Incontro con la Famiglia Salesiana Dicembre 2009

INCONTRO DEL RETTOR MAGGIORE

CON LA FAMIGLIA SALESIANA

NEL 150º ANNIVERSARIO DELLA FONDAZIONE



La grazia e il compito di questo giubileo, che ci sprona a continuare la preparazione alla celebrazione del bicentenario della nascita di Don Bosco.



  1. Tornare a Don Bosco oggi


L’impegno di amarlo, studiarlo, imitarlo, invocarlo e farlo conoscere per ripartire da lui, riscoprendo le sue ispirazioni trainanti, le sue motivazioni più profonde, le sue convinzioni irrinunciabili, facendo nostra la sua passione apostolica che scaturisce dal cuore di Cristo.


Non si tratta di nostalgia del passato ma di ricerca di cammini di futuro! Egli è il nostro criterio di discernimento e la meta della nostra identificazione.


Nella sua operosità instancabile quello che più stupisce è appunto la sua formidabile integrazione: la grazia dell’unità, frutto del non avere se non una sola causa per la quale vivere, i giovani, la loro felicità, la loro salvezza (cfr. Testimonianza di Don Rua).


Significa capire la propria vita come vocazione e come missione, chiamato da Dio ed inviato da Lui, e di fatti si fece santo consegnandosi completamente ai giovani, vivendo in mezzo a loro, amandoli come forse nessun altro santo li abbia amato. Ecco il segreto della sua santità e del suo successo come educatore, prete, fondatore: Dio, centro di gravità della sua vita, sorgente della sua vita teologale.


Tornare a Don Bosco è criterio di rinnovamento spirituale e di santità salesiana (cfr. Cost SDB 21).



  1. Tornare ai giovani


Tornare a Don Bosco significa tornare ai giovani, con un amore universale che non esclude nessuno ma non privilegia tutti, se non coloro più “poveri, bisognosi, pericolanti”.


Si tratta di andare incontro a loro, ai loro bisogni, alle loro aspirazioni, incontrarli con gioia nella loro vita quotidiana, attenti ai loro appelli, disposti a conoscere il loro mondo, ad animare il loro protagonismo, a risvegliare il loro senso di Dio, a proporli itinerari di santità secondo la spiritualità salesiana (cfr CG 26).


Oggi tutti noi siamo interpellati dai giovani, dalle loro sfide (vita, libertà, amore), dalla difficoltà per comprendere il loro linguaggio. E non c’è altra alternativa che quella di andare incontro a loro, di dare – come Don Bosco – il primo passo, di ascoltare ed accogliere le loro attese e aspirazioni, che per noi diventano opzioni fondamentali. Tutto ciò parla di un’accoglienza incondizionata come principio per il rapporto educativo, efficace, nei loro confronti.


Non ci si dovrebbe dimenticare mai che i giovani per noi non sono un passatempo e nemmeno un lavoro da cui sbrigarsi il più presto possibile, in qualsiasi modo. I giovani per noi sono missione, sono la ragione del nostro essere, sono ‘luogo teologico’ (cfr. Cost SDB 95), sono la strada della nostra esperienza di Dio e della nostra santificazione, perciò sono la parte della nostra eredità.


Dalla fedeltà alla missione per e tra i giovani dipende il rinnovamento della nostra Congregazione. Noi siamo consacrati dal Signore per essere apostoli dei giovani.



  1. Don Bosco con Dio


Al fine di superare la mediocrità spirituale, che ci priva del dono di avere un atteggiamento e uno sguardo di fede, è assolutamente necessario conoscere, approfondire e vivere la spiritualità di Don Bosco. La conoscenza degli aspetti esterni della vita di Don Bosco, delle sue attività e del suo metodo educativo non basta. Come fondamento di tutto, come sorgente della fecondità del suo operato e della sua attualità, c’è qualcosa che sovente ci sfugge: la sua profonda esperienza spirituale, quella che potremmo chiamare familiarità con Dio.


Questa però non è possibile senza una familiarità con la Parola di Dio e l’Eucaristia, centro esistenziale della vita di un apostolo e di una comunità di apostoli.


Non dovrebbe meravigliarci che la spiritualità di Don Bosco fosse definito come quella de ‘la continua unione con Dio”, una laboriosità instancabile santificata dalla preghiera e dall’unione con Dio.


Senza di questo scivoliamo facilmente nel attivismo che produce soltanto stanchezza fisica fino all’esaurimento (‘burned out’), stress psicologico e superficialità spiritualità. A ragione l’attivismo può essere considerato come la nuova eresia, quella che fa credere che tutto dipende da noi, dalla nostra azione, che possiamo prescindere da Dio, dimentichi di quello che Gesù dice: “Senza di me non potete fare nulla”.


E’ arrivato l’ora di tornare a dare allo Spirito il protagonismo che gli corrisponde e ricuperare il primato della grazia. Solo così è possibile l’esperienza di Dio, senza la quale non c’è missione salesiana, perché questa consiste non nel fare cose ma nell’essere “segni dell’amore di Dio”.


