Ricordando don Egidio Viganò
Nel decimo anniversario della sua morte
Carissimi confratelli,
Ex-allievi di Don Bosco
Amici
Incomincio per ringraziare l’invito a partecipare in questo evento commemorativo del decimo anniversario della morte di don Egidio Viganò, settimo successore di Don Bosco, verso cui nutrivo una immensa ammirazione e un grande affetto, anche perché io stesso mi sono sentito ben voluto da lui.
In questo mio intervento non posso non raccontare la mia relazione personale con don Viganò, a mo’ di testimonianza, e, nel contempo, non posso non cercare di approfondire quello che fu il suo contributo a livello istituzionale come Rettor Maggiore.
Una personalità così ricca di tanti valori umani e cristiani è certo, da una parte, l’espressione e il frutto di una terra e di un popolo come questo di Sondrio, cui va il mio grande apprezzamento e riconoscimento per il dono che avete dato alla Congregazione e a tutta la Famiglia Salesiana, che ha tenuto a don Egidio Viganò come “Padre”, e, dall’altra, una figura così ben riuscita è anche il prodotto maturo dell’esperienza di famiglia e della educazione vi ricevuta. Perciò, a nome mio e di tutta la Congregazione, rendo un grazie dal profondo del cuore alla Famiglia Viganò, che è stata tanto generosa con Dio, con la Chiesa, con Don Bosco e con i giovani.
Io ebbi la fortuna di conoscere ed ammirare a don Egidio quando ero venuto per prima volta in Italia nel 1975 a fare gli studi di Sacra Scrittura. Egli svolgeva allora il carico di Consigliere per la Formazione, ma sapevo già il ruolo che aveva giocato nel Capitolo Generale Speciale e nel CG 20, così come nell’illuminazione per affrontare i difficili anni degli anni 70.
Posteriormente lo trovai e lo sentì come Rettore Maggiore in diversi incontri in Messico e in America Latina e sempre restai meravigliato della sua salda formazione teologica, del suo profondo senso di Chiesa, del suo immenso amore a Don Bosco.
Le sue lettere circolari furono per me in quelli anni come formatore, quindi come direttore del teologato e come ispettore un vero quadro di riferimento, che mi aiutavano a sintonizzare con quanto il Rettor Maggiore stava proponendo e, pari passo, a crescere in identità carismatica, spirituale e pastorale.
Mi ricordo che nel 1980 mi trovavo in Spagna, a Salamanca, iniziando il Dottorato in Teologia Biblica quando, appena tre mesi dopo di aver cominciato, fui chiamato a Roma per trovarmi con questa alternativa: o accettavo essere il nuovo direttore del teologato di Guadalajara o questo veniva chiuso. Mi ricordo benissimo che gli disse quanto stava facendo e la risposta che egli mi diede: “È buono avere progetti e portarli avanti. È meglio però lasciare che sia lo Spirito Santo a guidare la tua vita”. Ma non soltanto mi senti incoraggiato ad interrompere il Dottorato appena iniziato, ricevetti il suo sostegno per costruire un nuovo teologato che rispondesse meglio alle attese della Congregazione sulla formazione, raccolte nella prima Ratio.
Posteriormente nel dicembre del 1988, una mattina mi chiamò da Roma a Guadalajara per domandarmi se avevo ricevuto una sua lettera. Gli rispose che non. Appunto in quel momento il mio sguardo scoprì una lettera sulla mia scrivania, in cui mi chiedeva d’essere l’Ispettore. Anche se cercai di dirgli che io avevo scritto precedentemente una lettera in cui gli chiedevo di non essere preso in conto nella consultazione per il nuovo superiore della Ispettoria di Guadalajara dovuto alla mia precaria salute. Anche questa volta la sua risposta fu: certo che l’ho ricevuta, pero adesso considero questa chiamata come un sì. Come si può vedere, don Egidio Viganò era un uomo deciso che non lasciava molto spazio per possibili alternative.
Lo incontrai innumerevoli volte e sentì la sua vicinanza e il suo affetto, godendo della sua confidenza, tanto che l’ultima volta che lo trovai a Roma, alla fine di gennaio 1995, al termine del mio ispettorato, quando ero venuto per pormi alla sua disposizione come d’altronde lui mi aveva indicato, vedendolo già molto male sulla sedia a rottele gli dissi: “Ma don Viganò, lei ha dovuto consolare tanti confratelli ammalati o anziani, perché non ci racconta in una lettera come sta vivendo la sua malattia?”. Non so se questa battuta fosse stato lo stimolo per scrivere, ma la cosa certa è che scrisse una bellissima lettera, l’ultima, sulla passione del Salesiano.
