nello Spirito che vivifica la sequela Christi;
ne scimmiotta solo un aspetto, sfigurandone la genuinità.
Un secondo pericolo è quello di sopravvalutare in tal
modo l'impegno sociale da svuotare la consacrazione: solo
il servizio ai fratelli, solo il fare, solo la liberazione imme-
diata dalle ingiustizie strutturali, solo la promozione dell'uo-
mo, in un'azione affannata che si giunge a denominare erro-
neamente « missione». Però non si sa che cosa sia la missio-
ne di Cristo e degli Apostoli, né di dove venga l'energia spiri-
tuale e la forza che la rende possibile, né in qual modo la si
debba vivere. Una simile consapevolezza infatti sgorga dal-
l'interiorità e dalla pienezza della sintonia con lo Spirito.
Oggi, purtroppo, in casa nostra si nota qualche sintomo di
questo dualismo, nell'uno o nell'altro senso.
Talvolta, per correggere il pragmatismo attivista, si suo-
le parlare solo di interiorità: non è questo il correttivo. Al-
tre volte (poche!), per correggere l'intimismo si pretende di
insistere solo sul lavorare molto. Il pericolo più grosso, al-
meno per noi Salesiani (ma siccome siamo dello stesso san-
gue carismatico più o meno avremo anche gli stessi difetti),
41

5.4 Page 44

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è propriò di parlare della missione, dell'apostolato, dell'azio-
ne, del lavoro in una forma così superficiale che non è più
una vera sequela Christi. Non è più la forma geniale di don
Bosco e di madre Mazzarello.
Dunque: la sequela del Cristo si sviluppa contemporanea-
mente e unitariamente sui due versanti indicati. Dico due
versanti perché devo pur dire che c'è una differenza tra
l'« interiorità» e l'« impegno»; c'è tanta differenza che la
maniera di Paolo di descrivere l'azione dello Spirito Santo
e quella di Luca sembrano due presenze distinte. Però è im-
possibile che ci sia una dicotomia, un dualismo, perché è lo
stesso Spirito che opera sempre e lo fa per far vivere nello
stesso Cristo e per lo stesso Cristo; inoltre questo Spirito e
questo Cristo sono un solo e medesimo Dio.
La vita nello Spirito che anima la sequela del Cristo svi-
luppa armonicamente i due aspetti in una crescita di grazia
che il nostro Capitolo Generale Speciale (CGS) ha chiamato
felicemente la « grazia di unità». Il crescere in Cristo impli-
ca l'inscindibilità dell'impegno storico e dell'interiorità. An-
che se se ne parla separatamente, perché sono di per sé dif-
ferenti, essi costituiscono per noi la stessa unica grande
realtà vitale: così come Gesù Cristo è stato simultaneamente
Figlio del Padre e Fratello degli Uomini. Si può forse sepa-
rare in Lui questo duplice aspetto? La sua realtà è unica e
inscindibile. Il profondo integrarsi di questi due versanti è
un segno di crescita sana nella nostra vita nello Spirito.
Il realismo della vita pratica quotidiana
Dobbiamo domandarci: come e dove avviene questa cre-
scita della vita nello Spirito? A tavolino? Nella scuola dei
teologi, nella conferenza dei superiori? No, quella è la sede
in cui potranno essere approfonditi e interpretati i suoi va-
lori. Il luogo della crescita della sequela Christi è la prassi,
42

5.5 Page 45

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la vita concreta. Oggi si parla tanto di « ortoprassi »: ossia
la giusta maniera di esistere. La sequela del Cristo è proprio
una « cristologia», non da teologo sui libri, ma da santo nella
vita; essa non si confonde con la profondità dello studio, così
da correre il pericolo di divenire ideologia, ma è una storia
realizzata o meglio ancora una cronaca vissuta, perché la
storia può implicare ancora una visione d'insieme, da stu-
dioso.
Cronaca vissuta: momento per momento. La situazione,
il vicino, la vicina; il bisognoso, chiunque e qualunque even-
to concorre a fare la cronaca vissuta. Chi vuole approfondi-
re la realtà della sequela Christi deve situarsi nella prassi;
chi vuole sapere cos'è, non può dedicarsi semplicemente a
fare speculazioni, ma deve fare prima di tutto delle narrazio-
ni, deve descrivere una vita che si vive. Interessante! Noi
pensavamo che la teologia fosse solo speculazione di grandi
pensatori, e la prima teologia, la più grande, la sequela del
Cristo, è una prassi che si narra. Il Vangelo narra; la croni-
storia di tanti Istituti è la narrazione di una sequela Christi
dove non c'è bisogno di speculare su princìpi dottrinali e di
formulare analisi scientifiche, ma c'è solo da narrare con
oggettività ciò che fanno coloro che vivono la prassi della
sequela di Cristo. Ecco quindi: si tratta di far crescere, nel
realismo della vita quotidiana, delle cose da narrare, delle
testimonianze da comunicare, in tal modo che noi stessi o
altri possano narrare che cos'è la vita nello Spirito.
In questi giorni io mi sono letto i quattro volumi della
Cronistoria del vostro Istituto. Ecco una narrativa che mi
_ha fatto scoprire la sequela Christi in voi. Mi è parsa una
specie di biografia collettiva della sequela di Cristo delle
FMA nei primi anni di vita del vostro Istituto.
Sapete di che cosa è povera la nostra teologia moderna?
Di agiografia, ossia di cronistoria della vita nello Spirito.
Abbiamo biografie di santi fatte male, con interpretazioni
soggettive, con un sottofondo superficiale e moralista che
43

5.6 Page 46

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stanca e allontana. Dove sono le biografie fatte con intelli-
gente realismo di percezione dello Spirito? Eppure questo
dovrebbe essere, in primo piano, lo sforzo di chi vuol sapere
che cos'è e come si vive la sequela Christi. È tutto da fare,
o almeno c'è tanto da fare; e dovremmo incominciare a far-
lo in casa nostra! Soprattutto se pensiamo al realismo sto-
rico che caratterizzava la mentalità di don Bosco.
La famosa parola « ortoprassi », tanto in voga oggi, non
viene male al nostro caso, anche se la si deve saper usare
con cautela: la sequela Christi è un'ortoprassi; anzi è l'unica
vera ortoprassi. Che cosa vuol dire ortoprassi? È una ma-
niera pratica di vivere rettamente. E quale pratica di vita
quotidiana può essere veramente retta, se non quella che si
vive nello spirito di Cristo?
Discepoli: di quale Cristo?
Se la sequela Christi è una maniera concreta di vita, una
prassi che si traduce in azioni da cronistoria, dobbiamo es-
sere sicuri di guardare al Cristo reale.
Qual è questo Cristo che lo Spirito Santo mi spinge a co-
noscere e a seguire? Ci facciamo questa domanda perché,
dopo tutte le cose che abbiamo detto, c'è ancora la possibi-
lità di formarci noi il « nostro » Cristo, e allora non è quello
dello Spirito Santo e non è quello della storia, ma è un mo-
dello soggettivo. Guardate che non sto dicendo delle cose
impossibili; il pluralismo della vita religiosa a volte si fonda
proprio su una interpretazione molto soggettiva di Gesù Cri-
sto. Per evitare dunque l'ideologizzazione, ossia il pericolo
di mettere innanzi, al posto della persona di Cristo, un'idea
soggettiva da seguire, noi dobbiamo rispondere alla doman-
da: qual è il Cristo che noi seguiamo?
Il Cristo della sequela non è una invenzione nostra, non
è il frutto di una riflessione soggettiva. Per sapere chi è dob-
44

5.7 Page 47

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biamo andare ai Vangeli, alla cronistoria narrata della sua
realtà.
Lo possiamo vedere in tre momenti, che ci aiuteranno a
fare della nostra « sequela » una realtà molto concreta.
a) Cristo: Profeta, Sacerdote e R e
Considerando le caratteristiche della sua persona, così
come gli Evangelisti e la Tradizione della Chiesa ce la pre-
sentano, Gesù Cristo ci appare come il Profeta, come il Sa-
cerdote (o Liturgo) e il Re; è questa una chiave di lettura
usata specialmente nel Vaticano II.
I testi principali del Nuovo Testamento li potete ricor-
dare facilmente. Nel Vangelo possiamo vedere l'aspetto di
Profeta in tanti testi: pensiamo, per esempio, al proemio
del Vangelo di san Giovanni: Il Verbo che viene a dirci chi
è Dio, chi è il Padre. Per l'aspetto di Sacerdote o Liturgo, ri-
leggete l'Epistola agli Ebrei, assai luminosa in questa pro-
spettiva. E per vedere il suo aspetto di Re io vi inviterei pa-
radossalmente a leggere, in qualunque Evangelista, il testo
della Passione. È l'espressione più profonda e radicale della
sua regalità (la corona di spine, l'agonia, la morte e la ri-
surrezione: la Pasqua!).
Il realismo della sequela ci porta così a crescere in un
Cristo che non è frutto della nostra fantasia, ma è quello
oggettivo della storia; questo ci obbliga a sviluppare in noi
determinati atteggiamenti per essere, sentire e agire come
Cristo.
- Profeta. Cristo è il Verbo, la Parola del Padre che ci
ha dato la pienezza della rivelazione. Il primo atteggiamen-
to che la sequela Christi deve suscitare in noi è quello di
considerare Cristo come la Verità. La rivelazione è tutta in
Lui. Abbiamo detto che lo Spirito non è il rivelatore, non
45

5.8 Page 48

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viene a portare un'altra rivelazione: viene a farci capire, ad
approfondire la rivelazione di Gesù Cristo, per capire il Verbo.
Questa la prima condizione della sequela Christi: lo Spi-
rito ci aiuta ad avere la capacità d'ascolto. Capacità d'ascol-
to di ciò che dice Gesù Cristo, il Verbo del Padre; la saggez-
za dell'ascolto è il fondamento di tutta la fede, il fondamen-
to della genialità della sequela Christi. Come si fa ad essere
misticamente entusiasti di Cristo se non c'è questa capacità
di docile contemplazione? Ecco un atteggiamento fondamen-
tale per seguire il Cristo vero e non la mia fantasia: partire
non dalla mia scienza, ma da una contemplazione, da un
ascolto della Parola di Dio. C'è tutto un panorama di inizia-
tive e di propositi da avviare per la sequela Christi, un itine-
rario di profondità e non di superficialità (bisogna pur dire
che tanto nella nostra famiglia come in genere nella vita
religiosa oggi, nonostante gli arùspici di malaugurio c'è una
crescita significativa in questo campo, e questo è un bene
enorme!).
- Sacerdote. Che cosa fa il sacerdote, il liturgo? Ringra-
zia il Padre, loda, ammira, offre il sacrificio; questa è la sua
azione centrale: l'Eucaristia . Adora e ringrazia. Che cosa si-
gnifica tale atteggiamento nei riguardi della sequela Christi?
Mettiamoci un momento ad ascoltare alcuni dei nostri gio-
vani più avanti negli studi; o anche qualche confratello o
qualche consorella che siano un po' pervasi da quella men-
talità marxista che penetra oggi anche nei conventi. Dico
questo a mo' d'esempio, per far capire che cosa fa una men-
talità di tipo marxista che sia genuina. Essa è critica, si de-
dica a scoprire il male, o i responsabili del male, per com-
batterli; in effetti porta a una lotta di classe che è sostenuta
in definitiva dall'odio. L'ho sentito da un marxista conver-
tito, un architetto argentino, ad una tavola rotonda nella
Università cattolica di Valparaiso. Uno studente gli chiese
che cosa lo avesse maggiormente colpito nel cristianesimo,
e questa fu la risposta: « Per me la cosa più originale, più
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5.9 Page 49

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grande del cristianesimo è la gratitudine». Sapete perché?
Perché chi si dedica continuamente solo a scoprire le ingiu-
stizie (e non dico che non ce ne siano, e parecchie!), a sotto-
lineare il male, a scoprirne i responsabili e a suscitare una
« sacra » ira per distruggerli, non lascia posto per trovare
dov'è il bene; di fatto tale mentalità va unita a un atteggia-
mento radicale ateo che è stato descritto come « la morte
del padre». Non si sente più il bisogno di un padre, anzi
non c'è chi sia padre. Chi è che dall'alto ama l'uomo, chi è
che gli fa del bene, e dov'è questo bene in un mare così va-
sto di ingiustizie?
Invece la funzione del sacerdote, la mentalità sacerdota-
le-liturgica è tutta in un atteggiamento di filiazione e di co-
sciente gratitudine. Che cosa andate a fare in una liturgia
se non siete contente, se non avete da ringraziare, se non
avete visto delle cose belle, se non avete percepito del bene,
se non avete intuito l'amore, se non avete colto tanti valori
che entusiasmano? Non avrebbe senso la liturgia. E Gesù
Cristo è venuto sulla terra a fare il liturgo, a trovare il bene,
a ringraziare e lodare il Padre. Non dico che non ci sia da
combattere il male, perché proprio per vincerlo Gesù Cristo
è morto sulla croce (come vedremo nel considerare il suo
ruolo di Re); ma l'atteggiamento sacerdotale è sostanzial-
mente di adorazione e di ringraziamento.
Ebbene: la sequela Christi ci obbliga a costruire questa
psicologia liturgica, in noi e tra i nostri giovani, che sono
plagiati da una egemonia culturale di sapore ateistico.
Il primo ruolo di Gesù Cristo è la costruzione del bene:
far crescere la filiazione di Dio; dare e sviluppare la grazia.
Non è venuto a condannare i peccatori, ma perché abbiano
la vita e l'abbiano abbondantemente. Ecco che cosa vuol
dire questo secondo aspetto sacerdotale del Cristo storico.
Noi dobbiamo costruire nella sequela Christi questa menta-
lità; è una mentalità di profondità. Come si spiegano tanti
scoraggiamenti, tanti pessimismi nella vita religiosa? Io ere-
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5.10 Page 50

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do che dipendano in non piccola parte dalla incapacità di
vedere il bene. Il pessimista, lo scoraggiato concentra lo
sguardo solo su ciò che è male, su ciò che schiaccia; certa-
mente ci sono incomprensioni e mali, ma perché non trovia-
mo anche tutto ciò che c'è di bene (in questo ci ha dato una
lezione formidabile Paolo VI), per apportare motivazioni
alla liturgia, per la lode di Dio e per il ringraziamento del
Padre? La sequela Christi non è una cosa semplice, è una
vita quotidiana in sintonia con lo Spirito il quale dirige i
nostri occhi verso la crescita e la vittoria.
Noi Salesiani sappiamo che, alla scuola di san Francesco
di Sales, don Bosco ci ha insegnato a vedere più il bene che
il male, per essere liturgisti della gioventù che esplode di
gioia nel ringraziamento. La nostra sequela Christi, insom-
ma, esige quella oggettività di atteggiamento che si lascia
guidare, più che dai libri di ideologie e dai giornali di par-
tito, dal sacerdozio di Cristo.
- Re. La regalità di Cristo ci appare come una realtà
veramente paradossale; la potremmo chiamare il paradosso
dell'umiltà, perché il dominio di Cristo su tutto, che lo fa
Signore della storia, è frutto del trionfo del suo amore su
tutte le inclinazioni della natura umana. L'espressione mas-
sima di questo dominio, l'espressione più alta della regalità
è la capacità di patire e di morire con amore. Non è il mo-
dello per una regalità politica. Questo suo atteggiamento lo
introduce alla pienezza della risurrezione e al dominio su
tutta la storia. Ma anche nella storia rimane l'aspetto para-
dossale della regalità di Cristo, inintelligibile e strano per
chi non vive nello Spirito. Infatti chi guarda la storia senza
questo spessore esclama facilmente: ma che cosa ha fatto
in tanti secoli il cristianesimo? Eppure il Cristo è stato effet-
tivamente il Signore della storia in tutti questi venti secoli.
Rimane, nella storia, la maniera paradossale di tale regalità,
e solo nella luce dello Spirito si scopre con sufficiente chia-
rezza che il bene è più forte del male, e che la vittoria finale
48

6 Pages 51-60

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6.1 Page 51

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deìla risurrezione è già incominciata tra noi. Si tratta, dun-
que, di una regalità che ci porta a interpretare la nostra se-
quela Christi con un concetto non di potere politico, ma di
dominio ascetico, di virtù, di energia di grazia.
Ecco, dunque, che significa seguire il Cristo storico, che
è Profeta, Sacerdote e Re.
b) Cristo: Crocifisso e Risorto
Il Cristo reale che un discepolo deve seguire è quello che
è venuto (Crocifisso, nella storia) e quello che verrà (Risor-
to, nella parusìa): due aspetti che implicano due atteggia-
menti nella sequela.
- Del Cristo che è venuto noi facciamo « memoria ». La
storia del Cristo venuto è orientata verso la crocifissione, la
passione e la morte. Il fare memoria del mistero di Cristo
implica partecipazione e imitazione attraverso un radicali-
smo del totale dono di nell'esistenza.
Così nella sequela Christi vediamo incastonati i nostri
voti religiosi che sono una memoria vissuta del Cristo che
è venuto: Cristo casto, Cristo povero, Cristo obbediente fino
alla morte e alla morte di croce; ci addestriamo con essi a
vivere quotidianamente la realtà di Cristo come ricchezza
salvatrice e come concretizzazione pratica della profezia,
del sacerdozio e della regalità.
Qui si potrebbe fare un discorso enorme; limitiamoci a
domandarci: « Ma perché Cristo è stato così?». Guardate
che ci sono oggi delle obiezioni non superficiali, abbellite da
argomenti che sembrano scientifici, circa il senso della ver-
ginità o dell'obbedienza, in contrasto con la grandezza della
promozione della donna. La risposta? Non abbiamo bisogno
di cercarla nei libri di scienza, anche se ce ne possono sug-
gerire validi elementi; la diamo con la vita nello Spirito,
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4

6.2 Page 52

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facendo memoria viva del Cristo venuto. Cristo è stato così.
Cristo crocifisso ci dà delle risposte fondamentali che sono
l'oggetto preferito della vita nello Spirito.
- Del Cristo che verrà, Gesù risorto, Signore della sto-
ria, noi coltiviamo la « speranza ». Se per il Cristo che è ve-
nuto la preoccupazione centrale della sequela era la « me-
moria », per il Cristo risorto che verrà nella parusìa, la pre-
occupazione centrale è la « preparazione»: ci dedichiamo
a preparare la venuta del Cristo. Quindi una sequela che ci
sveglia, che ci muove, che ci obbliga a fare, che ci spinge a
collaborare con gli altri per preparare questa venuta del
Signore. La quale venuta del Signore, poi, non è la conclu-
sione di un'evoluzione. Ecco il male sottile che ha insinuato
nella coscienza cristiana, e soprattutto in quella dei religiosi,
certa mentalità evoluzionistica della nostra epoca; non è
per andare contro la teoria dell'evoluzionismo scientifico,
ma per rispettare la verità del Cristo reale.
La concezione, abbastanza comune oggi, che la venuta di
Cristo è il punto-omega di una evoluzione che si compie ine-
luttabilmente nel progredire del tempo, quasi per forza in-
trinseca e meccanicamente, induce ad aspettare più che a
preparare! La venuta di Cristo è la venuta di un ladro di
notte (è uno dei paragoni del Vangelo), è improvvisa, non è
la conclusione di una evoluzione: è di un altro ordine. E
molto interessante l'evoluzione, così come ce la presentano
gli studiosi; ma qui non si tratta di spiegare la promozione
umana, piuttosto si tratta di penetrare il Vangelo e di rispet-
tarne la verità: nella sequela Christi ci deve essere il senso
del « poco tempo » più che dell'aspettativa dei secoli. Abbia-
mo poco tempo perché Cristo risorto sta per arrivare: è
questo l'atteggiamento dei santi, l'atteggiamento della spe-
ranza, il dinamismo dell'attività della Chiesa, il dinamismo
della nostra attività di religiosi. Non aspettiamo la salvezza
da una cosa che maturerà con la crescita, aspettiamo la sal-
vezza dalla venuta di Gesù Cristo!
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6.3 Page 53

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Tale venuta deve essere da noi preparata. Quando? Certo,
dopo duemila anni che la si sta aspettando, c'è un po' il pe-
ricolo di una coscienza attutita, di una perdita dello slancio
escatologico. Questo è il cristianesimo borghese che vuol far
consistere l'arrivo del Cristo risorto semplicemente nell'im-
pegno per la promozione umana. Proprio no! Certo dobbia-
mo operare la promozione umana, ma la realtà escatologica
proviene da un'altra fonte, e per ogni generazione il tempo è
poco per prepararla come si deve.
Chi di voi sa quando verrà? Per ognuno di noi sono po-
chi gli anni dedicati a questa preparazione. Questo è un pen-
siero che anche i grandi teologi moderni - e non solo i cat-
tolici - sottolineano molto. Si sente la necessità di ridestarE-
la dimensione escatologica nella nostra fede cristiana. Nella
sequela Christi questa è una necessità, perché non è un Cri-
sto inventato; è quello reale, quello che sta per venire nella
parusìa, e ci sollecita a lavorare.
Pensiamo alla preghiera che facevano i primi cristiani,
che guardavano alla memoria del Cristo venuto con la con-
tinua ansietà per il Cristo della parusìa; terminavano le pre-
ghiere con « Maranà thà »: vieni, Signore Gesù!
Con che coraggio un religioso, che vive la vita dello Spi-
rito nella sequela Christi, può esclamare: « Vieni, Signore
Gesù! », se non fa niente per questa venuta? Deve muoversi,
deve sentire che ha poco tempo, deve essere in certo senso
impaziente per poter dire « Maranà thà ». Ma chi di voi di-
rebbe al Papa: « Venga a casa nostra, s'accomodi nel nostro
refettorio», se non fosse tutto ben preparato?
Ecco, il Cristo reale è il Cristo venuto e crocifisso, di cui
facciamo memoria, in particolare con il radicalismo dei no-
stri voti; ma è anche il Cristo risorto che sta per venire, per
cui ci diamo da fare con sollecitudine e fretta nel nostro im-
pegno di lavoro, perché tutta la terra sia preparata alla pa-
rusìa; per cui sentiamo il senso della pochezza del tempo e
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6.4 Page 54

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della enormità dell'impegno che ci coinvolge a fondo in questa
preparazione.
e) Cristo: Eucaristia
Il Cristo reale, che il discepolo deve seguire, ha voluto
restare realmente presente in forma sacramentale: l'Euca-
ristia. Essa è una presenza di Cristo misteriosa e reale, elo-
quente e silenziosa, modesta e potente, che fa crescere e per-
severare nella sequela Christi.
L'Eucaristia condensa in sé tutto il mistero del Cristo
reale; essa deve perciò attrarre a sé tutta la capacità di rea-
lismo della nostra sequela Christi.
Forse voi ricordate che tra i grandi teologi ce n'è stato
uno che ha voluto dimostrare l'esistenza di Dio con un ar-
gomento originale, approfondendo il concetto che Dio è « id
quo maius cogitari nequit » (sant'Anselmo, Proslogio), ossia
ciò di cui nulla si può pensare di più grande.
Se si potesse pensare una cosa che, oltre ad avere l'essen-
za, avesse anche l'esistenza, questa sarebbe più grande di
quella di cui si pensasse solo l'essenza; dunque, Dio esiste.
Ecco: san Tommaso ha criticato questo argomento. Però la
definizione di Dio è bella: Dio è ciò di cui non si può pen-
sare nulla di più grande. Bene, io l'ho citata solo per dirla
in modo analogo del Cristo eucaristico: l'Eucaristia è « id
quo maius fieri nequit »: ciò di cui nulla si può fare di più
grande. Qui non si tratta di una argomentazione, ma di una
costatazione nell'ordine della prassi, del fare: « id quo maius
fieri nequit ».
Il mistero eucaristico della presenza reale di Gesù Cristo
con l'azione redentrice fondamentale della sua missione sal-
vifica, la sua passione, la sua morte, la sua risurrezione, la
sua Pasqua: davvero nessuno può fare qualche cosa che pos-
sa essere più grande di questo! Dio stesso è arrivato, qui,
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6.5 Page 55

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all'apogeo del suo amore: la cosa più grande che ha fatto
Dio è Gesù Cristo con la sua Pasqua, e Gesù Cristo è presen-
te fra noi con la sua Pasqua in questo sacramento dell'Eu-
caristia; giustamente - secondo ciò che dice il Concilio -
l'Eucaristia è la fonte e il vertice di tutta la vita della Chiesa.
Come possiamo dunque immaginare una sequela Christi
che non si concentri qui? Lo Spirito Santo ci porta a questa
Eucaristia, ci fa sommergere nell'Eucaristia. Guardate alla
Valponasca, o qui ai Mazzarelli, o ai Becchi: nella storia dei
nostri due Istituti, anzi della Famiglia salesiana, anzi in tutta
la storia della Chiesa, i santi sono cresciuti attratti dall'Eu-
caristia, nutrendosi di essa, vivendo per essa.
Chi vuol essere discepolo deve saper curare questa capa-
cità di percepire l'Eucaristia come il Cristo vivo tra noi; ve-
dere come qui si fa « memoria » ontologica del Cristo e come
si nutre e si vivifica la « preparazione» della sua venuta.
Purtroppo, nella superficialità che rovina la sequela Chri-
sti dei religiosi oggi, c'è da annotare anche questo grande
difetto: la perdita della centralità dell'Eucaristia, la riduzio-
ne a banalità dell'Eucaristia. Purtroppo è qui che Giuda, è
qui che i cafarnaiti, è qui che ogni transfuga soccombe ed
esclama: « No, non ci credo ».
La vita nello Spirito muove ogni sequela Christi vital-
mente verso l'Eucaristia; bisogna farne centro del nostro
amore e della nostra meditazione. Potranno sorgere anche
delle difficoltà, certamente; ma il card. Newman diceva che
mille difficoltà non fanno un dubbio. Bisogna contemplare
e vivere l'Eucaristia, non tanto per non avere delle difficoltà,
ma per vedere come la sequela Christi si realizza e cresce non
solo personalmente ma comunitariamente, e come il centro
della vita di ognuno è partecipare all'amore di Cristo che
proclama: « Questo è il mio corpo dato per voi, questo è il
mio sangue versato per il perdono». Ecco il centro di ogni
persona e di ogni comunità religiosa.
Purtroppo c'è, in certe zone della nostra Famiglia sale-
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6.6 Page 56

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siana, una perdita di orizzonti su questo che costituisce non
solo il segreto della sequela Christi in sé, ma la linea caratte-
ristica, specifica della spiritualità della nostra vocazione nel-
la Chiesa. Eppure non c'è autenticità di vita nello Spirito se
non c'è questa centralità nell'Eucaristia. Il Vaticano II è ve-
nuto a portare dei rinnovamenti e degli approfondimenti;
però qui bisogna dire che né i Lefèbvre né i Franzoni sono
quelli che dànno il senso dell'Eucaristia: Paolo VI e il Con-
cilio ci hanno dato il vero senso dell'Eucaristia. Facciamone
tesoro.
E concludo.
Il pericolo dell'imborghesimento, del secolarismo e del-
l'indottrinamento è quello di costruirci un Cristo sulla misu-
ra dei propri gusti. Il Cristo reale a cui ci incorpora lo Spi-
rito è questo: il Cristo profeta, sacerdote e re; il Cristo cro-
cifisso che è venuto e il Cristo risorto che verrà, il Cristo che
si fa realmente presente con tutto il suo mistero nell'Eu-
caristia.
Cerchiamo di essere docili allo Spirito nella scintilla pri-
ma d'intuizione, piena di gioia, di entusiasmo e di mistica,
di ciò che è Gesù Cristo per noi; cresceremo veramente nella
sua sequela, come prassi quotidiana della nostra vocazione
religiosa!
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6.7 Page 57

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SECONDA PARTE
LA MADONNA: CON MARIA PER LA CHIESA
La seconda fondamentale mediazione della vita nello
Spirito, dopo quella sostanziale di Cristo, è Maria e la Chiesa.
Evidentemente non siamo allo stesso livello: Gesù Cristo
è il Verbo incarnato, l'unico mediatore. Però siamo di fronte
alla Madre di Cristo che è la Madre di Dio, e che nella storia
della salvezza ha un'importanza straordinaria, con degli in-
terventi, delle mediazioni che ce la rendono presente sia
nelle grandi ore della storia del popolo di Dio che nelle gran-
di ore di particolari chiamate personali. E siamo di fronte
alla Chiesa, che è la Sposa di Cristo e il suo Corpo.
È la narrativa della prassi della salvezza che ci assicura
di ciò. Non lo deduciamo da qualche principio ideologico;
la funzione basilare di Maria risulta evidente dalla lettura
della storia. Maria è il tempio e la Sposa dello Spirito Santo;
non dovrà farci meraviglia che la vita nello Spirito, di cui
noi voglia mo coltivare il primato, sia vincolata strettamente
anche a Lei. Per costatarlo, però, vogliamo muoverci su dati
di fatto sicuri, partendo dalle certezze che ci offre la fede.
Non spalanchiamo la porta al sentimento prima della costa-
tazione. L'apriremo dopo.
Necessità di realismo
Se c'è un argomento nel quale dobbiamo muoverci par-
tendo da una realistica visione di fede, è proprio quello del
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6.8 Page 58

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culto a Maria. Vi rimando per questo alla mia circolare. Qui
vi darò solo alcune idee fondamentali.
Ci sono deviazioni pseudocarismatiche che oltrepassano
il realismo con cui la fede considera Maria. È tanto seria,
tanto vera e tanto oggettiva la realtà mariana su cui voglia-
mo riflettere, che preferiamo sbagliarci nel non accettare
un elemento non necessario piuttosto di partire da esso in
forma esaltata.
Mi pare interessante riportarvi le parole di un teologo
domenicano, il padre Tillard, a questo proposito. Scrive in
un bel libretto pubblicato da poco, Carisma e sequela: « No-
tiamo un pericolo di cui diverse Congregazioni stanno diven-
tando coscienti. Coloro, d'ambo i sessi, che hanno ricevuto
il 'battesimo nello Spirito' (un rito carismatico) sono ten-
tati di considerarsi come il nucleo dei 'veri spirituali'. Men-
tre le esperienze spirituali, qualunque esse siano, non pos-
sono essere altro che un segno, si è portati inconsciamente
a farne il segno dello Spirito, con la conseguenza di scegliere
la piccola sètta degli autentici fedeli».
E insiste Tillard sulla « necessità di non lasciarsi prende-
re da forme fanatiche, stravaganti. Tali forme possono, se
non sono ben dominate e controllate, far saltare la ' koino-
nìa ', come capitò per altre forme di religiosità popolare...
in altre epoche. Sorridiamo oggi degli stiliti sulle colonne.
Ma certamente, e presto, si riderà delle riunioni ispirate da
cui si attende una manifestazione sensibile della presenza
dello Spirito.
E l'immagine della superiora provinciale che segue come
linea di condotta ciò che, durante una riunione di preghiera,
una suora in possesso del dono della profezia ' dichiara nello
Spirito', passerà al museo delle cose curiose e strane.
Il ridicolo uccide, e la vita religiosa oggi ha troppo biso-
gno di ritrovare la propria salute per permettersi di scher-
zare con esso ».
56

6.9 Page 59

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Dunque, noi vogliamo approfondire la funzione di Maria
in una forma affatto oggettiva. L'intervento di Maria è fon-
damentale nella vita cristiana, e in particolare nella nostra
Famiglia vocazionale. Noi però desideriamo evidenziarla con
molta serietà, partendo da fatti robusti, da elementi di fede
di cui parla la Chiesa, di cui parlano i secoli e non da... vi-
sioni pm o meno soggettive. E anche se fossero oggettive,
non sono al primo posto per noi!
Dati obiettivi
Allora, quali sono questi fatti?
Cominciamo dalla narrativa della vita della Chiesa, della
storia della salvezza in cui interviene proprio una speciale
presenza attiva di Maria.
Ecco, facciamo la « cronaca dei fatti» e vediamo i vari
momenti in cui è chiarissimo l'intervento di Maria.
- L'incarnazione del V erba a cui precede il momento del-
1'Annunciazione. Ecco la presenza di Maria come persona
che r isponde in piena libertà e accetta la funzi_one di diven-
tare la Madre del Salvatore.
- L'inizio della vita pubblica di Cristo: le nozze di Cana.
Maria è presentata da Giovanni come l'anti-tipo di Eva. Eva,
nel Libro Sacro, ci si presenta come quella che ha invitato
ad incominciare il peccato. Maria a Cana ci si presenta come
quella che invita a cominciare le opere della salvezza, a dar-
ne il primo segno.
- Il Calvario. Giovanni mostra Maria presente ai piedi
della croce, con una presenza caratteristica che riassumerà
tutto il senso e il significato della sua maternità universale.
A Giovanni Gesù disse: « Ecco tua Madre! ». E a Maria
disse: « Ecco il tuo figlio! » .
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6.10 Page 60

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- La Pentecoste. Qui sr rmzra la vita della Chiesa. Leggia-
mo Luca, negli Atti, e vediamo che tutta la preparazione de-
gli Apostoli è con Maria, in preghiera e in aspettativa.
- Poi la cronaca continua, non più sui testi sacri, ma nei
venti secoli di storia della vita cristiana. Qui ci vengono in-
contro, con i dati della fede, le definizioni dogmatiche della
Chiesa nei confronti di Maria.
Partiamo dall'ultima, che però rappresenta la fede dei
secoli della Chiesa: l'Assunzione di Maria al Cielo. Questo è
un « dato di cronaca», di storia della salvezza che ci assicu-
ra che Maria è morta ma è risorta e, ciò che è certamente
sicuro, è trasformata come il Risorto Gesù Cristo e vive nel-
la pienezza e nella totalità della sua persona la vita escato-
logica, definitiva.
Come all'inizio dell'umanità, secondo la descrizione della
Bibbia, abbiamo un uomo e una donna, Adamo ed Eva, così
oggi vediamo la vita della risurrezione in un uomo e in una
donna che vivono, ormai da risuscitati, per la vita di risurre-
zione di tutta l'umanità. Sono il principio, le primizie della
risurrezione: Cristo e Maria. Due di noi, della nostra razza
umana, della nostra stirpe, che vivono già in pienezza con
anima e corpo la vita della risurrezione.
Non è un dato che possiamo dimostrare con le scienze
umane, ma è una affermazione robustissima della fede.
E noi sappiamo, ripensando a ciò che il sacro Testo dice
di Cristo risorto, che Egli è sempre vivo a intercedere per
noi. È il fondamento della nostra liturgia sacramentale. Ma
la sola persona umana che accompagna Cristo in questa si-
tuazione di risurrezione è Maria. E noi pensiamo che an-
ch'essa non fa altro, « è sempre viva per intercedere per
noi». Secondo il suo ruolo, secondo la sua funzione. Non
con la capacità mediatrice di Cristo, però con la bontà in-
terceditrice della Madre. E questo è serio, perché ce lo dice
la Chiesa.
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7 Pages 61-70

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7.1 Page 61

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- Nella Lumen Gentiuni c'è questo aspetto reale della
continuata intercessione di Maria. Nell'economia della gra-
zia, la maternità spirituale di Maria « perdura senza soste dal
momento del consenso prestato nella fede al tempo dell'An-
nunciazione e mantenuto senza esitazioni sotto la croce, fino
al perpetuo coronamento di tutti gli eletti. Difatti, assunta
in cielo, ella non ha deposto questa missione di salvezza, ma
con la sua molteplice intercessione continua ad ottenerci i
doni della salvezza eterna. Nella sua materna carità si pren-
de cura dei fratelli del Figlio suo ancora pellegrinanti e po-
sti in mezzo a pericoli e affanni, fino a che non siano con-
dotti nella patria beata» (LG 62) .
Ecco ciò che sta facendo Maria! Questo è un fatto assi-
curato dalla fede. Per questo si chiama: Avvocata, Ausilia-
trice, Soccorritrice, Mediatrice, ecc.
Potremmo ancora continuare questa «cronaca» dei se-
coli. Ma il fin qui detto può bastare.
Maria e le nostre origini
Apriamo ora la finestra su « casa nostra » e facciamo la
cronaca degli eventi primi della nostra Famiglia
La vocazione di don Bosco e di madre Mazzarello si com-
prende solo alla luce di Maria. E loro ne avevano sicura co-
scienza, e ce lo hanno detto. Don Bosco ci dice con assoluta
chiarezza che tutta la vocazione della Famiglia salesiana non
si spiega senza Maria: nella sua nascita, nella sua crescita,
nella sua organizzazione, nel suo spirito, nel suo metodo pa-
storale, Maria è la maestra e l'ispiratrice di tutto.
Questo è « cronaca ». E noi sappiamo che don Bosco non
era un sentimentale. Che non diceva delle cose tanto per
dirle. Che lui le sperimentava; lui stesso ha avvertito cre-
scere in sé, diciamo così, quasi a sua insaputa questa cer-
tezza. Negli anni '60, e più precisamente dal '62 in avanti,
dopo che aveva deciso di costruire il tempio di Valdocco, il
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7.2 Page 62

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senso di Maria Ausiliatrice, di Madre che aiuta nelle difficol-
tà, è diventato in lui potentissimo! Tanto che di lì in avanti
esprime la sintesi di tutta la sua visione mariana sempre
attraverso l'Ausiliatrice. Non per fare delle differenze tra i
titoli o tra aspetti dogmatici, ma perché ha intuito, si è en-
tusiasmato, è vissuto in sintonia di vocazione con questo
aspetto del materno patrocinio mariano.
Il tempio di Valdocco, chi l'ha costruito? Don Bosco cer-
tamente, però è stato confortato e spinto, si può dire quoti-
dianamente, da innumerabili grazie di Maria. E quando si
sperimentano concretamente i favori di Maria, cresce l'ini-
ziativa e la costanza, perché uno lavora, realizza delle cose,
ma sente e costata che Qualcuno dall'alto fa molto di più e
porta le cose dove lui stesso con il suo impegno forse non
saprebbe.
È appunto da questa certezza dell'intervento di Maria
che nascono definitivamente e la Congregazione salesiana e
l'Istituto delle FMA (dal nome estremamente significativo
a questo proposito), e i Cooperatori salesiani e le missioni ...
Viene tutto in seguito a questa presenza di Maria a Valdocco.
C'è la cronistoria di una certa mediazione mariana, inne-
gabile per la nostra vita nello Spirito, che ci fa precisamente
costatare che Maria è la Sposa e il Tempio vivo dello Spirito
Santo.
Se poi estendiamo lo sguardo agli altri Istituti religiosi,
in ogni regione e nazione, nei momenti più delicati della sto-
ria, possiamo dire che Maria interviene tempestivamente
nelle ore dei cambiamenti, nelle difficoltà delle svolte stori-
che, nelle origini dei grandi carismi.
a) Maria nell'ora degli inizi
Così si avvera nella storia della salvezza che le ore degli
inizi sono le ore della Maternità.
Gli inizi: l'Incarnazione! C'è la presenza di Maria.
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Gli inizi: i carismi! Pensiamo al nostro. Il nostro carisma
è nato nella e per la Chiesa, e agli inizi c'è la Madonna. Ce
lo dice il Fondatore.
Quindi una presenza coinvolgente dello Spirito Santo nel-
la grande ora degli inizi, l'ora delle cose che sembrano pic-
cole, dei semi di cui nessuno si accorge ... ma in cui è neces-
saria la presenza di una Madre. La funzione materna non è
una funzione da giornali, da grandi titoli, da fatti clamorosi
della storia: è una funzione, in una certa maniera, nascosta.
Però è la funzione più importante; perché se non c'è questa
funzione non c'è l'inizio, non c'è la crescita, non c'è una nuo-
va epoca, non c'è una nuova alleanza, non c'è la storia del
cristianesimo, non c'è il nostro carisma, non c'è la nostra
vocazione. E vi pare poco?
b) Maria nell'ora delle grandi transizioni
Guardando alla figura di Maria, vediamo la sua sintonia
con lo Spirito Santo in altri gravi momenti. Le ore delle gran-
di transizioni, difficili, laboriose.
Una delle ore più laboriose è quella del passaggio dall'An-
tico al Nuovo Testamento: il cambio di mentalità, non solo
culturale o non tanto culturale, quanto religiosa. Questa
che è stata una rivoluzione.
Noi ci allarmiamo per un modo di trattare o per una ma-
niera di vestire; pensiamo al capovolgimento portato dal pas-
saggio dal Vecchio al Nuovo Testamento!
L'Epistola agli Ebrei ci lascia intravedere il forte trava-
glio di questo passaggio ad una mentalità completamente
diversa: quella della Nuova Alleanza senza tempio, senza
grandezze culturali, più in là di certi riti e di certe norme.
Tutte queste cose, Maria le ha sentite! I suoi tradizionali
« sette dolori», o la spada che le trapassò il cuore, implica-
no anche questo che, in definitiva, significa... il Calvario. La
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7.4 Page 64

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croce è conseguenza e m1z10 di tutto questo cambiamento.
E Maria è ai piedi della croce, ossia presente in ogni trava-
glio di cambiamento di epoca.
Per questo, dunque, accompagna anche la Chiesa di oggi
nei suoi problemi postconciliari.
e) Maria nelle ore pentecostali
Maria è ancora in piena collaborazione con lo Spirito San-
to tutte le volte che Egli realizza una Pentecoste, una visita
di crescita e di coraggio. Quindi non solo nelle ore degli ini-
zi e delle transizioni Essa è presente, ma anche a tutte le ore
pentecostali, per la crescita della grazia nei cuori e per nuo-
vi impegni di servizio in favore dei bisognosi.
Pensiamo in questo momento alla ' nostra ' pentecoste:
alla pentecoste del nostro cuore e del nostro carisma. E noi
possiamo testimoniare che c'è proprio questa presenza di
Maria.
Ecco perché la vita nello Spirito che noi cerchiamo di
rinnovare, e alla quale vogliamo dare il primato nelle nostre
comunità, ci deve portare ad avere della Madonna una co-
scienza e un senso profondo, realistico, di coinvolgimento
entusiastico. La devozione alla Madonna non è un soprappiù,
non è un sentimento; è un dato di fatto implicito nel nostro
processo di inizio, di trasformazione e di crescita nel mistero
della santità, in tutto ciò che è salvezza, in tutto ciò che è in-
teriorità, in tutto ciò che è impegno. Quindi la vita nello Spi-
rito ci porta ad avere fiducia nella Madonna, a vivere con
la Madonna.
È un po', se volete, il sogno delle due colonne di don Bo-
sco : nell'intuizione del nostro Santo, Cristo e Maria, i due
risuscitati (il nuovo Adamo e la nuova Eva), sostengono co-
me forti colonne la Chiesa che lotta per la salvezza.
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7.5 Page 65

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Maria e la Chiesa
Noi stiamo con Maria per la Chiesa. La nostra devozione
mariana non è uno stare semplicemente con Maria per am-
mirarla, concludendo tutto in Lei. Maria non ha senso in se
stessa. Maria è tutta di Cristo e della Chiesa. È tutta relati-
va a Cristo ed è tutta relativa al suo Corpo Mistico. In defi-
nitiva, essa è la figura profetica e la madre della Chiesa, os-
sia di quel corpo di Cristo che è nato da Maria, ma che poi
cresce misticamente in tutta la Chiesa.
Quindi la vita nello Spirito coltiva una vera dimestichez-
za con la Madonna contemplandone la maternità totale (di
Gesù e della Chiesa) e sottolineando la sua preoccupazione
di aiuto. Maternità per chi? Aiuto per chi? Per Cristo, per la
Chiesa, per tutta l'umanità. Questo aspetto è molto impor-
tante, perché cambia un po' il significato concreto della de-
vozione mariana. Qui troviamo la ragione fondamentale che
ci fa essere più mariani di prima, e perciò ci obbliga a cam-
biare certe espressioni di pietà, e soprattutto l'impegno del- ·
la nostra esistenza e del nostro apostolato. È importantis-
simo meditare sulla dimensione ecclesiale della devozione
mariana. Già i primi Padri della Chiesa Giustino e Ireneo
- un laico e un vescovo - alla fine del secondo secolo e al-
l'inizio del terzo hanno parlato di Maria come di seconda
Eva; soprattutto Ireneo ha pagine penetranti e non superate.
Il concetto di « nuova Eva» può essere considerato in
due momenti complementari: secondo un aspetto individua-
le, in cui la nuova Eva è Maria, e secondo un aspetto comu-
nitario in cui la nuova Eva è la Chiesa. La nuova Eva, in
quanto persona, è Maria, la Vergine Madre di Dio, genitrice
di Gesù Cristo, la Theot6kos; la nuova Eva, in quanto comu-
nità, è la Chiesa, Sposa di Cristo, Tempio vivo dello Spirito
Santo. Maria si presenta così come la figura e la profezia,
o il tipo, di ciò che deve essere la Chiesa. Essa è Madre di
Cristo nella sua totalità: lo fa crescere a Nazareth e nella
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7.6 Page 66

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storia. Maria ci manifesta ciò che è e ciò che sarà la Chiesa
nella sua pienezza; perché Essa, come profezia vivente, è già
adesso in pienezza l'epoca d'oro a cui tende la Chiesa. Quan-
do la Chiesa avrà raggiunto la sua età perfetta e sarà venuta
la parusìa, apparirà così come è adesso Maria, quella ineffa-
bile Gerusalemme celeste di cui ci parla l'Apocalisse.
Quindi, per capire ciò che la Chiesa è, bisogna capire ciò
che è Maria, e viceversa.
Vi voglio leggere la frase di un teologo non cattolico, Max
Thurian di Taizé: « Si può dire che non si dà una giusta vi-
sione della Chiesa se non dove c'è uno spazio per Maria, nel-
la fede e nella pietà. Il rinnovamento della Chiesa è stretta-
mente legato al rilancio di una sana pietà mariana. Si perde
il senso della Chiesa-Madre là dove si perde il senso della
vocazione materna della Vergine Maria».
Noi viviamo un'epoca di forte senso di Chiesa. Il Vatica-
no II è l'unico Concilio, in venti secoli, che ci ha presentato
(nella grande Costituzione Lumen gentium) un approfondi-
mento organico di tutto il mistero della Chiesa, non sempli-
cemente come «società», ma principalmente come « Corpo
di Cristo » e « Sacramento universale di salvezza ». E abbia-
mo assistito nel Concilio a una specie di battaglia mariana:
se fare uno schema a parte, se inserire un capitolo nello
schema della Chiesa; che senso dare al testo su Maria... se
proclamare qualche dogma nuovo o se invece vederLa nella
globalità della storia della Salvezza, insistendo sull'unità e
organicità del mistero della Chiesa...
Noi conosciamo la felice scelta e la proclamazione fatta
da Paolo VI della Madonna come « Madre della Chiesa ». Con
santo orgoglio possiamo dire che don Bosco, un secolo pri-
ma, aveva già visto Maria così, perché nello spirito della de-
vozione all'Ausiliatrice c'è proprio questo aspetto di mater-
nità ecclesiale. Nelle nostre catechesi o istruzioni e conver-
sazioni, anche se noi non nominassimo Maria col titolo di
Ausiliatrice, dovremmo in ogni caso parlare di Lei come
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tipo, profezia e Madre della Chiesa. Questa è la percezione
conciliare della grandezza di Maria nella storia della Salvez-
za. È questo che la nostra vita nello Spirito ci deve far sen-
tire di Maria!
Con Maria per la Chiesa
Dunque, se Maria e la Chiesa si interscambiano le gran-
dezze del Mistero, ne consegue naturalmente che noi dobbia-
mo stare con Maria per la Chiesa. Maria è il tipo, la profezia
della Chiesa. Ma tutto quello che abbiamo visto nella « cro-
nistoria di Maria», ci dice qualcosa di più; perché tipo e pro-
fezia è un aspetto statico. Tipo vuol dire modello: guardo al
modello per diventare quello che è. Profezia, quello che non
si vede ancora e nella Chiesa maturerà, cioè: essa sarà tutta
bella, senza peccato, tutta splendente, proprio come Maria.
Questo però può apparire, per così dire, un paragone sta-
tico tra due modelli a confronto. La «cronistoria» invece,
ci dice che Maria, vero tipo e profezia della Chiesa, ne è an-
che la Madre dinamica e solerte, che non fa altro se non
preoccuparsi dei suoi figli ancora pellegrini nella storia, de-
dicandosi ad aiutare la Chiesa a crescere, ad affrontare le
difficoltà e i pericoli dell'esistenza, per portarla a quella mè-
ta di cui Lei, con Cristo, costituisce la primizia.
E qui entriamo in pieno nell'angolatura mariana di don
Bosco. Maria è, in questo senso, l'Ausiliatrice.
Se la nostra vita nello Spirito coltiva una quotidiana fa.
miliarità con l'Ausiliatrice, bisognerà che sviluppiamo nella
nostra condotta i contenuti dinamici della sua realtà di Ma-
dre della Chiesa.
Avrete già meditato quanto ho suggerito, al riguardo, nel-
la circolare citata. Rileggiamone insieme alcune osservazio-
ni: « Il ' senso della Chiesa' si traduce quotidianamente in
una coscienza attiva di 'membro', con una profonda spiri-
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7.8 Page 68

