XXVI Domenica del T. O. (C)
«Per annunziare ai poveri un lieto messaggio»
Omelia Messa spedizione missionaria 141
Am 6,1a.4-7; Sal 145; 1 Tm 6,11-16; Lc 16,19-31
Carissimi fratelli e sorelle nel Signore Gesù,
ci siamo radunati come Popolo di Dio e come Famiglia Salesiana, qui a Valdocco, per celebrare l’amore inesauribile di Dio che vuole che tutti gli uomini siano salvi e raggiungano la conoscenza della Verità. Questa salvezza e questo incontro con la Verità si realizzano in ogni eucaristia, dove Cristo si rende sacramentalmente presente con la potenza della sua vita nuova, e si prolunga lungo la storia fino ai confini del mondo attraverso la missione evangelizzatrice che svolge la Chiesa, ed in essa la Famiglia di Don Bosco.
Noi siamo qui appunto per riaffermare la nostra volontà di collaborare nell’adempimento del disegno meraviglioso di Dio. Oggi infatti faremo la nuova spedizione missionaria salesiana, la 141ma, che evidenzia il nostro essere e fare Chiesa, il nostro impegno per i giovani del mondo, specialmente i più poveri, la dimensione missionaria della vocazione salesiana.
Ci raduniamo qui alla Basilica di Maria Ausiliatrice, sede abituale dell’invio dei missionari salesiani. A Maria affidiamo ciascuno e ciascuna dei nostri fratelli e sorelle missionari e le nostre missioni nel mondo.
La parola di Dio che abbiamo appena sentito si potrebbe riassumere in un versetto della proclama con cui Gesù fa la sua autopresentazione a Nazaret: «Lo Spirito del Signore è sopra di me, per questo mi ha consacrato… per annunziare ai poveri un lieto messaggio» (Lc 4,18b).
Infatti, anche se il testo di Amos e la pagina evangelica di Luca presentano con estrema schiettezza il pericolo della ricchezza, d’essere ricchi, tuttavia l’accento della parola di Dio viene messo sull’evangelizzazione dei poveri.
Loro sono i primi destinatari del vangelo. Inoltre per noi si tratta di un invito ad amare la povertà, così come Mamma Margherita visse ed insegnò a Giovanni; a vivere da poveri e a consegnare la propria vita a favore dei più poveri ed emarginati.
Secondo Luca, la ricchezza rappresenta un grande pericolo per la salvezza dell’uomo. In primo luogo perché essa provoca la miopia spirituale, che non ci lascia percepire e cercare i beni definitivi, i valori che veramente contano, quelli che sopravvivono la morte; in secondo luogo perché produce l’indurimento del cuore, che ci rende insensibili dinanzi ai bisogni dei più poveri, degli affamati, degli assetati, degli ammalati, degli sfruttati, degli immigranti, degli esclusi ed emarginati; in terzo luogo perché ci rende idolatri, servitori non di Dio ma del denaro.
Nell’attuale contesto neoliberale in cui viviamo, oggi la parabola del ricco che veste di porpora e bisso, banchetta ogni giorno, senza preoccuparsi della condizione del povero Lazzaro, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi delle briciole che cadevano dalla mensa del ricco, ha acquisito dimensioni macrocosmiche, perché ci sono intere popolazioni dell’umanità che stentano a sopravvivere mentre gruppi privilegiati vivono in mezzo al lusso e alla vanità come quelli descritti dal profeta Amos: “Essi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli cresciuti nella stalla. Canterellano al suono dell’arpa… bevono il vino in larghe coppe e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina degli altri non si preoccupano”.
Questa situazione si è resa più grave a conseguenza della crisi economica e finanziaria senza precedenti che stiamo attraversando. Essa ha aumentato i numeri di poveri nel mondo, ha causato la perdita di qualità di vita di altri milioni, ha arretrato lo sviluppo dei paesi provocando immane sofferenza per la disoccupazione e tanta disperazione.