La sua morte accadde il 23 giugno 1995, mentre mi trovavo in Spagna scrivendo la tesi, dietro suggerimento suo. Avrei voluto essere venuto per il suo funerale, ma non osai. Tuttavia scrissi una lettera a don Vecchi con una mia testimonianza dell’uomo, del credente, del salesiano che avevo conosciuto e amato in Don Viganò.
Ma non vorrei restare solo a livello di testimonianza, soprattutto perché è stato molto più importante e significativo il suo contributo a livello istituzionale. Ed ecco alcuni degli elementi che lo possono caratterizzare, quelli stessi che offrì alla Congregazione per la sua ridefinizione alla luce del Concilio Vaticano II.
Don Egidio Viganò, dotato di un temperamento e una preparazione culturale marcatamente teologica, era familiarizzato soprattutto con i grandi problemi della Chiesa e dei suoi vertici, incline piuttosto alle visioni profetiche, ai grandi progetti, con l’adozione di un linguaggio elevato. Vorrei sottolineare, tra tante, due indovinate riformulazioni, che a mio avviso sono centrali non solo nel pensiero di Don Viganò ma soprattutto, nella vita salesiana1
1.Essere salesiano, essere don Bosco oggi
Conoscitore di Don Bosco privilegiava non tanto la storia critica quanto la sua lettura interpretativa e teologale. Più che ricordarci chi fu don Bosco, si è interessato per mostrar come diventare don Bosco oggi. Le sue prese di posizione sull’argomento sono uno degli aspetti che più caratterizzano la sua vasta produzione di circolari, che spaziano molto liberamente tra i grandi problemi della Chiesa postconciliare, dell’era inaugurata da Giovanni Paolo II – con il quale palesa un’evidente e corrisposta sintonia ideale e culturale – e quelli della Congregazione, soprattutto nel loro versante teorico.
L’ampliamento si ha fin dagli inizi del Rettorato, quando, sulla scia del CG XXI, illustrando Il progetto educativo salesiano dedica più pagine a Il Sistema Preventivo di Don Bosco, definendolo “Elemento costitutivo del nostro «carisma»” e, citando dal CGS XX , «una preziosa eredità», legata a quella «carità pastorale», che costituisce «il centro dello spirito salesiano». “Nel Sistema Preventivo, infatti – chiariva – , si possono distinguere due livelli o aspetti diversi profondamente legati tra loro: il principio ispiratore che crea un determinato atteggiamento spirituale della persona (la «spinta pastorale») e il criterio metodologico che guida le modalità della sua azione (il «metodo pedagogico»)”2
“Le celebrazioni del centenario (1988) offrivano a don Viganò l’occasione di soffermarsi impegnativamente sul delicato tema Riscoprire lo spirito di Mornese. È stato per lui un’opportunità per proporre alle Suore “alcuni brevi accenni al grande centro di riferimento di tutta la nostra Famiglia spirituale che è il patrimonio salesiano di Don Bosco, la sua esperienza dello Spirito o il suo carisma”, in sostanza la sintesi di dono dall’alto e di collaborazione umana dal basso. Di tale «stile particolare di santificazione e di apostolato» egli indica le cinque componenti o elementi costitutivi:
un modo originale di Alleanza con Dio, una «vita interiore teologale», costituita dall’esercizio delle virtù di fede, speranza e carità;
l’invio da parte di Dio a partecipare in forma attiva e specializzata alla missione della Chiesa in forma preferenziale verso la gioventù, “soprattutto quella povera e bisognosa;
un determinato stile di mentalità e di vita spirituale: «bontà» con familiarità e simpatia, amare e farsi amare, l’«estasi dell’azione», lavoro e temperanza, una visione ottimistica della realtà, coraggio ecclesiale e buon senso sociale, zelo ardente e creativo, secondo lo stemma da mihi animas, cetera tolle;
il cosiddetto Sistema Preventivo;
una forma peculiare di vita evangelica, “contrassegnata da una priorità dell’obbedienza (in vista della missione) e da una maniera «familiare» di vivere e di lavorare «insieme».3
Era lo “spirito salesiano”, che caratterizzava anche la figura del Cooperatore. “Tale spirito – precisava – è una tipica esperienza evangelica che caratterizza e dà tono concreto alla presenza e azione nel mondo, alle relazioni con i fratelli e al rapporto con Dio”. Essa “ha la sua sorgente nel cuore stesso del Cristo, si alimenta nell’impegno apostolico e nella preghiera, e pervade tutta la vita, rendendola una testimonianza di amore”. “Tra noi, Famiglia di Don Bosco – ribadiva – , nell’alveo del comune «spirito salesiano» confluiscono di fatto diverse «spiritualità»: laicale, sacerdotale, religiosa, coniugale, di consacrazione secolare, ecc.”.