Dobbiamo curare dunque la nostra vocazione all’intimità con il Signore, quella che ci rende discepoli innamorati e quindi apostoli entusiasti.


E’ ovvio perciò che abbiamo bisogno di pregare e di trasformare la nostra azione in preghiera, fino ad essere contemplativi nell’azione, tenendo in conto che quanto perseguiamo è non soltanto la promozione umana e la creazione di una cultura ricca di valori, ma la salvezza dei giovani.



  1. Contemplare il cuore di Cristo


Tutto ciò è in linea con quanto scrivevo in una delle prime mie lettere circolari quando dicevo che “la vera sfida attuale della vita consacrata è quella di restituire Cristo alla vita religiosa e la vita religiosa a Cristo, senza darlo per scontato” (ACG 382, 20, 2003).


Oggi più che mai deve essere chiara la nostra identità cristiana e, nel caso dei consacrati, la nostra vocazione di essere “memoria vivente del modo di esistere ed agire di Gesù obbediente, povero e casto” (VC, 22).


Per noi la passione del “Da mihi animas, cetera tolle” passa necessariamente attraverso la contemplazione di Cristo, il che comporta il conoscerlo più profondamente, l’amarlo più intensamente, il seguirlo più radicalmente. Egli dovrebbe essere – come per San Paolo – la nostra scienza più eminente (cfr. Cost SDB 34).


Non a caso l’icona che meglio rappresenta la figura del Salesiano è quella del Buon Pastore, così come lo ha contemplato Don Bosco che ha trovato in Lui gli elementi fondamentali della sua missione, sintetizzata nel suo amore pastorale sino all’estremo di dare la vita per i suoi.


In Gesù eucaristico don Bosco scopre il mistero ineffabile dell’amore.

In Gesù don Bosco vede il Redentore che porta la salvezza.

In Gesù contempla il Maestro e Modello da seguire.

In Gesù vede l’Amico e Compagno di cammino,

insomma il Buon Pastore, sempre disposto a dare la propria vita per il bene del suo gregge.


Da qui sorgono la sua sollecitudine per predicare, sanare e salvare.


  1. Ricuperare la passione apostolica del “Da mihi animas”


Tornare a Don Bosco e tornare ai giovani esprime le radici e l’orizzonte della identità e della missione salesiana. Don Bosco fu innanzitutto un apostolo e tutta la sua vita è stata determinata dall’urgenza di salvare i giovani più poveri e bisognosi.


Questo impulso apostolico che ci porta a spendere tutte le nostre energie per i giovani lo chiamiamo “carità pastorale”. E’ forse l’espressione più fedele della realizzazione del programma spirituale ed apostolico che don Bosco visse e ci consegnò nel motto “Da mihi animas, cetera tolle” (cfr. Cost SDB 4).


Questo concentra tutta l’energia del suo amore, tutta la sua carità, tutta la sua passione per le anime dei giovani.


Per don Bosco lavorare per la salvezza delle anime era la più santa tra le opere. Tutto ciò era conseguenza del suo essere sacerdote. Per questo si fece sacerdote e nella sua vita non volle altro che essere sacerdote.


Siamo convinti che il motto vissuto e scelto da Don Bosco per tutti noi rappresenta la sintesi della nostra spiritualità, della mistica e dell’ascetica salesiana.


Sono personalmente convinto che in questo programma di vita di don Bosco troviamo la motivazione e il metodo per affrontare, con coraggio e lucidità, le attuali sfide culturali, perché il “Da mihi animas” mette al centro della vita del Salesiano il senso della paternità di Dio, le ricchezze della morte e risurrezione di Cristo, l’energia dello Spirito e, nel contempo, stimola l’anelito ardente di far conoscere e gustare ai giovani queste possibilità affinché abbiano in questo mondo una vita felice, illuminata dalla fede, e riescano a godere della salvezza eterna.


Ecco perché è assolutamente indispensabile riscaldare il cuore dei Salesiani ripartendo da Cristo e da don Bosco. Non si tratta di un sentimento o entusiasmo passeggero, bensì di un impegno urgente di conversione, di incontro con il Signore, lasciandogli che parli al nostro cuore e ci aiuti a ritrovare le nostre migliori energie. Si tratta, veramente, di far sì che il Signore penetri nel nostro essere e venga a dare gioia e incanto alla nostra vita, ad aiutarci ad approfondire le nostre motivazioni, a rafforzare le nostre convinzioni, a stimolarci a camminare nel segno della fedeltà all’alleanza, ordinando la nostra vita personale, comunitaria e istituzionale, secondo i valori del Vangelo e secondo il carisma di don Bosco.