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tualità dell'azione. Ciò comporta non solo un atteggiamento
costantemente generoso di operosità apostolica in genere,
ma un vero e proprio impegno 'ecclesiale '; ossia, una ope-
rosità esplicitamente guidata dalla chiara coscienza di esse-
re e di agire come membro corresponsabile di quel Corpo
che è la Chiesa. Ma la Chiesa considerata non in senso vago,
bensì in quanto Essa, ' costituita e organizzata come società,
sussiste nella Chiesa cattolica, governata dal successore di
Pietro e dai vescovi in comunione con lui'.
Un impegno, quindi, particolarmente definito dalla con-
cretezza storica e situazionale della vita cattolica ».
Come vedete, stare con Maria per la Chiesa implica una
opzione realistica di adesione al Papa, di collaborazione al-
la Chiesa universale e di inserimento pratico e generoso nel-
la Chiesa locale.
Temi immensi, questi, a cui qui solo accenniamo per sot-
tolineare la concretezza della dimensione ecclesiale del no-
stro stare con Maria Ausiliatrice.
Nell'interiorità e nell'impegno
Noi possiamo vedere, infine, la mediazione propria di
Maria sotto quei due aspetti che a noi particolarmente inte-
ressano nella prospettiva della vita nello Spirito: l'interiori-
tà della grazia e il servizio del prossimo.
Consideriamo dunque la Chiesa, a cui riferiamo Maria,
come « Corpo di Cristo» e come « Sacramento di salvezza».
Considerandola come « Corpo di Cristo », evidenziamo il
crescere di ciò che costituisce la vita di Cristo in noi, di tut-
to ciò che ci fa essere di Cristo, con Cristo: la sequela Chri-
sti dal punto di vista della sua interiorità, della sua santità.
Quando invece diciamo « Sacramento di salvezza» pen-
siamo alla storia e alle necessità dell'uomo. Ecco: il sacra-
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7.9 Page 69

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mento è un segno efficace, è per gli altri, è per la gente; sot-
to questo aspetto consideriamo la Chiesa come servizio per
l'umanità, fermento della storia, realtà salvifica e liberatrice.
Allora, approfondendo il senso dello stare « con Maria
per la Chiesa», ci incontriamo di nuovo con le ricordate due
linee di presenza dello Spirito Santo. Innanzitutto il cresce-
re della Chiesa in ciò che costituisce la sua vita di grazia,
che è la carità, che è la santità; e di conseguenza la nostra
crescita come individui e come comunità in ciò che è la vita
della Chiesa; per essere pienamente Corpo di Cristo. E poi,
simultaneamente, l'impegno ecclesiale di salvezza per gli
altri. Partecipando attivamente alla sacramentalità della
Chiesa serviamo il prossimo, divenendo persone instancabili
nell'apostolato, preoccupate di far sì che la grazia di Cristo
cresca negli altri e li porti alla salvezza.
Quindi, stare « con Maria per la Chiesa » significa tra-
durre la vita nello Spirito in un progetto di cura della no-
stra santità e di fedeltà dinamica al nostro carisma: cura
della nostra santità per crescere nella grazia di Cristo; fedel-
tà dinamica al nostro carisma per essere segni vivi e porta-
tori efficaci dell'amore di Dio ai giovani.
Così viviamo tutta la nostra vocazione con Maria. È lo
Spirito Santo che ci porta a farlo con Maria; e in Lei vedia-
mo indicato il modo eminente per farlo bene.
La nostra pietà mariana
Da quanto abbiamo presentato molto rapidamente, deri-
va la necessità di esprimere la nostra devozione alla Madon-
na in forme conseguenti: « il riconoscimento del ruolo della
Vergine Maria nella storia della Salvezza e nella vita della
Chiesa implica una pietà che sia conseguente con la verità
che la concerne » (M. Thurian).
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7.10 Page 70

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Una pietà mariana ben definita. Su questo punto insi-
sterò semplicemente nel senso già indicato nella mia cir-
colare.
Noi ci siamo impegnati insieme, e voi con speciale entu-
siasmo, in un rilancio mariano. Bello! Ciò non sgnifica che
prima non avevamo la devozione alla Madonna. Significa
piuttosto che nel dover assumere in pieno l'attuale svolta
della storia, lo vogliamo fare esplicitamente insieme con la
Madonna.
Entriamo in una svolta. Non giudichiamo gli anni passa-
ti; ma poi, chi giudicheremmo? Coloro che ci hanno dato la
vocazione, la spiritualità, la tradizione? .. . Tutte cose di cui
dobbiamo piuttosto ringraziare. Teniamoci al dato di fatto:
con il Vaticano II la Chiesa ha iniziato una svolta, e noi svol-
tiamo con la Madonna, approfondendo la dottrina mariana
e la funzione di Ausiliatrice, così caratteristiche della nostra
indole spirituale. Ciò toccherà in concreto la nostra pietà
mariana, che vogliamo in piena consonanza con i dati sicuri
della fede.
« Lex credendi, lex orandi »; e « les credendi, legem sta-
tuit orandi ». Sono famosi aforismi propri del settore litur-
gico. Tra fede e culto c'è una simbiosi. Ma in un momento
di svoìta, chi dice come si fa la svolta nel culto? È il culto di
ieri che deve essere norma intoccabile dell'approfondirsi
della fede, oppure è la fede che suggerisce modificazioni ap-
propriate per il culto di domani?
Oggi è la fede illuminata dal Vaticano II che deve dire
come rinnovare il nostro culto. E abbiamo la fortuna di una
esortazione apostolica ad hoc del compianto Papa Paolo VI,
la Marialis cultus. Sono le direttive dottrinali e pastorali del
Concilio e del Papa, robuste e chiare, che dovranno guidare
il nostro impegno, la nostra creatività e la nostra capacità
cli esprimere nel culto il proposito cli rinnovamento. Ciò
comporterà modalità nuove, impensabili cinquant'anni fa,
sconosciute prima del Concilio, ma che noi, con la Chiesa in
cammino, dobbiamo saper trovare.
68

8 Pages 71-80

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8.1 Page 71

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· Ecco allora che la nostra vita nello Spirito incomincia a
esigere da noi che siamo· pratici e coraggiosi, che assumiamo
con serietà il rilancio mariano, non semplicemente per far
rivivere le cose belle che abbiamo fatto finora (quelle che
servono, facciamole rivivere ancora con più entusiasmo), ma
soprattutto per approfondire e dare vita allo stile nuovo, vo-
luto e guidato dall'esortazione apostolica Marialis cultus.
A questo riguardo, per essere pratico, mi permetto di ri-
leggere gli orientamenti delle ultime pagine della mia circo-
lare, che sono concreti, anche se non sono facili!
. Concretezza del nostro proposito di rilancio mariano
Proponiamo quattro aree di impegno concreto.
Proprio perché siamo in questa svolta e la fede deve
dirigere la creatività della pietà e del culto, la prima area è
la formazione dottrinale.
Formazione dottrinale: idee serie, robuste. Criterio suf-
ficiente per non lasciarsi abbindolare da pseudo-carismi. E
su due linee: sulla figura di Maria nella storia della Salvez-
za e sui presupposti dottrinali del titolo di Auxilium Chri-
stianorum, che è la nostra caratteristica.
Ecco, qui vi è un mare di possibilità bellissime: dobbia-
mo programmare bene e con magnanimità ciò che possiamo
fare. Ci sono iniziative che si possono realizzare a livello di
casa, a livello di ispettoria, a livello di nazione; dobbiamo
farlo a livello di Congregazione, a livello di Famiglia salesia-
na, a livello dei nostri centri superiori di studio. Siamo solo
all'aurora di tutto un movimento che dovrà crescere a poco
a poco, ma la prima cosa è partire da una visione dottrinale
robusta, non da visioncelle.
Il culto e la pietà mariani rivisti secondo i criteri della
Marialis cultus di Paolo VI. Il documento insiste su quattro
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8.2 Page 72

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criteri per questo rinnovamento: l'orientamento biblico,
l'orientamento liturgico, l'orientamento ecumenico, l'orienta-
mento antropologico. Voi, rileggendo i corrispondenti numeri
della Marialis cultus, troverete delle bellissime indicazioni per
proposte pratiche e per tutto un rinnovamento aggiornato.
I primi tre criteri sono molto importanti; peccato che
nella nostra Famiglia ci siano pochi specializzati: dovremo
saperli preparare. Intanto, anche se abbiamo vari compe-
tenti soprattutto in campo biblico e liturgico, dovremo saper
chiedere aiuto agli specialisti.
Il quarto orientamento, quello antropologico, è situato in
un settore particolarmente a noi caro: noi abbiamo come
scelta di spazio vocazionale l'area culturale, perché dobbia-
mo educare. Persino a livello di Università ecclesiastica ro-
mana, noi siamo gli unici che gestiamo due Facoltà di Scien-
ze dell'Educazione; quindi dovremmo essere in grado di
stabilire questo dialogo tra esigenze antropologiche e rinno-
vamento della vita di fede da un lato, e dall'altro gli attuali
impegni di rivedere le espressioni cultuali e le espressioni
della pietà popolare. Noi siamo per il popolo, per i giovani;
le espressioni di pietà mariana sono soprattutto popolari:
dobbiamo saperle rivedere con un criterio di profondità dot-
trinale e di opportunità pedagogico-pastorale. Come ridonare
a Valdocco (e ai nostri santuari) una robusta e crescente
attrattiva mariana di tipo giovanile e popolare? Certamente
potremmo fare molto di più in questo campo.
Infine, dovremmo studiare come rivitalizzare nelle comu-
nità le nostre pratiche tradizionali di famiglia: il rosario, il
24 del mese, la festa di Maria Ausiliatrice.
I grandi orizzonti di impegno ecclesiale. Abbiamo detto
che la nostra devozione mariana ci porta a stare « con Maria
per la Chiesa ».
Don Bosco aveva, anzitutto, un senso della Chiesa locale
molto realistico e pratico: nella stesura delle prime Costitu-
zioni incorporò due articoli proprio in riferimento alla Chie-
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8.3 Page 73

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sa locale. È appunto per la sua comprensione della Chiesa
locale e per i suoi rapporti con i vescovi che voi siete potute
nascere in questa diocesi, e con determinate modalità.
Oggi, dopo il Concilio, c'è una riscoperta della Chiesa lo-
cale. Ebbene: noi, come operatori di salvezza in stile maria-
no, dovremmo annoverarci tra i primi a saperci incorporare
in questo nuovo stile pastorale; non per perdere la nostra
identità, ma proprio per realizzarla più genuinamente, supe-
rando una certa mèntalità di ghetto che avevamo un po' tutti
finora, anche se non era del nostro spirito, perché don Bosco
aveva insegnato ai suoi a saper collaborare con spirito di
sacrificio e facendo tutto il possibile.
Don Bosco aveva inoltre un senso straordinario della
Chiesa universale nei problemi generali della gioventù e nel-
l'impegno missionario. Dobbiamo saperci confrontare con i
grandi problemi della gioventù di oggi e con le grandi neces-
sità missionarie della Chiesa, anche se per questo dovremo
chiedere alla Madonna il coraggio di saper cambiare opere
e metodi che non rispondessero più ai bisogni attuali.
Vedete, la devozione alla Madonna Ausiliatrice non è un
fatto spiritualistico e sentimentale, ma qualcosa che si deve
tradurre in noi in uno stile di vita e di azione, come in don
Bosco. A ragione si può affermare che la devozione all'Ausi-
liatrice, nella nostra vita nello Spirito, appare come la sintesi
della nostra spiritualità.
La cura delle vocazioni per tutta la Chiesa e per la no-
stra Famiglia. L'esempio ce lo ha dato don Bosco. Ha cercato
vocazioni per tutti, ha fondato un movimento - l'Opera di
Maria Ausiliatrice - proprio in vista delle vocazioni. Ecco
una espressione assai concreta di vera devozione mariana:
collaborare con la maternità di Maria alle origini prime del-
la grazia nei cuori.
Curare le vocazioni è impegnarsi con Maria a favore dei
giovani nel momento della decisione, della costruzione di un
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8.4 Page 74

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progetto di vita. È un'opera materna, delicata, speciale. Se
noi abbiamo una spiritualità profondamente mariana, dob-
biamo sentirci portati a realizzare con privilegio questa atti-
vità della cura delle vocazioni. Una pastorale giovanile che
non implicasse una profonda dedizione alla pastorale delle
vocazioni sarebbe, per noi, sbagliata; non sarebbe veramen-
te salesiana.
Maria e la promozione della donna
Voglio concludere alludendo a un aspetto singolarmente
importante per voi, in quanto donne di questa seconda metà
del secolo.
Una realistica devozione alla Madonna deve aiutare voi,
carissime donne religiose, a scoprire nella fede e nello Spi-
rito i grandi valori della promozione della donna. Oggi è in-
dispensabile avere chiara coscienza dei termini di questa
promozione: l'importanza della donna nella storia dell'uma-
nità, la funzione della donna nella storia della Salvezza. La
figura di Maria, che non per niente i Padri hanno chiamato
seconda Eva, lancia un chiarissimo faro di luce su questo
problema. Certamente la Chiesa è oggi impegnata nella pro-
mozione della donna. Il documento Inter insigniores del 1976,
circa l'impossibilità delle donne di accedere al sacerdozio
ministeriale, non nega ma piuttosto rileva il « sacerdozio re-
gale anche della donna», quello che Maria ebbe in grado più
intenso degli stessi Apostoli, e che ogni donna può esercitare
nella carità quotidiana superando i preti e i vescovi. Il docu-
mento, d'altra parte, ha aiutato non poco ad approfondire il
ministero dell'Ordine e l'importanza di tanti altri servizi mi-
nisteriali nella Chiesa, in sìrttonia con l'essere e le attitudini
della donna.
Anche l'ultimo documento sulle relazioni tra vescovi e
religiosi pone in rilievo l'attenzione dei pastori al ruolo del-
72

8.5 Page 75

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la donna nella Chiesa. Il n. 49 dice: « Nel vasto campo pasto-
rale della Chiesa è istituito un posto nuovo e assai rilevante
da: assegnarsi alle donne. Già solerti ausiliarie degli Apostoli,
le donne dovranno inserìre oggi la loro attività apostolica
nella comunità ecclesiale, attuando fedelmente il mistero
della loro creata e rivelata identità e volgendo attentamente
l'animo alla crescente loro presenza nella civile società.
Le religiose, quindi, nella fedeltà verso la loro vocazione
e in armonia con la loro specifica indole propria della donna,
in risposta anche alle concrete esigenze della Chiesa, e del
mondo, cercheranno e proporranno nuove forme apostoli-
che di servizio.
Sull'esempio di Maria, che nella Chiesa occupa tra i cre-
denti il vertice della carità, e animate da quello spirito in-
comparabilmente umano di sensibilità e sollecitudine, che
costituisce la loro nota caratteristica, alla luce di una lunga
storia che offre insigni testimonianze delle loro iniziative
nell'evolversi dell'attività apostolica, le religiose potranno
sempre più ed essere ed apparire qual segno luminoso della
Chiesa fedele, solerte e feconda nell'annunzio del Regno ».
Qui c'è un vasto programma da realizzare, convertendoci
da una certa mentalità clericalizzata che si è respirata un po'
dappertutto fino ad oggi, quasi che il sacerdozio ministeriale
fosse l'unico valore importante nella vita del popolo di Dio.
Certo, « Tu sei Pietro - ha detto il Signore - e su questa
pietra edificherò la mia Chiesa»; però la Chiesa che è su
quella pietra è più importante della pietra stessa, e la natura
della Chiesa è espressa più dalla donna che dall'uomo. Il
fondamento su cui Essa poggia è significato meglio dall'uo-
mo, ma la comunità viva e feconda che fa crescere il Cristo
è espressa meglio dalla donna. Infatti è Maria la figura del-
la Chiesa, anche se è Pietro la roccia su cui è costruita. Nella
sacramentalità della Chiesa (segno sensibile per il nostro
tipo di conoscenza) l'uomo può manifestare meglio, in forma
di segno, la funzione della capitalità di Cristo come Capo
73

8.6 Page 76

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del corpo, ma la donna manifesta certamente meglio, in for-
ma di segno, la funzione della maternità che è la più impor-
tante, perché il capo fa sì che tutto sia organico e ben ordi-
nato nel corpo, ma la maternità fa sì che il corpo viva e
cresca!
Insomma, la promozione della donna nella Chiesa, invece
di orientarsi ad aspirare a ministeri «maschili», deve piut-
tosto aspirare a un approfondimento del ruolo di Maria che
si traduca in nuovi servizi pratici, affinché le religiose diven-
tino sempre più « madri di Cristo » nel cuore di tutti.
Questo ideale è prospettato ancora in forma generica nel
documento; ma è già sufficiente a svegliare, in voi e in tutti,
inventiva e iniziativa ecclesiale.
Nel n. 50, dove si dànno consigli ai vescovi e ai superiori,
il documento dice: « I vescovi, unitamente ai loro collabora-
tori in campo pastorale, nonché i superiori e le superiore,
facciano in modo che sia meglio conosciuto, approfondito e
incrementato il servizio apostolico delle religiose. Essi per-
tanto, considerando non solo il numero delle religiose, ma
soprattutto la loro importanza nella vita della Chiesa, si ado-
perino con impegno affinché abbia sollecita attuazione il
principio di una maggiore loro promozione ecclesiale, perché
il popolo di Dio non rimanga privo di quella assistenza spe-
ciale che soltanto esse possono offrire. Sempre però a que-
sto si badi, che cioè le religiose siano tenute in grande stima,
e giustamente e meritamente valorizzate per la testimonian-
za da loro data in quanto donne consacrate, prima ancora
che per i servizi utili e generosamente prestati».
Urge per tutti, nella Chiesa, dare importanza e tradurre
in pratica così preziosi orientamenti. Non c'è, tra tutte le
persone umane, nessuna più grande di Maria nella Chiesa;
inoltre non esiste prete, né Papa che possa pensare alla sua
vocazione senza parlare di una mamma. Sì: c'è un posto im-
portante per la donna, c'è un ruolo da rinnovare per la don-
na consacrata nella vita della Chiesa, perché c'è una presen-
74

8.7 Page 77

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za e una funzione insostituibile per Maria nella storia della
Salvezza.
Dunque assumete gioiosamente con Maria l'impegno di
promuovere la donna, in voi, nelle vostre sorelle, nelle vostre
ragazze, nella Chiesa e nella società.
Anche questo sarà espressione pratica dell'intensità e
verità della vostra vita nello Spirito nel suo aspetto mariano.
75

8.8 Page 78

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8.9 Page 79

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L'INDOLE SALESIANA
DELLA VITA NELLO SPIRITO
PRIMA PARTE
DON BOSCO E IL CARISMA SALESIANO
LA NOSTRA « INDOLE PROPRIA »
SAPER INDIVIDUARE IL « NU CLEO CARISMATICO»
COSCIENZA DI FONDATORE
LA SCINTILLA ORIGINALE
CONNOTATI DI UN GENUINO CARISMA
LE COMPONENTI DEL CARISMA SA LE SIANO
a) Un'alleanza speciale con Dio
b) Spirito salesiano
c) Missione giovanile
d) Sistema preventivo
e) Il nostro progetto comunitario di vita e di
azione
SECONDA PARTE
MARIA MAZZARELLO E LO SPIRITO DI
MORNESE
DAL 1872 AL 1879
NON DA SOLO PROGETTO U MANO
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8.10 Page 80

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TRADUZIONE AL FEMMINILE DELLA SALESIANITÀ
IL CENTRO DELLO SPIRITO DI MORNESE
IL SUO CLIMA PENTECOSTALE
Aspetto mistico
Aspetto ascetico
ALCUNE ESIGENZE DELLO SPIRITO DI MORNESE
a) Crescita culturale a cominciare da madre Maz-
zarello
b) Preparazione familiare del servizio dell'autorità
c) Chiarezza della forma di vita religiosa
VASTI ORIZZONTI
Fecondità vocazionale
Coraggio della magnanimità
Universalità missionaria
Apertura al trapianto totale
78

9 Pages 81-90

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9.1 Page 81

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PRIMA PARTE
DON BOSCO E IL CARISMA SALESIANO
Oggi vogliamo precisare ancora alcuni aspetti della vita
nello Spirito, scendendo più concretamente a quanto si rife-
risce alla nostra vocazione: l'indole salesiana della vita nello
Spirito.
Affronteremo prima il carisma salesiano nella sua forma
globale, poi tenteremo di suggerire qualche riflessione alle
specialiste, che siete voi, sullo « spirito di Mornese ».
La nostra « indole propria »
Perché parlare di indole salesiana della vita nello Spirito?
Perché lo Spirito Santo, che è creatore, ha una capacità ine-
sauribile di novità e di varietà massima. Essendo Spirito di
comunione, manifesta attraverso la pluralità la molteplice
ricchezza dell'unità, esprimendola in differenti aspetti che si
comunicano in reciproca complementarità.
Noi assistiamo nella storia della Salvezza, in particolare
nella storia della Chiesa, a iniziative dello Spirito Santo con
volti tanto differenti, da dover dire che quando parliamo di
« vita religiosa» facciamo necessariamente un'astrazione, in
quanto tale vita religiosa non esiste se non nei vari Istituti
concreti, che hanno ognuno una propria fisionomia. Il Con-
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9.2 Page 82

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cilio ha denominato « indole propria » la diversa e peculiare
fisionomia di ciascuno degli Istituti religiosi.
Il recente documento che citiamo continuamente, circa i
rapporti tra vescovi e religiosi, nel sottolineare l'importanza
della vita religiosa nella Chiesa, presenta (nel n. 11) l'indole
propria di ogni Istituto come un elemento molto importante
da curare. Da parte dei vescovi è importante conoscere il ca-
risma proprio di ogni Istituto, e da parte di ciascun Istituto
occorre saper conservare la propria indole nella realizzazio-
ne della missione ecclesiale comune.
« Molti sono nella Chiesa - dice il documento - gli Isti-
tuti religiosi, diversi l'uno dall'altro secondo l'indole propria
di ciascuno; ma ognuno apporta la sua propria vocazione
quale dono, suscitato dallo Spirito mediante l'opera di uomi-
ni e donne insigni (i Fondatori), e autenticamente approvato
dalla sacra Gerarchia. Lo stesso carisma dei Fondatori si ri-
vela come un'esperienza dello Spirito, trasmessa ai propri
discepoli per essere da questi vissuta, custodita, approfondita
e costantemente sviluppata in sintonia con il Corpo di Cri-
sto in perenne crescita ».
È un'affermazione molto importante; v1 entra tutto ciò
che dicevamo ieri della realtà concreta, della prassi, della
cronistoria delle cose dello Spirito.
L'indole propria di un Istituto non è una cosa campata
in aria o immaginata dal Fondatore; è un'esperienza del Fon-
datore, della Fondatrice, di una comunità di discepoli, circa
una maniera di seguire Cristo e di crescere nella grazia che
lo Spirito Santo vuol dare come dono alla Chiesa. È quindi
un progetto umano dettato ai propri discepoli. Noi sappiamo
che i Fondatori hanno anche carismi p ersonali loro propri
e intrasmissibili ; però quando si parla dell'indole propria si
allude al carisma permanente trasmesso ai discepoli per es-
sere da loro vissuto, custodito, approfondito e costantemen-
te sviluppato. Non è quindi una cosa già conclusa, non è un
patrimonio passivo, finito, chiuso; è aperto, è in crescita, è
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9.3 Page 83

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vivo. « Costantemente sviluppato in sintonia con il Corpo di
Cristo, in perenne crescita».
Anche il Corpo di Cristo, che è la Chiesa, cresce continua-
mente; quindi si tratta di una crescita in sintonia con lo svi-
luppo organico della stessa Chiesa. « Per questo - prosegue
il documento - la Chiesa difende e sostiene l'indole propria
dei vari Istituti religiosi. Tale indole propria, poi, comporta
anche uno stile particolare di santificazione e di apostolato,
che stabilisce una sua determinata tradizione in modo tale,
che se ne possano convenientemente cogliere gli elementi
oggettivi ».
Si riconosce quindi una tradizione viva e palpabile, come
una realtà storica vissuta perennemente senza interruzione
dal Fondatore in avanti in una comunità di discepoli, con ca-
pacità creativa e in fedeltà. Perciò noi oggi, dopo cent'anni,
possiamo percepire e cogliere gli elementi oggettivi che l'han-
no costituita nel volgere del tempo. Vedete che cose impor-
tanti sta dicendo questo numero 11 dei Criteri direttivi?
« Pertanto - continua - in quest'ora di evoluzione cul-
turale e di rinnovamento ecclesiale è necessario che l'iden-
tità di ogni Istituto sia conservata con tale sicurezza, che si
possa evitare il pericolo di una situazione non sufficiente-
mente definita, per cui i religiosi, senza la dovuta considera-
zione del particolare stile di azione proprio della loro indole,
vengano inseriti nella vita della Chiesa in modo vago e am-
biguo».
Saper individuare il « nucleo carismatico »
Qui ci è richiesto di meditare molto sulla nostra indole
propria, perché in quest'ora di trasformazione culturale e di
rinnovamento ecclesiale occorre conoscere con chiarezza gli
elementi oggettivi che costituiscono il nucleo carismatico
permanente di questa tradizione spirituale.
81
6

9.4 Page 84

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Sussiste infatti il pericolo grave di una pastorale d'insie-
me in cui i veri portatori dei carismi, lavorando in comple-
mentarità con gli altri, non sappiano con precisione quale
carisma specifico essi portino. Entrerebbero, così, in forma
vaga, senza fisionomia definita, e si perderebbero nel gene-
rico. Qui ci sono delle superiore, tante ispettrici impegnate
piuttosto a livello locale; però chi ha la missione di servizio
a tutto l'Istituto e la responsabilità suprema di fedeltà al ca-
risma delle origini sente con maggiore intensità un simile
problema.
Noi ci troviamo immersi in un trapasso culturale accele-
rato, vediamo con sufficiente facilità che certe modalità di
vita e di azione care al secolo scorso oggi non servono più;
certe espressioni metodologiche, certe attività pastorali de-
vono essere ripensate perché sono intervenuti elementi nuo-
vi: per esempio, non si può più accettare oggi che si parte-
cipi alla Messa come si faceva alla fine del secolo scorso.
Questo lo vediamo chiaro. Ma vediamo anche esagerazio-
ni e stravaganze con fatti compiuti senza alcun discernimen-
to. Il problema è: quali sono gli elementi oggettivi indispen-
sabili e permanenti, che dobbiamo sapere in certa maniera
svestire degli elementi culturali decaduti, per vestirli con
elementi nuovi?
Se non siamo capaci di darci questa risposta, non costrui-
remo la tradizione. E neppure saremo fedeli, perché la fedel-
tà ha due volti: bisogna essere fedeli al Fondatore a cui lo
Spirito Santo ha dato un determinato dono per la Chiesa,
ma bisogna anche essere fedeli ai tempi nuovi per i quali ci
ha suscitati lo stesso Spirito Santo, e per i quali ha arricchi-
to ciascuno di noi di talenti personali da incorporare nel ca-
risma fondazionale che viene dal Fondatore. Ecco allora
l'importanza enorme di dedicarci a un tale approfondimento.
Tutti i Capitoli Generali dopo il Vaticano II ( e già anche
prima) hanno fatto profondi discernimenti in questo senso
e ci presentano un quadro di riferimento assai valido. Non
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9.5 Page 85

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è tutto fatto, c'è ancora molto da fare; però neppure possiamo
dire che non si è fatto niente. Si è pensato comunitariamente,
collegialmente, si è studiato, si è pregato, si sono fissate linee
sostanziali sufficientemente chiare per procedere bene in un
lavoro tanto delicato.
Il primo passo da compiere per trovare il carisma sale-
siano è di risalire al punto in cui lo Spirito Santo ha iniziato
il cammino, al punto proprio della « sfera dello Spirito alla
fonte».
È un punto strategico, anche se racchiude solo le cose
essenziali; non importa: c'interessa moltissimo quel punto,
perché è il momento del genio carismatico, della creatività
di questa nostra fisionomia religiosa, dove la nostra vocazio-
ne è sbocciata nella sua più profonda, più radicale identità.
Dobbiamo riportarci a Dio, perché lo Spirito Santo ha fatto
fare al Fondatore una speciale alleanza con Lui, e Lui è il
nostro tutto. La tradizione e la storia mostreranno che non
basta solo questo aspetto di Dio, ci vogliono anche altri ele-
menti. Ma questi altri adesso non ci interessano: dobbiamo
percepire quel colpo di genio dello Spirito per cui nasce
nella Chiesa il carisma salesiano.
Noi abbiamo la fortuna di una documentazione abbastan-
za nutrita circa le nostre origini. Se fate paragoni con altri
Istituti, potete costatare che noi abbiamo parecchio.
Coscienza di Fondatore
Da questo patrimonio possiamo dedurre con facilità un
primo dato significativo: la esplicita convinzione di don Bo-
sco, la sua sicurezza interiore che ciò che egli doveva fonda-
re lo voleva lo Spirito Santo, lo voleva il Signore e la Madon-
na. E questo veniva dall'alto, non era un suo capriccio, tant'è
vero che ad altri consigliava di non fondare.
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9.6 Page 86

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Don Bosco cioè non è nato con il gusto, la bizzarria di
fondare. Ha fondato perché si è sentito spinto dallo Spirito
a farlo, ed ha avuto una chiara ed esplicita coscienza di fon-
datore e una conseguente condotta. Lo si rileva anche da
certe risposte che dava quando era interrogato: « Io devo
rispondere con prudenza perché ho una responsabilità di su-
periore di fronte alla storia».
Don Bosco ha la coscienza chiarissima di avere un man-
dato speciale da Dio, e sa che la sua vita ha un significato
permanente per altri. In questa convinzione di don Bosco
scopriamo quel punto strategico che è, diciamo così, il mo-
mento-chiave della nascita del nostro carisma. Ed è, come
per ogni carisma, la disponibilità totale di se stesso, il voto
di se stesso a Dio per realizzare questo progetto che è un
mandato concreto: la salvezza della gioventù. I ragazzi più
bisognosi, i poveri. Dal sogno dei nove anni in avanti.
Non occorre portare prove - l'abbiamo già fatto altro-
ve - perché non stiamo facendo qui uno studio; stiamo of-
frendo delle riflessioni salutari per arricchirci nella cono-
scenza della nostra vocazione e per aiutarci a crescere in essa
e ad aggiornare ciò che ha bisogno di cambiamento, in fedeltà
a questa vocazione.
La scintilla originale
Il n. 10 del citato documento parla della natura ecclesiale
degli Istituti religiosi, e chiarisce l'essenza della vocazione di
qualsiasi Istituto.
Dice: « Lo stato religioso non è intermedio tra la condi-
zione clericale e laicale, ma proviene dall'una e dall'altra qua-
si come dono speciale per tutta la Chiesa. Esso consiste
nella sequela di Cristo, professando pubblicamente i consi-
gli evangelici di castità, di povertà e di obbedienza, e assu-
mendo l'impegno di rimuovere tutti quegli ostacoli che po-
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9.7 Page 87

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trebbero distogliere dal fervore della carità e dalla perfezio-
ne del culto divino. Il religioso, infatti, si dona totalmente
a Dio sommamente amato, così da essere con nuovo e spe-
ciale titolo destinato al servizio e all'amore di Dio; ciò lo
congiunge in modo speciale alla Chiesa e al suo mistero e lo
sospinge ad operare con indivisa dedizione per il bene di
tutto il Corpo ».
Questo aspetto è fondamentale, e perc10 comune a tutti
i Fondatori e a tutti i religiosi perché è il punto specificante
di ogni vocazione religiosa. Ma, essendo comune a tutti, noi
forse siamo indotti a non sottolineare sufficientemente que-
sta caratteristica, che è il motivo per cui il nostro Fondatore
ha compiuto, in seguito, tutto il resto. Nel « dono totale di
sé a Dio sommamente amato per il servizio della Chiesa »
c'è la spinta prima e radicale che lancia don Bosco a essere
totalmente di Dio per fare ciò che lo Spirito vuole da lui.
Il primo atto di questo momento fontale è necessariamente
una trascendenza contemplativa. La sequela Christi, anche
in don Bosco, è la sorgente e la scintilla di tutto il suo in-
cendio; voleva essere tutto di Cristo, tanto che ha voluto,
come ipotesi iniziale, farsi francescano per essere tutto di
Dio. Lo Spirito poi gli dirà: sì, certamente tutto di Dio, ma
per salvare la gioventù. Ecco: ma alla radice di questo suo
specifico apostolato c'è, come fonte e prima attrazione, la
donazione totale di sé a Dio.
Voi vèdete questo elemento emergere con chiarezza to-
tale anche in madre Mazzarello: la definizione apostolica è
radicata nell'entusiasmo della sequela Christi.
Insisto su questo punto perché credo che ne abbiamo
particolare bisogno: la nostra capacità di speciale testimo-
nianza, la nostra peculiarità apostolica, la nostra metodolo-
gia pedagogica poggiano assolutamente sul dono totale di sé
a Dio sommamente amato!
Don Bosco è innanzitutto uomo di Dio, è l'unione con
Dio, l'Essere da lui sommamente amato. Tutta la sua psico-
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logia, la sua vita, la sua enorme attività dipendono da que-
sta scintilla prima. Se un tale elemento si indebolisse in un
Istituto religioso che vuole continuare la tradizione di don
Bosco, risulterebbe inutile parlare del resto perché manche-
rebbe la sorgente, l'elemento che contraddistingue fondamen-
talmente e anima l'azione salesiana. E noi stiamo cercando
precisamente l'indole propria del nostro Istituto.
Alla radice dunque della nostra indole propria c'è que-
sto dono di sé, questa dedizione totale a Dio. « Di qui - con-
tinua il citato documento - chiaramente appare che la vita
religiosa è un modo particolare di partecipare alla natura
sacramentale del popolo di Dio ».
Tutta la Chiesa è sacramentale, e questo darsi a Dio som-
mamente amato implica una manifestazione di speciale te-
stimonianza sacramentale, ossia di essere visibilmente e
comunitariamente dei segni specifici del dono di sé a Dio.
Infatti la testimonianza di coloro che professano i voti
religiosi a questo soprattutto è ordinata, che essi cioè offra-
no al mondo una visibile manifestazione dell'insondabile
mistero del Cristo. La dedizione totale di sé a Dio fa del
consacrato un segno o sacramento di qualche aspetto spe-
ciale nel mistero di Cristo « contemplante sul monte, o an-
nunziante il regno di Dio alle turbe, o mentre risana i malati,
i feriti e converte i peccatori a bene operare, oppure mentre
benedice i fanciulli e fa del bene a tutti ».
In quest'ultimo aspetto del Cristo benedicente i fanciulli
si situa il nostro dono totale a Dio. Il servizio ai giovani
deve essere un segno chiaro e una manifestazione autentica
della prima scintilla scoccata in cuore del desiderio di do-
narsi totalmente a Dio sommamente amato.
Questo il nucleo centrale.
La nostra sequela di Cristo ci arricchisce di doni e di ge-
nerosità di servizio, per cui diventiamo « segni » e « porta-
tori » dell'amore di Dio ai giovani. È qui il punto strategico
da cui parte il carisma salesiano. Un uomo, una donna che
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vivono totalmente di Dio e che in Dio si trasformano in me-
diatori del suo amore per i giovani.
Se non ci fosse una tale base e sorgente, il resto cessereb-
be di essere carisma salesiano.
Connotati di un genuino carisma
Ma che cos'è propriamente il carisma di un Istituto?
Ecco: tante cose. Non è che adesso dobbiamo fare uno stu-
dio teologico sul carisma. Accontentiamoci di leggere il n . 2
del citato documento, perché appunto stiamo riflettendo sul
modo di migliorarci: « Ogni carisma autentico porta con sé
una certa carica di genuina novità nella vita spirituale della
Chiesa e di particolare operosa intraprendenza ».
Un vero carisma suppone fantasia, esige che ci si muova,
perché non si deve solo imitare; il carisma non è un fatto di
pura imitazione, di ripetizione, ma bisogna immaginare e
creare giorno e notte, bisogna sognare... Noi siamo figli di
un sognatore: don Bosco neppure di notte riposava tran-
quillo, era sempre concentrato sul dono di Dio che l'aveva
sedotto. Il carisma salesiano era per lui la sua passione do-
minante. Don Caviglia la chiamava la « super-vocazione » di
don Bosco. Se uno di noi è pacifico, tranquillo, si accontenta
di ripetere solo ciò che ha visto fare, avrà ben poco da pen-
sare e da lottare, e non sarà certamente un carismatico nel
senso genuino del termine. Oggi purtroppo si suol dire che
sono « carismatici» quelli che appaiono un po'.. . stravaganti;
non è in quel senso che parliamo noi!
Il carisma esige dunque una certa carica di genuina novi-
tà spirituale e di particolare operosa intraprendenza. Se ap-
plichiamo queste parole del testo a don Bosco, diciamo: è
evidente. Ma perché non le applichiamo a noi? Infatti, se è
vivo il carisma salesiano, tali note devono essere anche oggi
le caratteristiche del nostro carisma. Ma la novità e l'opero-
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9.10 Page 90

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sa intraprendenza possono apparire incomode, come erano
incomode nell'ambiente in cui operava don Bosco. Di fatto,
in tutte le storie dei carismi troviamo delle incomprensioni,
anche a livello di Gerarchia, che ci invitano a riflettere, non
per ribellarci, ma per imparare a conoscere le paradossali
strade di Dio.
Ho consegnato in questi giorni al superiore generale dei
Guanelliani la fotocopia degli scritti che abbiamo di don
Guanella. Voi sapete che egli era stato Salesiano con don
Bosco per tre anni, ma si era visto poi obbligato ad uscire.
Le relazioni con il vescovo di Como sono un po' alla radice
di tutto questo. Ebbene: leggendo quegli scritti io mi dicevo
un po' stizzito: « Questo vescovo! ». Come chiunque di noi,
leggendo il volume X delle Memorie biografiche può escla-
mare: « Questo mons. Gastaldi! ». Però alla fine pensavo:
senza questo vescovo non esisterebbero i Guanelliani, non
esisterebbe tutta quest'opera di Dio con le sue preziose ca-
ratteristiche.
Bisogna saper guardare non tanto all'individuo nel mo-
mento in cui soffre, quanto al piano di Dio che realizza un
progetto, passando attraverso molte croci, ma con una visio-
ne d'insieme molto bella ai fini della salvezza.
Anche noi oggi, e forse qualche ispettrice lo sperimenta,
ci possiamo trovare di fronte a difficoltà di questo tipo quan-
do si vuole far funzionare il senso carismatico della vocazio-
ne salesiana. Non bisogna perdersi d'animo, bisogna imitare
i santi: imitare, nel nostro caso, don Bosco che ha saputo
essere fedelissimo allo Spirito Santo e al suo carisma, e ri-
spettosissimo e sommamente virtuoso nei riguardi dell'au-
torità ecclesiastica. Non sono cose facili.
« La nota carismatica propria di qualsivoglia Istituto
- dice il testo al n . 2 - esige, sia nel Fondatore che nei suoi
discepoli, una continua verifica della fedeltà verso il Signore,
della docilità verso il suo Spirito, dell'attenzione intelligen-
te alle circostanze e della visione cautamente rivolta ai se-
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10 Pages 91-100

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10.1 Page 91

▲back to top
gni dei tempi, della volontà di inserimento nella Chiesa, del-
la coscienza di subordinazione alla sacra Gerarchia, dell'ardi-
mento nelle iniziative, della costanza nel donarsi, dell'umiltà
nel sopportare i contrattempi: il giusto rapporto tra carisma
genuino, prospettiva di novità e sofferenza interiore compor-
ta una costante storica di connessione tra carisma e croce».
Carisma e Calvario vanno insieme.
Il documento continua, allo stesso numero, con un teina
molto delicato per chi in un Istituto ha funzioni di autorità:
i carismi con cui lo Spirito arricchisce i singoli soci, preci-
samente per iniettare un po' di vita nuova, perché il carisma
permanente vive con la comunione dei carismi personali. Al-
le origini era già così. Chi spiega lo spirito di Mornese senza
il carisma dato a don Pestarino? senza il carisma dato a tut-
te le giovani amiche di Maria Mazzarello? senza il carisma di
don Bosco e senza i doni personali del simpatico e focoso
don Costamagna?
Sentite la conclusione di questo paragrafo del documen-
to: « Anche ai singoli religiosi certamente non mancano i
doni personali, i quali indubbiamente sogliono provenire dal-
lo Spirito, al fine di arricchire, sviluppare e ringiovanire la
vita dell'Istituto nella coesione della comunità e nel dare
testimonianza di rinnovamento. Il discernimento però di tali
doni e il retto loro esercizio saranno misurati secondo la
congruenza che essi dimostreranno sia con il progetto co-
munitario dell'Istituto, sia con le necessità della Chiesa, a
giudizio della legittima autorità».
Risulta perciò indispensabile conoscere bene le compo-
nenti sostanziali del carisma del Fondatore, perché con esse
i doni personali dovranno armonizzare.
Qui sorge il problema: qual è il limite che distingue ciò
che viene dallo Spirito Santo per arricchire l'Istituto, e ciò
che è alieno e persino stravagante? Nessuno ha la formula
prefabbricata per dire dove è e come è lo Spirito Santo. Lo
Spirito Santo va cercato in ginocchio con umiltà e pazienza,
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10.2 Page 92

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con preghiera e consiglio, con discernimento insomma, da
chi è vescovo o superiore e anche da chi non lo è. Davanti
allo Spirito Santo tutti dobbiamo stare in ginocchio, e se
qualcosa viene da Lui non c'è altro da fare che accettarlo.
Ad ogni modo rimane chiaro che lo Spirito Santo vuole vita,
novità e operosità; e che la tranquillità, la mancanza di fan-
tasia e l'immobilismo non manifestano certamente la natura
carismatica di una vocazione.
Le componenti del carisma salesiano
L'individuazione delle componenti del carisma salesiano
è un tema tanto delicato quanto importante. Anzi, proprio
per la sua delicatezza noi dobbiamo rifarci a quadri validi
di riferimento (è il lavoro che hanno fatto i nostri Capitoli
Generali) .
Enumeriamo in forma sintetica e ampia tali elementi fon-
damentali, frutto di tutta la nostra esperienza comunitaria
di un secolo, della nostra riflessione capitolare, della nostra
vita.
Non è difficile enunciarli, li conosciamo tutti. Ma è im-
portante averli presenti. È importante essere sicuri di avere
esatti riferimenti perché è facile, con tanti soggettivismi di
tipo religioso e di tipo spirituale, introdurre ideologie anche
nella vita del proprio Istituto, e far prevalere sul progetto
del Fondatore la mentalità di un teologo, di un sociologo o
di uno psicologo, o qualche altra interpretazione che potreb-
be essere soggettiva.
In una lettera-circolare di don Ricceri molto importante,
sull'unità e il decentramento nel nostro Istituto, sono stati
enunciati alcuni anni fa gli elementi centrali del carisma
salesiano.
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10.3 Page 93

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a) Un'alleanza speciale con Dio
Il primo elemento costitutivo è un rapporto specifico con
Dio, legato alla scintilla iniziale del dono di sé a Lui somma-
mente amato: essere totalmente di Dio per i giovani.
Per noi è come l'alleanza salesiana stabilita dal Signore
con il nostro «patriarca » don Bosco. Possiamo pensare al
Sinai, a Mosè oppure a Noè. Ogni Istituto è un po' in piccolo
una storia di salvezza in cui il Fondatore o la Fondatrice ap-
pare in veste di patriarca. È Iddio che fa un'alleanza con noi.
Ciò costituisce nel Fondatore e nei suoi discepoli una manie-
ra di contemplare Dio, di ascoltare Dio, di vivere con Dio,
di unione con Dio che ha il suo stile particolare. Tutti i santi
sono contemplativi, tutti i santi pregano. Sappiamo che
quando hanno canonizzato don Bosco ci si chiedeva: quando
pregava, quando contemplava? Si è dovuto allora dimostra-
re come faceva lui a contemplare e a pregare.
In questo momento però non c'interessa tanto dimostra-
re come faceva don Bosco, quanto l'essere sicuri che questo
è fondamentale, che è la prima componente del carisma sa-
lesiano: la certezza di questa alleanza e della cura di essa.
La cura di questa alleanza ha saputo costruire nell'ambiente
apostolico dell'attività del Fondatore un vero clima penteco-
stale, nel quale chi si trova parla con Cristo, parla con Maria
come se fossero di casa.
Don Bosco ha costr uito, come attestano i nostri « primi »,
una convivenza da paradiso; ma a chi è possibile realizzare
tutto questo senza averlo nel cuore? Un nostro studioso mol-
to acuto, don Pietro Stella, parlando dell'ambiente di Val-
docco ai tempi di Domenico Savio, ha questa felice espres-
sione: « Conduce in qualche modo l'ambiente non solo alla
soglia, ma in pieno nel campo della esperienza mistica, ci
porta in un clima pentecostale, nella collettiva sperimen-
tazione dello Spirito Santo. Lo spirito di famiglia che don
Bosco instaura è consanguineità spirituale.
L'educatore trasmette la vita attinta nell'unione con Dio
91

10.4 Page 94

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per mezzo della vita in grazia nella Chiesa» (STELLA P., Don
Bosco nella storia della religiosità cattolica Il).
Dunque un'alleanza con Dio così intima e così profonda
da indurre don Ceria a ripetere quella splendida definizione:
don Bosco è l'unione co n Dio. Per essa si costruisce un am-
biente nel quale si vive spontaneamente il soprannaturale
come se fosse la cosa più naturale del quotidiano: nel quo-
tidiano entra Cristo, l'Eucaristia, la Madonna di cui abbiamo
parlato, tutti presenti come persone di casa.
Ma tutto questo è facile da costruire? Si costruisce forse
con una metodologia solo umana? No. Si costruisce con lo
Spirito Santo. Bisogna essere anime di Spirito Santo.
Ecco il primo elemento : una capacità di Dio, un'alleanza
con Dio che ci fa costruire, vivere un clima « pentecostale».
b) Spirito salesiano
Una seconda componente che conosciamo tutti bene è
quella che chiamiamo lo « spirito salesiano ». Non lo si può
definire perché comprende tante cose. È quello stile nel pen-
sare, nel sentire, nell'agire, che costituisce tutta una tipica
modalità di essere: non presenta novità nel contenuto dei
singoli elementi, nell'umiltà, nella carità, nell'allegria (che
sono patrimonio cristiano); la sua originalità sta nell'insie-
me. Pensiamo ad una sinfonia di Beethoven: le note che la
compongono si trovano dappertutto, però è caratteristica la
genialità dell'artista nel metterle insieme.
Lo spirito salesiano è questo stile di pensiero, di condot-
ta, di atteggiamenti, di gusti, di preferenze, di priorità, di
modalità d'insieme. Bisogna viverci dentro per parlarne.
Qual è l'energia unitaria, il principio catalizzatore di
tutti gli elementi che costituiscono lo spirito salesiano ? Ab-
biamo una risposta chiara: la carità pastorale fatta di bontà,
un amore di Dio percepibile che si traduce immediatamente
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10.5 Page 95