E delineava ai Cooperatori i tratti dello spirito del Fondatore che erano chiamati a vivere nella “condizione secolare” loro propria:
“un tipo peculiare di «vita di fede», impegnata nel quotidiano”, che comportava “due atteggiamenti caratterizzanti”: “Il primo è quello di «sentire Dio come Padre e Amore che salva»; (di incontrare) in Gesù Cristo l’Unigenito Figlio (che è) l’Apostolo perfetto del Padre; (e di vivere) in intimità con lo Spirito Santo (che è il potente) Animatore del popolo di Dio nel mondo” (Regolam. 27); il secondo atteggiamento è di sentirsi chiamati e inviati a una missione concreta: quella di «contribuire alla salvezza della gioventù» (Regolam. 1), impegnandosi «nella stessa missione giovanile e popolare di Don Bosco» (Regolam. 3); per questo “al centro dello spirito salesiano c’è quale «spinta mistica» quella carità pastorale…, che spinge ad operare instancabilmente per il Signore”, sintetizzata nel da mihi animas, cetera tolle.
“Don Bosco poi, ha voluto rivestire questa operosità apostolica di bontà semplice, cordiale e gioiosa; ossia di uno stile di vita e di azione che «tende a suscitare rapporti di fiducia e di amicizia, per creare intorno a sé un clima di famiglia fatto di semplicità e affetto». È tradotto nella prassi del “modo di agire tra i giovani”, che Don Bosco chiamò «Sistema Preventivo».
“Intrecciata con la «spinta mistica» della carità pastorale fata bontà, c’è, nel nostro spirito, un’esigente «metodologia ascetica, abbellita dal sorriso di un volto ilare”», espressa da Don Bosco nel binomio “lavoro e temperanza”.
Per custodire e sviluppare questo “spirito” “Don Bosco ha riconosciuto esperienzialmente una ininterrotta protezione mariana, (l’intervento materno di Maria (Regolam. 1,1)”, «Maestra e Guida», che ha cooperato con il Salvatore e continua a farlo «come Madre e Ausiliatrice del Popolo cristiano» (Regolam. 27,2)”4.
L'ultima circolare, quasi un testamento - poco più di quattro mesi lo separavano, gravemente ammalato, dalla morte -, verteva ancora su temi allo “spirito” e al “carisma” salesiano. Portava esattamente il titolo Come rileggere oggi il carisma del Fondatore. Porta la data 8 febbraio 1995, il giorno dell’inizio del processo di beatificazione e canonizzazione di Mamma Margherita. Voleva essere “una specie di cronistoria ripensata” della rilettura del carisma del Fondatore ad opera dei Capitoli generali a partire dal Concilio Vaticano II. La rilettura fondazionale ha comportato “una intensa e non facile ricerca della nostra identità carismatica”. Abbiamo una «carta d'identità» valida e aggiornata. “Maria ci guidi - concludeva -, attraverso questa nostra rilettura fondazionale, per rilanciare il carisma di Don Bosco verso le immense possibilità e speranze del terzo millennio. Insieme a Mamma Margherita guardiamo al futuro con intuizione e fecondità materne”5.
2.“Cuore oratoriano”, il cuore della missione salesiana
Nella caratterizzazione dello “spirito di Don Bosco” o dello “spirito salesiano” emerge dal frequente uso della formula “cuore oratoriano” o “criterio oratoriano”, probabilmente un tratto comprensivo che in qualche modo specifica o, meglio, individualizza la precisa identità della “carità pastorale”, ritenuta caratteristica fondante dello “spirito salesiano”, anzi un supercriterio di identificazione del “carisma salesiano”.