  1. L’urgenza di evangelizzare


Tornare a don Bosco vuol dire pure dare uno sguardo alle origini. Ebbene non possiamo dimenticare che la Congregazione Salesiana “nel suo principio era un semplice catechismo”. Come il nostro fondatore e padre noi siamo chiamati ad essere “educatori della fede” e come lui dobbiamo camminare con i giovani per portarli a un incontro con il Signore Risorto. Per ciò l’evangelizzazione costituisce il centro della nostra missione e oggi più che mai dobbiamo sentire l’urgenza di privilegiare specialmente una presenza evangelizzatrice tra i giovani.


La missione salesiana si svolge all’interno di quella della Chiesa, che consiste precisamente nel realizzare l’annuncio e la trasmissione del Vangelo.


La preoccupazione per annunciare il Vangelo non è un’attività possibile tra altre attività pastorali della Chiesa. Questa è la sua missione. La Chiesa esiste per evangelizzare e l’evangelizzazione costituisce la sua identità più profonda.


L’evangelizzazione è urgente oggi non perché la società, particolarmente in Europa occidentale, è diventata fortemente secolarizzata – questo fatto semplicemente rende più pressante l’urgenza - , ma perché quella è la sua missione essenziale.


La Chiesa presenta questa urgenza di evangelizzare come una nuova evangelizzazione, trasformandola così in un autentico programma pastorale per il terzo millennio. Si tratta di annunciare la persona di Gesù e la sua forma pienamente umana della esistenza e così portare i giovani ad aderire a Lui e diventare suoi seguaci.


Il fatto di dovere essere attenti ai nuovi contesti socioculturali, ai segni dei tempi, alle sfide che ci vengono dal mondo e dai giovani, invece di essere una ragione per non evangelizzare, ci sprona a dare più qualità alla nostra azione evangelizzatrice. La globalizzazione, il secolarismo, il pluralismo, il relativismo segnano lo scenario in cui oggi deve risuonare la buona novella che da’ all’uomo luce e speranza.


La nuova evangelizzazione presuppone ed esige nuovi evangelizzatori, pieni di entusiasmo, gioia e credibilità di testimonianza, coraggiosi nell’annuncio, fiduciosi nell’uomo moderno, umili e servizievoli, dialoganti, aperti al pluralismo, con un linguaggio che esprima il Vangelo nelle categorie della cultura odierna. Si tratta di presentare la fede come adesione a una persona e al suo messaggio evangelizzatore. Da qui l’imperativo di essere prima noi stessi evangelizzati.


L’urgenza di evangelizzare suppone soprattutto un impegno serio di rinnovamento spirituale e pastorale. Senza questo l’evangelizzazione diventa proselitismo e non vera creazione di una comunità di credenti uniti dalla fede nella persona di Gesù, che operano con la forza della carità e sanno testimoniare con la vita ciò che professano con la bocca e con il cuore.


E’ arrivato il momento di varcare la soglia della timidezza ed annunciare con convinzione, gioia e coraggio Gesù e il suo Vangelo, come il dono più grande che il Padre ci ha dato e che noi possiamo dare.


Certo, noi evangelizziamo educando e non qualsiasi evangelizzazione educa e non qualsiasi educazione evangelizza, appunto perché evangelizzare ed educare sono due azioni diverse, con finalità e metodi propri. Mentre la prima si situa nell’ambito della cultura, la seconda si colloca in quello della fede, ma tutte e due agiscono nella unità della persona destinataria della evangelizzazione e della educazione, tutte e due hanno la persona umana come destinatario, tutte e due cercano la sua crescita e sviluppo.


Per ciò la nostra prassi deve unire indissolubilmente tra se educazione ed evangelizzazione, per formare “onesti cittadini e buoni cristiani”.



  1. Maria lo ha fatto tutto


Tornare a don Bosco ci porta necessariamente a scoprire il ruolo che Maria ha giocato nella sua vita. Se la sua vita gira attorno a Dio, possiamo dire che anche gira attorno a Maria. La Madonna è stata sempre presente nella sua vita. Lei è stata la maestra e guida nella ricerca e adempimento della volontà di Dio.


Sappiamo bene che da bambino Mamma Margherita lo consacrò alla Madonna e quindi gli insegnò ad invocarla tre volte al giorno e a poco a poco diventa per lui una esperienza di vita, una vera madre che lo accompagno ovunque. Nel sogno dei 9 anni Gesù gliela consegna come la sua Maestra che lo guiderà nella missione che gli è affidata. E di tal modo era convinto che Maria lo guidava sì da affermare che “Lei è la fondatrice della nostra opera e colei che la sorregge”.


Se è vero che don Bosco era il santo di Maria Ausiliatrice, ugualmente vero è che Maria Ausiliatrice e “la Vergine di don Bosco”.


A Lei affido tutti e ciascuno di voi, la nostra Congregazione, l’intera Famiglia Salesiana, i nostri collaboratori, i govani del mondo. Lei ci continuerà a guidare nei prossimi 150 anni e ci aiuterà a riscrivere questa brillante storia che oggi stiamo celebrando.



19 dicembre 2009






Don Pascual Chávez V., SDB

Rettor Maggiore






7