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in servizio dei giovani per la loro salvezza. Una carità pasto-
rale che è la spinta radicale, fondamentale di tutto ciò che
fa il Salesiano. Il fare delle cose, anche belle, che non pro-
cedessero da questa spinta, sarebbe un muoversi fuori or-
bita. Ciò è molto importante, perché noi dobbiamo immet-
terci nell'ambito dell'area culturale.
Noi dobbiamo evangelizzare educando, quindi dobbiamo
fare promozione umana nell'educazione; ma per essere sicu-
ri di farla con lo spirito salesiano dobbiamo vedere se vi sia-
mo impegnati per il da mihi animas, ossia dietro la spinta
radicale della carità pastorale. L'elemento unitivo, fontale
dello spirito salesiano cerca nella contemplazione di Dio gli
elementi che nutrono questa carità pastorale, quindi vedrà
Gesù Cristo nella sua bontà, nella sua umanità, nel suo spi-
rito di sacrificio, nella sua dedizione agli altri, nella sua ca-
pacità di soffrire, di morire per salvare gli altri; sottolineerà
tutta questa linea di bontà di cuore che c'è in Dio e che lo
fa dedicare non a condannare i peccatori ma a salvarli.
Unita alla carità pastorale c'è poi una visione potenzial-
mente ottimistica circa le possibilità umane. Entriamo nell'u-
manesimo positivo di san Francesco di Sales. Vedere che il
mondo è stato fatto da Dio, dalla sua bontà per il bene degli
uomini, un po' come l'espressione del Testamento di Paolo VI
riferita dalla TV: « Tutto ciò che è umano mi entusiasma e
tutto ciò che è umano deve essere assunto per essere sal-
vato».
Come farebbe, diversamente, a mettersi con i giovani
uno che fosse pessimista radicale, sistematicamente in atteg-
giamento di critica negativa sulle possibilità del futuro? An-
che posizioni interessanti e valide in sé, ma mosse da un'al-
tra mentalità, non raggiungono lo scopo della capacità
pastorale salesiana. Una vocazione di penitente, ad esempio,
tanto bella nel suo genere, cercherà in Dio altri aspetti in
contrapposizione al peccato e alle cadute, la necessità della
misericordia di Dio, della solidarietà nell'espiazione, ecc.
93

10.6 Page 96

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C'è pure un Miserere nella liturgia della Chiesa; noi però
cantiamo il Magnificat, e al venerdì cantiamo anche il « Mi-
serere».
Questo implica tutta un'atmosfera particolare nella ma-
niera di pensare, così che i profeti di sventure tra noi sono
un po' fuori dello spirito salesiano. La tentazione della tri-
stezza, per noi, è peggiore dell'ingenuità.
La carità pastorale, unita a questa mentalità ottimistica,
si incarna e si traduce in un atteggiamento costante di bontà
e crea la metodologia dell'amorevolezza. Giustamente don
Caviglia ha scritto che il sistema preventivo è « la bontà
eretta a sistema ». Ed è proprio di qui che deriva il nostro
nome di « Salesiani ». Salesiani o FMA sono nomi intercam-
biabili: storicamente voi siete FMA, ma nulla cambierebbe
se voi foste le « Salesiane » e noi i « Figli di Maria Ausilia-
trice »..., perché le caratteristiche della carità-bontà sono to-
talmente comuni nel nostro spirito.
Poi c'è un'altra caratteristica nello spirito salesiano; l'at-
tività instancabile. L'unione con Dio, l'altruismo e la bontà
sono fusi con una capacità di progettare, di organizzare, di
muoversi, di lavorare, per cui il lavoro diviene lo spazio del-
la nostra carità. Nel lavoro il Salesiano deve saper trovare
la maniera di contemplare e di fare ascetica; è assai impor-
tante per noi che il lavoro sia contemplativo e permeato di
sacrificio, anche se ciò non è facile.
Le prime parole che ha detto don Bosco, qui a Mornese,
alle Figlie dell'Immacolata, miravano appunto ad assicurare
la intraprendenza di un lavoro che fosse incarnazione della
carità: amore di Dio e amore del prossimo che prescinde da
sé, quindi tutta una mistica e una ascetica speciale: proprio
come l'estasi dell'azione di cui parlava san Francesco di
Sales.
Non è facile tutto questo, e c'è anche urgente bisogno,
oggi, di approfondirne uno studio serio ed appropriato.
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10.7 Page 97

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Un altro elemento del nostro spirito è il senso della Chie-
sa e del Papa vissuto con coraggio. È utile sottolinearlo oggi,
perché il momento culturale di crisi ci porta a vedere, anche
in ambienti religiosi e sacerdotali, atteggiamenti che don
Bosco certamente non avrebbe mai avuto, che non sono del
suo spirito.
Dunque, riassumendo: uno spirito che sgorga dalla carità
pastorale con una mentalità ottimistica e si traduce in bontà
chiara e quotidiana, accompagnata da una instancabile in-
traprendenza nel lavoro apostolico, guidato da un vivo senso
di Chiesa e di adesione filiale al Papa e ai vescovi.
e) Missione giovanile
Un'altra componente del nostro carisma è la missione
giovanile, ossia la nostra partecipazione alla missione della
Chiesa per la salvezza del mondo.
Don Bosco diceva: « Mi basta sapere che siete giovani
per amarvi ».
La nostra alleanza con Dio e lo spirito salesiano sono vis-
suti nella prassi della missione giovanile; il cuore del Sale-
siano è fatto in tal modo che sente in sé una specie di passio-
ne interiore, una inclinazione, un gusto, una gioia, un entu-
siasmo, una capacità di sacrificio che lo sospingono conti-
nuamente tra i giovani. Don Albera l'ha definito magnifica-
mente in una delle sue ultime circolari dell'anno 1920 con
l'espressione « il dono della predilezione verso i giovani ».
La missione, prima di avere un posto dove operare, dei
destinatari a cui servire, è anzitutto un atteggiamento inte-
riore per cui quello spirito, quell'alleanza con Dio di cui ab-
biamo parlato, si incarnano in noi come una santa passione.
Si tratta di un « dono » dello Spirito Santo e non solo di una
inclinazione naturale!
Ascoltate che cosa dice don Albera: « Non basta sentire
per loro una certa qual naturale attrazione, ma bisogna ve-
95

10.8 Page 98

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ramente prediligerli. Questa predilezione, al suo stato inizia-
le, è un dono di Dio, è la stessa vocazione salesiana, ma spet-
ta alla nostra intelligenza e al nostro cuore svilupparla e
perfezionarla ». Una simile predilezione porta a dedicarsi
pienamente ai giovani, quasi senza avere tempo per occu-
parsi di altre cose.
In una intervista a Torino alcuni mesi fa, Messori mi ha
chiesto: « Che cosa fate voi nel Cile con Pinochet o in Polo-
nia con Gierek? Non alzate la voce, non fate valere i diritti
dell'uomo?».
- La prima cosa che facciamo - mi è sfuggito subito -
è di amare tanto i giovani da evitare di essere allontanati da
loro: per poterli educare, per costruire con loro la capacità
di amare e di difendere i diritti dell'uomo. Che cosa ci guada-
gniamo a fare un bel discorso a pistolotti che appare sui
giornali, se poi ci facciamo cacciare via? Se verrà il momento
in cui ciò sarà necessario lo si farà anche; però spesso è ab-
bastanza facile fare della profezia a buon mercato, lasciando
poi i giovani alla deriva. Dobbiamo cercare di fare tutto il
possibile realisticamente, in concreto, per salvare la gioven-
tù. E per questo agiamo come don Bosco: non possiamo
avere professori senza titoli? Prenderemo titoli. Bisogna an-
dare all'Università? Andremo all'Università. L'Università è
anticlericale? Non importa, manderemo i migliori. Si perde-
rà qualcuno? Pazienza.
Sentiamo don Albera: « Bisogna dire che don Bosco ci
prediligeva in modo unico tutto suo; se ne provava il fascino
irresistibile. Io mi sentivo come fatto prigioniero da una po-
tenza affettiva che mi alimentava i pensieri, le parole e le
azioni. Sentivo di essere amato in modo non mai provato
prima, singolarmente superiore a qualunque altro affetto.
Ci avvolgeva tutti e interamente quasi in un'atmosfera di
contentezza e di felicità. Tutto in lui aveva una potenza di at-
trazione, operava sui nostri cuori giovanili a mo' di calamita a
cui non era possibile sottrarsi e, anche se l'avessimo potuto,
non l'avremmo fatto per tutto l'oro del mondo, tanto si era
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10.9 Page 99

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felici di questo suo singolarissimo ascendente sopra di noi,
che in lui era la cosa più naturale, senza studio e senza sfor-
zo alcuno; e non poteva essere altrimenti, perché da ogni sua
parola e atto emanava la santità dell'unione con Dio che è
carità perfetta. Egli ci attirava a sé per la pienezza dell'a-
more soprannaturale che gli divampava in cuore. Da questa
singolare attrazione scaturiva l'opera conquistatrice dei no-
stri cuori. In lui i molteplici doni naturali erano resi sopran-
naturali dalla santità della sua vita».
Forse è la pagina più bella della nostra letteratura sale-
siana su questo amore di predilezione in don Bosco. Ed è
scritta da chi ha sperimentato, ragazzo ancora, l'amore di
don Bosco.
Ma sentiamo che cosa dice don Bosco in una cronaca di
don Ruffino: « Io vi prometto e vi do tutto; io per voi stu-
dio, per voi lavoro, per voi vivo, per voi sono disposto a dare
la vita». Questa è la massima salesiana: avere tradotto nel
proprio cuore, nel proprio atteggiamento interiore questo
senso della gioventù, così come Gesù Cristo si è dato tutto
agli uomini.
d) Sistema preventivo
Una quarta componente del carisma salesiano è il siste-
ma preventivo. Non si tratta semplicemente di una metodo-
logia; è un po' l'incarnazione di tutti gli altri elementi indi-
cati prima, è la maniera pratica di realizzare la vita sale-
siana, è l'« ortoprassi » della nostra indole propria. È
l'incarnazione del nostro spirito, della nostra missione,
della nostra alleanza con Dio; non è solo un metodo: è spi-
ritualità, è pedagogia, è pastorale.
Il sistema preventivo non è qualcosa di superato, come
se fosse solo espressione di un modo culturale del secolo
scorso. Certamente ci sono in esso degli elementi oggi supe-
rati, però vi è anche un « nucleo carismatico» di inapprez-
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10.10 Page 100

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zabile valore e significato per la nostra vocazione, che noi
dobbiamo conoscere per saperlo tradurre nelle nuove forme
culturali.
Se è vero che non si può realizzare la nostra missione
giovanile se non in una pastorale pratica, realisticamente
situata, bisognerà riconoscere che c'è un salto di livello tra
la missione salesiana e le pastorali concrete con cui la si
realizza.
È appunto il sistema preventivo che dà i caratteri per
fare questo passaggio dalla missione alla pastorale. La pa-
storale che si fa a Barcellona, quella che si fa a Santiago
del Cile, quella che si fa a Tokio, quella che si fa a Parigi,
sono differenti e devono esserlo, perché la pastorale tiene
conto della cultura locale, della mentalità, del tipo del gio-
vane che c'è; non si può fare allo stesso modo in tutto il
mondo. La pastorale è naturalmente pluralistica. La mis-
sione, al contrario, è necessariamente unitaria; la missione
salesiana sarà sempre la stessa, nel secolo XIV o nel secolo
XX, sia in Cina che negli Stati Uniti, sia in Europa che in
Africa. Allora tra missione sempre uguale e pastorali sem-
pre differenziate c'è un salto. Come si fa questo salto, rima-
nendo sempre unitariamente salesiani nonostante le diffe-
renze pastorali? Ci vuole una criteriologia comune.
Occorre saper tradurre con fedeltà i grandi ideali della
missione salesiana in ogni luogo, in modo che la pastorale
fatta a Tokio in forma giapponese sia salesiana, e quella
fatta a Barcellona in forma catalana sia salesiana, e quella
fatta a Parigi in forma parigina sia pure salesiana. Questa
criteriologia è proprio il « sistema preventivo », preso non
tanto come quel libretto di don Bosco scritto quasi alla
fine della sua vita, quanto come la mentalità e la criterio-
logia di don Bosco per educare ed evangelizzare i giovani.
In questo senso il sistema preventivo appartiene al cari-
sma salesiano e caratterizza la nostra originalità apostolica.
Ne parleremo a parte più lungamente.
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11 Pages 101-110

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11.1 Page 101

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e) Il nostro progetto comunitario di vita e di azione
In ultimo, un'altra componente del carisma salesiano è
il nostro progetto comunitario di vita e di azione evange-
lica. Esso ha due livelli differenti: il livello della vita di
comunione, per cui viviamo formando un cuor solo e un'ani-
ma sola; e il livello della struttura societaria con le sue esi-
genze anche giuridiche.
La nostra comunione di vita è familiare e i valori reli-
giosi la nutrono. Prendiamo i voti: la castità, la povertà,
l'obbedienza. Oggi non pochi studiano questi voti soprat-
tutto vincolandoli con le necessità sociopolitiche, e va bene;
ma non dobbiamo tralasciare il loro elemento più caratte-
ristico. Questi voti sono anzitutto l'elemento della nostra co-
munione. La castità, per esempio, cura il mio amore in modo
che la prima comunità, la « protocomunità », in cui io svi-
luppo tutta la mia capacità di affetto sia la mia concreta
comunità locale, aperta a tante altre, ma al primo posto in
forma chiara e senza infedeltà; essa è un po', per me, come
il mio matrimonio indissolubile. Bisogna stare attenti che
non sopravvengano divorzi lungo la vita: si va alla comunità
centrale, si va al gruppo di base, si va alla comunità parroc-
chiale, ecc., quasi scappando dalla propria e, a volte, solo
per criticarla.
Don Bosco ha insistito molto sulla unione in casa: fare
un cuor solo ed un'anima sola.
I vari elementi di vita religiosa raccomandati dalle Co-
stituzioni tendono a favorire e irrobustire quella comunione
di cuori che costituisce la nostra comunità, tanto più che
questa nostra comunità è il primo soggetto della nostra mis-
sione. La missione, infatti, è affidata non a questo individuo
o a quell'altro, ma alla comunità: comunità locale e comuni-
tà ispettoriale.
Quindi nel progetto di vita comunitaria evangelica c'è da
curare anzitutto l'impegno di approfondire, di coltivare e di
instaurare gli elementi religiosi in vista dell'unione dei cuori.
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11.2 Page 102

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C'è poi la struttura societaria inerente ad ogni comunità;
questo è un aspetto indispensabile e pedagogicamente pre-
zioso anche se, di per sé, va soggetto più degli altri alle va-
rianti culturali. Ma più che sottolineare, in questo momento,
come la struttura societaria sia soggetta a evoluzioni, dob-
biamo insistere sul fatto che è una maniera di incarnarsi del
carisma, e non qualcosa che si oppone al carisma. È stata
pensata e sostanzialmente stabilita dal Fondatore, secondo
la cultura del tempo, proprio per assicurare la vita e la cre-
scita del carisma, e deve essere curata e rinnovata da noi;
non però da ognuno di noi, ma dai Capitoli, in piena adesio-
ne alle direttive della Chiesa. Deve essere curata e rinnovata
proprio per amore del carisma, perché viva e sia operante.
Perciò le strutture costituzionali vanno prese sul serio;
se hanno difetti bisogna mettersi d'accordo, secondo gli
strumenti propri ad ogni Istituto, per correggerle. Ma dob-
biamo amarle, farle amare, farle funzionare secondo le Co-
stituzioni. Anche questo è un elemento concreto del cari-
sma; soprattutto trattandosi del carisma salesiano che pro-
cede da un Fondatore molto pratico, il quale cercava, con
intùito pedagogico e pastorale, di andare alle impostazioni
concrete, al modo realmente possibile e sicuro di mettere in
pratica i progetti.
Concludo. L'indole salesiana della vita nello Spirito se-
condo il carisma di don Bosco ha bisogno oggi di rinnova-
mento. Abbiamo individuato alcuni punti centrali di riferi-
mento che ci aiutano ad affrontare le novità culturali con
chiarezza di visione, con coraggio e senza paura, imitando
proprio il Fondatore e la Confondatrice che erano coraggio-
si perché erano anime di Spirito Santo. Infatti con lo Spirito
Santo non si ha paura delle novità, si amano anche i segni
dei tempi, ma soprattutto si amano i giovani, in vista dei
quali si vive il dono totale di sé a Dio sommamente amato.
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11.3 Page 103

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SECONDA PARTE
MARIA MAZZARELLO E LO SPIRITO DI MORNESE
Prima di venire qui ho fatto una passeggiatina verso i
« Mazzarelli di là » e ho trovato una signora che stava pe-
stando i ceci; ho parlato un po' con lei e mi è venuta la voglia
di chiederle: « Che cos'è lo spirito di Mornese?». Ma per
paura che mi rispondesse che è troppo caro, o che non ce
n'è più, non gliel'ho chiesto.
Dobbiamo dircelo qui tra noi, che cos'è questo « spirito
di Mornese», nel quadro generale delle nostre riflessioni
sulla vita nello Spirito.
Questa mattina abbiamo parlato delle componenti del ca-
risma salesiano; adesso ci intratteniamo sullo « spirito di
Mornese», che è specifico di voi FMA. Chissà quante volte
avrete parlato di questo argomento; io, invece, è la prima
che ne parlo estesamente. Però da un po' di tempo ho avuto
coscienza che per me è un tema su cui c'è da riflettere con
serietà.
Partendo dalla convinzione che ho in me molto radicata,
che il carisma è una storia e quindi non si deduce dai pen-
sieri dei teologi ma dalla esperienza dello Spirito, ho voluto
dedicarmi a leggere la vostra Cronistoria, i libri che trattano
delle vostre sorelle e del vostro Istituto, e infine un bell'o-
puscolo, che anche a voi è giunto proprio in questi giorni,
di don Colli, il nuovo Delegato del Rettor Maggiore per
l'Opera P. A. S. È un libretto ben pensato, penetrante, ogget-
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11.4 Page 104

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tivo, dal titolo Contributo di don Bosco e di madre Mazza-
rello al carisma di fondazione dell'Istituto delle FMA.
Con la convinzione che si tratta di un'esperienza dello
Spirito in un periodo di storia, non mi sono accontentato
semplicemente di commentare la famosa pagina di madre
Enrichetta Sorbone sullo spirito di Mornese, anche se quella
pagina è immortale, è un testamento sacro.
Mi azzarderò a fare per voi qualche riflessione mia, per
stimolarvi e forse anche dirvi cose su cui potrete non essere
d'accordo. Vedremo.
Dal 1872 al 1879
Per essere oggettivi dobbiamo dire che questo spirito è
un'esperienza vissuta, proprio come spirito di Mornese in
senso stretto, per sette anni. Riflettiamo un po' su quei sette
anni: non è tanto difficile. Sono gli anni del germoglio e
della capacità di trapianto, perché lo spirito di Mornese non
muore più. Da quando è stato seminato ed è nato, cresce
dovunque; ma prende il suo nome di « spirito di Mornese»
dalla vita vissuta qui fra l'anno 1872 e il 1879.
Mornese è la zolla da cui è nato. Ma come ha potuto na-
scere in un paesino così sperduto uno spirito fatto per tutte
le nazioni, per un Istituto di dimensioni mondiali?
Non da solo progetto umano
Il primo pensiero che viene alla mente di chi riflette è
che non era possibile che nascesse qui a Mornese senza un
preciso progetto da parte di Dio. Leggendo la Cronistoria e
vedendo le persone che intervengono, ci si accorge che c'è
tutto un tessuto di Provvidenza fatto di persone, di avveni-
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11.5 Page 105

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menti, di malattie, di morti che conducono proprio a questo
spirito, in modo tale che chi legge questa storia con un po'
di fede percepisce che c'è, dietro, un grande Artista che sta
tessendo tutte le fila.
Quindi la prima impressione che si prova nel vedere sboc-
ciare qui un tale spirito è che esso non nasce e non cresce
dall'aria naturale di Mornese, ma nasce e cresce perché è
stato seminato qui da Dio.
In questa luce si scoprono a Mornese persone che sono
veri colossi di vita spirituale. Incominciando da don Pesta-
rino che, purtroppo, è forse troppo poco conosciuto (almeno
per quello che so io. Spero che tra voi lo sia di più): è un
sacerdote di alta levatura spirituale.
Poi si scoprono i valori cristiani di questa gente conta-
dina. Voi vedete che il carisma salesiano ha portato sugli
altari le virtù del popolo cristiano, del contadino, della gente
umile, formata vitalmente nel Vangelo.
Chi di voi ha visto qualche scena di uno degli ultimi film,
L'albero degli zaccoli del nostro exallievo Olmi, si accorge
che ha svolto proprio questa tesi: dimostrare le ricchezze
di umanesimo e di fede presenti nelle culture contadine del-
la fine del secolo scorso. E noi abbiamo un carisma che ha
portato sugli altari, per il futuro, le virtù vissute da questa
gente, dalla Mazzarello, dalle sue sorelle e dalle sue compa-
gne: alzarsi presto, lavorare tutto il giorno, mangiare poco,
essere attivi, mortificati, aiutare gli altri, non darsi mai im-
portanza, essere senza pretese, pregare e far del bene. Erano
le virtù dell'ambiente. Un ambiente fermentato di cristia-
nesimo.
C'è poi da riflettere sugli incontri delle persone. Chi ha
messo in cuore a don Pestarino, un sacerdote così preparato
anche intellettualmente, la risoluzione di lasciare Genova per
Mornese e poi andare a finire con don Bosco? E chi pensava
che un sacerdote, già collaboratore nel seminario maggiore
di Genova, venisse in un paesino così piccolo, e non a fare il
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11.6 Page 106

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parroco, ma l'aiutante? Eppure fu lui a capovolgere pasto-
ralmente il paese. Maria Mazzarello, che non poteva sentire
le prediche del parroco, andava correndo · al catechismo di
don Pestarino.
Né può essere altro che impulso dello Spirito Santo il
desiderio di don Pestarino di incontrarsi con don Bosco e
l'entusiasmo per seguire lo stesso ideale di lui. È già dal 1862
che don Pestarino si fa Salesiano; ed è una cosa curiosa, che
poi a Roma bocciarono: don Bosco voleva ci fossero anche
dei Salesiani esterni, e don Pestarino appare in uno dei pri-
mi cataloghi con accanto la qualifica di « Salesiano esterno».
È lui che conduce avanti le direttive di don Bosco affin-
ché nasca e cresca questo spirito di Mornese.
Chi, d'altra parte, ha preparato così bene Maria Mazza-
rello?
Don Caviglia dice che Maria Mazzarello era già salesiana
prima di incontrarsi con don Bosco. Aveva già intuizioni e
gusti simili a quelli di don Bosco: tutta di Dio, centrata nel-
l'Eucaristia, devota della Madonna. C'era in lei la preoccu-
pazione di radunare le ragazze: infatti l'oratorio delle ragaz-
ze di Mornese risale già all'anno 1863. Noi diciamo che lo
spirito di Mornese incomincia - perché vogliamo rimanere
dentro gli inizi dell'Istituto - dall'anno 1872. Ma c'era già
stata tutta una preparazione fatta dalla Provvidenza. Don
Pestarino si era fatto Salesiano e certamente questo ebbe
un influsso su Maria Mazzarello e sulle sue compagne. Poi
ecco tutto un muoversi di persone, di cose, di avvenimenti...
Maria Mazzarello, robusta, che lavora più degli uomini
nella vigna, per la sua carità obbediente si ammala di tifo e
deve cambiare modo di vivere perché non ha più le energie
di prima. Anche questa è una disposizione della Provvidenza.
Impara il mestiere di sarta, si mette a lavorare con le ragaz-
ze, a riunirle, ecc.
Entra poi tra le Figlie dell'Immacolata, una specie di Isti-
tuto secolare dell'epoca, e lì affina quell'interiorità del dono
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11.7 Page 107

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totale di sé a Dio che è il primo elemento fontale dello spi-
rito di Mornese.
Ci sono anche da considerare quei Salesiani che sono in-
tervenuti nei primi anni dell'Istituto. Sono « personaggi » in-
cisivi nella formulazione dello spirito di Mornese: don Gio-
vanni Cagliero! don Costamagna! don Giuseppe Cagliero e
don Lemoyne! (in realtà, don Giuseppe è stato pochi mesi e
don Lemoyne è diventato direttore della comunità mornesi-
na quando già lo spirito di Mornese era ormai un fatto).
Ci sono poi i sogni che ha avuto don Bosco prima di ve-
nire a Mornese. Sappiamo che per il nostro Padre i sogni
sono strumenti di comunicazione con Dio. Ebbene, attraver-
so di essi il Signore ispira chiaramente al Fondatore del ca-
risma salesiano la disposizione a portare quel carisma an-
che alle ragazze. Sembrava che questo non fosse in tono con
la psicologia di don Bosco. Ne parla nientemeno che con
Pio IX, il quale gli dice: « Ma certo, bisogna farlo ». Poi don
Bosco ne parla al famoso « Capitolo » superiore nell'anno
1871. È una delle pagine più interessanti. Don Bosco ha chie-
sto, ad uno ad uno, il parere circa la fondazione di un Isti-
tuto femminile. Per ultimo ha lasciato il Cagliero, neo-dottore
in teologia, che già aiutava varie Congregazioni femminili.
E quando don Bosco chiede: « E tu, Cagliero, che cosa ne
dici?», tutti sorridono... perché conoscendo le sue attività
e le sue opinioni sapevano già che avrebbe detto certamente
di con molto entusiasmo.
Il Cagliero è un vero benemerito dello spirito di Mornese;
possiamo vedere oggi, dalle lettere della Mazzarello, quale
stile pieno di affetto, di riconoscenza, di fraternità così bella,
così profonda abbia avuto verso di lui! (Bisogna ringraziare
chi ha curato la pubblicazione delle Lettere di madre Maz-
zarello. Sapete che una tale lettura fa cambiare certe idee
sbagliate che alcuni di noi forse avevano sulla figura di santa
Maria Domenica Mazzarello? Realmente sono una rivelazio-
ne bellissima!).
Concludiamo dicendo che lo spirito di Mornese ha un
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11.8 Page 108

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contesto storico assai concreto, concentrato in sette anni;
però non è un fiore naturale sbocciato spontaneamente da
questa terra. Ha trovato in essa un ambiente adatto, ma c'è
tutto un progetto divino che l'ha seminato e l'ha aiutato a
sbocciare.
Traduzione al femminile della salesianità
Mi ha colpito quello che dice don Caviglia dello spirito
di Mornese: è lo spirito genuino della salesianità femminile.
Per questo dovete essere voi le competenti nel dire bene
di questo spirito. Ed è bene che io stimoli un po' la vostra
capacità di dire e il vostro amor proprio.
È evidente che lo spirito di Mornese non si può identifi-
care con il carisma salesiano. Il carisma salesiano è molto
di più. Anche lo spirito salesiano non è tutto il carisma sale-
siano: ne è solo un aspetto. Per approfondire lo spirito di
Mornese bisogna capire questa distinzione: lo spirito di Mor-
nese non è il carisma salesiano. Si distingue da esso, ma è
tutto rivolto al carisma salesiano a cui resta intimamente
legato: è la traduzione al femminile dello spirito salesiano.
Si tratta di una « traduzione », lo si vede subito; ma non
è letterale. Non è una ripetizione meccanica... con la termi-
nazione in - a. La Mazzarello ha messo tutta la sua sapien-
za, il suo amore, l'interpretazione e l'intuizione della creati-
vità femminile per assumere la vocazione salesiana nel modo
che è proprio della donna. Quindi è un po' una creazione.
Diciamo che si tratta di una traduzione per sottolineare che
c'è un polo ed una fonte antecedente nel carisma salesiano.
Don Bosco non ha creato personalmente lo spirito di Mor-
nese, sebbene questo non si spieghi senza di lui. Fu madre
Mazzarello, con tutte le sue compagne, a costruirlo. Quindi
si tratta di una traduzione « attiva », costruttrice, creatrice:
un'opera direttamente femminile. La Mazzarello inaugura
una caratteristica femminile entro la salesianità: anzitutto
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perché è donna e poi perché quel progetto di Dio che ha fat-
to nascere lo spirito di Mornese l'ha dotata di doni, di capa-
cità, di inclinazioni che convergono a questo compito.
Come si spiega, d'altra parte, la sintonia più che naturale
della Mazzarello con don Bosco? Vi ho ricorda to la prima
sera che don Bosco è arrivato qui nel 1864 col cavallo bianco,
con cento ragazzi, ecc. Solo da due anni don Pestarino si era
fatto Salesiano esterno, e da un anno Maria Mazzarello ani-
mava l'oratorio.
Essa era una giovane molto ritirata, non si metteva in
mezzo agli uomini; ma quando è arrivato don Bosco con i
ragazzi e ha dato la 'buona notte ', eccola là in prima fila,
attenta e galvanizzata. La sua prima esclamazione dimostra
che è rimasta attratta come un pezzo di ferro dalla calamita:
« Don Bosco è un santo, ed io lo sento! ». Un'intuizione defi-
nitiva, come se Iddio le avesse inviato il « suo » santo, fatto
a sua misura, « il santo per lei ».
Presentiva di dover crescere nella linea salesiana di don
Bosco, che interpretava tutte le ansie di spiritualità e di apo-
stolato palpitanti nel suo cuore.
Abbiamo già detto due idee introduttive: prima che leg-
gendo la Cronistoria si trova come lo spirito di Mornese non
si può spiegare nell'insieme dei suoi fenomeni senza un pia-
no provvidenziale; in secondo luogo che in questo piano
emerge certamente come centro, come attrattiva, il carisma
salesiano nella figura di don Bosco, mentre lo « spirito di
Mornese » propriamente detto consiste in una salesianità
femminile, frutto di una creatività che ha come esponente
massima Maria Mazzarello, e poi le altre compagne.
Tutto ciò ha preparato l'ambiente per la nascita dell'Isti-
tuto delle FMA nell'anno 1872. Lo spirito di Mornese noi lo
facciamo coincidere precisamente con la nascita della co-
munità delle FMA, con quello che fanno e con il modo in
cui si sviluppano.
107

11.10 Page 110

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Il centro dello spirito di Mornese
Lo spirito è uno stile di pensiero, di affetti, di atteggia-
menti, di maniera di convivere, che ha una sua propria ca-
ratteristica.
Qual è la nota prima, il centro dello spirito di Mornese?
Io penso che il centro dello spirito di Mornese è l'attrattiva,
la conoscenza e l'assimilazione del carisma salesiano. Per
questo ho fatto la distinzione tra spirito di Mornese e cari-
sma salesiano.
Qual era la grande preoccupazione di Maria Mazzarello e
di tutte le sue compagne? Comprendere, assimilare, realizza-
re il carisma salesiano per le ragazze.
Maria Mazzarello ha dimostrato una tale centralità con
chiarezza di intenti e con fortezza d'animo; infatti lo spirito
di Mornese non è nato senza resistenze. Anzi, ha avuto forti
difficoltà. Innanzitutto c'è stato il passaggio, non facile né
pacifico, da una specie di Istituto secolare a una vera Con-
gregazione religiosa. In secondo luogo, l'Istituto non era
semplicemente a servizio del paese, ma nasceva con esigenze
concrete di universalità: ciò provocava l'ostilità nel paese.
Ma la Mazzarello ha dimostrato una fortezza eroica. La sua
chiarezza di intenti, la forza d'animo per mantenersi fedele
al carisma salesiano, si ritrova espressa in una frase incre-
dibile, che è paradossale in lei, ma è storica: « Se anche, per
impossibile, don Pestarino lasciasse don Bosco, io resterei
con don Bosco! ». Non è un'espressione qualunque, detta da
una giovane matura quale era lei, e per di più piemontese
assai concreta. Questo conferma l'intensità e la forza straor-
dinariamente profonda di quell'aspetto che io considero, ap-
punto, il centro dello spirito di Mornese: l'attrattiva, la cono-
scenza e l'assimilazione del carisma salesiano!
D'altra parte è sintomatico costatare che nella crescita
di questa conoscenza, assimilazione e realizzazione al femmi-
nile del carisma salesiano, occupano una importanza strate-
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12 Pages 111-120

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12.1 Page 111

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gica alcuni Salesiani, assai qualificati testimoni del più ge-
nuino carisma di don Bosco.
Il primo è sempre don Pestarino: non più semplicemente
cappellano, guida spirituale, ma precisamente direttore della
comunità. Anzi: direttore salesiano della comunità. Di lui
abbiamo già detto; ma c'è da fare uno studio più approfon-
dito sul suo attaccamento a don Bosco e sul suo influsso nei
confronti dell'Istituto nascente.
Dopo la sua morte vengono altre grandi figure. Prima
fra tutte, don Giovanni Cagliero, che don Bosco sceglie come
suo incaricato speciale per curare e far crescere questo inci-
piente Istituto.
Don Cagliero è stato presentato nella nostra storia sale-
siana soprattutto come guida missionaria in Argentina. Quan-
do però pensiamo ciò che don Bosco ha fatto e voleva fare
con lui si scopre un'altra dimensione: don Bosco lo vedeva
come lo strumento più adatto per il trapianto del carisma
salesiano. L'ha mandato infatti, sia pure all'ultimo momen-
to, con la prima spedizione missionaria; l'ha mandato a ini-
ziare l'opera in Spagna; lo preparava per iniziare l'opera in
India; e l'ha mandato appunto tra le FMA, per far crescere
la vocazione salesiana al femminile. Don Bosco vedeva in lui
doti non comuni di padre e di leader, fuse insieme con una
fedeltà straordinaria.
Se don Rua è molto importante per la crescita e la con-
tinuità della Congregazione nella fedeltà a don Bosco, il Ca-
gliero appare come il pioniere che trapianta genialmente il
carisma salesiano con chiara fedeltà, unita a una grande
creatività, capace di adattarsi a situazioni totalmente nuove
come era, ad esempio, quella femminile delle FMA. Si trat-
tava di sapere far vivere il carisma salesiano in un ambiente,
in un clima psicologico che non era quello in cui era cresciu-
to lui come ragazzo e come salesiano.
Vediamo dunque nel Cagliero uno strumento molto im-
portante per la cura dell'elemento centrale dello spirito di
109

12.2 Page 112

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Mornese: forse dovremmo studiare più a fondo la figura del
card. Cagliero.
Gli succede poi, nella cura di questo centro dello spirito
di Mornese, don Giacom.o Costwnagna. Egli è un Salesiano
molto benemerito, un grande conoscitore e amante di don
Bosco. Ha scritto cose magnifiche. Ma aveva un tempera-
m e nto un po '... p esante, che in America era ancora famoso
alcuni anni fa. Chi legge con attenzione la Cronistoria si ac-
corge che Maria Mazzarello era molto furba con lui. Intanto
sapeva fare osservazioni cli una certa prudenza sulla fami-
liarità con cui trattava, facendogli capire che è spirito sale-
siano avere molta familiarità, restando però ognuno al suo
posto.
Ma poi, riguardo al suo temperamento forte, non è che
dicesse « amen » a tutto. Chi non ricorda la scena di quella
sera in cui, in tempo di silenzio sacro, stavano lavorando ad
ora tarda a lume di candela? Quando sentirono i passi di
don Costamagna che arrivava, certamente per fare una sfu-
riata alla povera superiora, madre Mazzarello fece spegnere
in fretta le candele e fare silenzio. E quando il rumore dei
passi le fece avvisate che don Costamagna, rassicurato ormai
dell'osservanza, andava via, riaccesero le candele per continua-
re il lavoro. Questo è indicativo della personalità, che sa di-
stinguere con buon senso ciò che è proprio del carisma e che
bisogna accettare, e ciò che è accessorio, temperamentale...
Io penso proprio che anche oggi lo spirito di Mornese
deve avere soprattutto questo elemento centrale: l'attrattiva,
la conoscenza, l'assimilazione, la realizzazione clel carisma
cli don Bosco.
Il suo clima pentecostale
Un secondo elenwnto dello spirito di Morn ese - a mio
avviso - è il clima in cui esso si sviluppa. Dobbiamo ripe-
110

12.3 Page 113

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tere quello che abbiamo detto dell'Oratorio di don Bosco,
ma alla maniera femminile.
È un clima veramente «pentecostale». Che cosa intendo
con questo termine? Che il senso di Dio, della presenza viva
di Gesù Cristo, dell'interesse materno della Madonna era tale
che naturalmente li si considerava, con grande e spontaneo
affetto, come vere persone di famiglia.
Un tale clima è splendidamente rappresentato e descritto
nella nota pagina di madre Enrichetta Sorbone: « Qui sia-
mo in paradiso, nella casa c'è un ambiente di paradiso! ».
Io distinguerei due aspetti del clima pentecostale dello
spirito di Mornese.
• Primo è l'aspetto mistico. Vedo un pericolo nel presen-
tare lo spirito di Mornese solo come spirito ascetico. Alla radi-
ce di una vera ascesi cristiana c'è sempre un aspetto mistico.
Qual è questo aspetto mistico? Leggiamo le parole di madre
Sorbone: « Non si pensava né si parlava che di Dio e del suo
santo amore, di Maria SS.ma e dell'Angelo custode e si lavo-
rava sempre sotto i loro dolcissimi sguardi, come se fossero
lì, visibilmente presenti, e non si avevano altre mire. Come
era bella la vita! ».
Ma guardate: questo non è un teologo che scrive! È una
ex-ragazza di quegli anni che ricorda, descrive, narra quale
clima si respirava in casa. Lo spirito di Mornese è anzitutto
questo aspetto mistico, positivo di entusiasmo per il Signore,
per Gesù Cristo, per la Madonna, per l'Angelo custode (ver-
so cui avevano una devozione specialissima), ecc. Un tale
aspetto mistico comportava come elemento caratteristico
un ammirevole raccoglimento e silenzio; non tanto come
espressione di disciplina, ma proprio come espressione della
quotidiana ricerca di Dio, del bisogno di ascoltarlo e di gu-
starlo, di dialogare con Gesù Cristo e sentire la sua presenza,
di vivere la grazia evitando la superficialità. Non si tratta in
primo luogo di un'osservanza, ma di una contemplazione;
infatti lo spirito di raccoglimento e di silenzio sono accom-
111

12.4 Page 114

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pagnati, a Mornese, da gioia, da allegria nell'amore fraterno,
da semplicità, da candore e innocenza infantili.
La mistica comporta quasi un'estasi, un immergersi tanto
nelle cose di Dio da prevenire o stroncare tanti difetti piut-
tosto facili per la psicologia femminile: certe invidiuzze,
certe critiche, certe tendenze di esibizione, certi sentimenta-
lismi, certi scoraggiamenti, ecc. che possono rovinare lo spi-
rito di famiglia. Tali difetti, più che essere tagliati dalla falce
di un'azione disciplinare, sono prevenuti dalla gioia del sen-
so di Dio, dalla convivenza con Gesù e Maria, insomma da
quello che abbiamo chiamato un clima pentecostale.
Mi piace sottolineare anche un altro dato tipico nell'a-
spetto mistico di questo clima pentecostale: la capacità di
discernimento. Lo Spirito Santo riempie di saggezza e fa ca-
paci di discernere. Il discernimento spirituale è opera dello
Spirito Santo, anche se dobbiamo usare gli apporti delle
scienze umane per realizzarlo convenientemente.
Don Bosco non viveva a Mornese a fianco delle prime
suore, e anche se vi aveva collocato alcune persone a rappre-
sentare l'orientamento suo, si presentavano tante situazioni
e cose da discernere direttamente. Così, ad esempio, per sa-
per distinguere tra una spiritualità veggente e l'autentico
soffio del divino Spirito... ci voleva una robusta capacità di
discernimento. La Mazzarello, (nomino sempre lei ma non
intendo escludere le altre), ha avuto in profondità e abbon-
dante il dono del discernimento per conoscere con sicurezza
ciò che da lei voleva Dio attraverso don Bosco.
C'è in quegli anni anche un fatto (che io considero prov-
videnziale per voi, oggi) che include nello spirito di Mornese
la capacità di distinguere le cose che sono veramente spiri-
tuali da quelle che non lo sono. Per questo considero sinto-
matica la presenza di alcune deviazioni pseudo-carismatiche
proprio durante quei primi sette anni di Mornese: la famosa
veggente Agostina Simbeni. La lezione lasciata da questa
esperienza stravagante dovrebbe rimanere connessa con il
senso pentecostale dello spirito di Mornese.
112

12.5 Page 115

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Chi è stata la prima a capire che non era lo Spirito Santo
che agiva in Agostina? Madre Mazzarello! Appartiene allo
spirito di Mornese il discernere. Dicono che la donna è por-
tata più facilmente a credere a certe pseudo-visioni come se
venissero dallo Spirito Santo. Adagio! L'Agostina Simbeni
fin dalla nascita dell'Istituto ve ne dà una bella lezione!
C'è poi anche una seconda nota in questo clima pente-
costale: l'aspetto ascetico, quello più comunemente citato e
presentato, ma che è conseguente. lo ho voluto insistere pri-
ma sull'aspetto mistico perché penso che forse si è calcata
troppo la mano su questo stile fortemente ascetico che mag-
giormente impressiona alla prima lettura. Ma l'ascesi cristia-
na è un frutto; bisogna stare attenti, è frutto di una convinta
ed entusiastica unione con Dio. Ad ogni modo, a Mornese,
c'era indubbiamente una fortissima ascesi.
Un primo dato ascetico che impressiona è l'inte nsa ope-
rosità, lo spirito di sacrificio e l'eroica mortificazione. A volte
ci si domanda, leggendo la Cronistoria, come fosse possibile
tanta austerità. Lo spirito di lavoro, che è proprio una carat-
teristica salesiana, è anche una delle virtù della gente di qui.
Maria Mazzarello quando era alla Valponasca lavorava più
di un uomo. È una virtù ereditaria nella gente di questi pae-
si. Andando ai « Mazzarelli di là » ho visto un vecchietto che
portava un grosso carico di fieno e mi dicevo: ecco una sce-
na dei tempi di Maria Mazzarello. In ambienti cittadini le
persone di quella età leggono il giornale, guardano la tele-
visione, riposano... Questa laboriosità è stata introdotta nel-
lo spirito di Mornese come un elemento costitutivo, con un
forte risvolto ascetico. Invece di mettersi cilici di penitenza
nel letto o sul corpo, è più salesiano imitare una così intensa
laboriosità e arrivare alla fine della giornata senza che ci
sia posto per alcuna tentazione.
Un altro dato dell'aspetto ascetico è l'ambiente di mani-
festa, accettata e straordinaria povertà: anche questa è una
cosa impressionante. Mi fa ricordare la Valtellina, perché
113
8

12.6 Page 116

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(scusate!...) la Valtellina c'entra nello spirito di Mornese!
Anche in Valtellina vi è tanta povertà e tanto lavoro, e gente
buona e semplice. Orbene, leggendo la Cronistoria io mi
sono trovato di fronte a una delle scene più belle che ricor-
dano questo senso di povertà: quando hanno comperato la
famosa mucca e l'hanno fatta entrare come una principessa
in casa per avere un po' di latte a colazione. Con che cosa
si è comperata quella mucca? Con i soldi portati da un grup-
po di ragazze valtellinesi mandate da don Guanella! Non ho
potuto trovare i nomi, ma leggendo le lettere della Mazza-
rello in nota ne ho trovato uno, che spero sia proprio di quel-
le prime: suor Rosa Gusmeroli, di Campo Tartano in pro-
vincia di Sondrio, morta giovane pochi anni dopo a Torino,
e nominata in una delle lettere della madre. (Come vedete
c'è un po' di amor patrio anche nello studio dello spirito di
Mornese! E - sempre tra parentesi - guardate come si la-
vora insieme per le vocazioni, come c'era questo senso di fa-
miglia tra noi e voi! Don Guanella, che era stato tre anni
Salesiano, si è preoccupato di mandare vocazioni alle FMA
e da lontano, perché allora venire dalla Valtellina a Mornese
non era una cosa semplice!). Dunque, un ambiente di mani-
festa e accettata povertà.
Un altro elemento dell'aspetto ascetico è una grande ob-
bedienza e un fort e senso del dovere: l'osservanza gioiosa.
Su tali valori soleva insistere don Bosco non solo per i Sa-
lesiani, ma persino per i suoi ragazzi. Il senso del dovere. È
ciò che ha detto Aldo Moro in uno degli ultimi discorsi:
« Questo paese che si è dedicato tanto a proclamare i diritti
e la libertà non avrà futuro se non costruisce un nuovo sen-
so del dovere ». Una simile affermazione non è una frase re-
torica, ma il frutto di esperienze dolorose.
Nello spirito di Mornese c'è un apprezzamento assai sen-
tito e curato circa l'obbedienza, il dovere, l'osservanza e l'a-
desione alla santa Regola, direi in forma veramente ecce-
zionale.
Dunque: il clima pentecostale dello spirito di Mornese
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12.7 Page 117

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traduce la profondità e la gioia dello slancio mistico in atteg-
giamenti ascetici assai pratici, in particolare sintonia con la
missione salesiana.
Alcune esigenze dello spirito di Mornese
Lo spirito di Mornese porta con sé alcune esigenze che
gli sono caratteristiche in forma emblematica in quei pleto-
rici sette anni.
a) Crescita culturale a coniinciare da madre Mazzarello
Oggi possiamo catalogare questa chiara esigenza nell'am-
bito più che mai attuale della promozione della donna: lo
spirito di Mornese non mutila la personalità femminile, ma
la promuove! Maria Mazzarello si vede indotta e impegnata,
per la sua vocazione, a imparare a scrivere a un'età già ma-
tura; fa studiare quelle semplici ragazze contadine, solerti
lavoratrici ma prive dell'abito mentale allo studio intellet-
tuale. Ne ha mandate alcune a studiare, a dare esami a To-
rino . Le prime due che si erano recate nell'Istituto di S. An-
na, purtroppo, sono state bocciate in matematica.
Don Bosco si preoccupava allora di farle istruire di più:
ecco qui un interessante impegno di crescita. E se in prin-
cipio a Mornese si parlava solo il piemontese, alla fine dei
sette anni si studiava spagnolo e francese. Voglio sottolinea-
re questo aspetto: il senso della missione salesiana, che le
faceva educatrici delle ragazze, esigeva da loro per vocazione,
non per vanità o per gusto di sapere, ma per virtù e per ser-
vizio agli altri, di crescere in cultura. Nei sette anni dello
spirito di Mornese c'è un salto altissimo in questa promozio-
ne culturale umana.
Questa esigenza mi pare, oggi, emblematica per voi; se
nella situazione culturale dell'epoca era elemento abbastan-
115

12.8 Page 118

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za preponderante l'aiutare nei servizi casalinghi (cosa che
d'altra parte dovete saper conservare intelligentemente tra
voi!), le FMA sono nate propriamente per fare con le ragaz-
ze quello che i Salesiani fanno con i ragazzi. Don Bosco ha
fatto anche il ciabattino, ha fatto il falegname; un Salesiano
farà anche da portinaio e da cuoco ecc., però la finalità del-
l'Istituto è quella di impegnarsi con competenza a fare in
modo che la gioventù sia evangelizzata. Bisogna sviluppare
con cura questo orientamento apostolico. E adesso che la
sensibilità culturale della società è molto più esigente, do-
vete saper rileggere le piccole promozioni umane del tempo
di Mornese per tradurle e renderle attuali in sintonia coi
tempi.
Noi, vostri fratelli Salesiani, abbiamo ricevuto in questo
secolo numerosi servizi domestici da voi in tante nostre case:
dobbiamo ringraziarvi enormemente. Però io, che vengo dal-
l'America Latina dove questo tipo di servizio non si esercita
ormai se non in casi eccezionali, penso che dovete dedicarvi
con più chiarezza e coraggio a realizzare quello per cui lo
Spirito Santo vi ha chiamate ad essere nella Famiglia sale-
siana: le evangelizzatrici della gioventù femminile!
Dobbiamo rendere omaggio ed ammirare con sincero
plauso, noi tanti coadiutori nostri, e voi tante FMA di gran-
de virtù che sono state, a partire dalla stessa madre Mazza-
rello, a lungo impegnate e sacrificate con generosità nei vari
servizi domestici e nel disbrigo delle faccende di casa: è
una tradizione da non sopprimere perché ce ne sarà sempre
bisogno. Ma faccio notare che c'è già, nello spirito di Mor-
nese, un seme di crescita culturale in piena sintonia con la
necessità della nostra vocazione per la realizzazione adegua-
ta della missione giovanile popolare che ci è propria.
b) Preparazione familiare del servizio dell'autorità
Un'altra esigenza dello spirito ài Mornese, pure in sinto-
nia con la promozione della donna, è il riconoscimento e la
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12.9 Page 119