Ne parlava la prima volta nel discorso di chiusura del CG 21. Oltre le Costituzioni don Bosco trasmetteva il carisma con altri scritti, tra essi fondamentali le Memorie dell'Oratorio. “Ora - diceva - è proprio in queste pagine che scopriamo il primo elemento delle nostra identità originaria, che ho voluto chiamare «cuore oratoriano» (...). L’Oratorio di Valdocco non è tanto da concepirsi come l’inizio di questa o quella «istituzione» (anche se non la esclude), ma come l’espressione più chiara e la concrezione primigenia della carità pastorale di Don Bosco. Ci dovremo rifare, dunque, come criterio primo di rinnovamento, al cuore del nostro Fondatore, che è un «cuore oratoriano» non nel senso di dedicarsi a istituire un determinato tipo di opere, ma nel senso di vivere ed esprimere un caratteristico atteggiamento pastorale che deve qualificare ogni presenza salesiana in qualsiasi opera. Questa è la prima scelta operativa da sottolineare: urge dare la priorità alla «pastorale giovanile», riempiendo il cuore di «nostalgia oratoriana»; ciò significa mettere alla radice di tutto il nostro operare un criterio di predilezione verso i giovani, ossia una tipica ricerca dei ragazzi e dei giovani sintetizzata nel motto «da mihi animas». E’ solo attraverso questo atteggiamento basilare che, sull’esempio di Don Bosco, sapremo permeare qualsiasi opera con uno spirito genuinamente oratoriano, nel senso storico delle origini del nostro Carisma”6.
AI CG 21 si ricollegava in una circolare sul finire del 1979. Si rallegrava dell’arrivo di notizie positive sul rilancio del Sistema Preventivo di don Bosco. Occorreva ricuperare una duplice caratteristica salesiana delle origini: “innanzitutto, il «cuore oratoriano», di cui aveva parlato nel discorso conclusivo del CG 21, 565-568. “L’espressione - precisava - vuole sottolineare il primato dato, nell’atteggiamento educativo del salesiano, alla «spinta pastorale» come principio ispiratore di ogni nostra presenza tra i giovani”: “il battito di un cuore apostolico innamorato di Cristo”. Era associato all’altra caratteristica: “la messa in pratica della «novità di presenza salesiana», ossia dello spirito di iniziativa o inventiva pastorale”7 .
Insistito era il riferimento alle origini storiche del concetto nella circolare su La Famiglia Salesiana del 24 febbraio 1982: "Nel principio c’era, nel cuore di Don Bosco, la carità pastorale con il dono di predilezione verso i giovani (...). Lì, in quel cuore di prete, si trova la sorgente prima e cristallina di tutta la Famiglia Salesiana (...). Guardando a Don Bosco-Fondatore, scopriamo la scaturigine e l’avvio della caratterizzazione del carisma salesiano in un amore di carità che sottolinea nei suoi due indissolubili poli (il Padre e il Prossimo) l’aspetto di donazione totale di sé a Dio in una missione giovanile”. La prima scintilla fu da lui concretizzata nell’Opera degli Oratori»”, ciò che “noi oggi chiamiamo «pastorale giovanile», impegnata realisticamente nell’educazione evangelizzatrice della gioventù disorientata ed emarginata, in un’ora socialmente esplosiva a causa di profondi cambiamenti strutturali e culturali. Nel principio c’era, dunque un cuore oratoriano!”8.
“Avere un cuore oratoriano” era la consegna che dava ai Salesiani scrivendo di «Don Bosco Santo» come uno dei tre grandi valori della santità salesiana insieme al servire il Signore in allegria e al saper farsi amare”9. Il criterio oratoriano è stato anche insieme all’esigenza comunitaria e la familiarità con Gesù Cristo uno dei tre principi ispiratori del rinnovamento espresso nella seconda parte delle Costituzioni. “E' un «dono di Dio» - ripeteva - che sgorga da una «carità pastorale» realisticamente attenta alle necessità e urgenze della società per rispondervi con il nostro apostolato giovanile e popolare”. Tale criterio - notava - era per esigenze costituzionali complesso, includendo: “la scelta preferenziale dei destinatari, i giovani poveri e, simultaneamente, quelli con germi di vocazione; l’esperienza spirituale ed educativa del Sistema Preventivo; la capacità di convocazione di numerosi corresponsabili scelti soprattutto nel laicato e tra i giovani stessi. Si tratta, quindi, di un criterio complesso ma concreto che ci invita a trascendere la materialità delle opere ed entrare nel cuore di Don Bosco per giudicare e programmare secondo l’angolatura specifica della sua carità pastorale. I tempi e le molteplici situazioni esigono da noi una «novità di presenza» là dove già siamo o dove verremo inviati. C’è da rivedere, da riprogettare, da creare per essere veramente in sintonia con l’ispirazione delle origini. La fedeltà al «criterio oratoriano nella nostra missione è un compito vivo, che ricomincia sempre”10.