Sollecitato appunto da questi nuovi e complessi problemi, il 29 giugno 2009 il Papa Benedetto XVI pubblicò la sua enciclica Caritas in Veritate. Oltre ad innovare il precedente insegnamento sociale della Chiesa, il Papa intende sollecitare, per uscire dalla crisi globale odierna, ad investire su un’evangelizzazione che sappia intercettare i bisogni dell’umanità, specie dei più poveri, e su una grande opera educativa, giacché la questione sociale è diventata sempre più radicalmente questione antropologica ed etica. Tutta l’enciclica desidera essere un apporto sostanzioso in vista dell’educazione, della formazione di una nuova mentalità e di nuovi stili di vita. Proprio per questo, la nostra Congregazione e la nostra Famiglia Salesiana, fondata da un santo sociale ed impegnata con la sua missione in tutti i continenti, deve saper trovare nella nuova enciclica un messaggio e una progettualità imprescindibili per la sua testimonianza e la sua dedizione alla crescita integrale dei giovani.
Per cambiare il mondo, incline all’autodistruzione, urge un pensiero nuovo, frutto della evangelizzazione. C’è un urgente bisogno di un modello nuovo di uomo, di società, di ordine mondiale.
Il modo di pensare comune, proprio di persone «vecchie», è rivolto in genere verso l’avere, il benessere materiale consumistico, il successo terreno, l’assolutizzazione dell’effimero. Vere rivoluzioni etiche e culturali possono essere attuate da persone che vivono – come insegna san Paolo – «secondo verità nella carità» (cf Ef 4,15), ossia coltivando una ragione illuminata dall’amore, da quella percezione del mondo e di noi stessi che solo il cuore può offrire.
Se la Parola di Dio d’oggi diventa urtante, altrettanto occorre con la realtà sociale odierna che quella denuncia. L’inasprirsi della violenza ovunque, sia in forma di guerra, di bande, di delinquenza, e la spirale di questo nuovo flagello che è il terrorismo, hanno in qualche modo il loro origine nella situazione di ingiustizia e di impoverimento che attanaglia milioni e milioni di persone.
Con la parabola d’oggi Gesù ci rivela la necessità della conversione e della fede, prima che la morte fissi irrevocabilmente il destino umano. Ci sono modi di vivere egoisti o solidali che segnano il nostro destino al momento di morire. Gesù ci invita a non vivere spensieratamente, chiusi su noi stessi, ma attenti ai bisogni degli altri, specie i più poveri, ed agire come il buon samaritano che si avvicinò, si fece prossimo, di quell’uomo che era stato spogliato dai briganti che lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto al borde del cammino, “fasciò le ferite, lo caricò sul suo giumento, lo portò ad una locanda e prese cura di lui” (Lc 10, 34).
Questo mondo, questa società, hanno bisogno di una cultura della sobrietà e della solidarietà sì da rendere possibile il sogno di Dio. Come afferma Gesù nella pagina del vangelo, per raggiungere questo bastano Mosè e i profeti. Per convertire la mente e trasformare le strutture sociali è sufficiente il Vangelo, la Parola di Dio rivolta all’uomo per la sua salvezza.
Ecco, cari missionari, il bel compito che vi si affida: collaborare nella umanizzazione del mondo attraverso il dinamismo del Vangelo, capace di convertire la mente e il cuore delle persone, e di trasformare il tessuto sociale. Cambiare il mondo è a portata di mano. Solo basta cambiare il mondo che ci è accanto, curando della gente affamata, sfruttata, ammalata.
Oggi voi siete inviati da questo luogo dove Don Bosco iniziò e sviluppo la sua opera. Oggi siete chiamati a continuare il suo sogno, che è quello di Dio. Diventate missionari dei giovani, portate loro il lieto messaggio della salvezza, fateli sperimentare la vicinanza di Dio e la potenza del suo amore.
Maria Ausiliatrice vi sia madre e maestra. Lei vi renda “umili, forti e robusti”, guidi la vostra vita e faccia fecondo il vostro lavoro missionario. Amen.
don Pascual Chávez Villanueva, SDB
Valdocco, 26.09.’10