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familiare preparazione, in fraterna e cosciente corresponsa-
bilità, al servizio dell'autorità religiosa nella propria comu-
nità. Anche questa è una delle cose che più mi ha impressio-
nato nella vita delle prime FMA a Mornese. Di quale autorità
si tratta? Della responsabilità femminile e autonoma (non
indipendente!) di guidare e organizzare l'Istituto: la prepa-
razione di madre Mazzarello e delle sue compagne all'eserci-
zio dell'autorità religiosa.
Voi siete cresciute fin dall'inizio comunitariamente, ed è
bello vedere con che stile e con quali modalità è nata tra voi
l'autorità. Si può dire che essa è proprio sbocciata da una
coscienza fraterna in vista dell'esigenza di assicurare la vita
della comunità, certo con l'intervento di don Bosco e della
sacra Gerarchia, ma in consonanza col cuore di tutte, per
realizzare la funzione indispensabile dell'autorità in un Isti-
tuto religioso.
Nel documento già tante volte citato delle relazioni fra i
vescovi e religiosi (al n. 13), si parla anche del servizio del-
l'autorità religiosa. In che cosa consiste? Ecco: « I superiori
svolgono il loro compito di servizio e di guida all'interno
dell'Istituto religioso in conformità dell'indole propria di
esso. La loro autorità procede dallo Spirito del Signore in
connessione con la sacra Gerarchia, che ha canonicamente
eretto l'Istituto ed autenticamente approvato la sua specifica
missione. Orbene, considerato il fatto che la condizione pro-
fetica, sacerdotale e regale è comune a tutto il popolo di Dio,
pare utile delineare la competenza dell'autorità religiosa
accostandola, per analogia, alla triplice funzione del mini-
stero pastorale, cioè di insegnare, santificare e governare
senza per altro confondere o equiparare l'una e l'altra
autorità».
E poi il documento evidenzia ognuno di questi tre aspetti.
Quanto all'« ufficio d'insegnare», la superiora dev'essere
una specie di maestra di spirito, di direttrice spirituale co-
munitaria secondo l'indole propria del carisma dell'Istituto.
Ha poi l'« ufficio di santificare», ossia di coltivare la forma-
117

12.10 Page 120

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zione, il perfezionamento del personale in vista della seque-
la di Cristo secondo lo spirito del Fondatore. Poi c'è l'« uffi-
cio di governare », ossia di distribuire e organizzare il perso-
nale e le comunità affinché la missione dell'Istituto possa
realizzarsi con efficacia e tempestività pastorali.
Maria Mazzarello, che veniva designata dalle altre come
la più atta a fare da superiora, era ben consapevole che un
tale delicato e complesso servizio non si poteva improvvisa-
re. In quei sette anni di Mornese c'è stata una preparazione
di corresponsabilità e di fiducia da parte di tutte. L'autorità
era un beneficio e una responsabilità comune. Ma, anche
così, la Mazzarello mostrò chiaramente che l'autorità si
assume solo per virtù; sentendosi di per sé impari a un sì
esigente ufficio, trovò una soluzione nel considerarsi vicaria
della Madonna, nell'essere sicura che in questo esercizio (che
non è di disuguaglianza e di superiorità, ma di servizio e di
fedeltà), riceveva aiuti speciali ed era accompagnata da Chi
aveva voluto che sorgesse la vocazione salesiana e questo
stesso Istituto. Per questo metteva gioiosamente le chiavi
di casa ai piedi della Madonna.
Aggiungiamo un'altra osservazione: se chi esercita l'auto-
rità religiosa ha i compiti indicati nel n. 13 del documento
citato, vorrà dire che un Istituto vive una vita ed ha un ordi-
ne interno in cui bisogna saper coltivare i valori dell'indole
propria, con un suo campo di competenza, al quale spetta
una genuina autonomia.
Leggiamo il testo: « Esiste dunque un ordine interno de-
gli Istituti, che ha un suo proprio campo di competenza a
cui spetta una genuina autonomia, anche se questa non può
mai, nella Chiesa, ridursi a indipendenza. Il giusto grado di
tale autonomia e la sua concreta determinazione di compe-
tenza sono contenuti nel diritto comune e nelle Regole o
Costituzioni di ogni Istituto ».
Dobbiamo pensare questo anche in famiglia: la prepara-
zione dell'autorità nello spirito di Mornese ha preparato
118

13 Pages 121-130

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13.1 Page 121

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\\
all'Istituto delle FMA la capacità di essere autonome rispet-
to ai Salesiani anche se, carismaticamente, con loro vinco-
late in dipendenza dal Fondatore. Autonome non significa
non-in-comunione, né indipendenti, nel senso che una parte
o un gruppo della Famiglia salesiana faccia ciò che vuole:
siamo infatti tutti dipendenti da don Bosco e dallo stesso
carisma. Vuol dire piuttosto che c'è uno spazio e tutta una
area di azione, che dipende dall'autorità specifica del pro-
prio Istituto, nell'ambito costituzionale della sua autonomia.
L'esercizio della vostra autorità è stato dunque preparato
a Mornese, in modo assai emblematico e illuminante, anche
se le modalità e lo stile non potevano essere se non quelli
dell'epoca. Don Bosco era molto accorto in queste cose pra-
tiche. L'Istituto non poteva nascere, in quel momento, se
non come una casa alle dipendenze della Congregazione Sa-
lesiana, con un direttore Salesiano. Però era preoccupazione
di don Bosco che ne derivasse un vero Istituto religioso a sé
stante, con superiore sue proprie, e che queste superiore
avessero l'autonomia sufficiente (secondo le possibilità del-
l'epoca) per farlo funzionare.
Tale autonomia dovrà crescere nello sviluppo dell'Istitu-
to, destinata com'è a maturare e a prendere forme più con-
crete, soprattutto oggi, in consonanza anche con la promo-
zione della donna. Crescita che non è in contrapposizione con
il primo elemento centrale dello spirito di Mornese, intera-
mente calamitato dal carisma salesiano che ci porta ad esse-
re insieme una sola Famiglia. Essa sottolinea però la neces-
sità di assumere proprie responsabilità e modalità proprie
di organizzazione e di strutturazione nel modo di vivere ed
agire dell'Istituto.
Ciò appare in forma sufficientemente suggestiva e chia-
ra nello spirito di Mornese, nella graduale preparazione di
madre Mazzarello e delle sue compagne a intraprendere il
servizio dell'autorità religiosa. Quando si paragona Maria
Mazzarello, quale era prima di entrare nelle Figlie dell'Im-
macolata, e quale ci si presenta nel 1879 partendo da Mor-
119

13.2 Page 122

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nese come Superiora generale di un Istituto ormai interna-
zionale e missionario, viene spontaneo chiederci: « Ma
come ha fatto? Come è avvenuto un cambiamento così stra-
ordinario? ».
Impressiona soprattutto il talento di governo della Maz-
zarello. Anche questo è stato un dono del Signore in lei, per-
ché ce n'era bisogno. Ma ciò che appare bello e significativo
per noi è che un simile passaggio è stato compiuto un po' da
tutte insieme! Sono state tutte le suore che, in definitiva,
hanno detto all'unanimità a madre Mazzarello: « Tu devi
essere la superiora», perché essa s'imponeva con le sue doti
e la sua maniera di fare, ma tutte l'hanno aiutata a fare,
tutte erano felici che lei fosse la superiora e cooperavano
con lei. Ecco una componente dello spirito di Mornese!
In questa fraterna collaborazione con l'autorità nell'Isti-
tuto io vedo il significato realistico e profondo del nostro
spirito di famiglia; mentre nell'aspetto di iniziale autono-
mia, pur nella quotidiana e fiduciosa comunione con i Sale-
siani incaricati da don Bosco, vedo la radice di ciò che deno-
miniamo oggi « Famiglia salesiana», nella quale siamo uniti
dai grandi valori del carisma salesiano e ci aiutiamo reci-
procamente con parentela carismatica, sempre però nel
rispetto delle caratteristiche e delle responsabilità proprie di
ogni Istituto.
c) Chiarezza della forma di vita religiosa
Un'altra esigenza dello spirito di Mornese è la volontà
esplicita e chiara di una forma di vita religiosa.
Mi spiego. In questi ultimi anni si è avvertita un po' dap-
pertutto, tra religiosi e religiose di vita attiva, una certa qual
tentazione di trasformarsi in Istituto secolare: se don Bosco
vivesse oggi - ci si dice - che cosa farebbe? Il suo progetto
di vita consacrata non sarebbe maggiormente in consonanza
con la figura dell'Istituto secolare?
120

13.3 Page 123

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Don Bosco invece ha voluto con chiarezza fare una Con-
gregazione religiosa, di noi e di voi. Per le FMA questo è
lampante come il sole, perché le ha tolte da una specie
Istituto secolare precisamente per farne una Congregazione
religiosa. A don Pestarino aveva detto: che optino quelle che
vogliono, senza nessuna pressione. Persino i ragazzi l'ave-
vano percepito: quando le prime due suore andate a Torino
per dare esami erano passate all'oratorio di Valdocco, tutti
i ragazzi dicevano con orgoglio: « Quelle sono le "nostre
suore"».
Don Bosco aveva suscitato nei suoi ambienti una familia-
re simpatia per l'Istituto. Egli intendeva veramente dare ini-
zio a una Congregazione religiosa, con le esigenze specifiche
della vita religiosa, in particolare con una forte sensibilità
per ciò che è comunità. È bello considerare oggi che voi siete
nate proprio in qualità di « religiose » quale espressione del-
lo stile di vita scelto dal Fondatore come primo e fondamen-
tale per realizzare il carisma salesiano.
Il nostro carisma può essere realizzato anche in altre
forme: di Istituto secolare (per esempio le Volontarie di
don Bosco - VDB), o di presenza ordinaria e secolare nel mon-
do, come i Cooperatori. Però alla radice di queste altre belle
possibilità ci sono due Istituti che vivono la consacrazione
religiosa: i Salesiani e le Figlie di Maria Ausiliatrice. Essi
devono infondere agli altri gruppi la capacità di costanza e
di resistenza contro le difficoltà.
Questo è molto importante. Ma la formazione a una pro-
pria vita religiosa don Bosco l'ha ottenuta con chiarezza e
duttilità, lasciando una certa larghezza di possibilità, e cer-
cando nell'ambito femminile persone competenti che appor-
tassero modalità pratiche e criteri validi per la nuova forma
di vita delle FMA. Non sentendosi egli stesso sufficientemente
competente nell'ambito della vita delle suore si è rivolto per
aiuto all'Istituto di S. Anna, che conosceva bene. Ma ha vo-
luto elasticità nei criteri e piena sintonia con il carisma sa-
121

13.4 Page 124

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lesiano. Tanto che don Bosco, e la stessa madre Mazzarello,
non hanno sempre accettato tutto quanto proponevano le
due suore di S. Anna (potete vederlo nel libretto di don Colli
che abbiamo citato sopra). Aveva mandato anche la signora
Blengini, forse per migliorare una certa finezza di tratto,
ma sempre in subordinazione al suo progetto di traduzione
al femminile della vocazione salesiana da lui iniziata.
È da notare, perché appartiene a quei sette anni e quindi
entra un po' nello spirito di Mornese, che l'elasticità e la
duttilità nella formazione alla vita religiosa comprendeva an-
che l'adattamento e perfezionamento delle prime Regole o
Costituzioni, non per relativizzarle, ma per metterle in tono
con la crescente esperienza salesiana della vita nello Spirito.
Anche l'abito, voluto e cercato come segno di vita reli-
giosa, era soggetto con una certa facilità a modifiche e a mi-
glioramenti, nel colore e nella forma. Si curava la sostanza
della vita religiosa in armonia con una ricerca duttile delle
sue forme esterne concrete, tenendo come criterio centrale
la fedeltà al carisma salesiano.
Dunque: chiara volontà di vera vita religiosa con duttile
adattamento, ma senza deviazioni verso altri stili di vita.
Vasti orizzonti
Vorrei presentare un ultimo punto circa l'impulso uni-
versale dello spirito di Mornese.
Non è uno spirito da serra, è uno spirito da universo.
Nel 1874 muore don Pestarino; a prima vista sembrerebbe
la fine dell'Istituto. Invece la reazione di don Bosco è: qui
bisogna crescere ed emigrare.
Il senso dell'universalità è legato al carisma salesiano e
al cuore di don Bosco, ma viene anche dalla sorprendente
crescita vocazionale e dall'ansia missionaria della Mazzarel-
lo e delle prime consorelle.
122

13.5 Page 125

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Possiamo enumerare alcuni fattori del carattere univer-
sale di tale spirito.
• Innanzitutto, la fecondi vocazionale. A Mornese arri-
vavano vocazioni continuamente, da tutte le parti, tanto che
le morti - purtroppo così numerose - non facevano paura.
La morte era di casa (e anche questo potrebbe essere un
aspetto del clima pentecostale in cui si viveva!), in parte
anche per certe condizioni di vita quotidiana un po' troppo
spartana. Ad ogni modo, la grazia della fecondità vocazionale
accompagna lo spirito di Mornese e gli imprime una fanta-
sia di futuro.
• Poi dobbiamo annoverare anche il coraggio della ma-
gnanimità, quasi in contrasto con la piccolezza del paese e
la mentalità contadina. Dopo soli quattro anni di vita si ini-
ziano le prime fondazioni a Borgo S. Martino, quindi a Tori-
no, poi in Francia, ecc.
Lo spirito di Mornese spinge all'audacia, a progetti gran-
di, a coraggiosa generosità, al sacrificio della separazione
per un maggior bene. Non è dunque uno spirito pusillanime,
timido, chiuso in paese e quasi comunitariamente narcisista:
no, no! È frutto d'amore coraggioso e magnanimo.
• Un altro elemento da ricordare, in questo aspetto dai
vasti orizzonti, è l'universalità missionaria.
Tre anni dopo la morte di don Pestarino c'è la prima spe-
dizione missionaria salesiana che, se porterà via material-
mente da Mornese don Cagliero, dilaterà smisuratamente
nelle FMA le ansie del proprio apostolato. Don Cagliero ha
contribuito a creare, e lo si vede anche nelle lettere della
Madre, tutto un senso di amore, di utopia, di ardore, di so-
gno per le missioni d'America. Aveva fatto esplodere nella
piccola casa l'universalità missionaria; e voi che oggi siete
qui così numerose e convenute da molte parti del mondo,
123

13.6 Page 126

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date una testimonianza inconfutabile di questo carattere
missionario e universale.
• Infine, c'è ancora di prn: l'apertura al trapianto totale.
Nello spirito di Mornese c'è il trapianto totale della stessa
prima comunità di Mornese. Si va a Nizza nel 1879. con-
tinuerà lo stesso spirito nato e cresciuto a Mornese, ma dob-
biamo dire che non è più « di Mornese » nel suo specifico
senso geografico. Ormai è uno spirito che è cresciuto, che è
robusto, che può essere trapiantato.
Quando madre Mazzarello s'allontana dal paese della sua
vocazione, lasciando i suoi genitori vecchi, per andare a Niz-
za, sta dimostrando che lo spirito di Mornese è maturo, può
essere già seminato altrove e sarà in grado di crescere se-
condo le esigenze climatiche del posto. Non è un insieme di
norme da praticare e da imitare materialmente: è un'espe-
rienza viva, un arbusto sano suscettibile di trapianto; situato
in altre zolle, vive e cresce secondo il clima, e si adatta alle
esigenze di quelle zone: all'Uruguay, all'Argentina, alla Fran-
cia, a tutta l'Europa, al mondo intero. La casa-madre prima
è qui, poi a Nizza, poi a Torino, e ora a Roma.
È diventato uno degli Istituti più numerosi nella Chiesa
di Cristo. Oggi gli orizzonti dello spirito di Mornese sono di-
venuti così vasti che alla fin fine un osservatore esterno può
dimenticare perfino il paese di Mornese. Che meraviglia!
Lo spirito cresciuto qui a Mornese in quei sette anni ha
ora la forza, la potenza vitale, la capacità di resistenza, l'im-
pulso di crescita, la duttilità di adattamento per qualunque
clima mondiale.
Vedete che belle e grandi realtà sa operare il Signore
anche da cose piccole! Appunto come dicevamo il primo gior-
no incontrandoci in chiesa: il Signore ha fatto cose grandi
con persone umili. Ringraziamolo insieme e con gioia per lo
spirito di Mornese.
124

13.7 Page 127

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ORA PRIVILEGIATA
DELLA VITA NELLO SPIRITO
PRIMA PARTE
LA SFIDA DEI CAMBIAMENTI
SOCIO-CULTURALI
ORA DI CRISI: ORA PENTECOSTALE
l PIÙ INCISIVI SEGNI DEI TEMPI
a) Accelerazione della storia
b) Processo di personalizzazione
c) Processo di socializzazione
d) Processo di secolarizzazione
e) Processo di liberazione
LA DIMENSIONE CULTURALE E SOCIOPOLITICA
CI INTERPELLA
UN NUOVO SENSO DI RESPONSABILITÀ
SEGNI DI SPERANZA
Più chiara coscienza della propria identità
Rinnovamento della preghiera
Rivalutazione della croce
URGENZA DI UNA RISPOSTA
, 125

13.8 Page 128

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SECONDA PARTE
NUOVA PRESENZA DELLO SPECIFICO
RELIGIOSO
LA SOCIETÀ DEL FUTU RO HA BISOGNO
DELLA VITA RELIGIOSA
RISCOPRIRE L'ATTUALITÀ DELLA SANTITÀ
a) La riscoperta dell'interiorità con Cristo
b) La riscoperta dell'impegno storico
Lo SPECIFICO RELIGIOSO NELLA RISCOPERTA
DELLA SANTITÀ
a) Confronto tra vita consacrata e vita laicale
b) Confronto tra vita religiosa e vita consacrata
c) Confronto tra vita salesiana e vita religiosa
L'IMPEGNO TOTALIZZANTE DELLA PROFESSIONE
RELIGIOSA
URGENZA DI SANTITÀ
126

13.9 Page 129

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PRIMA PARTE
LA SFIDA DEI CAMBIAMENTI SOCIO-CULTURALI
Cerchiamo di riflettere un po' sull'ora di trapasso cultu-
rale in cui viviamo. È infatti un'ora che tocca direttamente
gli aspetti della stessa vita religiosa. D'altra parte per il po-
polo di Dio è un'ora pentecostale, perché comporta una spe-
ciale presenza dello Spirito Santo, che aiuta la sua Chiesa
- e quindi gli Istituti religiosi - ad affrontare i problemi
che le nuove realtà presentano.
Tema sofferto, perché lo sperimentiamo nelle carni vive
tutti i giorni, e tema che non finisce in gloria, perché alla
fine non si trova il pacchetto delle soluzioni, ma solo l'im-
postazione di alcuni problemi. Un tema, però, che ci aiuta a
crescere nella volontà di vivere sempre meglio con lo Spirito
Santo, anche perché senza di Lui non siamo capaci di andare
avanti.
Ora di crisi: ora pentecostale
Ho detto « un'ora pentecostale ». Questo aggettivo indica
subito che partiamo da una visione positiva dell'ora in cui
viviamo, vista come l'aurora di una nuova giornata, anche
se non sappiamo come sarà poi il seguito della giornata.
Non mancano argomenti per dimostrarlo. Partendo dal-
l'affermazione di Paolo VI, che oggi la Chiesa vive un mo-
mento privilegiato dello Spirito, e ricordando ciò che abbia-
127

13.10 Page 130

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mo letto in Paolo e Luca sulla presenza dello Spirito Santo,
noi possiamo vedere oggi, nelle due linee da loro segnalate,
una doppia visita dello Spirito Santo; lo sentiamo cioè pre-
sente nella nostra ora, anzitutto nel suscitare santi.
Sarebbe difficile per noi fare la lista dei santi nostri con-
temporanei. Però di alcuni ci accorgiamo: chi non si accorge
che Paolo VI è stato un regalo dello Spirito Santo alla Chiesa?
Egli realmente è un profeta del secolo XX. Potremmo, inol-
tre, fare il nome di laici fedeli a Cristo, pieni di Spirito San-
to, di religiosi e religiose famosi nel mondo, di sacerdoti e
di vescovi. Ognuno di noi può fare una lista di nomi concre-
ti. Ma non sentiamo solo la visita dello Spirito Santo nella
linea dell'interiorità che fa crescere i santi: anche in certi
eventi storici che la Chiesa e il mondo vivono.
Uno degli avvenimenti più grandi del secolo XX - e lo
si dirà ancor più quando lo si potrà vedere dall'angolatura
della storia - è il Vaticano II, che proprio da Giovanni XXIII
è stato chiamato una nuova Pentecoste. Aria nuova per la
Chiesa! Che ha lanciato in orbita tutto ciò che suole scate-
nare lo Spirito Santo: basti pensare ai movimenti della
Chiesa in questi quindici anni!
Per noi religiosi pensiamo ad esempio ai sofferti Capi-
toli Generali Speciali, tanto positivi e provvidenziali, anche
se alcuni sono finiti con spezzature o con sospensioni (dico-
no che lo Spirito Santo entra in casa talvolta aprendo gen-
tilmente la porta, e talvolta invece entra per la finestra rom-
pendo i vetri).
Dunque, dire « pentecostale » non è solo riconoscere il
fatto che c'è un Dio presente nella nostra storia, questa che
viviamo adesso; ma è anche ammettere che dobbiamo vive-
re di speranza, di allegria, di progettazione, di senso di re-
sponsabilità perché Dio ci chiama a fare cose molto im-
portanti.
Ecco: dire pentecostale significa dunque scegliere una
angolatura di coscienza che considera con realismo la pre-
128

14 Pages 131-140

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14.1 Page 131

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senza di Dio, la cui conseguenza più logica - e magari pm
pericolosa - è quella di porre fine alla nostra comodità.
Perché lo Spirito Santo non lascia comodi. Ritornate al mat-
tino di Pentecoste là a Gerusalemme e vedrete. La gente
esclama: « Ma quelli hanno bevuto, non sono più gli stes-
si di prima! ». Se è vero che viviamo un'ora di Spirito Santo,
vuol dire che dobbiamo scuoterci, che quest'ora non può es-
sere la continuazione dello stile di vita di prima. Dopo la ve-
nuta dello Spirito Santo dobbiamo apparire un po' « ubria-
chi ».... come gli Apostoli.
Questa visita dello Spirito Santo nella nostra ora storica
è in sintonia con i segni dei tempi. Io non voglio dire che i
segni dei tempi sono stati suscitati dallo Spirito Santo. I se-
gni dei tempi sono la crescita umana; è l'ora della creazione
di Dio Padre che si muove, che esplode, che cresce. I segni
dei tempi non vengono, di per sé, dal Vangelo o dalla mis-
sione specifica del Figlio o dello Spirito Santo, anche se l'in-
tervento del Signore e dello Spirito nel mondo non può non
influire su di essi.
I segni dei tempi procedono da Dio, senz'altro, perché
tutta la creazione viene da Lui, ma si muovono propriamen-
te nella linea della crescita umana. Quindi non si può dire
che un segno dei tempi è lo Spirito Santo: non lo è! Neppu-
re lo è il Vangelo e neppure Gesù Cristo: si tratta di una
realtà umana, che però è in sintonia con l'attuale visita del-
lo Spirito Santo.
Noi potremmo dire che lo Spirito Santo ci è venuto a
visitare in forma speciale, proprio perché ci sono state delle
esplosioni: i valori della creazione sono cresciuti, questi se-
gni dei tempi hanno provocato delle novità, delle situazioni
completamente inedite, quindi con problematiche e con dif-
ficoltà sia per la Chiesa come tale in tutta la sua missione,
sia per i membri della Chiesa e i gruppi credenti, come sono
gli Istituti religiosi.
E allora c'è bisogno dello Spirito Santo non per rivelarci
cose nuove, ma per aiutarci ad approfondire il Vangelo, la
129
9

14.2 Page 132

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rivelazione di Cristo, per scoprirvi qual è la risposta evange-
lizzatrice, qual è la parola salvatrice di queste novità. Quindi
visita dello Spirito Santo e crescita umana, presenza specia-
le di Dio e ingrandimento dell'uomo non sono due poli in
opposizione, sono due momenti in sintonia. Certamente pos-
sono anche entrare in opposizione. Però tocca a noi metterli
in sintonia.
Lo Spirito Santo è venuto ad aiutarci appunto in un mo-
mento difficile per poter condurre la nostra p ersona, il no-
stro Istituto, la Chiesa, l'umanità per la via della salvezza in
armonia con i segni dei tempi. Siamo invitati al dialogo con
le realtà umane. Direi, quasi, che la storia ha aperto una spe-
cie di sessione di esami, con possibilità di promozione o di
bocciatura per noi religiosi. Chi non supera positivamente
questo esame rimane indietro... E le domande degli esamina-
tori non sono tanto semplici; non dico che le faccia il diavo-
lo, ma le fa il mondo, le fa la cultura, le fa la situazione poli-
tica, le fanno i segni dei tempi.
Per questo si può parlare di una sfida: la sfida dei cam-
biamenti socio-culturali. È una sfida perché ci provoca ad
essere noi stessi, ci appella ad un esame di identità, di fedel-
tà al Fondatore, di apertura allo Spirito Santo, di entusia-
smo per l'uomo e per la sua crescita.
Una delle frasi attraenti del Testamento di Paolo VI è
l'affermazione della bellezza del mondo! Il compianto Papa
parla con entusiasmo della vita, della terra, della natura;
però dice: « Noi non dobbiamo essere del mondo e accetta-
re semplicemente le cose del mondo; dobbiamo amarlo, dob-
biamo studiarlo, dobbiamo servirlo, dobbiamo salvarlo ». È
la dimostrazione del positivo amore cristiano per il mondo.
Non dobbiamo lasciarci annegare dalle attrattive che esso
presenta, che sono ambigue e che - come abbiamo detto -
per il peso storico del peccato possono mutarsi anche in for-
tissimi disvalori, capaci di annegare le verità e le grandezze
della vita nello Spirito.
Nel dare una risposta alla sfida dei cambiamenti socio-
130

14.3 Page 133

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culturali noi non siamo soli: lo Spirito Santo ha mosso la
Chiesa e i gruppi dei credenti in tanti modi e continua a illu-
minarli. Il Vaticano II ci ha offerto fari enormi di luce per
orientarci. I Sinodi dei vescovi, i nostri Capitoli Generali
Speciali, le riunioni dei superiori generali, delle superiore
generali, i servizi del Magistero in genere... sono tutti aiuti.
Non siamo isolati né sguarniti. C'è tutto un movimento di
persone e di iniziative, proprio per rispondere alla sfida che
il mondo ci pone. L'ora in cui viviamo ci chiede di pensare
alla nostra fedeltà religiosa, non più in situazione di conti-
nuità e di distensione statica, ma in situazione dinamica, di
intelligente ritorno alle fonti con creatività verso il futuro.
I più incisivi segni dei tempi
Ma quali sono i principali segni dei tempi che lanciano
questa sfida? Eccoci di fronte a un tema enorme! Se è vero
che i segni dei tempi sono una crescita in umanità, sapete
che cosa toccano? TUTTO! E toccano tutto perché toccano
l'uomo nella sua maniera di essere, di agire e di convivere;
quindi trasformano la mentalità, lo stile di vita e i metodi
di azione. Vediamone alcuni.
a) Accelerazione della storia
Per l'accelerazione della storia oggi - come diceva il
card. Suenens al Concilio - in cinque anni si sperimenta e
si vive ciò che si captava prima in un secolo. Capite che cosa
vuol dire che una persona cambi « di un secolo » sei o sette
volte nella vita?
E voi che siete superiore lo sentite ancor di più... Gover-
nare dieci anni fa non era la stessa cosa che oggi. Non biso-
gna però vivere all'insegna della paura: bisogna avere la
gioia di vivere il ministero ricevuto, con immensa fiducia
nell'aiuto dello Spirito.
131

14.4 Page 134

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Già don Bosco - come egli stesso ci dice - andava avan-
ti secondo glie lo permettevano le circostanze, con duttilità
e adattamento, con correzioni di rotta e con speranza. Oggi
ancor più, anche nel piccolo del nostro mondo: talvolta si
comincia l'anno, si fa la riunione della comunità, si stila una
specie di programmazione, e dopo tre mesi bisogna intro-
durre modifiche anche non lievi, perché sorgono situazioni
nuove e impreviste.
Nell'ambito della vita sociale questo fenomeno è ancora
più intenso e complesso. C'è tutto un movimento della scien-
za umana, della tecnica, della convivenza politica che modi-
fica continuamente situazioni e progetti e fa costatare ai
responsabili di non poter avere più in mano le risposte dog-
matiche per ogni cosa, perché ormai siamo tutti in situazio-
ne di ricerca. Attenti, però, a non arrivare al punto di essere
alla ricerca persino della fede!
Ci sono cose che sono sicure e certe: per esempio quelle
che abbiamo meditato in questi giorni sulla vita nello Spi-
rito. Però tanti aspetti culturali che costituiscono il tessuto
di ogni giorno, l'organizzazione della scuola, la presenza apo-
stolica nell'ospedale, la mentalità dei giovani, l'attuale pro-
blematica dei genitori, ecc. non si possono affrontare più
con formule fatte. Bisogna ricercare, pensare, consigliarsi,
studiare. Giustamente si parla tanto oggi di formazione per-
manente; non è un gusto della moda, è una esigenza indi-
spensabile dell'ora attuale.
Le riunioni (anche se qualche umorista le ha definite
come malattie) sono indispensabili, perché dove non c'è più
la formula fatta, la norma tradizionale o l'indicazione pre-
cisa per rispondere a domande vitali, lì sorge impellente il
bisogno di consiglio. Uno solo non può saper tutto; bisogna
mettersi d'accordo tra responsabili. E per questo bisogna
riunirsi. Mai ci sono state tante riunioni di vescovi, di supe-
riori, mai un consiglio generalizio, un consiglio ispettoriale
ha funzionato così collegialmente come adesso. Chi non fa
132

14.5 Page 135

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così, sbaglia. Chi va solo con la sua testa, si addossa una tre-
menda responsabilità!
Ecco un primo segno dei tempi: la accelerazione della
storia, non come velocità 'record', ma come espressione di
una evoluzione culturale profonda. Alcuni la sentono talvol-
ta fino allo scoraggiamento, fino ad avere timore di esprime-
re il loro parere in pubblico per una specie di complesso di
inferiorità. Un simile atteggiamento sarebbe pericoloso e
dovrebbe essere sanato da una più intensa vita nello Spirito.
Maria Mazzarello non si sentiva emarginata, perché era pie-
na di Spirito Santo, anche se poteva riconoscersi cultural-
mente sottosviluppata.
b) Processo di personalizzazione
Altro segno dei tempi: il processo di personalizzazione,
ossia la crescita del senso di dignità personale. Non solo per-
ché c'è tutto un mondo di scienze che approfondiscono l'io
- e questo è già molto importante - ma perché nel costu-
me sociale e nella convivenza si prende sempre più in con-
siderazione la libertà, la scelta e la decisione di ognuno, non
poche volte anche esagerando. Basta vedere che cosa sta
succedendo con la gioventù.
Questo tocca intimamente la maniera di trattare tra per-
sone: la maniera di far funzionare l'obbedienza, per esem-
pio. Non è che la personalizzazione faccia sparire l'obbedien-
za, però la fa funzionare dal di dentro, con il convincimento,
non semplicemente con una sottomissione meccanica. Ciò
è più autentico: ma è anche più complesso ottenerlo.
C'è da rendersi umili, c'è da rinnovare la propria menta-
lità, c'è da imparare un cumulo di cose, ma tutto ciò con-
corre alla crescita della persona, che è certamente un bene.
Tra chi obbedisce così, meccanicamente senza esercizio co-
sciente della propria libertà, e chi lo fa per convinzione in-
teriore, forse anche con ripugnanza pensando che in definì-
133

14.6 Page 136

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tiva realizza un atto di filiazione al Padre, vi è un enorme
salto di qualità.
Il problema sta nel saper costruire la capacità di far fun-
zionare la propria libertà nel sistema religioso. Il processo
di personalizzazione allora tocca tutto: la nostra maniera di
vivere i voti, di pregare, di convivere in comunità, di fare
apostolato, ecc., soprattutto in un ambiente che comporta
un pluralismo di idee. La personalizzazione fa sentire tanto
più necessario l'apprendimento e la crescita nella pedagogia
del dialogo.
c) Processo di socializzazione
Altro segno dei tempi che tocca tutto: il processo di so-
cializzazione, nel senso detto da Papa Giovanni: ossia di in-
corporazione attiva e responsabile di ognuno nella conduzio-
ne delle cose comunitarie, sociali, del quartiere, della città,
della politica, dell'azienda, dei sindacati, del partito, anche
dell'Istituto religioso. Per cui ognuno deve sentirsi - secon-
do le sue capacità e il suo ruolo - protagonista di ciò che
costituisce la realtà in cui vive come membro. E questo è
bello!
Vuol dire che non si può più concepire la convivenza uma-
na di un popolo che non sia democratico. E vuol dire per noi
che non si può considerare un Istituto come una cosa esclu-
siva dei superiori. A Mornese non è mai stato così!
Una tale idea sbagliata, apparsa anche nei nostri ambien-
ti a causa dello stile culturale della prima metà del secolo,
non è più accettabile oggi. Un Istituto non può reggersi con
stile fascista o paternalistico o maternalistico; è una comu-
nione di fraternità con partecipazione attiva di tutti, anche
se in forma organica. Quindi bisogna sviluppare la correspon-
sabilità di tutti: per questo occorrerà talvolta muoversi
più lentamente e pazientare un po' per ottenere fusione e
armonia. Senza paziente pedagogia non si arriva alla corre-
sponsabilità.
134

14.7 Page 137

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Quindi, il processo di socializzazione comporta un nuovo
stile di comunione fraterna in casa, e una rinnovata metodo-
logia pastorale in favore della partecipazione più attiva dei
giovani e dei laici.
d) Processo di secolarizzazione
Il processo di secolarizzazione, che manifesta e sviluppa
il senso autonomo delle realtà umane, è un altro segno dei
tempi che tocca tutto. Il Vaticano II lo ha detto con chiarez-
za: le realtà umane non sono semplici mezzi, hanno una loro
propria finalità, sia pure subordinata; in questo senso com-
portano una metodologia propria.
La pedagogia, per esempio, è una scienza umana che stu-
dia il rapporto tra un ragazzo e un adulto in vista della ma-
turazione sociale della libertà dell'educanda. Ciò comporta
dei princìpi e tutta una fenomenologia con un suo proprio
settore scientifico. Che poi l'educazione concreta debba ten-
dere all'ultimo fine che è la salvezza, a cui non si può arri-
vare se non attraverso Gesù Cristo, questo è un discorso che
bisogna saper fare come educatori cristiani. Ma la pedagogia
di per sé non si deduce dal Vangelo.
Così nel campo politico dobbiamo saper ammettere, non
certo il laicismo, ma certamente la laicità dello Stato, con i
valori temporali che la accompagnano e che devono essere
studiati e trattati secondo la natura loro intrinseca.
La scuola, per esempio, è una istituzione culturale; non è
di per sé una struttura ecclesiale, quindi ha tutta una natu-
ra, un insieme di meccanismi e di esigenze proprie che noi
dobbiamo riconoscere e rispettare (anche se questo non vuol
dire che non si possa fare la scuola per condurre a Cristo i
ragazzi). Ciò significa, p erò, che urge ripensare tutta la scuo-
la in profondità, secondo la sua natura culturale.
Parlare di « scuola cattolica » oggi, significa affrontare
un problema delicato e bisognoso di serio approfondimento
135

14.8 Page 138

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che, ben risolto, renderà molto più affascinante la scuola
cattolica del futuro. Non per nulla la Sacra Congregazione
dell'Educazione Cattolica ha voluto fare un documento la
cui stesura è costata anni di riflessione e di discussione.
Siccome il termine «cattolico» è un qualificativo analogo
e non univoco, ci può essere un tipo di scuola cattolica tra
i pagani come a Hong Kong, ci può essere una scuola che sia
nient'altro che un seminario, ce ne possono essere altre di
tipo pluralistico in Europa con cattolici, con credenti non
cattolici, con non credenti, con atei, ecc.
Che cosa vuol dire, in questi casi, « scuola cattolica?».
Ecco un problema di attualità. Noi non stiamo ora trattan-
do il tema della scuola, ma vedete che il processo di secola-
rizzazione tocca nel vivo le nostre attività e i nostri impegni
apostolici.
Questo implica grossi problemi, anche per i religiosi, SO·
prattutto per noi Salesiani che siamo situati nell'area cul-
turale e quindi in continuo dialogo con i valori secolari.
D'altra parte c'è anche da riconoscere che su tali valori
pesa storicamente il peccato, così che il processo di secola-
rizzazione può facilmente degradarsi a secolarismo deleterio.
Dunque ci sentiamo interpellati con una sfida difficile;
abbiamo urgente bisogno dell'aiuto dello Spirito Santo per
non diventare secolaristi. Non è improbabile oggi lasciarsi
sedurre da ideologie orizzontaliste e danneggiare l'intenzio-
nalità cristiana delle nostre istituzioni educative. Chiedia-
mo con insistenza luci e doni al Signore per un sano discer-
nimento che ci guidi cristianamente e religiosamente nell'at-
tuale processo di secolarizzazione.
e) Processo di liberazione
Indichiamo infine un altro segno dei tempi che tocca tut-
to: il processo di liberazione, ossia della crescita in libertà
e progresso dei popoli, soprattutto del terzo mondo.
136

14.9 Page 139

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È la Chiesa stessa che ci parla della liberazione. C'è sta-
to un Sinodo dei vescovi che ha trattato dell'impegno per
la giustizia, con riferimento all'ambiente socio-politico. I
Papi hanno scritto encicliche famose al riguardo. È vero
che questo problema è più sentito nel terzo mondo (per
esempio in America Latina) che in Europa e in USA, dove
trionfa la società del consumismo. Tuttavia è un problema
che non si può assolutamente ignorare in nessuna regione
del mondo; è un processo irreversibile che coinvolge tutti
i popoli. Se non ci si mette dentro con lo Spirito Santo, è
facile lasciarsi plagiare dal politicismo o rimanere fuori del-
la storia.
L'ultima Plenaria della Sacra Congregazione dei Religiosi
ha studiato proprio questo tema, in vista dei delicati pro-
blemi registrati in non pochi Istituti.
Ecco, vi ho elencato alcuni dei principali segni dei tempi.
Essi non costituiscono la vita religiosa; però la vita religiosa
non può prescindere da essi. La genuinità del nostro rinno-
vamento nello Spirito deve essere raggiunta in consonanza
con ciò che è l'uomo d'oggi, con la cultura e lo stile di vita
che ci circonda, per essere segni efficaci di Dio nel nostro
tempo.
La dimensione culturale e sociopolitica ci interpella
Gli attuali cambiamenti, con la loro dimensione cultura-
le e sociopolitica, ci interpellano seriamente. Ma perché dob-
biamo lasciarci interpellare? Per varie ragioni!
Sarebbe già sufficiente dire: perché siamo uomini di
oggi. Ma ci sono anche altre ragioni in rapporto con la no-
stra fedeltà alla vita nello Spirito Santo.
Una prima ragione si ritrova nella nostra stessa vocazio-
ne salesiana, legata per missione alla dimensione culturale
137

14.10 Page 140

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e sociopolitica. Intendiamoci subito e bene: quando dico
« sociopolitica », parlo del significato generale e fondamen-
tale della parola, nel senso che siamo cittadini con respon-
sabilità e corresponsabilità, che collaboriamo nella costru-
zione della nuova società.
Don Bosco non ha mai voluto fare politica, è vero, ma è
stato un gran cittadino ed ha sempre voluto educare buoni
cittadini; ha fatto opera di concreta e utile promozione uma-
na. Il famoso nesso pratico tra evangelizzazione e promozio-
ne umana don Bosco ce l'ha istillato così profondamente
che a volte qualcuno non capisce neppure perché ci sia oggi
una problematica al riguardo.
Chi spiega, altrimenti, le missioni salesiane legate al pro-
gresso concreto degli indigeni, le opere più caratteristiche
vincolate al senso civile e professionale, l'oratorio con il tea-
tro, la banda, le passeggiate e tante iniziative culturali, le
scuole professionali così caratteristiche e promozionali, ecc.?
Don Bosco ha lasciato scritto, nel Proemio del primo ab-
bozzo delle Costituzioni del 1858, che noi ci facciamo reli-
giosi per aiutare a costruire la civile società. Certo, nella
mente di don Bosco la società senza religione non è più
umana.
La situazione sociopolitica nel secolo scorso distruggeva
la religione nel popolo. Che cosa ha fatto don Bosco? Ha
creato i Salesiani affinché tra i giovani e il popolo cresces-
sero insieme religione e politica politica » nel senso socia-
le del termine). Don Bosco ci ha voluti per aiutare a risol-
vere i problemi del tempo.
Ma, anche se egli non ci avesse tramandato tutto questo,
il fatto che noi siamo inviati alla gioventù di oggi ci obbliga
ad assumere concrete responsabilità di promozione umana.
La nostra missione infatti unisce intimamente tra loro l'a-
zione pastorale e l'attività culturale. La caratteristica nostra
non è di essere semplici catechisti, ma di essere educatori
cristiani; noi non possiamo fare solo « religione », ma dob-
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15 Pages 141-150

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15.1 Page 141

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biamo impegnarci in una promozione umana in cui brilli la
luce del Vangelo e si conduca la gioventù verso il fine ulti-
mo attraverso Cristo. Capite ora perché la dimensione so-
cioculturale ci interpella, proprio come dato esplicito della
nostra vocazione salesiana?
Un'altra ragione: questa dimensione culturale sociopoliti-
ca è presa in particolare considerazione e raccomandata dal
Concilio Ecumenico Vaticano Il, il quale ha mostrato pro-
prio in questo campo una grande originalità, e ha riveduto
a fondo le relazioni Chiesa-mondo. La Costituzione pastorale
Gaudium et spes presenta una nuova maniera di concepire
la Chiesa nel mondo al servizio dell'umanità, tanto da far
dire ad alcuni che il Vaticano II era stato più umano che
divino.
Paolo VI nell'omelia del 7 dicembre 1965, penultimo gior-
no del Concilio, precisò le intenzioni del Concilio con parole
molto chiare: Il Concilio « si è rivolto», ma non ha « devia-
to » verso l'uomo; ha fatto la svolta antropologica insieme
con l'uomo, ma non ha affermato nessun antropocentrismo.
Tra svolta antropologica e antropocentrismo c'è una diffe-
renza enorme: antropocentrismo significa entusiasmarsi tan-
to per l'uomo da dimenticare Dio, ponendo l'uomo al centro
di tutto. Per svolta antropologica si intende, invece, cammi-
nare con l'uomo nella sua crescita umana, continuando ad
essere portatori di Dio.
Il Concilio ci ha lanciati per questa strada, non solo nella
Gaudium et spes, ma anche nel decreto Perfectae caritatis;
parlando del rinnovamento della vita religiosa vengono dati
i due poli del rinnovamento: bisogna ritornare alle fonti,
ma in sintonia con le esigenze dei tempi.
Proprio nel senso dell'acuto slogan che si diceva tra noi:
« con don Bosco e con i tempi », e non invece « con i tempi
di don Bosco».
C'è infine l'appello della Chiesa, attraverso il Sinodo dei
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15.2 Page 142

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Vescovi, a tutto l'impegno per la giustizia, per i diritti umani;
il documento sui mezzi della comunicazione sociale che gui-
da a vederli in forma positiva per assumerli in tante attività
della vita della Chiesa. Noi educatori dobbiamo essere tra i
primi ad interessarcene. Questi mezzi di comunicazione so-
ciale comportano un cambiamento molto notevole, tutto un
modo nuovo anche con pericoli inediti; un atteggiamento di
pluralismo, di maggior senso del rispetto, di libertà, insom-
ma di quei processi umani di cui abbiamo parlato prima e
che richiedono da noi un cambio di mentalità.
Anche il documento sull'ecumenismo e quello sulla liber-
religiosa ci fanno vedere come la Chiesa ha cambiato at-
teggiamento verso i cristiani non-cattolici e verso i non-cre-
denti, ecc. Era l'idea di Papa Giovanni nel lanciare il Vatica-
no II: trovare tra tutti quello che ci unisce per poter cresce-
re nell'unità.
Questo è enorme: guardate che cosa comporta per noi
l'essere fedeli a don Bosco, per esempio, nella evangelizzazio-
ne riguardo ai Protestanti: non possiamo imitarlo material-
mente, ma dobbiamo imitarlo nell'intenzione, nell'intelligen-
za, nel sacrificio, nella capacità di lavoro, nella preoccupazio-
ne. Dobbiamo tenere in conto questa metodologia nuova
che vuole la Chiesa.
C'è anche un'altra ragione: il sorgere di implicanze e di
problemi nuovi. Ne indico alcuni.
L'urgenza di una crescita culturale (e chi non se ne ac-
corge?). È indispensabile per tutti, oggi, crescere in sapere e
111 saggezza!
Il coinvolgimento nella dimensione sociopolitica. Vi porto
un solo esempio. Noi certo non abbiamo voluto la legge del-
l'aborto. Ma la legge è un dato di fatto e ci obbliga a deter-
minate scelte in campo educativo e operativo, per esempio
negli ospedali.
140

15.3 Page 143

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L'influsso del valore di comunione per chi vive in comu-
nità dal punto di vista delle differenze di mentalità: trent'an-
ni fa non c'era il pluralismo che c'è adesso. Esso cambia lo
stile della carità fraterna. È indispensabile saper fare comu-
nione con mentalità differenti; non è una soluzione quella di
mettere tutti i conservatori in questa comunità, tutti i pro-
gressisti in quell'altra, e in quest'altra tutti quelli che stanno
nel mezzo. Urge saper stare insieme e far vedere che l'Euca-
ristia e la carità sono più forti delle nostre differenze.
L'influsso sullo stile di vita, lo vogliamo o no, è forte; e
dobbiamo saper discernere le vere necessità dalle velleità
di novità o dall'affievolimento della fede.
L'influsso sulla scelta e sul funzionamento delle opere:
dobbiamo riflettere sulle modalità del loro funzionamento,
sui nostri destinatari, sul sistema preventivo che ha ancora
tutto il suo valore, anche se deve essere adattato ai tempi ...
sono tutti problemi che dobbiamo pur affrontare.
A questo punto potrebbe sorgere in noi un po' di sgomen-
to, perché non abbiamo una formula finale; abbiamo però
lo Spirito Santo. Anche se ci fa lavorare sodo!
Un nuovo senso di responsabilità
Questa interpellanza esige da noi un nuovo senso di re-
sponsabilità. È indispensabile affrontare con coraggio la
realtà. E, come abbiamo detto, se intensifichiamo la vita
nello Spirito, lo faremo con gioia, pace, fiducia in Dio che ci
ha chiamati a quest'ora di ricerca.
Desidero lasciarvi un po' la sensazione di essere lanciati
alla ricerca; di dover impegnare tutta la nostra intelligenza e
tutta la nostra capacità per una soluzione valida dei proble-
mi. Non c'è tempo per dormire; siamo in barca e c'è la tem-
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15.4 Page 144