Di Don Bosco, apostolo dell’Oratorio scriveva in preparazione al Centenario dell’88. La tesi era molto netta. Tra le tante qualifiche di prete, educatore, fondatore, scrittore, editore, viaggiatore, cittadino famoso, uomo di Dio, iniziatore di una scuola di santificazione e di apostolato nella Chiesa, verso una è concentrata fondamentalmente la sua attenzione: “Don Bosco, discepolo di Gesù, spicca per il suo «cuore oratoriano»”; “l’Oratorio è il luogo della peculiare intuizione evangelica di Don Bosco, della sua genialità apostolica, della sua originalità spirituale, perché è la sede privilegiata della sua «esperienza dello Spirito». E questo «Oratorio», «luogo teologico» della missione salesiana, non si spiega senza Gesù Cristo e il suo Vangelo”11.
Il 14 maggio 1988 durante la rinnovazione della Professione era stata consegnata ai confratelli con voti temporanei una medaglia e don Viganò sottolineava con compiacenza che l’incisore avesse voluto “creare un volto di Don Bosco che mostrasse il suo cuore oratoriano” (rappresentato dalla scritta Da mihi animas), da “vero Maestro della prassi educativa salesiana, dallo sguardo penetrante che avvince gli animi in una comunione familiare di ideali e di amicizia per la crescita gioiosa e responsabile di una vita consacrata”12. Nell’approfondire, poi, il titolo Iuventutis Pater et Magister, riservato a don Bosco da Giovanni Paolo II, commentando L’appellativo di «Padre», rivolto soprattutto - con le parole di don Rinaldi - a farsi «tutto a tutti per guadagnare le anime giovanili e condurle a nostro Signore», don Viganò ne conclude: “Urge pertanto ricuperare e approfondire il senso di questa paternità tipicamente «oratoriana» nei molteplici risvolti umani e divini che la compongono. E' compito ineludibile di ogni discepolo di Don Bosco”13.
Nell’ultima circolare, in un paragrafo su Il criterio oratoriano don Viganò affermava: la formula “si riferisce anche al problema dei destinatari: un punto cruciale nel CGS. Don Bosco ha avuto a cuore, come priorità, l’opera degli Oratori con i suoi destinatari privilegiati. Nella nostra rilettura del carisma il primo Oratorio di Valdocco è stato assunto a modello apostolico di riferimento”, non, però, identificato “con una determinata struttura o istituzione”, ma come “una specifica ottica pastorale per giudicare le presenze esistenti o da creare. Al centro di questo «cuore oratoriano» c’è la predilezione per i giovani, soprattutto i più bisognosi e dei ceti popolari”; prima e al di là delle opere ci sono loro: “il discepolo di Don Bosco deve sentirsi un «missionario dei giovani»; questo criterio “illumina gli impegni ecclesiali voluti da Don Bosco per la Congregazione. Essi sono: l’evangelizzazione dei giovani, soprattutto poveri e del mondo del lavoro; la cura delle vocazioni; l’iniziativa apostolica negli ambienti popolari, in particolare con la comunicazione sociale; e le missioni.
Mentre ricordiamo con riconoscenza e affetto al nostro amato don Egidio Viganò, chiediamo il Signore ci dia la grazia di saper fare del suo prezioso magistero programma di rinnovamento costante della nostra identità salesiana.
D. Pascual Chávez V.
1 Per questa seconda parte mi sono servito liberamente da appunti ciclostilati di don Pietro Braido, con il titolo “Don Bosco ci parla ancora nella fedeltà dei discepoli”, pp. 19-24.
2 Cfr. ASC 290 (1978) 3439-3440.
3 Cfr. ASC 301 (1981) 905-916.
4 Ibid., pp. 2228-2233
5 ACG 352 (1995) 3967-3997.
6 CG 31, 567-568.
7 CG 21, 156-159.
8 ACS 304 (1982] 1157-1158.
9 ACS 310 (1983) 1606.
10 ACG 312 (1985) 1833-1834.
11 ACG 313 (1985) 1892-1893.
12 ACG 326 (1988) 2778.
13 ACG 328 (1989) 3022.