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pesta. Tutti dobbiamo tirare una vela o muovere un remo
per aiutarci a superarla.
Purtroppo di fronte a questa implicanza di maggiore re-
sponsabilità si costata un fatto che ho sentito commentare
in riunioni di superiore generali. Nei confronti di vari Isti-
tuti femminili si rileva una certa lentezza in questo campo,
e il permanere di una certa metodologia di vita « per mino-
renni »; cosa fortemente in contrasto con l'attuale promozio-
ne della donna.
Vi ho riportato questo giudizio della Presidenza dell' UISG
perché penso che ci sarà certamente anche tra voi una simi-
le problematica: è impossibile infatti in un Istituto grande
fare tutto in una volta.
La stessa superiora però, dopo avere segnalato tale difet-
to, quantitativamente impressionante, ha aggiunto che si
riscontra un numero sempre più qualificato di religiose
orientate alla crescita in questo nuovo stile culturale, con
viva coscienza di fedeltà alla vita consacrata. Purtroppo c'è
da aggiungere che sono apparse anche deviazioni: di secola-
rismo, di allontanamento dalle forme di vita religiosa a fa-
vore dello stile degli Istituti secolari, di attivismo promozio-
nale, di politicismo, ecc.
Questa situazione dimostra che bisogna affrontare deter-
minati problemi. Per esempio questo: come si fa oggi ad
impegnarci seriamente nelle realtà temporali conservando
la chiarezza religiosa? Come si deve operare nel settore so-
cio-politico rimanendo veramente fedeli al carisma di fon-
dazione? Con quali criteri dare vita a piccole comunità in
quartieri popolari?
Di fronte a problemi tanto delicati e complessi, urge avere
coscienza che è necessario correre qualche rischio . Non c
ora pentecostale senza rischio. Don Bosco ha corso tanti
rischi nella sua vita!
Nella ricerca delle varie soluzioni bisogna evitare due
alienazioni facili.
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15.5 Page 145

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La prima è l'alienazione spiritualistica, che pretende ri-
solvere questi problemi rifugiandosi solo in atteggiamenti
piuttosto intimistici: un po' di « angelismo » che si sottrae
alla realtà. Il cristianesimo non è uno spiritualismo, ma una
spiritualità. Ossia è un vivere la realtà umana con il senso
dello Spirito.
L'alienazione opposta è quella secolaristica, che pensa di
essere autentica solo perché assume, senza discernimento,
le posizioni del mondo, gli atteggiamenti di moda, una men-
talità secolaristica, senza pensare all'importanza dello spe-
cifico religioso da dimostrare agli altri, appunto per il bene
della società e per la promozione umana.
Segni di speranza
Non voglio concludere senza evidenziare alcuni segni di
s peranza.
• Innanzitutto, una più chiara coscienza della propria
identità.
Se noi consideriamo l'attuale situazione della sfida socio-
culturale e la paragoniamo a quanto sentivamo, per esempio,
quando abbiamo incominciato il CGS, ci troviamo in situa-
zione migliorata: vediamo più chiaro. Rimangono problemi
grossi che ancora non sappiamo risolvere, però abbiamo già
una piattaforma sicura per appoggiarci e lanciarci. Abbiamo
ricuperato i princìpi generali per guidare la prassi.
Inoltre abbiamo coscienza dei problemi. Uno dei pericoli
più tremendi è l'incoscienza. Una superiora che non s'accor-
ge neppure dei problemi... come farà la superiora?... Il suo
stesso ministero esige che lei porti avanti la fedeltà al Fon-
datore in sintonia con la sfida dei tempi. Deve imparare a
meditare la Parola di Dio come faceva la Madonna, che riflet-
teva sugli avvenimenti di Dio in sé e intorno a sé.
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15.6 Page 146

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C'è dunque una coscienza sempre maggiore dell'attuale
problematica; aumentano i programmi di formazione a tutti
i livelli: nella Chiesa e negli Istituti religiosi. Si fanno veri-
fiche di esperienze. La verifica è diventata indispensabile
per vagliare le iniziative di rinnovamento, per congiungere
l'audacia con il discernimento.
Un altro segno di speranza è il rinnovamento della pre-
ghiera, intesa non più come ripetizione di formule, ma come
ascolto della Parola di Dio, come lode e adorazione, come
dialogo per l'avvento del Regno, come uno stare amichevol-
mente con il Signore, non per evadere dalla realtà ma per
scrutarla secondo i suoi disegni.
Altro segno positivo è la rivalutazione della croce,
per cui si riscopre il significato più profondo dell'amore nel
sacrificio di sé. Anche il teologo protestante Jiingen Molt-
mann, che aveva scritto la Teolo gia della speranza, ha poi
pubblicato un'altra opera su La teologia della croce. È un
dato sintomatico. La mentalità del futurologo infatti, pen-
sando all'utopia, alla società da costruire, si concentra solo
sui progetti di futuro e sulla loro bellezza, dimenticando
troppo facilmente che non c'è futuro che non passi per il
Calvario. Oggi c'è questa riscoperta del senso della croce
anche tra tanti giovani: l'importanza del dono di nel do-
vere, il valore del dolore, la grandezza spirituale della rmun-
cia, la pedagogia dell'ascesi.
" Ma il segno più grande di speranza è quello che il
compianto Papa Paolo VI ha definito un'ora privilegiata
dello Spirito Santo: la presenza dello Spirito nei movimenti
ecclesiali di rinnovamento. Anche noi stiamo meditando sul-
la vita nello Spirito, proprio per sentirci incorporati piena-
mente in quest'ora di privilegio.
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15.7 Page 147

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Urgenza di una risposta
Concludiamo: c'è urgenza, da parte nostra, di rispondere
a questa sfida. Non ci sono formule fatte: pazienza! Io direi:
meglio! È più umano, più secondo ragione, più secondo la
nostra importanza. Il Signore vuole che noi stessi risolvia-
mo i problemi.
Allora, invece di aspettare le formule che non ci sono,
cerchiamo di aumentare la nostra coscienza dei problemi e
la nostra serietà di ricerca; impegniamoci ad aumentare la
nostra fiducia nello Spirito Santo che ci ha visitati e ci ac-
compagna. Riconsideriamo a fondo la ricchezza della nostra
tradizione, sapendo distinguere in essa il nucleo carismatico
voluto dallo Spirito Santo da ciò che è involucro culturale
proprio di un'epoca. È un lavoro delicatissimo, difficile, su
cui ci sarà da discutere un po', ma bisogna farlo e i nostri
Capitoli Generali ne hanno già fatto parecchio.
Una volta poi che si sa quale elemento è davvero essen-
ziale, voluto dallo Spirito Santo nel nostro carisma, e non
semplicemente un apporto della cultura, allora è necessario
dedicarci a curarlo con tutte le forze per irrobustire gli ele-
menti vitali della nostra identità.
Prima di dedicarci a scomunicare persone o a condanna-
re modalità, sia pure sbagliate, è indispensabile in questo
momento irrobustire innanzitutto e far crescere i valori vi-
tali, quelli che sappiamo con certezza essere elementi vivi
del carisma salesiano, della fede in Gesù Cristo e della sua
sequela.
Quando i valori positivi saranno più robusti e più svilup-
pati, sarà più facile staccare e bruciare tante foglie inutili
e ormai secche che erano cresciute ai margini facendosi spac-
ciare per il futuro e l'avvenire della vita.
Ringraziamo lddio Padre di averci chiamati a vivere que-
st'ora pentecostale!
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15.8 Page 148

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SECONDA PARTE
NUOVA PRESENZA DELLO SPECIFICO RELIGIOSO
L'argomento su cui vogliamo riflettere è sempre nella li-
nea del tema odierno: l'ora pentecostale della vita nello
Spirito.
In questo momento di profonde trasformazioni si avver-
te la forte richiesta di una « nuova presenza» della vita reli-
giosa. Tocca a noi realizzare questa nuova presenza. Dob-
biamo evidenziare nella società lo specifico religioso, ossia
quei valori caratteristici che la vita religiosa deve apportare
al mondo. È una richiesta di autenticità e di attualità, avan-
zata con particolare istanza dai tempi in cui viviamo.
Il termine « nuova presenza » si usa oggi con frequenza
e purtroppo, quando un'espressione è molto usata, perde un
po' della sua forza pregnante e può diventare ambigua. In-
fatti con il termine « nuova presenza » significano o una
piccola comunità o una esperienza di quartiere, o una qual-
siasi modalità nuova, ecc.
Noi, qui, per « nuova presenza » intendiamo una novità
caratteristica che coinvolge un po' tutta la vita religiosa in
se stessa. Ci deve essere una « nuova presenza dello specifico
religioso », precisamente perché si è affermata una « nuova
cultura », perché si avverte ovunque la ricerca di una « nuo-
va società», perché si vuol costruire un « futuro » degno di
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15.9 Page 149

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un uomo che ha raggiunto una certa maturazione e che è in
cammino verso una più forte realizzazione di se stesso.
In una tale situazione storica anche la vita religiosa ha
bisogno di essere presente in forma nuova. Questa forma
nuova cambia certi aspetti dello stile, o certi rivestimenti
culturali, ma rafforza e irrobustisce l'essenza, la sostanza,
l'autenticità della vita religiosa.
La società del futuro ha bisogno della vita religiosa
La prima cosa su cui vogliamo esporre alcune idee è la
seguente: la società del futuro, la « polis » o la realtà socio-
politica, ha bisogno della vita religiosa. Noi abbiamo un ruo-
lo insostituibile per il futuro: non siamo residuo del passato,
non siamo elementi destinati ad arricchire un museo, siamo
un fermento per costruire insieme con gli altri un nuovo av-
venire; ma siamo utili per la società del domani unicamente
se siamo autentici religiosi.
Infatti la vita religiosa è un sussidio sacramentale nel
vasto mistero della Chiesa. Tutta la Chiesa è il « sacramento
di salvezza» della società del presente, del passato e del fu-
turo e la vita religiosa, nella Chiesa, è una parte integrante:
è un aspetto specifico che apporta un contributo peculiare
a questo sacramento di salvezza che è la Chiesa. Quindi, pur
essendo un sussidio complementare, è elemento indispensa-
bile per la costruzione della società del futuro.
Abbiamo perciò un ruolo rilevante per il futuro della no-
stra patria - se vogliamo metterci sul piano umano - così
come lo ha un partito politico, come lo ha un ideologo che
formula un progetto storico da realizzare; almeno quanto
loro, senza montare in superbia, così come Gesù Cristo era
almeno tanto importante per la storia dell'uomo come l'im-
peratore di Roma, o come il governatore della Palestina, o
come il Sommo Sacerdote, o ... anche un poco più, no?
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15.10 Page 150

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La Chiesa è necessaria per la salvezza; la vita religiosa
nella Chiesa è un elemento che appartiene alla sua vita e alla
sua santità.
Purtroppo ci sono anche dei pensatori credenti che si
domandano se ci sarà un futuro per la vita religiosa. Alcu-
ni si accorgono che un futuro c'è; e allora fanno qualche
restrizione e mantengono l'interrogativo solo per gli Istituti
di vita attiva. Mi sembra tuttavia che certi interrogativi sor-
gano da un tipo di analisi solo sociologica, e da una visione
molto superficiale degli Istituti religiosi. Tutti sappiamo che
un Istituto può anche venir meno però, io penso, non man-
cherà mai la vita religiosa nella Chiesa, anche perché non è
mai venuta meno. Qui ci sarebbe da approfondire come es-
sa appartenga alla vita stessa della Chiesa. Ma lasciamo ai
teologi questa discussione.
Siamo « necessari » per la società del futuro perché ab-
biamo un apporto specifico di salvezza da dare, proprio per
il futuro dell'uomo.
Ma andiamo un po' a fondo su questa necessità: la socie-
tà del futuro, precisamente in vista dell'esplosione dei « se-
gni dei tempi » dovrà essere una società di tipo democratico,
con un crescente processo di socializzazione e di personaliz-
zazione. Che cosa comporta questo? Comporta il fare parte-
cipi dei destini del proprio popolo tutte le persone che lo
costituiscono, fare di ognuno un protagonista secondo la sua
capacità e il suo ruolo . Quando la società è fondata sul po-
polo, per il popolo, e con il popolo, allora c'è democrazia.
(Non è questa la definizione famosa di democrazia?).
Se la società del futuro è di questo tipo, ossia di ango-
latura democratica, vuol dire che essa si fonderà sulla « cul-
tura», ossia sulla preparazione delle persone, perché non ba-
sta dire con le parole che il popolo governa, che vi è repub-
blica democratica se poi c'è uno solo che comanda. Parliamo
di « cultura » nel senso del Vaticano Il, della Gaudium et
spes; non nel senso di un patrimonio speciale di conoscenze
148

16 Pages 151-160

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16.1 Page 151

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da élite. La « cultura» nel senso conciliare è uno sforzo im-
mane (e sono le parole stesse della Gaudium et spes) per far
conoscere un nuovo umanesimo in cui l'uomo si definisce in-
nanzitutto per la sua responsabilità verso i fratelli e verso
la storia, in cui si dà importanza alla persona, all'uomo. Per-
ciò bisogna preparare i cittadini.
A comprova della acquisizione di questo nuovo senso sta
il fatto che anche i politici e gli ideologi di certi progetti
storici, che si erano fondati prima sulla dittatura del pro-
letariato, oggi parlano piuttosto di egemonia culturale: vo-
gliono far sì che i più pensino come loro.
Ora, la « cultura » si basa fondamentalmente su una vi-
sione della persona umana: che cos'è l'uomo? Qual è il suo
fine? Quale il suo destino? Al centro di ogni cultura c'è una
antropologia. Parlare della visione dell'uomo, del suo fine,
del suo destino, è possibile oggettivamente anche prescinden-
do da Cristo, dalla storia della Salvezza, da Dio, dalla religio-
ne, dal fine ultimo: si può fare, però non siamo nella verità,
perché non è preso in considerazione il vero uomo storico,
l'uomo integrale, quindi non può essere prospettata la vera
democrazia, né la vera società umana futura.
Ora per fare « cultura» integrale occorre che fra gli « ope-
ratori di cultura» siano presenti quelli che insistono sui
valori storici del mistero di Cristo, che poi non sono secon-
dari o marginali o indifferenti, ma sono sostanziali. Vediamo
culture atee che portano a una visione della società e a un
senso della responsabilità storica capaci di trascinare a con-
seguenze inumane: eventi incredibili, a cui abbiamo assistito
quest'anno.
Qui emerge la tesi di don Bosco: non c'è futuro autenti-
camente umano per la società, se non c'è una cultura impre-
gnata di fede, di religione, illuminata dalla visione totale
dell'esistenza umana. Ed ecco il grido di Paolo VI nella fa-
mosa esortazione apostolica Evangelii nuntiandi: Questo è il
dramma del nostro secolo, la rottura tra Vangelo e cultura!
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16.2 Page 152

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Vedete che non stiamo partendo dalle nostre Costituzioni,
ma dal futuro della società, dall'avvenire dell'uomo e dalla
sua cultura, dalla costruzione di una nuova politica generale.
Tutto ciò richiede la nostra presenza di religiosi e la richie-
de per ciò che siamo specificamente. Allora c'è da fare tutta
una riscoperta della vita religiosa in avanti. Qui è il proble-
ma: «riscoprire » vuol dire innanzitutto « andare alle fon-
ti », ma subito bisogna aggiungere « in avanti» per lanciare
la nostra vita religiosa in questa costruzione del futuro, per-
ché di questo ha bisogno l'uomo d'oggi, di questo ha bisogno
la gioventù. La nostra vocazione, più che un privilegio di
salvezza per noi, è un diritto dei ragazzi, dei giovani, della
società su di noi. Dio ci ha chiamati per loro, per il servizio
all'uomo.
Ecco: i religiosi hanno un ruolo rilevante proprio in vista
della loro specificità evangelica, perché hanno una vocazione,
una missione che è fermento nella storia.
Riscoprire l'attualità della santità
Che cosa deve operare in noi la riscoperta in avanti della
vita religiosa? Alla sfida dei cambiamenti socio-culturali
quale risposta dobbiamo dare?
Dobbiamo saper riscoprire l'attualità della santità. Que-
sta parola « santità» ha perso mordente, ha perso attualità
anche in ambienti nostri. Eppure è una affermazione ogget-
tiva questa: che la società ha bisogno che noi siamo santi.
La nostra società ha bisogno di santi, per questo dobbiamo
« riscoprire» la santità; « in avanti», traducendo i suoi va-
lori perenni in modalità nuove che siano in sintonia con la
cultura emergente. Forse è dovuto un po' anche ad un'assen-
za di prospettiva il fatto che certe vite di santi, anche molto
grandi, presentate in uno stile antico non fanno presa sui
giovani, sulla gente. Bisogna saperli presentare i santi! Met-
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16.3 Page 153

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tere in luce ciò che c'è di ricchezza divina e di veramente
originale in loro, per la storia.
Riscoprire l'attualità della santità vuol dire dunque en-
trare nella grande tradizione della Pentecoste, realizzare oggi
quello che lo Spirito Santo ha sempre fatto in tutti i tempi:
suscitare persone con un soffio di genialità creativa nel ri-
proporre i valori evangelici. Questo esige da noi che siamo
un po' «fondatori», non nel senso che siamo chiamati a
fondare un altro Istituto, ma nel senso che dobbiamo abili-
tarlo ad essere attuale in una situazione veramente nuova.
Che cos'è la santità che dobbiamo riscoprire? È la vita
nello Spirito, del cui primato stiamo parlando dal primo
giorno.
Tutti i membri della Chiesa devono essere santi. Però a
questo punto non incominciamo a guardare gli altri e dire
che il Papa deve essere santo (e meno male che lo è stato), o
che il vescovo, il prete, il laico, la mamma di famiglia devono
essere santi; pensiamo a noi.
Ai religiosi tocca in una maniera speciale testimoniare
la santità, perché la vita religiosa appartiene alla Chiesa pro-
prio nell'ordine della vita e della santità.
Noi abbiamo nella Chiesa la missione di proclamare lo
spirito delle beatitudini; ciascuno di noi deve essere « uomo
nuovo » secondo la radicalità evangelica.
Tutti parlano oggi di « uomo nuovo » nell'ordine cultu-
rale e politico. Tuttavia noi sappiamo che san Paolo, quando
parla di « uomo nuovo», indica una «novità» di un altro
tipo; egli parla di nuova creazione, di profondità della vita
nello Spirito per cui si partecipa alla risurrezione, facendo
presente nella storia la grande realtà dell'escatologia.
E i religiosi devono dimostrare che la forza della risurre-
zione è capace di costruire in loro il profeta, il liturgo, il re
di cui abbiamo parlato, quel re che sa dominare in sé tutte
le cose fino ad avere la massima pazienza (non il massimo
potere): la pazienza di morire per amore degli altri. Devono
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16.4 Page 154

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far vedere che in una « cultura nuova » cresce anche questo
« uomo nuovo ».
In un momento in cui tanti sottolineano la dialettica della
società e affermano che l'unico motore della storia è la lotta
di classe, urge far vedere che c'è una lotta al di là di quella,
molto più strategica e molto più radicale: la lotta tra l'uomo
vecchio e l'uomo nuovo di cui parla san Paolo. I religiosi
devono testimoniare con la loro vita quotidiana che non ci
possono essere strutture nuove e nuova società se non c'è un
« cuore nuovo ». In definitiva, la grande battaglia della sto-
ria umana è nel cuore dell'uomo ed è una battaglia che si
vince con lo Spirito Santo, incorporandoci e crescendo in
Cristo.
La vita dei religiosi rinnovati deve confutare questa accu-
sa di Marx: « È facile farsi santo quando non si vuole essere
uomo »; è il concetto della santità come alienazione! Quanto
è semplice farsi santo al di fuori di tutti i problemi umani, là
in estasi, aspettando di andare in Paradiso! I religiosi de-
vono dimostrare che Marx ha sbagliato in pieno, che non è
questa la santità. Purtroppo però dobbiamo ammettere che
Marx ha messo il dito su una piaga reale, anche se ha sba-
gliato in pieno sul concetto di santità.
Dunque, occorre sfatare questa frase di Marx così
pungent e; occorre riscoprire in avanti la forza della vita nel-
lo Spirito secondo le due modalità indissolubili di interio-
rità e di impegno storico, di cui abbiamo parlato l'altro
giorno.
a) La riscoperta dell'interiorità con Cristo
La società attende da noi anzitutto la riscoperta della in-
teriorità con Cristo, esige in ciascuno di noi « l'uomo nuo-
vo », la creatura nuova: quella della sequela Christi che i re-
ligiosi sottolineano con radicalità, ossia in una forma totale,
e che non è, di per sé, necessaria né obbligatoria, ma è sa-
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16.5 Page 155

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cramentale in alcuni per gli altri. Non a tutti è richiesta, ma
è necessaria, di fatto, nella Chiesa per il mondo.
b) La riscoperta dell'impegno storico
Altro aspetto: la riscoperta dell'impegno storico del ca-
risma, ossia il servizio di questa interiorità nel Cristo per
l'uomo secondo l'indole propria di ciascun carisma.
La santità consiste nel mettere assieme questi due aspet-
ti; è la grazia di saper unire l'interiorità profonda con l'im-
pegno per l'uomo, secondo il proprio carisma: la grazia di
unità! Tale santità richiede oggi una nuova presenza, una
nuova interpretazione pratica e visibile. Ecco, noi non dob-
biamo stare a discutere tanto tra consacrazione e missione:
dobbiamo viverle insieme perché insieme sono nate e cre-
scono insieme; e perché, separate, tutte e due cadono in ro-
vina.
Nel n. 15 del già citato documento leggiamo: « La mis-
sione dunque del popolo di Dio non può mai consistere solo
in una attività di vita esteriore, poiché l'impegno apostolico
non si può ridurre in assoluto alla semplice, anche se valida,
promozione umana, dal momento che ogni iniziativa pasto-
rale e missionaria è radicalmente fondata nella partecipazio-
ne del mistero della Chiesa. La missione infatti della Chiesa
per sua natura altro non è se non la missione dello stesso
Cristo, continuata nella storia del mondo; essa pertanto con-
siste principalmente nella compartecipazione all'obbedienza
di Colui che offrì se stesso al Padre per la vita del mondo ».
E ciò significa consacrazione e missione insieme: « Vi ho
consacrati e inviati nel mondo per salvarlo»!
Al n. 16 leggiamo: « La missione, che trae la sua origine
dal Padre, esige da tutti coloro che sono inviati di esercitare
la coscienza della carità nel dialogo della preghiera. Perciò,
in questi tempi di apostolico rinnovamento, come sempre in
qualsiasi impegno missionario, il posto di privilegio va dato
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16.6 Page 156

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alla contemplazione di Dio, alla meditazione del suo piano
di salvezza e alla riflessione sui segni dei tempi alla luce del
Vangelo, affinché la preghiera possa alimentarsi e crescere
in qualità e frequenza ».
Ecco: per una vissuta unità tra consacrazione e missione
bisogna mettere in primo piano il dialogo con Dio, bisogna
contemplare Dio meditando sul suo piano di salvezza e riflet-
tendo sui segni dei tempi. Io penso che i grandi oranti, i
grandi santi, hanno fatto sempre così; ma per noi che forse
abbiamo ridotto la preghiera a una specie di pratica e di
formule prefabbricate questo è un forte invito a rinnovarci.
Ad ogni modo bisogna riscoprire la santità nel vivere
uniti i due aspetti della vita nello Spirito: nell'interiorità
della sequela Christi e nell'impegno storico del servizio al-
l'uomo secondo il proprio carisma.
Solo così noi potremo dare a quell'espressione di Marx
una risposta reale in sintonia con la risposta che aveva già
dato Clemente di Alessandria molti secoli prima: « Non c'è
grandezza più vera che l'uomo interamente rinnovato nello
Spirito Santo ».
Noi dobbiamo realizzare tale grandezza; possiamo forse
modificare un po' l'espressione sostituendo a « non c'è gran-
dezza più vera» l'asserzione: « non c'è uomo nuovo più au-
tentico per la società futura che l'uomo interamente rinno-
vato nello Spirito Santo». Potremmo dire cioè che il santo
è un costruttore della società umana, è un aiuto e un soste-
gno per gli altri uomini, è colui che porta la storia al fine
che corrisponde alla salvezza di tutta l'umanità.
Lo specifico religioso nella riscoperta della santità
Per capire meglio la specificità della nostra vita religiosa
conviene stabilire un confronto con alcuni termini vicini. Ci
154

16.7 Page 157

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sono tre aspetti distinti di vita cristiana nella santità, che è
utile mettere a paragone.
a) Confronto tra vita consacrata e vita laicale
Il termine « laicale » è usato dal Concilio nel senso di rela-
tivo a chi vive nel secolo senza una speciale consacrazione
oltre a quella fondamentale del battesimo. Mettendo a con-
fronto la vita laicale con quella consacrata, si fa un primo
passo per capire lo specifico religioso.
Certamente la vita religiosa si situa nella vita consacrata
(anche se non si identifica con essa) nei confronti della vita
laicale. Relativamente alla vita laicale, la vita consacrata, ri-
guardo alla santità, sottolinea un impegno radicale per vive-
re le esigenze delle beatitudini. Ora questo impegno radicale
consiste nell'opzione fondamentale di alcuni valori evangeli-
ci, ad esempio il celibato per il Regno: impegno radicale
perché offre a Dio le inclinazioni più profonde della natura
umana. Evidentemente il celibe per il Regno dovrà sapere
far vedere che la sua castità è un « valore», una fonte di
energia e di gioia, una capacità di servizio, una espressione
caratteristica di amore al prossimo, ecc.; ossia che non è una
fuga, una difesa, ma un arricchimento per la stessa società.
b) Confronto tra vita religiosa e vita consacrata
Non sono la stessa cosa. Ad esempio una VDB non è pro-
priamente una religiosa, ma appartiene alla vita consacrata
perché è membro di un Istituto secolare.
Quale differenza vi è, in questa ricerca della testimonian-
za della santità nella Chiesa, tra Istituti di vita religiosa e
quelli di vita consacrata? Certamente è comune la radicali-
tà; c'è infatti come opzione fondamentale la radicalità di
alcuni valori, però nella vita religiosa si aggiunge un altro
155

16.8 Page 158

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elemento: la testimonianza pubblica e comunitaria, uno sta-
to di vita che è come un « segno » nella società, una comuni-
che è « segno ». Un membro di Istituto secolare ha come
caratteristica di non dare forma esterna pubblica alla sua
consacrazione: chi lo osserva deve dedurre il valore e la
forza della sua consacrazione da ciò che è e da ciò che fa.
Questa non è la modalità propria di un religioso. La vita
religiosa è anche « un segno » pubblico e comunitario. Noi
religiosi dobbiamo testimoniare in comunità, come gruppo,
nella nostra visibile forma di vita. Il Vaticano II ha sotto-
lineato tanto il valore del « segno »: questo della vita reli-
giosa ne è uno, classico e autenticato dalla Chiesa. Sarebbe
bello che noi adesso sparissimo come « segno » pubblico,
come comunità, assumendo lo stile secolare! ... Ciascuno ha
il suo supplemento di sacramentalità da testimoniare nel
popolo di Dio.
Nel sottolineare la differenza tra vita consacrata e vita
laicale, l'accento cadeva sul perché - che è l'ultima motiva-
zione di differenza - più che sul « che cosa » si fa, che può
essere lo stesso. C'è infatti il professore di liceo e c'è pure
una consacrata VDB professoressa di liceo: è il perché che
li differenzia. Perché fai questo? Per un motivo evangelico.
Tra un politico che svolge la sua azione come membro di
un Istituto secolare e un politico che fa politica come me-
stiere non c'è differenza nella politica, o almeno non ci do-
vrebbe essere, come non ci dovrebbe essere differenza nel
fare il professore, nel fare la scuola di matematica. Ci deve
essere, invece, differenza tra la forza interiore che spinge ad
agire e che influirà anche sul modo di operare.
Quindi tra vita consacrata e vita laicale c'è la differenza
del perché: è l'opzione fondamentale che dà un perché radi-
cale a tutta la vita. Tutto ciò che fai è perché vuoi farlo con
Cristo, in Cristo e per Cristo.
Quando invece si parla di differenza tra vita religiosa e
vita consacrata, rimane comune il perché, come è comune
156

16.9 Page 159

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la consacrazione che esige la radicalità; si aggiunge quale
differenza un come.
Come? Con Cristo, in Cristo, per Cristo con una modalità
cli significazione ufficiale, pubblica e comunitaria.
c) Confronto tra vita salesiana e vita religiosa
Vogliamo porre un altro elemento di confronto tra vita
religiosa e vita salesiana. C'è senz'altro qualche differenza.
Quando dico « vita religiosa » mantengo sia il «perché»,
sia il « come » generale della vita religiosa. Quando dico « vi-
ta salesiana » mantengo certamente tutto ciò che è nella vita
religiosa, però do al perché della « sequela Christi » e al
come della « testimonianza pubblica e comunitaria » uno
stile, una modalità concreta, una funzione specifica che vie-
ne dal Fondatore, che trovo solo nel mio Fondatore e nella
specifica storia e cronistoria di questa nostra Famiglia.
Allora il perché e il come si unificano e si armonizzano
nel progetto del Fondatore che in definitiva si esplicita e si
sintetizza nelle Costituzioni.
L'impegno totalizzante della professione religiosa
Si è spesso cercato di definire l'elemento specifico della
vita religiosa: alcuni teologi hanno detto che è il celibato
per il Regno, altri l'obbedienza, altri la povertà, altri la radi-
calità evangelica. Tutti questi aspetti sono fondamentali, pe-
rò non sono lo specifico, perché questi elementi e questi
valori sono in comune con tanti altri. La vita religiosa è
una prassi (non una teoria), che devo definire in base a un
atto e a un progetto d'esistenza, non in base a un'idea o a
valori generici.
Nella mia vita, qual è l'atto che definisce la mia esisten-
157

16.10 Page 160

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za consacrata salesiana? È la professione religiosa! Essa è
la decisione suprema di un battezzato che vuol dare un sen-
so preciso alla sua vita. È l'atto più grande di libertà che
orienta e infonde significato a tutta la mia storia personale.
Bisogna che noi ricuperiamo il valore e la forza della pro-
fessione religiosa: è il gesto-chiave della nostra vita che,
mentre è espressione del nostro processo di personalizza-
zione, dà senso storico, concreto e di prassi a tutto ciò che
facciamo.
Consideriamo un istante come si svolge il rito della pro-
fessione religiosa. La si emette « nelle mani » del proprio
superiore o della propria superiora; non necessariamente di
chi presiede l'Eucaristia, non del vescovo, non del parroco,
ma del superiore o della superiora.
Si fa la professione a Dio, evidentemente, nelle mani del
superiore o della superiora: ossia ci si incorpora in una
esperienza storica di vita evangelica, con determinate strut-
ture di comunione, con membri concreti, con legittimi supe-
riori; ci si incorpora in una comunità « secondo le Costitu-
zioni dell'Istituto », le quali vengono dal Fondatore e dalla
tradizione carismatica del gruppo e non dipendono da sog-
gettivismi inventati a capriccio.
Ecco dove troviamo concretamente lo specifico religioso
con cui dare fisionomia al nostro proposito di santità. Ecco
il perché, il come e lo stile caratteristico della vita religiosa
salesiana!
Noi, nella pratica, faremo tante cose che anche altri fan-
no, però il punto che ci deve distinguere, che deve mostrare
a tutti la nostra specificità e che deve apportare al mondo
il fermento della santità è proprio il perché, il com.e e lo
stile salesiano del nostro essere e del nostro agire.
Guardiamo alla nostra professione, alle nostre Costitu-
zioni.
« Perché » facciamo questo, « come » e con che « stile » lo
facciamo? Alla radice di tutto il nostro dinamismo dobbia-
mo trovare la nostra professione religiosa.
158

17 Pages 161-170

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17.1 Page 161

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Stamattina dicevo alle vostre giovani studenti, là nel Col-
legio : « Di voi ha bisogno l'Istituto, di voi ha bisogno la Fa-
miglia salesiana. È proprio dello spirito di Mornese crescere
nella cultura secondo le esigenze dei tempi; però ecco: nella
vita religiosa c'è un punto che è superiore ai titoli e alle
competenze scientifiche e che dirige tutto. È la professione
religiosa. L'impegno totalizzante della professione religiosa
è la realtà oggettiva che fa funzionare la nostra santità per
il futuro».
Per noi la professione religiosa deve essere un impegno
totalizzante, ossia « a tempo pieno » e « a piena esistenza ».
Purtroppo si è interpretata da alcuni la professione reli-
giosa come una specie di « giuramento di osservanza » di
norme ascetiche; ciò le ha sottratto importanza.
Abbiamo bisogno di ricuperare la coscienza e la forza del
primato della professione religiosa con il progetto del Fon-
datore; di ricuperare il grande concetto teologico di ciò che
san Tommaso chiamava « il voto di sé», più che formulazio-
ne dei tre voti. La professione religiosa è la dedizione totale
di sé, il voto di per cui ci si incorpora vitalmente all'Euca-
ristia.
L'Eucaristia è fonte e culmine della vita cristiana, della
quale nulla si può fare di più grande. La professione religio-
sa, per noi, dovrebbe essere il massimo nostro atto di sinto-
nia con l'Eucaristia.
Pensiamo che cosa significa l'Eucaristia. Le parole che il
celebrante pronuncia nel momento della consacrazione sono
di una efficacia e di una forza imponderabili: « Questo è il
mio corpo offerto per voi. Questo è il calice del mio sangue
dato per la remissione dei p eccati ». Dice cioè: tutto quello
che io sono (il corpo, il sangue), tutto è offerto per la realiz-
zazione della vostra salvezza.
Di questo tipo è anche il dono di sé nella profession e per-
petua: è un atto sacerdotale (del sacerdozio regale) che ci
incorpora pienamente nel Cristo e che dovremmo saper
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17.2 Page 162

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rivivere quotidianamente nel dono di noi stessi a Dio per
realizzare la nostra vocazione.
Vedete quali valori formidabili sono contenuti nella pro-
fessione! Ma quanto essi sono decaduti in certi cuori reli-
giosi, tanto da non offrire più la testimonianza della santità
all'uomo d'oggi! Abbiamo bisogno di una cultura che abbia
una nuova antropologia, una visione autentica dell'uomo.
Ma l'autenticità dell'uomo è assicurata dal mistero di Cristo
e fermentata dalla santità dei suoi discepoli.
Urgenza di santità
Concludo: Paolo VI ci ha detto che il dramma del nostro
secolo è la rottura tra fede e cultura. Noi Salesiani dobbia-
mo impegnarci con tutte le forze per far fiorire la santità
negli impegni di promozione umana.
Come vi ho già detto varie volte, la patria della nostra
vocazione salesiana è l'area culturale. Però la rottura tra
Vangelo e cultura non si sana solo con un «fare»: occorre
una forte testimonianza, un « essere», una vita nello Spirito
che sia anzitutto superamento della frattura che si è creata
tra fede e vita.
Per realizzare questo ideale occorrono persone che con la
loro esistenza siano in grado di dimostrare sanata la lamen-
tata rottura tra fede e vita, per cui la Gaudium et spes ha
parole di forte condanna; persone che si impegnino a vivere
secondo la fede del Cristo, come abbiamo sentito profonda-
mente nel testamento di Paolo VI e nella straordinaria testi-
monianza della sua vita.
La nuova presenza dello specifico religioso nel mondo
non è altro, per noi, che la santità, nello stile e con l'intensità
di don Bosco e di madre Mazzarello.
160

17.3 Page 163

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SERVIZI DI FEDELTÀ
ALLA VITA NELLO SPIRITO
PRIMA PARTE
AUTORITA E ANIMAZIONE
UN SERVIZIO ACCOMPAGNATO DA TANTE GRAZIE
IL CARISMA PRECEDE E FONDA L'AUTORITÀ RELIGIOSA
L'AUTORITÀ SALESIANA È IN FUNZIONE DI UNA
CONGREGAZIONE UNITARIA
UN MINISTERO DI UNITÀ E DI CORRESPONSABILITÀ
ALC UNE CONDIZIONI PER ESERCITARE BENE
L'AUTORITÀ
Autoanalisi
Sicurezza operativa
Sensibilità alle situazioni
Abilità diagnostica
Flessibilità o duttilità nel comportamento
Comunicazione leale
Realizzazione di sé
IL VALORE RELIGIOSO DEL SERVIZIO DI AUTORITÀ
161
11

17.4 Page 164

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SECONDA PARTE
FORMAZIONE PERMANENTE
MOTIVAZIONI PER UNA EDUCAZIONE CONTINUATA
Accelerazione della storia
Pluralismo ideologico
Esigenza di una mentalità nuova
Carattere evolutivo della personalità umana
Vita cristiana come crescita n ella fede
Esigenze conciliari
Il Documento dei « criteri direttivi »
DUE LIVELLI DI EDUCAZIONE CONTINUATA
Aggiornamento
Formazione permanente
CONCETTO DI FORMAZIONE PERMANENTE
Impegno personale
Impegno comunitario
AREE DI IMPEGNO DELLA FORMAZIONE PERMANENTE
Vita nello Spirito
Salesianità
Ambito pastorale-pedagogico
Professionalità
IL CUORE DI CHI ANIMA LA FORMAZIONE
PERMANENTE
LINEE D'AZIONE
A livello locale
A livello ispettoriale
A livello regionale e mondiale
A livello di Famiglia salesiana
162

17.5 Page 165

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PRIMA PARTE
AUTORITA' E ANIMAZIONE
Il tema di oggi considera alcuni servizi indispensabili per
crescere nella fedeltà alla vita nello Spirito. Il primo servi-
zio è quello dell'autorità.
Mi devo rivolgere particolarmente alle ispettrici e anche
ai membri del Consiglio generale, però il discorso può inte-
ressare tutte. La vita nello Spirito, in tutta la Congregazione,
dipende molto appunto da questo servizio. Noi sappiamo per
esperienza che talvolta i problemi di una comunità si risol-
vono non con un trattato di teologia, con una confessione o
con un giorno di Esercizio di buona morte, ma... col cambio
del direttore o della direttrice. Ci fermiamo qui, senza salire
ad altri livelli, vero? Ora, poiché il modo di realizzare un
determinato servizio può influire enormemente sulla vita
spirituale della comunità e delle persone, sono utili alcune
osservazioni su questo punto.
Un servizio accompagnato da tante grazie
Anzitutto voglio sottolineare che si tratta di un serv1z10.
Il Vaticano II per ben dodici volte cita il Vangelo a questo
proposito, sottolineando che l'autorità nella Chiesa - qua-
lunque tipo di autorità - è un servizio. Cita Luca, Marco,
Matteo e Giovanni. Nei Sinottici più o meno l'espressione
163

17.6 Page 166

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è questa: « Chi è più grande? Chi siede a tavola o colui che
serve? Ebbene, io sono qui come colui che serve».
Ma la scena più penetrante è quella di Giovanni: la lavan-
da dei piedi, che noi ripetiamo al Giovedì Santo ed è l'espres-
sione più incisiva e più plastica di quello che è il servizio
dell'autorità.
Ma subito voglio aggiungere che è un serv1z10 cosi impor-
tante che lo Spirito Santo si preoccupa che funzioni bene.
È vero che si può anche non curare lo Spirito Santo e persi-
no resistergli. Io credo però che tutti coloro che per qualche
tempo hanno portato - diciamo - il peso di questo servi-
zio, devono riconoscere che l'esercizio dell'autorità è accom-
pagnato ogni giorno da molteplici grazie.
È un servizio arricchito di carismi, e bisogna accettarlo
e realizzarlo con gioia, non perché ci sentiamo capaci, ma
perché siamo sicuri di compierlo in unione con il Signore.
Anticamente si parlava della « grazia dello stato »; ora alcuni
dilettanti di teologia hanno paura di usare questa termino-
logia. Diciamo allora « carisma del governo » che poi signi-
fica un insieme di aiuti dello Spirito. Ciò non significa che
tutto ciò che penso io, superiore, sia proprio quello che pen-
sa il Signore: i capricci miei non sono carisma di governo,
mai più! ... Vuol dire piuttosto che se io metto tutto il mio
sforzo, con umiltà, dedizione e senso di responsabilità in
dialogo, non mi mancherà la luce, l'energia, la costanza, la
collaborazione per poter affrontare e risolvere i problemi.
Questa è una considerazione incoraggiante!
Voi, ispirandovi alla vostra storia carismatica, avete
espresso questo concetto in forma molto bella nell'articolo
104 delle Costituzioni: « Nel pensiero di don Bosco la vera
superiora è la Madonna. Così la sentì santa Maria Domenica
Mazzarello, che rimane modello di ogni FMA chiamata ad
un servizio di autorità».
Questa è stata la ragione e la condizione, mi pare, per cui
madre Mazzarello accettò di assumere il servizio dell'autori-
164

17.7 Page 167

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tà. Una tale convinzione è corroborata nella vostra tradizio-
ne - storica, non immaginaria - da un patrocinio quotidia-
no di Maria, dalla sua solerzia materna che sostiene e illumi-
na chi deve compiere questo complesso servizio. Certamente
ci vuole da parte dei superiori e delle superiore una genuina
vita nello Spirito, nutrita di contemplazione e di carità, ca-
pace di attuare quel servizio in « forma vicaria», non di
monopolio.
Il carisma precede e fonda l'autorità religiosa
La prima cosa da sottolineare è che l'autorità in un Isti-
tuto religioso è esigita dal carisma; il carisma richiede cioè
che ci sia un'autorità nella comunità, nell'Istituto religioso.
Anzi (e questo si vede chiaramente nella vostra storia) non
viene prima l'autorità poi il carisma, ma viene prima il cari-
sma e poi l'autorità.
Così appare subito che l'autorità è « a servizio » di una
realtà molto più importante che la previene. È il carisma
che determina il tipo di comunità e la natura propria dell'au-
torità che si deve esercitare. È un errore credere che l'auto-
rità è uguale in tutti gli Istituti religiosi. Assolutamente!
Come non è uguale il voto di obbedienza, proprio perché
obbedienza e autorità sono correlativi. Bisogna considerarli
attentamente e delicatamente in ogni famiglia religiosa.
Nella nostra Famiglia salesiana, come in ogni altra Con-
gregazione, il servizio dell'autorità religiosa esiste anzitutto
affinché in essa cresca, maturi, si realizzi sempre meglio
il carisma del Fondatore.
Un'autorità che non sia in linea con questa finalità è
fuori posto, ha perso la sua natura autentica. Per questo la
legittimità dell'autorità dipende dalle Costituzioni; fuori dal
carisma salesiano, dalla sua crescita, dalla sua organizza-
zione nell'Istituto nostro o vostro, l'autorità non ha senso.
165

17.8 Page 168

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Lo dice a chiare note anche il documento già molte volte
citato (Criteri direttivi sui rapporti tra Vescovi e Religiosi,
nella Chiesa) al n. 13. Leggo la parte relativa a questo servi-
zio di autorità nella linea del carisma, e particolarmente ri-
guardo al compito di insegnare, di santificare e di governare:
« Quanto all'ufficio di insegnare, i Superiori religiosi han-
no la competenza e l'autorità di maestri di spirito (vedete che
la prima cosa non è l'organizzazione del carisma nella vita
delle persone che costituiscono l'Istituto) in relazione al
progetto evangelico del proprio Istituto; in tale ambito, quin-
di, devono esplicare una vera direzione spirituale dell'intera
Congregazione e delle singole comunità della medesima, e
l'attueranno in sincera concordia con l'autentico magistero
della Gerarchia, sapendo di dover eseguire un mandato di
grave responsabilità nell'area del piano evangelico, voluto
dal Fondatore ».
Nell'ufficio di santificare è racchiusa la responsabilità
della formazione iniziale, della formazione permanente, del-
la linea ascetico-mistica e della crescita spirituale da colti-
vare secondo le Costituzioni; infine nell'ufficio di governare
è compreso il compito della organizzazione, della distribu-
zione del personale, della realizzazione della missione, dell'o-
rientamento pastorale, ecc.
Il servizio dell'autorità, dunque, è evidentemente un ser-
vizio relativo alla vitalità e alla crescita di ciò che noi abbia-
mo chiamato il carisma salesiano.
L'autorità salesiana
è in fun zione di una Congregazione unitaria
La natura e la struttura della nostra autorità dipendono
dal carisma specifico di don Bosco. Il carisma salesiano ha
una fisionomia peculiare, una modalità propria per cui ha
anche una struttura di autorità caratteristica, che occorre
166

17.9 Page 169

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saper interpretare e realizzare. Gli stessi voti religiosi hanno
un modo tipico di essere visti e vissuti, in relazione anche
con il nostro tipo di autorità. Per esempio don Bosco, nelle
varie stesure delle nostre Costituzioni, ha sempre messo co-
me primo il voto di obbedienza, perché al centro di tutto
questo carisma c'è la missione.
Invece nei documenti del Vaticano II è nominata per pri-
ma la castità, poi la povertà, poi l'obbedienza. Nel presenzia-
re l'altro giorno - come vi dicevo - alle professioni delle
VDB ho percepito con chiarezza che in un Istituto secolare la
priorità va data al voto di castità, o « celibato per il Regno ».
È possibile che per i Francescani il primo voto, come valore
orientativo della forma di vita, sia quello della povertà; e
così altri, in differenti modi; ma non entriamo in questo ar-
gomento. Vogliamo semplicemente sottolineare la natura e
l'importanza dell'esercizio dell'autorità nel nostro Istituto.
Tra gli Istituti religiosi noi non costituiamo una « società
federativa», come quella dei monasteri benedettini. Mi spie-
go, perché questo porta diverse conseguenze pratiche.
Nella Chiesa ci sono gli Ordini monacali. I monaci han-
no come elemento centrale del loro Istituto il monastero. E
la Congregazione è solo una federazione di Monasteri. La
funzione dell'autorità (l'Abate) nel monastero è centrale e,
in certo modo, suprema. Quando un novizio fa la professione
di monaco si incorpora in un monastero, con stabilità di per-
manenza. Quindi la relazione con gli altri monasteri è sem-
plicemente relazione di omogeneità, di collaborazione ad un
certo livello. Però chi è entrato lì, vivrà lì, morirà e l'Abate
per lui è tutto.
Noi non siamo una società federativa. Noi siamo una so-
cietà unitaria, ossia la figura principale dell'autorità non è
quella del superiore della casa locale, ma è quella del supe-
riore e della superiora generale, del provinciale e della pro-
vinciale, perché il soggetto unitario del carisma è anzitutto
l'Istituto a livello mondiale, e poi la provincia o comunità
167

17.10 Page 170

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ispettoriale. Quando un nov1z10 o una novizia, tra noi, fa la
professione, non viene incorporato ad una determinata casa,
ma si incorpora nell'Istituto totale, attraverso l'ispettoria,
ed è disponibile - di fatto, secondo le Costituzioni - in for-
ma immediata per tutte le case dell'ispettoria, ma poi anche
per tutto il mondo, almeno in linea di principio. La missione
esige da noi un'obbedienza di grande disponibilità.
Questo influisce certamente sul significato concreto del
nostro voto di obbedienza, ma a noi ora interessa limitarci
alla persona rivestita di autorità. Quale tipo di autorità eser-
citare?
È evidente che per l'Abate, che risiede in monastero con
Regole proprie, il compito principale è quello di fare osser-
vare la Regola, l'orario della levata, il silenzio, la regolarità
monastica, ecc. Per un Istituto di tipo unitario come il no-
stro, le Regole non possono scendere al dettaglio per tutti i
momenti.
Il compito principale dell'autorità nel nostro Istituto
è quello di conservare l'unità, di coltivare l'appartenenza, di
far prendere coscienza del bene comune, di curare la realiz-
zazione della missione, progettarne il rinnovamento e aumen-
tare la comunione di tutti. Ossia dal momento che noi, nel-
l'entrare nell'Istituto, non assumiamo una residenza perma-
nente, dobbiamo coltivare un tipo di fedeltà al carisma che
sia dinamico, missionario, che sia in relazione con questa
duttilità di tutto il gruppo nel realizzare la nostra vocazione;
perché ciò è inerente allo stesso carisma salesiano.
L'abbiamo visto nello « spirito di Mornese ». Nei primi
sette anni di vita dell'Istituto, da Mornese sono partite due
spedizioni missionarie! Che cosa coltivavano in cuore quelle
sante sorelle? Rimanere qui, in questa casa? Tutt'altro: non
vedevano l'ora di andare in qualunque parte, proprio per
essere FMA. E i Salesiani altrettanto. In questi giorni mi si
riferiva, traendola dalla Cronistoria, la partenza di don Co-
stamagna da Mornese: è scappato via senza salutare nessuno
168

18 Pages 171-180

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18.1 Page 171

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perché non voleva tradire i suoi profondi sentimenti... E le
sue lettere dimostrano un affetto forte e una incurabile no-
stalgia di Mornese... Eppure ha voluto partire e fare il mis-
sionario. Insomma, noi non abbiamo voto di stabilità. Di
conseguenza anche il superiore o la superiora, nel loro eser-
cizio di autorità, devono saper coltivare la disponibilità nel-
l'intraprendenza e la duttilità nell'unità.
Un ministero di unità e di corresponsabilità
In questa prospettiva si sottolinea, nel nostro esercizio
dell'autorità, tutto un tipo di relazioni, di comunione, di vin-
coli e di cura dell'unità, di cui non c'è tanto bisogno in altri
tipi di Istituti.
L'ispettrice non può sentirsi la successora di madre Maz-
zarello nella sua provincia, come se la comunità ispettoriale
fosse un tutto; meno ancora la direttrice nella sua casa:
deve sentirsi in comunione con il tutto. E siccome il tutto è
servito nella sua unità e organicità dalla superiora generale
con il suo consiglio, bisogna che l'ispettrice sappia coltivare
con intelligenza e costanza una speciale comunione con l'au-
torità centrale.
Tale unità, tale comunione deve essere coltivata proprio
per l'attuazione viva e feconda del carisma. Se si trattasse
solamente di una società federativa, basterebbe avere buone
relazioni, come si hanno in occasione di raduni e assemblee;
qui invece c'è un'unità di servizio nell'autorità che viene dal
tipo unitario della Congregazione.
Non siamo noi soli ad avere questo stile; lo hanno anche
altri Istituti, specialmente quelli di tipo « missionario ».
Inoltre: l'esercizio del nostro tipo di autorità deve inten-
sificare, soprattutto oggi, la cura e lo sviluppo della respon-
169

18.2 Page 172

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sabilità dei singoli; deve far prendere coscienza che il pri-
mo soggetto della missione salesiana non è né il singolo né
l'autorità separata, ma la comunità in armonia con le fun-
zioni della sua organicità.
Quindi uno dei compiti caratteristici dell'autorità nell'Isti-
tuto è di far crescere il senso della corresponsabilità iri tutte
le consorelle. In particolare poi, anche in vista della esten-
sione della Congregazione e dell'ispettoria, e della comples-
sità dei problemi, è necessario che l'autorità sia esercitata
in un crescente stile « collegiale», ossia di compartecipazio-
ne e di comunione con le responsabili.
Abbiamo detto « collegiale »: non solo perché c'è un con-
siglio che accompagna l'ispettrice, la direttrice o la superio-
ra generale, ma proprio per le relazioni di comunione tra
questi gruppi. Relazioni reciproche tra le case, tra le ispet-
torie, e principalmente con il gruppo centrale che è quello
della Madre generale con il suo consiglio. Questo deve essere
sottolineato con urgenza perché i segni dei tempi, cui abbia-
mo accennato, hanno sviluppato enormemente gli aspetti di
corresponsabilità, di universalità e di promozione della
donna.
Che cosa comporta, in particolare, questa promozione
per una superiora? Che dovrebbe avere timore di avere nel-
la sua comunità una suora con mentalità da «minorenne»,
incapace di giudizio, di iniziativa, di collaborazione.
Questa corresponsabilità deve crescere anche se c'è da
correre qualche rischio. Ciascun membro delle nostre comu-
nità religiose deve essere un adulto, con convinzioni chiare
specialmente nell'ambito del nostro carisma, soprattutto in
questo momento in cui dobbiamo inserirci maggiormente
nella pastorale d'insieme; e anche perché, essendo numeri-
camente meno, nelle nostre stesse opere dobbiamo lavorare
con collaboratori laici, con molte altre persone, con le quali
condividiamo la preoccupazione dei giovani. E dobbiamo sa-
perlo fare con l'identità della nostra vocazione.
170

18.3 Page 173

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Nell'esercizio della nostra autorità salesiana urge quindi
far crescere questi elementi che, d'altronde, sono caratteri-
stici nello spirito di don Bosco.
Alcune condizioni per esercitare bene l'autorità
Enumeriamo alcune condizioni che un buon superiore e
una buona superiora dovrebbero porre per un esercizio sa-
lesiano della loro autorità. Sono le condizioni di un leader.
Il superiore deve essere un « leader», cioè deve avere auto-
rità non solo perché glie la danno le Costituzioni, ma perché
la sua maniera di fare, la sua competenza, la sua chiaroveg-
genza, la sua santità, insomma tutte le sue qualità concor-
rono a far vivere i confratelli e le consorelle nella linea del
carisma.
Autoanalisi. Una prima condizione per realizzare l'au-
torità in casa nostra è l'autoanalisi, capacità di mettere sem-
pre in discussione i propri atteggiamenti, le proprie inter-
pretazioni e prese di posizione. Un'autoanalisi umile e co-
raggiosa perché, se è chiamato a rappresentare il Signore,
non è lui Dio... (e la superiora, anche se è la vicaria della Ma-
donna, non è la Madonna!).
Tuttavia ogni superiore dovrebbe esercitare l'autorità in
modo da poter arrivare a dire: sono in sintonia con il Si-
gnore, con la Madonna. Ottimo aiuto a questo fine viene dal
mettersi a dialogare con tutte le consorelle. Senza dubbio c'è
un consiglio che ha funzioni specifiche, ma c'è anche un'as-
semblea nella comunità, c'è una comunione nella comunità.
Certo, se la comunità è molto grande, è un po' difficile; que-
sto è un altro problema... Tuttavia è anche vero che per fare
questa autoanalisi non c'è bisogno di riunire tutta la comu-
nità: talvolta basta parlare con un confratello o una conso-
171

18.4 Page 174

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rella, anche assai umile, e accogliere le osservazioni che ci
fanno ripensare a fondo.
Soprattutto, quando si sono prese pos1z10ni senza que-
sto consiglio, bisogna avere l'umiltà di saper tornare indie-
tro. Questa prima condizione mette in evidenza la necessità
di non essere troppo sicure di se stesse. Ora però viene il
correttivo, o un complemento importante dell'autoanalisi.
Sicurezza operativa, che è in pieno accordo con l'auto-
analisi. Non è la sicurezza di sé, è la fermezza degli orienta-
menti. Quando attraverso il dialogo, la discussione e l'auto-
analisi, si è giunti a decidere una cosa, anche se le soluzioni
possono essere venti, bisogna sapere fare funzionare quella
che si è scelta. Non c'è cosa peggiore di una superiora che,
dopo avere scelto la soluzione n. 7, dice: potrebbe essere
anche la s•, la 13•, la 1s•. Allora è finita! È come un chirurgo
che ha deciso di fare un'operazione e poi si mostra insicuro
nel tagliare. Si può discutere se fare o no l'intervento, però
nessuno accetta un chirurgo se, dopo avere deciso di fare
l'operazione, gli trema la mano, taglia un po' di qui e un po'
di là...
In sede operativa ci deve essere sicurezza; quindi prima
di decidere l'operazione bisogna procedere con molta pru-
denza, ma bisogna avere poi il polso fermo e agire con coe-
renza e sicurezza nell'eseguire la decisione presa. Molte vol-
te le crisi di obbedienza dipendono dalla debolezza dell'au-
torità in questo senso.
Sensibilità alle situazioni. Dico « situazioni », non: Co-
stituzioni. È evidente che devo avere sensibilità alle Costi-
tuzioni, sensibilità al carisma: questo è essere superiori;
però la sensibilità alle situazioni è la caratteristica propria
dell'uomo politico. La politica, infatti, è l'arte delle situa-
zioni. In definitiva la pastorale, nell'esercizio dell'autorità,
è una politica. Si osserva la persona, si guarda il difetto, si
172

18.5 Page 175

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studia il problema e si fa quel che si può, considerando le
persone in concreto, non nel campo dei sogni.
La sensibilità alle situazioni ci porta a quelle che sono
le possibilità reali e concrete, non solo ai princìpi. Certamen-
te occorre avere in testa princìpi, e devono essere ben chiari,
ma bisogna considerare le circostanze e calcolare pedagogi-
camente e salesianamente ciò che è fattibile in queste circo-
stanze concrete, con queste persone.
Risulta subito chiaro che l'esercizio dell'autorità non è
un problema o un esercizio di chiarezza algebrica, matema-
tica. Bisogna muoversi come si può, bisogna arare con i buoi
che ci sono in casa, non con il trattore che è in città.
Abilità diagnostica. Insieme alla sensibilità per le situa-
zioni ci vuole anche lo sforzo per riflettere diagnosticamen-
te. Bisogna avere paura del superiore, della superiora che
non fa « fatica diagnostica».
Che cosa vuol dire? Significa che il superiore deve stu-
diare le situazioni, vedere le concrete possibilità, analizzare,
confrontare, valutare. Spesso questa abilità diagnostica si
raggiunge col dialogo e nella collaborazione. Importante è
che ci sia questa capacità di analisi per cui si possa giudi-
care oggettivamente. Per questo, ogni superiora è coadiuva-
ta da un consiglio; la sua autorità è certamente « personale»,
ma non è solitaria individuale.
Flessibilità o duttilità nel comportamento, cercando di
stare all'interno del variare delle situazioni per poterle giu-
dicare. Per questo occorre far funzionare bene il principio
di sussidiarietà, perché chi non è in contatto diretto con la
situazione non può giudicare in modo adeguato alla soluzio-
ne del problema. Farà funzionare forse un principio, ma
non una politica.
Per questo dopo il Vaticano II c'è stato tutto un proces-
so di decentramento per cui ciò che può essere fatto a livello
173

18.6 Page 176

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inferiore non lo si tratta al livello superiore; lo si fa fare a
chi tocca e non solo perché gli tocca, ma anche perché dal
momento che conosce meglio, essendo in situazione, è in
grado di giudicare non solo secondo il tale articolo delle Co-
stituzioni, ma anche secondo le capacità di quella suora, l'e-
sigenza di quel vescovo, la situazione socio-politica di quella
città, che non è uguale dappertutto e che può esigere solu-
zioni differenti. C'è una duttilità che si può applicare sussi-
diariamente e responsabilizzando i responsabili locali.
Comunicazione leale. Chi ha autorità non deve essere
un cervello elettronico, segreto: lui sa tutto e gli altri non
sanno niente; deve mettersi in sintonia, stabilire una comu-
nione proprio sulle cose che vuole far funzionare.
Ci sono, naturalmente, decisioni che prudentemente non
si comunicano se non al momento opportuno, ma non allu-
diamo a quelle. Si tratta di dimostrare che chi ha l'autorità
è come un fratello tra i fratelli, una sorella tra le sorelle che
mette in comune le preoccupazioni del servizio dell'autorità:
alcune non possono essere comunicate, perché ci sono anche
aspetti che abbisognano, per propria natura, di segreto.
Se, ad esempio, il cardinale Baggio mi comunicasse:
« Prenderò vescovo quel tale individuo, il mese tale... », que-
sto è un segreto. Che cosa farò io? Farò qualche obiezione
direttamente al cardinale, ma poi in casa mia non comuni-
cherò niente. Si potrà asserire che manca la comunicazione
leale? No, evidentemente, perché non posso farlo. Se però
sorge un problema, per esempio in Colombia, un problema
grave e io ci penso su, ma non ne parlo con chi può essere
all'altezza del problema e collaborare nella soluzione, questo
diventa un segretume. Il segreto va bene quando è necessario,
ma i segretumi rovinano l'azione dell'autorità. Questa comu-
nicazione, questa comunione non deve essere realizzata solo
con sincerità e lealtà, ma anche con simpatia, con sponta-
neità, anche con emotività, in modo da legare la funzione del-
l'autorità a quella che è la vita della comunità.
174

18.7 Page 177

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Realizzazione di sé. Un'ultima interessante condizione
(e ne parlo con convinzione, perché sto facendo anch'io lo
sforzo per impararla) è la realizzazione di sé e il continuo
apprendimento.
Chi ha ricevuto l'incarico dell'autorità non deve conside-
rarla una funzione meccanica, estrinseca alla sua persona:
da una parte io con le mie doti e con le mie caratteristiche,
e dall'altra il servizio dell'autorità come un peso da scrollare
al più presto; se posso, mi metto d'accordo con la carica, se
invece ne posso evadere, tanto meglio.
L'atteggiamento da assumere è piuttosto l'opposto: pen-
siamo un po' come ha fatto Paolo VI, come ha permeato il
proprio ministero con la dedizione totale della propria per-
sona. D'altra parte la Bibbia ce lo insegna: il ministero e la
persona si compenetrano reciprocamente nella costante sal-
vifica di una vocazione di servizio. La persona si realizza nel-
la missione affidatale, tanto è vero che il nome della persona
dei grandi è quello del loro ministero: Gesù, ossia il Salva-
tore!
L'ispettrice, la direttrice, il Rettor Maggiore, per gli anni
di servizio che loro toccano, si propongano come ideale di
realizzazione della propria personalità quello di compiere il
proprio ministero, non di sottrarvisi. Io stesso sto ancora
imparando perché ci si accorge, soprattutto a certe altezze,
che tra capacità della persona ed esigenze del ministero c'è
un gran salto. Occorre cercare di realizzare questa interiore
consonanza e realizzazione di in un ministero che fa im-
parare continuamente cose nuove, quindi propone un conti-
nuo apprendimento; di far crescere la propria personalità
all'interno del ruolo dell'autorità che si esercita: in essa far
fruttificare i propri talenti e realizzare una autorità con ca-
pacità creativa, con obbedienza d'amore.
175

18.8 Page 178

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Il valore religioso del servizio di autorità
Direi anzitutto che la sostanza interiore di questo servi-
zio dell'autorità, per chi ce l'ha, è la sua stessa vita personale
nello Spirito Santo.
Una superiora deve sviluppare la sua vita nello Spirito
proprio nella realizzazione del ministero che le compete,
quindi sentirsi in primo luogo serva con Gesù servo. Guar-
date che le parole del Vangelo sono più forti del nostro con-
cetto sociale di « serva» perché significano « schiava», ossia
un atteggiamento interiore per cui ormai non si vive per sé,
ma si vive per coloro a cui va diretta l'autorità.
Se una superiora prende un tale atteggiamento come pro-
posito di vita nello Spirito, apre davanti a sé tutto un pro-
gramma di rinunce e di umiltà, una capacità di donazione,
di interesse ai problemi degli altri, e non in genere: di questi
« altri » che sono i destinatari della sua autorità. È un vero
programma di spiritualità concreta ed esigente.
Ma chi sono gli « altri » di cui sono schiavo come supe-
riore? (che parola contraddittoria: «superiore» per indicare
uno «schiavo »!). Chi è questo altro? Per voi è la FMA. Quale
FMA? Ce n una che fa da faro, che splende; è la FMA idea-
le quale è descritta nelle Costituzioni: quella dovete servire.
Però quella non esiste: serve solo da indicazione, non è quel-
la la vostra padrona. Quello è il vostro ideale.
Invece la FMA che bisogna servire è proprio quest'altra
che esiste in concreto: se sono posta come direttrice, sono
le consorelle della comunità; se io sono ispettrice , saranno
quelle della comunità ispettoriale; e se faccio parte del con-
siglio generale sono quelle della comunità mondiale. Queste
FMA, così come sono, illuminate dalla FMA ideale!
Non c'è nessun cristiano che viva il Vangelo alla perfezio-
ne, quindi nessun religioso (e persino nessuna religiosa) che
viva le Costituzioni del proprio Istituto alla perfezione. Per
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18.9 Page 179

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questo nella Chiesa di Cristo peregrinante sulla terra c'è sem-
pre bisogno di conversione e c'è, assai importante, un Sacra-
mento della penitenza.
Ma che cosa deve fare una superiora per servire le sue
consorelle?
Oggi l'esercizio dell'autorità ha come obiettivo centrale
la «animazione». Pitt che dare ordini da osservare, si lavora
per far crescere la coscienza dell'identità religiosa, che com-
porterà anche convinzioni di disciplina, ecc.
Però l'esercizio dell'autorità è centrato sostanzialmente
nella attività di animazione.
Certamente l'animazione è più ampia dell'autorità. Ci so-
no animatori e animatrici che non hanno la carica di supe-
riore. Però noi stiamo- dicendo che chi ha la carica di supe-
riore deve esprimere la sua autorità primariamente e cen-
tralmente in un'autorità di animazione.
Che significa animare? La parola stessa lo dice: « anima-
re» si oppone a tutto ciò che viene dall'esterno, o comunque
imposto dal di fuori. L'anima è una realtà interiore che muo-
ve dal di dentro con convinzioni, con suggerimenti, con i
rapporti dell'amicizia, con il senso della comunione: non
sgorga da un potere esterno che comanda di fare qualche
cosa.
Siamo in un'ora di Spirito Santo. Ebbene, che cos'è lo
Spirito Santo? È l'« anima» della Chiesa.
L'esercizio dell'autorità ha un esempio formidabile in ciò
che fa lo Spirito Santo nella Chiesa.
Oggi, in questa situazione di crisi, bisogna esplicare l'au-
torità anzitutto operando in atteggiamento di animazione.
Ascoltate una paginetta del nostro ultimo Capitolo su questo
argomento:
« Per animazione spirituale di una comunità religiosa in-
tendiamo quell'insieme di iniziative e di atteggiamenti che
promuovono la vitalità della vocazione specifica del proprio
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12

18.10 Page 180

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Istituto, facendo appello alla partecipazione attiva e alla
coscienza matura di ogni confratello [la vergogna più grande
per una superiora è di avere in comunità una suora " mino-
renne " nella coscienza delle sue responsabilità] coinvolgen-
do tutta la comunità con la valorizzazione dei ruoli e dei
doni personali ».
Quindi animazione significa più che fare, far fare; far fare
a chi tocca, incoraggiare, lodare, entusiasmare, perdonare,
comprendere, insomma è tutto il sistema preventivo applicato
alla nostra vita di comunità, tutto il sistema della bontà e
dell'amorevolezza. Lo stile di animazione è nel sangue nativo
del salesiano.
« Il progredire dello stile di animazione si manifesta nella
crescita della corresponsabilità e nel riconoscimento della
complementarità [potete misurare l'autenticità del vostro
esercizio di autorità dal modo in cui le vostre consorelle cre-
scono nella corresponsabilità, dalla misura in cui tenete con-
to del ruolo di quanti collaborano con voi, ed esercitate la
vostra autorità in modo complementare, ispirandovi al prin-
cipio di sussidiarietà], come espressione cli una coscienza
adulta e di uno stadio di accresciuta maturità ».
Questo è molto importante per voi ed è in piena sintonia
con quel segno dei tempi che si chiama « promozione della
donna», uno degli elementi più avvertiti dalle giovani che
entrano da voi.
Indubbiamente è più difficile esercitare l'autorità facendo
animazione, ma è anche più efficace. E se ne ha come effetto
non una congregazione « del direttore», « dell'ispettore», o
« del rettor maggiore », ma si ha la congregazione della co-
munità locale, della comunità ispettoriale, della comunità
mondiale.
« In tale senso il significato di animazione è legato a
quello di suggerimento, motivazione, persuasione. Suppone
capacità di dialogo, ascolto, comunicazione, discernimento ».
178

19 Pages 181-190

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19.1 Page 181

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È difficile, certo; bisogna pregare di pm, bisogna leggere
di più, bisogna conversare di più e ascoltare di più; forse
bisogna fare di meno, perché occorre attendere a questo
compito di animazione che è di capitale importanza e di
somma utilità.
« Per noi tutto questo appare come momento e frutto del-
la ragionevolezza e dell'amorevolezza dello stile di don Bosco.
L'animazione di una comunità non può ridursi ad un
aspetto tecnico-metodologico, ma si fonda su un atteggia-
mento di docilità allo Spirito, primo "Animatore" di tutto
il popolo di Dio. Ci sono, è vero, anche le dinamiche di gruppo
e la altre tecniche tutt'altro che disprezzabili, ottime anzi
per chi vi è preparato, ma non sono tutto. Per una comunità
religiosa si tratta fondamentalmente di ricollegarsi al pro-
getto iniziale del Fondatore, suscitato dallo stesso Spirito
Santo» (CG 21. Documenti capitolari 39-40).
Pensiamo a come ha esercitato l'autorità madre Mazza-
rello qui a Mornese, come è arrivata ad accettarla e come
la esprimeva. Ieri ho visto le scale dove sedeva per conver-
sare con le suore, in familiarità, con lealtà e franchezza: po-
che parole forse, ma penetranti e chiare, sgorgate dal cuore
e centrate sulla vita nello Spirito.
Leggendo adesso una lettera di madre Mazzarello, o un
suo pensiero, ci si accorge che r ivelano la pienezza di un'ani-
ma che si è santificata nell'esercizio leale, spirituale e cor-
diale del suo ministero.
L'esercizio dell'autorità diviene - per chi lo assume ge-
nerosamente - la sua vita nello Spirito, perché esige che lo
sviluppo della propria personalità spirituale sia in pieno ac-
cordo con il ministero concreto e quotidiano che gli tocca.
E concludo. La cosa più importante da fare, in questo
tempo di crisi, è che i superiori si sentano invasi dallo Spi-
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19.2 Page 182

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rito Santo per essere anima, fantasia, essere consolatori e
incoraggiare, come lo Spirito vivificante e creatore.
Voi siete qui, a Mornese. Chiedete a madre Mazzarello
che interceda per voi e ottenga questa capacità a tutte le
ispettrici qui presenti e poi a tutte quelle del mondo, pre-
senti in spirito per solidarietà e comunione.
Ma voglio ricordare anche, e in modo assai particolare,
le direttrici! Perché il segreto del rinnovamento passa attra-
verso la formazione permanente nella realizzazione imme-
diata e pratica che deve essere una rinnovata vita di convi-
venza, di preghiera, di dialogo, di studio, di verifica nella
comunità locale.
Oggi, nella mentalità socio-democratica dell'opinione pub-
blica, la funzione dell'autorità sembra una realtà antipatica
perché è vista come detentrice di potere paternalistico. Eb-
bene: la vita nello Spirito ce la presenta invece come un
servizio indispensabile per la crescita del dono più bello che
abbiamo nella nostra esistenza: quello del carisma salesiano.
180

19.3 Page 183

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SECONDA PARTE
FORMAZIONE PERMANENTE
Il tema di oggi è un tema piuttosto pratico: servizi di
fedeltà alla vita nello Spirito.
Alle precedenti riflessioni sul servizio dell'autorità ag-
giungiamo ora alcune idee circa la formazione permanente. È
un tema importante e chi vi parla non dimentica l'incarico,
che ha lasciato di recente, di consigliere per la formazione.
Suggerisco alcuni orientamenti di ordine pratico.
Motivazioni per una educazione continuata
Dobbiamo riallacciarci a quanto abbiamo detto in questi
giorni, particolarmente sulla sfida che ci è lanciata da tutto
l'insieme dei cambiamenti socio-culturali. Abbiamo già sot-
tolineato çhe a causa di questa esplosione di crescita in uma-
nità c'è bisogno di mettersi in tono e di crescere in statura
e in maturità; qui è la radice, o la motivazione fondamentale
dell'attuale urgenza di formazione permanente.
Enumeriamo alcune motivazioni che ce ne faranno per-
cepire meglio l'importanza.
L'accelerazione della storia. Con l'enorme progresso
degli studi che toccano la nostra attività di educazione e di
pastorale, le scienze dell'educazione e le discipline della
fede esigono con urgenza che ci mettiamo in tono. Ormai,
181

19.4 Page 184

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come si dice, ogni cinque anni si vive un secolo. Questa è
una prima ragione, una prima motivazione per cui è nata in
tutta la Chiesa, in tutto il mondo, la necessità di una educa-
zione continuata durante tutta la vita.
Il pluralismo ideologico. Con il progresso scientifico e
l'apparizione di tante ideologie, e con il processo di demo-
cratizzazione è sorto un forte pluralismo nella convivenza
umana, sensibile non solo tra credenti e non credenti, pro-
testanti e cattolici, Gesuiti e Salesiani, ma proprio al di
dentro degli stessi orientamenti e inquadramenti della Chie-
sa. C'è un pluralismo anche all'interno della vita religiosa,
addirittura all'interno di un Istituto religioso.
Il pluralismo, più che una tesi da difendere, è piuttosto un
dato di fatto, che porta con sé implicitamente una continua
domanda sulla propria identità. Io sono cattolico: che cosa
vuol dire essere cattolico in mezzo a tanti che non lo sono?
Io sono Salesiano e che cosa vuol dire essere Salesiano oggi?
Quindi il fenomeno del pluralismo, che conosciamo ormai
in casa nostra, ha provocato una forte crisi di identità in
tutti i campi, negli Istituti religiosi, nei sacerdoti, negli stes-
si partiti politici (anche loro parlano di rifondazione).
Sorge di conseguenza la necessità di ripensare le cose;
il che si può fare solo con un lavoro di educazione continua
sulla propria vocazione.
Esigenza di una mentalità nuova. Il progresso ha intro-
dotto uno stile di convivenza nuovo, con una differente ma-
niera di fare e con tante idee aperte. Bisogna acquisire la
capacità critica di giudicare queste novità, e insieme il co-
raggio di assumere ciò che è positivo e può conciliarsi con
la fede e con il carisma salesiano. Tutto questo richiede uno
sforzo di studio, di educazione continua.
Il carattere evolutivo della personalità umana. La for-
mazione permanente - o educazione continuata - è un po'
182

19.5 Page 185

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inerente alla nostra stessa maniera di essere; i tempi attuali
la sottolineano e ne fanno sentire la urgenza, ma in sé è una
necessità che dovrebbe esserci stata sempre: l'uomo (e la
donna!) non è mai del tutto maturo! ... anche nello stato re-
ligioso.
L'evolversi, il crescere è inerente alla personalità umana.
Noi parliamo ora di formazione permanente come se fosse
una scoperta; però un Cagliero che è stato qui con voi, e così
un Costamagna, andando in America Latina, in un ambiente
differente, hanno dovuto immergersi in una cultura diffe-
rente: e voi credete che siano rimasti tali e quali erano qui?
Non si parlava di formazione permanente, ma hanno dovuto
usare tutta la loro intelligenza e tutti i loro studi per adat-
tarsi e fare quanto era necessario. Dunque è inerente a que-
sta necessità intrinseca della personalità umana di evolversi,
di crescere: e non solo fino ai venticinque anni!. .. È un cre-
scere sempre più, finché c'è capacità; chi si ferma e ha perso
il senso della crescita spirituale, non solo è anziano, ma è già
morto psicologicamente.
La vita cristiana come crescita nella fede. Poi c'è anche
la motivazione della stessa vita cristiana. La vita cristiana
in se stessa che cos'è? È crescita in Gesù Cristo, in sintonia
con i tempi.
Dunque è in piena armonia con la natura stessa della
vita cristiana, della vita ecclesiale, il preoccuparsi di avere la
statura che esigono i tempi per un credente. Quindi la for-
mazione permanente non è una novità totale, soltanto c'è
oggi un tono più forte di intensità. Anche la vocazione sale-
siana, che è vita di fede, è impregnata di affanno di crescita.
Qual è, infatti, la patria della missione salesiana? La gio-
ventù. Chi può vivere tra la gioventù come amico, come edu-
catore, se pretende che la gioventù abbia solo le idee di ieri,
le conoscenze e i gusti che ha lui? Gli è indispensabile adat-
tarsi. Ecco che la stessa missione salesiana comporta una
183

19.6 Page 186

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esigenza di formazione permanente, che oggi è diventata più
urgente di prima e nella quale bisogna concentrare con mag-
giore intelligenza, con maggiore organizzazione le nostre
energie per poter affrontare con vera maturità e con adegua-
ta capacità vocazionale i tempi nostri, così difficili e così
pregnanti di futuro.
Le esigenze conciliari. Il Vaticano Il ha fatto invito
solenne a tutta la Chiesa perché si metta a servizio dell'uma-
nità. Quanto ha detto nei suoi documenti è così travolgente,
così innovatore nell'ordine pastorale, nell'ordine delle rela-
zioni con il mondo che (se anche non avesse fatto nessun
altro invito) il solo fatto di applicare quegli orientamenti
diviene in se stesso un fortissimo impegno alla formazione
permanente. E di fatto nel clero, nei religiosi, tale formazione
è rinata di lì: per capire, assimilare, realizzare il Vaticano Il.
Di lì sono nati anche i Capitoli Generali Speciali, che sono
stati assemblee di formazione permanente. Sono stati tutti
Capitoli sull'identità, quasi uno sforzo comunitario per lan-
ciare l'aggiornamento e la capacità di essere in sintonia con
le necessità attuali. E di conseguenza uno sforzo per capire,
assimilare, praticare il CGS, e il Capitolo susseguente che ne
è una specie di complemento, di continuazione. Voi non siete
qui per la verifica di un Capitolo che è complementare al
CGS? E cos'è questo se non un'attività di educazione conti-
nua, di formazione permanente?
Il Documento dei criteri direttivi . Anche il recente do-
cumento già più volte citato, nella sua seconda parte norma-
tiva al primo capitolo, dal n. 24 al n. 35, si riferisce tutto al
tema della educazione continuata. Il titolo è Alcune istanze
attinenti all'aspetto formativo: alla formazione continua dei
vescovi, dei religiosi, del clero, alla mutua collaborazione,
alle iniziative che bisogna lanciare insieme: di stampa, di
pubblicazioni, di collaborazione tra Istituti, ecc.
184

19.7 Page 187

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Ecco dunque: non mancano motivazioni per una educa-
zione continuata in piena sintonia con la nostra persona
umana, con la nostra fede cristiana e con la nostra vocazio-
ne salesiana.
Dovremo però chiarirci bene che cosa noi intendiamo per
« formazione permanente» perché questo termine, molto in
uso oggi, normalmente può significare varie cose.
Avete visto che io ho usato anche altre espressioni: edu-
cazione continuata o continua, proprio per evitare di definire
subito la nostra formazione permanente.
Due livelli di educazione continuata
È bene distinguere due livelli molto concreti di questo
sforzo per metterci in tono con le esigenze e per crescere nel-
la nostra identità. Due sforzi che noi ora distinguiamo, ma
che vanno uniti e fusi insieme; tuttavia vedrete che si pos-
sono fare anche separatamente.
Primo livello: lo chiamiamo aggiornamento. Mettiamo-
ci d'accordo su che cosa vogliamo dire con questa parola.
Dicendo « aggiornamento » si intende uno sforzo di tipo piut-
tosto dottrinale-culturale per mettersi in tono nei riguardi
di ciò che esige la conoscenza oggi. Voi capite subito che a
questo sforzo sono tenuti tutti, e che possiamo trovare un
tale tipo di lavoro anche fuori di casa nostra, in una univer-
sità, in una diocesi, in una conferenza nazionale di religiosi
che la organizza. Ci sono anche temi specializzati di aggior-
namento: per esempio sulla scuola, o sulla cristologia, o
sulla dinamica di gruppo, ecc. È un aggiornamento che può
far parte della formazione permanente.
Però un simile aggiornamento non risolve necessaria-
mente il grave problema dell'identità, anzi in certe situazioni
185

19.8 Page 188

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potrebbe anche far progredire uno squilibrio dottrinale ri-
guardo all'identità vocazionale, o farci cadere in un gene-
ricismo. È indispensabile l'aggiornamento, però bisogna sa-
perlo adottare in armonia con il livello della formazione
permanente.
Secondo livello: è quello che chiamiamo propriamente
formazione permanente, e si situa sulla linea della vita nello
Spirito. Chiamiamo « formazione permanente» proprio que-
sta cura della crescita nell'identità vocazionale. I vari livelli
dell'identità vocazionale - cristiana, religiosa, salesiana -
dovranno armonizzarsi per noi nella sintesi della vita nello
Spirito, secondo il progetto evangelico di don Bosco.
Ci sono noviziati in cui per certe scuole di formazione di
tipo liturgico e dottrinale c'è una collaborazione di diffe-
renti Congregazioni che si aiutano a vicenda. Ed è un bene.
Però è il nostro Istituto che deve fare la sintesi vitale, e
l'approfondimento specifico a livello di salesianità. Ora, la
formazione permanente noi la possiamo situare proprio a
questo livello, che evidentemente non va separato dall'ag-
giornamento, ma lo guida e lo incorpora al senso della voca-
zione vissuta nel proprio Istituto. In definitiva, per noi, la
formazione permanente è situata sulla linea della vita nello
Spirito, e ci aiuta a crescere nella nostra identità vocazio-
nale, cioè nell'orbita carismatica salesiana.
Concetto di formazione permanente
Ora possiamo domandarci: qual è precisamente il con-
cetto genuino di formazione permanente?
Incominciamo con l'escludere alcune interpretazioni che
non sono vere. Il concetto di formazione permanente non
è quello di una struttura o di una tappa: né una struttura
che aiuta la formazione - come un corso - né una tappa,
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19.9 Page 189

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per esempio quella tra i quarantacinque e cinquantacinque
anni.
Questo non significa che per fare la formazione perma-
nente non siano utili e indispensabili anche dei «corsi»;
però chi la identifica con un corso si sbaglia. Dire per esem-
pio: « Io ho già fatto la formazione permanente! » sarebbe
un grosso sproposito! Avere frequentato un corso di for-
mazione permanente non è che l'essere andate a imparare
come impegnarsi nella formazione permanente.
Il vero concetto di formazione permanente è quello di un
principio organizzatore che ispira e orienta tutta la forma-
zione, anche quella della postulante, della novizia, della neo-
professa, come quella della novantenne. Un principio orga-
nizzatore che ispira e orienta la formazione lungo tutto
l'arco della vita: tale principio consiste nel cercare i mezzi
di studio, di dialogo, di preghiera ecc., per mettere in sin-
tonia i valori spirituali del proprio carisma con le esigenze
dei segni dei tempi.
In definitiva, al centro e nel substrato di un tale sforzo
c'è questo principio formativo: bisogna imparare ad impa-
rare sempre.
La metodologia è quella di imparare ad imparare, non
di avere imparato. Per questo già dai primi anni, invece di
impartire alla postulante e alla novizia lezioni mnemoniche
di formule fatte, bisognerà abituarle a una metodologia che
muova la loro responsabilità e stimoli tutta la loro iniziati-
va, per divenire agenti attivi e capaci di dialogo con le realtà
in cambiamento.
Si tratta quindi di curare la capacità indefinita di impa-
rare a mettersi in rapporto con le situazioni dell'esistenza,
più che di possedere tante nozioni; a sviluppare cioè l'iden-
tità della propria vocazione in rapporto con le esigenze del-
l'esistenza. Quindi non si tratta di formule che si imparano
a memoria per poi applicarle; si tratta piuttosto di una cri-
teriologia e di tutta una robustezza di visioni e di orienta-
187

19.10 Page 190

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menti che dànno la capacità di stabilire un equilibrio tra ciò
che cresce fuori di noi e ciò che cresce in noi con lo Spirito.
Quindi il concetto di formazione permanente tocca la so-
stanza della vita religiosa.
In questo senso possiamo affermare con ragione che
ogni comunità religiosa implica nei suoi membri un tacito
accordo per aiutarsi scambievolmente in uno sforzo di for-
mazione permanente. Il luogo privilegiato della formazione
permanente, la scuola della formazione permanente, è la
comunità locale; urge far che in Congregazione le comuni-
tà siano formatrici.
Ogni comunità dovrebbe essere comunità formatrice dei
suoi membri. Purtroppo, così come non basta mettere su
una bottiglia un'etichetta e poi metterci dentro qualunque
cosa, allo stesso modo non basta dire che tutte le comunità
debbono essere formatrici, perché lo siano davvero . Ci ac-
corgiamo, purtroppo, che sotto tante belle etichette di vini
scelti c'è molto aceto e molta acqua. E allora? Allora biso-
gna fare corsi, programmare tempi forti, preparare anima-
tori; dobbiamo escogitare tante iniziative affinché a poco a
poco tutte le comunità possano arrivare ad essere formatrici.
La formazione permanente è una mèta, non è un corso.
Anche qui risalta subito l'importanza strategica della respon-
sabilità dell'autorità. Che cosa deve fare la direttrice, l'ispet-
trice, che cosa deve fare il Rettor Maggiore? Bisogna sveglia-
re la fantasia e lanciarsi a fare mille cose. Il concetto di for-
mazione permanente non può restare un puro desiderio: de-
ve tradursi in un impegno personale e comunitario.
Una doppia linea di impegno quindi: quello personale e
quello comunitario.
0 Impegno personale: quale obiettivo deve raggiungere?
Il rinnovamento delle singole persone nella vocazione sa-
lesiana. Ciò va unito indissolubilmente alla maturità umana.
188

20 Pages 191-200

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20.1 Page 191

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Per voi, ad esempio, la promozione della donna non potrà
essere attuata semplicemente studiando lo spirito di Morne-
se. Dovrete pure studiare che cosa significano nella psicolo-
gia di oggi i vari processi di crescita; troverete tante esage-
razioni, ma troverete anche valori da assumere e da applicare.
Altro esempio: la maturità cristiana. Che cosa esige da noi
Dio nel Vangelo? Come si interpreta? Le risposte al riguardo
non si deducono dalla conoscenza di don Bosco o di madre
Mazzarello; occorrono studi specifici sulla fede, in armonia
con il Magistero della Chiesa, ma anche secondo i progressi
delle scienze interessate.
Ancora un esempio: la maturità salesiana. Come rinnova-
re il sistema preventivo? In che consiste propriamente lo spi-
rito salesiano, e qual è il segreto che lo fa rivivere?
Quando arriviamo a questa sfera della maturità salesiana,
se non ci mettiamo noi a realizzarla, nessuno ci aiuterà ! Al-
lora cosa succede? Possono crescere la maturità umana e
anche quella cristiana generica, ma rimane bambina la sale-
sianità e a poco a poco resterà sopraffatta, mentre di per
la nostra maniera di essere cristiani e la nostra maniera di
essere uomini e donne è proprio quella di vivere in pienezza
il progetto salesiano.
Ecco che allora siamo sollecitati con urgenza a curare la
maturazione salesiana in sintonia con gli altri livelli, fusi in
una sola realtà nella nostra vita.
Abbiamo detto - infatti - che la vita religiosa è una
prassi, che il carisma nostro è un'esperienza vissuta; ebbene:
in questa prassi e in questa esperienza convergono e cresco-
no insieme tutti i nostri valori umani e cristiani.
Impegno comunitario: comporta riflessioni dello stes-
so tipo; però il rinnovamento della comunità ha una sua
metodologia propria. Quanto ne abbiamo sentito parlare in
questi tempi! La comunione fraterna, la testimonianza co-
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munitaria, secondo lo stile che si esige oggi, la metodologia
pastorale e il suo inserimento nella Chiesa locale, sono tutti
aspetti che postulano un rinnovamento. Ecco a che cosa si
riferisce, in concreto, la formazione permanente!
Aree di impegno della formazione permanente
Quali dovrebbero essere le aree di impegno della forma-
zione permanente?
Occorre individuarle e averle presenti per poter definire
tutto un panorama di lavoro che dobbiamo saper fare, e che
ricade in misura notevole sulla responsabilità dell'autorità.
Quali sono le aree in cui impegnarci per un'aggiornata for-
mazione permanente?
La prima area si riferisce all'identità vocazionale: è
la vita nello Spirito. Abbiamo affermato, durante questi gior-
ni, il primato della vita nello Spirito. In un programma di
formazione permanente la prima cosa da curare è il senso
di fede, il rinnovamento della nostra liturgia, l'abilitazione
all'ascolto e alla preghiera, la cura degli esercizi spirituali e
dei tempi dello spirito.
Chi esercita l'autorità scoprirà che una casa, o meglio
una ispettoria - e persino la Congregazione - talvolta non
ha il personale competente per fare l'animazione adatta a
quest'area e dovrà incominciare dallo scegliere e preparare
le persone. Non abbiamo nessuno che anima la liturgia? Bi-
sogna preparare qualcuno. Non c'è nessuno competente in
Sacra Scrittura? Bisogna preparare qualcuno. E qui io sco-
pro un settore strategico che ci impegna e ci fa pensare, in
famiglia, con molta serietà (io ne sono convintissimo e so
che la Madre pure lo considera perché ce ne ha parlato al
nostro ultimo Capitolo Generale): si tratta del rinnovamento
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20.3 Page 193

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del ministero sacerdotale nella nostra Famiglia. Nello spiri-
to di Mornese c'è un riferimento indispensabile al sacerdo-
zio ministeriale.
Non si spiega il carisma salesiano senza il serv1z10 sacer-
dotale di don Bosco. A Mornese c'era chi lo rappresentava:
don Pestarino prima, e poi altri. Infatti la vostra vita spiri-
tuale come la vostra vita comunitaria, la vostra attività pa-
storale e lo stesso sistema preventivo esigono un tale servi-
zio. Abbiamo bisogno in Famiglia di santi preti, abbiamo bi-
sogno di preti che mettano il loro ministero a servizio della
crescita salesiana di tutti noi. Questo è oggi un problema de-
licato e io ve lo dico con molta confidenza: aiutateci anche
voi! Ormai sono arrivati i tempi in cui la promozione della
donna fa sì che essa non solo esiga, ma aiuti a rinnovare, a
rettificare, a orientare e a irrobustire il significato e l'eser-
cizio di un ministero che è assolutamente fondamentale per
l'area della vita nello Spirito.
• Un'altra area è quella della salesianità: il nostro spi-
rito, la nostra missione, il nostro progetto educativo, la no-
stra storia. Particolarmente importante è la conoscenza sto-
rica del nostro Istituto.
Voi avete visto il bene che fa la vostra Cronistoria, scrit-
ta con intelletto d'amore e con conoscenza delle cose. Evi-
dentemente non è uno studio da sociologo, e neppure un'a-
nalisi solo da storiografo, ma una narrazione oggettiva fatta
da credente, da chi conosce dal di dentro il proprio carisma.
Per far progredire la salesianità innanzitutto ogni Istitu-
to, per conto suo, deve designare ad alto livello persone con
programmi di lavoro specifici; poi, tutta la Famiglia insieme,
dobbiamo accordarci perché abbiamo tanti valori in comune
ed urge collaborare ed organizzare seriamente qualcosa che
ci unisca negli studi, nelle pubblicazioni, e in tante iniziative
possibili.
191

20.4 Page 194

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Una terza area della formazione permanente è l'ambito
pastorale-pedagogico: noi siamo missionari della gioventù e
facciamo una pastorale che è educazione e una educazione
che è pastorale. Dobbiamo perciò conoscere i progressi del-
le discipline che si riferiscono tanto alla pastorale come alla
pedagogia.
Vedete che è indispensabile che ci sia aggiornamento, ma
un aggiornamento chiaramente inserito nella preoccupazio-
ne salesiana di una vera formazione permanente. Non è un
aggiornamento assunto per cultura o per avere un titolo di
docenza, è un aggiornamento assunto per irrobustire la pro-
pria identità nella realizzazione della missione salesiana. E
vi entrano le scienze teologiche, spirituali, pedagogiche, psi-
cologiche, sociologiche.
La quarta area della formazione permanente è quella
della professionalità.
Siccome noi siamo chiamati a una missione che si im-
merge in un'area culturale, alcuni di noi sono vincolati con
una determinata professione, altri con altra. La prima norma
per chi è religioso, nei riguardi di una professione, è proprio
di essere competente in essa.
Bisogna curare quegli elementi che dànno o rinnovano
la competenza in una professione, soprattutto per la meto-
dologia operativa secondo il ruolo di ciascuno, perché c'è
una professionalità per la scuola in sé, differenziata in varie
discipline, un'altra per la pastorale parrocchiale, un'altra
per l'attività ospedaliera, ecc.
La professionalità deve essere curata minuziosamente in
ordine alla realizzazione pratica della vocazione religiosa.
In queste quattro aree della formazione permanente tro-
viamo un campo assai concreto di impegno.
192

20.5 Page 195

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Il cuore di chi anima la formazione permanente
Soggetto della formazione permanente è ogni religioso
o religiosa, per sé come persona, e nella comunità. Però dob-
biamo essere pratici: ci vuole qualcuno che muova, che or-
ganizzi, che verifichi e porti a termine. La persona responsa-
bile di tali iniziative si suole chiamare, oggi, l'animatore o
l'animatrice.
Abbiamo già detto che ogni superiora lo deve essere nel
suo ambito, ma che ci devono essere anche altre.
Se preparate una suora in Liturgia e la fate girare per
le case dell'ispettoria a rinnovare lo stile di preghiera, que-
sta sarà una animatrice, non una superiora. Dunque: il
segreto per promuovere la formazione permanente sta nel-
l'aumentare il numero e la competenza degli animatori.
La qualità centrale dell'animatore però non sta tanto
nella competenza specifica (non è semplicemente un pro-
fessore!), ma sta in un cuore fatto apposta per animare.
Non pensate a condizioni biologiche del cuore, ma a una
sua vitalità teologale.
Il segreto dell'animazione è proprio il cuore dell'animato-
re, e quindi anche del superiore o della superiora.
Un cuore teologale è quello che palpita con le tre virtù
della fede, speranza e carità, che è entusiasta del Signore,
della propria vocazione. Cosa ne fate di un superiore, di
una superiora o di una animatrice che è la prima ad avere
paura, che non crede al futuro, che considera tutti incapaci,
che è la prima persona a sentirsi sconfitta?
Dunque il cuore teologale ha anzitutto una caratteristica
di fede: la certezza che Dio opera tra noi; la certezza, non la
possibilità, meno ancora il dubbio: la certezza.
Quanto abbiamo detto al principio, dello Spirito Santo,
della sua presenza animatrice, ciò che abbiamo detto di Ge-
Cristo risorto o di Maria assunta al cielo, quello che dice
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20.6 Page 196

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la vostra Cronistoria sullo spirito di Mornese : questa è la si-
curezza che deve essere nel cuore dell'animatrice. Senza di
questa non troverà la forza, né le modalità sufficienti per
incoraggiare gli altri.
E voi capite subito che per avere un cuore di fede, cre-
sciuto in questa certezza, ci vuole una persona familiarizzata
con la preghiera.
Un cuore che si muove nella speranza. Che cosa implica
la speranza? Il coraggio dell'iniziativa, il coraggio di fare. La
speranza significa che confidiamo in un aiuto, l'aiuto di Ma-
ria, l'aiuto di Cristo, l'aiuto dello Spirito Santo, l'aiuto del
Padre: siamo sicuri di questo. L'aiuto dall'Alto suscita un
coraggio escatologico: camminiamo verso la preparazione
della venuta del Signore; non crediamo semplicemente nel-
l'evoluzione, crediamo anche in interventi straordinari.
Leggevo stasera una pagina sull'elezione del Papa nell'an-
no 1903. C'era stato il veto dell'Austria per il Cardinale Ram-
polla che aveva un numero considerevole di voti, e ciò por-
tava complicazioni enormi. Si era puntato allora sul card.
Sarto, il quale si schermiva: « Sono indegno, non sono capace,
ecc. ». Allora un cardinale si è alzato e ha detto: « Ma ognuno
di noi può dire la stessa cosa di se stesso. Allora dobbiamo
andare via di qua. Chi fa il Papa? Facciamo un'altra vota-
zione domani ». Si è fatta. Il card. Sarto ha accettato ed è
Pio X, santo: ha confidato nell'aiuto speciale del Signore.
Ecco, ci sono strade, per chi si inoltra con il coraggio
della speranza, che forse a prima vista sembrano impratica-
bili, e ci sono resistenze che sembra non si possano superare.
Solo il coraggio della speranza le fa superare. Noi abbiamo
perso un poco di questo coraggio.
Infine, un cuore di carità. La carità è operosa, ha l'opero-
sità dell'amore, dell'Eucaristia, il dono di fino alla morte.
Se noi troviamo superiori, superiore, o animatori e anima-
trici che hanno questo cuore, quante cose possono fare!
194

20.7 Page 197

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Linee d'azione
Dobbiamo indicare succintamente alcune linee di azione,
nella formazione permanente, a quattro livelli: a livello lo-
cale, a livello ispettoriale, a livello regionale o mondiale, e a
livello di Famiglia salesiana.
A livello locale: nella casa. Abbiamo detto che la comu-
nità locale è di per il luogo privilegiato della formazione
permanente: innanzitutto ogni casa deve sentirsi realmente
impegnata in un programma di formazione permanente.
Però bisogna che ci siano iniziative generali e ispettoriali
capaci di far funzionare bene la comunità locale in ordine
alla crescita spirituale e salesiana dei suoi membri. Ecco
allora che l'ispettoria dovrà organizzarsi come comunità for-
matrice, che l'ispettrice e il suo consiglio dovranno prepa-
rare programmazioni e scegliere ed aggiornare persone com-
petenti e capaci di influire positivamente sul funzionamento
delle varie comunità.
Incominciare dalla comunità locale non vuol dire comin-
ciare utopisticamente: significa al contrario cominciare rea-
listicamente. Così dovrebbe essere. Impegnare un'ispettoria
nella formazione permanente porta a un influsso assai pra-
tico che farà rinnovare la Congregazione, perché in defini-
tiva in questo momento storico il futuro nostro non sta tanto
nella materialità delle opere, quanto nella preparazione delle
persone.
Nella comunità locale bisogna curare intelligentemente i
tempi di preghiera comunitaria, di comune e partecipata ri-
flessione sul Vangelo, di revisione di vita, i ritiri mensili e
quelli trimestrali. Poi vengono i momenti di partecipazione
e di corresponsabilità: il funzionamento del consiglio, la riu-
nione della comunità, le adunanze, la comunicazione frater-
na, gli incontri a tavola, le letture, gli svaghi, ecc. E in que-
ste cose pratiche che ci vuole una direttrice o una animatrice
intelligente, che non faccia tutto lei ma sappia far fare. Oc-
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20.8 Page 198

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casioni di approfondimento salesiano saranno: il colloquio
con la direttrice e l'ispettrice, le conferenze, le buone-notti
che bisognerà sempre preparare bene, con originalità, cer-
cando qualche pensiero vivo che possa veramente aiutare e
incoraggiare.
È assai formativo anche il saper curare la comunione
della casa con tutta l'ispettoria in modo da fare della pro-
pria casa non un ghetto chiuso, ma una comunità in comuni-
cazione e comunione con le altre case e con tutta la Con-
gregazione.
L'identità salesiana si forma anche nella comunicazione
delle notizie: giova il sapere che cosa fanno i nostri missio-
nari e le nostre missionarie, il conoscere avvenimenti tristi
o lieti delle varie ispettorie e nazioni. Se lasciamo cadere
tutta questa informazione perdiamo elementi assai validi per
la formazione, perché l'informazione salesiana è implicita-
mente formazione, interesse, amore, preoccupazione, preghie-
ra. Conoscere una dolorosa notizia, una persecuzione, una
morte, ecc., tutto questo tocca il cuore, costruisce. E così pu-
re la partecipazione agli interessi della Chiesa locale, i pro-
blemi che ci sono in un paese. In Italia, per esempio, è sorto
il problema dell'aborto; perché non parlarne con serietà? Si
può cercare qualche persona che aiuti a fare una conversa-
zione in profondità su questo tema e così ci si aggiorna in
vista delle necessità dell'ambiente.
La comunità locale deve fissare una programmazione an-
nuale su alcune attività fondamentali, al principio dell'anno.
Deve inoltre preoccuparsi di avere una piccola biblioteca
funzionale, in relazione con le attività della casa e con la vo-
cazione salesiana.
Inoltre ogni comunità deve assumere con interesse gli
incontri di pastorale e di vita religiosa che si organizzano
solitamente nelle Chiese locali. Per noi non sono problemi
di attualità apostolica solamente quelli religiosi, perché dob-
biamo stare con la gioventù di oggi. Chi si occupa solo di
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20.9 Page 199

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una scuola materna forse crederà di non avere bisogno di
tante cose, ma lo sentirà di più chi si trova con le ragazze di
liceo. Però anche chi è nella scuola materna deve trattare
con i genitori, non può rimanere chiusa.
Vedete che bisogna inserirsi veramente in tutto un movi-
mento quotidiano di formazione. Non so come sono le vo-
stre conversazioni. Purtroppo in certe case è più facile par-
lare di qualsiasi cosa meno che di temi seri e vitali e di pro-
blemi autentici della vocazione. Si parla forse di politica, di
guerra: tutto è facile. Invece bisogna introdurre anche que-
ste conversazioni, perché non diventeremo comunità forma-
trice (nel senso della formazione permanente) se non ne
trattiamo qualche volta insieme. Non dico che tutte le volte
che andiamo a tavola dobbiamo fare questi discorsi, anzi a
tavola è più consigliabile parlare di altre cose; ma ci sono
molte altre occasioni per considerare insieme questi proble-
mi vitali della nostra vocazione salesiana.
A livello ispettoriale. Il fatto che ogni comunità locale
deve potere davvero funzionare come comunità formatrice
dei suoi membri ci obbliga a cambiare il nostro concetto di
ispettoria, a scoprire nell'ispettoria non semplicemente una
organizzazione amministrativa, ma soprattutto una comuni-
tà di crescita nella vocazione salesiana.
Tutta la preoccupazione dell'ispettrice, con il suo consi-
glio, dovrebbe essere di vedere come si può portare avanti
un discorso di crescita in questa capacità formativa. Quindi
un'ispettrice dovrà vedere se in ispettoria ci sono animatrici
a sufficienza, in quali settori mancano; e prepararne, facen-
do anche progetti a tempo lungo. Bisogna scegliere persone
adatte per assicurare questo orientamento.
I tempi forti, o tempi dello spirito: gli esercizi spirituali
per esempio. Tutte le ispettorie li fanno . In questi anni si è
sentita la necessità di organizzare esercizi spirituali specifici
per il rinnovamento.
197

20.10 Page 200

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I ritiri trimestrali possono, qualche volta, essere pro-
grammati con tematiche annuali comuni per tutta l'ispetto-
ria: lo si può decidere nelle riunioni delle direttrici. Poi ci
sono altri tempi forti da inventare: giornate di studio su
temi specifici, o per determinate categorie di suore; è utile
programmare seriamente iniziative di questo tipo e non te-
mere di spendere soldi in questo. Vedete come l'ispettrice
e il suo consiglio devono rinnovare la loro mentalità per fare
dell'ispettoria una comunità formatrice.
A livello ispettoriale poi c'è la necessità di curare la co-
munione con tutta la Congregazione, altrimenti si cade in
un regionalismo o nazionalismo che a poco a poco incrina
l'unità del nostro carisma e fa perdere il senso di universa-
lità caratteristico del nostro spirito.
A livello regionale e mondiale. Ci sono iniziative che le
singole ispettorie, da sole, non possono portare avanti; bi-
sogna che le ispettorie di una regione, di una stessa lingua,
o anche di una nazione - a seconda delle situazioni - si
accordino. Per esempio dopo i Capitoli Generali viene subi-
to evidente l'assoluta urgenza di migliorare la idoneità delle
direttrici alle loro funzioni. Non è facile che ogni ispettoria
possa programmare un'azione a fondo completa; ci possono
essere iniziative interispettoriali, nazionali, con programma-
zione di corsi di formazione permanente per persone che se
ne faranno portatrici. Dico questo come esempio. Noi al cen-
tro abbiamo pensato il corso di formazione permanente solo
per moltiplicatori. Si può anche pensare a corsi di formazio-
ne permanente, soprattutto con iniziative a carattere locale,
per un rinnovamento normale delle persone per età e per
categoria. Però se si vuole realizzare un tipo di formazione
permanente per moltiplicatori è indispensabile coinvolgere
maggiormente la responsabilità a livello mondiale.
Ci sono infine tante altre iniziative possibili. La superiora
generale con il suo Consiglio anima, dando le grandi linee
orientatrici dell'anno o di certi periodi, individuando i punti
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21 Pages 201-210

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21.1 Page 201

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focali del rinnovamento concreto e partendo (come farete
voi, qui) dalla verifica della situazione in cui si trova l'Isti-
tuto, o un gruppo di ispettorie, ecc.
Di qui l'importanza formativa, a livello mondiale, delle
riunioni del consiglio superiore per studiare bene le situa-
zioni e le programmazioni tattiche e strategiche utili e valide
per la vita di tutto l'Istituto.
A livello di Famiglia salesiana. Noi abbiamo una voca-
zione comune; come vi dicevo al principio, c'è in noi una
consanguineità carismatica. Dovremmo saper trovare la ma-
niera di far funzionare meglio questa nostra bella parentela.
Dobbiamo aiutarci di più e collaborare meglio a tutti i livelli.
Per esempio nelle edizioni e nelle traduzioni della letteratu-
ra salesiana; potremmo trovare insieme dei sistemi per me-
glio diffonderla. Siccome alcuni libri sono chiaramente in
comune, possiamo cooperare, e questa è una bella maniera
di diffondere il carisma salesiano.
Settimane di riflessione in comune; ne abbiamo già rea-
lizzate diverse, sia alla Pisana che altrove, in varie forme e
con differenti obiettivi.
Il nostro CG 21 stabilisce per noi la costituzione di un
Istituto storico; forse possiamo pensarlo in Famiglia e orga-
nizzarlo in collaborazione. Così altre iniziative per la Madon-
na, per le missioni, per l'evangelizzazione della gioventù, ecc.
Ma concludiamo. La formazione permanente è necessaria
ad ogni età. Quindi c'è una formazione permanente già nel-
l'itinerario iniziale: postulato, noviziato, neo-professe, junio-
res, ecc. A questo livello è solitamente designato apposito
personale addetto alla formazione. Allora, ecco: c'è bisogno
che le addette alle tappe iniziali siano animatrici di forma-
zione permanente e facciano imparare ad imparare, non for-
mino delle «minorenni» (scusate se uso questo termine),
ma persone mature che procedono per convinzioni. Non si
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21.2 Page 202

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tratta semplicemente, ad esempio nel noviziato, di far « fa-
re», ma di far «volere»! E forse per ottenere una tale ma-
turità di convinzioni converrà qualche volta chiudere un
occhio su ciò che non hanno «fatto». È tutta una pedagogia:
non ci mettiamo noi un po' di veleno nella vaccinazione, e ci
viene anche un po' di febbre per un giorno o due? Sì: ma lo
facciamo per poter viaggiare senza pericoli di infezione.
Quindi il criterio della formazione permanente esige una
revisione anche della metodologia usata nelle tappe iniziali,
e suppone pieno accordo tra chi dirige la formazione per-
manente e chi dirige la formazione iniziale, con una stessa
criteriologia di crescita vocazionale, anche se ci sono, eviden-
temente, caratteristiche specifiche da rispettare.
Nell'itinerario posteriore alla professione perpetua, le ini-
ziative di formazione permanente non possono essere uguali
per tutte: bisogna studiare possibilità di articolazione in ma-
niera diversa, a seconda delle esigenze. In particolare non si
dovrebbero tralasciare iniziative specifiche per la terza età.
Dobbiamo fare il possibile perché nessuna consorella si sen-
ta emarginata, ma possa invece mettere a disposizione di tut-
ta la comunità, e specialmente delle più giovani, la sua espe-
rienza, vivificata da una rinnovata vita nello Spirito.
La formazione permanente esige dunque da noi che non
siamo dei semplici sopravvissuti; neppure ci chiede di essere
semplicemente restauratori di un quadro un po' rovinato
dal tempo: ci appella a una crescita, ad avere il cuore pieno
di amore verso la nostra vocazione per farla vivere con inte-
grità, in pienezza di novità secondo le esigenze dei tempi. La
formazione permanente, carissime sorelle, è in definitiva un
impegno di amore.
200

21.3 Page 203

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CRITERI DI ORTOPRASSI
PER LA VITA NELLO SPIRITO
PRIMA PARTE
IL PROGETTO EDUCATIVO-PASTORALE
DEL SISTEMA PREVENTIVO
PERCHÉ RIPENSARE A FONDO IL SISTEMA
PREVENTIVO?
ESPRESSIONE DELLA NOSTRA ORIGINALITÀ
L'ANIMA DEL SISTEMA PREVENTIVO
a) Il dono della predilezione verso i giovani
b) Coinvolgimento di amicizia
c) Conoscenza dei singoli e della condizione
giovanile
CARITÀ PASTORALE E INTELLIGENZA PEDAGOGICA
a) Evangelizzare « educando »
1. Spinta pastorale
2. Soll ecitudine per i valori e le istituzioni
culturali
3. Saper vincolare il Vangelo con la cultura
4. Senso realistico della gradualità
20 1

21.4 Page 204

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b) Educare «evangelizzando»
1. Chiara presenza del fin e ultimo
2. Processo educativo positivamente orientato
a Cristo
3. Formare una coscienza critica e un senso del
dovere alla luce del V angelo
4. La Parola di Dio, per sua natura, rivela e
i n t e r p e lla
LO STILE SALESIANO DA RINNOVA RE
a) Assistenza
b) Creazione dell'ambiente
c) Formazione dell a comunità educativa
d) Gruppi e movim enti giovanili
PRATICITÀ D' IM PEG NO
Forma zione d el nosl ro personale
Animazione salesiana dei collaboratori laici
Studio e diffusione della pedagogia salesiana
SECONDA PARTE
IL PROGETTO RELIGIOSO-APOSTOLICO
DELLE COSTITUZIONI
IL « PROGETTO RELIGIOSO »
a) Precisazioni terminologiche
b) L'atto caratteristico
R UOLO DELLE COSTITUZIONI
a) Che cosa sono
b) Quale è la loro funzione
Funzione cli guida vocazionale
202

21.5 Page 205

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Funzione di unità carismatica
Funzione di confronto evangelico
c) Come divengono efficaci
Conoscenza
S impatia
Adesione
SIGNIFICATO DELLA PROFESSIONE RELIGIOSA
a) Il voto di professione
b) Convergenza a tre livelli
A livello ecclesiale
A livello congregazionale
A livello personale
LE COSTITUZIONI, POLO DI RIFERIMENTO
CONCLUSIONE
203

21.6 Page 206

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21.7 Page 207

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PRIMA PARTE
IL PROGETTO EDUCATIVO-PASTORALE
DEL SISTEMA PREVENTIVO
Abbiamo usato per titolo una parolona di attualità: orto-
prassi, cioè la condotta esatta da adottare in concreto per
sviluppare bene la vita nello Spirito. « Ortoprassi » vuol dire
appunto questo: la pratica retta, giusta, appropriata.
Per questa retta pratica della nostra vita nello Spirito
abbiamo due grandi criteri molto concreti.
Per quanto riguarda la nostra attività pastorale, è il si-
stema preventivo; mentre in relazione alla nostra maniera di
vivere e testimoniare è il progetto evangelico delle Co-
stituzioni.
Vediamo anzitutto il sistema preventivo. Vi offro come
primizia una sintesi della prossima circolare che ho appena
preparato per i miei confratelli su questo argomento. Lo fac-
cio in onore del nostro carissimo Fondatore don Bosco, nato
proprio nel clima della festa mariana che stiamo preparan-
do; egli ha sempre detto che la ispiratrice e la maestra dello
spirito che anima questo « sistema » è la Madonna.
Perché ripensare a fondo il sistema preventivo?
Essendo il sistema preventivo un modo pratico di rea-
lizzare tutta la nostra spiritualità e la nostra pastorale, risul-
ta naturalmente impastato di elementi culturali del secolo
205

21.8 Page 208

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XIX. Oggi è urgente riscoprire il nucleo permanente che ne è
l'anima, e al tempo stesso rivestirlo delle caratteristiche cul-
turali di attualità. Questo lavoro si dovrà fare ogni tanto nei
secoli, necessariamente, così come fa la Chiesa rispetto alle
metodologie di azione pastorale.
Dopo il Concilio, dopo i recenti Capitoli, nella Chiesa e
negli Istituti religiosi il problema non è di cercare ancora dei
princìpi, perchè ormai li abbiamo, chiari ed attuali; ma è
piuttosto quello di tradurli nella pratica.
Il grosso problema post-capitolare, e voi lo avvertirete nel
corso della vostra verifica, sta proprio nel passare dalla car-
ta alla vita.
Nella nostra ricerca di una pratica retta, di una ortopras-
si salesiana, troviamo che bisogna appunto riscoprire il siste-
ma preventivo perché questa è stata la « via regia » della
nostra crescita vocazionale. E questa - lo ripetiamo - sarà
la prassi concreta del nostro rinnovamento. Certamente per
« sistema preventivo » non intendiamo solo quel libretto,
con gli altri scritti di don Bosco; ma tutta una tradizione vis-
suta, la pastorale e la spiritualità concrete di don Bosco, dei
primi Salesiani, delle prime Figlie di Maria Ausiliatrice: la
loro maniera di formarsi per la gioventù, il loro modo di rea-
lizzare la spiritualità salesiana e di santificarsi nell'azione
apostolica. Quindi, non si tratta semplicemente di un metodo
pedagogico, ma di una sintesi vissuta di spiritualità, di pa-
storale, di pedagogia, ossia la concretizzazione di tutti i prin-
cìpi e criteri della vita salesiana nella pratica con i giovani.
Ciò comporta tutto un insieme organico di convinzioni,
di atteggiamenti, di azioni, di interventi, di mezzi, di metodi,
di strutture, che hanno costituito progressivamente un ca-
ratteristico modo generale di essere e di agire personale e
comunitario, di don Bosco, dei singoli Salesiani e della Fa-
miglia salesiana.
Nella nostra tradizione si è sempre detto che tutto ciò
costituisce la nostra fisionomia, la magna charta - come di-
206

21.9 Page 209

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ceva don Albera - che ci conferisce la nostra specificità.
Sentite don Rinaldi: « Il Salesiano o è Salesiano o è niente;
o è di don Bosco o è di nessuno. Se studieremo don Bosco,
se seguiremo il suo "sistema" saremo davvero suoi figli, al-
trimenti non sareIJ1.0 niente, lavoreremo in aria e fuori stra-
da». Vedete che i santi, anche quando parlano poco, dicono
cose profondissime.
Se tutta la nostra preoccupazione di rinnovamento con-
siste nel riattualizzare il carisma salesiano, evidentemente
non possiamo non considerare il sistema preventivo, che ne
è una componente pratica integrante.
Espressione della nostra originalità
È proprio nella pratica di un tale « sistema » che noi
esprimiamo la nostra genialità. Paolo VI nella bella Esorta-
zione apostolica Evangelii nuntiandi ha detto che i religiosi
operano nella Chiesa con una originalità e una genialità spe-
ciale e feconda. Perciò ogni Istituto deve cercare qual è que-
sta sua genialità. La nostra è appunto situata nella pratica
del sistema preventivo.
Noi dobbiamo costatare che la santità di don Bosco si è
espressa proprio negli impegni dell'educazione: un santo
« educatore»! E la santità di Domenico Savio si è realizzata
anch'essa attraverso l'educazione: un santo « educando»!
È l'unico caso nella storia di un educatore santo con un edu-
cando santo, divenuti tali proprio nell'esercizio di questo
sistema educativo. È una lezione di pedagogia dello Spirito
Santo. Lo Spirito Santo parla, non come parliamo noi; parla
attraverso persone: i santi sono parole dello Spirito Santo
nei secoli. Quando noi diciamo « sistema preventivo», inve-
ce di pensare ad un libretto dobbiamo considerare don Bo-
sco e Domenico Savio, insieme, come il modello vivo e pro-
fetico del sistema preventivo.
207

21.10 Page 210

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Un famoso Salesiano, don Caviglia, ha scritto pagine di
acuta intuizione sul progetto educativo di don Bosco. « L'ori-
ginalità del sistema preventivo - dice don Caviglia - de-
nota in don Bosco una forte capacità creativa; la sua però
non è creazione di elementi - creare dal nulla è opera solo
di Dio - è sintesi creativa, che è il contrassegno delle opere
del genio. Sintesi creativa la dico, perché l'originalità, la bel-
lezza, la grandezza della creazione non risiede tanto nella
novità dei particolari quanto nella scoperta di quell'idea che
li assomma e li fonde nella vita nuova e propria di un tutto».
Un fatto di genialità come quella di Beethoven, che dà
a ognuna delle sue sinfonie un significato che penetra l'ani-
ma, che non viene certo dal creare note nuove.
Lo stesso don Caviglia aggiunge poco oltre: « Sul piede-
stallo della storia, il titolo antonomastico e senz'altro il più
proprio e il più simpatico della grandezza di lui sarà la sco-
perta del sistema preventivo. La vera originalità, l'impronta
della mente e del cuore di questo vero genio del bene è in
questa possente sintesi creativa, è nell'idea per cui visse e
che fu vissuta da lui. Questa idea, la sintesi, è venuta dal
cuore e risiede nella bontà. Il sistema di don Bosco è per-
tanto il sistema della bontà; o - per dir meglio - la bontà
eretta a sistema. Naturalmente è bontà sentita da un cuore
di santo, e perciò ispirata a concezione e sentimenti non
soltanto umani. Qui l'uomo di cuore dà la forma sensibile
e pratica a ciò che detta l'ideale supremo della carità, che è
la salvezza e la cura delle anime».
Dunque proprio qui si è concentrato il genio di don Bo-
sco come artista creativo; egli ha inventato il modo di vive-
re, nella pratica, una spiritualità che si mescola, che si im-
pasta con la promozione umana nell'area culturale dell'edu-
cazione.
Noi dobbiamo saper trovare quali sono i suoi criteri mo-
tori, ritoccando quegli elementi culturali che sono ormai
superati, riattualizzandoli per fare sì che questo sistema
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22 Pages 211-220

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22.1 Page 211

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preventivo possa essere praticato sia in un collegio, sia in
un oratorio, sia in un qualunque ambiente, nella scuola co-
me nelle passeggiate. Quando don Bosco è passato qui a
Mornese con i suoi cento ragazzi, ci è venuto con il sistema
preventivo, che non era semplicemente una normativa da
internato. Dobbiamo persuaderci che un tale sistema si deve
poter praticare dovunque noi lavoriamo: nella parrocchia,
nella missione, nella scuola, nell'oratorio, nel centro giova-
nile, in qualunque attività culturale noi compiamo.
Dobbiamo dunque riscoprire quale è l'anima che lo muo-
ve, per poterlo far funzionare con tutti i mezzi possibili e
conservarlo come nostro tesoro. Se siamo capaci di fare que-
sto, abbiamo trovato la strada della nostra conversione.
Ricordate la famosa lettera che ha scritto don Bosco a
don Costamagna in Argentina. È una delle ultime; la leg-
giamo perché è assai significativa. È bello osservare che don
Bosco si rivolgeva ai Salesiani e alle FMA insieme (Lettere
IV 332): « Io che mi vedo in cadente età vorrei poter avere
meco tutti i miei figli e le nostre consorelle dell'America;
vorrei a tutti fare una conferenza sullo spirito salesiano che
deve animare e guidare le nostre azioni, ogni nostro discor-
so, la pratica [qual è lo spirito che deve guidare la nostra
pratica?].
Il sistema preventivo sia proprio di noi [la nostra spe-
cificità, la nostra originalità], nelle classi suoni la parola
dolcezza, carità, sapienza. Ogni Salesiano si faccia amico di
tutti, non cerchi mai di fare vendetta, sia facile a perdonare,
ma non richiami mai le cose già una volta perdonate. La dol-
cezza nel parlare, nell'operare, nell'avvisare guadagna tutto
e tutti ».
Dopo questa lettera vari confratelli rinnovavano ogni
mese un quarto voto: il voto di bontà, o di osservanza del
sistema preventivo! Ci sono alcuni Istituti religiosi che
esprimono in un quarto voto l'impegno specifico della loro
caratteristica. È interessante per noi registrare che ci sia
209
14

22.2 Page 212

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stata un'espressione storica in questo senso riguardo al si-
stema preventivo.
Un sacerdote francese che ha collaborato con l'Abbé Pier-
re nel ricuperare i giovani emarginati dalla società, il padre
Duvallet, dopo venti anni di questo lavoro nel prendere con-
tatto con la pedagogia di don Bosco ha lanciato ai Salesiani
questo appello: « Voi avete opere, collegi, oratori per giova-
ni, ma non avete che un solo tesoro: la pedagogia di don Bo-
sco. In un mondo in cui i ragazzi sono traditi, disseccati, tri-
turati, strumentalizzati, il Signore vi ha affidato una pedago-
gia in cui trionfa il rispetto del ragazzo, della sua grandezza
e della sua fragilità, della sua dignità di figlio di Dio. Con-
servatela, rinnovatela, ringiovanitela, arricchitela di tutte le
scoperte moderne, adattatela a queste creature del XX se-
colo e ai loro drammi che don Bosco non poté conoscere.
Ma per carità, conservatela! Cambiate tutto, perdete se è il
caso le vostre case, ma conservate questo tesoro costruendo
in migliaia di cuori la maniera di amare e di salvare i ra-
gazzi che è l'eredità di don Bosco! ».
È un appello molto accorato che vale la pena di leggere
e rileggere ogni tanto, proprio per garantirci che nel dedi-
carci al sistema preventivo promuoviamo un elemento so-
stanziale della nostra vocazione, del nostro carisma.
L'anima del sistema preventivo
Qual è l'anima del sistema preventivo che noi cerchiamo
di approfondire? Nell'atteggiamento radicale di don Bosco
verso i giovani troviamo l'anima del sistema preventivo. Tale
atteggiamento radicale di don Bosco verso i giovani è la
sequela del Cristo che ama la gioventù: è qui che bisogna
radicarci inizialmente, non in una metodologia pedagogica.
L'anima del sistema preventivo va ricercata all'interno
della nostra stessa vita nello Spirito: la scintilla che ci fa
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22.3 Page 213

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seguire Cristo che ama la gioventù, che benedice i ragazzi,
che li risuscita da morte, che li guarda negli occhi, li ama e
dice loro: « Seguitemi! »; il Cristo che racconta la parabola
del figlio prodigo per dimostrare come il Padre perdona
loro, ecc.
L'anima del sistema preventivo è tutta qui: essere i segni
e i portatori dell'amore di Cristo ai giovani! È evidente quin-
di che non si potrà realizzare il sistema preventivo partendo
semplicemente da una metodologia (qui si parla della ca-
rità, al di sopra di tutte le metodologie), ma dal centro dello
spirito salesiano che è proprio la carità pastorale tradotta
in stile di bontà.
a) Il dono della predilezione verso giovani
Per questo all'origine del sistema preventivo c'è quel
« dono della predilezione verso i giovani » di cui abbiamo
parlato.
Ricordate le commoventi espressioni di don Bosco? È
vissuto donandosi totalmente alla gioventù, quando avrebbe
potuto dedicarsi a diventare un grande in tanti altri campi
che avesse voluto scegliere. Questa è la sua grandezza : il
dono di predilezione verso i giovani!
b) Coinvolgimento di am.icizia
Questa sequela del Cristo che ama la gioventù si traduce
in una condotta che implica il nostro coinvolgimento di ami-
cizia verso i giovani.
È un atteggiamento pratico che si vive tutti i giorni e che
esprime la formula di genialità di don Bosco: stare con loro,
dedicarsi a loro, fare con loro passeggiate, assisterli, parlare,
ascoltare i loro problemi, lasciarli fare tutto ciò che non è
peccato. Pensiamo all'espressione geniale di don Bosco in
quella famosa lettera del 1884, in cui ha superato l'intuizio-
ne dell'amore espressa da sant'Agostino. Sant'Agostino guar-
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22.4 Page 214

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dava l'amore in sé; don Bosco contempla l'amore dal versan-
te della pastorale, della pedagogia. Sant'Agostino ha detto:
« Ama e poi fa' ciò che vuoi ». Don Bosco aggiunge acuta-
mente: « Non basta amare: bisogna anche farsi amare dai
giovani».
La genialità del coinvolgimento di amore: noi dobbiamo
essere simpatici, dobbiamo avere la capacità di attrarre con
la nostra persona. È un impegno, spiritualmente parlando,
molto delicato, che esige una virtù speciale, uno spirito ca·
ratteristico e un grande allenamento al sacrificio.
Eppure questa è la nostra santità! Noi non possiamo es-
sere antipatici, anche se siamo brutti (a volte i più brutti
sono i più simpatici!).
Dobbiamo essere una calamita; dobbiamo piacere ai gio·
vani, e questi devono correrci dietro. Don Bosco insegnava
ai chierici: « Mettiti alla fontana, domandagli se fischia, a
che cosa gli piace giocare, senti se ha fatto merenda... » Con·
ta, insomma, mettersi « dentro » ai loro problemi e al loro
cuore.
Però è evidente che tutto questo non è per polarizzare
l'attenzione dei giovani sulla nostra persona; tanto è vero
che nello spirito salesiano c'è uno speciale impegno ascetico
contro le cosiddette amicizie particolari, perché contrarie al
sistema preventivo.
Il pergolato di rose significa propr io questo ; le spine che
entrano negli scarponi significano il dominio degli affetti
sregolati. Tutti quelli che guardano dall'esterno a questo tipo
di coinvolgimento di amicizia sono portati a pensare: « Che
vita religiosa bella conducono questi frati e queste monache!
Vanno al teatro , ridono, giocano, vanno a passeggio... ». Quel-
le sono le rose che si vedono; andate a guardare nei piedi,
anche se portano scarponi da montagna, quante punzecchia-
ture vi entrano... Bisogna avere un cuore capace di orientare
la gioventù a Cristo, insieme con noi ma senza concentrarla
su di noi.
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22.5 Page 215

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Avete sentito nella pagina di don Albera come don Bosco
si faceva amare dai suoi ragazzi. Noi dobbiamo essere capaci
di fare altrettanto. Ci chiamano Salesiani per la bontà e
l'amorevolezza, per l'amicizia e l'allegria. I giovani, però,
devono dire di noi: « Che buono! » o « Che buona» e non:
« Che bella! ».
c) Conoscenza dei singoli e della condizione giovanile
Un tale coinvolgimento di amicizia, sostenuto da una spi-
ritualità così originale e così esigente, implica la conoscenza
della gioventù: sia dei singoli con cui si prende contatto, sia
della cosiddetta « condizione giovanile».
Oggi, con tanto sconvolgimento culturale, c'è bisogno di
conoscere anche la mentalità, i gusti e le modalità per cui i
giovani formano quasi un mondo a sé, una specie di subcul-
tura, con caratteristiche proprie che l'educatore deve cono-
scere per stare insieme come amico e non come estraneo:
per non essere né un impostore né un marziano giunto fra
loro con una maschera di altri pianeti.
All'amore e alla santità si aggiunge dunque la conoscenza,
la competenza scientifica, lo studio, la considerazione delle
discipline antropologiche, ecc.
L'anima del sistema preventivo non è antiquata: è per-
manentemente viva e fatta per tutti i secoli; importante però
è trovare 'degli altri don Bosco che vi si dedichino con intel-
ligente e generosa attualità.
Carità pastorale e intelligenza pedagogica
L'anima del sistema preventivo manifesta la sua vitalità
nella compenetrazione reciproca tra carità pastorale e intel-
ligenza pedagogica.
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22.6 Page 216

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È necessaria la santità e occorre anche la competenza pe-
dagogica, in un reciproco permearsi. Si può essere santi sen-
za essere competenti in pedagogia; e si può essere competen-
ti in pedagogia senza essere santi. Il sistema preventivo fa
questa scelta: tutte e due le cose insieme. Non dissociazione
tra carità pastorale e intelligenza pedagogica, ma compene-
trazione. È una scelta da approfondire, perché è facile un
duplice pericolo di riduzionismo.
Per chi ha una tendenza di tipo spiritualista la tentazione
consiste nel voler dedurre la pedagogia semplicemente dal
Vangelo o dalla santità. Questo non si può fare, anche se
la santità ad omnia utilis est. Le leggi della pedagogia non si
deducono dalla fede. Non per niente la massima del sistema
preventivo è ragione, religione, amorevolezza.
D'altra parte c'è il riduzionismo inverso di chi si addentra
nello studio delle scienze pedagogiche tanto da credere che
siano sufficienti, per se stesse, ad una educazione integrale.
Ora, se è caratteristica propria del sistema preventivo il
mettere insieme questi due aspetti, dobbiamo approfondirne
il reciproco permearsi ed escluderne la dissociazione: né Sa-
lesiani o FMA che pregano molto e nulla sanno di pedagogia,
Salesiani e FMA che sanno molto di pedagogia e non pre-
gano mai.
Il nostro Capitolo ha affrontato questo problema con co-
raggio e attualità (vedi CG 21. Documenti capitolari, alle pa-
gine sul Progetto educativo salesiano), ed ha usato un'espres-
sione che può essere illuminante: « Evangelizzare educando
ed educare evangelizzando ». Si tocca, qui, un delicato pro-
blema.
C'è stato, in proposito, un Sinodo dei vescovi su Evange-
lizzazione e promozione umana; c'è stata una riunione della
Chiesa italiana a Roma, due o tre anni fa, su questo stesso
tema; in tutto il mondo si sente questo problema a livello di
Pastori e di teologi. Noi non lo affrontiamo a livello di stu-
dio, ma piuttosto a livello di prassi, di tradizione nostra:
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22.7 Page 217

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l'abbiamo, si può dire, nel sangue. Ma averlo nel sangue non
vuol dire avere la formula di soluzione di tutti i problemi:
bisogna pensarci su.
a) Evangelizzare «educando»
Incominciamo dalla prima parte della frase: evangelizza-
re educando. Che cosa vuole significare? Vuol dire che la mo-
tivazione che ci fa immergere nell'area dell'educazione e trat-
tare con i giovani è una preoccupazione evangelica. Però
questa preoccupazione spirituale, apostolica, ci impegna in
una realtà di promozione umana: «educando ».
Noi evangelizziamo non semplicemente facendo liturgia
o facendo catechesi; certamente lo facciamo (lo diremo nel-
la seconda parte), ma facendo educazione integrale e pro-
mozione umana. Quindi vuol dire che è per vocazione reli-
giosa che noi vogliamo essere competenti nell'area culturale
dell'educazione.
Ora per realizzare questo interessante ideale bisogna cu-
rare alcune opzioni concrete. Eccone alcune:
1. Spinta pastorale
Bisogna assicurare con assoluta certezza nel nostro cuo-
re la forza di spinta che stimola la nostra azione educativa.
Questa spinta è pastorale e deve essere curata quotidia-
namente con cosciente chiarezza: il da mihi animas cetera
talle. Ma la spinta non è ancora l'educazione; essa sta nel
mio cuore, nella mia intenzione, nelle motivazioni di tutta
la mia personalità e della nostra comunità. E forse, se l'am-
biente in cui operiamo è pagano e secolarizzato, non la ma-
nifesteremo con parole; staremo zitti, ma la vivremo.
Don Bosco ad un ministro ha potuto presentare il siste-
ma preventivo in forma secolare, come una metodologia di
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22.8 Page 218

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promozione umana, perché in effetti tali elementi di promo-
zione vi sono contenuti.
Per noi, tuttavia, è chiaro che la sorgente della nostra
vita nello Spirito affonda le sue radici al di fuori dell'edu-
cazione, in ciò che costituisce l'iniziativa di Dio, la spinta
pastorale, l'energia della carità che ci immerge nella cultura
per fare educazione cristiana. Questo è fondamentale.
Quando un educatore salesiano o uno studioso salesiano
non ha più questo movente noi vediamo subito che è passato
all'altra sponda, anche se scrive cose scientificamente interes-
santi. Assicurata invece questa opzione fontale di spiritualità,
seguono altre opzioni concrete nell'area promozionale umana.
2. Sollecitudine per i valori e le istituzioni culturali
Se dobbiamo evangelizzare educando, una volta che ho
assicurato la rettitudine delle intenzioni, il da mihi animas,
che cosa devo fare? Educare.
L'educazione dov'è? È nella cultura, ha dei valori, delle
scienze, delle istituzioni, delle scuole. mi devo mettere,
in quel campo devo avere competenza, e inoltre la preoccu-
pazione positiva di assumere e di far funzionare nel miglior
modo possibile tutti i valori e le istituzioni culturali. È un
atteggiamento assai esigente, questo: e devo farlo per santità.
La mia umiltà non consiste nel non sapere gli elementi e le
norme della pedagogia, ma piuttosto nel saperne più di tutti:
è il mestiere che dobbiamo fare! L'umiltà, semmai, sarà nella
maniera in cui dirò le cose che so, però devo saperne più di
tutti. Ossia, se è vero che il motivo per cui mi metto a edu-
care è più alto di tutti gli altri motivi, secondo la mia capa-
cità d'intelligenza io dovrei immergermi con la maggior
competenza possibile in questo campo. C'è molto da fare:
sono esigenze di santità. Qui si spiega perché bisogna andare
all'università; perché bisogna studiare, perché, nonostante
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22.9 Page 219

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l'ardore apostolico che ha un giovane o una giovane che
entra nei nostri Istituti, non può andare a fare subito tutto
l'apostolato che vuole, proprio in vista della possibilità di
fare bene l'apostolato. Tutta la formazione agli studi acqui-
sta un significato di santità e di santità salesiana, non altra.
Questo bisogna farlo capire bene: purtroppo si è diffusa
una certa interpretazione facilona per cui tutto si può ten-
tare e attuare così, per intuizione. Non si può fare educazione
per intuizione, con tutta la problematica giovanile di oggi.
Ma per essere competenti bisogna dedicare anni e anni agli
studi.
Si potrà obiettare che questa è una vita artificiale, que-
sto non è il sistema preventivo, perché don Bosco attuava
tutto nella prassi.
Sì, è vero, però i tempi sono questi e gli studi sono questi.
Inoltre sappiamo ormai per esperienza che quando uno ha
fatto gli studi, anche se invece di andare a lavorare a venti
anni va a lavorare a trenta, ha ancora poi quarant'anni di
lavoro; mentre se non si è preparati, sono quarant'anni di
disastri, anche se... c'è la formazione permanente.
È necessaria una base, per cui se la formazione iniziale
non dà la capacità di imparare (ossia se non è formazione
permanente dall'inizio), sarà sempre deficiente la formazio-
ne «permanente» posteriore.
3. Saper vincolare il Vangelo con la cultura
Noi sottolineiamo nel Vangelo un costante aggancio alla
realtà umana: vediamo nel mistero dell'Incarnazione, oltre
all'aspetto salvifico dall'Alto, in cui si manifesta il mistero
di Dio all'uomo, anche l'arricchimento antropologico realiz-
zato da Cristo, per cui il Vangelo fa brillare anche l'impor-
tanza e la grandezza dell'uomo.
Percepiamo cioè con una sensibilità speciale, quasi espres-
sione di una nostra inclinazione vocazionale, quanto ci ha
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22.10 Page 220

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chiesto Paolo VI nell'Evangelii nuntiandi: l'esigenza di sana-
re il terribile divorzio sorto tra cultura e Vangelo. La fede
è fatta proprio per vivere in una cultura, non per vivere a
sé; tutti sappiamo che la fede non è la cultura, tutti sappia-
mo che il Vangelo non è i segni dei tempi, però tanto il Van-
gelo come la fede vivono nella cultura e nei segni dei tempi.
Per questo cerchiamo di vedere le esigenze di questo
Vangelo, secondo i segni dei tempi. Non si tratta solamente
di leggere il Vangelo nel senso tecnico dell'esegeta, del bibli-
sta che vuole stabilire assolutamente quel che si è detto da
parte del tale autore sacro o del tal altro. Certamente tutto
ciò è indispensabile, ma noi vogliamo percepire il messaggio
di salvezza mettendolo in relazione con le necessità che ha
l'uomo d'oggi. Per questo abbiamo tutta una catechesi in-
carnata, talvolta anche criticata (e non sempre a torto) come
troppo antropologica. Ebbene: ascolteremo le critiche, però
la nostra strada va in quella direzione.
4. Senso realistico della gradualità
Un'altra opzione importante da fare è il criterio di saper
partire dai giovani nella loro situazione reale: educare par-
tendo dalla situazione concreta dei giovani così come sono.
Sono pagani? Li accettiamo così. Sono atei? Li accettiamo
così. Sono credenti fino al tale livello: bene, partiamo di lì,
ecc. Non usiamo un metodo di imposizione di vita cristiana
iniziale, ma di adattamento alla situazione reale dei giovani
da far crescere in questo campo, da evangelizzare educando.
La preoccupazione, però, è la crescita; e non la giustificazio-
ne della situazione iniziale.
b) Educare "evangelizzando»
In questa seconda parte del motto si parte dal campo di-
retto dell'educazione e della promozione umana guardando
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23 Pages 221-230

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23.1 Page 221

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a un fine da raggiungere: la pienezza nel Cristo. Il Vangelo
appare come il faro acceso che illumina tutta l'opera di atti-
vità educativa. Educare evangelizzando, ossia avere compe-
tenza pedagogica, essere amici dei giovani, conoscere i loro
problemi, far funzionare le metodologie moderne, tutto
questo.
Ma per che cosa? Verso che cosa? In una società cresciu-
ta profondamente, riccamente nelle tecniche c'è questo pe-
ricolo; e non lo segnalano solo i credenti, lo dice anche il
marxista Garaudy: il pericolo che la società si concentri più
sui mezzi che sui fini.
Talvolta, in certe dinamiche educative, si perde tutto il
tempo per vedere qual è la migliore metodologia. Ma per
che cosa? Per arrivare dove? Non si tratta di disprezzare la
metodologia, ma ogni metodologia è nell'ordine dei mezzi.
L'« educare evangelizzando » ci ricorda che nel campo
della promozione umana noi siamo impegnati nell'area cul-
turale dell'educazione, però ci ricorda anche di guardare
sempre con chiarezza verso il Vangelo. E anche qui dobbia-
mo curare delle opzioni concrete. Eccone alcune:
1. Chiara presenza del fine ultimo
Don Bosco ha fatto educazione per il senso definitivo
dell'uomo: la sua liberazione definitiva, la sua salvezza. Lo
scriveva sui muri della casa, e creava tutto un ambiente al
riguardo. Evidentemente non sempre si può ripetere material-
mente oggi quello che lui faceva. Bisogna vedere con chi stia-
mo lavorando, avere il senso della gradualità. Però questa
chiarezza del fine che sovrasta l'attività educativa deve es-
sere chiarissima nella mente dell'educatore e deve emergere
a poco a poco nelle menti dei giovani.
Dovremo essere intelligenti e furbi nella maniera di pre-
sentare il fine: che è bello ed appetibile; e non presentarlo
come qualcosa di antiquato, di tipo religioso-superstizioso.
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23.2 Page 222

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2. Processo educativo positivamente orientato a Cristo
È l'aspetto più caratteristico del sistema preventivo. Im-
postiamo l'attività dell'educazione con l'orientamento prati-
co a Cristo.
Qual è questo orientamento pratico a Cristo? Attraverso
la Chiesa, attraverso i sacramenti, attraverso la devozione
alla Madonna. Non entriamo ora ad analizzare questi aspetti.
Certamente bisogna saperlo presentare. Lo si può fare
persino in un ambiente pagano, partendo e valorizzando i
valori religiosi, e facendo vedere dove si va. Abbiamo visto
risultati assai positivi di exallievi pagani proprio con questo
sistema (quando si è fatto quel famoso Convegno di exallie-
vi ad Hong Kong...).
Questo orientamento a Cristo è uno dei punti più delicati
per il rinnovamento. Coinvolge tutta l'attività sacramentale
(eucaristica e penitenziale), soprattutto negli ambienti cri-
stiani; ed esige che si studino in profondità le applicazioni
agli ambienti non cristiani, per potere far maturare verso il
Cristo storico tutta la loro capacità di apertura all'Assoluto e
la loro coscienza religiosa secondo la cultura loro propria.
3. Formare una coscien za critica
e un senso del dovere alla luce del V angelo
Abbiamo parlato in questi giorni delle egemonie culturali
che plagiano i giovani (e non solo loro) attraverso i mezzi di
comunicazione sociale.
Il peccato originale di una cultura è precisamente quello
di essere succube di qualche ideologia. E come si fa a esor-
cizzare una cultura ideologizzata? Con la fede, con il Vange-
lo; è solo Gesù Cristo che illumina le cose per scoprire anche
nelle intelligenze più acute degli uomini le loro limitatezze.
Allora non si potrà dire che noi prepariamo per il tal par-
tito o per il tal altro; prepariamo ad avere capacità critica
per giudicare tutte le ideologie che si presentano. Per fare
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23.3 Page 223

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questo dobbiamo partire proprio da un centro superiore
che non è un'ideologia, è il Vangelo, è Gesù Cristo. È un com-
pito molto difficile.
Occorre inoltre sviluppare il senso del dovere, perché le
rivendicazioni attuali sono tutte a favore solo dei diritti e
delle libertà. Teniamo presente quell'espressione di Aldo
Moro: « Per costruire una società non basta promuovere la
libertà e i diritti, bisogna educare anche la capacità di sa-
crificio nel compimento del dovere! ».
Il senso del dovere è uno degli aspetti su cui insisteva
don Bosco nell'educazione.
4. La parola di Dio, per sua natura, rivela e interpella
Cosa significa questo? Abbiamo sottolineato che noi cer-
chiamo di vedere il Vangelo in armonia con la crescita uma-
na che si incarna nella cultura; che tra segni dei tempi e
Vangelo non c'è contraddizione. Però ci può essere un peri-
colo in questa opzione antropologica: di credere che il Van-
gelo sia solo una risposta alla evoluzione umana.
Non è così. Il Vangelo non è solo una risposta ad un pro-
blema umano. Esso è portatore di rivelazione; il Vangelo non
solo risponde, ma domanda; il Vangelo interpella, il Vangelo
chiama. Per natura propria la Parola di Dio porta con del-
le novità che non sono solo la risposta ad una evoluzione
della crescita umana. Quindi dobbiamo rispettare questo mi-
stero e avere la capacità, nell'educare evangelizzando, di pre-
sentare il Vangelo, Gesù Cristo, la Parola di Dio, nella
pienezza della sua originalità e delle sue esigenze.
Lo stile salesiano da rinnovare
Dopo aver presentato un po' sinteticamente la compene-
trazione tra carità pastorale e intelligenza pedagogica, ecco
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23.4 Page 224

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un ultimo punto che ci può servire per riflettere. L'anima del
sistema preventivo è tradotta in una maniera concreta di
fare che noi chiamiamo stile salesiano e di cui dobbiamo sa-
per ricuperare alcuni elementi. Li indichiamo rapidamente,
perché su ognuno di essi si potrebbe fare una _conferenza.
a) Assistenza
Abbiamo bisogno di ricuperare l'assistenza n el senso in-
dica to prima, come coinvolgimento di amicizia, non sempli-
cemente come presenza di controllo. L'assistenza deve si-
gnificare una dedizione totale di noi nella bontà per stimo-
lare, coltivare, aiutare a crescere i semi di bene che ci sono
nella gioventù. Di qui viene la « preventività » che, prima di
pensare a castigare ciò che è peccato e che è male, ci spinge
a far crescere ciò che è bene.
L'assistenza non si realizza principalmente sulla cattedra
o a tavolino, guardando se tutti studiano e fanno silenzio, ma
si realizza in cortile, giocando, dicendo una .parolina a que-
sto e a quello. È questa l'espressione più classica della pras-
si salesiana nell'assistenza, ossia nell'amicizia che aiuta a
crescere.
b) Creazione dell'ambiente
L'educazione nel sistema preventivo, noi lo vediamo, so-
prattutto ì'abbiamo visto nello spirito di Mornese, non è sem-
plicemente un'amicizia di due persone - certo ci vuole anche
quella - ma è la creazione di un clima, di un'atmosfera che
sarà differente secondo le possibilità e le caratteristiche del-
l'ambiente stesso. Creare un ambiente vuol dire sottolineare
e sviluppare certi elementi che emergono nello stare insie-
m e. L'ideale sarebbe di formare un ambiente pentecostale;
ma forse è meglio dire: formare un ambiente di famiglia con
aspirazioni superiori.
222

23.5 Page 225

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e) Formazione della comunità educativa
Nelle strutture, nelle istituzioni in cui lavoriamo, soprat-
tutto nella scuola, nei collegi noi dobbiamo saper incorpora-
re alla responsabilità dell'educazione tutti gli interessati: i
genitori, i professori laici, i collaboratori, gli stessi allievi,
costruendo quella che si è venuta definendo « comunità edu-
cativa ». Una comunità educativa composta di tanti collabo-
ratori laici e ispirata ai princìpi cli don Bosco.
A Mornese egli organizzava già gli esercizi spirituali
per le signore cooperatrici, e infondeva i suoi orientamenti
a quante più persone buone trovava: cooperatori, amici, coo-
peratrici, benefattrici. In molte case noi lavoriamo con tanti
laici che stanno con noi, anche se non sono cooperatori o
exallievi. È un bene, perché ormai è necessario valerci di
questa collaborazione. Ma siamo preparati a influire su que-
ste persone? Le riuniamo? Siamo capaci di orientarle? Ab-
biamo la preparazione per far loro delle conversazioni peda-
gogiche, delle conferenze spirituali? Perché oggi - più che
un tempo - occorre assicurare tutto un discorso delicato di
pedagogia cristiana che non è facile, e che esige una forte
preparazione da parte nostra.
d) Gruppi e movimenti giovanili
C'è stata in questi anni, purtroppo, una crisi dell'associa-
zionismo. Ora non si tratta di voler risvegliare un movimen-
to giovanile a livello nazionale o a livello continentale che si
rifaccia a noi con il nostro nome. L'idea che io voglio sotto-
lineare è che nel sistema preventivo c'è la capacità di dare
ai giovani molta responsabilità, molta iniziativa. Pensiamo
alla Compagnia dell'Immacolata fondata da Domenico Savio.
C'è bisogno di dare libertà di iniziativa ai giovani per que-
ste attività di gruppo, di organizzazione tra loro che noi
chiamavamo « Compagnie »; adesso si dovranno chiamare
223

23.6 Page 226

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diversamente, ma dobbiamo essere capaci di far rivivere que-
sto che è un elemento del sistema preventivo e costituisce
la fonte storica delle nostre vocazioni. In alcune ispettorie
americane dove si è rilanciato un movimento giovanile sale-
siano (che vuole essere una riedizione in forma moderna del-
le Compagnie di don Bosco) si è vista rifiorire una vera fe-
condità vocazionale.
Si possono fare gruppi associati secondo finalità diffe-
renti, e ci può essere una finalità chiaramente cristiana e
vocazionale: allora se ne vedranno i frutti.
Queste sono alcune modalità tipiche dello stile salesiano
per il rinnovamento del sistema preventivo.
Praticità d'impegno
Non basta ricordare alcuni princìpi e alcune idee orien-
tatrici, ma dobbiamo impegnarci in un programma concreto
di realizzazione. Ora la praticità di impegno per il nostro
rinnovamento del sistema preventivo io la vedo in queste
linee.
La prima area di impegno è la formazione del nostro
personale. Tanto nei noviziati, nelle tappe di formazione ini-
ziale, quanto soprattutto nelle iniziative di formazione per-
manente, noi dobbiamo essere capaci di introdurre il tema
del sistema preventivo con tutta la ricchezza che abbiamo
indicato, per far prendere coscienza a tutti i confratelli e a
tutte le consorelle che questa è la nostra ricchezza, la nostra
specialità pastorale, la nostra genialità - secondo la parola
di Paolo VI - per apportare alla Chiesa il carisma salesiano.
Allora bisogna mettersi all'opera, bisognerà anche colla-
borare maggiormente, cercare di muovere i nostri competen-
ti per realizzare un servizio così importante per la formazio-
224

23.7 Page 227

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ne di tutto il personale sul sistema preventivo. Ciò implica
non solo iniziative a livello regionale o mondiale, ma anche,
concretamente, iniziative a livello ispettoriale. Ogni ispettri-
ce con il suo consiglio, guardando alle forze che ci sono nel
paese, o vicino, deve sapere organizzare giornate, riunioni,
conferenze: deve preoccuparsene, proprio per il bene delle
suore.
• Una seconda area di impegno è l'animazione salesiana
dei collaboratori laici. Noi, ormai, in certe opere siamo ri-
dotti a un terzo dei responsabili dell'attività. In certe opere
i responsabili religiosi sono ancora meno. Ebbene: non bi-
sogna avere paura. Don Bosco ha fondato i cooperatori pro-
prio per questo scopo. Non si può più ripetere, anzi credo
che sia uno sbaglio, l'affermazione che l'opera salesiana più
perfetta è quella che funziona senza nessun esterno. La pa-
storale d'insieme, i movimenti giovanili, l'attività nelle par-
rocchie e anche nelle scuole è opera di collaborazione eccle-
siale. Cosa facciamo con le persone che collaborano con noi?
Le paghiamo, meno male! Ma c'è tutto un lavoro spirituale
e apostolico da compiere. Io ho sentito da un nostro ispetto-
re (non dell'Italia) che proprio questo era il suo problema
principale in questi anni: « Se io riuscissi in un anno o due
a orientare salesianamente cento o duecento laici che lavo-
rano con noi, l'ispettoria farebbe un salto in avanti ».
È un'area concreta - ho detto - da promuovere non
solo per avere noi dei collaboratori (che è piuttosto un atteg-
giamento di utilità), ma anche per far conoscere ad altri que-
sto sistema che, se fosse applicato dai nostri cooperatori nei
loro settori di lavoro, vedremmo realizzato proprio quello
che voleva don Bosco. A quelle signore che venivano qui a
Mornese per fare gli esercizi spirituali, don Bosco voleva
dare una formazione salesiana, non soltanto perché collabo-
rassero con le FMA, ma proprio perché si facessero portatri-
ci di tutta questa ricchezza del carisma salesiano nell'am-
biente in cui lavoravano.
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15

23.8 Page 228

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• Un'altra area di impegno concreto è lo studio e la dif-
fusione della pedagogia salesiana a tutti i livelli, ad alto livel-
lo scientifico e a livello di divulgazione. Dobbiamo chiedere
alle nostre Facoltà universitarie che rispondano a questa esi-
genza. Dobbiamo chiedere ai nostri pensatori che scrivano
su questo tema; dobbiamo saper ricuperare scritti che si
sono dimenticati, che hanno un valore pregevole, e farli co-
noscere e stampare, anche adattandoli, traducendoli.
E concludo. Abbiamo detto, un po' in fretta e forse non
sempre con ordine, alcune idee su un tema che ci aiuta a tro-
vare la prassi retta e giusta per la nostra vita nello Spirito:
il sistema preventivo.
In questa vigilia della festa dell'Assunta, nella casa di
santa Maria Domenica Mazzarello, ricordando la nascita di
don Bosco chiediamo ai nostri santi intercessori, soprattutto
alla Madonna, che ci ottengano dal Signore due grandi gra-
zie in relazione al sistema preventivo.
Prima: di avere chiari e potenti in noi i due poli che co-
stituiscono l'anima del sistema preventivo: la carità pasto-
rale e la competenza pedagogica.
Questi due poli, indispensabili per noi, non si possono
dissociare.
Seconda: di avere un cuore pieno di bontà, perché il
sistema preventivo è la bontà eretta a sistema, e a questo
fine ci chiamiamo « Salesiani».
226

23.9 Page 229

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SECONDA PARTE
IL PROGETTO RELIGIOSO-APOSTOLICO
DELLE COSTITUZIONI
(Meditazione dettata da don A. Botta sul testo di una precedente con-
ferenza di don Egidio Viganò)
I criteri sostanziali di ortoprassi nella nostra vita perso-
nale ci sono dati dalle Regole o Costituzioni.
Queste occupano dunque un posto privilegiato nella vita
dell'Istituto e nel futuro concreto del nostro rinnovamento.
Vorremmo approfondire un po' il significato di tale af-
fermazione. Purtroppo c'è chi confonde una regola di vita
o le Costituzioni di un progetto religioso, con una raccolta di
precetti o di norme asfissianti che non lasciano sufficiente
spazio alla libertà e alla creatività. Non mancano nella sto-
ria, soprattutto degli ultimi cento anni, elementi di giustifi-
cazione per una concezione tanto impoverita e legalistica.
Ma il Vaticano II è venuto a ridonare autenticità a questi
codici religiosi, esigendo da tutti gli Istituti una revisione in
profondità che ne rinnovi l'ispirazione carismatica.
Nonostante il lavoro fatto permane, ingiustificatamente,
l'accusa vaga di giuridismo e di anacronismo. Oggi infatti
si suole guardare con una certa antipatia tutto ciò che si
presenta a modo di « legge», e si è allergici a quanto può ap-
parire « normativo », si parla facilmente, anche se vagamen-
te, di « desacralizzazione » delle Regole o Costituzioni, quasi
appartenessero ancora, sebbene rinnovate, a un «moralismo»
e a una osservanza pignola ormai superati. Le possibili giu-
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23.10 Page 230

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stificazioni dottrinali a favore delle Costituzioni sono sospet-
tate e vengono anche etichettate aprioristicamente di « mor-
fina teologica ».
Certamente non è un atteggiamento lodevole quello di
chi preferisce avere una mentalità « alla moda» anziché
« essere nella verità», sforzandosi di testimoniarla anche
contro corrente.
Sembra importante quindi intrattenerci seriamente sul
tema delle nostre Costituzioni, sul loro significato, sulla loro
funzione, sulla loro attualità, sulla loro centralità ed effica-
cia nel rinnovamento personale e comunitario della Congre-
gazione.
Il futuro della nostra esistenza religiosa è vincolato ad
esse, non come a « un insieme di ricette facili », ma come a
un parametro di autenticità che è un invito ufficiale del Fon-
datore e della Chiesa « alla più alta responsabilità personale,
in un cammino comunitario, per rispondere agli appelli sem-
pre nuovi del Signore » (J. AUBRY) .
Ordineremo le nostre riflessioni intorno ai seguenti punti:
• Il « progetto religioso».
• Ruolo delle Costituzioni.
• Significato della « professione religiosa ».
Il « progetto religioso »
Ormai non si usa più la definizione di « stato di perfezio-
ne » quando si parla dei reli giosi nella Chiesa; non pochi,
riferendosi alia loro « vita consacrata» preferiscono parlare
di « progetto religioso»: alla precedente sottolineatura di
stabilità («stato») si sostituisce quella di programmazione
creativa (« progetto ») in vista di uno stile di sequela di Cri-
sto (« religione ») piuttosto che di una certa santità etica
perfezione »).
228

24 Pages 231-240

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24.1 Page 231

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C'è qui un fenomeno di sensibilità culturale più che di
contrasto qualitativo, ma bisogna tenerne il debito conto
quando si vuole approfondire l'essenza permanente della
vita religiosa.
a) Precisazioni terminologiche
Il termine progetto serve a sottolineare meglio la vo-
cazione come dinamismo della persona e a presentare gli
Istituti religiosi nella Chiesa come svariate possibilità di im-
pegno battesimale: il termine vuole far p ercepire che si è
invitati a scegliere personalmente e a prospettare ecclesial-
mente un certo piano di vita in conformità con la traiettoria
della scelta fatta. Così non ci si sente immessi come una vite
a far parte di una macchina prefabbricata, né si assume una
volta per sempre un « programma dettagliato » per imparar-
lo passivamente e per applicarlo meccanicamente; ma ci si
dedica a un disegno evangelico concepito dinamicamente e
offerto alla creatività della fede. In esso si determina la tra-
iettoria spaziale in cui si è lanciati e si descrive il germe
vitale di ciò che si è chiamati a divenire; ossia si assume un
tema da svolgere, piuttosto che un organigramma da ap-
plicare.
Il progetto è detto religioso in quanto viene caratteriz-
zato dal proposito di 111.ettere Dio al centro di tale disegno
di vita: sia in « forma intensiva » nella organizzazione della
propria esistenza personale, sia in « forma sacramentale»
nel modo di convivenza sociale per le relazioni di testimo-
nianza e di apostolato nel servizio degli altri.
Tale disegno religioso è una delle maniere di vivere il
battesimo, una delle iniziative dello Spirito Santo nella
Chiesa, un modo complementare ad altri di partecipare e
realizzare la missione salvatrice del popolo di Dio: i religio-
si, infatti, « col loro stato, testimoniano in modo splendido
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24.2 Page 232

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e singolare che il mondo non può essere trasfigurato e offer-
to a Dio senza lo spirito delle beatitudini» (LG 31).
Il progetto religioso concentra dunque tutta la vita perso-
nale e comunitaria su Dio, attraverso un modo originale di
essere discepoli di Cristo (il quale è apparso come « Religio-
so del Padre »): questo centro di interesse infonde dinami-
smo e fisionomia propria a tutta la maniera di essere e a
tutte le attività di un consacrato.
Ogni progetto religioso è anche una scelta concretamen·
te storica, con nomi e date: ha, cioè, una delineazione incar·
nata con mète proprie e obiettivi caratteristici. In un luogo
determinato e in una maturazione di tempo definita, qual-
cuno (il Fondatore) sotto la mozione dello Spirito Santo ha
iniziato una alleanza speciale con Dio e ha proposto una tra-
iettoria di sequela di Cristo originale e caratteristica.
È importante sottolineare questo realismo storico: la vita
religiosa nella Chiesa non appare come una realtà generica
sussistente « in sé», ma come l'insieme di svariati Istituti
concreti che interpretano vitalmente i progetti religiosi dei
loro Fondatori. C'è bisogno allora che ogni Istituto possieda
una carta fondamentale propria, in cui venga delineato auten-
ticamente il progetto del Fondatore. Non si tratta primaria-
mente di un codice di norme legali, ma di una « scrittura »
che autentica il patto d'alleanza stabilito con Dio e propone
ufficialmente le componenti del suo carisma.
Il comune denominatore di ogni progetto religioso com-
porta nella sua dimensione specificante e distintiva i seguenti
elementi:
il proposito di seguire un disegno di vita ordinata in
forma permanente alla ricerca della pienezza della carità;
la professione pubblica dei consigli evangelici, ossia dei
tre voti, come via da percorrere per raggiungere tale carità;
una fraternità di com.unione che aiuti a vivere la carità
praticando i voti.
230

24.3 Page 233

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C'è chi si domanda quale sia tra questi l'ultimo elemento
specificante della vita religiosa, quello che la distingue in de-
finitiva dalle altre forme di sequela di Cristo.
Si sono date, soprattutto in questi anni, varie risposte di
tipo astratto. Qualcuno ha affermato che tale elemento è de-
terminato dal voto di obbedienza; altri ha preferito vederlo
nel celibato per il Regno; altri ancora si è rivolto al valore
fondamentale della vita comune; c'è chi ha visto tale elemen-
to nella « radicalità evangelica » in genere.
Certamente tutti questi e altri simili saggi di interpreta-
zione apportano riflessioni arricchenti; lasciano però l'im-
pressione di una certa elucubrazione astratta, suscettibile
sempre di qualche alternativa differente.
Forse tale pluralismo d'interpretazione deriva anche dal
fatto che ogni progetto religioso ha storicamente una fisio-
nomia peculiare, più in sintonia con i valori dell'obbedienza,
o con quelli della castità, o della fraternità o della radicalità.
Certo gli elementi ricordati sono tutti indispensabili come
costruttivi del suo minimo comune denominatore.
b) L'atto caratteristico
Penso però che sia possibile cercare un altro tipo di ri-
sposta partendo dal livello più caratteristico di ogni progetto
religioso, che non è quello astratto di una essenza specifican-
te, ma quello concreto di una esperienza totalizzante: ossia
quello di una specificazione proveniente da un atto personale
a cui concorrono vitalmente i vari elementi nell'unità esisten-
ziale di un progetto scelto globalmente.
Ecco allora che acquista un significato specificante l'op-
zione di voler partecipare all'esperienza evangelica globale
del Fondatore: si tratta di una scelta esistenziale e di una de-
cisione totalizzante. I primi Salesiani la esprimevano con
una frase: « Voglio restare con don Bosco ».
231

24.4 Page 234

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Ogni religioso la esprime con l'atto pubblico della sua
professione, per cui decide di incorporarsi all'esperienza ca-
rismatica di un determinato Istituto.
Ruolo delle Costituzioni
a) Che cosa sono
Il significato e il valore delle Costituzioni sono intima-
mente legati alla natura carismatica di un progetto religioso.
Ogni Istituto comporta una specie di « alleanza» originale
con Dio, incarnata in una traiettoria progrediente e in moda-
lità concrete di vita: presenta, così, una dimensione innan-
zitutto « spirituale » (nel senso profondo di derivazione, da
un dono dello Spirito Santo), ma anche una dimensione pra-
tica e sociale con conseguenze «giuridiche», in vista di una
incarnazione realistica del carisma.
Perciò le Costituzioni sono (e se non lo fossero sufficien-
temente lo dovrebbero divenire meglio: cf ES II 12-14) una
specie di « testamento di alleanza» e di « codice fondamen-
tale» del carisma permanente del « Fondatore e padre legi-
slatore» (Pio XI): esse precisano spiritualmente, prima che
giuridicamente, il suo concreto progetto religioso, essendo
« l'espressione oggettiva del suo spirito» (Pio XII).
L'autorità ecclesiastica esige ordinariamente in esse i
seguenti elementi (cf ES II 12):
- La descrizione concreta della fisionomia spirituale del
progetto del Fondatore, indicando le componenti essenziali
del suo carisma alla luce dei princìpi evangelici e della dot-
trina della Chiesa sulla vita religiosa, in modo tale che attra-
verso di esse « si interpretino e si osservino lo spirito e le
finalità proprie del Fondatore, come pure le sane tradizioni,
poiché tutto ciò costituisce il patrimonio di ciascun Istituto »
(PC 2 b).
232

24.5 Page 235

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- Le norme giuridiche necessarie (di livello « universale »)
per definire chiaramente il carattere, i fini e i mezzi dell'Isti-
tuto. Queste norme non devono essere eccessivamente mol-
tiplicate, ma devono sempre essere espresse in modo adegua-
to » (cf ES II 12 b) .
Le determinazioni non universali, gli orientamenti opera-
tivi e le direttive connesse con situazioni particolari, con-
viene siano raccoite in altri documenti annessi (cf ES II 14).
Quindi le Costituzioni appaiono come il « testo base » in cui
si esprime ciò che è essenziale e permanente, per lasciare ai
« testi accessori » tanti altri aspetti, pure utili o necessari,
ma non essenziali e più variabili.
- La fusione dei due elementi suddetti, lo spirituale e il
giuridico, in uno stile conciso e denso che costituisce un
« genere letterario » a stante.
Si ottiene così una « regola di vita » atta a promuovere
l'assimilazione del Vangelo dall'angolatura del proprio Fon-
datore; essa deve offrire una traiettoria concreta alla propria
professione religiosa, deve poter servire di base a una genui-
na preghiera meditativa e a un uso liturgico del testo, e deve
suggerire chiaramente una disciplina di ascesi e una revisio-
ne di vita.
Ecco allora che le Costituzioni appaiono come il « codice
dell'alleanza » tra lo Spirito Santo e un Istituto, un vero
« libro di vita » spiritualmente direttivo, situato al livello
più alto della vita religiosa, quello del carisma: tale alto li-
vello comporta forti esigenze pratiche e disciplina di fedeltà,
ma le esprime più a titolo di scelta evangelica e di comunio-
ne esperienziale che di regolamento legale.
b) Quale è la loro funzione
La supposizione che in un'ora di crisi come la presente un
Istituto possa prescindere dalle sue Costituzioni, o le lasci
233

24.6 Page 236

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mancare, significherebbe « togliere i fondamenti della vita
consacrata, separarla dalle sue certezze fondamentali: la
sequela di Cristo come un Fondatore l'ha vista e la Chiesa
l'ha approvata.
E ciò non può avere altra conseguenza che di renderla
più difficile e incerta.
Si cela in simili atteggiamenti un circolo vizioso, un equi-
voco che non ci deve ostacolare più a lungo... Gli elementi
essenziali di un carisma non temono il confronto con la vita:
su certi punti che sono vitali e perenni nell'esistenza di ogni
Istituto (la fisionomia propria del suo "progetto", il suo
riferimento al Vangelo, la dottrina spirituale del Fondatore,
le sane tradizioni dell'Istituto, i necessari richiami al Magi-
s tero della Chiesa riguardanti la vita consacrata) non è più
possibile, ormai, non prendere posizione.
Il non riconoscerli più condurrebbe a svuotare la vita
consacrata della sua sostanza, ossia a distruggere l'Istituto
che si vuole rinnovare» (Beyer).
Il ruolo delle Costituzioni è proprio quello di essere au-
tenticamente il « codice fondamentale » di un progetto re-
ligioso.
Considerando questa loro natura di « diritto spirituale »
possiamo scoprire in esse:
Una funzione di guida vocazionale, in quanto delineano
con autorità e certezza il volto proprio di una vocazione, trac-
ciano con autenticità la sua traiettoria evangelica; presenta-
no con senso di Chiesa i suoi dinamismi apostolici e ne indi-
cano le piste preferenziali di realizzazione.
Le Costituzioni offrono una indispensabile piattaforma di
sicurezza spirituale che lancia e sostiene nella creatività chi
le professa. Orientano in forma stabile la ricerca della pie-
nezza di carità; espongono con realismo l'impegno ascetico
corrispondente; aiutano a crescere nello spirito del Fondato-
re, di cui rendono presente il cuore.
234

24.7 Page 237

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Le Costituzioni servono particolarmente di guida anche
con il loro statuto di organizzazione comunitaria, che assi-
cura l'originalità e la stabilità di un Istituto.
Una funzion e di unità carismatica, in quanto definisco-
no le componenti essenziali del carisma di un Istituto, al di
sopra sia delle differenze socioculturali che del possibile
pluralismo ideologico.
Offrono così un luogo privilegiato di convergenza dei pro-
fessi e un fattore di unità per tutti i membri di un Istituto.
Esse indicano le mète sostanziali per la formazione dei nuo-
vi candidati ed esigono un criterio omogeneo di incorpora-
zione all'Istituto.
Propongono una linea unitaria all'esercizio dell'autorità
nelle sue attività specificamente di « governo »; definiscono
l'ambito di responsabilità dei Moderatori; sottolineano e in-
coraggiano il delicato ministero.
Una fun zione di confronto evangelico, in quanto stabili-
scono con realismo le scelte radicali della propria sequela di
Cristo, indicano l'aspetto sacrificale della donazione di
nei consigli evangelici secondo lo spirito del Fondatore, of-
frono un test pratico di revisione di vita, aiutano a identifi-
care con facilità certe tentazioni di agnosticismo ideologico
circa la vita religiosa e ad evitare quegli atteggiamenti per-
niciosi di secolarismo abbastanza facili nella demagogia del-
la moda, sostengono nelle svariate difficoltà vocazionali e
offrono i mezzi per una testimonianza di umile fedeltà fino
alla morte.
Questa possibilità concreta e circostanziata di confronto
evangelico infonde un senso di pace interiore e di gioia spiri-
tuale, nonostante le angustie della crisi, perché assicura nel-
la pratica la vera realizzazione della propria persona secon-
do la volontà di Dio Padre.
235

24.8 Page 238

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c) Come divengono efficaci
Le Costituzioni religiose sono un testo, un libro, che cer-
tamente non può essere efficace per se stesso: non se ne può
fare un talismano sullo stile del « libretto rosso » di Mao.
La possibilità della loro efficacia è subordinata ad alcune
condizioni vive, poste da chi le professa: in tale senso i reli-
giosi devono coltivare con cura alcuni atteggiamenti perso-
nali e comunitari nei confronti delle loro Costituzioni. Tra
gli altri possiamo ricordare quelli di: conoscenza, simpatia
e adesione vissuta.
Conoscenza: nessuno ha mai visto sorgere una volontà
di realizzazione in chi ignora determinati valori; ogni deci-
sione della libertà presuppone la conoscenza del suo oggetto.
Risulta allora essere indispensabile una seria attenzione
e uno studio personale e comunitario delle proprie Costitu-
zioni; si tratta di un impegno di conoscenza diligente, pro-
fonda e continua per penetrare i valori alla luce del carisma
del Fondatore.
Si è rivelata come vero sintomo di decadenza vocazionale
la noncuranza e l'ignoranza delle proprie Costituzioni.
Simpatia: l'atteggiamento di studio deve sfociare spon-
taneamente in una conoscenza di connaturalità carismatica
che porta con sé sentimenti di stima e di amore, ossia un at-
teggiamento autentico di simpatia. Per esso un religioso con-
sidera le proprie Costituzioni come il patrimonio della sua
famiglia religiosa, frutto di una iniziativa di speciale amici-
zia ed alleanza dello Spirito Santo, e testamento vivo di una
tradizione fraterna.
Per ottenere un tale atteggiamento bisognerà curare tut-
to un clima che vincoli la conoscenza delle Costituzioni con
la stima e l'amore che si ha per il Vangelo; sono esse infatti
l'angolatura vocazionale con cui lo si medita e lo si vive; e
in vista di essa si può affermare che per i religiosi la « Rego-
la vivente è Gesù Cristo ».
236

24.9 Page 239

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Adesione: la vera stima e il vero amore comportano
un atteggiamento di adesione fattiva, in quanto non si fer-
mano al livello affettivo, ma lo trascendono naturalmente e
lo incarnano in quello effettivo. Trattandosi cli un « libro di
vita» che tende a muovere la persona dall'interiorità e attra-
verso la libertà, è normale curare l'adesione effettiva della
volontà.
Sulla base dell'atteggiamento di conoscenza e di simpatia,
bisognerà promuovere permanentemente nella comunità una
pedagogia di esecuzione piena e leale, come espressione li-
bera non tanto di una « osservanza legale » da parte degli
individui, quanto di « testimonianza reciproca» nella ricerca
comunitaria cli una pienezza di amore.
Là dove si coltivano questi atteggiamenti personali e co-
munitari di conoscenza, di simpatia e di adesione, possiamo
parlare di una vera efficacia delle Costituzioni, nel senso che
aiutano a realizzare oggettivamente il programma vitale del-
la propria professione religiosa.
Significato della professione religiosa
Le Costituzioni di un Istituto sono legate intrinsecamen-
te alla professione religiosa dei suoi membri.
Abbiamo già affermato che l'atto della professione reli-
giosa ha un senso specificante per l'identità vocazionale di
un candidato: è che egli definisce vocazionalmente se stes-
so distinguendosi dagli altri (cf Cast 73).
L'originalità della vita religiosa non si trova in un'essen-
za evangelica, comune a tutti i cristiani; essa si trova piutto-
sto « là dove si presentano delle possibilità libere che non
sono consigli di p~rfezione ma scelte di un certo tipo di esi-
stenza, scelte portatrici di significato ma non necessarie dal
punto di vista della perfezione e della salvezza » (TH. MATURA).
237

24.10 Page 240

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a) Il voto di professione
Dedichiamoci brevemente a considerare la celebrazione
della professione religiosa. Meditandone la formula vi tro-
viamo le caratteristiche di una specie di « patto pubblico»:
si tratta di una certa alleanza con Dio, dell'incontro di due
fedeltà in un impegno di esistenza. Non c'è qui un semplice
contratto ( « do ut des ») anche se c'è un dialogo libero; si
tratta piuttosto di una amicizia a senso nuziale che impegna
tutta la vita e orienta tutto il dinamismo della propria attivi-
tà: è la fusione di due libertà a tempo pieno e a piena esi-
stenza.
Con ragione la Santa Sede esige l'approvazione della so-
stanza della formula con cui si realizza un atto tanto impor-
tante: « La fo rmula professionis deve essere sottoposta
alla approvazione della S. Congregazione per i Religiosi, e
non si può affermare che possa essere lasciata alla libera ini-
ziativa dei singoli candidati, anzi deve essere sostanzialmen-
te identica per tutto l'Istituto. Nessuna formula potrà mai
prescindere da alcuni elementi ... dal momento che i relativi
obblighi si intendono assunti " secondo la Regola e le Costi-
tuzioni"» (A. MEYER, Segret. della SCRIS, 24 febbraio 1974;
cf Informationes 1975, n. 1, pag. 49).
Con questo atto pubblico il profitente sintetizza ed espri-
me la sua donazione totale a Dio, il volto della traiettoria
vocazionale che intende vivere nella Chiesa e la sua scelta
d'appartenenza a un determinato Istituto religioso.
San Tommaso nello studiare la vita religiosa (cf S. Th.
II-II 186) usa una felice espressione: parla di un votum
professionis, al singolare, quasi come se l'atto della profes-
sione fosse una specie di voto globale (il « voto di religione»,
secondo l'interessante commento del P. Tillard): con esso
si assume la sostanzialità del « progetto religioso » di un
Istituto.
C'è una ditferenza di per sé tra « fare la professione » ed
« eniettere i tre voti» : nella prima affermazione si esprime
238

25 Pages 241-250

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25.1 Page 241

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una determinazione globale di vita religiosa concreta; nella
seconda affermazione si indica una economia di decisioni
radicali al servizio della determinazione anteriore, ma che
potrebbe anche farsi di per sé al di fuori della vita religiosa.
Il significato esistenziale dei singoli voti per un religioso
dipende dalla determinazione globale della sua professione:
emettere il voto di castità non è, di per sé, distintivo del fran-
cescano o del gesuita o del celibe secolare, ma emetterlo al
di dentro della professione di un progetto religioso implica
senz'altro tutta una specificazione.
Infatti, « secondo i diversi tipi di Istituti religiosi, ognuno
dei voti acquista una colorazione differente »... e si attualizza
secondo quell'insieme assai complesso che è indicato nella
Regola, nei costumi, nel lavoro che a una comunità il suo
volto speciale.
Il profitente si dona in forma radicale nei tre dinamismi
fondamentali, ma al di dentro e attraverso una determinata
esperienza comunitaria. Il volto della sua vocazione non è
una vernice sparsa estrinsecamente su una qualche essenza
uniforme che costituirebbe la « materia dei tre voti». Ma in-
vece questa s'incarna nello stile di vita proprio che caratte-
rizza un istituto tra gli altri vari tipi di vita religiosa.
La mia castità, la mia povertà, la mia obbedienza non pos-
sono fare astrazione dal modo come io vivo il carisma pro-
prio della mia comunità.
« I voti appaiono infatti inseriti totalmente nel dinamismo
che attraverso la comunità mi vincola a Dio» (Tillard) .
La professione religiosa merita, dunque, di essere analiz-
zata di più, anche se brevemente, perché da essa deriva, m
definitiva, il senso della nostra identità vocazionale.
b) Convergenza a tre livelli
Possiamo distinguere tre livelli che convergono nella cele-
brazione della professione religiosa: quello ecclesiale, quello
239

25.2 Page 242

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congregazionale e quello personale del profitente; in ogni
livello troviamo tre agenti principali che agiscono in modo
complementare.
A livello ecclesiale (cf LG 44; SC 80) si fa presente l'in-
tervento del Signore attraverso la mediazione sacramentale
della sua Chiesa: Dio e la Chiesa « consacrano » il profitente.
Anticamente si parlava proprio di consecratio seu benedictio
(anche il nuovo Orda professionis religiosae, pag. 30, 49 , 73 ,
92, usa tale terminologia per la professione perpetua) .
A questo livello, proprio della « consacrazione » in senso
liturgico, si mette l'accento sull'aspetto ecclesiale (preghiera
pubblica, benedizione solenne, epiclesi consacratoria) che fa
presente il Signore come soggetto attivo della consacrazione
« religiosa» del profitente; la Chiesa accetta ufficialmente la
sua professione e la celebra, ratificandola come patto defini-
tivo incorporato all'Eucaristia.
È propriamente in questo senso che si parla di « consa-
crazione » nella Lumen Gentium. ai numeri 44 e 45 (biso-
gna però leggere il testo in latino, perché le traduzioni soli-
tamente risultano errate): « la stessa Chiesa, infatti, con l'au-
torità affidatale da Dio, riceve i voti dei profitenti, per loro
impetra da Dio con la sua preghiera pubblica gli aiuti e la
grazia, li raccomanda a Dio e impartisce loro la benedizione
spirituale, associando la loro oblazione al sacrificio eucari-
stico ».
Contrariamente a ciò che alcuni pensano, prima che un
olocausto offerto al Signore, la consacrazione religiosa è
un dono ricevuto dalla sua generosità senza limiti. Secondo
la terminologia di Von Allmen, « la consacrazione entra nel-
l'ordine del sacram.ento, piuttosto che in quello del sacrifi-
cio » (A. J AVIERRE).
Essa comporta una iniziativa del Signore e della Chiesa
per dare ufficialmente e sostenere stabilmente un posto e
un ruolo nella sacramentalità globale del Popolo di Dio.
240

25.3 Page 243

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Attraverso la professione si è consacrati dal Signore nella
Chiesa, quale Sacramento universale di salvezza, a disimpe-
gnare un ruolo specializzato e complementare di testimo-
nianza e di servizio.
0 A livello congregazionale la professione religiosa mette
chiaramente in vista il Superiore dell'Istituto con tutto un
realismo comunitario, che implica assai concretamente una
tradizione vissuta, una Regola di vita e una Autorità spiri-
tuale.
Il candidato dialoga con il Moderatore della Congregazio-
ne in cui professa; si impegna a vivere con dei fratelli già or-
ganizzati in comunità; assume formalmente il progetto di vi-
ta di tale comunità, giacché professa pubblicamente di donar-
si a Dio, vivere i voti ed edificare la Chiesa secondo il Proget-
to tracciato nelle Costituzioni dell'Istituto.
Può risultare utile sottolineare qui il significato della pre-
senza indispensabile del Moderatore (o di chi ne fa le veci):
è illuminante la risposta della S. Sede a un quesito al
riguardo.
« È stata chiesta alla S. Congregazione dei Religiosi una
modifica al rito della professione fatta "infra Missam ", in-
tesa ad ottenere che quando " la professione religiosa viene
emessa durante la celebrazione dell'Eucaristia, i voti siano
direttamente accolti da colui che, vescovo o sacerdote, pre-
siede la celebrazione eucaristica. Il problema è stato stu-
diato attentamente e il congresso del 12 ottobre 1974 ha
espresso all'unanimità un parere negativo debitamente mo-
tivato. Per il can. 572, § 1, 6 la validità della professione è
condizionata alla sua accettazione da parte del legittimo su-
periore. Si tratta di un superiore interno dell'Istituto, speci-
ficato dalle Costituzioni, il quale accettando per se vel per
alium i voti pubblici, agisce in nome della Chiesa e dell'Isti-
tuto stesso.
Nessun altro, quindi, può ricevere i voti religiosi se non
per delega.
241
16

25.4 Page 244

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L'Orda professionis religiosae stabilisce esplicitamente
che i voti dei religiosi vengano emessi dinanzi al superiore,
anche se non sacerdote, qualunque sia il celebrante, vescovo
o presbitero» (lnformation es 1975, n. 1, p. 41-42).
Risulta evidente che non sarebbe indispensabile la pre-
senza di tale « autorità carismatica » se la professione religio-
sa consistesse nella emissione dei voti in forma generica e
non implicasse invece un impegno ben determinato di se-
guire un Fondatore secondo la regola di vita del suo carisma.
D'altra parte il livello congregazionale implica anche un
intervento e una assunzione di responsabilità da parte di
tutto l'Istituto in cui si fa la professione; « emesso in una
comunità religiosa particolare, il mio voto si arricchisce di
significati nuovi. Implica che io riconosca nel gruppo dei
fratelli al quale mi incorporo la realizzazione (certo, sempre
imperfetta) della chiamata particolare che io stesso ho rice-
vuto da Dio, e questo riconosca in me una realizzazione già
reale del suo ideale». Il mio voto manifesta che appunto in-
sieme con tale gruppo determinato io voglio « significare
alla Chiesa la mia vita religiosa; esso manifesta anche al
gruppo che io spero di essere da questo aiutato a vivere sem-
pre meglio la mia consacrazione, e che io mi impegno a la-
sciarmi aiutare. Insieme con i miei confratelli io mi offro a
Dio, affinché diveniamo insieme una comunità di consacra-
zione» (J. M. HEUNAUX).
Ebbene: tutto questo aspetto comunitario suppone un
ruolo specifico e irrinunciabile delle Costituzioni.
A livello personale la professione religiosa mette in luce
l'atto di libertà del profitente, il che implica sia la « opzione
fondamentale » per Cristo, sia la « scelta di appartenenza»
a un Istituto concreto, sia la « disciplina d 'impegno » (se
obligat, dice la LG 44) nella pratica dei consigli evangelici
secondo lo spirito del Fondatore, sia infine il « dinamismo
apostolico » di disponibilità creatrice alla missione propria
dell'Istituto (cf il modello di formula nell'Orda professionis
242

25.5 Page 245

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religiosae pag. 113): un atto di libertà assai concreto e sto-
ricamente determinato.
Tutti questi aspetti, inclusi nell'atto personale del profi-
tente, s'ispirano e si definiscono dal progetto religioso del
Fondatore così come viene delineato nelle Costituzioni: il
candidato emette sempre la sua professione religiosa « se-
condo la via evangelica tracciata nelle Costituzioni» (cf
Cast. 74).
Le Costituzioni, polo di riferimento
Nella breve analisi dei tre livelli or ora accennata sco-
priamo, dunque, che il significato della professione religiosa
è vincolato intimamente con le Costituzioni di ogni Istituto,
tanto da fare di esse il suo polo di permanente riferimento.
Le Costituzioni appaiono davvero come il codice di un'al-
leanza scelta « con riconoscenza e disponibilità per realizza-
re la pienezza della carità» (cf Proemio Cast.), e come un
libro di vita la cui luce « orienta in forma stabile il senso del-
la professione e ne illumina la fedeltà» (Cast. 200).
Così « progetto evangelico », « Costituzioni» e « professio-
ne religiosa» sono elementi profondamente correlativi; essi
si compenetrano nell'unità esperienziale del carisma perma-
nente di un Fondatore.
Conclusione
Scrive Paolo VI che « il Concilio giustamente insiste sul-
l'obbligo, per i religiosi e le religiose, di essere fedeli allo
spirito dei loro Fondatori, alle loro intenzioni evangeliche,
all'esempio della loro santità, cogliendo in ciò uno dei prin-
243

25.6 Page 246

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cìpi del rinnovamento in corso e uno dei criteri più sicuri
di quello che ciascun Istituto deve eventualmente intrapren-
dere » (ET 11).
Tale fedeltà ai Fondatori passa attraverso le Costituzioni,
come progetto di vita evangelica assunto nella professione
religiosa.
La nostra professione comporta, quindi, un impegno ob-
bligante verso Dio, verso la Chiesa, verso il proprio Istituto
e verso la società umana nella quale il carisma del Fondatore
ha una funzione di servizio.
Per attualizzare con fedeltà ed entusiasmo tale impegno
c'è da rifarsi a tante iniziative di formazione permanente, as-
solutamente urgenti nella presente situazione di cambiamen-
ti culturali.
Per concludere, desidero solo enunciare due grandi co-
statazioni al riguardo:
- l'attuale urgenza di iniziative in favore della formazione
permanente;
- e la convinzione che uno dei principali strumenti di
formazione permanente è la conoscenza e l'assimilazione
delle Costituzioni rinnovate.
Diamoci da fare perché tali affermazioni si realizzino
convenientemente nelle case!
244

25.7 Page 247

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INDICE

25.8 Page 248

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25.9 Page 249

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pagina 7 Presentazione
LA VITA NELLO SPIRITO
13 INTRODUZIONE
13 Facciamo memoria
14 Un luogo privilegiato dello Spirito
15 Attualità della meditazione sulla vita nello
Spirito
17 Un'ora dello Spirito Santo
18 Il fondamento della nostra vocazione
19 Primato della vita nello Spirito
21 Domande sconcertanti
23 Il mistero dello Spirito Santo
23 a) Più in della psicologia e della sociologia
25 b) Lo Spirito Santo non è il V erba rivelatore
26 c) Lo Spirito Santo vivifica e illumina
26 I due poli della vita nello Spirito
LE DUE MEDIAZIONI
DELLA VITA NELLO SPIRITO
PRIMA PARTE
33 IL SIGNORE: LA SEQUELA DI CRISTO
33 Dal Padre al Padre
34 La sequela di Cristo
247

25.10 Page 250

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pagina
36 La prima scintilla
40 I due versanti della vita nello Spirito
Interiorità
Impegno storico
41 La grazia di unità
42 Il realismo della vita pratica quotidiana
44 Discepoli : di quale Cristo?
45 a) Cristo: Profeta, Sacerdote e R e
49 b) Cristo: Crocifisso e Risorto
52 c) Cristo: Eucaristia
S ECONDA PARTE
55 LA MADONNA: CON MARIA PER LA CHIESA
55 Necessità di realismo
57 Dati obiettivi
59 Maria e le nostre origini
60 a) Maria nell'ora degli inizi
61 b) Maria nell'ora delle grandi transizioni
62 c) Maria nelle ore pentecostali
63 Maria e la Chiesa
65 Con Maria per la Chiesa
66 Nell'interiorità e nell'impegno
67 La nostra pietà mariana
69 Concretezza del nostro proposito di rilancio
mariano
Area della formazione dottrinale
Culto e pietà mariani
Grandi orizzonti di impegno ecclesiale
Cura delle vocazioni
72 Maria e la promozione della donna
248

26 Pages 251-260

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26.1 Page 251

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pagina
L'INDOLE SALESIANA
DELLA VITA NELLO SPIRITO
PRIMA PARTE
79 DON BOSCO E IL CARISMA SALESIANO
79 La nostra « indole propria »
81 Saper individuare il « nucleo carismatico »
83 Coscienza di Fondatore
84 La scintilla originale
87 Connotati di un genuino carisma
90 Le componenti del carisma salesiano
91 a) Un'alleanza speciale con Dio
92 b) Spirito salesiano
95 c) Missione giovanile
97 d) Sistema preventivo
99 e) Il nostro progetto comunitario di vita e di azione
SECONDA PARTE
101 MARIA MAZZARELLO E LO SPIRITO DI
MORNESE
102 Dal 1872 al 1879
102 Non da solo progetto umano
106 Traduzione al femminile della salesianità
108 Il centro dello spirito di Mornese
110 Il suo clima pentecostale
Aspetto mistico
Aspetto ascetico
115 Alcune esigenze dello spinto di Mornese
115 a) Crescita culturale a cominciare da
madre Mazzarello
116 b) Preparazione familiare del servizio dell'autorità
120 c) Chiarezza della forma di vita religiosa
249

26.2 Page 252

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pagina 122 Vasti orizzonti
Fecondità vocazionale
Coraggio della magnanimità
Universalità missionaria
Apertura al trapianto totale
ORA PRIVILEGIATA
DELLA VITA NELLO SPIRITO
PRIMA PARTE
127 LA SFIDA DEI CAMBIAMENTI
SOCIO- CULTURALI
127 Ora di crisi: ora pentecostale
131 I più incisivi segni dei tempi
131 a) Accelerazione della storia
133 b) Processo di personalizzazione
134 c) Processo di socializzazione
135 d) Processo di secolarizzazione
136 e) Processo di lib erazione
137 La dimensione culturale e sociopolitica
ci interpella
141 Un nuovo senso di responsabilità
143 Segni di speranza
Più chiara coscienza della propria identità
Rinnovamento della p1-eghiera
Rivalutazione della croce
145 Urgenza di una risposta
SECONDA PARTE
146 NUOVA PRESENZA DELLO SPECIFICO
RELIGIOSO
147 La società del futuro ha bisogno della vita reli-
giosa
250

26.3 Page 253

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pagina 150 Riscoprire l'attualità della santità
152 a) La riscoperta dell'interiorità con Cristo
153 b) La riscoperta dell'impegno storico
154 Lo specifico religioso nella riscoperta della
santità
155 a) Confronto tra vita consacrata e vita laicale
155 b) Confronto tra vita religiosa e vita consacrata
157 c) Confronto tra vita salesiana e vita religiosa
157 L'impegno totalizzante della professione
religiosa
160 Urgenza di santità
SERVIZI DI FEDELTA'
ALLA VITA NELLO SPIRITO
PRIMA PARTE
163 AUTORITA E ANIMAZIONE
163 Un servizio accompagnato da tante grazie
165 Il carisma precede e fonda l'autorità religiosa
166 L'autorità salesiana è in funzione di una
Congregazione unitaria
169 Un ministero di unità e di corresponsabilità
171 Alcune condizioni per esercitare bene l'autorità
Autoanalisi
Sicurezza operativa
S ensibilità alle situazioni
Abilità diagnostica
Flessibilità o duttilità nel comportamento
Comunicazione leale
Realizzazione di
176 Il valore religioso del servizio di autorità
251

26.4 Page 254

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pagina
SECONDA PARTE
181 FORMAZIONE PERMANENTE
181 Motivazioni per una educazione continuata
Accelerazione della storia
Pluralismo ideologico
Esigenza di una mentalità nuova
Carattere evolutivo della personalità umana
Vita cristiana come crescita nella fede
Esigenze conciliari
Il Documento dei « criteri direttivi »
185 Due livelli di educazione continuata
Aggiornamento
Formazione permanente
186 Concetto di formazione permanente
Impegno personale
Impegno comunitario
190 Aree d i impegno della formazione permanente
Vita nello Spirito
Salesianità
Ambito pastorale pedagogico
Professionalità
193 Il cu ore di chi anima la formazione permanente
195 Linee d'azione
A livello locale
A livello ispettoriale
A livello regionale e mondiale
A livello di Famiglia salesiana
CRITERI DI ORTOPRASSI
PER LA VITA NELLO SPIRITO
PRIMA PARTE
205 IL PROGETTO EDUCATIVO-PASTORALE
DEL SISTEMA PREVENTIVO
205 Perché ripensare a fondo il sistema preventivo?
252

26.5 Page 255

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pagina 207 Espressione della nostra originalità
210 L'anima del sistema preventivo
211 a) Il dono della predilezione verso i giovani
211 b) Coinvolgimento di amicizia
213 c) Conoscenza dei singoli e della condizione
giovanile
213 Carità pastorale e intelligenza pedagogica
215 a) Evangelizzare « educando »
215 1. Spinta pastorale
216 2. Sollecitudine per i valori e le istituzioni culturali
217 3. Saper vincolare il Vang elo con la cultura
218 4. Senso realistico della gradualità
218 b) Educare «evangelizzando»
219 1. Chiara presenza del fin e ultimo
220 2. Processo educativo positivamente orientato
a Cristo
220 3. Formare una coscienza critica e un senso del
dove re alla luce del Vangelo
221 4. La Parola di Dio, per sua natura,
rivela e interpella
221 Lo stile salesiano da rinnovare
222 a) Assistenza
222 b) Creazione dell'am bien te
223 c) Formazione della comunità educativa
223 d) Gruppi e movimenti giovanili
224 Praticità d'impegno
Formazione del nostro personale
Animazione salesiana dei collaboratori laici
Studio e diffusione clella pedagogia salesiana
SECONDA PARTE
227 IL PROGETTO RELIGIOSO-APOSTOLICO
DELLE COSTITUZIONI
228 Il « progetto religioso »
229 a) Precisazioni terminologiche
23 l b) L'atto caratteristico
253

26.6 Page 256

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pagina 232 Ruolo delle Costituzioni
232 a) Che cosa sono
233 b) Quale è la loro fun zione
Funzione di guida vocazionale
Funzione di unità carismatica
Funzione di confronto evangelico
236 c) Come divengono efficaci
Conoscenza
Simpatia
Adesione
237 Significato della profess ione religiosa
238 a) Il voto di professione
239 b) Convergenza a tre livelli
A livello ecclesiale
A livello congregazionale
A livello personale
243 Le Costituzioni, polo di riferimento
243 Conclusione
254

26.7 Page 257

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26.8 Page 258

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